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Riflessioni sulle pandemie, le quarantene, le paure e la divina Provvidenza

Parte I - CRISTO DISSE: CI SARANNO PESTILENZE...

malati di influenza spagnola negli Stati Uniti

E vi saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze (Lc 21:11). Nel Vangelo le "pestilenze" (λοιμοὶ in greco) sono malattie contagiose, cioè epidemie. Cristo ha detto che ci saranno pestilenze, e ci sono davvero. Devono esserci. Il Salvatore ha cercato di farci capire che le epidemie di massa non sarebbero scomparse dopo la sua prima venuta. Né i "terremoti" (cioè i disastri naturali) né le "carestie" (le calamità sociali). Tale è la legge della vita fuori dal paradiso. Da quando l'uomo ha infettato il mondo con il peccato, il mondo ha infettato l'umanità con virus, microbi e batteri maligni.

Le epidemie, incluse quelle su larga scala chiamate pandemie, sono come il Covid-19. Tutti sono ugualmente deboli di fronte a una furiosa calamità. Re e miseri, ricchi e poveri ugualmente fuggono dagli incendi, hanno paura delle catastrofi naturali e tremano per la contagiosità delle malattie mortali.

L'unico figlio di William Shakespeare, Hamnet, morì di peste bubbonica all'età di undici anni. Konstantin Pavlovich, un fratello minore dell'imperatore Alessandro I, morì di colera. Celebrità e nobili, imperatori e vescovi sarebbero morti durante le epidemie. Queste mascelle dai denti affilati sono rimaste spalancate, divoranti e insaziabili nel corso dei secoli.

Esistono dieci malattie che si sono sviluppate in pandemie:

  1. Lebbra
  2. Peste
  3. Colera
  4. Vaiolo
  5. Tifo
  6. Malaria
  7. Tubercolosi
  8. Influenza (in tutti i suoi tipi)
  9. Infezione da HIV
  10. E l'attuale malattia del coronavirus: Covid-19.

Come le dieci piaghe d'Egitto, turbano le persone, diffondendo ansia e dolore. Le piaghe si susseguono l'una dopo l'altra, ma nessuna di esse è stata completamente superata. Come le onde di un mare in tempesta, le gravi pestilenze coprono, "portano via" coloro che si trovano sulla loro strada e poi si ritirano, solo per tornare dopo un po '. Hanno imperversato in tutti i secoli della nostra miserabile storia, sebbene la forza delle onde vari.

Qual è la fonte delle pandemie?

Le paure e l'incertezza danno origine a numerose teorie nella mente delle persone: da una cospirazione governativa globale ad armi biologiche presumibilmente sfuggite al controllo. Ma nella loro origine, tutte le pandemie hanno la stessa fonte amara.

Le malattie sono un omaggio a un mondo imperfetto e distrutto. La brutta verità è che l'uomo ha spezzato questo mondo.

All'uomo fu ordinato da Dio di coltivare e mantenere il paradiso (cfr. Gen 2:15). Attraverso l'uomo, la creazione era spiritualizzata, il creato era unito con l'increato, la terra si mescolava al cielo e l'intero universo era illuminato dalla luce del Datore della vita. Ma, paradossalmente, colui che fu chiamato a essere re si comportò come uno schiavo, un pagliaccio e un traditore. Invece di coltivare il Giardino dell'Eden, ha coltivato l'orgoglio in se stesso. Invece di preservare l'unione con Dio e l'armonia della creazione, attraverso di essa è entrato in contatto in modo ingannevole con lo spirito caduto. Ha lasciato che il veleno del serpente entrasse nel mondo puro e l'intera creazione è stata infettata dal peccato.

Povero, povero uomo. Hai perso e spezzato il dono della vita paradisiaca proprio come qualcuno lascia cadere distrattamente e rompe un prezioso contenitore che gli è stato dato in custodia. Allo stesso modo, il mondo paradisiaco che fu affidato alla "corona della creazione" è stato spezzato; l'uomo da poco creato voltò subito le spalle al Creatore. La vita e l'armonia regnarono nel mondo fintanto che l'uomo – la corona della creazione – partecipò alla vita. L'allontanamento dalla vita ha causato malattie e morte.

Il peccato ha causato la rottura, lo squilibrio e la distorsione nel mondo che viveva nell'armonia paradisiaca. Depredare gli altri, lottare freneticamente per la sopravvivenza, divorarsi a vicenda e passare il tempo in faide: ecco com'è stato il mondo dalla perdita del paradiso. Dopo aver respinto Dio, l'uomo è rimasto schiavo di risibili, miserabili, infinitesimali particelle del mondo caduto; colui che era stato chiamato alla divinizzazione è stato schiavizzato dai microbi. Per paura della morte devi studiare microscopici parassiti, ceppi virali e bacilli del colon e persino far analizzare le tue urine e feci perché ti sei rifiutato di contemplare Dio e la purezza celeste e di diventare come gli angeli.

Tale è la legge della vita al di fuori del paradiso.

Per il nostro virus dei peccati capitali ci è capitato il virus delle malattie mortali.

Per l'infezione delle passioni che divorano le nostre anime abbiamo infezioni che divorano la carne.

Per il contagio dell'autocompiacimento abbiamo il contagio delle malattie che ci privano del riposo e del conforto.

Le pandemie sono analoghe alle guerre mondiali, con l'unica differenza che qui è la natura che si ribella contro l'uomo. Hai giocato al predatore e il mondo caduto ti sta ripagando. La natura ha perso il controllo proprio quando hai smesso di obbedire al Creatore. In un certo senso, il mondo si vendica contro l'uomo attraverso le pandemie per i suoi danni alla creazione attraverso i peccati e per la sua perfida relazione con il diavolo distruttore.

L'enorme catastrofe della caduta si riflette come in uno specchio in ogni pandemia. L'impotenza delle persone di fronte a ogni pestilenza letale è l'immagine dell'abisso spalancato del peccato: l'alienazione dell'uomo da Dio; e, quindi, la sofferenza e la morte.

O uomo! Il tuo cuore ha sete di vita e felicità, ma sei ferito dalle spine delle miserie e della sofferenza. Il tuo spirito vola in cielo, ma la spina della malattia, spinta nella tua carne, ti mette al posto che meriti.

Così è soppresso l'orgoglio umano, perché è così che è rovesciato ogni idolo. La vita di chi è chiamato a essere immortale è diventata miserabile, come questo microbo. Le pandemie hanno dimostrato quanto sia debole l'uomo. Ma hanno anche rivelato che non ha senso vivere solo per la terra.

Non pensate che fuori dal paradiso vivrete una vita felice senza malattia e morte. La vita fuori dal paradiso non è la vita ma è lotta per la sopravvivenza. Dopo aver superato una malattia, siamo sicuri di trovarne una nuova e sconosciuta. Dopotutto, non potete evitare il verdetto di Dio: polvere tu sei e in polvere ritornerai (Gen 3:19). Non puoi prosperare su una terra che spine e cardi produrrà per te

 (Gen 3:18) a causa dei tuoi peccati.

Le malattie come parte della divina Provvidenza

Che cosa sono le malattie davanti alla mano di Dio? Le malattie sono mera polvere dispersa con un'ondata dalla veste di Cristo. Cristo vide la suocera di Pietro che giaceva con la febbre, la prese per mano... e la febbre immediatamente la lasciò (Mc 1:31). Comandò al cadavere in decomposizione nella tomba oscura: Lazzaro, vieni fuori (Gv 11:43) – e Lazzaro uscì dalla sua tomba pieno di vigore e ispirato per una nuova vita. Questo è ciò che sono le malattie e la morte davanti alla mano di Dio! Il tocco della vita è vivificante e il tocco dell'Immortale è guarigione.

Ma l'uomo dà valore al pane quando non c'è pane, all'acqua quando è riarso dalla sete e all'aria quando ansima per respirare. Così un uomo peccatore inizia ad apprezzare tutte le cose di Dio attraverso la privazione, cioè attraverso la sofferenza.

Qualsiasi privazione è sofferenza. La perdita di salute è un tormento. Perché la buona salute è inseparabilmente legata alla vita. Nessuno muore perché la sua vita è finita – le persone muoiono a causa della loro salute rovinata – o le sue risorse sono esaurite o distrutte. Ecco perché tutti si sforzano così tanto di prendersi cura della propria salute, da qui l'indomita brama di vita negli esseri umani. E anche se qualcuno trascura la sua salute, rovinandola con il suo comportamento irragionevole, questo è solo perché credeva ingenuamente che le risorse della sua salute fossero inesauribili.

Il Signore deve solo agitare la mano perché tutte le pestilenze svaniscano e tutte le malattie umane si fermino. Ma noi rimaniamo con metodi naturali di lotta contro le malattie in modo da poter dare un valore a tutte le cose di Dio.

Noi siamo come i discepoli di Cristo nella barca, con una forte tempesta che li colpisce intorno, mentre il Salvatore li ha presumibilmente lasciati, dormendo e non ascoltandoli. Non sarebbe meglio che il Salvatore vegliasse, proteggendo il sonno da qualsiasi alito di vento, e che i discepoli dormissero in pace? No, la disattenzione uccide le persone. Ciò che ci rovina non sono i problemi e le sofferenze ma il sonno delle nostre stesse anime, la nostra ossessione per il conforto e la prosperità e la mancanza di preoccupazione.

Iesurùn si è ​​ingrassato e ha recalcitrato – sì, ti sei ingrassato, impinguato, rimpinzato – e ha abbandonato il Dio che lo aveva fatto, ha disprezzato la Roccia, sua salvezza (Dt 32:15). Adamo, che era puro dal peccato e aveva una vita tranquilla, morì spiritualmente. Come saremo salvati noi, peccaminosi e negligenti?

Immaginate che a qualcuno siano dati solo soldi e nessun lavoro. Che ne sarà della sua anima? Un atteggiamento consumistico e spensierato nei confronti della vita lo danneggerà. Quando hai tutto ma non fai sforzi, sei vicino alla perdizione. La saggezza della divina Provvidenza, che per noi è insondabile, si rivela nel fatto che nonostante l'abbondanza di doni di guarigione, la nostra sorte è quella di superare le difficoltà attraverso una terribile lotta piuttosto che ricevere beni miracolosi da Dio con una completa mancanza di preoccupazione.

Il cristianesimo non è conforto

Esprimerò anche un'idea, sapendo benissimo che non sarà accettata da tutti. Il cristianesimo non è conforto. Il cristianesimo non può essere comodo. Il cristianesimo è confessione e martirio, poiché si tratta di seguire Cristo; e il cammino di Cristo è quello della Croce.

Quando il cristianesimo diventa confortevole, il Signore manda prove che schiacciano il conforto. Il Salvatore ci parla: dormite adesso, e riposatevi (Mc 14:41). E noi non sappiamo cosa rispondere. Siamo abituati alla libertà, ad avere tutto e ad avere il permesso di fare qualsiasi cosa, quando le chiese sono aperte, i nostri diritti sono protetti, tutto in giro è calmo e possiamo persino dormire per un po'. Ma il Signore permette a una tempesta di risvegliarci.

Ogni tempesta ci porta fuori dalle solite e confortevoli condizioni di vita. La chiesa di Dio – la "camera del Paradiso" – ci è chiusa in modo che possiamo guardare alla Chiesa, ai sacramenti e al nostro felice incontro con Cristo nell'eucaristia da una prospettiva diversa. Amiamo le cose che ci sono restituite con grande difficoltà come la pupilla dei nostri occhi. Questo vale per le chiese, per la buona salute e per tutto ciò che avviene sulla terra.

Lottiamo contro le malattie come contro i giganti. Con il sudore della nostra fronte coltiviamo il nostro pane e acquisiamo una buona salute sudando sangue. I giganti sono più forti di noi. L'umile Davide sconfisse l'orgoglioso gigante Golia. Nel corso dei secoli la nostra vittoria sulle pandemie globali è stata raggiunta attraverso sforzi incredibili e numerose perdite in modo da poter imparare a valorizzare la nostra vita donata da Dio.

Avendo sopportato pandemie spietate che si ripetono ogni secolo, l'umanità ha l'opportunità di ottenere una vittoria su di loro. Il Signore rivelerà certamente anche il rimedio per questo nuovo virus. E ogni volta i metodi per sconfiggere le pandemie sono l'immagine della benedizione di Dio che apre la porta della salvezza a ogni diligente, umile lavoratore.

Ecco come si coltiva l'umiltà. Così iniziamo a valorizzare il dono della vita di Dio, addolorandoci per il dono dell'immortalità che abbiamo perso a causa del peccato. Quindi arriviamo a capire che la vera vita non fatta di battaglie, trincee o tende mediche – questa è vita mondana. Ma ci sono delle dimore che le nostre anime bramano, verso le quali il nostro Salvatore ha spianato la strada trionfando sulla morte attraverso la sua risurrezione.

Ma diamo un'occhiata a come la Russia ha risposto alle pandemie e a cosa ha fatto per combatterle. Quali lezioni possiamo trarne?

PARTE II - PANDEMIE DEL PASSATO

Le pandemie emergono regolarmente nel mondo, a intervalli da dieci a cinquant'anni. Non hanno avuto fine per tutta la nostra storia. Leggendo delle innumerevoli pandemie nelle cronache, non possiamo fare a meno di meravigliarci di come la nostra nazione sofferente sia sopravvissuta a tutte loro, di come non si sia estinta, di come i russi abbiano continuato ad avere figli, a sviluppare artigianato, a costruire chiese, a vincere battaglie; e di come la Russia si sia espansa così rapidamente.

Epidemie dei secoli passati

La prima pestilenza menzionata nelle cronache della Rus' ebbe luogo nel 1092. Dopo aver attraversato Polotsk [in quella che oggi è la Bielorussia, ndt], si diffuse a Kiev. Interpretata dalle persone e riflessa nelle cronache a modo loro, l'epidemia provocò grandi tumulti. Questo è ciò che dice il Codice di Lavrentij:

"Una meraviglia molto curiosa si è manifestata a Polotsk: pesanti rumori di passi si sono uditi di notte, qualcosa gemeva nelle strade, demoni che sembravano gente che si stava affrettando. Chiunque uscisse per vedere cosa stesse succedendo, sarebbe stato impercettibilmente colpito dalla piaga dei demoni e ne sarebbe morto, quindi nessuno si avventurava fuori dalle proprie abitazioni".

Come vediamo, molti rimasero a casa, sperando di proteggersi dalla peste. La cronaca riflette un'interpretazione spirituale dell'epidemia:

"Ciò è accaduto a causa dei nostri peccati, poiché le nostre iniquità e torti sono aumentati. È stato inviato da Dio che ci sta dicendo così di pentirci e di astenerci dal peccato, dall'invidia e da altri atti diabolici e malvagi".

Le epidemie dei tempi antichi furono gravi e spietate. Secondo la prima Cronaca di Novgorod, nel 1128 una pestilenza colpì le terre di Novgorod. "La gente mangiava le foglie dei tigli e la corteccia degli alberi di betulla..." I cadaveri giacevano ovunque, quindi la gente non poteva uscire a causa del fetore. Leggiamo per la prima volta nelle cronache che agenti speciali furono assunti per seppellire fuori dalle città e dai paesi i corpi delle vittime dell'epidemia.

Ma il XIV secolo vide una vera catastrofe: la Morte Nera, che si ritiene essere peste bubbonica.

Quant'è meravigliosa la divina Provvidenza! Scoppiando nel 1320 circa dal confine cinese-mongolo, la Morte Nera si diffuse in tutto il mondo come un incendio in una foresta secca, risparmiando la Russia per un tempo relativamente lungo. L'Asia centrale e l'Orda d'oro, il Medio Oriente e Costantinopoli, l'Egitto e il Mediterraneo orientale, l'intera Europa e l'Inghilterra, la Scandinavia e l'Irlanda furono come un topolino nelle zampe di un gatto astuto. La pandemia viaggiò in tutto il mondo per trent'anni, limitandosi a circoscrivere la Russia ma senza influenzarla. Tutti i paesi dell'est, del sud, dell'ovest e del nord avevano ceduto, mentre la sola Rus' resisteva al centro. E fu solo nel 1352 che la Morte Nera diede un colpo alla Rus'.

L'epidemia scoppiò a Pskov. Gli abitanti di Pskov terrorizzati fecero un appello al santo arcivescovo Vasilij di Novgorod chiedendo aiuto. In precedenza lo avevano ripetutamente infastidito con la loro disobbedienza, ma ora il vescovo mostrò immediatamente loro solidarietà nei loro guai. Arrivato a Pskov, prestò servizio in tre chiese, fece il giro della città in processione e fece tutto il possibile per consolare i residenti locali. L'arcivescovo fu infettato e purtroppo morì al suo ritorno. Nel frattempo, la spietata pestilenza infuriava a Novgorod.

Distruggendo intere città e villaggi, l'epidemia non risparmiò né bambini in lacrime né genitori disperati. Smolensk, Chernigov, Suzdal, Kiev... Secondo la Cronaca di Nikon, a Glukhov e Beloozersk, "nessuno sopravvisse, morirono tutti".

Non ci sono informazioni precise su come l'epidemia abbia colpito Mosca. Ma è noto che il principe Simeone "il Fiero" di Mosca (1316-1353 circa) morì in quel periodo. Prima di allora aveva pianto i suoi due giovani figli che erano stati uccisi da "una malattia sconosciuta". Anche suo fratello minore, Andrej di Serpukhov, morì. Fu anche in quel periodo che morì il santo metropolita Teognosto di Kiev e di Tutta la Rus'.

La peste si sarebbe ritirata e si sarebbe ripetuta di nuovo. Ma ci furono altre pestilenze durante gli intervalli. A volte le cronache descrivevano scene terribili: i campi erano pieni di raccolti, ma non c'era nessuno a raccoglierli: le persone stesse erano diventate un abbondante "raccolto" della morte.

Il XV secolo vide un'epidemia di vaiolo. E il tifo petecchiale imperversò nel XVI secolo.

La peste si riaccese di nuovo come una piccola fiamma in una casa di Mosca nell'agosto 1654 e si sviluppò in un potente fuoco. Né i medici né le autorità statali furono in grado di salvare la capitale dalla pestilenza. Lo tsar e il suo esercito erano a Smolensk: era in corso una guerra russo-polacca. Il patriarca Nikon ebbe appena il tempo di far evacuare l'imperatrice e i figli della famiglia imperiale.

Il principe Pronskij, che serviva allora come luogotenente (namestnik) dello tsar a Mosca, scrisse allo tsar Aleksej nella sua petizione:

"A Mosca e nelle sue periferie è rimasto solo un piccolo numero di persone, e nessuno dei sei reggimenti militari è operativo: molti uomini sono malati, altri sono fuggiti, quindi non c'è nessuno a occupare i posti di guardia. Seppelliscono i morti senza sacerdoti; e all'interno della città e nei sobborghi molti cadaveri si trovano nelle strade e sono trascinati dai cani ... "

Non c'era nessuno a guardia della porta della città o persino dei detenuti nelle carceri. Il principe Pronskij morì e presto morì anche il suo vice. Secondo le cronache e i resoconti dei testimoni oculari, archimandriti e abati, monaci e monache, sacerdoti, diaconi e membri del clero minore morirono in gran numero. Il commercio fu sospeso, tutti i servizi pubblici cessarono. Ebbe inizio il saccheggio. Secondo Paolo d'Aleppo: "Mosca, che brulicava di gente, divenne deserta... Cani e maiali mangiarono cadaveri umani e diventarono rabbiosi, quindi nessuno si azzardava a camminare da solo".

Lo tsar mandò 600 soldati streltsy (fucilieri) a guardia dei cancelli, ma morirono tutti; ne mandò ancora il doppio, ma di nuovo morirono tutti.

E qui emerse la questione molto importante dei modi per combattere le pandemie. Che ci piaccia o no, dopo secoli di deplorevole esperienza l'umanità ha scelto l'unico metodo più o meno stabile: la quarantena.

Gli isolamenti

Nel Medioevo la regola principale per combattere la peste era il motto: "Corri il più lontano e più veloce che puoi". Le persone erano incoraggiate a fuggire dall'area infetta il più possibile, il più rapidamente possibile, e rimanere il più lontano possibile dall'epicentro. Ma se qualcuno non osservava questa regola abbastanza rapidamente, questo metodo era favorevole alla diffusione delle epidemie. Ecco perché furono adottati regolamenti più severi.

Non fu in Russia che fu imposta per la prima volta la quarantena. Questa pratica apparve a Venezia nel 1348. Fu così che inizialmente furono chiamate le stazioni speciali in cui gli ospiti dei distretti colpiti da epidemia erano trattenuti e rimanevano bloccati per quaranta giorni, da qui l'origine del termine: l'italiano "quarantena" significa "quaranta giorni".

Le pestilenze su larga scala presupponevano serie restrizioni. Durante la pestilenza di Francoforte nel 1666 fu emanato il seguente decreto:

"I cittadini che vivono in case infette sono tenuti ad astenersi dal visitare mercati pubblici e chiese... Ai pastori che visitano case infette è proibito contattare persone sane".

Questo è ciò che accadeva in Europa. Ma che dire della Russia?

Poiché le epidemie fanno parte della divina provvidenza, le persone si rivolgono soprattutto a Dio. Furono organizzate processioni con icone sacre intorno alle aree colpite, furono offerte petizioni e preghiere penitenziali. Merita di essere menzionata anche la tradizione unica delle chiese votive "obydennye" (costruite in un giorno). Questa tradizione si ebbe dal XIV al XVIII secolo. Gli abitanti delle città o dei villaggi iniziavano a costruirle tutti insieme prima dell'alba e terminavano prima del tramonto, dopo di che avrebbero pregato al loro interno per la cessazione dell'epidemia.

Così le persone si univano nel pentimento e nella preghiera, in una causa comune, cercando un aiuto speciale da Dio.

Ma c'erano anche misure naturali. Nel XIV secolo i russi erano ben consapevoli che molte malattie, come la peste, erano contagiose e incurabili. Ecco perché le città in cui si sviluppavano le epidemie erano completamente bloccate. Posti di guardia e cordoni erano messi ovunque per evitare che dei fuggiaschi uscissero dalle città. Nel 1387 scoppiò una pestilenza a Smolensk. Cinque persone riuscirono a lasciare la città, e questa fu chiusa. Il blocco comportava inconvenienti. I residenti non infetti dovevano rimanere con quelli infetti. E nelle città "bloccate" finiva il cibo.

Alcuni decreti che troviamo nelle cronache erano estremamente severi. La Seconda Cronaca di Novgorod racconta come la peste abbia travolto la città nel 1572:

"Misero posti di blocco nelle strade e soldati per proteggerli. Se qualcuno in una strada moriva di peste, tutte le case della strada dovevano essere chiuse a chiave e gli abitanti nutriti attraverso le finestre. Ai sacerdoti era proibito ascoltare confessioni di persone colpite dalla peste; qualsiasi prete che lo facesse senza avvisare le autorità, se moriva doveva essere bruciato insieme ai malati".

I sacerdoti che ascoltavano le confessioni erano considerati potenziali portatori di infezione dai malati ai sani. Per confessare le persone infette, i sacerdoti dovevano ottenere un permesso speciale dai boiardi. In una parola, ci sono precedenti di gravi restrizioni.

Tuttavia, la peste scoppiata a Mosca nel 1654 fu accompagnata dal caos. Ci furono notizie di come alcuni sacerdoti, dopo aver prestato servizi funebri per le vittime della peste, siano tornati a casa, si siano ammalati e siano morti. Il 27 agosto, dal monastero della santissima Trinità, la tsarina e i figli inviarono una copia delle icone della Madre di Dio di Kazan' e di San Sergio di Radonezh a Mosca "per scongiurare la giusta ira del Signore". Dopo quel momento ogni comunicazione con la capitale fu interrotta.

Alle postazioni di guardia fu dato l'ordine di respingere tutti senza pietà, di catturare e fucilare tutti coloro che tentassero di uscire per vie segrete. Ma la gente cercò di fuggire da Mosca con le buone o con le cattive. La peste fu portata in altre città.

Si crede che Mosca da sola abbia perso metà dei suoi abitanti a causa dell'epidemia (per esempio, sopravvissero solo ventisei monaci dei 208 della confraternita del monastero Chudov). I restanti focolai di malattia causarono un altro scoppio d'epidemia nel 1656. Il patriarca Nikon si rivolse a tutti con un ordine speciale: digiunare, pentirsi dei propri peccati, ricevere la comunione e implorare Dio perché fermasse l'epidemia. Questa volta l'epidemia non colpì Mosca.

Fatiche spirituali e metodi naturali di trattamento: queste sono le due ali del superamento delle pandemie. I sacerdoti pregano, i medici curano, mentre i pazienti obbediscono a entrambi: sarebbe desiderabile osservare questo ideale durante qualsiasi pandemia.

La preghiera e il digiuno sono vicini al cuore del popolo ortodosso. Lo stesso si può dire delle processioni della Croce e della costruzione in un giorno di chiese e cappelle per la cessazione delle epidemie. Tuttavia, le misure precauzionali naturali non sono state sempre comprese correttamente. Posti di blocco, guardie e divieti comportano sempre inconvenienti. E in caso di inconveniente, c'è malcontento indipendentemente dal tipo e dal grado di divieto. Qualsiasi divieto è accompagnato da malcontento. E il malcontento si manifesta in chiacchiere e congetture. Queste ultime possono portare alle conseguenze più inaspettate.

Tumulti dovuti alla... pietà

Nel 1771 scoppiò la rivolta della peste a Mosca (l'ultima epidemia di peste in Europa). La gente diffidava di medici e ospedali, ritenendo che nessun paziente messo in quarantena sarebbe sopravvissuto. A parte questo, si fece avanti un operaio che affermò di aver visto la Madre di Dio in un sogno. Secondo la sua "rivelazione", la città era stata punita perché per trent'anni nessuno aveva tenuto servizi di preghiera di fronte all'icona taumaturgica della Madre di Dio di Bogoljubovo alla porta di santa Barbara, e il Signore aveva inizialmente pianificato di far piovere pietre sulla città.

Una scala fu posta illegalmente contro l'icona. C'erano folle di persone in giro. L'arcivescovo Amvrosij (Zertis-Kamenskij) di Mosca voleva rimuovere la scala, vietare le riunioni di massa dei fedeli e sigillare la scatola delle donazioni di fronte all'icona in modo da evitare la diffusione della malattia. Queste misure furono interpretate come una guerra contro Dio. Una folla prese d'assalto il monastero Donskoj, trascinò fuori l'arcivescovo e lo percosse a morte.

Il tumulto spontaneo si sviluppò in rivolte. I ribelli attaccarono i monasteri che erano usati per la quarantena e picchiarono i dottori. Daniel Samojlovich (1744-1805), illustre medico e uno dei fondatori dell'epidemiologia in Russia, sfuggì alla morte. Si era offerto volontario per venire a Mosca a combattere l'epidemia e lì gestiva ospedali per gli appestati. Picchiato duramente dai ribelli, sopravvisse solo perché assicurò la folla di non essere un medico ma un semplice assistente sanitario.

A proposito, l'arcivescovo assassinato Amvrosij aveva incaricato il clero di esortare i parrocchiani a mantenere il digiuno e dopo due giorni di preparazione a confessare i propri peccati e a ricevere la comunione. Ma propose anche alcune nuove misure: ascoltare le confessioni delle persone senza contatto personale, attraverso una porta o una finestra, restando un po' lontani. Ordinò che le vittime della pestilenza fossero sepolte il giorno della loro morte senza essere portate in chiesa e che il clero svolgesse il servizio funebre per loro senza la loro presenza. Era contrario alle riunioni di massa di fedeli per il culto. E non fu perdonato per quelle innovazioni.

Ovunque fossero state prese le misure precauzionali di base, alla gente sembrava che ci fosse un po' di cospirazione da parte dei superiori, una lotta contro Dio e qualcosa di anti-ecclesiale.

Le pandemie di colera ebbero inizio dal 1817 in poi e raggiunsero la Russia nel 1830. Presto scoppiarono rivolte per il colera. Si diceva che certe persone fossero state deliberatamente avvelenate in quarantena, che i dottori e i benestanti avessero sparso del veleno lungo le strade, avvelenando pane e acqua. Incredibilmente, al fine di salvare dalla devastazione l'ospedale epidemiologico centrale di San Pietroburgo non solo furono portate truppe in città, ma lo stesso l'imperatore Nicola I dovette affrontare la folla in rivolta con un discorso.

Iniezioni e vaccini

Sfortunatamente, anche ora dobbiamo ascoltare da qualcuno le storie più assurde, per esempio che i medici presumibilmente contaminano sacerdoti e monaci quando li testano. Queste persone affermano che il Ministero della sanità pubblica vuole in tal modo "mettere il nostro clero fuori combattimento". È così che interpretano l'infezione di massa dei nostri chierici e monaci.

In un certo senso, questa situazione può essere paragonata a ciò che è accaduto in Africa. Durante i focolai di febbre di Ebola in Congo, i medici hanno fatto iniezioni alla popolazione. Ma alcuni gruppi estremisti credono che "le persone in abito bianco siano arrivate per massacrare i nativi con le loro iniezioni". Hanno avanzato le loro argomentazioni perché alcuni residenti di fatto muoiono dopo le iniezioni. Di conseguenza, gli estremisti hanno attaccato i centri medici. I casi di aggressioni sono innumerevoli.

Nel XIX secolo, sant'Innocenzo (Veniaminov) di Mosca predicò ai popoli che abitavano l'Alaska e le isole circostanti. Gli aleutini abbracciarono volentieri la fede in Cristo, mentre i loro vicini del popolo dei tlingit si rivelarono aggressivi e sospettosi. Era praticamente impossibile predicare loro il Vangelo. Ma scoppiò sull'isola un'epidemia di vaiolo, così i tlingit iniziarono a morire in gran numero, mentre i russi e gli aleutini che erano stati vaccinati rimasero sani e salvi. Quindi i tlingit decisero di accettare l'aiuto dei russi, furono vaccinati e l'epidemia si spense. In seguito non videro più i russi come nemici e si convertirono gradualmente all'Ortodossia. Più tardi sant'Innocenzo insegnò loro a vaccinarsi contro il vaiolo.

