“Il Sacrificio della Sera”
Una nuova serie di commentari sul significato e la struttura della Veglia di Tutta la Notte
Prefazione
Cristo ha denunciato gli scribi del suo tempo per avere elevato riti e rituali al livello di esaltate virtù religiose, e ha insegnato che il solo servizio appropriato a Dio è quello “in spirito e verità” (Gv 4:24). Denunciando l’attitudine legalistica verso il sabato, Cristo ha detto che “il sabato è fatto per l’uomo, e non l’uomo per il sabato.” (Mc 2:27). Le parole più dure del Salvatore erano dirette contro la devozione farisaica alle forme rituali tradizionali. D’altro canto, Cristo stesso ha visitato, insegnato e pregato nel Tempio di Gerusalemme, come hanno fatto i suoi apostoli e discepoli.
Non solo il cristianesimo non ha abbandonato il rituale, ma con il tempo, nel suo sviluppo storico, ha stabilito il proprio complesso sistema di culto. Ciò non costituisce in sé una contraddizione? La preghiera privata non è sufficiente per il cristiano?
La fede espressa solo nella propria anima diviene un’astrazione piuttosto che una realtà viva. Perché la fede divenga una fede viva, la si deve realizzare nella vita. La partecipazione ai riti religiosi in chiesa è la realizzazione della fede nelle nostre vite, e chiunque non si limita a contemplare la fede ma la vive, di necessità partecipa alla vita liturgica della Chiesa di Cristo, frequenta la chiesa, conosce e ama l’ordine delle funzioni della Chiesa.
Nel suo libro Il cielo sulla terra: Il culto della Chiesa orientale, l’arciprete Alexander Men’ spiega come segue la necessità di forme esterne di culto:
“…Tutta la nostra vita, nelle sue più diverse manifestazioni, è rivestita di rituali. La parola “rituale” viene dal verbo “vestirsi,” “rivestire.” Gioia e tristezza, saluti quotidiani, approvazione, delizia e indignazione, tutto assume forme esterne nella vita umana. Pertanto, che diritto abbiamo di spogliare di queste forme i nostri sentimenti verso Dio? Che diritto abbiamo di rigettate l’arte cristiana, e i rituali cristiani? Le parole delle preghiere, gli inni di rendimento di grazie e di penitenza, che sono sorti dalle profondità dei cuori di grandi teologi, grandi poeti, grandi melodi, non sono privi di benefici per noi. L’immersione in queste realtà è una scuola per l’anima, che la educa a un genuino servizio all’Eterno. Gli offici di culto ci conducono all’illuminazione, all’elevazione dell’uomo, e nobilitano la sua anima. Così, il cristianesimo, servendo Dio ‘in spirito e verità’, preserva rituali e riti….”
Il culto cristiano nel senso più ampio del termine è noto collettivamente come “liturgia,” ovvero, attività comune, preghiera comune, mentre la scienza del culto è nota come “liturgica.”
Cristo disse, “ dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro.” (Matteo 18:20). Si possono definire gli offici divini come la focalizzazione dell’intera vita spirituale di un cristiano. Quando una moltitudine di persone è ispirata dalla preghiera comune, essi si trovano circondati da un’atmosfera spirituale che permette la vera preghiera. A quel punto, i fedeli entrano in una comunione mistica, ovvero sacramentale, con Dio, uno stato essenziale per la genuina vita spirituale. I santi padri della Chiesa insegnano che così come un ramo spezzato da un albero muore perché privato della linfa di cui ha bisogno per continuare a vivere, così una persona separata dalla Chiesa non riceve più quella forza, quella grazia che risiede nei divini offici e misteri della Chiesa, e che è essenziale per la vita spirituale dell’uomo.
Padre Pavel Florenskij, un famoso teologo russo dei primi anni del XX secolo, chiamava gli offici divini “la sintesi delle scienze” poiché all’interno del tempio, tutta la sostanza dell’uomo è nobilitata. Tutto in una chiesa ortodossa è essenziale: la sua architettura, il profumo dell’incenso, la bellezza delle icone, il canto del coro, l’omelia e le azioni che vi si compiono.
Le azioni compiute in un officio divino ortodosso sono distinte dal loro realismo religioso, un’immediatezza che pone i fedeli in stretta vicinanza ai principali eventi del Vangelo, e per così dire, rimuovendo le barriere del tempo e dello spazio tra chi prega e gli eventi commemorati. Durante le funzioni della Natività, non solo ricordiamo la nascita di Cristo, ma di fatto Cristo nasce misticamente. Allo stesso modo, egli risorge nella santa Pasqua. Si può dire la stessa cosa della sua trasfigurazione, del suo ingresso a Gerusalemme, della cena mistica, della passione, sepoltura e ascensione, e di tutti gli eventi nella vita della santissima Madre di Dio, dalla sua nascita alla sua dormizione. Attraverso i suoi offici divini, la vita della Chiesa si rivela come compimento mistico dell’incarnazione di Dio. Il Signore continua a vivere nella Chiesa e nella stessa immagine umana che, una volta manifestata, continua a vivere in ogni tempo, e alla Chiesa è data la capacità di portare alla vita ricordi di eventi divini, di dotarli di potere, affinché noi possiamo diventare i loro nuovi testimoni e partecipanti. Così tutti gli offici divini assieme acquistano il significato della vita di Dio, e il tempio diviene la sua dimora.
Così inizia una serie di commentari sul significato e la struttura della Grande Veglia. Speriamo che il nostro lavoro aiuterà i nostri parrocchiani ad apprezzare e amare questo meraviglioso officio divino della Chiesa ortodossa.
1
Nell’officio della Veglia di Tutta la Notte, la Chiesa trasmette ai fedeli un senso della bellezza del sole al tramonto e volge i loro pensieri verso la luce spirituale di Cristo. La Chiesa dirige pure i fedeli verso una comprensione nella preghiera del giorno a venire e dell’eterna luce del Regno dei Cieli. La Veglia di Tutta la Notte è un officio che mostra il confine tra il giorno che è passato e il giorno che.
San Basilio il Grande descrive in questo modo le aspirazioni che guidavano gli antichi compositori di inni e preghiere della sera: “I nostri padri non desideravano ricevere in silenzio la grazia della luce della sera; piuttosto, offrivano grazie appena questa appariva.”
Partecipando alla Veglia di Tutta la Notte, i fedeli in un certo senso si congedano in preghiera dal passato e danno il benvenuto al futuro. Inoltre, nella Veglia di Tutta la Notte si preparano per la Divina Liturgia e per il mistero dell’Eucaristia.
Come suggerisce il suo nome, la Veglia di Tutta la Notte è un officio che in principio dura tutta la notte. È vero che ai nostri tempi tali offici che durano tutta la notte sono rari, e hanno luogo per la maggior parte nei monasteri come quelli del Monte Athos. Nelle chiese parrocchiali, ordinariamente, si celebra una forma abbreviata della Veglia di Tutta la Notte.
La Veglia di Tutta la Notte trasporta i fedeli in un tempo molto lontano, nelle funzioni dei primi cristiani. Tra i primi cristiani il pasto della sera, le preghiere e le commemorazioni dei martiri e dei defunti, così come la Liturgia, costituivano un unico insieme, di cui anche oggi si conservano tracce nelle varie funzioni serali della Chiesa ortodossa. Queste tracce includono la benedizione del pane, vino, grano e olio, e così pure quei momenti in cui la Liturgia è combinata in un singolo insieme con il Vespro – ovvero la Liturgia dei doni presantificati che si celebra durante la grande Quaresima, la Liturgia alla vigilia delle feste della Natività di Cristo e del Battesimo del Signore, la Liturgia del grande Giovedì e del grande Sabato, e la Liturgia notturna della Risurrezione di Cristo.
Di fatto, la Veglia di Tutta la Notte consiste di tre offici: il Grande Vespro, il Mattutino e l’Ora Prima. Talvolta la prima parte della Veglia di Tutta la Notte non consiste nel Grande Vespro, ma nella Grande Compieta. Il Mattutino è la parte centrale e più corposa della Veglia di Tutta la Notte.
Riflettendo su ciò che sentiamo e che vediamo al Vespro, siamo trasportanti ai tempi storici dell’umanità dell’Antico Testamento, e sperimentiamo nei nostri cuori ciò che questa sperimentava.
Sapere ciò che è contenuto nel Vespro e nel Mattutino ci rende semplice comprendere e memorizzare il flusso degli offici della Chiesa, l’ordine in cui essi procedono, così come gli inni, le letture e i riti religiosi che essi comprendono.
Il Grande Vespro
Nella Bibbia leggiamo che al principio Dio creò il cielo e la terra, che la terra era senza struttura (“informe,” dice la sacra Bibbia), e che vi aleggiava sopra lo Spirito vivificante di Dio, che effondeva sulla terra il suo potere di vita.
Il Grande Vespro, l’inizio della Veglia di Tutta la Notte, ci riporta all’inizio della creazione. L’officio si apre con una silenziosa incensazione cruciforme del Trono divino, la tavola dell’altare. Quest’azione è uno dei momenti più profondi e significativi in tutto il culto ortodosso. È un’immagine del movimento dello Spirito santo nel cuore della santa Trinità. Il silenzio stesso dell’incensazione cruciforme ci dà un’indicazione dell’eterno divino riposo che aveva luogo prima dell’esistenza del mondo. Esso simbolizza il fatto che il Figlio di Dio, Gesù Cristo, che invia il santo Spirito dal Padre, è “l’Agnello, sacrificato fin dalla creazione del mondo.” Allo stesso modo, la croce, l’arma del suo sacrificio salvifico, ha pure un significato eterno, cosmico, precedente alla creazione. In una delle sue omelie per il Grande Venerdì, il metropolita Filarete di Mosca (XIX secolo) sottolineava che “la Croce di Cristo… è l’immagine e adombramento eterno della Croce celeste dell’amore.”
La dossologia di apertura
Dopo l’incensazione, il prete sta di fronte al trono, mentre il diacono, uscendo sull’ambone attraverso le porte regali, e rivolto verso occidente (cioè verso i fedeli), annuncia: “Alzatevi!” Quindi, volgendosi a oriente, continua: “Signore, benedici!”
Il prete fa il segno della croce con il turibolo davanti al trono e dice “Gloria alla santa, consustanziale, indivisa e vivifica Trinità, ora e sempre, e nei secoli dei secoli.”
