I santi ortodossi “recenti” dei paesi occidentali costituiscono un fenomeno di enorme interesse per i fedeli che vivono in questi paesi: infatti non solo collegano le proprie culture con l’Ortodossia di tutti i tempi, ma sono la prova che la santità è un cammino aperto a tutti, anche a chi testimonia la propria fede in situazioni di relativa debolezza e irrilevanza.
Riconoscere figure di santi ortodossi può essere difficile in luoghi dove il cristianesimo ortodosso è minoritario, o è appena arrivato. In tal caso, il principio degli agiografi ortodossi deve essere la rigorosa massima che San Dimitri di Rostov aveva posto sulla prima pagina del suo testo delle Vite dei santi: POSSA IO NON RACCONTARE ALCUNA BUGIA RIGUARDO A UN SANTO.
Negli ultimi anni, si è acceso un certo dibattito intorno a una figura canonizzata di recente: il martire Pietro l’Aleuta, canonizzato nel 1980 dalla Chiesa Russa all’Estero e dalla diocesi d’Alaska della Chiesa Ortodossa in America.
Icona di San Pietro l’Aleuta
Per quelli che ancora non conoscono la storia di San Pietro l’Aleuta, rimandiamo ai dati biografici e storiografici essenziali contenuti nelle pagine italiane di Wikipedia, che offre un resoconto abbastanza dettagliato e in linea di massima corretto.
pagina su Pietro l'Aleuta da Wikipedia
Molti dubbi storici sulla storia del santo sono circolati negli anni successivi alla canonizzazione, e hanno preso forma in un recente studio storiografico di padre Oliver Herbel (prete della Chiesa Ortodossa in America), che si è spinto addirittura a negare l’esistenza del martire.
Il sito Orthodox History ha esaminato la vicenda di San Pietro l’Aleuta con molta attenzione. A beneficio dei lettori italiani, riportiamo un breve sunto dei dati storici a nostra disposizione, e delle argomentazioni contrarie e favorevoli alla veridicità del racconto del martirio.
FONTI PRIMARIE
Le fonti primarie a noi disponibili si riducono a due rapporti fatti un anno dopo la trascrizione della storia del martirio fatta dall’indiano Kykhklai (o per usare il nome russificato, Keglii Ivan), unico testimone oculare della vicenda. Non abbiamo la trascrizione originale del 1819, ma abbiamo i due rapporti del 1820, uno dell’ufficiale Simeon Yanovsky ai suoi superiori a San Pietroburgo, e uno del capo della compagnia russo-americana allo Zar. Il successivo documento presentato come fonte primaria è la lettera del 1865 di Yanovsky all’abate Damaskin del monastero di Valaam.
CONTRO
La lettera del 1865 è una vera agiografia, a differenza del rapporto fatto da Yanovsky nel 1820, che si limita a una breve narrazione del racconto di Keglii Ivan. La lettera dimostra da certi dettagli (per esempio, l’autore non riesce a ricordare il nome alaskano di Pietro) che Yanovsky non aveva più il testo del suo rapporto originale a disposizione.
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PRO
La tendenza a colorire le narrazioni di un alone romantico in tarda età è una costante del comportamento umano, ed è naturale che Yanovsky – a distanza di 45 anni e senza il rapporto originale a sua disposizione – abbia abbellito i propri ricordi. Resta il fatto che nel rapporto del 1820 Keglii Ivan è descritto come persona che merita fiducia.
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FONTI ORALI
CONTRO
A differenza di altre storie dell’Alaska ortodossa (per esempio il martirio di san Yuvenalij), la storia di san Pietro l’Aleuta non ha il sostegno di tradizioni orali (di grande importanza nelle culture dell’Alaska).
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PRO
Nel caso del martirio di san Yuvenalij, testimoniato da un intero villaggio, la memoria comune ha permesso la tradizione orale. Nel caso di Pietro e di Keglii Ivan, un singolo testimone vissuto in prigionia per cinque anni dopo l’episodio del martirio può non essere stato sufficiente a creare nel villaggio nativo di Kodiak le basi per un racconto tramandato.
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DATI RIPORTATI
L’area dei dati relativi al martirio è quella che ha fatto sorgere le maggiori obiezioni negli ultimi anni.
CONTRO
Il racconto di Keglii Ivan presenta alcuni dati incoerenti o addirittura impossibili: parla di missionari gesuiti in California (l’ordine dei gesuiti, soppresso da alcuni decenni, era stato reintegrato solo l’anno prima del martirio di Pietro l’Aleute, e in quegli anni non ci sono resoconti di alcuna presenza di gesuiti in California o nei dintorni); l’uso della tortura sui nativi era contrario alle leggi spagnole del tempo, con riferimenti specifici alle conversioni forzate di nativi; infine, è citata una missione di San Pedro, di cui non si ha alcun resoconto storico.
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PRO
La distinzione tra gesuiti e francescani poteva non sfuggire a un ufficiale russo, ma certamente poteva creare confusione in un prigioniero indiano recentemente convertito. La proibizione della tortura non escludeva certamente che qualche elemento delle colonie spagnole in California ricorresse ad abusi. San Pedro è un effettivo toponimo dei dintorni di Los Angeles, e all’epoca dei fatti contestati era un porto: un luogo del tutto plausibile – a prescindere dall’effettiva presenza di una missione – per la custodia di prigionieri catturati lungo la costa.
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STORIOGRAFIA
CONTRO
Lo storico dell’Alaska ortodossa, padre Michael Oleksa, ignora virtualmente il martirio di san Pietro L’Aleuta nelle sue opere storiografiche.