Noi viviamo in un momento unico in cui si può scegliere se essere vaccinati o meno. Questo perché le principali pandemie che una volta tormentavano l'umanità si sono ritirate. I genitori sono liberi di scegliere il vaccino per i loro figli. Ma le situazioni sono diverse.

Nel 1959, il famoso artista sovietico Aleksej Kokorekin (1906-1959, autore dei manifesti di propaganda "Per la Madrepatria", "Questo accadrà alla bestia fascista", ecc.), contrasse il vaiolo in India. Per inciso, il vaiolo naturale è una delle infezioni più contagiose; non esiste alcun rimedio e l'umanità è sopravvissuta fino a oggi solo perché ha un tasso di mortalità di circa il 40%. Kokorekin fu ricoverato all'ospedale civico Botkin di Mosca con una diagnosi di "influenza". Presto morì; e tutti gli altri pazienti nel suo reparto, insieme ai dottori, a un fuochista che era passato davanti al reparto nel corridoio e a un ragazzo di un reparto di un altro piano (l'infezione si era diffusa attraverso il sistema di ventilazione) furono contaminati.

Ci vollero tre settimane per identificare la malattia. E fu allora che Mosca fu isolata da tutte le comunicazioni aeree, stradali e ferroviarie. Nel giro di pochi giorni, 10 milioni di moscoviti furono messi in quarantena. Si costatò che quarantacinque residenti erano stati infettati e tre di loro purtroppo morirono. In meno di una settimana furono vaccinati quasi 10 milioni di residenti a Mosca e nella regione di Mosca. I medici furono assistiti da chiunque avesse a che fare con l'assistenza sanitaria, compresi gli studenti di medicina. Assolutamente tutti furono inoculati senza ulteriori indugi, e senza alcuna discussione. Vecchi e giovani, morenti e ospiti: tutti furono vaccinati senza alcun dibattito sui benefici o sui danni dell'immunizzazione. Che fosse giusto o sbagliato, riuscimmo a prevenire un'epidemia su larga scala.

Non siamo abbandonati da Dio

Polemiche, confusione e paure sono naturali nei periodi di instabilità. Comprensione, domande e tentativi di scoprire la fonte dell'attuale epidemia sono comprensibili. Ma la divina Provvidenza regna sul nostro mondo infranto che sguazza nel peccato e nel vizio. Ma Dio permette alle pandemie di distruggere l'umanità?

Noi chiediamo: "Dov'è la via della salvezza dai dolori?" E se i nostri stessi dolori fossero la via della salvezza?

I dolori sono il sentiero su cui Dio ci salva da qualcosa di peggio. E il tempo trascorso in quarantena (anche quando non siamo in grado di andare in chiesa) può essere di grande beneficio per le nostre anime, a condizione che dedichiamo questo tempo a Dio e al nostro prossimo. Forse ci è stata data una brillante opportunità di donarci a quelli che sono più vicini a noi, di imparare a stabilire legami reali con loro, mettendo da parte tutte le preoccupazioni e i timori di essere stati infettati attraverso mailing list e "esposizioni". La felicità non è nei messaggi di testo o nelle "rivelazioni" di Internet; è nei cuori puri, nelle ferventi preghiere al Dio vivente, nella gioia di comunicare con coloro con cui Dio ci ha uniti.

Nel XXI secolo, il Signore ci sta rivelando l'insicurezza e l'illusorietà di questo mondo. È impossibile creare il paradiso sulla terra. Una volta che avremo superato l'una o l'altra malattia, ne apparirà sicuramente una nuova. Questo perché i progressi scientifici e tecnologici non sono onnipotenti. È un dato di fatto, questo progresso non è che un semplice tentativo di promuovere un'illusione dell'immortalità sotto la tirannia della morte. Gli esseri mortali possono creare qui qualcosa d'immortale? La civiltà è una costruzione di comodo, composta dai detriti della vita paradisiaca distrutta. Consentendo le pandemie, il Signore ci consente di vedere la verità che non esiste felicità paradisiaca sulla terra, e tutto ciò che abbiamo qui è lotta.

Ma le prove vanno e vengono, mentre la Chiesa rimarrà. Guidata dallo Spirito Santo, passerà attraverso i secoli fino al nostro stesso incontro con Cristo, che discenderà dal cielo per prendere con sé il suo popolo.

Le pandemie del XIV secolo sono rimaste nella nostra memoria? La Morte Nera ha spazzato via intere città, ma allo stesso tempo un barlume del risveglio spirituale della Rus' stava brillando nell'allora quieto e oscuro monastero di san Sergio di Radonezh. Le immagini dei santi metropoliti Pietro e Alessio di Mosca e il raduno delle terre intorno a Mosca sono davanti a noi, così come l'immagine del santo principe di retta fede Dimitrij Donskoj e la vittoria sul campo di Kulikovo.

Teniamo nella memoria l'epidemia di colera del XIX secolo? Ciò che abbiamo davanti agli occhi della nostra mente è l'immagine di san Serafino di Sarov, che ha acquisito lo spirito di pace e migliaia di anime attorno a lui sono state salvate; dei santi Ignazio (Brjanchaninov), Teofane il Recluso, Filarete di Mosca e una schiera di santi anziani di Optina.

A proposito, a quel tempo anche il grande poeta russo Aleksandr Pushkin era in isolamento nella sua amata Boldino [l'antica dimora della famiglia Pushkin nel sud di quella che oggi è la regione di Novgorod; oggi il villaggio di Boldino ospita il Memoriale letterario di stato e il Museo-riserva dedicato al più grande poeta della Russia, ndt], a scrivere i suoi capolavori letterari. Le pandemie non sono altro che lo sfondo su cui si svolgono i principali eventi della storia. Allo stesso modo, ci sono malattie nella vita di ognuno di noi, ma ci sono cose più importanti a cui dedichiamo la nostra energia.

Ogni epoca ha i suoi santi, uomini di genio ed eroi. Ma ci sono anche prove che dobbiamo superare. Alcuni si abbandonano alla disperazione perché non si fidano di Dio, altri si comportano con negligenza a causa dell'eccessiva fiducia in se stessi.

Ritengo necessario menzionare una storia associata a san Paisio l'Athonita e ai pellegrini che lo visitavano. Un giorno un uomo venne a trovarlo ma non ebbe il tempo di fargli la sua domanda a causa della folla di visitatori. Prima di salutare i suoi ospiti la sera, l'anziano disse all'uomo di andare a dormire al monastero, e che la mattina dopo sarebbe stato ricevuto per primo. Ma questi si prese la libertà di passare la notte proprio accanto alla cella dell'anziano. Fu lì che vide un serpente, ma decise che Dio avrebbe preservato la sua vita attraverso le preghiere di san Paisio. In effetti il ​​serpente non lo toccò. Ma al mattino San Paisio uscì dalla sua cella e rimproverò l'uomo, dicendo che mentre il Signore ci sostiene tutti, noi non dovremmo giustificare la nostra negligenza con un'eccessiva speranza nell'aiuto di Dio.

Dio ci ha dato braccia, gambe e una testa sulle nostre spalle in modo da poter prendere precauzioni naturali. È vero, bisogna ammettere che nella vita personale di san Paisio l'Athonita, la grazia di Dio ha prevalso sulla natura. L'anziano ha cercato di evitare la civiltà con tutte le sue invenzioni ed è stato guidato dallo Spirito Santo per tutta la vita. Nel frattempo, dobbiamo ammettere che il nostro modo di vivere e il nostro livello spirituale sono molto, molto lontani da quelli di san Paisio. Pertanto, non dovremmo assolutamente ignorare le misure precauzionali naturali.

Possa Dio darci discernimento, spirito di pazienza, amore e perdono! Il coronavirus passerà, ma manterremo l'unità dopo di esso? O divideremo le persone in "amici" e "nemici", "coraggiosi" e "codardi", "fedeli" e "traditori"? Preservare amore, integrità e perdono reciproco: questo è un compito spirituale ancor più importante per il nostro tempo.

 
VIDEO - Viaggio nelle parrocchie ortodosse della Carolina del Sud

La diocesi orientale degli Stati Uniti della Chiesa Russa all'Estero ha iniziato la produzione di filmati-documentario sulla vita della Chiesa. In questo video, vediamo gli sviluppi dell'Ortodossia nello stato americano del South Carolina: terra di persone legate alle tradizioni familiari, ha saputo integrare abbastanza bene nuove comunità di credenti che certamente non trascurano una visione tradizionale. Scopriamo nel video come gli ortodossi "vecchi" e "nuovi" vivono, pregano e... mangiano!

 
Note sulla conferenza di Londra

La Conferenza di Londra e il futuro della Chiesa Ortodossa Russa fuori dalla Russia

 

Introduzione

I venti ierarchi riuniti a Londra per la prima conferenza in assoluto di tutti i vescovi ortodossi russi con diocesi di fuori del territorio canonico della Chiesa Ortodossa Russa avranno senza dubbio molto da discutere su molte e varie questioni. Tuttavia, il semplice fatto che questa storica conferenza storica – ed è storica – abbia luogo, ha prodotto diverse reazioni.

Gli autocefalisti

Prima di tutto, c’è il punto di vista degli “autocefalisti”, che hanno sede negli Stati Uniti (circa 30.000) e in Francia (circa 5.000). Questi sono in genere piuttosto russofobi; l’ostilità è diretta contro tutte le cose ‘russe’. Uno di loro ha recentemente chiamato la Chiesa russa ‘non una madre, ma una cinica matrigna’ (!). Egli ha anche affermato che ci sono oltre 700 parrocchie nella sua Chiesa con tre Metropoliti pensionati – il che significa che ogni ‘parrocchia’ ha, in media, meno di 50 individui. Questi individui sono generalmente filetisti occidentali, vale a dire persone che hanno messo il loro nazionalismo occidentale al di sopra dell’Ortodossia. La maggior parte di questi sono laici con scarsa comprensione di come funziona la Chiesa.

Questa conferenza, che è dominata dai vescovi autonomi della Chiesa ortodossa russa fuori dalla Russia (ROCOR), li rende nervosi. Essi sentono che le chiese ortodosse russe fuori dalla Russia sono ora dominate da ortodossi di tutte le nazionalità che tengono alla Tradizione, che non è ciò che loro, i rinnovatori, vogliono. Vivendo nella ‘comodità’ immaginaria del loro passato della Guerra Fredda, non vogliono che una realtà ortodossa russa multinazionale e multilingue domini la Chiesa. Se solo, dicono, ci fossero ancora l’Unione Sovietica e il centro della Chiesa a quel tempo paralizzato, potremmo andare avanti con le nostre fantasie liturgiche e ideologiche, secolarizzando e protestantizzando la Tradizione ortodossa a nostro capriccio.

I rulli compressori

All’altro estremo ci sono coloro che sono ugualmente filetisti, solo in un altro senso. Questi sono i “Russianisti”. Sono quelli della scuola sovietica dei ‘rulli compressori’, e anch’essi vivono nella ‘comodità’ del loro passato della Guerra Fredda. La loro visione della Chiesa è simile a quella di una brigata di carri armati dell’Armata Rossa in marcia su Berlino. Sono imperialisti e accentratori. Anche di questi la maggior parte è composta da laici con scarsa comprensione di come funziona la Chiesa. Anche loro sono nervosi per questa Conferenza, che è dominata dai vescovi autonomi della Chiesa ortodossa russa fuori dalla Russia (ROCOR).

Sentono che le chiese ortodosse russe fuori dalla Russia sono ora dominate da ortodossi di tutte le nazionalità che tengono alla Tradizione, che non è ciò che loro, i nazionalisti, vogliono. Vivendo nella ‘comodità’ immaginaria del loro passato della Guerra Fredda, non vogliono che una realtà ortodossa russa multinazionale e multilingue domini la Chiesa. Se solo, dicono, ci fosse ancora l’Unione Sovietica, potremmo andare avanti con le nostre fantasie imperialistiche e ideologiche, nazionalizzando la Tradizione ortodossa.

La realtà

Stranamente, o forse non abbastanza stranamente, entrambi i gruppi di cui sopra, sotto minaccia, vogliono che la ROCOR sia ‘assorbita’ o ‘rilevata’ dal Patriarcato a Mosca. Questo è ridicolo. Non accadrà. La cosa molto più probabile è che la parte della Chiesa ortodossa russa, la ROCOR, che per il decreto patriarcale di San Tikhon è stata resa responsabile di tutti gli ortodossi russi al di fuori delle terre russe 92 anni fa, assorbirà e rileverà le parrocchie della Chiesa Ortodossa Russa che sono ancora direttamente dipendenti da Mosca. La situazione attuale è dopo tutto anormale. Chiaramente, la ROCOR non ha parrocchie nelle terre russe, perché allora tutte le parrocchie ortodosse russe sul territorio della ROCOR non sono nella sua giurisdizione? Il fatto della loro esistenza è un’aberrazione storica, un retaggio del passato.

La ROCOR esiste a causa della leale confessione di fede di generazioni di emigrati russi fuggiti dall’Unione Sovietica. È solo giusto che la loro fedeltà sia riconosciuta da tutte le chiese della Chiesa Ortodossa Russa al di fuori del territorio canonico ortodosso russo, con il loro ritorno a casa, sotto lo stesso tetto, nella ROCOR. Qui non c’è umiliazione per nessuno, solo un riconoscimento della realtà. Non si può essere ortodossi russi fuori dalla Russia e non appartenere alla ROCOR. Non ha alcun senso pratico o canonico. Questo era in effetti il ​​suggerimento del presidente Putin nella sua visita al Sinodo della ROCOR a New York nel 2003. Se tale evento si verifica, potrebbe anche significare che la ROCOR sarà ristrutturata, con almeno tre Metropolie (l’Europa occidentale, l’Oceania e le Americhe), in un ritorno alla sua struttura di distretti metropolitani precedente al 1945.

Conclusione

Può essere che Dio abbia per noi intenzioni diverse da quelle descritte qui sopra. Può essere che tutto ciò avvenga, ma solo molti anni in futuro. Nessuno sa cosa accadrà alla Conferenza dei gerarchi ortodossi russi a Londra. Questo è normale per qualsiasi riunione della Chiesa, perché noi attendiamo di essere mossi dallo Spirito Santo, non dall’immaginazione degli uomini. C’è solo una cosa che speriamo e per cui preghiamo per questa Conferenza – che sia fatta la volontà di Dio.

Arciprete Andrew Phillips

Londra

Santa Martire Caritina

Santi Ierarchi di Mosca

5/18 ottobre 2012

 
L’Ortodossia di Tom Hanks

Un interessante articolo è apparso di recente su Tom Hanks e la sua felicità di essere greco-ortodosso (sotto). Ma quanto è ortodosso Tom Hanks? Anche se non è molto esplicito circa la sua fede ortodossa, siamo in grado di ottenere alcuni scorci della sua Ortodossia attraverso le sue interviste e molti film di successo.

Tom Hanks è stato un seguace di un certo numero di diverse confessioni cristiane durante la sua crescita: la Chiesa cattolica, la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni (Mormoni), la Chiesa del Nazareno, e un gruppo fondamentalista cristiano. Il suo salto da una fede all'altra è dovuto principalmente a vari rapporti dei suoi genitori divorziati che lo ha lasciato con un infanzia molto turbata e confusa. Da un'intervista pubblicata dalla rivista George, aprile 1998:

"La religione principale a cui sono stato esposto nei primi 10 anni della mia vita è stato il cattolicesimo. La mia matrigna è diventata mormone. Mia zia, con cui ho vissuto per un lungo periodo di tempo, è stata nella Chiesa del Nazareno, che è una specie di super-ultra-metodismo, e al liceo, tutti i miei amici erano ebrei. Per anni sono andato al Mercoledì sera a studi biblici con il mio gruppo della chiesa. Così ho avuto questa visione peripatetica di fedi diverse, e l'unica cosa che ne ho tratto è stata una ricerca intellettuale. C'era un sacco di grandi cose a cui pensare. Quali erano le quattro leggi spirituali? Sei un post-tribolazionista o un pre-tribolazionista?"

Hanks si è unito alla Chiesa greco-ortodossa, quando ha sposato la sua moglie Rita Wilson nel 1988 e da allora ha trovato lì la sua stabilità. Frequentano la chiesa greco-ortodossa di Santa Sofia a Los Angeles e il suo padre spirituale è padre Robert Stephanopoulos (suo figlio George è un famoso commentatore politico e sua figlia è una monaca della Chiesa russa all’estero in Terra Santa). Tom ha dichiarato che è felice di essere ortodosso, perché le persone della sua chiesa non lo infastidiscono troppo e l'atmosfera lo aiuta a meditare sulle questioni più importanti. Inoltre, Tom e la sua famiglia sono ben noti per la partecipazione ai servizi quotidiani della Settimana Santa.

Rita Wilson ha scritto su varie tradizioni greco-ortodosse e sono stati entrambi produttori del popolare film Il mio grosso grasso matrimonio greco con Nia Vardalos. Anche il film di Nia Vardalos My Life in Ruins (2009), una commedia su una guida turistica greco-americana in Grecia, è stato prodotto da Tom Hanks tramite il suo studio, la Società Playtone. Questo stesso studio ha anche prodotto Mama Mia! che è ambientato in Grecia. Tutti questi film riflettono la fede e il patrimonio della moglie Rita, mentre Hanks presenta i messaggi teologici più sottili dei suoi film che non sono stati senza polemiche.

Tom Hanks e sua moglie Rita Wilson

Hanks è più controverso per il suo ruolo di Robert Langdon nei film Il Codice Da Vinci e Angeli e Demoni. Mentre questi libri e film promuovono eresie teologiche e revisionismo storico, Hanks ha sempre promosso questi film come cose prive di fondamento fattuale e li adotta come mezzo per riflettere sulle grandi domande della vita. Su queste domande, Hanks ha detto:

"Devo dire che quando vado in chiesa, e ci vado, rifletto sul mistero. Medito sul 'perché?', il 'Perché le persone sono come sono,' e 'Perché accadono cose brutte alle persone buone,' e 'Perché accadono cose buone a persone cattive.' ... Il mistero è ciò che io ritengo, quasi, la grande teoria unificante di tutta l'umanità."

Alla domanda se sua moglie Rita ha avuto scrupoli nei confronti di una storia che è stata condannata dalle chiese greche, ha detto: "No, assolutamente no, la mia eredità, e quella di mia moglie, ci suggerisce la cancellazione dei nostri peccati, non del nostro cervello."

Alla domanda sulle sue opinioni personali su Dio, Hanks è tutt'altro che dogmatico e ortodosso nel suo pensiero. È per lui una questione molto personale e la sua educazione probabilmente ha avuto molto a che fare con il suo approccio inclusivistico in materia. Egli dice:

"I miei genitori hanno divorziato così spesso che ho visto un sacco di diversi tipi di religioni in vita mia. Mia moglie è greco-ortodossa e io sono un convertito. I miei figli sono stati battezzati con lo stesso nello stesso fonte battesimale della cattedrale della nostra città, ma io continuo a credere nella possibilità di lasciare il cielo per chi vuole interpretare il cielo come meglio crede."

Questo atteggiamento "a mente aperta" è anche insolito in questioni morali. Nel 1993 Hanks ha recitato in un film intitolato Philadelphia che ruota attorno all'HIV/AIDS, all'omosessualità e all'omofobia, che gli è valso un Oscar come miglior attore in un ruolo principale. Questo ruolo ha fatto di Hanks un'icona dei diritti gay che ha abbracciato con orgoglio. Nel suo discorso di ringraziamento, ha detto quanto segue riguardo il suo ruolo e la sua ispirazione:

"Non sarei qui se non fosse per due uomini molto importanti della mia vita a due con i quali non ho parlato da un po', ma ho avuto il piacere di farlo l'altra sera: il sig. Rawley Farnsworth, che è stato il mio insegnante di teatro alle scuole superiori, che mi ha insegnato a recitare bene la mia parte, a lui va tutta la gloria.

"E uno dei miei compagni di classe alle lezioni di Farnsworth, il Sig. John Gilkerson. Cito i loro nomi, perché sono due dei migliori americani gay, due uomini meravigliosi con cui ho avuto la fortuna di essere associato, di essere ispirato da loro in così giovane età. Vorrei che i miei figli potessero avere lo stesso tipo di insegnante, lo stesso tipo di amici.

«E qui sta il mio dilemma qui stasera. So che il mio lavoro in questo caso è amplificato dal fatto che le vie del Cielo sono troppo affollate di angeli. Conosciamo i loro nomi. Se ne contano 1.000 per ciascuno dei nastri rossi che indossiamo qui stasera.

"Riposano finalmente nel caldo abbraccio del nostro Creatore. Un abbraccio che guarisce le loro febbri, che illumina la loro pelle, e permette di vedere nei loro occhi la semplice, evidente verità di buon senso che si manifesta dal benevolo Creatore di tutti noi, ed è stata scritta da uomini saggi, uomini tolleranti, nella città di Philadelphia 200 anni fa. Dio vi benedica tutti, Dio abbia misericordia di noi tutti, e Dio benedica l'America. "

La rivelazione del suo maestro gay ha ispirato il film del 1997 In e Out, con Kevin Kline come insegnante di letteratura inglese la cui omosessualità è rivelata da un ex studente in modo simile.

Tom Hanks è ogni anno uno dei portatori dell’Epitafio al Venerdì santo.

Inoltre, Hanks è molto aperto nella sua approvazione del matrimonio omosessuale. Secondo Wikipedia:

"Hanks è stato estremamente esplicito nel suo parere d'opposizione alla Proposizione 8, che ha modificato la Costituzione della California per definire il matrimonio come unione solo tra un uomo e una donna. Hanks e gli oppositori hanno raccolto più di 44 milioni di dollari USA in contrasto con i 38 milioni dei sostenitori, ma la Proposizione 8 è stata approvata con il 52% dei voti.

"Hanks ha continuato a incolpare i sostenitori della Proposizione 8 come non-americani e ha attaccato i membri della Chiesa dei Santi degli Ultimi Giorni (Mormoni) - i maggiori esponenti del disegno di legge - per le loro opinioni sul matrimonio e il loro ruolo nel sostenere il disegno di legge. Circa una settimana dopo, Hanks si è scusato per l'osservazione, dicendo che non c'è niente di più americano che un voto di coscienza, e questo è ciò che hanno fatto i sostenitori della Proposizione 8."

Per quanto riguarda Tom Hanks come cristiano ortodosso, direi che per lui è più una questione di essere parte di una tradizione di fede e di cultura che ogni altra cosa. Può essere simboleggiato nel modo migliore da una famosa scena ne Il mio grosso grasso matrimonio greco, quando il fidanzato di Toula è battezzato in un rito che per lui è un mistero. In seguito, egli mostra la sua croce nuova e dice: "Sono greco ora".

Per qualcuno che frequenta quotidianamente i servizi della Settimana Santa, anche se poche altre volte durante l'anno, è un peccato che Tom non sia più esplicito circa la sua fede ortodossa. Forse perché non ci sono contraddizioni tra la sua fede come cristiano ortodosso e il suo atteggiamento inclusivistico per quanto riguarda chi è Dio così come per la sua posizione morale in favore del matrimonio omosessuale? Potrebbe essere la sua mancanza di educazione nell'Ortodossia? Forse non vuole sembrare snob, come alcune delle celebrità da lui frequentate e coinvolte in Scientology e nel kabbalismo? Forse è tutto quanto sopra, e vuole anche mantenere un atteggiamento individualista per quanto riguarda la sua visione filosofica della vita, e non essere vincolato alle opinioni particolari della sua fede. Alla fine della giornata, è ancora un grande intrattenitore che ha lo scopo di soddisfare il suo pubblico e si forma all'interno di un ambiente individualista e liberale di Hollywood.

Tom Hanks e padre John Bakas

Tom Hanks è felice di essere un membro della Chiesa Ortodossa

Mosca, 21 maggio 2009, Interfax - L’attore di Hollywood Tom Hanks apprezza la sua appartenenza alla Chiesa ortodossa e si propone di crescere i suoi quattro figli in modo simile.

"Sono consapevole del fatto che è di vitale importanza venire in chiesa e contemplare le questioni sostanziali poste dall’Ortodossia e le soluzioni che propone," Hanks ha detto in un'intervista pubblicata da Argumenty i Fakty.

Secondo lui, quando un uomo arriva a una decisione di sposarsi e avere figli, "è essenziale definire il patrimonio spirituale di una futura famiglia in questa fase."

"Considero l'ortodossia greca mia eredità spirituale. Mi sono sposato nella stessa chiesa in cui è stata battezzata mia moglie. I miei figli sono stati battezzati nello stesso fonte battesimale, usato per mia moglie", ha detto Tom Hanks.

Secondo Hanks, questo rende la sua famiglia "una parte della grande Chiesa universale".

"Andiamo in chiesa in rare occasioni, ma quando lo facciamo, ceniamo insieme e in seguito discutiamo condividendo le nostre sensazioni", ha aggiunto.

 
Il santo ierarca David, patrono del Galles (Memoria: 1/14 marzo)

San David (in gallese: "Dewi Sant"), arcivescovo di Menevia (in gallese: "Myniw"), uno dei santi più grandi e più amati del Galles, nacque probabilmente attorno all'anno 500 (varie tradizioni offrono una serie di date diverse, dalla fine del V secolo a circa il 520). La versione completa superstite della sua vita, scritta intorno al 1090, è considerata uno dei migliori monumenti letterari medievali che descrivono la vita e l'organizzazione dei monasteri celtici nel primo periodo della Chiesa. Da tempo immemorabile san David, un grande taumaturgo famoso per i suoi numerosi talenti e le buone opere per la gloria di Dio, è venerato come il santo patrono del Galles.

Sua madre era santa Nonna (commemorata il 3 marzo), che discendeva dalla casa reale di Dyfed in Galles. Più tardi divenne una monaca e si addromentò nel Signore in Bretagna. Un certo numero di chiese sono dedicate a santa Nonna fino a oggi; in particolare, ci sono uniantichissima cappella e un pozzo sacro di santa Nonna non lontano dalla cattedrale di suo figlio, nella città di St. David's, e la Chiesa di santa Nonna in il villaggio di Altarnun in Cornovaglia, Inghilterra, che conserva probabilmente le sue reliquie.

Si è detto che san David già operasse miracoli nel grembo di sua madre. Una volta incinta, sata Nonna entrò in chiesa per ascoltare un sermone, ma il sacerdote perse la parola per un certo tempo. Questo fu interpretato come un segno del Signore che il bambino nel grembo di Nonna avrebbe superato tutti gli insegnanti della fede in Galles e sarebbe diventato il padre spirituale della nazione gallese.

Fin dall'infanzia, il futuro san David eccelleva nella pietà e nell'amore per la Chiesa. Divenne un monaco e un sacerdote quando era ancora molto giovane. Si formò alla vita monastica in vari monasteri del Galles. Il fatto è che una Chiesa relativamente sviluppata e la vita monastica esistevano già in Galles al tempo di san David, ma fu san David che il Signore scelse come il più grande santo di questa nazione, costruttore di oltre 10 monasteri e fondatore di un principale centro spirituale - un'arcidiocesi. Così, il santo perarca ricolmò la terra gallese di spirito di santità e di ascesi, fornendo al paese grande potenziale e forza spirituale per molti secoli.

Nell'anno 447 il vescovo Germano di Auxerre tornò in Gran Bretagna dalla Gallia per lottare contro l'eresia del pelagianesimo, che si stava diffondendo in quel periodo in alcune parti d'Europa. Non solo San Germano ebbe successo nel suo compito, ma lasciò anche alcuni suoi discepoli in Gran Bretagna, e proprio in Galles. Il più grande di questi era sant'Iltut, fondatore dell'importante centro monastico a Llantwit Major. Sant'Iltut è conosciuto come il primo organizzatore della vita monastica in Galles. Questo santo, a sua volta, ha avuto molti discepoli, che hanno continuato e concluso il suo compito. Tra di loro c'erano quei grandi padri della Chiesa "di seconda generazione" come Cadoc, Dyfrig, Paternus, Gildas il Saggio, e, naturalmente, David. San David ricevette istruzione spirituale ed esperienza di vita monastica da molti padri monastici. Così, visito san Paolino (che guarì dalla cecità improvvisa) a Whitland e alla scuola monastica a Llantwit Major. Ora, ben preparato alla vita e alla divina conoscenza monastica, san David partì in viaggio per tutto il paese (seguendo l'esempio degli asceti celtici), istituendo monasteri e chiese. Nel sud del Galles guarì anche un governatore locale dalla cecità.

Cattedrale di San David, Pembrokeshire

Nella parte sud-occidentale del paese, il moderno Pembrokeshire, san David insieme ai suoi compagni (san Teilio e sant'Aidan di Ferns erano fra loro) fondò il suo monastero più noto a Mynyw (la forma latinizzata è Menevia), ora chiamata St. David's in suo onore. San David ne divenne l'abate. I fratelli a Menevia seguivano una regola molto rigida. L'autore della vita di san David sottolinea che i monaci e discepoli di san David leggevano le vite dei padri del deserto d'Egitto e cercavano di seguirli nelle loro pratiche ascetiche e nella vita monastica quotidiana quanto più potevano. Il monastero di Menevia, dove il lavoro manuale e l'istruzione furono sempre incoraggiati e fiorirono, divenne un vero e proprio vivaio di santi. Una rigorosa disciplina sotto la direzione dell'abate fu tenuta in questo monastero per molti anni. Il cibo dei fratelli era molto semplice e consisteva di pane, erbe e acqua. L'alcol era assolutamente escluso, e il pesce era dato solo in casi estremi e occasioni speciali.

L'abate conduceva la stessa vita semplice dei suoi monaci e lavorava duro come ognuno di loro. Tutti i membri della comunità indossavano abiti semplici e tutti i loro averi erano tenuti in comune. La povertà volontaria e il rifiuto di tutti i beni erano tra le principali regole del monastero. I fratelli partecipavano a servizi di chiesa molto lunghi ogni giorno. San David stesso, come molti altri santi celtici, era solito ritirarsi al fiume per leggere l'intero salterio, in piedi nell'acqua fredda del fiume anche in inverno. Tutte le conversazioni, con eccezione delle più necessarie, erano vietate. La preparazione ascetica della mente e del cuore nella preghiera interiore era comune tra le fondazioni celtiche del Galles di quel periodo. La comunità aveva l'abitudine di distribuire cibo ai bisognosi, alle vedove, ai malati, ai disabili, agli ospiti e ai pellegrini.