Il significato che sta dietro a queste parole e azioni sta nel fatto che il diacono, concelebrando con il prete, invita i presenti a stare in preghiera, a essere attenti e a “farsi coraggio.” Il prete confessa il principio e creatore di tutto, la Trinità consustanziale e vivifica. Allo stesso tempo, facendo il segno della croce con il turibolo, il prete dimostra che è stato attraverso la Croce di Gesù Cristo che i cristiani sono stati resi degni di comprendere fino a un certo punto il mistero della santa Trinità: Dio il Padre, Dio il Figlio, Dio il santo Spirito.
Dopo la dossologia “Gloria alla santa…” il clero nel santuario glorifica Gesù Cristo, la seconda persona della tuttasanta Trinità, cantando “Venite adoriamo il re e nostro Dio …Cristo stesso, il re e Dio nostro.”
Il salmo introduttivo
Il coro canta quindi versi dal Salmo 103, il “salmo introduttivo,” che inizia con le parole “Benedici, anima mia, il Signore,” e termina con “tutte in sapienza le hai fatte.” Questo salmo è un inno all’universo creato da Dio, il mondo visibile e invisibile, ed è stato un’ispirazione ai poeti di molti diversi popoli e periodi storici. Un esempio è la ben nota revisione del salmo in versi da parte del poeta Lomonosov. I suoi temi riecheggiano anche nell’ode di Derzhavin intitolata “Dio,” e nel “Prologo ai cieli” di Goethe. Il sentimento principale del salmo è l’ammirazione e contemplazione da parte dell’uomo della bellezza e della simmetria ordinata del mondo creato da Dio. Dio ha “ordinato” la terra informe durante i sei giorni della creazione. Tutto diventa bello (“e Dio vide che era cosa buona”). Il salmo 103 esprime anche l’idea che anche la cosa meno degna di nota nella natura ha in sé meraviglie non minori della cosa più grandiosa.
L’incensazione della chiesa
Durante il canto del salmo ha luogo l’incensazione dell’intera chiesa, mentre le porte regali sono aperte. Questo rito fu introdotto nella Chiesa perché i fedeli potessero ricordare il movimento dello Spirito santo sulla creazione di Dio. Le porte regali aperte sono a questo punto un simbolo del paradiso, ovvero dello stato in cui vivevano i primi esseri umani - in diretta comunione con Dio. Immediatamente dopo l’incensazione della chiesa, le porte regali si chiudono, così come il peccato originale di Adamo chiuse all’umanità le porte del paradiso, separandola da Dio.
Tutti i riti e gli inni con cui ha inizio la Veglia di Tutta la Notte ci rivelano il significato cosmico del tempio ortodosso, il tempio che rappresenta una vera immagine della struttura del mondo. Il santuario e la tavola dell’altare rappresentano il paradiso, i cieli sui quali regna il Signore. Il clero rappresenta gli angeli che servono Dio. La navata centrale della chiesa rappresenta la terra e l’umanità. In analogia al modo in cui il paradiso fu riaperto all’uomo da sacrificio redentore di Gesù Cristo, così il clero discende dal santuario verso i fedeli. I paramenti scintillanti ricordano la luce divina di cui brillavano le vesti di Cristo sul monte Tabor.
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Le preghiere del lucernale
Subito dopo che il prete ha incensato la chiesa, si chiudono le porte regali, come ricordo della chiusura delle porte del paradiso dopo il peccato originale di Adamo, e della sua estraniazione da Dio. Ora l’umanità caduta, stando di fronte ai cancelli chiusi del paradiso, prega per il proprio ritorno sul cammino verso Dio. Rappresentando Adamo penitente, il prete esce di fronte alle porte regali chiuse. Stando in piedi come immagine di pentimento, a capo scoperto, e senza il risplendente paramento in cui ha celebrato l’inizio festivo dell’officio, legge in silenzio le sette preghiere del lucernale (ovvero le “preghiere dell’accensione dei lumi). In queste preghiere, composte nel quarto secolo, che comprendono la parte più antica del Vespro, ascoltiamo il riconoscimento che l’uomo fa della propria incapacità e la sua richiesta di indicazioni sul cammino della verità. Le preghiere sono caratterizzate da elevata eloquenza e profondità spirituale. La settima preghiera dice:
“Dio grande ed eccelso, tu che solo possiedi l’immortalità e abiti nella luce inaccessibile, che hai fatto con sapienza tutto il creato, che hai separato la luce dalle tenebre, che hai posto il sole a dominio sul giorno, e la luna e le stelle a dominio sulla notte; tu che anche in quest’ora hai reso noi peccatori degni di accostarci al tuo volto nella confessione, e di offrirti il canto di gloria della sera: tu stesso, Signore amico degli uomini, dirigi la nostra preghiera, come l’incenso, al tuo cospetto, e accoglila in odore di fragranza. Concedici pace in questa sera e nella notte che viene; rivestici delle armi della luce; liberaci dalla paura notturna e da ogni cosa che si insinui nella tenebra; e fa’ che il sonno che ci hai donato a ristoro della nostra debolezza sia libero da ogni fantasia diabolica. Sì, Sovrano dispensatore di beni, fa’ che di notte, anche nei nostri letti, con compunzione, ci ricordiamo del tuo nome, e, illuminati dalla meditazione dei tuoi comandamenti, ci rialziamo in esultanza d’animo per glorificare la tua bontà, offrendo alla tua misericordia preghiere e suppliche per i nostri peccati e per quelli di tutto il tuo popolo, che visiti in misericordia per le preghiere della santissima Theotokos...”
La pratica della Chiesa è di accendere le lampade e le candele all’interno del tempio durante la lettura di queste preghiere, un’azione che simbolizza le speranze, le rivelazioni e le profezie nell’antico Testamento riguardo alla venuta del Messia, il Salvatore, Gesù Cristo.
La Grande Ectenia
In seguito, il diacono recita la “Grande Ectenia” Un’ectenia è una serie di brevi richieste di preghiera o di petizioni rivolte al Signore, per le necessità secolari e spirituali dei fedeli. Un’ectenia è una preghiera particolarmente fervente letta per conto di tutti i fedeli. Il coro, che allo stesso modo opera per conto di tutti i presenti alla funzione, risponde a queste petizioni con le parole “Signore, abbi misericordia,” una frase che per quanto breve è nondimeno una delle preghiere più perfette e complete che possono essere pronunciate dall’uomo: dice tutto quanto c’è da dire.
La “ Grande Ectenia,” nota per le sue parole di apertura; “In pace preghiamo il Signore,” è chiamata la “Litania di pace.” La pace è una condizione essenziale per ogni preghiera, sia essa individuale o comune in chiesa. Nel santo Vangelo secondo Marco, il Cristo parla di uno spirito di pace come base di ogni preghiera: “ Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi i vostri peccati…” (Marco 11:25). San Serafino di Sarov diceva: “Acquisisci lo spirito di pace, e migliaia intorno a te troveranno la salvezza.” Ecco perché all’inizio della Veglia e nella maggior parte degli offici, la Chiesa invita i fedeli a pregare Dio con una coscienza calma e pacifica, dopo essersi riconciliati con il prossimo e con Dio.
Proseguendo nella Litania di pace, la Chiesa prega per la pace in tutto il mondo, per l’unione di tutti i cristiani, per la nostra terra nativa, per il tempio in cui si tiene la funzione, e in generale per tutte le chiese ortodosse e per quelli che vi entrano non solo per curiosità, ma, come è detto nell’ectenia “con fede e pietà.” Ricordiamo i viaggiatori, i malati, gli imprigionati, e ascoltiamo una richiesta di essere liberati da “ogni afflizione, collera e necessità.” Nella petizione di chiusura della Litania di pace diciamo: “ Facendo memoria della tuttasanta, purissima, più che benedetta, gloriosa Sovrana nostra Theotokos e semprevergine Maria insieme con tutti i santi, affidiamo noi stessi e gli uni gli altri e tutta la nostra vita a Cristo Dio...” Questa formulazione racchiude due profondi e basilari concetti teologici ortodossi: il dogma dell’intercessione in preghiera della Madre di Dio a capo di tutti i santi, e il più elevato ideale del cristianesimo, la dedicazione della nostra vita a Cristo nostro Dio.
La grande Litania, o Litania di pace, termina con la dossologia del prete, che, proprio come all’inizio della Veglia, glorifica la santa Trinità – il Padre, il Figlio e il santo Spirito.
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Come Adamo stava penitente a pregare Dio davanti ai cancelli del paradiso, così, davanti alle porte regali chiuse, il diacono inizia la grande Ectenia con le parole: “In pace preghiamo il Signore…”
Tuttavia, Adamo aveva appena udito Dio promettere che la stirpe della donna avrebbe schiacciato il capo del serpente, che il Salvatore sarebbe venuto nel mondo, e così il cuore di Adamo ardeva di speranza di salvezza.
Questa speranza si esprime nel corso della Veglia di Tutta la Notte nell’inno che segue. Come per risposta alla grande Ectenia, risuona un salmo biblico: “Beato l’uomo…” Questo salmo, il primo del Salterio, costituisce per così dire una direzione e un avvertimento al credente di non prendere sentieri erronei e peccaminosi nella vita. Nei monasteri s’intona non solo il primo salmo, “Beato l’uomo,” ma l’intero primo catisma del Salterio. La parola greca “kathisma” significa “seduto,” perché secondo le regole della Chiesa è permesso sedersi durante le letture dei catismi. Il Salterio, che consiste di 150 salmi, è diviso in 20 gruppi di salmi noti come catismi. Ogni catisma a sua volta è diviso in tre parti o stasi, dette “Gloria,” poiché ogni parte termina con le parole “Gloria al Padre e al Figlio e al santo Spirito.” L’intero Salterio, tutti e 20 i catismi, è letto nel corso delle funzioni di ogni settimana. Durante la grande Quaresima, il periodo di 40 giorni che precede la Pasqua, periodo in cui la preghiera della Chiesa s’intensifica, il Salterio si legge due volte ogni settimana.