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PRO
padre Michael Oleksa menziona appena di passaggio san Pietro nel libro Alaskan Missionary Spirituality. Tuttavia ha parlato a lungo di san Pietro l’Aleuta in conferenze pubbliche, teorizzando che la responsabilità della morte del santo sia da attribuire a ufficiali del governo spagnolo, piuttosto che a missionari cattolici romani.
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AMBIENTE STORICO
CONTRO
La storia del martirio non è corroborata da racconti di torture sui nativi, né da specifici resoconti di atti di ostilità tra russi e spagnoli in California.
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PRO
Esiste un singolo caso, riportato da un articolo del padre gesuita Raymond Bucko su san Pietro l’Aleuta (che peraltro mette in seria questione il martirio) di un assalto spagnolo del 1815 a una nave della compagnia russo-americana, da cui alcuni nativi dell’Alaska furono presi prigionieri dagli spagnoli. Non ci sono ulteriori dati, ma l’anno e le circostanze generali corrispondono a quelle del racconto di Keglii Ivan.
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FONTI CATTOLICHE
CONTRO
Una lettera del 1816 tra due missionari cattolici indica che l’approccio cattolico romano ai nativi alaskani era di relativa tolleranza e indifferenza, piuttosto che di persecuzione, e fa apparire insostenibile l’idea di missionari dediti a convertire con la tortura un prigioniero ortodosso dall’Alaska.
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PRO
La lettera del 1816 è una singola fonte, e si dovrebbero cercare più a fondo negli archivi delle missioni cattoliche e delle autorità secolari spagnole prove che verifichino se questa attitudine fosse davvero prevalente. Se i missionari cattolici possono essere scagionati dalla responsabilità del martirio, si dovrebbero cercare altrettante prove a discapito per le autorità secolari.
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DIVARIO LINGUISTICO
CONTRO
Non ci sono prove che san Pietro l’Aleuta e i suoi presunti persecutori potessero conversare nella stessa lingua.
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PRO
I due rapporti del 1920 non parlano di lunghe conversazioni, ma solo del fatto che a Pietro fu detto di accettare il battesimo cattolico, e che egli rifiutò. Nel secondo dei rapporti si accenna anche al fatto che i missionari spagnoli si erano serviti di esuli dall’isola di Kodiak come intermediari quando ebbero a che fare con Pietro e Keglii Ivan.
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MOTIVAZIONI DEI RESOCONTI
CONTRO
Come tutti i resoconti che si basano sulla testimonianza di una sola persona, dobbiamo mettere tutta la nostra fiducia in chi ha trascritto il resoconto, in particolare il giudizio di Yanovsky su Keglii Ivan, “Non è il tipo di persona che si inventa le cose”. Non si possono escludere anche motivi conflittuali degli ufficiali russi per ottenere aiuto contro gli interessi spagnoli nell’America del nord.
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PRO
Le tensioni riguardo al commercio delle pellicce giustificano difficilmente una storia di martirio tanto dissonante dai dati più comunemente registrati in quel periodo. Ancor minori sembrano le ragioni di mentire che avrebbe avuto il presunto testimone del martirio: proprio per la stranezza del racconto, Yanovsky sembra voler fare uno sforzo speciale per convincere i suoi superiori del fatto che il testimone è degno di fede.
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LA CANONIZZAZIONE
Questo settore è quello che ha fatto sorgere il più profondo senso di autocritica tra gli ortodossi.
CONTRO
Il 1980 coincide con la beatificazione della prima santa nativa dell’America del Nord da parte dei cattolici, Caterina Tekakwitha (1656-1680). La figura di Pietro l’Aleuta, riscoperta recentemente nel corso degli articoli agiografici sul beato monaco Herman dell’Alaska (+1837), apparsi negli anni ‘70 sulla rivista The Orthodox Word, sembra essere stata usata per affiancare di prepotenza un santo “nativo” per non sfigurare rispetto ai cattolici.
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PRO
Una canonizzazione prematura non è una procedura meritevole nella Chiesa ortodossa; in quegli anni le due chiese che proclamarono santo il nuovo martire (Chiesa Russa all’Estero e Chiesa Ortodossa in America) erano ai ferri corti l’una con l’altra, e a diverso titolo non potevano contare sull’apporto della Chiesa madre in Russia. La mancanza di approfondimento nella canonizzazione ha quanto meno una motivazione nelle difficoltà del periodo storico contingente.
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Come si può vedere, il dibattito è complesso e profondo e, anche se si possono muovere tutte le legittime obiezioni a una canonizzazione che poteva non essere tra le più “sicure” per dati di attendibilità storica, bisogna essere molto cauti a scartare l’intera questione come una leggenda, arrivando perfino a sostenere – piuttosto dogmaticamente – che san Pietro l’Aleuta non è mai esistito.
Certamente, la storia del martire di Kodiak ha anche una fortissima ricaduta nel campo delle relazioni tra i cristiani. Vi si parla di un innocente forzato ad accettare un battesimo a lui estraneo con la tortura e la morte. Ci troviamo di fronte a uno di quei casi di “santi contestati” come Giosafat Kuntsevich e Andrej Bobola (da parte cattolica) o Atanasio di Brest e i 23 martiri di Zografou (da parte ortodossa) che certamente suscitano perplessità (quand’anche non conflitti) in ogni cammino di dialogo tra Roma e l’Ortodossia.
Ci auguriamo di poter approfondire ulteriormente questo tema delle canonizzazioni, sia perché esso può offrire un ambiente di autentico confronto tra cristiani, sia perché – come insegna il caso di san Pietro l’Aleuta – prima o poi sarà richiesto a tutti gli ortodossi dei paesi occidentali lo sviluppo di una mentalità sana per riconoscere e venerare i propri santi locali.
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