Chiesa di san David in Llandewi-Brefi, Ceredigion

Si sa che san David partecipò all'importante Concilio ecclesiastico di Brefi in Galles, che si svolse nel 545 oppure nel 560. Il Concilio fu convocato per condannare l'eresia del pelagianesimo e per discutere questioni di disciplina della Chiesa. Secondo la tradizione, san David parlò in modo così eloquente e fu così ispirato dall'alto al Concilio che una collina si alzò miracolosamente sotto di lui e una colomba bianca scese sulla sua spalla. In questa riunione san David fu eletto all'unanimità arcivescovo di Menevia e di tutta la Chiesa gallese, e il suo monastero fu dichiarato capitale spirituale del paese. La versione successiva della sua vita afferma che san David fu elevato al rango di arcivescovo dal patriarca di Gerusalemme, in Terra Santa, dove il santo si recò insieme con i santi Teilio e Paterno.

San David difese anche la purezza della Chiesa dalle eresie, e così divenne noto come "il nemico del monoteliti". Molti santi contemporanei di san David erano suoi amici, tra questi vi era san Finnian di Clonard, "il padre dei santi d'Irlanda". La tradizione dice che san David probabilmente fondò o, più probabilmente, ripristinò la vita monastica a Glastonbury nel Somerset.

La gloria di san David come taumaturgo, predicatore di Dio e grande benefattore del popolo si diffuse in tutta la Gran Bretagna e l'Irlanda. Il santo compì molti miracoli durante la sua vita e dopo il suo riposo. Una volta diede a un viaggiatore un cavallo, che lo portò attraverso il mare. San David e i suoi discepoli predicarono il Vangelo con molto zelo, soprattutto nel sud del Galles, e la loro fama si sparse da lì a molti altri regni e terre. Molti sovrani e principi, sentendo le prediche di san David, diedero le loro ricchezze ai poveri e in alcuni casi lasciarono anche i loro troni e intrapresero la vita monastica. San David diceva: "Siate gioiosi, fratelli e sorelle, mantenete la santa fede e fate le vostre piccole opere buone", e anche: "Gioite sempre e siate nella fede. Fate le stesse piccole opere che ho fatto io: voi stessi le avete viste e udite. Io sto seguendo il sentiero su cui nostri padri hanno camminato prima di noi".

Chiesa di san David, Caldey Island

Il santo ierarca David si addormentò nel Signore il 1 marzo 589 (secondo un'altra versione: 601). Dopo il riposo di san David, la sua venerazione crebbe sempre di più, diffondendosi dal sud del Galles in tutto il paese, e da lì in Irlanda, in Cornovaglia (che aveva stretti legami spirituali con il Galles; in effetti la vita monastica comparve in Gran Bretagna la prima volta a Tintagel in Cornovaglia settentrionale), in parti dell'Inghilterra occidentale e in Bretagna. Alcuni studiosi suppongono che san David abbia fatto frequenti viaggi in Cornovaglia, Bretagna e in altre regioni, dove ha costruito monasteri. Per ogni gallese, san David è un'incarnazione e una personificazione del Galles.

Santuario di san David del Galles a St. David's

Le reliquie di san David sono sopravvissute e sono ancora oggi nella magnifica cattedrale di St. David's (secoli XII-XIV), in Galles. Questa cattedrale sorge proprio sul luogo del monastero iniziale fondato da David. Ogni anno vengono qui pellegrini. Il monastero di St. David's è esistito per molti secoli, anche se nei secoli X e XI fu saccheggiato dai vichinghi. Le sue reliquie furono molto venerate dai fedeli fino alla riforma, quando il suo splendido e riccamente decorato santuario fu devastato e profanato; tuttavia, le reliquie del santo vescovo sopravvissero.

Entro la seconda metà del XX secolo, almeno 50 chiese sono state dedicate a san David. Così, gli è stata dedicata una chiesa normanna del XII secolo nel villaggio Llandewi-Brefi nella contea gallese di Ceredigion è dedicato a lui. La chiesa sorge nello stesso luogo in cui ha avuto luogo il concilio di Brefi e sulla piccola collina cresciuta sotto i piedi del santo; tra i suoi tesori è una statua di san David, insieme con croci celtiche. San David è di solito raffigurato sulle icone come vescovo con una colomba sulla spalla, in piedi su un ripiano o collina. Il 1 marzo, la festa di St. David, è la festa nazionale del Galles. In questo giorno i gallesi indossano all'occhiello un narciso, un vecchio emblema del santo. Probabilmente questo è dovuto alla somiglianza tra il nome del fiore e il nome del santo (in inglese un narciso è "daffodil", in gallese è "dafid").

La chiesa di santa Maria e san David a Kilpeck, Herefordshire

Tra le numerose chiese parrocchiali dedicate a san David in Inghilterra, possiamo citare la storica chiesa normanna di santa Maria e san David nel villaggio di Kilpeck a Hereford (che contiene un gran numero di figure di pietra scolpite di persone, angeli, e persino animali); la chiesa di san David, nel villaggio di Little Dewchurch nello Herefordshire, la chiesa di san David nella piccola città di Moreton-in-Marsh nel Gloucestershire, le chiese di san David nel villaggio di Ashprington e nella città di Exeter nel Devon; la chiesa di san David nella città di Birmingham nelle West Midlands e altri. Vi è anche una parrocchia ortodossa russa di san David nella città di Derby in Inghilterra centrale.

Chiesa di san David a Exeter, Devon

Chiesa di san David a Little Dewchurch, Herefordshire

Delle chiese più importanti dedicate in Galles al suo patrono, ci sono: la chiesa di san David nella città di Denbigh nella contea di Denbighshire (alla fine del XVI secolo il conte di Leicester iniziò a costruire questa chiesa come futura cattedrale, ma non fu mai finita); la ex chiesa abbaziale di san David nel villaggio di Henfynyw nel Ceredigion (il santo stesso fu probabilmente addestrato per qualche tempo nel monastero locale; c'è un pozzo sacro di san David nelle vicinanze), la chiesa di san David a Caldey Island (parte di essa è del VI secolo; fu usata come fucina per qualche tempo, ma fu restaurata nel XIX secolo), e molte altre. Chiese dedicate a san David si possono trovare anche in paesi come Australia, Nuova Zelanda e Stati Uniti.

Santo ierarca David, intercedi presso Dio per noi!

 
Domenica 16 Aprile 2000 (5a di Quaresima) Domenica di Santa Maria Egiziaca (Marco 10:33-45 - Luca 7:36-50)

Nel nome del Padre, e del Figlio, e del santo Spirito.

La quinta domenica della Grande Quaresima è dedicata alla memoria di una delle più straordinarie donne della Chiesa: Santa Maria l'Egiziaca, la prostituta diventata penitente e asceta: in questi giorni leggiamo in chiesa la sua vita, all'interno della celebrazione del Grande Canone quaresimale. Il brano assegnato alla domenica è il dialogo sul servizio nel Vangelo di Marco: un insegnamento che trae spunto dal desiderio di alcuni discepoli di primeggiare sugli altri. Il secondo brano, la storia della peccatrice che unge di miro i piedi di Cristo, è la variante narrata da San Luca della stessa storia che contempleremo nel Santo e Grande Mercoledì.

Vorrei farvi riflettere oggi sugli strani elementi che noi abbiamo in comune con i personaggi di questi racconti, e come essi si intreccino sapientemente per insegnarci la vita cristiana. Il cammino dei discepoli verso Gerusalemme, e le gelosie che nascono tra di loro, sono lo specchio del cammino della nostra vita verso la Gerusalemme celeste. Anche il desiderio di primeggiare è presente tra noi e ci fa soffrire, anche nelle piccole cose, e anche quando camminiamo assieme come seguaci di Cristo. La soluzione giusta che il Signore ci indica è il servizio: chi aspetta di farsi servire ha già perso in partenza, chi sa mettere da parte i propri piani personali, i propri schemi (e di conseguenza il proprio orgoglio) partecipa invece agli schemi e ai piani ben più grandi della salvezza. È l'eterno invito a fare silenzio dentro la nostra anima, anche se non siamo molto sicuri di cosa ascolteremo, perché Dio possa parlare un po' più chiaro. In fin dei conti, nulla di diverso da quel "credere chiedendo al Signore di aiutare la nostra incredulità" di cui abbiamo letto la scorsa domenica nel brano del genitore e del fanciullo indemoniato.

Un altro atteggiamento da imparare è l'assenza di giudizio verso quanti peccano, e peccano "alla grande", dalla prostituta del brano evangelico di San Luca, fino a Maria Egiziaca. Per noi non è poi così difficile astenerci dal giudicare queste donne, che a noi personalmente non hanno fatto niente di male (in altre parole, è facile perdonare dove non c'è niente da perdonare davvero!); è già più difficile non giudicare quelle persone che ci hanno sedotto e portato a peccare nella nostra stessa vita: di fronte a tali persone (e ciascuno di noi ha le sue) ci sentiamo davvero un po' più affini ai farisei che giudicavano la prostituta pentita...

Ma c'è una ragione per cui dobbiamo essere disposti a umiliarci,  a servire, anche quelle persone che pensiamo ci abbiano traviati, traditi, indotti a peccare. Se "c'è più gioia in cielo per un peccatore che si converte che non per novantanove giusti" e se "Dio non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva", allora un peccatore pentito diventa anche uno straordinario canale di grazia per i suoi complici nel peccato. Pensate all'enorme senso di responsabilità di Maria Egiziaca quando sosteneva, ancora dopo decenni di vita ascetica, di avere rovinato molte anime: pensate a che abisso di pentimento e di preghiera in cui ella doveva accogliere il ricordo degli uomini con cui aveva peccato... Tanti di noi si sentono felici di essere ricordati un paio di volte nelle preghiere di un amico: considerate quanto sia più grande essere per decenni nelle costanti preghiere di un santo o di una santa! Ciò apre grandi speranze per noi, sia perché molte persone a cui abbiamo dato una cattiva testimonianza possono essere condotte verso la salvezza da un nostro vero pentimento, sia anche perché le stesse persone che ci hanno fatto dei torti, per quanto grandi, possono diventare per noi dei mezzi di salvezza: per questo non impediamo mai loro di riconciliarsi con Dio, anche se i loro gesti, come le lacrime della prostituta, possono sembrarci sconvenienti.

Che la nostra venerabile Madre Maria l'Egiziaca ci insegni sempre la via del vero ravvedimento.

Amen.

 
Domenica 12 novembre 2000 (21a dopo Pentecoste) L'indemoniato gadareno (Luca 8:26-39)

Nel nome del Padre, e del Figlio, e del santo Spirito.

In questa domenica leggiamo l'episodio dell'indemoniato gadareno. Una storia che ci parla di un miracolo, della potenza di Dio e di come una sua singola parola possa scacciare il male dalle nostre vite. Vediamo l'impotenza di fatto dei demoni, e la loro paura del Salvatore. Vediamo quanto essi siano incredibilmente malvagi verso gli uomini, e perfino verso gli animali. Vediamo cose che ci fanno paura nel comportamento di chi è schiavo dei peccati, e come anche un miracolo del Signore possa fare paura a quanti non credono. Abbiamo anche una lezione sulla nostra libertà: Dio ci chiama a conoscerlo, ma non ci forza a seguire i suoi comandamenti. Alcuni scelgono di seguirlo, e altri gli chiedono di andare via. E se noi chiediamo a Dio di andarsene dalla nostra vita, Egli se ne andrà davvero...

Ascoltiamo con attenzione queste parole che ci parlano della salvezza che il nostro Creatore ha preparato per noi. E se siamo qui a partecipare alla Divina Liturgia è perché vogliamo comprendere queste parole di salvezza, vogliamo che diventino parte di noi, che ci trasformino e ci facciano crescere spiritualmente. Tutto il resto, il trovarci assieme regolarmente, la bellezza dei canti, delle icone, la dignità e la solennità del rito, non sono altro che strumenti attraverso i quali queste parole di salvezza entrano a far parte della nostra vita.

La storia inizia quando il Signore e i suoi discepoli arrivano nel paese dei Gadareni, uno dei luoghi al di là del mare di Galilea, ma ancora abitato da membri del popolo di Israele. Qui "al di fuori della città", incontrano un uomo posseduto dai demoni, che da molto tempo non porta vestiti e abita nei sepolcri.

Nelle Sacre Scritture - come più volte vi ho detto nel corso di queste predicazioni - i vestiti indicano spesso le virtù. Pensate per esempio al vestito di nozze, che richiama per noi il battesimo, e la nuova vita che viviamo in Cristo. L'uomo che non aveva il vestito delle nozze, fu gettato fuori con i non credenti, poiché si comportava da non credente: anche se era invitato alle nozze (ovvero appariva nel mezzo dell'assemblea dei fedeli) la sua mancanza di virtù lo tradiva.

Il nostro fratello Paolo, qui presente, ha ricevuto ieri dal nostro vescovo, Vladyka Innokentij, la benedizione per portare il podrjasnik, la tonaca nera che simboleggia la virtù di inizio della vita nel ministero cristiano, ovvero il distacco dalle cose del mondo. Quando il nostro vescovo ci farà visita, Paolo verrà elevato in mezzo a noi ai gradi degli ordini minori: lettore e ipodiacono. In questi momenti, verrà rivestito di paramenti sacri, che così come tutti gli abiti usati nelle funzioni della Chiesa, richiamano virtù particolari: lo sticario, "tunica di esultanza", il piccolo felonio che richiama il ministero del lettore al servizio della parola di Dio, l'orario che indica la dedicazione alla preghiera.

Ora, l'indemoniato della nostra storia non aveva vestiti perché non aveva virtù. Quando a causa dei nostri peccati e della nostra trascuratezza lasciamo che i demoni prendano dimora dentro di noi, allora questi faranno sparire ogni traccia di bontà, ogni virtù positiva, ogni pensiero ragionevole, equilibrato e sano.

Inoltre, l'indemoniato, che è uno della città dei Gadareni, non abita nella città ma nelle tombe (luoghi che si trovavano tradizionalmente fuori dalle mura della città, perché considerate fonte di impurità). I padri che hanno commentato questo passo dicono che una delle ragioni per cui i demoni volevano che quest'uomo vivesse nelle tombe era di far nascere leggende sul potere malvagio dei sepolcri, e di allontanarli dalla verità: ovvero che la fonte del loro potere su di noi non sono favole e leggende sui luoghi infestati, ma il nostro abbandono dei comandamenti di Dio!

Un'altra immagine che le tombe ci danno è quella di luoghi morti, desolati e pieni di fetore e oscurità. Ma l'anima di chi non segue Cristo è proprio in queste condizioni: spiritualmente morti, è come se fossero già in una tomba. Questo era un luogo appropriato per un uomo che, probabilmente, i suoi stessi concittadini non volevano dentro la città perché avevano paura di lui. E così l'indemoniato è fuori dalla città, fuori della salvezza. Ma Cristo gli viene incontro.

Il Signore rimproverandolo, gli chiede il suo nome: "Legione" (un nome che per gli antichi significava una folla immensa: molte migliaia di soldati!). Davvero molti: l'uomo può cadere molto in basso.

Ma perché quest'uomo era afflitto da molti demoni? E' una domanda a cui è molto difficile dare risposta. Persone differenti possono essere tormentate per diverse ragioni. Quest'uomo può essere caduto preda dei demoni non per i propri peccati, ma a causa del giudizio di Dio sull'intero popolo dei Gadareni. Questi erano ebrei, ma allevavano maiali, una cosa proibita dalla legge: questo indizio può farci pensare che i Gadareni fossero più preoccupati del profitto che non di seguire la legge di Dio, e pertanto avevano attirato su di loro un castigo.

Così, quest'uomo può essere stato colpito dai demoni a causa dei mali del suo popolo, e non a causa della sua malvagità personale. Di fatto, quando viene liberato, mostra un grande amore e una grande obbedienza verso il Salvatore. Questo dovrebbe però farci pensare alla responsabilità che abbiamo nei confronti dei nostri fratelli con i nostri peccati. Anche se non facciamo loro direttamente del male, quante volte li indeboliamo con la nostra negligenza dei comandamenti. Quali sono i "maiali" che ciascuno di noi alleva segretamente nel suo cuore e nella sua vita, e che prima o poi provocheranno un castigo, magari coinvolgendo qualche innocente? Pensiamoci!!!

Sentiamo i demoni usare la voce di questo uomo per cercare di ritardare l'inevitabile: essi sanno - e sanno bene - che la semplice presenza di Cristo è sufficiente a scacciarli: chiedono allora che sia loro concesso almeno di tormentare, se non gli uomini, gli animali che vivono nelle vicinanze. Eppure, per dimostrare quanto poco potere abbiano i demoni, questi non riescono neppure a controllare gli istinti di un branco di porci!. Possiamo pensare che il Signore abbia voluto dimostrare con questo la malvagità e l'impotenza dei demoni. E pensiamo pure che con questo gesto si sia compiuto il giudizio di Dio sul popolo che allevava i maiali contro ai comandamenti. L'indemoniato viene liberato, e i profitti disonesti del popolo dei Gadareni vengono distrutti, facendo prendere al Salvatore, come dice il proverbio, "due piccioni con una fava".

Il giudizio è compiuto, l'indemoniato liberato. e i Gadareni possono tornare a Dio senza il peso dei loro peccati. C'è di che esserne molto contenti, ma cosa succede? Hanno paura! E per paura, perché NON VOGLIONO CAMBIARE IL LORO CUORE, chiedono al Salvatore di andarsene. Pensate a un altro caso in cui una persona andò in una città a testimoniare un fatto insolito legato alla persona di Gesù: Santa Fotina, la Samaritana, va a raccontare ai suoi concittadini di avere incontrato il Messia, e questa città CREDE. I Gadareni, invece, non vogliono credere: che meravigliosa opportunità sprecata. Quale città non sarebbe orgogliosa di poter dire che il Figlio di Dio ha predicato e insegnato nelle sue strade?

I Gadareni giungono a vedere l'uomo che avevano conosciuto come indemoniato, e che ora è vestito, nuovamente dotato di virtù e di ragione. E fa quello che dovrebbe fare tutto il suo popolo: siede ai piedi del suo liberatore, ascoltando le parole di salvezza che giungono da lui, adorandolo con gratitudine. E' l'inizio della vita cristiana.

Ci può sembrare strano che Cristo non voglia questo uomo al suo fianco, ma considerate dove viene mandato: visto che i Gadareni hanno avuto paura di questo maestro giunto dall'altra sponda del lago, Egli concede loro ancora un'opportunità di salvezza. Forse, se rimarrà tra loro quello stesso uomo che ora porta testimonianza a Cristo attraverso la sua liberazione dai demoni, questo esempio sarà sufficiente ad aprire i loro cuori, portandoli verso la salvezza.

Cosa faremo noi, quando Cristo verrà a parlare al nostro cuore? Ci dimenticheremo anche noi della sua potenza e della sua grazia, perché siamo troppo occupati dei nostri affari? Gli diremo di andarsene via, quando interverrà nelle nostre vite? Gli diremo di lasciarci stare? Che Dio ci aiuti davvero a non fare come i Gadareni, ma quando vediamo che c'è qualcosa che non va in noi, a ritornare a Cristo e a essere guariti da lui.

Amen.

 
Domenica 19 novembre 2000 (22a dopo Pentecoste) La guarigione della donna emorroissa e la risurrezione della figlia di Giairo (Luca 8:41-56)

Nel nome del Padre, e del Figlio, e del santo Spirito.

In questa domenica, che è in realtà la Ventiduesima dopo la Pentecoste, la Chiesa ci presenta le letture della Ventiquattresima domenica: questo spostamento è dovuto ai riallineamenti del lezionario che avvengono periodicamente durante l'anno, e la cosa non deve farci preoccupare (può capitare anche che, a causa di un riallineamento delle letture che coinvolge una festa a data fissa, le letture della domenica siano diverse tra le chiese ortodosse che seguono differenti calendari, o persino tra chiese che seguono lo stesso calendario): la Chiesa ortodossa chiama i suoi figli alla santità , non all'uniformità , e finché non avremo raggiunto la prima, la seconda non sarà che uno sfoggio di inutile esteriorità.

L'epistola di oggi (Efesini 2:14-22) è un grande richiamo a questa santità, che ci rammenta come siamo "concittadini dei santi e familiari di Dio". E un nostro compito nell'ascoltare queste parole è quello di prepararci al processo che ci porterà a partecipare alla natura stessa di Dio. Ecco perché in questi momenti è tanto importante la nostra attenzione, anche quando il prete si mette a dirci alcune parole di spiegazione del brano del Vangelo appena letto. È facile annoiarsi, immaginare di avere sentito tutto quello che c'è da dire su un brano del Vangelo che magari abbiamo ascoltato cento volte. Ebbene, potremmo ascoltarlo anche "settanta volte sette" (Matteo 18:22, indicatore di un numero infinito), e ancora trovare tante cose che parlano al nostro cuore.

In questo brano leggiamo di due miracoli, la guarigione della donna afflitta da un flusso di sangue e la risurrezione della figlia di Giairo: due miracoli raccontati nella stessa storia, che anche se esternamente appaiono molto diversi, in realtà sono lo stesso miracolo. Vediamo come.

Intanto, queste due persone hanno entrambe sentito parlare di Gesù. Hanno sentito parlare dei suoi miracoli: ricordate il Vangelo della settimana scorsa, come l'intero paese dei Gadareni ha conosciuto la potenza di Cristo attraverso la guarigione dell'uomo indemoniato; prima ancora, una parola del Signore aveva guarito il servo del centurione. Così accade quando ci sono persone davvero disperate: sentendo parlare di qualcuno che può aiutarle, corrono a cercare questo aiuto. Ebbene, noi siamo cristiani, o almeno diciamo di esserlo! Siamo convinti - almeno in qualche parte nascosta del nostro cuore - che Cristo ci può aiutare e venire incontro. Pensate che nel mondo non esistano oggi persone come questo capo della sinagoga e questa donna inferma? Quanti attorno a noi sono davvero disperati, assetati di una parola di salvezza, di un senso da dare alla propria vita? Più di quanti possiamo immaginare! E il nostro compito come cristiani è PARLARE DI CRISTO! Non è necessario che ci mettiamo a suonare le trombe o a gridare in piazza. Basta mostrare a chi ci circonda che noi crediamo in un Signore che ci è amico e che ci ascolta, basta che diciamo di avere sperimentato nella nostra vita la forza della preghiera, e allora chi ha sete di Dio VORRÀ SAPERE. Ma non dimentichiamo che questa testimonianza è un compito che è affidato a ciascuno di noi.

Un'altra somiglianza che accomuna queste due storie di miracoli è che a entrambi viene richiesta una certa dose di pazienza. La donna ha atteso ben dodici anni prima della sua guarigione; Giairo, che ha fretta di condurre il Signore nella propria casa, deve attendere (immaginiamoci con quanta angoscia) che la folla si assiepi attorno a Gesù da ogni parte, facendolo ritardare fino al momento terribile della morte della figlia. Perché questi tormenti? Per accrescere la fede. Anche noi, se vogliamo che Cristo agisca nella nostra vita, dobbiamo avere abbastanza fede da lasciarlo agire nel momento che Egli conosce come il più opportuno, e non quando vorremmo noi, con la nostra visione limitata.

La donna in particolare (di cui la Santa Tradizione ci ricorda anche il nome, Santa Veronica, una delle prime donne che testimoniarono la parola di Gesù) sembra avere pagato un prezzo ben caro. Dodici anni di sofferenze che nessun medico ha potuto curare! Ebbene, ricordiamo che il sangue ha un importante senso rituale e simbolico nella Bibbia. Una persona afflitta da continue emorragie non poteva entrare nel Tempio a pregare, e pertanto questa donna era stata esclusa per tanto tempo, e considerata impura. L'emorragia è anche un'immagine molto efficace dei nostri peccati, che continuano a farci perdere forza, anche quando non ne siamo consapevoli, anche quando non lo ammettiamo a noi stessi. Ma questi anni di sofferenze hanno anche temprato la fede della donna: il passo parallelo del Vangelo di San Marco ci racconta i suoi pensieri segreti, la sua sicurezza di poter ottenere la guarigione toccando il lembo del mantello di Gesù. E di fatto la guarigione avviene.

Le parole di Cristo sono significative: questo "chi mi ha toccato?" in mezzo a una folla che lo circonda da ogni parte, ci fa capire come dobbiamo accostarci a lui. Non è importante solo avvicinarsi a lui, ma avvicinarsi a lui CON FEDE, riconoscendo in Lui il Signore della nostra vita: solo così, con la nostra attiva partecipazione, Egli potrà aprirci la via della salvezza.

Quanti peccati fanno sanguinare la nostra anima? Da quanti anni ci perseguitano? Non importa quanto siano gravi, il Signore ci è sempre di fronte a offrire il perdono. E anche se sentiamo di avere profondamente sbagliato, Egli ci accoglie comunque. Tocchiamo il Signore, pregandolo con fede, e i risultati di questa azione ci colmeranno di meraviglia.

In questa fede, che viene esaltata di fronte a tutta la folla, vediamo forse l'unica differenza essenziale tra le due figure della donna e di Giairo. Quest'ultimo non viene lodato, perché la sua fede non è altrettanto forte. E quanto è significativo questo brano, che ci dice che il capo della sinagoga (che pure è un uomo buono, che ha rispetto per Cristo) non ha tanta fede come una donna "impura" che soffre...!

Ma anche questa guarigione serve a rafforzare la fede di Giairo: avendo visto con i suoi occhi, e non più soltanto sentito dire, qual'è il potere di Cristo, egli è molto più preparato alla prova che ancora gli resta da affrontare: il dolore di una perdita improvvisa. Abbiamo bisogno anche noi di questo genere di consolazione, perché se anche vediamo cento volte attorno a noi i miracoli di Cristo, abbiamo ancora la tendenza a disperarci quando una tragedia ci colpisce di persona. A Giairo vengono ancora chieste umiltà e pazienza, e il desiderio di migliorare anche quando tutto sembra inutile. Pensiamoci, quando ci viene la tentazione (davvero diabolica) di "non disturbare il Maestro", perché tanto ci sembra che non riusciremo mai a liberarci dai nostri peccati.

Non importa quanto gravi possano essere i nostri peccati; non importa per quanti anni ce li siamo trascinati dietro come un'emorragia; non importa se ci sembrano tanto gravi e irrimediabili come la morte di una figlia: andiamo incontro a Cristo al di là di tutte le nostre illusioni, e tocchiamo con fede anche solo l'orlo del suo mantello, ed Egli ci guarirà secondo la nostra fede.

Amen.

 
Domenica 26 novembre 2000 (23a dopo Pentecoste) La parabola del Buon Samaritano (Luca 10:25-37)

Nel nome del Padre, e del Figlio, e del santo Spirito.

Il Vangelo di oggi ci parla del più grande dei comandamenti, e della storia del Buon Samaritano.

La scorsa domenica, abbiamo letto di due miracoli (la guarigione della donna emorroissa, e la risurrezione della figlia di Giairo), che avevano tanti punti in comune l'uno con l'altro, da poter sostenere che si tratta dello stesso miracolo, per così dire, in due tempi. Anche gli insegnamenti del Vangelo di oggi sono due aspetti della medesima storia. Uno è un aspetto esteriore e morale, che riguarda il nostro comportamento. La parabola del Buon Samaritano ci ricorda come dobbiamo agire da cristiani, provando compassione per chi soffre intorno a noi, di qualunque persona si tratti, perché ciascuno è il nostro prossimo.

C'è un altro aspetto mistico e interiore, accanto a quello che ci insegna la compassione. Che cos'è che ci dà la capacità, la forza di agire con compassione? Com'è che Dio ci permette di vivere una vita cristiana? Possiamo scoprire, studiando attentamente le immagini e i simboli di questo racconto, un significato che i Padri ci hanno spiegato: si tratta niente di meno che del senso e dello scopo della Chiesa

Un uomo della legge (uno di quelli che avrebbero dovuto essere di grande statura morale, ma che spesso andavano dietro alle minuzie della legge più che al suo spirito) cerca di prendere in trappola Gesù. Vuole che Egli dica qualcosa in base alla quale lo si possa accusare. E la domanda "che cosa posso fare per ereditare la vita eterna?" (che di per sé è una delle più nobili domande che un uomo si può porre), in bocca a questo dottore, suona incredibilmente stupida e orgogliosa.

La risposta di Cristo è semplice: fa riferimento alla legge, perché Egli rispetta la legge. Una risposta del genere avrebbe dovuto essere sufficiente per quest'uomo, come avrebbe dovuto esserla per il ricco e i suoi cinque fratelli, che "avevano Mosè e i profeti". La risposta è utile anche per noi in quanto cristiani ortodossi, perché ci fa notare che possiamo essere dei veri esperti nella Santa Tradizione, conoscere tutto dei Santi, del Tipico, e così via, eppure non essere capaci di mettere il nostro cuore, le nostre forze, la nostra mente all'opera nell'amare Dio e il nostro prossimo.

Il dottore della legge, per ironia, SA la risposta giusta, e la dice come un bambino che recita la lezione: addirittura, dimostra di avere ascoltato in precedenza gli insegnamenti di Gesù, perché in nessun punto dell'Antico Testamento si dice esplicitamente di amare "il tuo prossimo come te stesso". La prima parte è una citazione dal Deuteronomio, ma la seconda viene dalle parole di Cristo stesso. Il dottore conosce la risposta giusta, ma non ci crede, perché non lo vive. E le parole del Signore, "fai questo, e vivrai", lo colpiscono nel profondo dell'animo, e provocano la sua reazione. Invece di ringraziare il Signore per una risposta così semplice e senza doppi fini, fa un'altra domanda stupida e orgogliosa: "E chi è, il mio prossimo?"

