Caro padre Ambrogio,
come cattolico innamorato della spiritualità dell’Oriente cristiano, sono confuso dalle divisioni sorte tra le Chiese ortodosse.
In particolare, non comprendo come il principio dell’obbedienza ai propri superiori possa diventare fonte di grandi contrasti: mi riferisco ovviamente alla contestazione all’indicazione del Fanar di riconoscere una nuova Chiesa autocefala in Ucraina.
Quello che però più fatico a comprendere, è il perché sul Monte Athos, territorio canonico dipendente direttamente da Costantinopoli, molti monasteri non seguono le indicazioni del patriarca Bartolomeo di ricordare nei dittici anche il metropolita di questa nuova Chiesa ucraina.
Se questa disobbedienza avvenisse nel cattolicesimo romano, sarebbe un gravissimo peccato, ed il sacerdote responsabile sarebbe automaticamente fuori dalla Chiesa stessa.
G., 1 febbraio 2021
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Caro G.,
spiegare come quella che lei chiama “indicazione” del Fanar sull’Ucraina sia in realtà una porcata illegale, immorale e indegna di un patriarca ortodosso andrebbe ben al di là dello scopo di questa risposta: le basti vedere come il nostro sito abbia presentato, nel primo anno della crisi, circa quattrocento articoli sulla crisi ecclesiastica ucraina.
Nello spazio limitato di questa risposta, sarebbe meglio cercare di spiegare come mai la “disobbedienza” ortodossa possa disorientare i cattolici, che non avrebbero un effettivo spazio di manovra per opporsi a una porcata illegale, immorale e indegna che fosse imposta loro da un papa di Roma: cioè, tecnicamente potrebbero opporsi, ma sarebbe sufficiente per detto papa dichiarare “vincolante” la porcata sotto qualche aspetto di fede o di morale, e non ci sarebbe più alcuna via di uscita salvo dichiarare il papa “decaduto” per qualche misteriosa ragione, minando alle fondamenta tutto l’edificio del cattolicesimo romano.
Capisco bene che i cattolici si sentano confusi dagli episodi di “disobbedienza” ortodossa, ma un poco di studio della storia dell’Ortodossia dimostra che tali episodi sono assolutamente normali quando un vescovo (e in particolare un patriarca o un capo di un Sinodo locale) eccede i limiti del proprio mandato. Ovviamente, non è facile che tale vescovo o patriarca sia immediatamente esautorato, perché ciascuno ha diritto a una difesa delle proprie azioni, ma basta scorrere la storia ortodossa (anche in casi di cronaca recente) per vedere che accuse circostanziate nei confronti di vescovi e patriarchi hanno portato a misure piuttosto drastiche, che arrivano fino alla sospensione della concelebrazione nei sacramenti tra intere Chiese locali, o alla sospensione della menzione del proprio vescovo o patriarca da parte di un chierico. Chi agisce in questo modo, purché ben motivato, non è “automaticamente fuori dalla Chiesa”, bensì si affida a una prassi canonica che prevede la risoluzione del conflitto attraverso precise regole conciliari.
Potrà sembrarle una procedura complicata, e guarda caso lo è davvero (posso capire tutti i mali di testa che le vengono a cercare di capirci qualcosa!), ma è la procedura stessa che ha garantito la conservazione di quella “spiritualità dell’Oriente cristiano” di cui lei si dichiara innamorato. Senza la capacità di risoluzione conciliare (Sobornost’), tale “spiritualità” si sarebbe presto esaurita nell’uniformità a una mentalità e a una prassi papiste, non dissimili da quelle che il Fanar sta cercando di imporre in questi anni.
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