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  Come non travisare le parole di un famoso padre spirituale

Una parola di cautela su certi "insegnamenti spirituali" che circolano con troppa leggerezza in rete

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Negli ultimi giorni è stato portato alla nostra conoscenza un testo tradotto dal romeno, che circola in rete in ambienti ortodossi di lingua italiana. Il testo, attribuito all'archimandrita Cleopa (Ilie, 1912, 1998) un celebre padre spirituale della Chiesa ortodossa romena, è il seguente:

La fortuna è il nome di un demone

siate vigili, auguratevi prosperità e l'aiuto di Dio, non di un demone! Vedo che in alcuni libri commemorativi avete menzionato il demone della fortuna, scrivendo: "Sulla fortuna della figlia", "Sulla fortuna del figlio", "Sulla fortuna della famiglia". Perché avete messo un diavolo nel mio libro dei nomi?

Sai chi era la Fortuna?

Era il più grande demone che ha falciato milioni di anime. Moloch, o "Fortuna", era il dio della felicità presso i Romani, i Sumeri e i Cartaginesi.

Che cos'era questo dio Moloch, o "Fortuna" come lo chiamiamo oggi? La sua statua, fusa in rame o argento, era trasportata su un carro a due ruote.

Aveva un fornello di rame alle spalle e una padella di rame davanti a sé; la legna veniva inserita a Fortuna da dietro finché la statua non si arroventava. I suoi sacerdoti portavano in mano asce grandi e affilate.

Quale sacrificio accettava Fortuna?

Solo i neonati dalle mani delle loro madri. Vennero nel villaggio in cui vivete. Trascinarono il carro di Fortuna con una padella rovente e chiamarono battendo le mani: "Chi vuole fortuna, porti un sacrificio a Fortuna!".

Archim. Cleopa (Ilie)

La traduzione italiana non è molto aderente all'originale romeno, ma è comunque abbastanza chiara nel trasmettere l'idea che quella che noi chiamiamo fortuna è in realtà il nome di un dio pagano, e di uno dei peggiori, quello noto nella Bibbia come Baal, o Moloch, a cui si sacrificavano davvero i bambini.

In modo abbastanza comune per le notizie che circolano in rete, non è citata la fonte scritta, che è la seguente: Ne vorbeşte părintele Cleopa, Volumul 7, Mănăstirea Sihăstria, Ed. Agaton, 1998. Potete trovare in rete la collezione completa dei detti di padre Cleopa a questo indirizzo: il paragrafo da cui è stato tradotto il testo, intitolato Idolul Noroc ("L'idolo Fortuna"), è alle pagine 352-353.

Come potrà vedere chiunque confronti la traduzione italiana con l'originale, circa metà del testo romeno è stato espunto. Le prime due frasi in italiano invece sono state aggiunte, e a meno di non consultare le centinaia di pagine dei detti di padre Cleopa, non possiamo essere certi che vengano da lui. Vi proponiamo qui di seguito il testo romeno e una traduzione italiana più aderente all'originale, solo per maggiore chiarezza. Ripetiamo ancora che, anche a fronte di qualche imperfezione di traduzione, il testo che circola in italiano rende abbastanza bene il significato delle parole originali.

Am văzut, pe unele pomelnice pe care le aduceţi, că pomeniţi pe dracul Noroc, zicând: "pentru norocul fetei, pentru norocul băiatului, pentru norocul familiei". Ce mi-ai pus pe dracul pe pomelnic?

Voi ştiţi cine a fost Noroc?

Cel mai mare demon, care a secerat milioane de suflete. Era şi Moloh, zeul fericirii, la romani, la sumerieni şi la cartaginezi.

Cum era acest zeu Moloh sau Noroc, cum îi zicem astăzi? I se purta statuia într-o căruţă cu două roţi, făcută din aramă sau din argint.

În spate, zeul Noroc avea un cuptor de aramă şi în faţa lui o tigaie din aramă; şi-i dădeau foc lui Noroc pe la spate, până se înroşea şi tigaia, şi el. Popii lui purtau în mâini nişte securi mari, ascuţite.

Ce jertfă primea Noroc?

Numai copii sugari de la mamele lor. Veneau în satul tău, de unde eşti tu. Trăgeau căruţa lui Noroc cu tigaia roşie, înfierbântată, şi strigau, bătând din palme: Cine vrea să aibă noroc, să aducă jertfă lui Noroc!

Ho visto che in alcune liste delle commemorazioni menzionate il demonio Fortuna, scrivendo: "Per la fortuna della figlia, per la fortuna del figlio, per la fortuna della famiglia". Perché avete messo un demonio nella mia lista delle commemorazioni?

Voi sapete chi era la Fortuna?

Era il più grande demone, che ha falciato milioni di anime. Era detto anche Moloch, il dio della felicità presso i romani, i sumeri e i cartaginesi.

Com'era questo dio Moloch, o Fortuna, come lo chiamiamo oggi? La sua statua di rame o d'argento era trasportata su un carro a due ruote.

Alle spalle il dio Fortuna aveva un forno di rame e una padella di rame davanti a sé; accendevano un fuoco [di legna] a Fortuna alle spalle, finché non si arroventavano anche la padella, e la statua. I suoi sacerdoti portavano in mano delle falci grandi, affilate.

Quale sacrificio riceveva Fortuna?

Solo i neonati lattanti, dalle mani delle loro mamme. Venivano nel tuo villaggio, quello in cui tu vivi. Trascinavano il carro di Fortuna con la padella rovente e gridavano battendo le mani: Chi vuole fortuna, porti un sacrificio a Fortuna!