La storia che Cristo racconta certamente dice al dottore, senza mezzi termini: "Chiunque è il tuo prossimo." Ma ci apre anche un altro orizzonte, di incredibile bellezza e dolcezza: in questa storia, il Signore presenta se stesso, e ci spiega quanto ci ama. In questo piccolo racconto (circa duecento parole) abbiamo l'insegnamento di Cristo il Guaritore, e della Chiesa che continua questo compito di guarigione, per ricostituire la nostra personalità e reintegrarla in Cristo.

La strada da Gerusalemme a Gerico era molto pericolosa (in quei tempi, così come in questi stessi giorni di violenze e di terrorismo...). Era una discesa nel caldo della valle, in una posizione molto meno confortevole di quella di Gerusalemme, che è immagine di salvezza e di pace (nella Bibbia così come nei Padri). È importante ricordare che era una strada in discesa, immagine dei pericoli, delle passioni, e del nostro coinvolgimento nelle debolezze della carne.

Chi è l'uomo? È Adamo, è l'intera razza umana: è ciascuno di noi, nel suo cammino in discesa verso la Gerico della propria esistenza. E i ladri, sono i demoni, che ci strappano di dosso le vesti (ovvero le nostre virtù: ricordate la storia dell'indemoniato gadareno?) e ci colpiscono con le ferite del peccato. Ma non ci uccidono, perché a ciascuno di noi Dio lascia speranza di salvezza.

Il sacerdote e il levita passano oltre: questo dettaglio doveva avere un significato immediatamente comprensibile per il dottore della legge, visto che gli ebrei non volevano contaminarsi toccando un uomo che poteva essere morto. Avrebbero rischiato di essere considerati impuri, di doversi fare bagni di purificazione, e di non poter entrare nel Tempio per un certo tempo. Per chi dà più importanza alla propria posizione che alla vita di un uomo, la lezione è già chiara e severa. Ma c'è un altro significato profondo che ci svelano i Padri, ed è questo: la legge e i profeti non possono cambiare l'uomo! Il problema è troppo difficile: siamo spezzati, feriti, sanguiniamo da ogni parte. E gli altri uomini non possono salvarci. Possono assisterci (soprattutto quanti nella Chiesa hanno avuto questo mandato, e anche tutti gli altri in qualche misure) ma nessun uomo può salvarne un altro. Solo Dio può salvare.

Il samaritano, invece, non passa oltre: sembra che il suo viaggio sia stato fatto proprio per salvare l'uomo, e così è. Il samaritano è lo stesso Gesù Cristo, il nostro Signore e Salvatore. Con la sua Incarnazione, Egli scende per la stessa strada che tutti noi percorriamo, e quando ci vede, ha compassione di noi. Il suo compito sulla terra è stato quello di venire a salvarci, e di aiutarci in ogni modo.

Guardiamo come Cristo ha cura di noi: le fasce alle ferite, su cui vengono versati olio e vino, il viaggio sul cavallo, la locanda. Anche qui ci sono significati profondi: che cosa significa fasciare le ferite? Ricordate la donna del Vangelo della scorsa domenica? Tutti abbiamo dei peccati che, come nel caso della donna emorroissa, continuano a farci perdere sangue e forze. Ma Cristo ci cura, ci aiuta, senza imporci la sua volontà, ma donandoci autocontrollo. Quali che siano i peccati che abbiamo, non ce n'è uno solo che dio non ci aiuti a vincere. Non ne troverete UNO SOLO.

L'olio e il vino si riferiscono alla duplice natura di Cristo, e anche ai due modi con cui Egli agisce: uno "morbido", misericordioso e gentile, come l'olio (pensate agli insegnamenti in cui Cristo ci chiama amici, ci assicura che il suo è un giogo leggero, e che c'è un posto preparato per noi nel cielo); un altro è "aspro", come il vino, e ci richiama nei momenti di follia o di pericolo (come quando Cristo ci ricorda che verrà a giudicare le nostre azioni, e che ci rinnegherà davanti al Padre se noi lo rinneghiamo davanti agli uomini). Tutte le Scritture sono piene di questi due tipi di insegnamenti, di "olio" e di "vino", uniti assieme, come le due nature del Signore.

Il giumento del samaritano è l'Incarnazione, il viaggio che il Signore ha fatto sulla terra, raccogliendo con compassione l'umanità ferita e riportandola alla salute. Ma anche questo non è un viaggio che dura per sempre: così come il samaritano deve ripartire, Cristo non può rimanere a vivere per sempre una esistenza terrena: la partenza è la sua ascensione. Ma l'umanità che soffre è stata portata in una locanda: la Chiesa. Il locandiere (che impersona i vescovi, i preti, i diaconi e quanti altri nella Chiesa sono stati chiamati da Cristo a servire chi ha bisogno di assistenza) riceve dal Signore due monete d'argento (erano quelle stampate sui due lati): le Sacre Scritture (con i due lati della moneta, l'Antico e il Nuovo Testamento) e la Santa Tradizione. Questi sono i mezzi con cui l'uomo trova la verità.

Com'è che il locandiere si "prende cura" del malato? Con tutti i mezzi che ci offre la chiesa, la confessione, il consiglio spirituale, l'insegnamento, la predicazione, le funzioni della Chiesa, le benedizioni, le preghiere. E che Dio conceda ai "locandieri" della sua Chiesa di essere buoni esempi per gli altri. Dovranno servire "fino al ritorno" del Signore, e tutto quanto avranno speso in più del minimo che era stato loro richiesto (anche un singolo bicchiere d'acqua dato a un assetato) Dio non lo dimenticherà.

Capite quindi, fratelli e sorelle, che questa parabola è la nostra storia? Noi siamo l'uomo che sanguina al bordo della strada. Il samaritano, il nostro Signore Gesù Cristo, viene a fasciare le ferite dei nostri peccati, e ci aiuta a smettere di sanguinare. Non si limita a darci leggi e comandamenti, che da soli non possono salvarci, ma viene Egli stesso e ci aiuta, talvolta in modo dolce, come l'olio, talvolta in modo severo, come il vino. E ci guida a riprendere le nostre forze nella Chiesa. Tutto quanto abbiamo da fare noi è affidarci alle sue mani, così come facciamo con qualsiasi medico. E non importa se ci metteremo poco oppure un lungo tempo a guarire: se ci affidiamo alle sue cure, Cristo ci salverà.

Amen.

 
Domenica 17 dicembre 2000 (29a dopo Pentecoste) La guarigione dei dieci lebbrosi (Luca 17:12-19)

Nel nome del Padre, e del Figlio, e del santo Spirito.

Questa domenica è la Ventinovesima dopo la Pentecoste: è anche il giorno in cui commemoriamo alcuni dei più grandi santi della Siria cristiana: la Santa Grande Martire Barbara e la Santa Martire Giuliana di Eliopoli, e San Giovanni Damasceno (il coraggioso difensore delle Sante Icone, nonché autore di trattati sulla fede ortodossa e di molti inni che usiamo nel nostro culto, tra cui il celebre Canone di Pasqua).

La lettura principale del Vangelo ci racconta la guarigione dei dieci lebbrosi. Anche questo episodio, come quelli delle settimane precedenti, si presenta con un significato interiore e uno esteriore. Il significato interiore ci parla di che cosa sia la vera fede, e anche dell'infedeltà e dell'ingratitudine del popolo di Israele. Il significato esteriore ci parla della necessità della gratitudine, e di rendere un ringraziamento a Dio per ogni cosa (soprattutto i doni importanti, come una guarigione), e ci avverte che pochi si ricordano di rendere grazie.

Iniziamo dal senso esteriore, e chiediamoci che senso ha la gratitudine nella nostra vita. (Chissà perché, quando sentiamo che il Vangelo può essere letto in senso più profondo, tendiamo a dimenticarci subito del messaggio molto chiaro ed esplicito che abbiamo ricevuto alla prima lettura!)

Noi andiamo in chiesa per una varietà di ragioni, e a buon diritto per ringraziare Dio per quanto ci ha dato. Non a caso, chiamiamo "eucaristia" (dal greco efchì, preghiera e haris, grazia, ovvero "preghiera di ringraziamento"), l'atto centrale del nostro culto cristiano. Ma entriamo anche in un tempio a chiedere una quantità di altre funzioni: commemorazioni per i nostri cari defunti, benedizioni di persone e oggetti, preghiere per la riuscita di viaggi, studi, e quant'altro. Tuttavia, entriamo poco spesso a chiedere una funzione di ringraziamento per qualcosa di buono che abbiamo ottenuto con fedeltà e preghiere. "Ma si può?" mi chiederà qualcuno di voi. Certo, non solo si può, ma si dovrebbe. La chiesa russa ha un particolare officio di intercessione chiamato Molieben, con cui si può dedicare un ringraziamento particolare a Cristo, alla Deìpara o a uno o più Santi. In altre tradizioni ortodosse l'officio prende il nome di Paraclisi. Avete ottenuto un aiuto particolare dal cielo? Celebratelo con una preghiera opportuna! E non abbiate paura di sovraccaricare i preti con queste funzioni: al contrario, ogni officio di ringraziamento che farete celebrare sarà una testimonianza di fede ortodossa, nella quale dimostrate ai vostri fratelli che le preghiere hanno davvero efficacia. "Guarda un po' - diranno - se X fa celebrare la sua guarigione - o riuscita in un esame, o reperimento di un posto di lavoro, etc. - allora dovremmo pregare anche noi perché il Signore intervenga nelle nostre vite..."

I malati di questa parabola non chiedono una guarigione qualsiasi, ma una guarigione dalla lebbra. Questa era un malanno che comportava l'impurità rituale. Un lebbroso non poteva entrare nel Tempio, né avvicinarsi a un altro ebreo o toccarlo. Anche chi toccava un lebbroso era considerato impuro, finché non compiva varie cerimonie di purificazione prescritte dalla legge. Un lebbroso era un vero e proprio esule in mezzo al suo stesso popolo.

I lebbrosi gridano da lontano la loro richiesta di aiuto a Gesù. La loro impurità è immagine dei peccati che impediscono anche a noi di avvicinarci a Dio. E la lebbra è una metafora efficace dei nostri peccati, visto che chi è carico di peccati è certamente lontano da Dio. Ricordiamo altri personaggi che, gravati dalla malattia, sono costretti a seguire Cristo da lontano, gridando un appello di aiuto in mezzo a una folla che li opprime: si tratta dei due ciechi di cui si parla in Matteo 9:27.

Dopo avere visto i lebbrosi, il Signore li manda all'esame rituale presso i sacerdoti, seguendo in questo caso alla lettera la legge ebraica: la legge di Mosè richiedeva un controllo e un sacrificio espiatorio. Certamente, Egli fa così per non essere giudicato prima che il proprio tempo sia giunto, ma con questo ci indica anche che l'obbedienza può purificarci. Ai dieci lebbrosi è richiesto un atto di fede nelle parole del Signore: pensate un po' quale ragione potrebbero avere avuto questi uomini di andare dai sacerdoti mentre erano ancora pieni di lebbra! Anche coloro che non sono grati vengono guariti, perché comunque sono stati obbedienti: ottengono un beneficio, ma perdono la parte migliore della loro ricompensa.

Il lebbroso samaritano, a differenza degli altri, usa la testa (o forse dovremmo dire, usa il cuore). Mandato dai sacerdoti, guarisce sulla strada. Sa allora che per guarire del tutto, non ha che da presentarsi a un altro sacerdote, al vero, Sommo Sacerdote, gettandosi ai suoi piedi. E questo perché, usando la testa, sa di essere stato oggetto di un miracolo, e che Dio solo può fare miracoli. Oltre che guarito, viene anche illuminato.

Allo stesso modo, anche la nostra lebbra, o l'impurità dei nostri peccati, può essere facilmente cancellata: ci basta andare a chiedere perdono a un sacerdote, e il perdono ci viene dato, ora come ai tempi degli apostoli. Ma dobbiamo anche riconoscere da chi viene questo perdono, e andare a cercarlo, riconoscerlo, adorarlo, perché le sue energie possano cominciare a operare in noi. "Beati i puri di cuore, poiché loro vedranno Dio": gli impuri lo vedranno ma senza comprenderlo, verranno guariti da lui ma senza essere completamente guariti. Non potranno diventare, come fece il lebbroso riconoscente, dei canali della sua misericordia. È sintomatico che quest'uomo fosse un samaritano, membro di un popolo che offriva a Dio un culto eretico e frammisto di paganesimo. Negli altri nove lebbrosi è raffigurato profeticamente il rifiuto del popolo di Israele. Il lebbroso samaritano, che come la sua connazionale Santa Fotina (la samaritana del racconto di Giovanni 4:5-42) diventa un vero annunciatore del Signore, è l'immagine delle nazioni che progressivamente entrano in comunione con Dio.

La guarigione completa del lebbroso, secondo le parole stesse del Signore, è dovuta alla sua fede: non solo l'obbedienza, ma anche la comprensione e l'amore gli fanno recuperare la sua vera integrità. Ecco come dovremo vivere anche noi. La fede non è composta solo dalle cose in cui crediamo. La fede è come viviamo: è essere così ricolmi di Dio da riconoscerlo, e da sapere rispondere con prontezza al suo richiamo.

Cerchiamo anche noi, con perseveranza e amore, di ottenere la misericordia del Signore, e che questa ci illumini e ci guarisca completamente da tutte le nostre impurità.

Amen.  

 
Domenica 13 maggio 2001 (5a domenica di Pasqua) Domenica della Samaritana (Giovanni 4:4-42)

Nel nome del Padre, e del Figlio, e del santo Spirito.

Cristo è risorto! Veramente è risorto!

In questa quinta domenica di Pasqua è ancora una donna a essere protagonista di un incontro con Cristo. Incidentalmente, anche la società laica italiana osserva proprio oggi un giorno di festa e di auguri per le madri. Guardiamo pertanto con interesse alla figura di questa donna e ai particolari del suo incontro con il Signore.

La conversazione tra Cristo e la donna samaritana è lo specchio di un'altra importante conversazione: quella tra Cristo e la nostra anima. Di questo hanno parlato i Santi Padri (tra loro Agostino e Giovanni Crisostomo), e questo paragone è stato confermato dalla mente della Chiesa (l'Ico del Canone del Mattutino riporta come ragione di questo dialogo, il fatto che il Creatore è venuto per cercare la propria immagine).

Anche in questa domenica, come per tutti i brani del periodo pasquale, si parla di illuminazione: Cristo apre una finestra nella nostra anima, la irradia della propria luce (luce che proviene, ricordiamolo, dalla fonte inesauribile della risurrezione), la fa reagire, crescere, apprendere.

Lo stesso nome che la Tradizione della Chiesa ha assegnato alla donna samaritana (Fotina, o "Fotinì" in greco, "Svetlana" in slavonico), significa "la luminosa", e indica il processo di illuminazione che ha avuto luogo nell'episodio che avete ascoltato.

Quello dell'illuminazione è il tema dominante che ci si presenta fino alla Pentecoste: per ricevere degnamente lo Spirito Santo nei nostri cuori, dobbiamo essere sicuri che possiamo essere illuminati, possiamo cambiare e trasformare completamente la nostra vita.

Dato che la donna samaritana rappresenta la nostra anima, cerchiamo di identificarci con lei per quanto possibile.

Non c'è dubbio che questa donna fosse una peccatrice. La sua vita personale era tutt'altro che limpida: aveva avuto cinque mariti e conviveva in una relazione illecita con un altro uomo. Non c'è da stupirsi che andasse a prendere acqua dal pozzo a mezzogiorno: in quel momento per il calore, non c'era nessun altro del paese nei dintorni, a sparlare di lei o a indicarla al pubblico disprezzo.

Ma la donna non era solo una peccatrice dal punto di vista personale: era una samaritana, e faceva parte di una comunità che mescolava l'insegnamento di Mosè con errori dottrinali e pratiche pagane. Dal punto di vista del popolo di Israele, non si può dire che la donna fosse una vera credente.

Nonostante fosse in molti modi una peccatrice, tuttavia, Fotina era una donna notevole. Aveva sete di conoscenza, e una grande (quasi brutale) onestà. Bisogna essere molto onesti a dire la verità a Cristo che ci interroga, ma bisogna esserlo ancora di più per accettare la verità che Cristo ci rivela su noi stessi. Bisogna accettare il fatto che Cristo ha il diritto di dirci che cosa va bene e che cosa non va bene dentro di noi, guardando dritto nella nostra anima. Quanti di noi sono in grado di accettarlo allo stesso modo?

Ora, doveva sembrare molto strano a un membro del popolo samaritano (per di più donna) sentirsi rivolgere la parola da un membro del popolo giudaico (per di più uomo, ed evidentemente un qualche tipo di maestro). Sembra che iniziando questo dialogo Gesù abbia voluto rompere tutte le regole di comportamento dell'epoca. Ma per noi, che vediamo questo incontro come lo specchio dell'incontro tra il Signore e la nostra anima, è provvidenziale che i due abbiano continuato a parlare: ci rincuora sapere che il Signore è disposto a rompere ogni convenzione morale o sociale, pur di venire a salvarci.

Questa conversazione è come la nostra vita in un microcosmo. E se interrompiamo questa conversazione, la nostra vita spirituale non può proseguire, e noi non ne possiamo più trarre alcun beneficio. La donna continua con la conversazione, meravigliandosi di questa "acqua viva" che Gesù le promette. Forse all'inizio pensa a un prodigio, a una strana magia, ma poi prosegue a conversare, e comprende. Quest'acqua viva non è altro che lo Spirito Santo: in un altro punto del Vangelo di Giovanni (capitolo 7, versi 38-39) si parla esplicitamente di fiumi d'acqua viva in riferimento allo Spirito.

Ma la donna ha ancora problemi ad accettare quanto le viene detto, così come ha problemi la nostra anima quando è immersa nel peccato. Perché smetta di pensare in modo carnale, e inizi a parlare in modo spirituale, è necessario che Cristo le mostri ciò che è sbagliato nella sua vita. E senza tirarsi indietro quando sente dire da Gesù tutti i suoi peccati, Fotina giunge ad accettare in lui il Messia. Lascia la brocca (un prezioso simbolo di quanti lasciano le loro preoccupazioni mondane quando si fa presente nella loro vita una chiamata più alta e più importante), e grazie alla propria testimonianza evangelizza un'intera città, e diviene una martire isapostola ("pari agli apostoli", come la tradizione ortodossa chiama quei santi che hanno evangelizzato per primi intere regioni).

La Tradizione della Chiesa ci narra che Fotina fu battezzata dopo la risurrezione di Cristo, predicò il Vangelo in molte regioni, tra cui Cartagine, Roma (dove per la sua predicazione si convertì al cristianesimo Domnina, figlia dell'imperatore Nerone) e l'Asia Minore, dove fu martirizzata a Smirne. Ebbe 5 figlie (Anatolia, Fota, Fotida, Parasceva e Ciriaca) e due figli (Vittore e Giosia), che divennero tutti martiri della Fede. La sua festa è il 28 Febbraio, oltre naturalmente a questa domenica. Fotina, che aveva incontrato la luce della verità presso un pozzo, fu gettata in un pozzo, dal quale entrò nella luce del Regno dei Cieli.

Amen.

 
Domenica 5 agosto 2001 (9a dopo Pentecoste) Il Signore cammina sulle acque (Matteo 14:22-34)

Nel nome del Padre, e del Figlio, e del santo Spirito.

Nel Vangelo della nona domenica dopo la Pentecoste la Chiesa ci presenta l'episodio del Signore che cammina sulle acque. Il capitolo è il 14° di Matteo, subito dopo il brano della moltiplicazione dei pani e dei pesci (che abbiamo letto la settimana scorsa). Il popolo desidera acclamare Gesù come re, ed egli invece si ritira su una montagna a pregare. La prima lezione di questo brano del Vangelo è che abbiamo bisogno di cercare anche noi la stessa quiete e solitudine, anche se per grazia di Dio abbiamo potuto davvero essere per gli altri fedeli un veicolo di nutrimento spirituale. Troppe sono le tentazioni che vengono anche da un uso smodato del bene, e solo la preghiera ci rende capaci di camminare sulle acque della vita.

Già in un altro brano (nel capitolo 8° di Matteo) gli Apostoli sono colti in barca da una tempesta; il Signore è in mezzo a loro, ma dorme, e sono gli Apostoli stessi a svegliarlo supplicandolo di salvarli. Vale la pena ricordare che quest'altro evento era accaduto all'inizio del ministero di Gesù, quando i suoi discepoli erano ancora deboli nella loro fede. La loro paura, pure con il Signore tra di loro, si spiega con la debolezza della loro fede agli inizi. Nel brano che abbiamo ascoltato oggi, invece, la fede degli Apostoli si è irrobustita crescendo accanto a Gesù (la stessa cosa che accade anche a noi...), e il Signore può permettere che essi attendano una notte intera nella tempesta, senza di lui. Ricordiamoci di questo punto, quando con il passare del tempo ci sembra di essere sempre più abbandonati da Dio. In realtà Egli è più vicino che mai, ma aspetta che noi stessi impariamo a camminare da soli al Suo servizio.

È solo alla fine della notte (letteralmente, "alla quarta veglia", cioè dalle 3 alle 6 del mattino) che il Signore si presenta, indicando che il suo intervento non è una "riparazione veloce" (come siamo giunti ad aspettarci sempre più frequentemente nella nostra società), ma il frutto di una lunga lotta contro le tentazioni, vissuta con pazienza e fede. E sempre, quando si avvicina, il Signore si fa conoscere con le parole alle quali i nostri cuori si aprono in risposta: "Coraggio, sono io, non abbiate paura".

La barca in cui si trovano i discepoli è una stupenda immagine della Chiesa, nella quale siamo al sicuro anche se colpiti dalle onde della nostra vita (il mare in tempesta). I fianchi della barca, contro i quali si frangono le onde, sono le regole e i comandamenti della Chiesa. Il Signore può permettersi di camminare sopra le onde delle passioni e delle tentazioni, ma per noi l'impresa può risultare più difficile, come Pietro scopre, per così dire, sulla propria stessa pelle.

Riconoscendo il Signore, Pietro, DI SUA VOLONTA' chiede di lasciare la barca per avvicinarsi a Cristo, che glie lo concede. Il risultato per noi è molto istruttivo: dobbiamo cercare di fare le cose non di nostra volontà, per quanto nobili siano le nostre intenzioni, ma invece cercare sempre la volontà di Dio. Il pericolo è la perdita della nostra fede, come accade a Pietro quando il vento lo riempie di paura (la cosa deve essere ritornata in mente a Pietro, quando dopo avere confidato sulla forza della propria fede, finì per rinnegare Cristo). Ricordiamoci anche della barca come immagine della Chiesa. "Stare nella barca" è ben di più che seguire una serie di regole; è vita, è funzionare come membra del corpo di Cristo. Tutte le volte che scegliamo di seguire il nostro sentiero, invece di quello che ci indica la Chiesa, ci avventuriamo senza protezione tra le onde della vita. Per quanta possa essere la forza della tempesta, la Chiesa è pur sempre LA barca, l'unica che porta gli Apostoli, e alla quale arriva il Signore.

Amen.

 

 
Domenica 12 agosto 2001 (10a dopo Pentecoste) L'esorcismo del figlio lunatico (Matteo 17:14-23)

Nel nome del Padre, e del Figlio, e del santo Spirito.

Dalla collocazione delle letture bibliche che La Chiesa ci presenta si scopre spesso una profonda saggezza. Forse non è un caso che questa decima domenica dopo la Pentecoste ci venga presentato il brano della liberazione del ragazzo lunatico: pochi giorni fa abbiamo celebrato la festa del grande martire San Panteleimone, il più amato dei santi medici, e proprio oggi leggiamo della guarigione di un caso che sembra insolubile; inoltre, il Signore ci ricorda che questo genere di guarigione è possibile solo con la preghiera e il digiuno, e siamo proprio all'alba di uno dei periodi di digiuno stretto del nostro anno liturgico, il digiuno della Dormizione.

Come tante storie del Vangelo, questa ha diversi significati e livelli di comprensione. Al livello più immediato, ci parla della compassione del Signore e della sua potenza nello scacciare i demoni che affliggono un giovane. Vediamo anche le ragioni di questa afflizione. Questa storia è narrata in tutti e tre i Vangeli sinottici, e il quadro che ne abbiamo è più completo se teniamo in considerazione tutti e tre i racconti.

Un uomo viene da Gesù e lo prega di aiutare il suo unico figlio, che definisce lunatico. Era una credenza superstiziosa del tempo che la luna, alla sua fase crescente, poteva rendere pazze alcune persone, che venivano dette lunatici. Di fatto, in questo episodio la colpa era di un demone, non della luna.  I demoni sanno usare il folklore e la superstizione per intrappolare gli incauti, e sviare i nostri sospetti dalle loro intenzioni.  Questo demone seguiva i cicli della luna perché questi ultimi andavano incontro ai suoi scopi, ma poteva affliggere il ragazzo in ogni momento. Il padre dava alla luna la colpa che era di altri, e non solo del diavolo, ma anche di se stesso.

Il ragazzo, nel racconto del padre, è vessato dal demone che lo getta del fuoco e nell'acqua. Che cosa significa questo? Pensiamo alle immagini positive del fuoco e dell'acqua, per capire quanto ci può essere di negativo in queste azioni. Il fuoco può dare luce, calore, energia: pensiamo al fuoco dello Spirito che il Figlio dell'Uomo viene a portare sulla terra. Ma il fuoco può anche ferire, devastare, distruggere: il fuoco con cui il demone è quello dell'ira, della lussuria, della gelosia e delle passioni "calde", che attirano gli uomini nei piaceri falsi e illusori del peccato. Anche l'acqua ha una sua immagine divina: ci torna facilmente in mente quell'acqua viva di cui il Signore parla alla samaritana. Ma l'acqua può anche spegnere l'ardore dello zelo, ovvero spegnere in noi il desiderio della vita divina. Ci consegniamo alla perdizione con uno dei due tipi di peccato, o, più frequentemente, per mezzo di entrambi.

Alle preghiere del padre, la risposta del nostro Signore è quanto meno curiosa. Sembra strano dare la colpa dei tormenti del ragazzo a una "generazione incredula e perversa", ma è una risposta che va al cuore del problema. La colpa del padre è di avere ben poca fede: infatti dà ai discepoli di Cristo la colpa della mancata liberazione del figlio; ma il Signore gli ricorda che sono i SUOI peccati a danneggiare il giovane. Questa è una dura verità che tutti i genitori devono capire: i nostri peccati portano afflizioni ai nostri figli, e le nostre mancanze di fede, di giusti modelli morali, e di istruzione e crescita dell'anima, possono anche aprire una strada ai demoni verso il cuore delle generazioni più giovani.

Anche tutti gli altri presenti sono rimproverati per la loro mancanza di fede (in uno degli altri racconti, il Signore ricorda che "tutto è possibile per chi crede") Gli apostoli stessi, che erano stati inviati a guarire gli infermi e a scacciare i demoni, sono turbati dal loro fallimento in questo caso: hanno forse perso questo dono?

Anche in questo caso la ragione, dice il Signore, è la mancanza di fede. Se solo ne avessimo quanto un granellino di senape... si tratta di un seme estremamente piccolo, ma anche molto piccante e aromatico, che può cambiare il sapore di un piatto intero. E se viene piantato, fa nascere un grande albero. Proprio così deve essere la nostra fede. Non ha bisogno di essere grande in senso mondano, ma deve avere sapore. E deve essere forte, e poter crescere.

Il Signore fornisce anche ai discepoli una chiave per sconfiggere i demoni: "la preghiera e il digiuno". Senza preghiera, e senza digiuno, il seme della nostra fede non può crescere. Con la preghiera e il digiuno, che ci aiutano a mettere Dio al primo posto nella nostra vita, riusciremo a sradicare dalla nostra anima non solo "questa razza di demoni", ma anche le passioni di acqua e di fuoco che ci fanno cadere nel peccato.

Perché la Chiesa ci impone la preghiera il digiuno come cosa necessaria per la salvezza? Leggiamo questo obbligo alla luce della nostra fede cristiana, e delle sue prospettive.

Lo scopo della nostra vita è la salvezza delle nostre anime. Nella festa della Trasfigurazione, che celebreremo la prossima domenica, esamineremo questo scopo di salvezza: conoscere il Dio-uomo, vedere la Luce Increata, partecipare delle energie di Dio. Questa è la meta degli eletti. Eppure, anche i santi apostoli sul monte avevano compiuto uno sforzo. Avevano faticato per salire sulla montagna. E anche noi dobbiamo faticare, fratelli e sorelle: questo è il compito dell'ascesi cristiana, della quale la preghiera e il digiuno sono i pilastri fondamentali.

Perché sono necessari questi mezzi (fatica, desiderio, preghiera, digiuno)? Sono i segni che dimostrano la nostra sincerità, il nostro amore per il Signore. Possa il Signore aiutarci a scacciare i demoni che ci affliggono, a pregare, a digiunare, e ad amare Dio al di sopra di ogni cosa. E a trovare la Sua pace.

Amen.  

 
Domenica 19 agosto 2001 (11a dopo Pentecoste) FESTA DELLA TRASFIGURAZIONE (Matteo 17:1-9)

Nel nome del Padre, e del Figlio, e del santo Spirito.

La festa che oggi viviamo, la Trasfigurazione del Signore, viene a coincidere con una delle domeniche del nostro anno liturgico. E come sempre accade, nel caso di una Grande Festa del Signore, gli inni e le letture che si dovrebbero cantare o recitare per una normale domenica vengono sospesi, "inghiottiti", per così dire, nell'officio della festa più importante. Scompaiono così dalla Grande Veglia che abbiamo celebrato ieri tutti gli speciali canti relativi alla risurrezione (come il canto delle "Benedizioni della Risurrezione" o Evloghitaria, e il canto "Contemplata la Risurrezione di Cristo..." dopo la lettura del Vangelo Aurorale). Sparisce pure la lettura del Vangelo dell'Undicesima domenica dopo la Pentecoste, il brano del debitore ingrato, che tuttavia possiamo leggere lo stesso privatamente (si trova al capitolo 18 del Vangelo di San Matteo): vi invito anzi tutti a leggerlo, perché è una grande lezione che ci insegna quanto dovremmo essere misericordiosi noi, di fronte alla misericordia del Signore nei nostri confronti.