Il Salterio fu incorporato nella vita liturgica della Chiesa nei primi tempi dopo che la Chiesa fu fondata. Esso occupa una posizione di grande onore in questa vita liturgica. San Basilio il Grande, scrivendo nel quarto secolo, diceva:
“Il Libro dei Salmi comprende materiale utile da tutti i libri. Profetizza riguardo al futuro, richiama alla mente eventi passati, espone le leggi della vita, offre regole di azione. I salmi portano pace all’anima e ordine al mondo. Il salterio calma i pensieri irrequieti e turbati …è il conforto dalle fatiche quotidiane. Il salmo è la voce della Chiesa ed è perfetta teologia …”
Nel suo libro Nel mondo della preghiera, il protopresbitero Michael Pomazanskij scrive del significato del Salterio nel culto ortodosso:
“Nella Chiesa il Salterio è, per così dire, ‘cristianizzato.’ Qui, molte concezioni ed espressioni veterotestamentarie prendono un nuovo e più completo significato. Per questa ragione, i santi Padri e i lottatori spirituali amano tanto usare le parole del Salterio, che parla della difesa contro i nostri nemici, per esprimere i loro pensieri sulla battaglia contro il nemico della nostra salvezza e contro le passioni.”
Così non deve sorprenderci il fatto che i salmi occupino una parte tanto ampia del culto divino. Ogni rito inizia con salmi – alcuni con solo uno, ma la maggior parte con tre. Un numero enorme di versi del Salterio si può ritrovare all’interno di tutti i cicli liturgici.”
Dopo il canto del primo salmo, s’intona la “Piccola Ectenia”: “ Ancora e ancora in pace preghiamo il Signore.” Questa Ectenia, che è una forma abbreviata della Grande Ectenia, contiene due petizioni:
“ Soccorrici, salvaci, abbi misericordia di noi e custodiscici, o Dio, con la tua grazia.”
“Kyrie, eleison.”
“ Facendo memoria della tuttasanta, purissima, più che benedetta, gloriosa Sovrana nostra Madre di Dio e semprevergine Maria insieme con tutti i santi, affidiamo noi stessi e gli uni gli altri e tutta la nostra vita a Cristo Dio.”
“ A te, Signore.”
La “Piccola Ectenia” si conclude con la lettura da parte del prete di una delle dossologie assegnate nell’ordine del servizio.
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Sappiamo dalla storia narrata nella Bibbia che le voci di tristezza e di speranza, che erano risuonate all’inizio davanti ai cancelli del paradiso dopo il peccato dei primi uomini, continuarono a risuonare fino all’avvento stesso di Cristo.
Nella Veglia, la tristezza e il pentimento dell’umanità peccatrice si esprimono nei versi dei salmi penitenziali, che si cantano con melodie speciali e con particolare solennità.
Il salmo “Signore, a te ho gridato” e l’incensazione
Dopo il canto di “Beato l’uomo” e la Piccola Ectenia, udiamo versi dai Salmi 140 e 141, salmi che iniziano con le parole “Signore, a te ho gridato, ascoltami.” Questi salmi, che narrano il desiderio di Dio da parte dell’uomo caduto, il suo sforzo di servire veramente Dio, costituiscono la parte più caratteristica e distintiva di ogni officio del Vespro. Nel secondo verso del Salmo 140, incontriamo le parole “Si diriga la mia supplica come incenso al tuo cospetto” (questo sospiro di preghiera è noto per le sue melodie particolarmente commoventi nella Liturgia dei Doni Presantificati che si canta nella Grande Quaresima). Mentre si cantano questi versi ha luogo l’incensazione dell’intera chiesa.
Che cosa significa tale incensazione?
La Chiesa risponde le parole del salmo appena menzionato: “Si diriga la mia supplica come incenso al tuo cospetto, l’elevazione delle mie mani sia il sacrificio vesperale …” ovvero, possa la mia preghiera salire fino a te (Dio) come il fumo dal turibolo, e possano le mie mani alzate essere per te come un sacrificio della sera. Questo verso ci ricorda il tempo antico in cui, secondo la legge di Mosè, alla sera di ogni giorno si offriva un sacrificio nella tenda dell’alleanza, ovvero nel tempio portatile usato dal popolo di Israele nel viaggio dalla schiavitù dell’Egitto alla terra promessa. Il sacrificio era evidenziato dall’elevazione delle mani, e dall’incensazione dell’altare su cui erano custodite le sante tavole della legge, date da Dio a Mosè sulla sommità del monte Sinai.
L’ascesa del fumo dell’incenso che brucia simbolizza le preghiere dei fedeli che salgono al cielo. Quando il diacono o il prete incensa in direzione dei fedeli, questi rispondono chinando il capo, come segno che riconoscono l’incenso come un mezzo che ricorda loro che la preghiera del fedele, come il fumo dell’incenso, deve salire con naturalezza verso il cielo. Incensare il popolo dischiude pure una profonda verità: che la Chiesa vede in ogni persona l’immagine e somiglianza di Dio, un’icona vivente di Dio, nell’unione con Cristo ricevuta nel mistero del Battesimo.
Durante l’incensazione della chiesa, il canto di “Signore, a te ho gridato…” continua, e vi si aggiungono le nostre preghiere parrocchiali e conciliari, dato che non siamo meno peccatori di quanto lo fossero i primi esseri umani. Dal profondo dei nostri cuori, assieme, pronunciamo le parole conclusive “Ascoltami, Signore.”
Le stichire al ”Signore, a te ho gridato”
Tra i seguenti versi penitenziali dei salmi 140 e 141 ci sono “Togli dal carcere l’anima mia… Dalle profondità ti ho gridato, Signore, Signore, ascolta la mia voce.” In seguito, risuonano voci di speranza nel Salvatore promesso.
La speranza in mezzo alla tristezza si sente negli inni che seguono il “Signore, a te ho gridato,” le cosiddette “Stichire al “Signore, a te ho gridato”.” Mentre i versi che precedono le stichire parlano dell’oscurità e della tristezza del Vecchio Testamento, le stichire stesse (i testi che sono di complemento ai versi), parlano della gioia e della luce del Nuovo Testamento.
Le stichire, canti liturgici composti in onore di una festa o di un santo, sono di tre tipi: 1) Stichire al “Signore, a te ho gridato,” che come abbiamo già notato sono cantate all’inizio del Vespro; 2) quelle cantate alla chiusura del Vespro, intercalate da versi tratti dai Salmi e note come Apostichi; e 3) quelle cantate verso la fine della seconda parte della Veglia, intercalate da versi di salmi in cui s’incontra con frequenza l’invocazione “lodate”, e note come Stichire delle Lodi.
Le stichire della risurrezione glorificano il Cristo Risorto, e le stichire festive raccontano il riflesso della sua gloria in vari eventi sacri o nelle gesta spirituali dei santi, poiché in ultima analisi tutta la storia della chiesa è legata alla Pasqua, alla vittoria di Cristo sulla morte e sugli inferi. Seguendo il testo delle stichire, si può riconoscere chi o quale evento è commemorato e glorificato nelle funzioni di un dato giorno.
L’Ottoico
Come il salmo “Signore, a te ho gridato,” le stichire sono tratti distintivi della Veglia di Tutta la Notte. Nel Vespro, si cantano tra sei e dieci stichire in un dato “tono.” Dall’antichità possediamo otto toni, attribuiti a San Giovanni Damasceno, che visse in Palestina alla Lavra (monastero) di San Saba il Santificato nell’ottavo secolo. Ogni tono comprende diverse melodie su cui si cantano le specifiche preghiere negli offici divini. I toni cambiano ogni settimana. Il ciclo del cosiddetto Ottoico copre gli otto toni nel corso di otto settimane, e quindi incomincia di nuovo. Un’antologia di tutte queste melodie è contenuta nel libro liturgico noto come Ottoico o Libro degli Otto Toni.
I toni comprendono una delle caratteristiche più evidenti nella musica liturgica ortodossa.
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I Dogmatici
La Natività del Figlio di Dio fu la risposta al pentimento e alla speranza del popolo dell’Antico Testamento. Una stichira speciale detta “Teotochio” (Stichira della Madre di Dio), cantata immediatamente dopo le stichire al “Signore, a te ho gridato,” ci parla di questa natività. Questa stichira è nota come “Dogmatico”, o “Teotochio-dogmatico.” Nei dogmatici – ce ne sono otto, uno per ogni tono – è contenuta una lode alla Theotokos assieme agli insegnamenti della Chiesa sull’incarnazione di Gesù Cristo e sulla presenza in lui delle due nature – divina e umana.
Ciò che contraddistingue i dogmatici è il loro profondo significato catechetico e la loro poesia sublime. Questo è il dogmatico del 1° Tono:
“Cantiamo inni alla vergine Maria, Gloria del mondo intero e porta del cielo, che nata da uomini ha partorito il Sovrano, canto degli incorporei, ornamento dei fedeli, poiché è divenuta cielo e tempio della divinità. Abbattuta la barriera dell’inimicizia, ha introdotto in suo luogo la pace, e ha aperto il regno. Con lei dunque come ancora della fede, abbiamo come difensore il Signore nato da lei. Coraggio, dunque, coraggio, popolo di Dio: egli combatterà i nemici, quale onnipotente.”
Questo dogmatico espone in forma concisa gli insegnamenti ortodossi sulla natura umana del Salvatore. Il tema principale del dogmatico del tono primo è che la Madre di Dio è stata generata da gente comune, e lei stessa era una persona comune, e non sovrumana. Ne consegue che, nonostante il suo peccato, l’umanità ha comunque mantenuto la sua essenza spirituale nella misura in cui nella persona della Madre di Dio, era degna di ricevere nel suo cuore la Divinità – cioè Gesù Cristo. I Santi Padri della Chiesa insegnavano che la Santissima Madre di Dio è la giustificazione dell’umanità davanti a Dio. Nella persona della Madre di Dio, l’umanità è stata sollevata al cielo, e Dio, nella persona di Gesù Cristo, nato da lei, è disceso sulla terra. Questo, considerato dal punto di vista della mariologia ortodossa (insegnamenti sulla Madre di Dio) è il vero scopo dell’Incarnazione di Cristo.
Il Dogmatico del Tono 2° dice:
“Si è dileguata l’ombra della legge all’avvento della grazia. Come il roveto pur ardendo non si consumava, così vergine hai partorito e vergine sei rimasta. Invece della colonna di fuoco è sorto il sole di giustizia; invece di Mosè, il Cristo, salvezza delle nostre anime.”
