Vedete un po' se riuscite a identificarvi con la scena che segue. È la mattina di Natale, e tutti sono raccolti intorno all'albero. Si distribuiscono i regali e il suono di carta da pacchetti strappata riempie l'aria. In un primo momento i bambini strillano con entusiasmo mentre scoprono i doni. È un momento da fotografare, l'immagine perfetta di Natale.
Poi, lentamente, l'atmosfera cambia. Con i regali tirati fuori dai pacchetti e disposti davanti a loro, i bambini cominciano a litigare tra di loro. Se avete figli molto piccoli, come i miei, sembra di vederli sopraffatti dalla massa di cose che ora possiedono. Diventano più egoisti, esigenti e stizzosi, oppure si ritirano a giocare con gli involucri e le scatole, piuttosto che con i regali stessi. Sono facilmente provocabili e cadono preda delle lacrime. I più adulti, un po' più variegati nel loro comportamento, raccolgono con cura la loro pila di doni in un angolo, e cercano di ignorare il vuoto debole ma distinto che sentono dentro di loro.
Ed è tutto. Il Natale è passato. Abbiamo acquistato le nostre cose in una frenesia di attività febbrile, poi le abbiamo avvolte con cura e le abbiamo poste sotto l'albero. Ma ora, con involucri sparsi intorno a noi come vittime di un tornado, queste cose sono, beh, solo altre cose da aggiungere al resto di quelle che già possediamo.
In qualche modo nulla finisce mai del tutto come doveva, come noi speravamo che fosse, Natale dopo Natale. I nostri figli, così eccitati dal potenziale di scartare i loro doni, dopo averli scartati sembrano più infelici di prima. Avere altri beni, piuttosto che lasciarci soddisfatti, sembrano averci resi meno contenti di prima.
Questa è la tragedia paradossale del materialismo. Quanto più possediamo, tanto più felici dovremmo essere. La realtà è, però, che più abbiamo, più diventiamo ingrati, insoddisfatti, stizzosi, esigenti o semplicemente indifferenti. Vogliamo riempire qualche buco dentro di noi, e siamo ingannati anno dopo anno nel pensare che il ripieno appropriato è una nuova console per giochi o l'ultima puntata di un video. Ma queste e altre cose materiali, piuttosto che riempire il buco dentro di noi, sembrano invece espanderlo.
Nella parabola del banchetto dal Vangelo di san Luca, si parla di un uomo "che diede un grande banchetto, e invitò molti. Al momento del banchetto mandò il suo servo a dire a quelli che erano stati invitati, 'venite; ora è pronto per tutti'. Ma tutti cominciarono ugualmente a scusarsi. Il primo disse: 'Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego, considerami giustificato'. Un altro disse: 'Ho comprato cinque paia di buoi e devo andare a esaminarli; ti prego, considerami giustificato'. E un altro disse: 'Ho preso moglie e perciò non posso venire'." (Lc 14:16-20)
Perché gli ospiti invitati rifiutano l'invito? Semplicemente perché hanno un sacco di cose su cui sono completamente concentrati, ad esclusione di tutto il resto. Sono posseduti dal desiderio di soddisfare tutte le necessità umane fondamentali: la necessità di appartenere e avere un posto (simboleggiata dal campo); la necessità per la sopravvivenza fisica dal consumo di alimenti e bevande (simboleggiata dal giogo di buoi); e la necessità di relazione e comunità (simboleggiata dal matrimonio).
Tuttavia, il soddisfacimento di questi bisogni materiali ha reso i potenziali ospiti ingrati e totalmente insensibili alla generosità del padrone di casa. La gioia della festa, che in altri vangeli è in realtà un banchetto di nozze che un re tiene per il figlio, si spreca per loro perché credono di aver già riempito il buco delle loro esigenze. Ecco perché il signore della casa manda i suoi servi per portare i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi a partecipare al banchetto. (Lc 14:21) Loro non hanno nulla. Hanno fame e sono bisognosi e così la loro risposta all'invito sarà sincera e gioiosa.
Ho sentito dire una volta che ogni essere umano ha un "buco a forma di Dio" dentro di sé, un vuoto, un desiderio di qualcosa di più, di qualcosa di più grande. Ogni anno, trasformiamo il Natale in una stagione in cui cerchiamo freneticamente di riempire quel buco con qualcosa – regali, buon umore, famiglia, e anche un po' di religione, nella speranza che forse questa volta il buco diminuirà almeno un po', se non riempito completamente.
Il momento culminante della mattina di Natale – quando la stagione esplode come una scatola a sorpresa piena di giocattoli a buon mercato e coroncine di carta, e tutto ciò che rimane è un mucchio di oggetti e un vuoto ancora più grande di prima – quel momento è un promemoria che il buco a forma di Dio non può essere riempito nel modo che credevamo. Il campo, le cinque paia di buoi e la moglie, tutte le cose che abbiamo nella nostra vita, semplicemente non servono, perché sono di forma sbagliata e, in definitiva, troppo piccole per le dimensioni del buco che vogliamo riempire.
Alla fine, solo il Dio infinito può riempire il buco a forma di Dio. La nostra fame naturale del divino, che gli esperti di marketing manipolano abilmente per farci entrare nei centri commerciali, non può essere riempita da nessun altro che lui. Forse questo Natale terremo a cuore questa verità e accetteremo l'invito a una festa che potrà veramente soddisfarci: la festa di Colui che è il pane della vita, il vitello grasso, il vino che allieta per sempre i nostri cuori.
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