"Trasfigurazione" è un termine piuttosto complicato, una traduzione abbastanza letterale del greco "metamorfosi": così come il suo originale, anche tutte le traduzioni letterali (come il romeno "schimbarea la față" o lo slavonico "preobrazhenije") indicano tutte un cambiamento, un mutamento di aspetto. Questo episodio particolare della vita del Signore è così importante perché il "cambiamento di aspetto" di Cristo sul monte è in realtà una finestra aperta sulla sua divinità; in verità, è la stessa meta della nostra vita di cristiani.

L'episodio della Trasfigurazione è narrato da tre evangelisti, Matteo, Marco e Luca. È interessante notare come l'inizio di questo episodio è uno di quei punti in cui le testimonianze dei Vangeli sembrano contraddirsi: Matteo e Marco iniziano dicendo che questo evento accade dopo un'attesa di sei giorni, mentre Luca parla di un periodo di "circa otto giorni". La cosa si può naturalmente spiegare con le normali discrepanze di un resoconto tratto da diverse fonti, ma proprio in questo particolare si rivela una curiosa analogia. San Gregorio Palamas, in una delle sue omelie sulla Trasfigurazione, ci richiama al numero di persone che appaiono sul monte. Alla vista sembrano sei (Gesù e i tre discepoli, oltre all'apparizione di Mosè ed Elia), ma non dobbiamo dimenticare che il Padre si manifesta attraverso la Voce, e il Santo Spirito attraverso la nube luminosa. Abbiamo quindi, a seconda dei punti di vista, sei oppure otto protagonisti dell'episodio: una divergenza che si riflette misteriosamente in quella delle testimonianze evangeliche. E questa è un'ulteriore conferma della profondità del Vangelo.

Esaminiamo ora gli elementi che affiancano la Trasfigurazione a un altro episodio, il Battesimo del Signore. In entrambi i casi c'è una manifestazione di luce (i cieli aperti, il volto e le vesti bianche), una voce del Padre dal cielo (e le parole sono praticamente le stesse!), una forma sotto cui appare lo Spirito (la colomba, la nube): abbiamo in ambedue le feste una completa manifestazione divina di carattere trinitario. C'è anche un altro elemento da considerare: in entrambi i casi, queste manifestazioni riguardano tutta la creazione. La grazia del Battesimo di Cristo santifica tutte le acque dell'universo (dando loro la facoltà di lavare i peccati nel mistero del Santo Battesimo), e la Trasfigurazione si rivolge, simbolicamente, a tutte le creature di Dio: a quelle ancora viventi nel mondo (i discepoli), a quelle che si sono addormentate nel Signore (Mosè) e a quelle che, come i santi angeli, non sono mai passate attraverso la morte (Elia). Quando Dio si manifesta, non è mai per una esibizione di potenza fine a se stessa: è SEMPRE per la nostra salvezza.

La conversazione di Gesù con Mosè ed Elia ha anche altri aspetti simbolici e salvifici. Mosè ed Elia rappresentano la Legge e i Profeti: proprio quei due elementi di cui il Signore ha detto di essere il compimento. Inoltre, affiancato da Mosè, un defunto, e da Elia, che non è passato attraverso la morte, Cristo si conferma Signore dei "vivi e dei morti". Ancora, entrambe queste figure dell'Antico Testamento hanno avuto esperienze simili a quella di questo stesso episodio: Mosè chiede di vedere il Signore faccia a faccia, e Elia lo sente in una voce tranquilla (le esperienze sono raccontate nelle letture del Vespro della festa). Infine, questo strano discorso tra Cristo, Mosè ed Elia parla in modo premonitore della morte e risurrezione del Salvatore (il Vangelo di Luca vi fa un riferimento esplicito), e prepara i discepoli alle prove che li attendono a Gerusalemme.

Un altro elemento importante è dato dalle parole del Padre, che dicono "questi è il Figlio mio prediletto", e non questi è diventato il Figlio mio prediletto". Con queste parole, che ci fanno notare la qualità divina del Figlio, si confuta con forza l'arianesimo, e ogni eresia che voglia sostenere che Gesù Cristo non è il Verbo coeterno al Padre.

Il punto più importante della Trasfigurazione del Signore, tuttavia, è la promessa tacita ma estremamente importante su cui è costruita tutta la teologia ascetica ortodossa: la luce che emana da Cristo è la "luce increata", o la manifestazione visibile delle "energie increate" di Dio, di cui parlano i Padri, e di cui parteciperanno nell'ultimo giorno tutti coloro che ne sono degni. Con questa luce Cristo ci mostra quella natura divina per la cui partecipazione da parte nostra Egli ha accettato di assumere la nostra natura umana.

Ricordiamo come la luce si sia mostrata in un momento di preghiera (un altro punto che il Vangelo di Luca sottolinea) e che questa preghiera sia un momento di isolamento su di un monte, come ci capita più volte di veder fare al Signore. L'insegnamento dietro questa immagine è chiaro: è la preghiera, il cammino di purificazione dalle passioni e di illuminazione dell'anima, lo sforzo dell'ascesi che ci mettono in grado di sperimentare le energie increate di Dio. In Occidente, la scarsa importanza data alla trasfigurazione della natura umana ha portato a minimizzare e a perdere in gran parte le pratiche ascetiche del cristianesimo (quale, per esempio, il digiuno che stiamo compiendo in questi giorni), cadendo in una visione legalistica della salvezza. Lo stesso concetto di salvezza è visto in senso contrattuale, quasi limitandosi a una mancata punizione: il nostro compito, quali cristiani ortodossi che crescono nell'insegnamento della Trasfigurazione, è di realizzare e di insegnare che l'uomo può santificarsi con il contatto con le energie increate, e divenire partecipe della natura stessa di Dio.

Che il Signore ci aiuti nel nostro cammino di purificazione e di preghiera, a stare al cospetto della sua Luce increata.

Amen.  

 
Domenica 26 agosto 2001 (12a dopo Pentecoste) Il giovane ricco (Matteo 19:16-26)

Nel nome del Padre, e del Figlio, e del santo Spirito.

Oggi, nella dodicesima domenica dopo la Pentecoste, leggiamo l'episodio del giovane ricco. In questo giorno, facciamo anche memoria di uno dei più grandi e coraggiosi Padri della Chiesa, San Massimo il Confessore. In questa domenica, cade pure il Congedo, o Restituzione (in greco apodosi, in slavonico otdanie, in romeno odovania) della Festa della Trasfigurazione. Nel giorno del Congedo, che chiude il periodo della postfesta, si ripetono tutte le parti dell'Officio che si sono fatte nel giorno della festa vera e propria. La Tradizione della Chiesa assegna questi periodi di postfesta per ricordarci che le gioie spirituali non sono lampi di breve durata, ma esperienze intense che illuminano durevolmente la nostra vita.

Anche la storia del giovane ricco è un episodio di una certa intensità. Il brano è presente in tutti e tre i Vangeli sinottici, e ci mette di fronte a una domanda seria e importante (di fatto, LA domanda più seria e importante che possiamo farci come credenti): "che cosa posso fare di buono per ottenere la vita eterna?"

Il brano che leggiamo è quello del Vangelo di Matteo, che è l'unico a usare l'espressione "che cosa posso fare di buono"; Marco e Luca non si esprimono così, ma fanno invece iniziare la domanda con "Maestro buono...". La risposta del Signore è invece più simile in tutti e tre i passi, e ci lascia all'inizio un po' stupiti: "Perché mi interroghi su ciò che è buono?" (o "Perché mi chiami buono?"). Il Signore afferma che solo Dio è buono, e restringendo in questo modo il campo della bontà, rigetta l'immagine mondana che Egli è meramente un "uomo buono". Quante persone, quanti movimenti di pensiero, e persino quanti gruppi di sedicenti "cristiani" hanno ridotto Cristo a un "maestro buono", trascurando la sua pretesa di essere venuto a salvarci, cosa che solo Dio, "l'unico buono", può fare! Ma qui il Signore non ci lascia scappatoie: dicendo che solo Dio è buono, e poi aprendo al giovane la conoscenza dei tesori dei cieli, indicandogli la "sola cosa buona da fare", e presentando Se stesso come il modello da seguire, Gesù si rivela come Dio.

Il Signore non delude una persona che gli chiede che cosa è necessario per la salvezza, ma lo fa rispondendo a piccoli passi (la sua è una risposta in tre "gradini"), perché la salvezza stessa è una cosa che si acquisisce gradualmente: noi ci dobbiamo sforzare per ottenerla, non la acquistiamo al momento stesso in cui usciamo dal fonte battesimale.

Il giovane che fa questa domanda è serio, e secondo alcuni dei Santi Padri è una persona sincera nel suo desiderio di salvezza (San Giovanni Crisostomo lo paragona al "terreno fertile" della parabola del seminatore, e dalle parole del Vangelo di Marco sappiamo che il Signore "lo amò" per le risposte da lui date). Il suo problema, almeno agli inizi, è un'attitudine sbagliata nella sua stessa domanda. Egli chiede quale sia la singola "cosa buona" da fare, come se esistesse una scorciatoia, una "formula magica" per la salvezza che renda superflue tutte le altre cose. Per questo Gesù gli dice (nel primo "gradino" della sua risposta) di osservare i comandamenti, ovvero, in pratica, di fare tutto!

La seconda domanda del giovane, che chiede quali comandamenti, rivela ancora questo desiderio di trovare poche cose giuste che aprano subito la via della salvezza. Allora il Signore, nel secondo "gradino" della sua risposta, entra nei dettagli e gli ricorda i punti più specifici della Legge (e della vita cristiana): "Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso". Tutto questo non è la perfezione, ma è necessario perché la perfezione si manifesti. Il giovane, di nuovo, dimostra di essere sulla strada giusta, ma di non saper pensare abbastanza in grande, e di voler ancora rinchiudere Dio in una piccola formula comoda. Perciò, quando il giovane ammette (sinceramente) di avere seguito queste cose fin dalla gioventù, e chiede "che cosa mi manca ancora?", Cristo arriva al terzo "gradino" di risposta, e spiega in modo esplicito il passo decisivo verso la vita eterna: "Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi".

Il giovane ha ottenuto la risposta che voleva, ma questa non gli porta gioia né determinazione: se ne va triste, "poiché ha molte ricchezze". Rendere a Dio le ricchezze che Dio stesso gli ha donato non rientra nei suoi piccoli schemi. E questa è una terribile tragedia. Si tratta di un uomo sincero, di un uomo che desidera essere salvato; quest'uomo fa cose che molti altri non cercano neppure di fare, e tuttavia, volta le spalle alla salvezza. Il suo fallimento è dovuto al possesso, alle ricchezze: per questa causa, egli fa così tanto, e ottiene così poco.

Il denaro è menzionato molte volte, e con insistenza, nelle Sacre Scritture. Magari preferiremmo che così non fosse, perché si tratta di uno di quegli argomenti (come il sesso, il dolore, la morte...) sui quali non vogliamo troppo soffermarci, perché non è cosa su cui è piacevole riflettere. Ma il denaro ha un'enorme influenza sulle nostre vite, ed è per questo che le Scritture non possono non metterci in guardia. L'amore per il denaro, per il possesso, per le comodità che il denaro procura, per la "sicurezza" e i cosiddetti "progetti" per la vecchiaia, è una cosa che strangola la maggior parte dei cristiani (anche di quelli attivi nella Chiesa, perché la maggior parte delle nostre comunità vive preoccupazioni da scarsità di fondi). Ma così non dovrebbe essere.

Come cristiani, dovremmo mettere in pratica una legge più alta di quella contenuta nell'Antico Testamento. C'era nell'Antico Testamento una legge del pagamento della decima. Come cristiani dobbiamo anche noi seguire questa legge, ma non come un obbligo legalistico, bensì come un dono di libertà (purtroppo, quando qualcosa è lasciato alla nostra libertà e responsabilità, ci sarà sempre chi declina questo dono facendo un uso irresponsabile della propria libertà: è un prezzo da pagare perché la nostra libertà sia vera!). Dobbiamo fare anche di più di questo, e cercare un tesoro nei cieli nel modo indicato dal Signore: "Vendere tutto quello che abbiamo, e distribuirlo ai poveri". È San Luca, unico fra i tre evangelisti che riportano questo episodio, a usare la parola "distribuire", che significa disperdere i fondi con cura, intelligenza e discernimento, e non a casaccio. Non è corretto vendere qualcosa, dare il ricavato alla prima persona che bussa alla nostra porta, e dire "Va bene, ho compiuto il mio dovere cristiano". Il nostro dovere è usare in modo saggio le sostanze che Dio ci ha dato.

Il Beato Teofilatto di Bulgaria (uno dei più celebri commentatori ortodossi delle Sacre Scritture) fa una distinzione tra un "amministratore" e un "ricco". Un ricco è uno che ha fondi, proprietà, terre, case, e non dà a nessuno. Si tratta di un ladro, perché ruba ai poveri. Anche un amministratore ha fondi, denaro, terre e case, ma ha anche misericordia, e distribuisce ricchezze ai poveri. In tal modo compie la volontà di Dio.

La Chiesa non ha mai considerato le ricchezze come qualcosa di malvagio in sé, ma ci mette sempre in guardia contro l'attaccamento alle ricchezze, che può accecare la maggior parte dei cristiani alle cose spirituali. Oggi questo è più vero che mai: nelle nostre città, anche le persone più povere hanno comodità materiali che un tempo non riuscivano a permettersi neppure i re. Pensate al cibo, ai mezzi di trasporto, ai divertimenti, alla tecnologia. E tutto questo rischia di farci dimenticare di Dio.

Alla luce degli insegnamenti del Vangelo di oggi, esaminiamo la nostra vita. Per prima cosa chiediamoci se seguiamo i comandamenti. Forse già in questo campo avremo qualcosa da cambiare nella nostra vita! Ma anche se possiamo rispondere sinceramente, come il giovane ricco, che non rubiamo, non testimoniamo il falso, e così via, allora non dobbiamo scordarci che esiste una legge superiore: essere perfetti! Ed è lo scopo della nostra vita, perché è l'unione con Cristo che ci rende partecipi della vita eterna.

Dovremmo guardare attentamente nella nostra vita, e vedere se c'è qualcosa in cui non siamo perfetti. Con il Vangelo di oggi in mente, chiediamoci se non siamo perfetti in termini di denaro, di possesso, di amore per le comodità, e di eccessiva preoccupazione per la sicurezza futura. Dobbiamo esaminare la nostra propensità ad acquistare cose di cui non abbiamo un vero bisogno. Guardiamoci intorno: vediamo facilmente quante cose non ci servono quando cambiamo casa. Non sono forse molte le cose che buttiamo via o che lasciamo indietro? Ebbene, è un peccato terribile circondarci di cose di cui non abbiamo bisogno: tutte queste cose rappresentano il nostro furto ai poveri. Anche nei divertimenti (e nella nostra epoca questo è quanto mai generalizzato) noi sottraiamo denaro ai poveri: quanti pranzi, quanti spettacoli, quante "vacanze", quanti piani superflui per il futuro, quanta preoccupazione esagerata per la nostra sicurezza: in queste cose, finiamo in ultima analisi per impoverire noi stessi.

San Cosma d'Etolia, il grande martire e predicatore del XVIII secolo, disse, "Se ho bisogno di 100 grammi di pane al giorno, Dio li benedice, ma non un grammo di più. Così, se ne mangio 110 grammi, ne ho rubati 10 ai poveri." E queste sono parole molto semplici, non vi sembra? Se guardiamo con attenzione alla nostra vita, vedremo che falliamo ripetutamente questa prova. La maggior parte di noi non è in grado di fermarsi nel proprio desiderio sfrenato di comodità, piacere, divertimento, e così via. Non abbiamo abbastanza fede: non siamo in grado di fidarci di Dio.

Possiamo incominciare con qualcosa di base. Più volte vi ho suggerito di tenere i digiuni, di venire in chiesa (anche alla Veglia, e non solo alla Liturgia della domenica), di confessarvi con più frequenza, di ricevere con più frequenza la Santa Comunione, e di pregare più spesso. Se non sappiamo fare queste cose, non possiamo neppure muovere i primi passi nella vita cristiana. E anche se seguite questi suggerimenti avrete ancora problemi con i peccati, ma almeno avrete qualcosa che vi sostiene e che vi aiuta: è Dio stesso che ci protegge quando ci sforziamo di vivere una vita cristiana.

Allo stesso modo, è importante saper donare parte delle nostre sostanze a Dio. È una cosa importante quanto la preghiera (e di fatto, "preghiera ed elemosina" sono spesso menzionate insieme nelle Scritture). Si tratta di una cosa richiesta da Dio stesso. Se non offriamo al Signore una decima parte dei nostri averi, non stiamo facendo neppure il minimo. E se non lo facciamo, ci inganniamo, e mettiamo in pericolo la nostra vita spirituale. Tuttavia, la Chiesa non ci forza a questa forma di pagamento, perché è una cosa che deve venire liberamente dal nostro cuore. E anche se all'inizio doneremo con sospetto, o con la mano un po' chiusa, lo Spirito Santo aprirà il nostro cuore e ci farà comprendere la gioia che viene da un'obbedienza libera e responsabile.

Vi sembra di avere dei problemi a pagare la decima? Si tratta solo della lista delle vostre priorità! Se dite "ho da pagare per la casa, l'automobile, etc.... e non ho abbastanza denaro per la Chiesa", questo significa che Dio ha nella vostra vita un posto meno importante di quello della casa e dell'auto... e non dovete stupirvi, poi, se Dio vi sembra tanto lontano: a volte ci adoperiamo così tanto per tenerlo fuori delle nostre vite!

Eppure non è solo per obbedienza, per seguire la Legge, che dovremmo donare, ma per il PRIVILEGIO di partecipare alla santità, alla vita della Chiesa. E non solo per noi: ogni offerta che facciamo aiuta la Chiesa a compiere la sua missione, a portare la presenza di Cristo nella vita di tante persone. È davvero una tragedia quando menziono la nostra chiesa in giro, e tanti mi dicono: "una chiesa ortodossa russa a Torino? Non ne avevo mai sentito parlare!" E dire che esistiamo come comunità da tanti anni! Senza il contributo di ciascuno di noi, l'opera dell'evangelizzazione è impedita da uno di quei peccati "quieti", invisibili agli altri, e perfino a noi stessi.

Cerchiamo di non essere come il ricco di questo brano: noi non siamo immuni dalla sua stessa tentazione, che gli fece voltare le spalle alla salvezza (anche se aveva virtù, zelo, rispetto per la legge, e un desiderio di perfezione). Se non stiamo dando a Dio quanto gli è dovuto, iniziamo a farlo adesso, perché altrimenti mettiamo noi stessi in pericolo. Non permettiamo alla nostra vita spirituale di appassire a causa di una cosa tanto sciocca quanto l'attaccamento al denaro. E che il Signore ci aiuti a costituire un tesoro nei cieli, e a seguirlo verso la salvezza.

Amen.  

 
Domenica 2 settembre 2001 (13a dopo Pentecoste) La parabola dei vignaioli omicidi (Matteo 21:33-44)

Nel nome del Padre, e del Figlio, e del santo Spirito.

La parabola dei vignaioli omicidi, che la Chiesa assegna alla tredicesima domenica dopo la Pentecoste, appare in tutti e tre i Vangeli sinottici. Il brano che abbiamo letto è quello del Vangelo Secondo Matteo (al capitolo 21). In questa storia strana, ricca di simboli e di tensione drammatica, si racconta con minuzia di dettagli la preparazione di un terreno, e tre diversi episodi in cui i lavoratori assegnati ad avere cura del terreno maltrattano gli emissari del loro padrone. Nell'ultimo dei tre incidenti, è il figlio stesso del padrone a essere gettato fuori della vigna e ucciso.

La storia è presentata come una condanna a quegli ebrei che presto avrebbero rifiutato il Messia (e di fatto, alla conclusione del brano, si sente serpeggiare l'ira dei sacerdoti e dei farisei, che capiscono che la parabola riguarda loro stessi); come accade nei passi del Vangelo, tuttavia, ci sono molti altri significati racchiusi in queste parole. Ricordiamoci anzitutto che c'è in gioco la nostra salvezza, e c'è sempre un significato delle parole del Vangelo che illustra direttamente il processo della salvezza. Qui lo scopo della parabola, ovvero l'aspettativa del padrone della vigna, non è nient'altro che la crescita dei beni che Dio ci ha dato, o che ha "piantato" in noi.

In questo racconto, il padrone della vigna è indubbiamente Dio. La vigna, nell'interpretazione che i sacerdoti e i farisei colgono subito, è il popolo di Israele, guidato da capi disonesti, che invano il Signore cerca di avvertire inviando i suoi profeti, e in ultimo il proprio stesso Figlio. Con la venuta del Messia, possiamo ora vedere anche la Chiesa come vigna, o popolo, del Signore. Ma in una visione più interiore dei simboli di questo racconto, la vigna rappresenta noi stessi, forniti di tutto il necessario per la salvezza tramite il battesimo e la molteplice e continua misericordia di Dio, nonché, come dice il Beato Teofilatto nel commentario a Luca 20:9-16, "responsabili della coltivazione di noi stessi".

Matteo, più di Marco e Luca, insiste nel suo racconto sui particolari della costruzione della vigna: il padrone "piantò una vigna e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre" (Mt 21:33) Tutti questi dettagli hanno qualcosa da dirci. Una siepe di recinzione viene di solito piantata per proteggere un terreno dagli animali predatori e dai ladri. Questa era la funzione della Legge, che proteggeva il popolo ebraico dalla contaminazione pagana dell'idolatria. Secondo un'altra interpretazione che ci danno i Padri la siepe rappresenta gli angeli, che custodivano Israele. In entrambi i casi, la siepe protegge quanti credono in Dio in modo corretto, e lo adorano in Spirito e verità. Un simbolo simile è il fianco di una nave, che protegge i marinai dalle tempeste (anche l'arca e le navi, così come la vigna, sono forti simboli della Chiesa).

Il frantoio, che era usato come pressa per i grappoli d'uva, è visto come simbolo dell'altare, che era tanto essenziale nel culto e nei sacrifici ebraici, e che prefigurava, con il sangue degli animali sacrificali, il Sangue redentore di Gesù Cristo. Oggi l'altare è ancor più importante per noi, dato che da esso ci viene data in nutrimento la "medicina dell'immortalità" (la Santa Eucaristia). La torre (che nell'usanza ebraica conteneva il frantoio e il magazzino dell'uva e del vino) è il Tempio: si tratta del luogo in cui il lavoro della vigna trova il suo compimento, e nel quale i lavoratori ricevono ristoro e protezione.

Tutta la preparazione della vigna è fatta dal padrone: i vignaioli sono lasciati responsabili della vigna DOPO che questa è stata piantata. Succede lo stesso nella vita cristiana. Dio si rivela a noi attraverso la sua misericordia, e ci dona tutto il necessario per la nostra salvezza. Non dobbiamo appropriarci il credito delle cose che ci sono date, poiché "Per questa grazia infatti siete salvi mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene" (Ef 2:8-9). Tuttavia, dopo che ci è donata la grazia del battesimo, dobbiamo prenderci cura della vigna, vale a dire, compiere il proposito per cui Dio ci ha creati: "Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo" (Ef 2:10).

Anche i vignaioli possono essere interpretati in due modi. I primi vignaioli sono gli insegnanti del popolo ebraico, gli scribi e i farisei (che del resto si riconoscono subito nel racconto del Signore). Ai nostri tempi, i vignaioli sono i pastori della Chiesa, i vescovi, i preti che rappresentano i vescovi nelle parrocchie, e tutti i cristiani che credono e agiscono rettamente.

Dopo che la vigna è stata affidata ai vignaioli, il padrone va "in un paese lontano". C'è sempre un profondo significato in questi spostamenti: pensate, per esempio, a quanto è importante il senso del "paese lontano" nella parabola del figliol prodigo, in cui l'allontanamento significa l'abbandono della virtù. In questo caso, però, è Dio stesso ad allontanarsi, e questo può far pensare che Egli voglia abbandonare il suo popolo. Tutt'altro: come si vede in seguito, ogni istante riflette la preoccupazione del padrone per la sua vigna. Ma Egli agisce sempre attraverso intermediari, e in questo si manifesta il grande mistero dell'amore e della pazienza di Dio, che aspetta il nostro pentimento senza intimidirci con una sua presenza potente o schiacciante. Se sappiamo usare bene il tempo che il Signore ci dà proprio quando Egli sembra più lontano da noi, allora sapremo anche trarre frutto dalla libertà di azione che ci ha donato.

Conoscendo la nostra debolezza, tuttavia, Dio ci manda anche altri stimoli a seguirlo, attraverso persone che parlano a suo nome (è questo il senso più autentico della parola "profeti"). Ecco il senso dei servitori che vengono inviati a più riprese a reclamare i frutti della vigna per conto del padrone. Essi arrivano "quando è il tempo dei frutti", e di fatto l'intera era dei profeti era un periodo in cui si predicava l'arrivo imminente del Messia e la prossima redenzione dell'uomo. Le sventure a cui vanno incontro i profeti sono ben note (pensiamo a Isaia segato in due, a Geremia malmenato e gettato in un pozzo, a Elia inseguito dai cani da caccia, a Zaccaria ucciso tra il tempio e l'altare): La Lettera agli Ebrei, al capitolo 11, ne offre un resoconto drammatico.

Alla fine, il messaggio dei profeti (in questa parabola, così come nella storia della salvezza) si compendia nella venuta del Figlio unigenito di Dio. Nella parabola, Gesù profetizza la sua stessa morte parlando della morte del figlio "cacciato fuori" dalla vigna (il Signore fu crocifisso fuori delle mura di Gerusalemme). Può sembrare strano che il padrone della vigna (che dopotutto è Dio, e ci si aspetta che conosca il cuore degli uomini) si ponga una domanda sull'efficacia del ruolo del figlio, e addirittura (nel Vangelo di Luca) mostri incertezza: ma questo dubbio apparente vuole insegnarci che Dio ci dà piena libertà di scelta, e la sua conoscenza anticipata delle cose non è la causa della nostra disubbidienza (Beato Teofilatto, Commentario su Luca 20:9-16). Questa forma letteraria si trova presto nelle Scritture.

La parabola si chiude con una profezia sul fato dei vignaioli omicidi, che nel caso dei sacerdoti e dei farisei si compì esattamente trentacinque anni dopo quello stesso giorno, quando Tito distrusse la "vigna" di Gerusalemme. La vigna del popolo di Dio fu passata quindi ad altri vignaioli, i pastori e i fedeli della nostra Chiesa. Ancora oggi, cari fratelli e sorelle, spetta a ciascuno di noi il compito di custodire la vigna del Signore e portare i frutti che sono stati seminati in noi al momento del battesimo.

Al termine del brano del Vangelo c'è una citazione, in cui Cristo parla di se stesso:

La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d'angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri? (Salmo 117:22-23)

Questi due versi sono letti spesso in Chiesa (nella maggior parte degli offici del Mattutino, al canto antifonale di "Dio è il Signore". Una testata d'angolo è la pietra più solida si un edificio, che tiene in piedi assieme due muri. Nella comprensione della Chiesa, Cristo è la pietra angolare che tiene assieme i "muri" degli ebrei e dei gentili. Rifiutando Cristo come pietra angolare, gli scribi e i farisei (di ogni epoca) perdono il Regno di Dio, che viene dato ad altri.

"Chi cadrà sopra questa pietra sarà sfracellato; e qualora essa cada su qualcuno, lo stritolerà" (Mt 21:44) Questa promessa è terribile e al tempo stesso enigmatica. La profezia di distruzione, da una parte, è rivolta direttamente agli ebrei, realizzandosi alla vista di tutti nella distruzione di Gerusalemme. L'altro aspetto della profezia riguarda tutti coloro che incontrano Cristo, e indica la perdita totale di un'anima che rifiuta di credere in lui: la prima parte del verso parla tuttavia del processo di redenzione dei peccatori, come dice San Girolamo:

"Chiunque pecca, ma crede in lui, cade invero su una pietra e si spezza, ma non viene distrutto del tutto, bensì è custodito per la salvezza attraverso la perseveranza. Ma su chiunque cade la pietra, ovvero chiunque assale questa pietra negando completamente Cristo, essa lo stritolerà in tal modo, che non rimanga in lui un osso da cui poter trarre una goccia d'acqua."

Chiediamo a Dio, mentre si avvicina il "tempo dei frutti" della nostra vita, di saper riconoscere sempre la pietra d'angolo su cui è costituita la nostra esistenza e la nostra felicità.

Amen.

 
La risurrezione di Gesù Cristo e i miti dei culti misterici

Nel corso degli ultimi secoli, molti studiosi hanno affermato che la Chiesa primitiva ha preso in prestito le sue forme di culto, la sua pietà e i suoi miti da religioni "pagane" che l'hanno preceduta. Con l'avvento di internet, la "moda" e il sensazionalismo hanno preso il posto degli studi accademici, ma la verità è che questa tesi ha causato dubbi e preoccupazioni a molte persone. Molti citano diverse fonti di non credenti, che sostengono tutti che Cristo è solo un altro mito, che la sua "storia" è proprio come la storia di altre divinità pagane, e che il cristianesimo deve quindi essere respinto in quanto menzogna.

Mentre molte di questi affermazioni di oggi sono semplicemente inventate dal nulla e sono popolarizzate dalla combinazione di una diffusa ignoranza e dell'ascesa dei social media - ci sono alcuni miti che hanno una somiglianza con la vita di Cristo, cioè, almeno a prima vista.

Una delle migliori risposte a queste affermazioni si può trovare nelle opere accademiche di N.T. Wright, ex vescovo di Durham nella Chiesa d'Inghilterra. La sua opera monumentale La risurrezione del Figlio di Dio (The Resurrection of the Son of God) è il primo esempio di questo tipo di risposta, ed è forse una delle opere più ampiamente studiate in materia. Ad esempio, in quel libro egli scrive:

Da tempi molto antichi, in Egitto e altrove, alcune delle grandi religioni hanno incentrato i loro simboli, storie e prassi sui cicli della natura, e sugli dei e le dee che secondo queste religioni mettevano in moto questi cicli in se stessi. Emersero, dunque, a poco a poco e con fin troppe variazioni per poterle anche solo elencare, i noti dei e dee morti e risorti del Vicino Oriente antico.