Il significato di questo Dogmatico sta nel fatto che attraverso la vergine Maria è venuta nel mondo la grazia e la liberazione dal peso della legge dell’Antico Testamento, che era una mera “ombra,” un simbolo dei beni futuri del Nuovo Testamento. Inoltre, il Dogmatico del Tono 2° sottolinea la “sempre-verginità” della Theotokos, raffigurata nell’Antico Testamento con il simbolo del roveto che arde ma non si consuma. Questo “roveto ardente e incombusto” era quello che Mosè aveva visto alla base del monte Sinai. Secondo la Bibbia, il roveto ardeva ma non si consumava, ovvero era circondato di fiamme, ma non bruciava.
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Il Piccolo Ingresso
Il canto del dogmatico alla Veglia rappresenta l’unione della terra e del cielo. Durante il canto del dogmatico, le porte regali si aprono per mostrare che il cielo, nel senso della comunione dell’uomo con Dio, chiuso dal peccato di Adamo, si è aperto di nuovo con la venuta sulla terra di Gesù Cristo, l’Adamo del Nuovo Testamento. A questo punto, ha luogo il “piccolo ingresso” o “ingresso della sera”. Il prete, preceduto da un diacono, esce dal santuario attraverso la porta diaconale settentrionale, proprio come il Figlio di Dio, preceduto da San Giovanni il Precursore, apparve agli uomini nel mondo. Il coro conclude il piccolo ingresso cantando la preghiera “Luce radiosa”, che esprime in parole ciò che il sacerdote e il diacono hanno raffigurato nell’atto di ingresso – la luce delicata e umile di Cristo, che appare nel mondo quasi inosservato.
La preghiera “Luce radiosa”
Nel ciclo dei canti usati nelle funzioni della Chiesa ortodossa, l’inno “Luce radiosa” è noto come “inno della sera” poiché è cantato durante le funzioni del Vespro. Nelle parole di quest’inno i figli della Chiesa “giunti al calar del sole, vedendo la luce della sera, cantano inni al Padre, al Figlio e al santo Spirito, Dio.” È evidente da queste parole che il canto “Luce radiosa” doveva coincidere nelle intenzioni con l’apparizione della tenue luce del tramonto, un momento nel quale l’anima del credente dovrebbe essere vicina a sentire il tocco di un altro genere di luce, una luce dall’alto. Ecco perché nei tempi antichi i cristiani, osservando il calar del sole, esprimevano I loro sentimenti e si volgevano in attitudine di preghiera alla loro “luce radiosa,” Gesù Cristo, descritto dall’apostolo Paolo come lo splendore della gloria del Padre (Ebrei 1:3), dai profeti dell’Antico Testamento come il vero sole di giustizia (Malachia 4:2), la vera luce che secondo l’evangelista Giovanni apparve nel mondo per scacciare le tenebre spirituali (Giovanni 1:4,9,), un’eterna luce, un sole che mai tramonta.
San Cipriano di Cartagine, che visse nel IV secolo, scrisse “Poiché Cristo è il vero sole e il vero giorno, quando preghiamo al calar del sole e chiediamo che la luce venga a noi, stiamo pregando per l’avvento di Cristo, che ha la grazia di offrirci l’eterna luce.”
Come il salmo “Signore a te ho gridato” e le stichire del Nuovo Testamento, la preghiera “Luce radiosa,” che apparve nell’epoca in cui la Chiesa di Cristo era nelle catacombe, è la terza parte distintiva del Vespro. La preghiera “Luce radiosa” contiene anche uno dei più importanti dogmi ortodossi, la confessione di Cristo come volto visibile della santissima Trinità, un dogma che è la base per la pratica della venerazione delle icone.
La piccola parola “vonmem”
Dopo il canto di “Luce radiosa”, il clero che serve nel santuario pronuncia diverse brevi parole: “vonmem” (“stiamo attenti”), “pace a tutti,” “sapienza.” Queste parole si pronunciano non solo durante la Veglia di Tutta la Notte, ma anche durante altre funzioni. Queste parole liturgiche, ripetute diverse volte in chiesa, possono facilmente sfuggire alla nostra attenzione. Sono parole piccole, ma il loro contenuto è grande e significativo.
“Vonmem” è una forma imperativa del verbo “fare attenzione”. Si può tradurlo con “stiamo attenti.”
Nella nostra vita quotidiana, fare attenzione è importante. Eppure la capacità di fare attenzione non viene sempre facilmente. Il nostro intelletto è predisposto alla dimenticanza e alla distrazione. È difficile forzarsi a essere attenti. La Chiesa è cosciente della nostra debolezza, e perciò si dà il compito di ricordarci “Stiamo attenti!” Facciamo attenzione, siamo accurati, raccogliamo i nostri pensieri, sforziamoci di focalizzare la nostra mente, la nostra memoria, su ciò che stiamo ascoltando. Cosa ancor più importante: fissiamo il nostro cuore in modo che nulla di ciò che accade in chiesa passi inosservato. Fare attenzione significa sgravare noi stessi, liberarci dalle memorie, dai pensieri vuoti, dalle preoccupazioni, o per usare un’espressione dalla nostra lingua liturgica, “deporre ogni affanno della vita…”
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Il saluto “Pace a tutti!”
La piccola espressione “Pace a tutti!” si ode per la prima volta durante la Veglia di Tutta la Notte immediatamente dopo il piccolo ingresso e la preghiera “Luce radiosa.”
Tra i popoli antichi, la parola “pace” era una forma di saluto. I romani usavano la parola “pax” come saluto, mentre in Israele fino a oggi ci si saluta l’un l’altro con “shalom.” Questa forma di saluto era usata anche durante la vita terrena del Signore. L’antica parola ebraica “shalom” ha una varietà di significati, e ha causato ai traduttori del Nuovo Testamento considerevole difficoltà, finché non si sono infine accordati sulla parola “irini.” La parola “shalom” ha diverse sfumature di significato in aggiunta al suo senso diretto. Per esempio, può significare “essere completo, sano, incolume.” Il suo senso fondamentale è dinamico. Significa “vivere bene,” avere benessere, essere sani, soddisfatti, etc., sia in senso materiale che spirituale, sia individualmente che nella vita comune. Figurativamente, la parola “shalom” significava buone relazioni tra diversi individui, famiglie e popoli, tra marito e moglie, tra l’uomo e Dio. Per questa ragione, il suo antonimo od opposto di significato non era necessariamente “guerra,” ma era più facilmente tutto ciò che può interrompere o distruggere il benessere individuale o le buone relazioni comuni. In questo senso più ampio, la parola “pace,” “shalom,” rappresentava un dono speciale da Dio a Israele in occasione della sua alleanza, il suo accordo con loro. Per questa ragione, la parola era usata in una specifica benedizione sacerdotale.
È precisamente in questo senso che la parola di saluto fu usata dal Signore. Con questa salutò gli apostoli, come dice san Giovanni nel suo Vangelo: “...il primo giorno della settimana [dopo la Risurrezione] venne Gesù e stando in mezzo a loro disse “: Pace a voi!” E quindi: “Disse loro Gesù di nuovo: ‘Pace a voi. Come il padre ha mandato me, così io mando voi.’” Questo non era un semplice saluto formale, uno di quelli che così spesso udiamo nei discorsi umani ordinari. Cristo di fatto invia i suoi discepoli nel mondo, sapendo che dovranno passare attraverso l’abisso dell’odio, delle persecuzioni e della morte da martiri.
Questa è quella pace di cui l’apostolo Paolo parlava nelle sue epistole, la pace non di questo mondo, la pace che era uno dei frutti dello Spirito santo. La pace che è di Cristo, poiché “Egli è la nostra pace.”
Ecco perché durante le funzioni vescovi e preti benedicono così spesso il popolo di Dio con il segno della Croce e con le parole “Pace a voi!”
Il Prochimeno
Dopo che tutti i fedeli sono salutati con le parole del Salvatore, “pace a tutti”, segue il “prochimeno”. Il “prochimeno” è una breve citazione dalle sacre Scritture, letta assieme a uno o più versi che fanno da supplemento al significato del prochimeno. Il prochimeno domenicale (in Tono 6°), è letto durante il Vespro alla veglia della risurrezione (cioè, il sabato sera). Si legge dapprima nell’altare, quindi è ripetuto dal coro.
Le Paremie
Le paremie, che letteralmente significa “lezioni,” consistono in un brano o una serie di brani dall’Antico o dal Nuovo Testamento. Tali letture, determinate dalla Chiesa per le vigilie di grandi feste, contengono profezie sull’evento o sulla persona commemorata, o parole di lode alla festa o al santo. Di solito si leggono 3 paremie, talvolta ce ne sono di più: per esempio, alla vigilia di Pasqua ce ne sono 15.
La Litania intensa
Con la venuta di Cristo nel mondo, che ci si mostra nell’atto del piccolo ingresso della sera, si rafforzano la comunione di Dio con l’uomo e la loro comunione di preghiera. Ecco perché subito dopo il prochimeno e la lettura delle paremie, la Chiesa offre ai fedeli di intensificare la loro comunione di preghiera con Dio attraverso la Litania intensa. Le diverse petizioni nella Litania intensa ci ricordano il contenuto della prima litania vesperale, la Grande Litania. Tuttavia, la Litania intensa include anche preghiere per i defunti. La Litania intensa inizia con le parole “Diciamo tutti da tutta l'anima, e da tutta la nostra mente...” A ogni petizione, il coro risponde in nome di tutti quelli che pregano, con un triplice “Kyrie eleison.”
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La preghiera “Rendici degni, Signore”
Dopo la Litania intensa, si legge la preghiera “Rendici degni, Signore”. Una parte di questa preghiera, composta nella Chiesa siriana nel IV secolo, si legge nella Grande Dossologia nel Mattutino.
La Litania di Supplica
Immediatamente dopo la preghiera “Rendici degni, Signore,” s’intona la Litania di Supplica conclusiva. Come risposta a ciascuna petizione tranne le prime due, il coro chiede “Concedi, Signore,” facendo una richiesta più ardita di “Kyrie eleison,” la richiesta penitenziale che si trova nelle precedenti litanie. Nelle prime litanie del Vespro, i fedeli pregano per il bene del mondo e della Chiesa, ovvero per il benessere esterno. Nella Litania di Supplica, si sentono preghiere per il successo nella vita spirituale, ovvero, per una conclusione senza peccato del giorno presente, per un angelo custode, per il perdono dei peccati, per una morte pacifica e cristiana, e perché siamo in grado di dare a Cristo un buon resoconto delle nostre vite al Giudizio tremendo.