Tutto chiaro, dunque? Beh, non proprio.

Il primo punto da notare è che il nome romeno per "fortuna", ovvero "noróc" (al plurale "noroáce"), non è di origine latina. I dizionari etimologici sono unanimi nel derivare la parola dalla radice slavonica narokŭ, che non ha nessun collegamento con antiche divinità mediorientali, men che meno con Baal/Moloch. Le affermazioni di padre Cleopa che sembrano dare per scontata l'identità tra Noroc e Moloch sono quanto meno discutibili, così come è erronea la sua attribuzione del culto di Moloch ai romani e ai sumeri (mentre è accertato il suo legame con i cartaginesi, menzionati da padre Cleopa, così come con i cananei, i fenici e in parte gli egiziani, tutti popoli che padre Cleopa non cita).

Un altro punto da ricordare è che il termine "noroc" è diffusissimo nel linguaggio popolare romeno, molto, ma molto di più di quanto si parli di fortuna tra gli italiani. Se un italiano menzionasse la fortuna con la frequenza quotidiana con cui un romeno introduce il termine "noroc" nella parlata abituale (soprattutto negli auguri), probabilmente sarebbe preso per un giocatore d'azzardo professionista, o per qualche zingaro dedito a tecniche di divinazione.

Ora, un autore monastico come padre Cleopa aveva tutto il diritto di ritenere eccessivi e superstiziosi gli appelli alla fortuna tra i suoi conterranei, e molti autori romeni e moldavi contemporanei sono d'accordo con lui, preferendo sostituire il termine "noroc" con il termine "succes", ovvero successo, che indica una prosperità donata da Dio, piuttosto che un semplice gioco della sorte. Ma scagliarsi contro un certo termine attribuendogli addirittura un legame organico con un demonio pagano è davvero una soluzione auspicabile? Ancor di più, cosa dovrebbero dire quei popoli, come quello italiano, in cui il concetto di fortuna non ha mai avuto un legame organico con orrendi culti sacrificali? Per quel che si possa dire del culto della dea Fortuna nella religione degli antichi romani, tale culto non risulta aver mai avuto una connessione con i sacrifici di bambini tanto giustamente esecrati dalla Bibbia e dal buon senso. Perché scagliarci contro un demonio che abbiamo evocato noi stessi dalla non esistenza? Questo è il classico argomento dell'uomo di paglia, o argomento fantoccio, una ben nota fallacia logica.

Una simile attribuzione erronea, che abbiamo citato in un saggio a proposito di Halloween, è la ricorrenza di Samhain, che probabilmente era una semplice festa del raccolto autunnale nel mondo celtico pre-cristiano, che autori cristiani moderni (in gran parte protestanti) hanno voluto trasformare in un'inesistente divinità pagana (con una leggera ma inquietante assonanza con il nome "Satana"), contro la quale mettere in guardia le ignare generazioni odierne. Forse a qualcuno potrebbe anche piacere l'idea di avviare delle crociate contro Samhain/Satana o contro Noroc/Moloch, ma dal punto di vista di una vera vita cristiana, queste iniziative sembrano piuttosto un'inutile (e potenzialmente colpevole) perdita di tempo.

Padre Cleopa si spinge a eccessi che sono storicamente e culturalmente fasulli, come quando parla dell'arrivo dei carri di Moloch "nel tuo villaggio, quello in cui tu vivi". Poiché ai suoi tempi padre Cleopa non parlava ai palestinesi o ai tunisini, ma ai romeni e ai moldavi, è importante ricordare che i villaggi di questi ultimi, da che risulti alla storia e alle scienze da noi conosciute, non hanno mai visto una presenza dei carri di Moloch.

Si può anche capire una tendenza all'iperbole nelle parole di certi autori spirituali. Abbiamo tutti noi questa tendenza, per esempio quando diciamo che la nostra squadra del cuore ha "annientato" gli avversari. Credo che nessuno ne dedurrebbe che l'altra squadra è stata letteralmente ridotta in polvere... eppure queste espressioni iperboliche, quando sono tradotte tali e quali in altre lingue, e quando sono rivestite dell'aura di rispettabilità che circonda un famoso padre spirituale, possono creare dei veri e propri disastri. Per esempio, potrebbero creare negli ortodossi italiani una paranoia ingiustificata verso espressioni popolari come "fortunato al gioco e sfortunato in amore", che magari finirebbero per suonare come vere e proprie invocazioni demoniache alle orecchie di qualche sprovveduto ammiratore dei padri spirituali ortodossi.

Per la verità ci sono autori di lingua romena che si sono sforzati di equilibrare questi eccessi, per esempio il blog di Dan Caragea, che cita molte delle espressioni tipiche della parola "noroc". Possiamo capire che molti autori accademici non vogliano entrare in queste discussioni, per non essere oggetto di accuse di empietà da parte di fedeli ortodossi che prendono padre Cleopa come guida per le loro vite spirituali. Abbiamo tuttavia anche noi un dovere di impegno verso la nostra stessa crescita spirituale, e un dovere altrettanto importante (legato al comandamento di non offrire falsa testimonianza) di non riempire la vita dei cristiani ortodossi italiani di vere e proprie bufale e di paure fasulle. Per quanto riguarda il nostro rapporto con la fortuna (in qualunque veste desideriamo vederla), è già sufficiente una generica affermazione che ci auguriamo ogni bene da Dio e non da una sorte oscura e impersonale.

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