N.T. Wright, The Resurrection of the Son of God, p. 80

In altre parole, l'associazione di dei e dee con la "rinascita" era intimamente legato al concetto di "rinascita" della natura e del ciclo delle stagioni. La rinascita di dei e dee era una metafora per il movimento delle stagioni dalla semina al raccolto.

Wright continua:

La lista è impressionante, ed evoca secoli di usanze che si sono sviluppate, intrecciate, combinate insieme, separate e ricombinate di nuovo, e che hanno dato forma e significato alla vita di milioni di persone su una vasta area geografica: Adone, Attis, Iside e Osiride, Dioniso, Demetra e Persefone, re e regine del frumento a profusione e, nel selvaggio nord, Balder il bello, figlio del grande dio Odino.

Ibid., p. 80

Al centro dei culti era la rievocazione rituale della morte e della rinascita del dio, insieme con vari riti di fertilità. Era in gioco la produttività dell'anima, e della tribù o della nazione; entrando in contatto con le forze misteriose alla base del mondo naturale, con la loro rievocazione simpatica e simbolica, si sperava di garantire sia il raccolto che la prole. Il mito che ha accompagnato questi rituali era davvero la storia della risurrezione, della vita nuova di là della morte.

Ibid., p. 80

Ancora una volta, lo scopo di questi culti e dei loro "rituali" era quello di garantire - o meglio, di cercare di assicurare - che le messi fossero abbondanti al momento del raccolto. Il movimento di questi "dei" e "dee" dalla vita alla morte era simbolico, e intimamente connesso con la vita e la morte dei raccolti (e della prole).

Questo, naturalmente, pone la domanda: Che cosa ha a che fare tutto questo con la risurrezione di Gesù Cristo come Figlio unigenito di Dio Padre?

La risurrezione di Cristo certamente suggerisce la rinascita o rigenerazione del cosmo, come vari santi hanno sostenuto nel corso dei secoli. Tuttavia, che dire della risurrezione corporale dell'umanità? O che dire della vittoria della morte per mezzo della morte, e l'unione dell'umanità con la divinità (Theosis)? A tal fine, i culti misterici di cui sopra non hanno nulla in comune con la teologia cristiana né con la risurrezione di Gesù Cristo.

Wright sintetizza:

Possiamo dire che un qualsiasi fedele di questi culti, dall'Egitto alla Norvegia, in qualsiasi momento dell'antichità, abbia pensato che gli esseri umani reali, una volta morto, tornino in realtà a vivere? Certo che no. Questi culti molteplici e sofisticati rivivevano simbolicamente la morte e la risurrezione del dio come una metafora, il cui riferimento concreto era il ciclo della semina e del raccolto, della riproduzione umana e della fertilità. A volte, come in Egitto, i miti e i riti includevano pratiche funerarie: l'aspirazione dei morti era quella di unirsi con Osiride. Ma la nuova vita che avrebbero sperimentato in tal modo non era un ritorno alla vita del mondo attuale.

Ibid., p. 80

Ci sono alcuni altri punti, in conclusione, che si possono sottolineare in merito a questi sforzi di "religione comparata".

In primo luogo, la Chiesa nasce dal giudaismo in un periodo di grande influenza ellenistica. Anche in questo caso, non vi era "alcun segno di dei e dee morti e risorti all'interno del mondo ebraico." La risurrezione nel giudaismo del secondo tempio non era focalizzata su qualcosa che sarebbe successo al loro Dio, "né era una cosa che sarebbe capitata più e più volte, sarebbe stata un singolo evento irripetibile" (Ibid., p 81.). Questo è decisamente diverso e si contraddistingue dai motivi di "rinascita" dei culti misterici pagani (la cui idea di rinascita era ciclica e intimamente connessa con il trascorrere delle stagioni annuali e dei raccolti).

In secondo luogo, e cosa forse più importante:

Quando i cristiani parlavano della risurrezione di Gesù, non supponevano che fosse qualcosa che accadeva ogni anno, con la semina delle sementi e la raccolta delle colture... potevano celebrare la morte di Gesù spezzando il pane, ma confondere questo con il mondo degli dèi morti e risorti sarebbe un grave errore... (il pane, dobbiamo notare, non è la stessa cosa del frumento).

Ibid., p. 81

La risurrezione dei morti sarà un evento unico, alla fine dei tempi. Non è un ciclo di rinascita per l'abbondanza di cibo e bambini, si tratta della rinascita dei vivi e dei morti alla vita eterna o alla sofferenza eterna. La risurrezione per mezzo di Gesù Cristo, non è una questione di colture o di fertilità femminile, ma della giusta impostazione dell'intero universo. Qualsiasi affermazione che la Chiesa ha "preso in prestito" il motivo della risurrezione dai culti misterici pagani è insostenibile.

Quando Paolo ha predicato ad Atene, nessuno ha detto: "Ah, sì, una nuova versione di Osiride o cose simili". Tra loro rimaneva in vigore l'ipotesi omerica: qualunque cosa possano fare gli dèi - o le colture -, gli esseri umani non risorgono dai morti... La strada per il mondo sotterraneo è a senso unico.

Ibid., p. 81

 
I miracoli nella vita di san Patrizio

Il giorno di San Patrizio è l'unica festa nazionale che viene regolarmente e continuamente celebrata oltre i confini della nazione da cui ha avuto origine. La vita e il ministero di questo uomo sono stati così straordinari da diventare una fonte di ispirazione per le persone di tutto il mondo.

Patrizio è oggi ricordato come il santo che ha scacciato i serpenti dall'Irlanda (non ci sono serpenti in Irlanda, fino a oggi), anche se alcuni che negano che ci siano mai stati serpenti in Irlanda dicono che i "serpenti" scacciati da Patrizio erano i druidi, i sacerdoti occulti del popolo celtico, e la sua reputazione di avere liberato l'isola dai serpenti è un modo velato per dire che scacciò i pagani e convertì l'Irlanda al cristianesimo. San Patrizio è ricordato anche come l'insegnante che ha usato il trifoglio per spiegare la Trinità.

Ciò che è meno noto è che Patrizio era un leader apostolico di grande coraggio che dimostrò con segni e prodigi agli irlandesi, intrisi di paganesimo, magia e occultismo, che la potenza di Cristo era ancor più grande.

Patrizio era radicato in Dio, amava la Sacra Scrittura, e si impegnava in continua preghiera. Metteva regolarmente in pratica il dono profetico di ascoltare Dio nei sogni e nelle visioni.

Patrizio ebbe numerosi sogni che riteneva messaggi personali da parte di Dio. Aveva un profondo senso di intimo coinvolgimento di Dio nella sua vita. "Ho conosciuto Dio come la mia autorità, poiché egli conosce tutte le cose ancor prima che vengano fatte", scrisse. "Mi avvertiva spesso di molte cose con la sua divina risposta".

Per esempio, Patrizio ricevette la sua chiamata a evangelizzare l'Irlanda per mezzo di una dettagliata visione non dissimile da quella dell'apostolo Paolo a Troade, in cui un macedone lo supplicò, "aiutateci!" "Ho avuto una visione nei miei sogni di un uomo che sembrava provenire dall'Irlanda", scrisse Patrizio. "...E i sogni si misero a gridare come con una sola voce, 'Ci appelliamo a te, santo servitore, vieni e cammina in mezzo a noi'. Fui profondamente commosso nel cuore e non potevo proseguire, quindi mi svegliai".

Gran parte dell'Irlanda era molto oscura e barbarica nel quinto secolo dopo Cristo; una terra di druidi e pagani. Una predicazione del cristianesimo non aveva ancora raggiunto l'Irlanda settentrionale e occidentale, quindi è da qui che Patrizio ha cominciato.

È interessante notare che Patrizio non ha cercato di convincere gli irlandesi a negare la loro credenza nell'esistenza del soprannaturale. Come uno storico scrive: "Se il cristianesimo fosse venuto in Irlanda solo con dottrine teologiche, la speranza della vita immortale, e idee etiche, senza miracoli, misteri e riti – non avrebbe potuto mai vincere il cuore celtico". ("perché il Regno di Dio non viene con parole, ma con potenza", 1 Cor 4:20)

Invece egli convinse gli irlandesi della natura demoniaca dei poteri con cui erano familiari, e della potenza straordinaria di Cristo. Usò le Scritture per definire questi poteri come demoni. ("Per noi la lotta infatti non è contro il sangue e la carne, ma contro i principati, contro le potestà, contro i dominatori delle tenebre di questa era, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti", Ef 6:12)

La riverenza irlandese per le vecchie divinità fu trasformata in odio per i demoni. Com'era prevedibile, Patrick affrontò la maggiore opposizione dai druidi, che praticavano la magia, ed erano i consiglieri dei re irlandesi. Abbondano le storie di druidi che "volevano uccidere san Patrizio". Patrizio scrisse, "Mi aspetto ogni giorno omicidio, frode o prigionia, ma non temo nessuna di queste cose a causa delle promesse del cielo. Ho posto me stesso nelle mani di Dio onnipotente, che regna ovunque".

Scontri con demoni e druidi

Patrizio era pienamente consapevole, come i celti, che il potere dei druidi era reale, ma portava l'annuncio di un potere più forte. Ci sono nella sua vita numerose storie di scontri tra la potenza di Dio e il potere delle tenebre. Qui ce ne sono solo alcune.

Un biografo dalla fine del VII secolo, Muirchoe, descrive Patrizio che a Tara sfida i druidi a competizioni, in cui ciascuna parte cercava di superare l'altra nel fare miracoli davanti al pubblico, cosa che ricorda Elia e i profeti di Baal sul monte Carmelo (1 Re 18).

"C'era un'usanza di mettere a morte chiunque accendeva un fuoco davanti al re in una certa notte dell'anno [la veglia pasquale]. Patrizio accese il fuoco pasquale davanti al re sulla collina di Slane. La gente vide il fuoco di Patrizio in tutta la pianura, così il re ordinò a 27 carri di andare a catturarlo...

Vedendo che gli empi pagani stavano per attaccarlo, Patrizio si alzò e disse chiaramente e ad alta voce, 'Che Dio si faccia avanti per disperdere i suoi nemici, e quelli che lo odiano fuggano davanti al suo volto'. Per un disastro causato dalla maledizione di Patrizio di fonte all'ordine del re, sette volte sette uomini morirono... E il re, spinto dalla paura, venne a piegare le ginocchia davanti al sant'uomo.

[Il giorno dopo], in una manifestazione di magia, un druido invocò i demoni e produsse una nebbia scura sopra la terra. Patrizio disse al druido 'fa' che la nebbia si disperda'. Ma lui non fu in grado di farlo. Patrizio pregò e diede la sua benedizione, e improvvisamente la nebbia si schiarì e il sole brillò... E attraverso le preghiere di Patrizio fiamme di fuoco consumarono il druido. Il re convocò il suo consiglio e disse: 'È meglio per me credere che morire'. E credette, come fecero molti altri quel giorno".

In un'altra occasione, Patrizio era consapevole che c'era un agguato per cercare di uccidere lui e il suo gruppo in viaggio verso la corte del re. Fu durante la marcia che cantarono la sacra Lorica o Grido del Cervo - più tardi conosciuta come Corazza di san Patrizio, che recita in parte :

"Invoco oggi tutti questi poteri... contro ogni potere crudele e spietato che può opporsi al mio corpo e alla mia anima, contro le stregonerie dei falsi profeti, contro le leggi nere del paganesimo, contro le leggi false degli eretici, contro la pratica dell'idolatria, contro gli incantesimi delle streghe, dei fabbri e dei maghi, contro ogni conoscenza che mette in pericolo il corpo e l'anima dell'uomo. Cristo mi protegga contro l'avvelenamento, contro il fuoco, contro l'annegamento, contro le ferite, perché possa venire abbondanza in ricompensa....

Cristo con me, Cristo davanti a me, Cristo dietro di me, Cristo in me, Cristo sotto di me, Cristo sopra di me, Cristo alla mia destra, Cristo alla mia sinistra, Cristo in larghezza, Cristo in lunghezza, Cristo in altezza, Cristo nel cuore di ogni uomo che mi pensa, Cristo in bocca di ogni uomo che parla di me, Cristo in ogni occhio che mi guarda, Cristo in ogni orecchio che mi ascolta".

La storia racconta che i druidi che giacevano nascosti, e pronti a uccidere, non videro Patrizio e i suoi uomini, ma, invece, una mite cerva seguita da una ventina di cerbiatti. San Patrizio e i suoi uomini furono salvati.

Durante la sua vita (ha vissuto oltre i 70 anni) a Patrizio è attribuita la fondazione di più di 300 chiese e il battesimo di più di 120.000 persone. Egli fu il responsabile della conversione del popolo irlandese al cristianesimo, e divenne noto come l'apostolo degli irlandesi. Mentre evangelizzava l'Irlanda, la sua influenza si è espansa alla fine in tutta l'Europa, e la sua giornata si celebra il 17/30 marzo in molti luoghi in tutto il mondo.

 
La Lavra delle Grotte di Kiev e i suoi santi

Una lettura per la famiglia

Nel centro di Kiev c'è un grande monastero: la Lavra delle Grotte di Kiev, dedicata alla Dormizione. Sulla riva del fiume Dnepr ci sono bellissime chiese, magnifici palazzi, giardini e sentieri di antica pietra lastricata. Ma il cuore del monastero si trova... sotto terra. Per una buona ragione è chiamato Lavra - cioè monastero - delle Grotte. Qui, sotto le alte colline in riva al Dnepr si trova un labirinto di stretti corridoi (che non sono abbastanza larghi per due persone). Chi lo desidera vi può entrare. Tuttavia, si dovrebbe portare con sé una candela, perché laggiù è molto scuro, e regna un buio talvolta assoluto.

Qui, nelle grotte, è conservato fino a ora il tesoro più importante del monastero. Solo che non si tratta di monete d'oro né di pietre preziose, e neppure di costosi arredi di chiesa. Si tratta di persone sante. Alle pareti di tutto il labirinto sotterraneo si trovano le reliquie (1) dei santi di Kiev - dal IX al XX secolo. Quasi tutti nel corso della loro vita sono stati associati alla Lavra delle Grotte di Kiev.

Ma i primi di loro sono stati santificati anche prima del Battesimo della Rus'...

I santi vichinghi

Nel cuore dell'antica Kiev la folla faceva rumore. I soldati, il seguito del principe, i cittadini comuni e, naturalmente, i sacerdoti, ministri degli antichi dèi Perun e Veles. Le persone stanno intorno a una robusta casa di legno e con rabbia urlano qualcosa al proprietario, in piedi sulla porta, ma non osano avvicinarsi. Sanno bene di cosa è capace con una spada in mano.

Il proprietario della casa - Tur - è del popolo vichingo, o come si diceva allora, variago - i severi guerrieri dalle fredde coste del mar Baltico. Abituati a combattere fin da bambini, amano la vita in battaglia, seminando tra i nemici orrore e disperazione. Anche ora, per quanto gli assedianti fossero ricolmi di rabbia, ancora nessuno osa venire alla porta di casa.

E il motivo della loro rabbia è che quell'abile guerriero della guardia del principe si è schierato non contro il principe... ma contro gli dei!

Naturalmente, in questi ultimi anni tra gli abitanti di Kiev hanno cominciato ad apparire sempre più cristiani; anche la nonna dell'attuale duca Vladimir, la principessa Olga, era cristiana. E anche il fratello del principe, si dice, crede in Cristo. Ma la credenza pagana indebolita sta di nuovo guadagnando slancio! Il principe Vladimir se ne è occupato. Su suo ordine, nel centro della città, è stato eretto un idolo del dio supremo Perun, ed i sacerdoti hanno parlato delle antiche tradizioni: è il momento di placare davvero gli dei e offrire loro un sacrificio umano.

Gli annali hanno conservato fino ai nostri giorni il  racconto di quest'evento: "E dissero agli anziani e ai nobili: 'Gettiamo la sorte su giovani e fanciulle, e quello sui cui cade, lo offriremo in sacrificio agli dei'."

La sorte cadde sul figlio della guardia del principe, Tur il variago. Tutti si aspettavano che lui non si sarebbe opposto a tale soluzione. I vichinghi infatti veneravano molto i loro dèi - Thor e Odino - belligeranti e spietati. E anch'essi richiedevano le stesse offerte a coloro che li adoravano. E per questo nessun vichingo avrebbe rifiutato un tale onore - sacrificare il suo erede, se gli dei lo esigevano...

Ma quando sentì che il figlio, Giovanni, era stato estratto a sorte, Tur rise:

- Quelli non sono dei, ma pezzi di legno! Oggi ci sono e domani saranno marciti. Vi è un solo Dio. Egli ha creato i cieli e la terra, le stelle, la luna e il sole. Egli ha creato anche l'uomo per farlo vivere sulla terra. E questi dèi che cosa hanno creato? Si sono creati da soli. Non darò mio figlio ai demoni.

Che notizia! L'impavido guerriero vichingo era un cristiano? Certo, aveva vissuto per un lungo periodo a Bisanzio, dove aveva prestato servizio nell'esercito dell'imperatore, dove molti vichinghi si erano convertiti al cristianesimo... Ma in qualche modo non riuscivano ancora a crederci. Anche questo era una sorpresa: Tur aveva preso un nuovo nome, un nome cristiano - Teodoro, e suo figlio era stato battezzato con il nome cristiano Giovanni.

La folla andò all'assalto. Una volta, due volte ... Ma il padre con una spada in mano non consegnava suo figlio agli aggressori. Chi diceva che il cristianesimo era una credenza da deboli? Teodoro aveva preso la decisione di sacrificare se stesso per proteggere suo figlio, oppure di morire con lui. E in un combattimento leale era difficile che la folla vincesse.

Allora ricorsero all'astuzia... La casa di Teodoro si reggeva su pilastri. Gli avversari li trassero via, e la casa crollò, seppellendo i suoi due vichinghi - padre e figlio, che divennero i primi martiri cristiani della Rus'.

Dov'era in quel momento il principe Vladimir di Kiev? Questo non è noto. Ma la morte eroica del suo fedele soldato, che non ha dato il suo figlio in balia dei sacerdoti, sicuramente ha scosso il principe. Sempre più, da quel momento, il principe cominciò a pensare di scegliere una fede diversa, di rinunciare ai sacrifici cruenti. Ma ci sono voluti altri dieci anni prima che facesse la scelta. Il principe Vladimir stesso fu battezzato, e abbatté di sua mano l'idolo di Perun, gettandolo nel Dnepr. Presso il sito della morte di Teodoro e Giovanni, in segno di pentimento, egli costruì la prima chiesa a Kiev, chiamata la chiesa della decima...

All'inizio del XX secolo nel centro della città sono stati fatti scavi archeologici. Kiev era stata devastata molte volte, e incendiata - quasi nessun edificio del tempo del principe Vladimir, anche di quelli in pietra, è sopravvissuto. Neppure la chiesa della decima è rimasta in piedi. Ma tra le sue fondamenta in rovina gli archeologi hanno trovato i resti conservati di una semplice casa di legno su pilastri.

Può essere una coincidenza, o forse qualcosa di più. Dopo tutto, anche le reliquie dei sui padroni, i santi vichinghi Teodoro e Giovanni, sono state sepolte fino a oggi nella Lavra delle Grotte di Kiev.

 

Martirio dei santi Teodoro il variago e suo figlio Giovanni

 

Santo principe Vladimiro, pari agli apostoli

 

Antonio - il padre del monachesimo russo

Andiamo avanti di pochi decenni. Si sente ancora il rumore di Kiev sulle rive del Dnepr. Ora è la capitale della Rus', una delle più grandi e potenti città in Europa. È passato poco tempo dal giorno in cui il principe Vladimir ha abbattuto l'idolo di Perun, ma quanto è cambiato!

Non ci sono più sacrifici di sangue, ma sono state costruite le prime chiese cristiane. Ed ecco una cosa incredibile: assieme alla nuova fede sono venuti dall'Impero Bizantino uomini istruiti, hanno portato nella Rus' la scrittura, assieme ad architetti, pittori... Non solo l'arte religiosa, anche i mestieri semplici hanno cominciato a crescere molto più velocemente.

La città è cambiata sotto i nostri occhi. Sempre più spesso, è possibile vedere visitatori stranieri venuti a vedere il nuovo Kiev. Ma qui, tra la folla di visitatori greci, i monaci sono slavi. Sotto ogni aspetto, sono dei locali. Solo fortemente abbronzati al sole del sud.

Infatti, anche il monaco Antonio è nato a nord di Kiev, nella città Ljubech. È abbronzato perché ha viaggiato nei paesi del sud. Da giovane è andato in Palestina per vedere i siti della vita terrena di Gesù Cristo. E poi al ritorno, si è fermato in un monastero greco del Monte Athos, ha preso i voti e avrebbe dovuto rimanere per sempre. Ma il suo mentore spirituale, monaco esperto, ha ordinato ad Antonio di tornare in patria.

Al Monte Athos i monaci sono tanti, la vita monastica è in fermento. Ma i monasteri in Russia non hanno quasi nessuno. Là Antonio avrebbe dovuto lavorare sodo.

Non è rimasto nella rumorosa Kiev, né ha voluto stabilirsi lontano dalla capitale. Come luogo per la sua vita privata e la vita monastica ha scelto la collina dove si erge fino ad oggi la Lavra delle Grotte di Kiev da lui fondata... Ma neanche lì ha trovato la solitudine.

Il venerabile Antonio delle Grotte

Anche se Antonio non ha chiamato nessuno a vivere con sé, la gente è venuta a lui da sola. Quando erano dodici, hanno costruito la prima chiesa. Quindi hanno stabilito un monastero. Tuttavia, Antonio non voleva essere il suo abate e ha chiesto ai fratelli di eleggere qualcun altro. E più tardi , quando i monaci erano divenuti più numerosi, ha cercato di nuovo di andare in eremitaggio. Su una collina vicina ha scavato una nuova grotta. Ma anche lì, intorno a lui, ancora una volta hanno cominciato a stabilirsi discepoli...

Sorprendentemente, oggi tra le molte reliquie di santi conservate nel monastero, non vi sono quelle del fondatore e padre del monachesimo russo - Antonio. Per tutta la vita ho sognato una vita solitaria, che è stato in grado di ottenere, infine, solo dopo la sua morte. Sentendo che il suo tempo era vicino, Antonio ha riunito i fratelli, ha detto loro addio e ha chiesto di non offrire culto alle sue reliquie. Poi è andato alla sua cella - e la terra è crollata su di lui, riempiendo completamente il locale.

Anche se tutti sanno dove si trovava la cella, fino al nostro tempo i tenaci archeologi non sono stati in grado di riportarla alla luce e disturbare il santo fondatore del monastero.

Miracoli ogni giorno

La mattina di Pasqua il monaco Dionigi, guardiano delle grotte del monastero, è entrato in una tra le più remote. Qui furono sepolti i monaci defunti del monastero, e per questo il luogo si chiama Comunità.

- Padri e fratelli, Cristo è risorto ! Oggi è un grande giorno - dice a voce alta Dionigi.

- Cristo è veramente risorto ! - Improvvisamente dice un coro assordante di voci, venute fuori delle tombe.

Allora, chi ha detto che i monaci sono tutti persone scure e cupe? Qui, anche nella loro morte, sanno come godersi la vita. E di tali esempi è pieno l'antico Paterikon - il libro delle vite dei monaci delle Grotte di Kiev. Dopo tutto, vivere in solitudine e indossare abiti poveri non significa condannarsi a un dolore continuo ...

San Procoro aveva ricevuto dai fratelli del monastero il soprannome Lebednik perché non mangiava nulla, ma semi di lebedy (atriplex), una pianta amara, che si cucinava da sé. I fratelli si meravigliavano, non è possibile mangiare i lebedy! Sono amari! Ma padre Procoro li raccoglieva, li macinava in farina, e si preparava il proprio pane.

Come soffre per amore della fede e del digiuno, dicevano ammirati i fratelli. Ma dopo alcuni anni di carestia, la farina di grano non era sufficiente per tutti, e padre Procoro ha cominciato a condividere i suoi pani con gli altri. E allora si è scoperto che... erano dolci e molto gustosi! In che modo? Per scoprire il segreto alcuni fratelli hanno preso (ovvero rubato) tranquillamente alcuni di questi pani. Speravano di arrivare a conoscere la loro composizione, ma non ha funzionato. Rubati i pani hanno scoperto, cosa normale per i lebedy, che erano amari come l'assenzio.

Un miracolo? O può essere una coincidenza? Uno fratelli ha capito che questa storia non è una coincidenza. Si è pentito davanti a padre Procoro, ed egli ha perdonato gli sfortunati ladri ha donato loro la stessa focaccia che gli avevano portato indietro. Ancora una volta, questa sembrava deliziosa. Senza il gusto amaro delle cattive azioni.

Tutta la verità su Il'ja Muromets

Un monaco non  dovrebbe distinguersi dalla folla e vantarsi delle sue conquiste: per questo danno loro vestiti semplici e simili. Alle funzioni del monastero tutti stanno insieme, come soldati durante una sfilata, nelle ombre del tempio è difficile distinguere l'uno dall'altro. Solo uno si distingue dalla folla, ma non ci può fare nulla. Più alto degli altri di tutta la testa, un enorme e robusto eroe epico; si tratta di un ex atleta, che si è ritirato dalla vita militare e ha preso i voti monastici. Il'ja è soprannominato Chobotok. Si dice che una volta che i nemici lo catturarono quando indossava stivali (choboty), con i quali riuscì a proteggersi dalle loro spade. Sia che venga dalla lontana Murom, da Morovska o da Chernigov - molto più vicina a Kiev ... non si sa di sicuro, ma gli è rimasto attaccato un altro soprannome con il tempo - Muromets.

 

Il’ja Muromets

Una volta aveva combattuto gloriosamente - tutto il corpo è rimasto ferito. Ma non ha mai provato rabbia e sete di sangue. Diventato un grande guerriero e stratega militare nella sua vecchiaia ha scelto un umile servizio di monaco. Ora ha un nuovo campo di battaglia - la propria anima...

Oggi sappiamo poco della vita reale del grande guerriero. Una cosa è certa: durante la sua vita è stato famoso non solo in imprese militari, ma anche in virtù monastiche - l'umiltà , la preghiera. Non c'è da stupirsi che dopo la morte sia stato onorato come santo di Dio, e poi canonizzato come Sant Elia delle Grotte, o Il'ja Muromets.

Negli anni sovietici senza Dio si è tentato ancora una volta di non parlare del fatto che l'eroe epico sa stato il vero prototipo del santo, le cui reliquie sono conservate presso la Lavra delle Grotte di Kiev. Ma è stato allora che sono iniziati gli studi scientifici che hanno confermato la tradizione della Chiesa.

La ricostruzione dell'aspetto esteriore, lo studio delle lesioni, la complessa analisi per determinare l'età delle reliquie... Tutto questo ha confermato: sant'Elia di Murom è vissuto nei secoli XI-XII, era più alto di tutti i suoi contemporanei - 177 centimetri. Quest'altezza oggi non sorprende, ma, aquel tempo, la statura media era inferiore a 165 cm, e la struttura fisica di Elia era molto robusta.

Inoltre, come indicato nei poemi epici, Elia non aveva potuto davvero camminare per molto tempo - causa di una ferita a una gamba. Ma si è comunque distinto in battaglia, come evidenziato da numerosi infortuni. Sant'Elia sull'icona è raffigurato come un monaco, appoggiato alla sua spada. Un eroe guerriero divenuto guerriero dello spirito.

Il primo martire della rivoluzione

Una fredda notte di gennaio del 1918 alcune persone con le armi in mano hanno portato fuori dalle porte della Lavra un uomo in abito monastico. Il loro capo con un berretto da marinaio sentiva la propria impunità. Chi gli aveva fatto del male? Chi era in quel momento al potere in città?

Per quasi un anno dopo la deposizione dello tsar, l'ex impero russo era caduto in una terribile

guerra civile, in cui da entrambe le parti militavano vicini di casa, amici e parenti, anche stretti.

Il leader degli armati, che ha portato via dal monastero un uomo in abiti monastici, ha un berretto senza visiera - vuole posare da marinaio rivoluzionario, o è davvero un marinaio? O è solo un delinquente che ha deciso di far finta di essere un rappresentante del nuovo governo? Oggi difficilmente lo si può sapere con certezza.

Tutto è confuso in quel momento di difficoltà. Ma l'uomo in abiti da monaco cammina tranquillo. È il  metropolita Vladimir di Kiev. E lui non è estraneo a guardare la morte negli occhi. Si ricorda che era vescovo a Samara, e quando tutta la città era nascosta nelle proprie case durante la terribile epidemia di colera, il vescovo Vladimir andava personalmente a confessare i moribondi di colera nelle caserme. Poi a Tiflis (2) quando c'era un'epidemia simile, e organizzava nelle chiese mense per i bisognosi, si era precipitato verso di lui un pazzo con un coltello. Si era spaventato e aveva deciso di rinunciare al suo ministero, mentre guardava la morte negli occhi?

No. Dopo essere stato metropolita di Mosca, aveva predicato personalmente tra i lavoratori, e non aveva paura di discutere con gli agitatori rivoluzionari militanti.

E ora lo portano lungo le pareti della Lavra, nella notte e nel freddo della strada. A quanto pare, è giunta la sua ora...

Il giorno successivo, 26 gennaio, ovunque, anche sul quotidiano bolscevico "Izvestija" appare un annuncio della tragedia. "Per mano di ignoti" è stato ucciso il metropolita Vladimir (Bogojavlenskij) di Kiev. Si ritiene che il metropolita di Kiev sia il primo chierico stato ucciso durante la rivoluzione e la guerra civile. Anni difficili aspettavano il paese. Migliaia di membri della Chiesa dovevano soffrire il martirio per la loro fede. Molti di loro, proprio come il metropolita Vladimir, sono stati poi canonizzati tra i santi...

Ma la loro morte non è stata priva di senso, perché ora tutti pregano per noi in cielo. E neppure la morte del primo martire della rivoluzione è stata vana, come un tempo non è stata vana la morte dei vichinghi Teodoro e Giovanni .