L’inclinazione dei capi
Dopo la Litania di Supplica, la Chiesa invita i fedeli a chinare il capo al Signore. In questo momento, il sacerdote si rivolge a Dio con una preghiera “segreta” speciale, che legge in silenzio. Essa contiene l'idea che chi ha chinato il proprio capo si aspetta aiuto non dagli uomini, ma da Dio, e gli chiedo di proteggere i fedeli da ogni nemico, esterno e interno, ovvero dai pensieri vani e dalle fantasie maligne. L'inchino dei capi è un segno esterno che i fedeli si pongono sotto la protezione divina.
La Litia
Nelle grandi feste e nei giorni in cui si commemorano santi altamente onorati, l'inchino dei capi è seguito dalla litia, o servizio di supplica. Il termine "litia" significa preghiera intensificata [dalla stessa radice, deriva l'italiano "litania"]. Si inizia con il canto di stichire speciali in onore della festa o santo del giorno. Appena inizia il canto delle stichire, il clero va in processione attraverso la porta diaconale settentrionale dell'iconostasi, ed esce dal santuario. Le porte regali restano chiuse. Si porta una candela alla testa del corteo. Quando la litia si celebra al di fuori della chiesa, per esempio durante i periodi di disagio civile o nei giorni che segnano la liberazione da tali sofferenze, la litia è incorporata in un Moleben con processione della Croce. Anche una litia memoriale (per i defunti) può essere eseguita nel nartece dopo i Vespri o il Mattutino.
Mikhail Skaballanovich, un liturgista pre-rivoluzionario, scrive che "nella litia, la Chiesa esce del suo ambiente benedetto, con l'obiettivo della missione nel mondo, nel mondo esterno o nel nartece, la parte della chiesa che si affaccia su questo mondo, la parte che è aperta a tutti, anche quelli che non sono ancora parte della Chiesa o quelli che ne sono esclusi. Di qui il carattere universale delle preghiere della litia, che abbracciano tutti gli uomini".
Durante la litia, il diacono legge la preghiera, "Salva, o Dio, il tuo popolo", così come quattro altre brevi petizioni. Queste sono composte di suppliche per la salvezza del popolo, la Chiesa e le autorità civili, per le anime dei cristiani, per le città, per questa terra e tutti i credenti che ci vivono, per i defunti, così come preghiere che chiedono di preservarci dalle invasioni straniere e dalla guerra civile. Ciascuna di questi cinque petizioni, intonate dal diacono, si conclude con ripetuti canti del "Kyrie eleison".
Durante la litia, i fedeli mostrano un senso di elevata umiltà. Nella litia s’invoca per nome una schiera di santi, cosa che sottolinea uno dei dogmi fondamentali dell’Ortodossia: la nostra venerazione, e comunicazione orante, con i santi.
Le parole Kyrie, eleison, "Signore, abbi misericordia", sono più volte cantate durante la litia, che fa sì che il cuore, la mente e l'anima di coloro che pregano siano saturi di questa petizione. Queste ripetizioni multiple hanno lo scopo di focalizzare la nostra attenzione sul significato della preghiera, una cosa che la Chiesa considera particolarmente importante per la crescita spirituale dell'uomo. Come un tema musicale, questa preghiera spesso ripetuta ci accompagna fuori dalla chiesa e nella nostra vita quotidiana.
"Signore, abbi misericordia" - solo tre parole, ma quanto profonde! Prima di tutto, nel chiamare Dio "Signore," affermiamo il fatto del suo dominio sul mondo, sull’umanità, e, cosa più importante, su noi stessi e su quelli che lo chiamano "Signore", che significa "dominatore" o "sovrano". Per questo motivo ci riferiamo a noi stessi come "servi" o "schiavi" di Dio. Non c'è niente di vergognoso in questo titolo. La schiavitù è intrinsecamente un fenomeno negativo, perché priva l'uomo del suo primo dono di Dio, il dono della libertà. Poiché si tratta di un dono dato da Dio all'uomo, il servizio dell'uomo a Dio è infatti acquisizione di perfetta libertà in Dio. È bene fare tesoro, conservare e coltivare la preghiera: "Signore, abbi misericordia".
Dopo che il diacono ha letto le petizioni e il sacerdote ha letto la preghiera: "O Signore, abbondante di misericordie", e durante il canto degli apostichi, versi che consistono di stichire (versi che glorificano la festa o il santo del giorno), il clero e i fedeli entrano nella navata o parte centrale della chiesa. In questo momento, un tavolo è posto al centro della chiesa. Sul tavolo ci sono cinque pani, grano, vino e olio. Tutti sono poi benedetti in segno dell'antica usanza di distribuire cibo ai fedeli, alcuni dei quali venuti da lontano, in modo che possano tenersi in forze per partecipare a lunghi servizi di culto. I cinque pani sono benedetti in memoria del Signore che nutrì 5000 persone che avevano ascoltato la sua predicazione. Più tardi, durante il Mattutino, dopo che i fedeli hanno venerato l'icona della festa, il sacerdote li unge con l’olio benedetto.
La preghiera "Ora congeda il tuo servo"
La preghiera di san Simeone, l'accoglitore di Dio, "Ora congeda il tuo servo, o Sovrano, secondo la tua parola, in pace" si legge dopo gli apostichi. San Simeone pronunciò queste parole di lode quando accolse il Cristo, l’infante divino, tra le braccia nel Tempio di Gerusalemme il quarantesimo giorno dopo la Natività del nostro Signore. In questa preghiera, l'anziano dell'Antico Testamento ringrazia Dio per avergli consentito, prima della sua morte, di vedere la salvezza, cioè di vedere Cristo, dato da Dio per la gloria di Israele, e per l'illuminazione dei gentili e del mondo intero. La preghiera dice: "Ora congeda il tuo servo, o Sovrano, secondo la tua parola, in pace, poiché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, che hai preparato a cospetto di tutti i popoli: luce a rivelazione delle nazioni e gloria del popolo tuo Israele".
Il Vespro, la prima parte della Veglia di Tutta la Notte, volge ormai al termine. Dopo aver iniziato con una commemorazione delle pagine di apertura della storia dell'Antico Testamento, la creazione del mondo, si conclude con la preghiera "Ora congeda il tuo servo", che simboleggia la conclusione della storia dell'Antico Testamento.
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Il Trisagio
Subito dopo la preghiera di san Simeone l'accoglitore di Dio, si legge il Trisagio o le preghiere del tre volte santo. Queste comprendono "Santo Dio," "Tuttasanta Trinità" e "Padre nostro" e terminano con la dossologia esclamata dal prete, "Poiché tuo è il regno..."
Dopo il Trisagio, si cantano i tropari o inni di congedo. Un tropario è un breve, conciso inno in onore del santo commemorato o dell'evento sacro che si celebra quel giorno. La caratteristica distintiva del tropario è che descrive sinteticamente la persona glorificata o un evento associato. Al Vespro della risurrezione, al sabato sera, si canta tre volte il tropario alla Madre di Dio "Theotokos Vergine, gioisci". Questo tropario si canta al termine del Vespro della Resurrezione per la gioia della risurrezione di Cristo, il tema del Mattutino che segue. E annuncia la gioia dell'Annunciazione, quando l'Arcangelo Gabriele ha comunicato alla Vergine Maria che stava per dare alla luce il Figlio di Dio. Le parole di questo tropario sono composte per lo più dalle parole di saluto dell'Arcangelo alla Madre di Dio.
Nel caso in cui la veglia notturna comprende la litia, il sacerdote o il diacono si muove intorno al tavolo su cui sono posti i pani, il grano, il vino e l'olio, e incensa tre volte mentre si canta tre volte il tropario. Poi il sacerdote recita una preghiera che chiede a Dio di "benedire il pane, il grano, il vino e l’olio, e moltiplicarli in tutto il mondo e illuminare quelli che ne partecipano". Prima di leggere questa preghiera, il sacerdote eleva leggermente uno dei pani, e fa con questo il segno della croce sopra gli altri i pani. Questo gesto è fatto in memoria della moltiplicazione miracolosa con cui Cristo nutrì 5000 persone con cinque pani.
In passato, il pane e il vino erano benedetti e poi distribuiti ai fedeli, per tenerli in forze durante la veglia "di tutta la notte", che di fatto continuava per tutta la notte. Nel culto contemporaneo, il pane benedetto è tagliato in piccoli pezzi da dare ai fedeli in seguito, al momento in cui sono unti con l’olio durante il Mattutino; ne parleremo in seguito. Il rito della benedizione dei pani risale a una pratica dei primi tempi del cristianesimo, ed è un residuo dell’"Agape" o "festa dell’amore" osservata dai primi cristiani.
Alla conclusione della litia, in riconoscimento della misericordia di Dio, il coro canta tre volte, "sia benedetto il nome del Signore da ora e fino all’eterno". Questa è anche la stichira di conclusione della Divina Liturgia.
Il prete chiude il Vespro, la prima parte della Veglia di Tutta la Notte, dall’ambone, estendendo ai fedeli l’antica benedizione nel nome di Gesù Cristo incarnato, con le parole: "La benedizione del Signore sia su di voi con la sua grazia e il suo amore per gli uomini, in ogni tempo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli".
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Parte II – Il Mattutino
Le funzioni del Vespro e del Mattutino delimitano il giorno. Nella Genesi, il primo libro della Bibbia, si legge: "E fu sera e fu mattina: primo giorno." (Genesi 1:5). Per questa ragione, nei tempi antichi l'ordine dei servizi richiedeva che il Vespro, la prima parte la Veglia di Tutta la Notte, terminasse a tarda notte, e che il Mattutino, la seconda parte, fosse servito in modo che la sua conclusione coincida con l'alba. Più spesso nella pratica contemporanea, il Mattutino (se si officia separato dal Vespro) è spostato o a un’ora più tarda del mattino o indietro alla vigilia del giorno in questione.
I sei Salmi
Se servito nel contesto della Veglia di Tutta la Notte, il Mattutino inizia con la lettura dell’"Esapsalmo," o "sei Salmi," costituito dai Salmi 3, 37, 62, 87, 102 e 142, letti in quest’ordine, come un unico blocco liturgico. La lettura dei sei Salmi è preceduta da due testi biblici: 1) una pronuncia tre volte ripetuta delle parole angeliche di lode dette a Betlemme: "Gloria a Dio negli eccelsi e sulla terra pace, e tra gli uomini la benevolenza", e 2) una ripetizione per due volte dell’estratto dal salmo 50: "Signore, aprirai le mie labbra e la mia bocca annuncerà la tua lode."