Nonostante tutti gli sforzi, i torbidi del ventesimo secolo non sono riusciti a distruggere la Lavra. Non sono riusciti a distruggere la Chiesa. Contro i desideri dei suoi assassini, la morte di vladyka Vladimir non ha che rafforzato la fede dei cristiani. Perché?

Probabilmente perché a parte la cattiva volontà umana nel nostro mondo c'è anche la volontà buona di Dio onnipotente .

***

La Lavra delle Grotte di Kiev molte volte ha sofferto varie disgrazie. Così, mezzo secolo dopo la morte del famoso Elia di Murom i tartaro-mongoli hanno invaso le terre russe. I principi, assorbiti nella lotta reciproca, non hanno potuto resistere loro, e nel 1240 Kiev e la Lavra sono stati distrutti.

Sembrava che il monastero fosse finito, perché le chiese erano bruciate, e quasi tutti i monaci erano stati uccisi. Ma no! A poco a poco, la vita vi è stata fatta rivivere ancora una volta, si sono riuniti i fratelli dispersi, sono arrivate nuove persone .

Ancora altre volte la Lavra è stata bruciata e saccheggiata. Ma è sopravvissuta. Ci sono state la lotta tra la Polonia e Mosca e non poche invasioni di Kiev.

Ci sono state storie del suo periodo di fioritura, e del periodo di declino. Ma anche negli anni difficili ci sono sempre state persone che vengono ricordate perché sono venute in monastero. E c'è sempre stato un luogo di vita monastica. Il suo inizio è stato quasi mille anni fa, con un monaco di nome Antonio, abbronzato sotto il sole del sud.

 

San Vladimir (Bogojavlenskij), metropolita di Kiev e Galizia

Note

(1) Le reliquie sono i corpi delle persone giuste, spesso lasciati dopo la morte in uno stato incorrotto, cioè, lo stesso di come erano in vita.

(2) Così era chiamata a quel tempo la capitale della Georgia - Tbilisi.

 
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Recensione: "Per la vita del mondo" (Documento sociale del Patriarcato ecumenico)

Il Patriarcato ecumenico ha recentemente pubblicato il suo documento " Per la vita del mondo: verso un ethos sociale della Chiesa ortodossa ", una sorta di opera collettanea sulla posizione della Chiesa nei confronti del mondo. È pubblicato con la benedizione del patriarca ecumenico e del suo santo Sinodo.

È, in un senso molto reale, la risposta del Patriarcato ecumenico ai "Fondamenti della concezione sociale" del Patriarcato di Mosca (pubblicati venti anni fa), che il capo del progetto del Patriarcato ecumenico ha definito "ammirevoli ma rudimentali". Piuttosto che essere un miglioramento del documento del Patriarcato di Mosca, il documento del Patriarcato ecumenico rappresenta in realtà una significativa dipartita o una schermatura da numerosi insegnamenti cristiani ortodossi, il che non sorprende, considerando l'elenco degli autori, tutti appartenenti al Patriarcato ecumenico e molti dei quali sono ben noti per sostenere (sia per insegnamento che per omissione) la revisione dell'insegnamento tradizionale della Chiesa.

Non offriremo qui una revisione riga per riga, ma toccheremo alcune delle parti più problematiche di questo documento e speriamo che i suoi autori riceveranno questa critica e rivedranno i loro contributi di conseguenza. Questo non vuol dire che questi sono gli unici problemi del documento, tuttavia.

In realtà c'è anche molto su cui concordare, ma data l'attenzione di questo blog, mireremo principalmente all'eterodossia tra gli ortodossi.

(NB: questa recensione rappresenta i contributi di più autori e collaboratori del blog Orthodoxy and Heterodoxy che hanno lavorato insieme.)

Matrimonio e sessualità

Questo è probabilmente il soggetto più carente nel documento e non c'è alcun senso biblico che l'immoralità sessuale sia legata all'idolatria e si traduca nell'essere rigettati dalla terra. Sembra anche (§19) accettare "l'orientamento sessuale" semplicemente come un dato di fatto, senza la sensazione che si potrebbe ri-orientare, cosa che è in realtà il pentimento. Ciò non significa che si possa semplicemente rivedere i propri desideri con un atto di volontà, ma la lotta ascetica contro i desideri peccaminosi è l'essenza della morale sessuale. Nulla di questo insegnamento biblico e patristico è presente nel documento.

Sesso al di fuori del matrimonio: nei §18 e §19 del documento, abbiamo l'insegnamento sulla sessualità. Prescrive "vite di continenza sessuale, sia all'interno che all'esterno del matrimonio", che suona bene se si definisce la continenza in quei contesti in modo tradizionale – assolutamente niente sesso al di fuori del matrimonio e fedeltà al coniuge all'interno del matrimonio. Ma in realtà il documento non definisce in alcun punto la continenza, e i §20-24 trattano la sessualità all'interno del matrimonio (quindi qualcosa che è incluso nella "continenza") senza nemmeno menzionare l'insegnamento di san Paolo sull'astinenza per amore della preghiera (1 Cor 7:5). Non resta quindi alcuna affermazione che sia richiesta l'astinenza dal sesso all'interno o all'esterno del matrimonio, ma solo che ci sia "continenza". Il sesso fuori dal matrimonio va bene? Si potrebbe leggere in entrambi i modi, ma basandosi esclusivamente sulle definizioni interne, la conclusione più ovvia è che vada davvero bene entro certi limiti.

Matrimonio: inoltre, mentre ci sono riferimenti al matrimonio come unione coniugale di marito e moglie, non vi è alcuna chiara affermazione che il matrimonio sia possibile solo tra un singolo marito e una singola moglie, un uomo e una donna. Ai nostri giorni, tale omissione è impensabile se si vuole mantenere l'insegnamento della Chiesa su questo argomento. Gli autori firmerebbero un documento che dice "Il matrimonio è consentito solo tra un uomo e una donna"? Nel migliore dei casi, non lo sappiamo. Certamente non lo hanno detto qui, e se c'è un posto in cui questo dovrebbe essere detto, è in un documento come questo.

Nuovo matrimonio del clero: il §22 menziona il nuovo matrimonio del clero divorziato come possibile, sebbene descritto come "eccezioni ai canoni riguardo al nuovo matrimonio del clero divorziato". Questo è quasi impensabile per la maggior parte della Chiesa ortodossa, anche se sono state fatte alcune eccezioni qua e là. Ma inserirlo direttamente in un documento del genere, ora codifica essenzialmente le eccezioni come una regola. Se vuoi risposarti da sacerdote divorziato, fai semplicemente domanda presso l'ufficio competente e ti risponderemo.

Contraccezione: è anche da notare che la contraccezione (§24) è esplicitamente condonata entro certi limiti. Mentre oggi ci sono certamente molti insegnanti ortodossi che sarebbero d'accordo con questo, affermare che la Chiesa "non ha obiezioni dogmatiche" ai contraccettivi non abortivi è un'affermazione controversa e ancora dibattuta. Al contrario, il documento del Patriarcato di Mosca (XII.3) non autorizza né proibisce i contraccettivi, ma in realtà tratta il tema in modo più complesso, menzionando che non tutti i contraccettivi sono abortivi e che la migliore forma di "controllo delle nascite" è l'astinenza all'interno del matrimonio, e 1 Cor 7:5 è citato direttamente.

Pornografia: nonostante sia uno dei peccati sessuali più pressanti del nostro tempo, è menzionata solo di passaggio e non definita in modo esplicito come peccato, ma solo come uno in "qualsiasi numero di ossessioni e fissazioni che creano dipendenza" (§70). Questo può essere il punto in cui la mancanza di formazione pastorale in questo documento è più evidente.

Violenza

Mentre il documento condanna lodevolmente la violenza, in una delle sue molte esagerazioni, afferma: "Alla fine, possiamo giustamente dire che la violenza è il peccato per eccellenza. È la perfetta contraddizione della nostra natura creata e della nostra vocazione soprannaturale a cercare l'unione nell'amore con Dio e con il nostro prossimo" (§43). Ma questo non è semplicemente vero. Se c'è qualche peccato che le Scritture condannano come peccato al di sopra tutti gli altri, è l'idolatria. In effetti, quasi ogni affermazione di Dio che dichiara i suoi comandamenti inizia con una dichiarazione di chi è lui, e del fatto che si aspetta che Israele non segua altri dèi. E legata all'idolatria (come abbiamo detto prima) è l'immoralità sessuale.

C'è almeno qualche residuo di questa sensibilità in quest'affermazione del documento: "Nessuna offesa contro Dio è peggiore dell'abuso sessuale dei bambini, e nessuna è più intollerabile per la coscienza della Chiesa" (§16). Tuttavia, ciò contraddice in realtà l'affermazione sulla violenza. Come può la violenza essere il "peccato per eccellenza" se la pedofilia è la peggiore offesa possibile a Dio e la più intollerabile per la coscienza della Chiesa? Questo significa che ciò che è più offensivo per Dio non è il peccato per eccellenza? Forse gli autori avevano solo bisogno di un miglior correttore di bozze.

Il correttore di bozze avrebbe anche notato quest'affermazione: "Nessuna ingiunzione morale costituisce un tema più costante nelle Scritture, dai primi giorni della legge e dei profeti fino all'età degli apostoli, dell'ospitalità e della protezione agli estranei bisognosi" (§66). Quindi ora abbiamo l'ospitalità verso gli estranei come il tema morale più costante della Scrittura, e apparentemente la sua violazione non è la peggior offesa contro Dio o il peccato per eccellenza.

Un'altra sopravvalutazione della violenza: "La Chiesa ortodossa rifiuta la pena capitale, e lo fa per fedeltà al Vangelo e all'esempio della Chiesa apostolica" (§48). Questa è un'altra enunciazione controversa e piuttosto discutibile. L'intero paragrafo fornisce la logica degli autori, ma, come per la contraccezione, gran parte della storia e persino della pratica corrente nella Chiesa dicono diversamente.

Naturalmente si può prendere una posizione contro la pena capitale, ma non si può dire che "la Chiesa ortodossa la respinga". Questo semplicemente non è vero. Questo è un altro luogo in cui il documento "rudimentale" del Patriarcato di Mosca (IX.3) ha una visione più sofisticata e sfumata, affermando sia che il Nuovo Testamento non abolisce la pena capitale stabilita nell'Antico Testamento, sia che la Chiesa ha spesso intercesso presso le autorità civili affinché mostrassero misericordia.

Ascetismo

L'ascetismo è menzionato in diversi punti del documento e vale la pena vedere qual è il contesto di tutti questi punti:

Nel § 5, l'ascetismo riguarda l'essere altruista nella cura del creato. Nel §15 è la stessa cosa. Nel §20, si tratta del sacrificio di sé nel matrimonio. Nel §23, si tratta di sacrificio di sé nell'essere genitori. Nel §31, si tratta di sopportare una malattia. Nel §74 si parla di nuovo della cura della creazione. Nel §78 è di nuovo lo stesso. Nel §79 è usato come sinonimo di "lutto gioioso".

Cosa manca qui? L'ascetismo, nell'insegnamento della Chiesa, riguarda il ri-orientamento della volontà verso Dio, la messa a morte dei desideri peccaminosi della carne. È fondamentalmente un'azione diretta verso Dio. Qui quell'orientamento verso Dio è assente, e manca anche la sensazione che lo scopo dell'ascetismo sia la santità. Si ha l'idea che l'ascetismo significhi solo "non essere egoista" e possibilmente anche "essere coraggioso durante la crisi". Esso comprende queste cose, naturalmente, ma questo non è il suo significato fondamentale.

Cose da condannare

C'è un grave squilibrio in tutto questo documento, principalmente una mancanza di coraggio nel trattare i falsi insegnamenti che vengono promulgati all'interno della Chiesa (alcuni, purtroppo, dagli autori di questo documento!). Sarebbe diverso se nel documento non fosse mai stato usato un linguaggio forte e potessimo semplicemente cancellarlo come suo stile. Ma gli autori non hanno alcun problema a condannare a viso aperto certe persone.

Per esempio, la condanna più forte nel documento è usata contro il filetismo / nazionalismo / razzismo: "E deve spettare a ogni comunità ortodossa, quando scopre queste persone in mezzo a loro e non può far loro rinunciare ai mali che promuovono, il compito di smascherarle, denunciarle ed espellerle. Qualsiasi comunità ecclesiale che fallisca in questo ha tradito Cristo " (§11). Ma dov'è l'appello a smascherare, denunciare ed espellere coloro che insegnano che l'immoralità sessuale è lecita, o che costoro siano traditori di Cristo?

"La Chiesa ortodossa condanna incondizionatamente i loro punti di vista e li chiama a un completo pentimento e a una riconciliazione penitenziale con il corpo di Cristo" (ibid.). Dov'è la condanna e la chiamata a completare il pentimento e la riconciliazione penitenziale riguardo a coloro che insegnano l'immoralità sessuale? Potete trovare appelli simili nella Bibbia, ma non qui. Potrebbe essere una cosa scomoda per la sensibilità moderna, ma l'orrore di Dio per quei peccati è pervasivo nella Bibbia. Ciò non significa che il razzismo e cose simili non siano peccaminose, ma sono davvero in cima alla lista dei peccati? In questo documento non vi è alcuna condanna delle cose più condannate nella Bibbia.

E quali sono le altre cose che questo documento "condanna" esplicitamente? Nel §6, è "il lusso dei ricchi, dell'indifferenza alla condizione degli oppressi e dello sfruttamento dei poveri". Nel §9, è "ogni tipo di corruzione istituzionale e totalitarismo". Nel §20, è l'ostilità verso il matrimonio. Nel §32, si parla ancora di sfruttamento dei deboli e dei poveri. Nel §34, sono le attuali condizioni sociali. Nel §38, si tratta di "derelizioni morali nell'assegnazione della ricchezza civica". Nel §39, è l'usura. Nel §45, è la violenza. In §82, è "la crudeltà e l'ingiustizia, le strutture economiche e politiche che favoriscono e preservano la povertà e la disuguaglianza, le forze ideologiche che incoraggiano l'odio e il bigottismo".

Mentre quelle cose sono certamente degne di condanna da un punto di vista cristiano, ciò che è più notevole è ciò che manca. Non vi è alcuna condanna dell'eresia, dello scisma, dell'insegnamento che il peccato non è peccato, dell'immoralità sessuale, ecc., cose che sono perniciose e pervasive nel nostro tempo. Il linguaggio forte è messo al servizio di una visione unica della giustizia sociale, ma non al servizio di molte delle cose che, come ci dicono le Scritture, Dio stesso condanna.

Missione

Non esiste alcuna sezione sull'evangelismo. La cosa più vicina è la Parte VI (§ 50-60), che tratta della Chiesa e delle altre religioni. In nessun punto di questi undici paragrafi c'è un appello a predicare il Vangelo ai membri di altre religioni o ai non credenti. Questa è un'omissione scioccante.

Se cercate le parole vangelo o missione, le troverete usate per riferirsi a (una lodevole) preoccupazione per i poveri e gli oppressi. Se cercate la parola evangelismo (o evangelizzazione o evangelico), semplicemente non la troverete.

Non vi è qui alcun suggerimento o impegno a portare il Vangelo a tutte le nazioni, a battezzarle nel Nome del Padre, del Figlio e del santo Spirito. Se cercate la parola apostolico, la troverete usata solo per riferirsi a un periodo di tempo o all'autorità episcopale. In nessun luogo si ha la sensazione di essere "inviati" a predicare la buona novella.

Se leggete tutta la Parte VI (specialmente §55-60), vedrete che inizia con una chiara dichiarazione che unicamente la Chiesa ortodossa è la Chiesa. Questo è buono. Se continuate a leggerla, tuttavia, vedrete che si tratta quasi di un rimodellamento punto per punto del documento Nostra Aetate del Vaticano II.

Il §56 sull'islam è particolarmente preoccupante, e si spinge persino fino all'adozione del linguaggio dei "popoli del libro" che l'islam stesso utilizza. Ci sono molteplici affermazioni sulla ricerca di aspetti positivi nell'islam da poter affermare, ma l'unica affermazione negativa in esso è il disaccordo con le opinioni dell'islam sulla Trinità e l'Incarnazione. Non c'è nient'altro su cui non possiamo essere d'accordo con l'islam? Il paragrafo ovviamente non intende essere una giustificazione completa, ma c'è molto da condannare sugli insegnamenti e sulla giurisprudenza dell'islam. Data la mancanza di reticenza del documento nel condannare ogni sorta di altre cose, il trattamento islamico nei confronti di donne, minori, non musulmani, ecc., Non meriterebbe neppure una menzione?

Dispersi in battaglia

Oltre a non avere una visione missionaria, gli autori non sembrano troppo interessati alla Bibbia. Sebbene la Scrittura sia menzionata più volte, ovviamente (come abbiamo detto sopra) lo è in modo molto squilibrato.

A loro non piace la parola biblico, usandola una sola volta nel §67 per riferirsi al comandamento di prendersi cura degli estranei. Anche l a parola scritturale è usata una sola volta (§34), riferendosi alla disparità delle ricchezze. La parola Bibbia non è mai usata e la parola Scritture è usata solo nove volte.

Il conteggio delle parole non è tutto, ovviamente, ma su oltre 32.000 parole, ci sarebbe da pensare che il nucleo della tradizione ortodossa per dottrina e prassi sia messo in evidenza appena un po' di più. La Bibbia è al centro dei nostri altari in chiesa, ma non in questo documento. È sempre nelle parole dei Padri della Chiesa come base per la loro teologia, ma qui è citata con parsimonia, principalmente in testi di paragone.

Conclusione

"Per la vita del mondo: verso un ethos sociale della Chiesa ortodossa" è un documento imperfetto con una serie di parti buone. Vale comunque la pena leggerlo.

L'ironia del capo del suo progetto che si riferisce al documento del Patriarcato di Mosca di vent'anni fa come "rudimentale", tuttavia, è che questo documento è in realtà molto meno accurato (e non solo perché è piuttosto breve – solo il 75% della sua lunghezza, pur essendo parecchio più prolisso), privo di molteplici categorie e di importanti preoccupazioni pastorali. Ciò non significa che il documento del Patriarcato di Mosca sia l'ultima parola su questi argomenti, ma il confronto è stato avviato dal gruppo del Patriarcato ecumenico. E mentre il documento del Patriarcato di Mosca è esplicitamente destinato alla Chiesa ortodossa russa, quello del Patriarcato ecumenico sostiene di parlare per l'intera Chiesa ortodossa.

Lungi dal parlare per l'intera Chiesa ortodossa, questo documento provinciale e limitato mette invece il Patriarcato ecumenico potenzialmente alla deriva dall'insegnamento della Chiesa su una serie di argomenti. È anche degno di nota che tra tutti i responsabili della creazione di questo documento, solo uno di loro è mai stato responsabile della pastorale di una parrocchia, cosa che può far parte di ciò che conferisce al documento tanta mancanza di attenzione e i suoi numerosi punti ciechi. Non vi sono coinvolti né vescovi né monaci. In breve, sembra che le persone che sono effettivamente responsabili della cura delle anime nella Chiesa non siano state invitate.

Pertanto non possiamo raccomandare che questo documento sia usato per il catechismo né come base per autorevoli dichiarazioni teologiche e, in effetti, raccomandiamo che questo documento non venga consegnato a catecumeni, parrocchiani o seminaristi per le loro istruzioni. Dovrebbe essere letto da coloro che sono in grado di leggere documenti teologici con un occhio critico e vi devono essere fatte ulteriori critiche.

Raccomandiamo questi commenti agli autori e speriamo che possano invitare pastori, vescovi, monaci e studiosi biblici a correggere e probabilmente a riscriverne la maggior parte.

 
Nuova galleria fotografica: Teofania 2013

A poche ore dalla fine della funzione, carichiamo una galleria fotografica con le immagini della benedizione delle acque dopo la Liturgia dell'Epifania. Questa era la terza benedizione fatta tra il giorno della vigilia e il giorno della festa, per cui chiediamo scusa se nelle foto sembriamo un po' stanchi... lo siamo davvero! Ringraziamo Victor per avere fatto le foto e per avercele inviate a tempo di record. S Prazdnikom!

 
Naşii de botez şi rolul lor în viaţa finului

 

Câţi dintre noi nu au acceptat foarte uşor rugămintea de a fi naş sau naşă de botez. Dar oare la fel de mulţi au fost şi cei care au meditat şi la responsabilităţile pe care o implică această datorie, şi pe care o vor purta de acum încolo, pe tot parcursul vieţii.

De multe ori am auzit cu câtă dragoste se atârnă oamenii faţă de naşii săi, de parcă s-ar atinge de ceva chair sacru în viaţa lor. Naşii la rândul său se mândresc cu această misiune pe care au acceptat-o.

Dar naşii sunt şi persoanele care fac mărturisirea de credinţă în locul şi în numele celui ce se botează. Datoria lor este să crească finul în spirit creştin. Naşii devin părinţii spirituali ai pruncului, nascându-l pentru viaţa cea nouă, în Hristos.

Dar oare cu adevărat şi corespundem acelor obligaţii pe care le lăum asupra noastră. Şi ce ar trebui să facă un naş pentru acel, pe care i l-a încredinţat biserica la Sfântul Botez.

La acest Botez naşul şi-a asumat responsabilitatea pentru credinţa finului. Şi şi-a luat o obligaţie nu mai puţin importantă decât cea pe care o au părinţii, căci nu e vorba doar de viaţa acestui micuţ, dar şi de mântuirea sa. Şi aşa cum mama micuţului simte necisitatea îngrijirii copilaşului, asemenea şi naşii ar trebui să simtă necisitatea ajutorului său pe calea mântuirii şi a căii lui către Dumnezeu.

Probabil că s-ar putea scrie mult la acest subiect, dar haideţi să vedem ce am putea face pentru acei, care prin această sfântă taină ne-au devenit acum mai mult decât rude, căci adesea legăturile spirituale sunt şi trebuie să fie nu mai puţin importante, decât cele de sânge.

Cea mai importantă, dar şi poate cea mai grea datorie a oricărui naş este rugăciunea pentru finul său de botez. Rugăciunea zilnică a fiecăruia ar trebui neapărat să includă pomenirea şi numelor celor pentru care acum suntem nu mai puţin importanţi decât părinţii, de fapt şi suntem tot părinţi – părinţi spirituali. Deasemenea şi trecerea numelor finilor în pomelnice la Sfânta Liturghie, ca neapărat să se roage şi biserica pentru ei.

Desigur că cu cât este mai intensă viaţa bisericească a naşului, cu atât şi mai mult se va strădui să facă şi pentru mântuirea sufletului finului. Şi nu contează dacă nu au legătură permanentă între ei, din diverse motive. Acea legătură, care s-a format între ei se va păstra şi menţine şi la depărtare, datorită aceste sfinte legături formate la Botez.

O altă responsabilitate pe care o are naşul alături de părinţi, este împărtaşania cât mai deasă a micuţului. Este mult mai simplu dacă părinţii, sunt şi ei persoane, pentru care viaţa Bisericii nu este străină. Dar ce e de făcut atunci când părinţii, nu prea îi trec pragul?

Cât de greu nu ar fi şi imposibil nu ar părea să schimbăm starea lucrurilor, să încercă să dicutăm cu părinţii din nou şi din nou, doar oricum această nedorinţă de a împărtăşi copilul trebuie să aibă şi un motiv, poate lipsa timpului sau ce e mai greu de depăşit – lipsa credinţei. Şi nu cred că e cazul să abandonăm, dacă e chiar problema în lipsa credinţei. Doar totuşi odată ei au primit decizia de a boteza micuţul şi probabil de o mică credinţă, dar au dat totuşi dovadă.

Iar pentru acei care au părinţi care nu sunt oaspeţi rari în casa Domnului, desigur că naşului îi este mult mai simplu, dar nicidecum nu ar trebui să lase toată responsabilitatea doar pe seama părinţilor.

Copilaşul creşte şi cu timpul misiunea naşului devine şi mai importantă. Mai ales în cazul, când educaţia sa creştină nu este cea mai importantă pentru părinţii lui.

Doar nu mai e suficient ca copilul doar uneori să audă pomenirea numelui Domnului, să ştie despre existenţa sărbătorilor Paştelui şi Crăciunului. Şi poate rareori să mai participe la Sfânta Liturghie cu prilejul împărtaşaniei.

Una din posibilităţi de contribuire la educaţia sa creştină, ar fi să-i cadonăm nu doar jucării şi hăinuţe, dar să facem o altă frumosă obişnuinţă – de a-i cadona o mică cărţulie, care acum sunt foarte frumos illustrate şi scrise într-un limbaj pe înţelesul copilului. Şi mai binevenit ar fi să o facem cu prilejul unei sfinte sărbători, spre exemplu pentru ai arăta copilului bucuria de la Sărbătoarea Naşterii Domnului să-i oferim în dar o carte care ar relata şi despre această sărbătoare, iar să zicem în ziua pomenirii sfântului numele căruia îl poartă – o iconiţă, reprezentând acest sfânt.

Şi nu mai puţin important ar fi să vorbim cu copilaşul despre Dumnezeu –simplu şi pe înţelesul lui. Să-i relatăm că Dumezeu este oriunde , că mereu îl veghează şi susţine. Dar să nu uităm că orice relatare să înceapă cu propria credinţă în cele expuse ca adevăr.

Să începem şi să facem această încercare de a-i deschide copilului lumea credinţei şi apoi cu ajutorul Domnului nu va dori să o părăsească nicicând.

Desigur că este mult mai uşor să relatezi cum ar trebuie să procedezi, decât să fie posibil mereu şi să o şi faci în orice situaţie. Există cazuri când nu se mai păstrează legăturile între cei maturi şi intervenţia naşului nu mai e posibilă. Sau poate distanţa care vă desparte e prea mare.

Dar pentru cel care mântuirea sufletlui acestul copilaş nu sunt doar cuvinte, mereu există o posibilitate de a contribui. Există posibilitea de a ne rugă pentru el.

Şi nu este prea puţin, după cum cred mulţi dintre noi. Doar prea slabă a devenit credinţa noastră în puterea rugăciunii. Atunci când avem credinţa în puterea rugăciunii, atunci putem fi şi liniştiţi că s-a făcut totul posibuil în cazul dat. Şi va aduce neapărat roade această rugăciune.

Şi de fapt rugăciunea pentru aproapele e o manifestare a dragostei. Iar acest sentiment e cel mai important să-l simtă finul din partea noastră. Doar numai prin propria dragoste îl putem învăţa şi pe el acest sentiment.

Cel ce nu iubeşte n-a cunoscut pe Dumnezeu, pentru că Dumnezeu este iubire.

Iar misiunea nostră a tuturor celor cărora le-a încredinţat Biserica acestă datorie e să contribuim ca neapărat să se întâmple această întâlnire – întâlnirea cu Dumnezeu.

Naşului care nu are grijă de fin şi care nu se ocupă de creşterea duhovnicească a acestuia: care nu-i vorbeşte de credinţa ortodoxă,nu-l învaţă rugăciuni, nu-i vorbeşte despre Dumnezeu, despre mântuire, despre biserică şi Sfintele Taine, i se va lua demnitatea de „părinte duhovnicesc" şi va fi judecat ca un părinte ce nu şi-a făcut datoria faţă de copiii săi. Degeaba a botezat că nu va avea plată ci osândă.

 

Natalia Lozan

http://ortodoxia.md

 
"Tutto è tornato a posto"

Nel mese di ottobre 2012, il coro e il clero del monastero Sretenskij di Mosca, su invito del metropolita Hilarion (Kapral), si è recato tra le parrocchie della Chiesa ortodossa russa all'estero in Nord America. Il viaggio è stato dedicato al quinto anniversario della riunificazione della Chiesa ortodossa russa. Abbiamo chiesto a padre Tikhon di condividere alcune delle sue impressioni di questi viaggi.

 

"Dopo la riunificazione della Chiesa russa, tutto è tornato a posto"

Padre Tikhon, è da poco tornato dal viaggio in America con il Coro Monastero Sretenskij. Cinque anni fa, subito dopo che è stato firmato l'atto di unione canonica, ha fatto un giro del mondo con il coro, passando il tempo in diocesi della Chiesa ortodossa russa fuori dalla Russia in tutto il mondo. Che cosa è cambiato da allora?

Nel corso degli ultimi cinque anni, la nostra comunione fraterna e concelebrazione ai servizi divini è diventata qualcosa di molto naturale e abituale. Questo è ciò che mi stupisce di più.

l’arciprete Victor Potapov e l’archimandrita Tikhon. Foto: Mikhail Rodionov / Pravoslavie.ru

Anche in Russia, ho notato che il clero e i laici della ROCOR si rivolgono facilmente a noi come se tornassero a casa, come se fossero preti o pellegrini da Omsk o Tula. E quando eravamo in America, è stato difficile ricordare che c'erano stati molti anni in cui non avevamo ricevuto la comunione dallo stesso calice. Tutto è tornato a posto, a volte inaspettatamente. Ciò si esprime in maniera eloquente, per esempio, vedendo i ritratti di A. I. Denikin, del metropolita Anastasij (Gribanovskij), e del patriarca Kirill, tutti collocati accanto all'altro sulle pareti delle sale parrocchiali.

La Cattedrale di San Giovanni Battista a Washington, DC, ROCOR. Foto: Mikhail Rodionov / Pravoslavie.ru

Beh, la volontà di Dio è stata soddisfatta. Ma si nota, quando si guardano le fotografie delle funzioni della Chiesa scattate durante il viaggio, che c'è una netta differenza tra le parrocchie della ROCOR e quelle della O.C.A. (Chiesa Ortodossa in America). Nelle prime si vede un’effervescenza di vita, ma nelle altre una specie di rigidità.

La Cattedrale di San Nicola, Washington DC, Chiesa Ortodossa in America. Foto: Mikhail Rodionov / Pravoslavie.ru

La Chiesa Ortodossa in America in questo momento non sta vivendo i suoi migliori momenti, e preghiamo con tutto il cuore per i nostri fratelli e spero che possano rapidamente superare questa crisi. La parola "crisi" qui non è esagerata. Questo è il modo in cui loro stessi si riconoscono nella loro situazione attuale.