Il primo di questi testi, che consiste in parole di lode angelica, sottolinea concisamente ma acutamente tre direzioni fondamentali e correlate alle direzioni di una vita cristiana: verso l'alto, verso Dio - espressa nelle parole: "Gloria a Dio negli eccelsi," all'esterno verso il prossimo - espressa nelle parole "e sulla terra pace" e verso il basso nella profondità del proprio cuore - espressa nelle parole di lode "e tra gli uomini la benevolenza". Insieme, il movimento di questi sforzi - altezza, larghezza e profondità, forma il simbolo della Croce, manifestando così la vita cristiana ideale, che offre la pace con Dio, la pace tra gli uomini, e la pace dell'anima.
Secondo l'ordine di servizio, le candele nella chiesa si spengono durante la lettura dei sei Salmi, questo generalmente non si segue nelle parrocchie. Il buio che scende simboleggia quella notte buia in cui Cristo è venuto sulla terra ed è stato elogiato nel canto angelico: "Gloria a Dio negli eccelsi". La penombra della chiesa favorisce una maggiore concentrazione sulle nostre preghiere. I sei Salmi comprendono una intera scala di esperienze che illuminano la vita cristiana del Nuovo Testamento - non solo la sua gioia complessiva, ma la sua via dolorosa verso quella gioia.
Al punto centrale dei sei Salmi, mentre viene letto il quarto dei salmi - il più doloroso dei sei, e ricolmo di un’amarezza mortale - il prete lascia il santuario, e stando in piedi di fronte alle porte regali, continua a leggere sei speciali "preghiere del mattino", preghiere che ha già cominciato a leggere di fronte alla santa mensa. In quel momento il sacerdote simboleggia Cristo, che dopo aver sentito il dolore dell’umanità caduta, non solo è sceso verso l'umanità, ma alla fine ne ha condiviso la sofferenza. Il Salmo 87, che viene letto in questo punto, parla di questo tema.
Le silenziose preghiere "del mattino" del prete contengono preghiere per i cristiani che sono in chiesa, petizioni che siano perdonati i loro peccati, o che sia data loro la vera fede e l’amore sincero, che tutte le loro opere siano benedette, e che siano resi degni del Regno dei cieli.
La Grande Ectenia
Alla conclusione dei sei Salmi e delle preghiere del mattino, si intona ancora una volta la Grande Ectenia, come è avvenuto durante il Vespro, all'inizio della Veglia di Tutta la Notte. Il suo significato qui all'inizio del Mattutino è che Cristo, l'intercessore, che è apparso sulla terra e la cui natività abbiamo lodato all'inizio dei sei Salmi, soddisferà tutte le promesse di bene spirituale e fisico, di cui parla l’ectenia.
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Il Salmo 117, "Dio è il Signore"
Subito dopo l'Ectenia di pace, o come è anche conosciuta, la Grande Ectenia, sentiamo il canto del Salmo 117, "Dio è il Signore e si è manifestato a noi, benedetto colui che viene nel nome del Signore". L'Ordine dei servizi divini ha stabilito che queste parole siano cantate a questo punto specifico del Mattutino, al fine di orientare la nostra memoria e l'attenzione all’inizio della missione pubblica di Cristo. Questo versetto espande la lode del Salvatore che era cominciata all'inizio del Mattutino durante la lettura dei sei Salmi. Queste parole erano anche servite come un saluto a Gesù Cristo al suo ingresso definitivo in Gerusalemme prima della sua passione sulla Croce. La dossologia "Dio è il Signore e si è manifestato a noi..." e i tre versi speciali che seguono, sono pronunciati o dal diacono o dal sacerdote di fronte all'icona principale, o locale, di Cristo sull’iconostasi. Il coro ripete il primo versetto "Dio è il Signore e si è manifestato a noi..."
Il canto o la lettura di questi versi dovrebbe riflettere uno stato d'animo gioioso e festoso. Per questo motivo, le candele che erano state spente durante la lettura dei sei salmi penitenziali, sono riaccese.
Subito dopo i versi di "Dio è il Signore", si canta il tropario della Risurrezione. In esso si glorifica la festa e si spiega l'essenza delle parole "Dio è il Signore e si è manifestato a noi", si spiega. Il tropario della Risurrezione annuncia le sofferenze di Cristo e la sua risurrezione dai morti, eventi che verranno esaminati in dettaglio più avanti nell’officio del Mattutino.
I Catismi
Alla Veglia di Tutta la Notte, si leggono il secondo e il terzo dei catismi, o kathismata (il plurale greco di kathisma) dopo il completamento della Grande Ectenia, i versi di "Dio è il Signore", e i tropari. Come abbiamo già detto, la parola greca καθισμα-kathisma significa "sedile" o "stallo", e secondo l'ordine dei servizi della Chiesa, durante la lettura dei catismi è consentito ai fedeli di sedersi.
L'intero Salterio, composto di 150 salmi, è suddiviso in 20 catismi, cioè in 20 gruppi o capitoli di salmi. Ogni catisma è a sua volta diviso in tre stasi, o "glorie", cioè, ogni sezione del catisma si conclude con le parole: "Gloria al Padre e al Figlio e al santo Spirito". Dopo ogni "gloria" il coro canta tre volte "Alleluia, alleluia, alleluia, gloria a te, o Dio".
I catismi sono espressioni di carattere penitenziale, contemplativo. Ci chiamano a prendere in considerazione i nostri peccati, e sono inclusi dalla Chiesa ortodossa nei servizi divini per chiamare i fedeli a guardare nella propria vita e nelle proprie azioni, per approfondire il loro pentimento davanti a Dio.
Il secondo e il terzo catisma, letto durante il Mattutino della domenica (ovvero della risurrezione), sono di carattere profetico. Vi si descrive la passione di Cristo: il suo obbrobrio, la trafittura delle mani e dei piedi, il gioco a sorte e la divisione delle sue vesti, la sua morte e la sua risurrezione dai morti.
Il catisma della Risurrezione durante la notte di veglia porta i fedeli alla parte centrale e più festosa dei servizi, il Polieleo.
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Il Polieleo
"Lodate il nome del Signore, Alleluia". Queste e le seguenti parole sono prese dai Salmi 134 e 135 e introducono la parte più festosa dell'officio della Veglia della Risurrezione, il polieleo, che celebra la Resurrezione di Cristo.
La parola πολυελεοσ (polyeleos) deriva da due parole greche che significano "abbondante di misericordia". Il punto cruciale e fulcro del polieleo riposa nel canto di " Lodate il nome del Signore", con ogni versetto dei Salmi seguito dal ritornello, "poiché in eterno è la sua misericordia". In questo ritornello, il Signore è glorificato per le misericordie abbondanti che ha dimostrato verso l'uomo, di cui la prima e più importante è la salvezza e la redenzione dell'uomo.
Al polieleo, si aprono le porte regali, tutta la Chiesa è illuminata, e il clero esce dal santuario e incensa tutta la chiesa. Attraverso queste azioni liturgiche, i fedeli sono testimoni degli eventi della risurrezione. Per esempio, nell’apertura delle porte regali, vedono come Cristo è risorto dalla tomba, e nella processione del clero dal santuario al centro della chiesa, vedono come egli è apparso di nuovo in mezzo ai suoi discepoli. Mentre questo avviene, si continua a cantare il salmo: "Lodate il nome del Signore" (Salmo 134:3 [LXX]), insieme con il ritornello angelico, "Alleluia" (Lodate il Signore); è come se il coro agisce al posto degli angeli, invitando i fedeli a lodare il Signore risorto.
Il "canto abbondante di misericordia," il polieleo, è in genere fatto durante la Veglia alla vigilia della domenica e delle grandi feste, servizi in cui la misericordia di Dio è mostrata in modo particolarmente chiaro e in cui è particolarmente appropriato santificare il suo nome e ringraziarlo per la Sua misericordia.
In preparazione per la Grande Quaresima, il breve Salmo 136 si aggiunge ai versi dei Salmi 134 e 135, che comprendono il polieleo. Questo salmo, che inizia con le parole "Sui fiumi di Babilonia" racconta la sofferenza del popolo ebraico durante la cattività babilonese, e del loro dolore per la loro patria perduta. Questo salmo si canta per diverse settimane prima di Grande Quaresima, in modo che, come gli Ebrei, che si sforzavano di liberarsi dalla cattività babilonese e tornare alla loro patria, la terra promessa, i cristiani, che sono il "nuovo Israele," si impegnino nel pentimento e nell'astinenza verso la loro patria spirituale, il Regno di Dio.
Durante le feste del Signore e della Madre di Dio, così come nei giorni che commemorano i santi particolarmente venerati, il polieleo è seguito da una "magnificazione", un breve verso di lode per la festa o per il santo del giorno in questione. Dapprima il clero, in piedi davanti all'icona della festa al centro della chiesa, canta la magnificazione. Poi, mentre l'intera chiesa è incensata, il coro ripete diverse volte lo stesso testo.
I primi a sapere della risurrezione di Cristo e a dare alla gente la Buona Novella sono stati gli angeli. Di conseguenza, il polieleo inizia, per così dire, con le loro indicazioni per noi "Lodate il nome del Signore." Le successive ad apprendere della risurrezione sono state le donne mirofore, che in accordo con l'antica usanza ebraica, si erano recate al sepolcro di Cristo per ungere il suo corpo con oli aromatici. Per questo motivo, il canto dell’"Alleluia" angelico è seguito dai tropari della risurrezione che raccontano della visita delle mirofore alla tomba, l'aspetto dell'Angelo che ha detto loro della risurrezione del Salvatore, e che ha diretto di portare questa notizia ai suoi apostoli. Ogni tropario è preceduto dalle parole "Benedetto sei, Signore, insegnami i tuoi giudizi." Gli ultimi tra i seguaci di Gesù Cristo ad apprendere della sua risurrezione dai morti sono stati gli apostoli. Questo momento della storia evangelica è commemorato nel punto culminante dell’officio della Veglia, la lettura del Vangelo della risurrezione.
Diverse dossologie preparatorie e preghiere precedono la lettura del Vangelo. Così, dopo i tropari della risurrezione e la "piccola" Ectenia, una versione ridotta della Grande Ectenia, si cantano versi speciali noti come "graduali". Questi antichi versi provengono da 15 salmi noti come "Inni di ascesa", perché ai tempi dell'Antico Testamento erano cantati da due cori uno di fronte all'altro lungo i gradini del Tempio di Gerusalemme. Il più delle volte, sentiamo cantare la prima parte dei graduali nel tono 4°, con l'inizio del testo "Fin dalla mia gioventù molte passioni mi hanno combattuto..."
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Il culmine della Veglia di Tutta la Notte è la lettura di un passo del Vangelo sulla risurrezione di Cristo dai morti. L'ordine dei servizi divini richiede un certo numero di preghiere da leggere in preparazione del Santo Vangelo. La ragione per la preparazione piuttosto lunga dei fedeli alla lettura del Vangelo è che il Vangelo può essere chiamato un libro "dietro sette sigilli" e "pietra di scandalo" per coloro a cui la Chiesa non insegna a comprenderlo e a tenerne conto. Inoltre, i Santi Padri insegnano che perché un cristiano tragga il massimo beneficio spirituale dalla lettura della Scrittura divina, deve prima pregare. L'introduzione orante alla lettura del Vangelo alla Veglia di Tutta la Notte serve a questo scopo.
Le nostre preghiere in preparazione per la lettura del Vangelo includono i seguenti elementi liturgici. In primo luogo, il diacono canta: "Stiamo attenti", quindi "Sapienza", poi viene il "prochimeno" rilevante al brano del Vangelo che sarà letto. Il prochimeno, come abbiamo detto in precedenza, è un breve estratto dalla Scrittura, di solito da uno dei salmi, che è letto insieme ad altri versi che completano il tema del prochimeno. Il diacono canta il prochimeno e il suo verso di accompagnamento, e il coro risponde dopo ogni canto del diacono.
La dossologia, "Poiché tu sei santo", e il canto "Ogni respiro lodi il Signore", concludono il polieleo con le sue parole festive di elogio che introducono il Vangelo. L'essenza del loro significato è la seguente: Che tutto ciò che ha vita dia lode il Signore, il datore di vita. In seguito, la sapienza, la santità e la benevolenza del Signore, Creatore e Redentore di tutta la creazione, sono spiegate e predicate attraverso la santa Parola del Vangelo.
Il santo Vangelo
"Sapienza, in piedi. Ascoltiamo il santo Vangelo". Questo è un invito a stare in piedi, con rettitudine, rispetto, pietà e correttezza spirituale, per ascoltare la Parola di Dio.
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Come abbiamo detto prima, il culmine della Veglia di Tutta la Notte è la lettura del Vangelo. In essa si sente la voce degli apostoli, che annunciano la buona novella, la risurrezione di Cristo.
Undici passi del Vangelo risurrezionale, che raccontano della risurrezione del Salvatore e della sua apparizione alle mirofore e ai discepoli, si leggono a loro volta durante la Veglia di Tutta la Notte del sabato.
Il Vangelo è letto dall’interno del santuario, la parte più importante del tempio ortodosso, che qui rappresenta la tomba del nostro Signore. Negli altri giorni di festa, il Vangelo viene letto in mezzo al popolo. Ciò avviene perché al centro del tempio è l'icona del santo o dell’evento che si celebra, e il cui significato è proclamato dal Vangelo.
Dopo la lettura del Vangelo della risurrezione, il sacerdote porta il libro sacro per la venerazione. Egli emerge dal santuario a partire dalla tomba, e tenendo il vangelo, emula l'angelo, che ci mostra Cristo, che aveva annunciato. Come i discepoli, i parrocchiani si chinano davanti al santo Vangelo, come le donne mirofore, lo baciano, e tutti cantano "contemplata la risurrezione di Cristo..."
A partire dal polieleo, aumenta la nostra esultanza e gioia nell'incontro con Cristo. Questa parte della Veglia infonde nei fedeli il riconoscimento che nella persona di Gesù Cristo il cielo scende sulla terra. La Chiesa ricorda anche ai suoi figli che ogni volta che sentiamo il canto del polieleo, dobbiamo tenere a mente il giorno successivo e con esso la festa dell'eternità, la Divina Liturgia, che non è semplicemente una rappresentazione sulla terra del Regno celeste, ma è di fatto il suo avverarsi, inalterabile e in tutta la sua pienezza, sulla terra.
Dobbiamo salutare il Regno dei Cieli con uno spirito commosso e con pentimento. Per questo motivo, subito dopo il canto gioioso di "contemplata la risurrezione di Cristo", si legge il Salmo penitenziale 50, che comincia con le parole "Abbi misericordia di me, o Dio...". È solo durante la notte di Pasqua e in tutta la settimana seguente, quando ci è concesso di sperimentare tale gioioso rapimento definitivo, privo di dolore o di penitenza, che la lettura del Salmo 50 è omessa dai servizi divini.
Il Salmo penitenziale "Abbi misericordia di me, o Dio" si conclude con una preghiera per l'intercessione degli Apostoli e della Madre di Dio. Quindi si ripete il versetto di apertura del Salmo 50: "Abbi misericordia di me, o Dio, secondo la tua grande misericordia, e secondo la moltitudine delle tue indulgenze, cancella il mio delitto".
Più avanti, nella stichira "Gesù, risorto dai morti, come aveva predetto, ci ha dato la vita eterna e la grande misericordia", ci troviamo di fronte la sintesi di entrambi, la gioia della risurrezione e il pentimento. La "grande misericordia", che Cristo mostra a coloro che si pentono, è la concessione della "vita eterna".
Secondo la Chiesa, la risurrezione di Cristo illumina la natura di chi si unisce con Cristo. Questa illuminazione è dimostrata nella parte estremamente variabile importante della Veglia di Tutta la Notte - i canoni, di cui parleremo in seguito.
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Il miracolo della Risurrezione di Gesù Cristo ha illuminato la natura umana. Nel "canone", la parte della Veglia che segue la lettura del Vangelo, la Chiesa mostra ai fedeli questa illuminazione. Nella pratica contemporanea, il canone è composto di nove odi o canti. Ogni ode del canone è costituita da un determinato numero di singoli tropari.
Ogni singolo canone ha un oggetto specifico da celebrare - la santissima Trinità, un evento dal Vangelo o della storia della Chiesa, preghiere alla Madre di Dio, magnificazione di un santo o dei santi di un determinato giorno. I canoni della domenica (sabato sera) celebrano la risurrezione di Cristo e la conseguente illuminazione del mondo, la vittoria sul peccato e sulla morte. I canoni della festa illuminano in dettaglio il significato della festa e la vita del santo, come modello della trasfigurazione del mondo che è già in atto. La Chiesa in qualche misura celebra la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte contemplando la luce di questa trasfigurazione riflessa nei canoni.
I canoni sono letti, ma il versetto iniziale di ogni singola ode è cantato dal coro. Questi versi introduttivi sono conosciuti come "irmi", dal verbo greco che significa "intrecciare." L'irmo presenta un modello per tutti i tropari che seguono in una data ode.
Un evento dal Vecchio Testamento, che incarna una trasfigurazione, vale a dire un significato profetico e simbolico pertinente al Nuovo Testamento, serve come modello per ogni irmo introduttivo. Per esempio, l'irmo della prima ode commemora, in termini cristiani, il passaggio miracoloso degli ebrei nel Mar Rosso. In questo irmo, il Signore è glorificato come l'onnipotente liberatore dal male e dalla schiavitù. L'irmo della seconda ode è tratto dal canto di denuncia pronunciato da Mosè nel deserto del Sinai per risvegliare uno spirito di pentimento negli ebrei in fuga dall'Egitto. La seconda ode è cantata solo durante la Quaresima. L'irmo della terza ode è basato sul canto di ringraziamento di Anna, madre del profeta Samuele, per il figlio che le fu dato. Nell'irmo della quarta ode, si presenta un'interpretazione cristiana della comparsa al profeta Abacuc del Signore Dio, visto alla brillante luce del sole che risplende da dietro una montagna boscosa. In questa visione, la Chiesa percepisce la gloria del Salvatore a venire. Nella quinta ode, il cui tema viene dal libro del profeta Isaia, Cristo è glorificato come il portatore di pace. Essa contiene anche la profezia della risurrezione dai morti. Il sesto irmo è tratto dalla storia del profeta Giona, gettato in mare e inghiottito da una balena. Agli occhi della Chiesa, questo evento serve a ricordare al cristiano che è sprofondato nell'abisso del peccato. L'irmo esprime anche l'idea che non c'è dolore o sfortuna in cui l'accorata preghiera dei fedeli non può essere ascoltata. Gli irmi delle odi settima e ottava del canone si basano sul canto dei tre giovani ebrei gettati nella fornace ardente a Babilonia. Questo evento è una prefigurazione del martirio cristiano. Tra le odi ottava e nona, ha luogo un canto in onore della Madre di Dio. Si comincia con le parole: "L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore". Il canto è accompagnato dal ritornello "più insigne dei Cherubini e senza confronto più gloriosa dei Serafini". Il diacono intona l'inizio di questa glorificazione della Madre di Dio. Dopo aver incensato l'altare e il lato destro dell’iconostasi, si ferma davanti all'icona della Madre di Dio nella iconostasi, e alzando il turibolo canta: "Magnifichiamo la Madre di Dio e madre della luce onorandola negli inni". Il coro risponde con la magnificazione della Madre di Dio.
Durante il canto del Magnificat, il diacono incensa tutta la Chiesa. Poi si leggono i tropari dell'ode finale del canone, e per l'ultima volta nella Veglia, sentiamo la Piccola Ectenia, "Ancora e ancora in pace preghiamo il Signore".
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La Piccola Ectenia, una forma breve della Grande Ectenia o Ectenia di Pace, si sente per l'ultima volta nella Veglia di Tutta la Notte dopo il canone. Durante la Veglia risurrezionale di Tutta la Notte, in seguito alla Piccolo Ectenia e all'ecfonesi del sacerdote, il diacono esclama "Santo è il Signore nostro Dio", frase che è poi ripresa tre volte dal coro.
L’Esapostilario
Nei monasteri che seguono strettamente la lettera dell'ordine dei servizi, e nelle chiese in cui la Veglia di Tutta la Notte in realtà si tiene "per tutta la notte", l'alba coincide con questo punto del servizio. Inni speciali celebrano il suo approssimarsi. Il primo inno è conosciuto come "Svetilen", o "Inno della luce", un termine che si riferisce all'annuncio della luce che si avvicina. Questo tipo di inno è conosciuto anche con il termine greco "esapostilario", che significa "inviare", poiché un cantore è "inviato" dai cori laterali al centro della chiesa per cantare l'inno. I famosi inni "Vedo la tua camera nuziale adorna, O mio Salvatore", e "Il sapiente ladrone", che si ascoltano durante la Settimana della Passione, sono esempi di Svetilny/Esapostilari. Tra i più noti Inni della luce pertinenti alla Madre di Dio è "Gli apostoli, radunati dai confini della terra...", cantato alla Dormizione della Madre di Dio.
Dopo l'Inno della Luce, si canta il versetto "Ogni respiro lodi il Signore", e si leggono i Salmi 148, 149, e 150. Questi tre salmi sono conosciuti come i "salmi di lode," perché in loro il termine "lodate" è spesso ripetuto. Stichire speciali conosciute come apostichi delle lodi sono combinati con questi salmi. Si cantano di solito alla fine del Salmo 149 e dopo ogni versetto del breve Salmo 150. Come nel caso delle altre stichire durante la Veglia, Gli apostichi delle lodi glorificano l'evento del Vangelo, l'evento nella vita della Chiesa, o il santo o i santi ricordati in quel dato giorno.
Come abbiamo già notato, nei tempi antichi - o anche oggi nei monasteri dove la Veglia di Tutta la Notte dura tutta la notte - il sole sorge nella seconda metà della Veglia. A questo punto, il Signore, datore di luce, è lodato con uno speciale, antico inno cristiano, la "Grande dossologia", che inizia con le parole "Gloria negli eccelsi a Dio e sulla terra pace". Ma prima, il sacerdote, visibile attraverso le porte aperte del santuario mentre si trova davanti alla mensa dell'altare, esclama: "Gloria a Te, che ci hai mostrato la luce."
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Nella Veglia di Tutta la Notte, il Mattutino si conclude con l'Ectenia intensa e con l'Ectenia di supplica fervente, le stesse ectenie che sono state letti in precedenza nella Veglia, durante il Vespro. Seguono l'ecfonesi di chiusura del sacerdote e il congedo. Il sacerdote si rivolge alla Madre di Dio, con la preghiera: "Santissima Madre di Dio, salvaci!" Il coro risponde con una glorificazione della Madre di Dio: "più insigne dei Cherubini e senza confronto più gloriosa dei Serafini..." Quindi il sacerdote glorifica di nuovo il Signore Gesù Cristo con la dossologia "gloria a te, Cristo Dio, speranza nostra, gloria a te". Il coro risponde con "Gloria... ora e sempre...", dimostrando in tal modo che la gloria di Cristo è anche la gloria della santissima Trinità: Padre, Figlio e santo Spirito. Così, la Veglia si conclude come era iniziata, con una glorificazione della santa Trinità.
Dopo la benedizione finale del sacerdote, si legge l'Ora Prima, la parte conclusiva della Veglia di Tutta la Notte.
Come abbiamo già notato, l'idea principale espressa nel Mattutino è la realizzazione gioiosa da parte dei fedeli che chiunque si unisce a Cristo sarà salvato e risuscitato insieme con lui. Secondo la Chiesa, si può raggiungere l'unione con Cristo solo con un atteggiamento di umiltà e di riconoscimento della propria indegnità. Per questo motivo, la Veglia non si esaurisce con il servizio festivo e gioioso del Mattutino, ma con l'Ora Prima, un servizio che esprime un'umile, pentita tensione verso Dio.
Il ciclo giornaliero dei servizi della Chiesa Ortodossa comprende altre tre ore in aggiunta all'Ora Prima. Le Ore Terza e Sesta sono lette prima dell'inizio della Divina Liturgia, e l'Ora Nona si legge prima dell'inizio del Vespro. Tecnicamente, l'oggetto delle Ore comprende una selezione di testi pertinenti al particolare momento del giorno. Tuttavia, ogni ora ha anche un significato distinto mistico e spirituale, poiché ognuna commemora una fase della Passione di Cristo. I servizi procedono con aria di seria concentrazione, e portano l’impronta della Grande Quaresima e della Passione. Una caratteristica delle Ore, che mostra la loro parentela con i servizi della Grande Quaresima, è che la lettura ha la precedenza sul canto.
Il soggetto dell'Ora Terza è la consegna del Salvatore per essere insultato e frustato. Un secondo tema del Nuovo Testamento è unito all'Ora Terza: la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli. Inoltre, nell'Ora Terza troviamo preghiere per l'assistenza e la protezione nella nostra battaglia interna ed esterna contro il male, e troviamo preghiere di pentimento, espresse nel Salmo 50 - che inizia con "Abbi misericordia di me, o Dio ..."
L'Ora Sesta coincide con l'ora in cui Cristo fu crocifisso e inchiodato sulla Croce. Nell'Ora Sesta, sentiamo il lettore esprimere l'amarezza causata dal male militante e dilagante nel mondo, ma al tempo stesso si sente l'espressione della speranza nell'aiuto di Dio. Questa speranza è espressa in modo particolarmente forte nel terzo dei salmi letto durante l'Ora Sesta, il Salmo 90, "Chi abita nell'aiuto dell'Altissimo dimorerà al riparo del Dio del cielo..."
L’Ora Nona è l'ora in cui Cristo sulla Croce ha concesso il paradiso al ladrone, e in cui ha reso la sua anima a Dio Padre, prima della sua risurrezione. Nei salmi dell'Ora Nona abbiamo già sentito grazie espresse a Cristo per la sua salvezza del mondo.
Questa, in breve, è la sostanza delle Ore terza, sesta e nona. Comunque, torniamo all'Ora Prima, con la quale si conclude la Veglia di Tutta la Notte.
Nel complesso, oltre a commemorare gli eventi che compongono la prima fase della Passione di Gesù Cristo, l'Ora Prima esprime sentimenti di ringraziamento a Dio per la luce del giorno che si avvicina e per la Sua noi l'impostazione su un percorso durante il giorno a venire, a lui gradito. Tutto questo è espresso nei tre salmi letti durante l'Ora Prima, così come nelle sue altre preghiere, e soprattutto nella preghiera "Tu che in ogni tempo e in ogni ora ...", una preghiera che è letta durante ciascuna delle Ore . In questa preghiera, i fedeli chiedono l'unità della fede e la vera conoscenza di Dio. Secondo la Chiesa, è questa conoscenza che è la fonte dei futuri benefici spirituali del cristiano, vale a dire la salvezza e la vita eterna. Il Signore parla di questo nel santo Vangelo secondo Giovanni: "E questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo." La Chiesa Ortodossa insegna che è possibile conoscere Dio solo attraverso l'amore e l'unità della mente. È per questo che durante la liturgia, prima della confessione di fede nel Simbolo della nostra fede, noi proclamiamo, "Amiamoci gli uni gli altri, affinché confessiamo con una sola mente Padre, Figlio e santo Spirito, Trinità consustanziale e indivisa."
Dopo la preghiera "Tu che in ogni tempo ..." il prete esce dal santuario. È vestito umilmente, con indosso un epitrachilio ma senza paramenti esterni brillanti. Il tempio è in penombra. In tale contesto, il sacerdote conclude l'Ora Prima, e con essa la Veglia di Tutta la Notte, con una preghiera nella quale glorifica Cristo come la Luce vera, che illumina e santifica ogni uomo che viene nel mondo. Volgendosi verso l'icona della Madre di Dio, la ricorda alla fine della preghiera. Il coro risponde con l'inno festoso, tratto dall'Acatisto dell'Annunciazione della Madre di Dio, "A te condottiera pronta alla difesa..."
18 (Conclusione)
La Veglia di Tutta la Notte esprime con assoluta chiarezza lo spirito dell’Ortodossia, descritto negli insegnamenti dei santi Padri della Chiesa come “lo spirito della risurrezione, trasfigurazione e deificazione dell’umanità.” Come il cristianesimo ortodosso in generale, la Veglia di Tutta la Notte contiene l’espressione di due Pasque, la “Pasqua di crocifissione” e la “Pasqua di risurrezione.” La Veglia di Tutta la Notte, specialmente nella forma che prende alla vigilia della domenica, il giorno della risurrezione, prende la sua struttura e I suo materiale dagli office della settimana della passione e della settimana di Pasqua. Vladimir Ilin scrive di questo tema nel suo libro sulla Veglia di Tutta la Notte, pubblicato a Parigi negli anni venti del XX secolo:
La Veglia di Tutta la Notte e la sua anima, il Tipico di Gerusalemme, “l’occhio della Chiesa,” è cresciuto e si è completato alla tomba del Signore. In generale, le funzioni notturne alla tomba del Signore sono state la culla dalla quale è cresciuto un meraviglioso giardino, il ciclo giornaliero delle officiature ortodosse. Il suo fiore più bello è la Veglia di Tutta la Notte. Se la fonte della Liturgia ortodossa è la Cena mistica di Cristo, tenuta nella casa di Giuseppe di Arimatea, la fonte della Veglia di Tutta la Notte è alla tomba vivifica del Signore, che ha aperto per il mondo un ingresso nelle dimore celesti e ha effuso sugli uomini la beatitudine della vita eterna.
E così la nostra serie dedicata alla Veglia di Tutta la Notte giunge al termine. Speriamo che i lettori abbiano trovato utile il nostro modesto sforzo, inteso ad aiutare i fedeli a comprendere la bellezza e la profondità di questo meraviglioso officio divino.
Viviamo in un mondo di vanità, in cui è estremamente difficile trovare il tempo, anche solo pochi minuti, per entrare nella stanza interna della nostra anima e godere di un istante di silenzio e di preghiera, raccogliere i propri pensieri, considerare il nostro destino spirituale, dare retta alla voce della nostra coscienza e purificare i nostri cuori attraverso il mistero della confessione. La Chiesa ci dà questa opportunità nelle ore in cui si serve la Veglia di Tutta la Notte.
Quanto sarebbe bello addestrare noi stessi e i membri della nostra casa a giungere ad amare questo officio. Si potrebbe, all’inizio, partecipare alla Veglia di tutta la notte solo una volta ogni due settimane, o una volta al mese. Tutto ciò che dobbiamo fare è iniziare, e il Signore ci ricompenserà con un prezioso onore spirituale: il Signore visiterà il nostro cuore, vi prenderà dimora, e ci aprirà il mondo ampio, vasto ed estremamente ricco della preghiera della Chiesa. Non ci priviamo di questa opportunità.
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