 

"Il nostro obiettivo principale era quello di partecipare ai servizi divini"

La gente incontrava ovunque il coro come vecchi amici, o l'America riscopriva tutto da capo?

Il nostro obiettivo principale è stato quello di partecipare ai servizi divini nelle parrocchie del Patriarcato di Mosca, della Chiesa ortodossa russa fuori dalla Russia, e della Chiesa ortodossa in America. Accanto a questo, il coro ha dato spettacoli in quelle città che abbiamo visitato e in cui abbiamo servito. Questo tour di spettacoli è stato organizzato da una grande azienda americana.

Per quanto riguarda le funzioni a cui il nostro coro ha cantato, sono stati gli eventi ecclesiastici principali in quei luoghi che abbiamo visitato. Il coro è stato accolto con sincero amore e gratitudine, come un generoso dono spirituale dalla Russia.

Sono molto contento del nostro coro: hanno passato quel mese in vera abnegazione. Il programma era estremamente difficile, nel corso di venti giorni abbiamo viaggiato in nove diverse città, e durante tutto il tempo abbiamo fatto solo una pausa. I voli sono stati lunghi, non solo quelli dalla Russia all'America e al ritorno, ma anche i voli nazionali americani. Dopo tutto, è un paese vasto, e ci vogliono cinque ore per volare da costa a costa.

Spesso arrivavamo in aeroporto e poi correvamo in mezzo al traffico alle funzioni serali, e solo dopo la sistemazione in albergo. La mattina andavamo alla Liturgia, nel pomeriggio avevamo un recital, e la sera, un concerto. Dopo il concerto, la sera tardi, ancora una volta guidavamo attraverso il traffico verso l'aeroporto, ancora una volta passavamo attraverso tutti i punti di controllo, attendevamo il volo, arrivavamo nella prossima città, passavamo attraverso ritiro bagagli, ancora traffico, l'hotel, una breve notte di sonno, poi la Liturgia del mattino ...

Quindi, forse, il critico del Washington Post aveva ragione quando vi ha paragonato a un commando?

Può proprio dirlo. Nessuno dei nostri ragazzi si è mai lamentato una volta, anche se le condizioni erano rigorose. Al giorno d'oggi la gente usa la parola podvig (sforzi o lotte ascetiche) a sproposito; naturalmente, vorrei evitare di utilizzare un simile concetto elevato per descrivere il nostro coro, ma la sfida è stata veramente seria - hanno dovuto dare il 100 per cento. Ebbene, di fatto è proprio come dovrebbe essere.

Coro del monastero Sretenskij, concerto presso la Library of Congress.

Dopo tutto, non potevano perdere la faccia davanti a un ​​pubblico secolare.

Naturalmente, i nostri ragazzi cercavano con grande sforzo e prima di tutto di compiacere i fedeli alle funzioni religiose. Non importa quanto fossero stanchi, e a volte erano a malapena vivi, a volte ricevevano richieste di cantare ancora di più, per esempio a cena, e non hanno mai rifiutato le richieste. Hanno capito che si trattava di una festa per i convenuti.

Per quanto riguarda il pubblico laico, è stato fissato uno standard molto alto fin dall'inizio. Dopo tutto, il tour non è iniziato in un posto qualsiasi, ma nella sala della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti, per un pubblico molto elitario. Questo concerto era solo di inni sacri, dai canti antichi alla musica sacra moderna.

Coro del monastero Sretenskij, concerto presso la Chicago Symphony Hall.

Il coro ha cantato musica profana nelle due più famose sale da concerto degli Stati Uniti - il Kennedy Center di Washington, D.C., e la Carnegie Hall di New York. Poi si sono recati in altre città. Ma nonostante il loro successo ai concerti secolari e gli articoli lusinghieri in alcuni dei più importanti giornali americani, la cosa più importante per noi erano le funzioni nelle chiese ortodosse americane - alcune grandi, altre piccole.

Ho letto su Internet che le sale da concerto erano strapiene, e i principali quotidiani americani hanno pubblicato articoli entusiasti sul coro. Il New York Times ha parlato della sua "incredibile interpretazione", e il critico musicale del Washington Post ha dichiarato chiaro e tondo che il coro era "senza dubbio uno dei migliori al mondo".

Sì, siamo stati accolti calorosamente. Gli agenti della società che ha organizzato il tour ci hanno chiesto più tardi, "Diteci, dove sognate di esibirvi?" Ma abbiamo risposto, "Stiamo solo sognando di avere una buona notte di sonno!" È stato un viaggio molto intenso .

Concerto del coro del monastero Sretenskij, Chicago Symphony Hall.

Indipendentemente dal fitto calendario, lei è dovuto tornare a Mosca per alcuni giorni dopo l'inizio del tour.

-Sì, è andata così...

Passare dieci ore in aereo, prendersi cura degli affari a Mosca, e poi ritornare volando sopra l'oceano... Come fa a sopportare un tale ritmo?

Ci sono abituato. Dormo molto bene in aereo.

 

Il traduttore di Santi quotidiani è stato battezzato al monastero Sretenskij

In America ha presentato la traduzione inglese del suo libro, Santi quotidiani, e si è incontrato con i lettori. È interessante notare che l'originale, Несвятые святые, ha ricevuto diversi titoli nelle sue traduzioni in altre lingue: la traduzione letterale inglese del titolo russo sarebbe "Unsaintly Saints", ma il titolo greco è diventato Quasi santi ("Σχεδόν άγιοι"), e il titolo inglese è diventato Everyday Saints. Come è stato ricevuto il libro in America?

Mi sembra che lo abbiano ricevuto con calore, e che siano interessati.

Library of Congress, Washington, DC Foto: Mikhail Rodionov / Pravoslavie.ru

Ne ho parlato con uno specialista della collezione russa della Library of Congress, Harold Liech. Anche se appartiene alla Chiesa episcopaliana, ha detto che il libro è molto vicino a lui.

Mr. Liech e il suo direttore, il dottor James Billington, hanno organizzato una presentazione dell'edizione inglese nella Biblioteca del Congresso. È importante che americani non ortodossi abbiano accolto con interesse un libro sulla Chiesa russa.

Sull'edizione inglese del sito, Pravoslavie.ru, c’è una serie di risposte al libro. Una persona ha scritto di recente che dopo aver letto la storia di Madre Frosja, che era riuscita a tenere i digiuni, anche in carcere, si è vergognata, e ha deciso di tenere sempre il digiuno il mercoledì e il venerdì...

Questo tipo di rapporto con il libro è gratificante per me, come autore e come sacerdote.

Capo della divisione europea, Library of Congress. Foto: Mikhail Rodionov / Pravoslavie.ru

Al tempo del vostro ritorno a casa, Santi quotidiani era stato venduto per oltre un mese in America e altrove, erano apparse informazioni su di esso sul New York Times, sul Washington Post, ed erano arrivate risposte positive non solo da parte dei lettori ortodossi, ma anche da cattolici e protestanti. In quali altre lingue il libro è in corso di traduzione?

Ho da poco appreso che stanno preparando una seconda ristampa della versione inglese. Il libro è già apparso in greco e serbo, e attualmente si sta traducendo in spagnolo, romeno, bulgaro, svedese, francese, cinese e giapponese. È anche in corso di traduzione in esperanto.

Ho sentito dire che il lavoro di traduzione del libro ha avuto un effetto sul traduttore stesso. Ci parli un po' di questa persona.

Julian Lowenfeld. Foto: Chris Maliuzhinsky / MOMENT

Il suo nome è Julian Lowenfeld. Molti considerano le sue traduzioni di Pushkin, Tjuchev, e Lermontov come le migliori che ci siano oggi. Per me è stato molto importante che un tale traduttore abbia deciso di introdurre il pubblico di lingua inglese ai Santi quotidiani.

Julian è cresciuto in una famiglia cattolica, ma si considerava un agnostico. Gli ci è voluto circa un anno e mezzo per tradurre il libro, e quando il lavoro di compilazione finale è stato svolto a Mosca, è venuto al nostro monastero e inaspettatamente ha annunciato la sua ferma decisione di diventare ortodosso. Julian voleva essere battezzato proprio qui, a Mosca. Gli è stato detto: "Puoi venire a essere battezzato in qualsiasi momento". Allora, senza conoscere l'antica tradizione cristiana del battesimo dei catecumeni al Grande Sabato, è arrivato a Mosca proprio al Venerdì Santo, e senza altra intenzione che di ricevere il santo Battesimo. Così, al Grande Sabato, abbiamo effettuato il Battesimo secondo tutte le regole e i canoni della Chiesa. La sua madrina, la monaca Cornelia, è americana, ed è una dei redattori della traduzione in inglese. Naturalmente, non posso che essere felice che il libro ha tradotto almeno in parte lo abbia influenzato a prendere questa decisione.

Il libro sembra avere una vita propria. Per i redattori del sito, Pravoslavie.ru che moderano i commenti dei lettori inviate all'indirizzo, http://www.ot-stories.ru/comments.htm, questo è ovvio. E ci sono sempre più risposte sul libro in tutto Internet.

Per me questa è, devo ammettere, la più alta ricompensa. Guardo la vita del libro da una certa distanza, e devo dire, con straordinario interesse.

 

"L'America non è la stessa in tutto il mondo"

Lei ha detto che dopo aver preso confidenza con il pubblico americano è stato sorpreso dalla pietà di molti americani. La Russia ha in genere un’immagine negativa dell’America perché tutte le informazioni che riceviamo su quel paese provengono principalmente da notizie d'agenzia che mostrano il ruolo indecoroso del loro governo in Siria, Irak, Afghanistan, ecc, o dai film in cui gli americani si presentano come Rambo e Terminator. Cosa ne pensa: c'è davvero un contrasto sensibile tra la nostra idea e la vera America, in particolare la "One-Story" America?

New York

È stato detto più volte che New York non è l'America. Non spetta a me giudicare, ma questo è quello che gli americani confermano. E veramente, New York è molto diversa dal resto degli Stati Uniti, anche al colpo d'occhio superficiale di un turista. Ma ciò che è incredibile (e questo ha immediatamente rovesciato alcuni dei miei stereotipi) è che a New York alla domenica le chiese sono piene, e questo per non parlare delle aree provinciali. Secondo i sondaggi Gallup, il 43,1% di tutti gli americani adulti (queste statistiche non includono i bambini) va in chiesa ogni settimana. Questo è un numero enorme. Paragoniamolo al tre per cento che ci va da noi.

Per quanto riguarda la campagna americana... ho avuto l'opportunità di essere in America diverse volte, e non ho cessato di essere meravigliato della loro energia, non posso dire "pietà", perché non conosco la loro vita spirituale, ma proprio della loro energia religiosa.

Nel 1996, Alexander Nikolaevich Krutov, la sua famiglia, e io siamo arrivati in volo a Colorado Springs. Questo era il nostro primo viaggio in America, c’eravamo andati per ricevere una copia della Sindone di Torino, che il famoso ricercatore sindonologo John Jackson aveva espresso la disponibilità di presentare al nostro monastero.

Fin dall'inizio, per essere onesti, sono rimasto piacevolmente sorpreso che a Colorado Springs ci fosse un gruppo di seri studiosi di molte discipline diverse (sia cattolici che protestanti) che studiano la Sindone di Torino. Ma questo è un altro argomento. In quel viaggio, quando avevamo un giorno libero, ci hanno portato a un rodeo.

Questo era uno spettacolo ordinario di rodeo, con circa tremila persone presenti. Quando lo spettacolo è finito, sono stati apparecchiati lunghi tavoli per tutti gli ospiti della festa. Ma prima che qualcuno iniziasse a mangiare, il cowboy che ha guidato questa cerimonia si è alzato e ha invitato tutti alla preghiera. Poi tutti i presenti, tutti, senza eccezione (!) - si sono alzati, ed erano, vi ricordo, tremila persone. Nessuno ha ridacchiato, nessuno ha disdegnato questa chiamata, nessuno ha arricciato il naso e ha fatto un sorrisetto ironico. No, tutti si sono alzati e hanno pregato. Mi sono guardato intorno e ho visto con stupore completo che la gente stava pregando sinceramente. Hanno recitato tutti il Padre Nostro; i protestanti hanno elevato le mani, i cattolici si sono segnati, e anche noi ortodossi abbiamo fatto il segno della Croce... Abbiamo pregato e solo allora abbiamo cominciato a mangiare. È così che io, tra l'altro, ho partecipato a una preghiera ecumenica ...

Dopo aver mangiato per un po', mi sono guardato intorno, pensando: "Dove sono i poliziotti?" C’erano molte persone, e sui tavoli non c'era solo cibo, ma anche una certa quantità di bevande alcoliche. Sapendo come di solito finisce in analoghi incontri giovanili in Russia, ho stimato che entro una o due ore l'intervento della polizia sarebbe stato inevitabile. Ma non c'erano poliziotti. Dopo un po' mi sono reso conto che non sarebbe stato necessario. Questo perché nessuno si comportava in modo aggressivo, o sfacciato, o dispettoso.

Il capo cowboy ha annunciato alcune canzoni. Qualcuno si è avvicinato e ha suonato il banjo, qualcuno ha cantato, o ha letto poesie. L'intero pubblico di 3000 persone ha ricevuto tutti con il più caloroso benvenuto. Le persone erano sostanzialmente estranee tra loro. Molti, come ho scoperto, stavano semplicemente viaggiando in America ed erano arrivati per caso in questo giorno di festa.

Tutto avveniva in un’un atmosfera molto familiare. Il capo cowboy, per esempio, ha detto, "Abbiamo con noi oggi John e Mary. Sono in viaggio di nozze. Diamo loro un caloroso benvenuto! Cerchiamo di essere felici per loro, che sono così belli e giovani, hanno avuto il loro matrimonio e sono ora in giro per il nostro paese. John e Mary, venite sul palco!" Questa giovane coppia si fa avanti e tutti gridano,"John e Mary, salve! Tutto il meglio per voi!" Questo è stato commovente, cosa posso dire... Questo è ciò che abbiamo perso, così tanta buona volontà l’uno verso l'altro!... Poi hanno augurato a qualcun altro buon compleanno, si sono congratulati con un altro per la nascita di un nipote...

E a quanto pare le nostre guide avevano detto loro di me e dei Krutov, perché abbiamo improvvisamente sentito, "Alcuni russi sono venuti alla nostra festa. Non abbiamo mai avuto russi qui prima. Benvenuti!" Non siamo saliti sul palco, ma ci si siamo alzati e abbiamo salutato tutti. Anche la gente intorno a noi si è alzata dai tavoli e ci ha salutato. Il maestro di cerimonie ha detto di nuovo: "Siamo molto felici di avervi qui! È bello che siate venuti. Benvenuti in America! "

Una folla di persone si è subito raccolta intorno a noi... ci stringevano le mani e sorridevano. Quando si sono seduti di nuovo, l'uomo seduto accanto a noi ha iniziato a parlarci. Era magro, modesto, con mani usurate dal lavoro. Mi ha chiesto: "Lei è un prete?" "Sì", ho risposto. "Anche noi siamo cristiani. Siamo molto felici di aver fatto la conoscenza di un sacerdote." Ha detto che lui e sua moglie sono protestanti. Gli ho chiesto se va in chiesa. Ha risposto di sì. Viene fuori che era un petroliere del Texas. Poi si scopre che non è solo un petroliere, ma il proprietario di una delle più grandi compagnie petrolifere negli Stati Uniti. Ora lui e sua moglie erano in viaggio in giro per l'America, una cosa che fanno ogni anno. Non sono mai stati fuori dagli Stati Uniti. Hanno avuto cinque figli. Ha detto anche che solo una volta aveva saltato le funzioni della domenica, quando era in ospedale. Quindi, l'America non è lo stessa ovunque tu vada.

Tanto più che ci sono, secondo alcune statistiche, lì ci sono già cinque milioni di cristiani ortodossi. Ci dica, come fa questa pietà degli americani comuni ad andare d’accordo con la politica imperialista del loro paese? Molti dei nostri lettori fanno questa domanda.

A me meno che a tutti piace parlare di politica. Ma dal momento che hanno già posto la domanda, risponderò come meglio posso; ma non giudicatemi per questo.

La politica internazionale di tutti gli imperi - e gli Stati Uniti sono senza dubbio un impero - è la difesa inflessibile dei propri interessi, spesso a scapito degli altri paesi. Non sarà la "scoperta dell'America" ​​se dico che gli obiettivi strategici delle politiche estere dell’"Impero del bene" non sono complicati, ma perfettamente chiari: cercare di controllare il mondo intero. Niente di più, niente di meno. Questo compito è stato stabilito da quella stessa élite, che, si potrebbe dire, controlla il paese. Gli americani che pensano lo capiscono abbastanza bene e non nascondono il fatto né a se stessi né agli altri.

Ma finiamo per oggi la discussione su questo argomento noioso. In realtà, è meglio se torniamo meno spesso su questo soggetto.

Beh, padre, faremo quello che possiamo!

Facciamo un buon tentativo!

 
Il buco a forma di Dio

Vedete un po' se riuscite a identificarvi con la scena che segue. È la mattina di Natale, e tutti sono raccolti intorno all'albero. Si distribuiscono i regali e il suono di carta da pacchetti strappata riempie l'aria. In un primo momento i bambini strillano con entusiasmo mentre scoprono i doni. È un momento da fotografare, l'immagine perfetta di Natale.

Poi, lentamente, l'atmosfera cambia. Con i regali tirati fuori dai pacchetti e disposti davanti a loro, i bambini cominciano a litigare tra di loro. Se avete figli molto piccoli, come i miei, sembra di vederli sopraffatti dalla massa di cose che ora possiedono. Diventano più egoisti, esigenti e stizzosi, oppure si ritirano a giocare con gli involucri e le scatole, piuttosto che con i regali stessi. Sono facilmente provocabili e cadono preda delle lacrime. I più adulti, un po' più variegati nel loro comportamento, raccolgono con cura la loro pila di doni in un angolo, e cercano di ignorare il vuoto debole ma distinto che sentono dentro di loro.

Ed è tutto. Il Natale è passato. Abbiamo acquistato le nostre cose in una frenesia di attività febbrile, poi le abbiamo avvolte con cura e le abbiamo poste sotto l'albero. Ma ora, con involucri sparsi intorno a noi come vittime di un tornado, queste cose sono, beh, solo altre cose da aggiungere al resto di quelle che già possediamo.

In qualche modo nulla finisce mai del tutto come doveva, come noi speravamo che fosse, Natale dopo Natale. I nostri figli, così eccitati dal potenziale di scartare i loro doni, dopo averli scartati sembrano più infelici di prima. Avere altri beni, piuttosto che lasciarci soddisfatti, sembrano averci resi meno contenti di prima.

Questa è la tragedia paradossale del materialismo. Quanto più possediamo, tanto più felici dovremmo essere. La realtà è, però, che più abbiamo, più diventiamo ingrati, insoddisfatti, stizzosi, esigenti o semplicemente indifferenti. Vogliamo riempire qualche buco dentro di noi, e siamo ingannati anno dopo anno nel pensare che il ripieno appropriato è una nuova console per giochi o l'ultima puntata di un video. Ma queste e altre cose materiali, piuttosto che riempire il buco dentro di noi, sembrano invece espanderlo.

Nella parabola del banchetto dal Vangelo di san Luca, si parla di un uomo "che diede un grande banchetto, e invitò molti. Al momento del banchetto mandò il suo servo a dire a quelli che erano stati invitati, 'venite; ora è pronto per tutti'. Ma tutti cominciarono ugualmente a scusarsi. Il primo disse: 'Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego, considerami giustificato'. Un altro disse: 'Ho comprato cinque paia di buoi e devo andare a esaminarli; ti prego, considerami giustificato'. E un altro disse: 'Ho preso moglie e perciò non posso venire'." (Lc 14:16-20)

Perché gli ospiti invitati rifiutano l'invito? Semplicemente perché hanno un sacco di cose su cui sono completamente concentrati, ad esclusione di tutto il resto. Sono posseduti dal desiderio di soddisfare tutte le necessità umane fondamentali: la necessità di appartenere e avere un posto (simboleggiata dal campo); la necessità per la sopravvivenza fisica dal consumo di alimenti e bevande (simboleggiata dal giogo di buoi); e la necessità di relazione e comunità (simboleggiata dal matrimonio).

Tuttavia, il soddisfacimento di questi bisogni materiali ha reso i potenziali ospiti ingrati e totalmente insensibili alla generosità del padrone di casa. La gioia della festa, che in altri vangeli è in realtà un banchetto di nozze che un re tiene per il figlio, si spreca per loro perché credono di aver già riempito il buco delle loro esigenze. Ecco perché il signore della casa manda i suoi servi per portare i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi a partecipare al banchetto. (Lc 14:21) Loro non hanno nulla. Hanno fame e sono bisognosi e così la loro risposta all'invito sarà sincera e gioiosa.

Ho sentito dire una volta che ogni essere umano ha un "buco a forma di Dio" dentro di sé, un vuoto, un desiderio di qualcosa di più, di qualcosa di più grande. Ogni anno, trasformiamo il Natale in una stagione in cui cerchiamo freneticamente di riempire quel buco con qualcosa – regali, buon umore, famiglia, e anche un po' di religione, nella speranza che forse questa volta il buco diminuirà almeno un po', se non riempito completamente.

Il momento culminante della mattina di Natale – quando la stagione esplode come una scatola a sorpresa piena di giocattoli a buon mercato e coroncine di carta, e tutto ciò che rimane è un mucchio di oggetti e un vuoto ancora più grande di prima – quel momento è un promemoria che il buco a forma di Dio non può essere riempito nel modo che credevamo. Il campo, le cinque paia di buoi e la moglie, tutte le cose che abbiamo nella nostra vita, semplicemente non servono, perché sono di forma sbagliata e, in definitiva, troppo piccole per le dimensioni del buco che vogliamo riempire.

Alla fine, solo il Dio infinito può riempire il buco a forma di Dio. La nostra fame naturale del divino, che gli esperti di marketing manipolano abilmente per farci entrare nei centri commerciali, non può essere riempita da nessun altro che lui. Forse questo Natale terremo a cuore questa verità e accetteremo l'invito a una festa che potrà veramente soddisfarci: la festa di Colui che è il pane della vita, il vitello grasso, il vino che allieta per sempre i nostri cuori.

 
Domenica 9 settembre 2001 (14a dopo Pentecoste) La parabola del grande banchetto (Matteo 22:2-14)

Nel nome del Padre, e del Figlio, e del santo Spirito.

In questa quattordicesima domenica dopo la Pentecoste (in cui facciamo memoria di uno dei grandi Padri del deserto, Abba Pimen il Grande) leggiamo la versione del Vangelo di Matteo della parabola del grande banchetto.

È interessante vedere che questa parabola (nella versione di San Luca) si legge anche nella Domenica dei Santi Progenitori, ovvero due domeniche prima della Natività del Signore. In quest'ultima occasione, il senso messianico del grande banchetto richiama l'importanza dell'Incarnazione del Figlio di Dio. Oggi, è curioso che questa lettura venga a coincidere con l'ultima domenica del nostro anno liturgico: in questa visione, il banchetto che il Signore ci prepara viene a coincidere con la vita del nuovo anno della Chiesa, che si apre davanti a noi, e a cui siamo invitati a partecipare.

Anche la scorsa domenica abbiamo letto una parabola, quella dei vignaioli omicidi, e ci sono molti punti simili tra questi due racconti. In entrambi abbiamo un padrone (in questo caso un re) che prepara qualcosa di buono per la sua gente, e in entrambi assistiamo a un rifiuto dei suoi doni. In entrambi, i servi mandati più volte dal padrone sono maltrattati e uccisi, e in entrambi il dono iniziale viene passato ad altri destinatari. In entrambi i racconti, il figlio del padrone ha un ruolo centrale. Naturalmente, anche il Vangelo di oggi è un riferimento al rifiuto del popolo di Israele a riconoscere il Messia, e al ruolo della Chiesa come nuovo popolo eletto.

Il banchetto è un simbolo messianico: le nozze indicano il mistero dell'economia di Dio, e l'unione del suo Figlio con la creazione. Attraverso l'Incarnazione del Figlio di Dio, condividiamo il corpo di Cristo, e perciò siamo in grado di fare festa con lui, come invitati alla gioia del suo Regno. La felicità che Dio prepara per noi non è solo quella dei servi che hanno fatto il loro dovere, ma quella dei suoi stessi commensali.

Anche in questo caso, abbiamo più di una chiamata: i primi invitati, nella prospettiva della storia, sono gli ebrei, e il loro rifiuto a prendere parte alle nozze del Messia con il suo popolo porta alle conseguenze che ben conosciamo. Questo insegnamento, però, riguarda in un senso più intimo ciascuno di noi, e la nostra risposta alla chiamata di Cristo. Ricordiamo perciò che la pazienza del Signore è grande, e che anche se non gli abbiamo prestato attenzione finora, siamo ancora in tempo a rispondergli di sì. Il tempo che ci è dato, tuttavia, non è infinito.

"Ma costoro non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari": questi due luoghi rappresentano l'amore per la ricchezza e per le cose materiali: un'attitudine che ci acceca, e ci rende incapaci di percepire le realtà spirituali. Il campo, come dice il Beato Teofilatto, "significa l'uomo che non può accettare il mistero della fede perché è governato dalla sapienza di questo mondo". Gli affari indicano l'avidità dei piaceri e il nostro affanno a cercare le cose superflue, dimenticandoci di quelle necessarie.

La risposta del re, che manda a bruciare la città di quanti hanno rifiutato il suo invito, prefigura la distruzione di Gerusalemme a opera dei romani; ma non limitiamoci a questa prospettiva! Il Vangelo non ci parla solo di eventi passati, ma essenzialmente del nostro cammino verso la salvezza. Se restiamo attaccati ai beni e ai piaceri della terra, non potremo ricevere i frutti di una fede vera e vivente in Dio. TUTTI siamo chiamati al banchetto dalla nostra coscienza, e se non ce ne curiamo, condanniamo alla distruzione anche la città della nostra stessa esistenza.

Con la chiamata finale del re, che chiede ai servi di invitare tutti quanti - buoni o cattivi - si trovano per le strade, Gesù si riferisce alla chiamata dei gentili. Per quanti difetti possano avere, anche i non privilegiati hanno accesso al Regno di Dio. Pensiamoci, quando ci sentiamo convinti che essere cristiani ortodossi sia un grande privilegio (per alcuni, un privilegio di popolo o di radici etniche e culturali): se non sappiamo vivere questo privilegio eccezionale come si deve, il Signore ci metterà ben poco a farne partecipi altre persone di altri popoli.

E se ci capita di essere cristiani ortodossi per circostanze che non abbiamo determinato noi? Per esempio, se siamo nati in famiglie ortodosse, o da genitori che ci hanno fatto entrare nella Chiesa Ortodossa, magari solo per un senso di appartenenza formale? O se magari siamo entrati a far parte della Chiesa Ortodossa per scelta, ma poi ci siamo spaventati per tutta una serie di obblighi e di regole che all'inizio non conoscevamo neppure? Ebbene, anche in questi casi il nostro dovere è di non abbandonare la sala del banchetto a cui il nostro Signore ci ha invitati. Tutto quello che ci tocca di fare è esercitarci nelle virtù cristiane, che sono simbolizzate in questa parabola dal vestito di nozze. In molti punti delle Scritture i vestiti indicano direttamente le virtù, e la loro mancanza ne indica l'assenza. Così possiamo capire l'ultimo episodio della parabola, l'uomo gettato fuori "nelle tenebre esterne" (al di fuori della Chiesa, al di fuori della comunione con Dio) perché si presenta privo di qualità spirituali, come uno che non si è mai esercitato nel bene.

Perché veniamo in chiesa, fratelli e sorelle? Per annunciare al mondo la nostra fede in Cristo, per dimostrare che già qui e ora siamo invitati a partecipare al banchetto del Messia (attraverso la partecipazione al suo stesso Corpo e Sangue), e per trovare la forza e l'ispirazione a ricoprirci della veste delle virtù cristiane, esercitandoci nel perdono, nella pazienza, nell'amore reciproco, nell'aiuto ai poveri e ai bisognosi, nella preghiera, nel digiuno, nell'ascolto della Parola di Dio, nel rendimento di grazie per i suoi benefici. Che il Signore ci possa trovare, al tempo da lui stabilito, rivestiti della veste delle Sue nozze eterne.

Amen.

 
Domenica 21 ottobre 2001 - 20a dopo Pentecoste (o dei Santi Padri del Settimo Concilio Ecumenico) La risurrezione del figlio della vedova di Nain (Luca 7:11-16)

Nel nome del Padre, e del Figlio, e del santo Spirito.

Oggi è la Ventesima Domenica dopo Pentecoste, ed è anche la domenica in cui celebriamo i Padri del Settimo Concilio Ecumenico (il Secondo Concilio di Nicea, in cui è stata stabilita in modo permanente la dottrina che la Chiesa aveva insegnato fin dal principio riguardo alle sante icone).

In questa domenica abbiamo letto la storia di uno dei miracoli più interessanti del nostro Signore Gesù Cristo: la risurrezione dai morti del figlio di una vedova. Il Vangelo ci racconta ben pochi casi di persone richiamate in vita dal Signore: oltre a questo ragazzo, ne abbiamo appena due: la figlia di Giairo, e Lazzaro. Anche l'Antico Testamento ci presenta pochi casi, come quello del ragazzo richiamato in vita dal Profeta Elia (se ricordate il passo, narrato nel capitolo 17 del Terzo Libro dei Re, anche questo ragazzo è il figlio unico di una vedova: notate il curioso parallelo con il Vangelo di oggi!)

Questi tipi di miracoli (che è più corretto chiamare "richiamo dai morti" piuttosto che "risurrezione", in quanto la risurrezione di Cristo ha ben altra portata ed efficacia) sono rari, perché il Signore non si rivela con gesti spettacolari e imponenti, ma piuttosto a piccoli gradi, passo dopo passo, iniziando dalla sua stessa nascita nella carne come un bambino in una grotta. Anche i miracoli del Vangelo non servono a impressionarci, ma a farci comprendere, a portarci alla salvezza (ricordiamolo: TUTTO ciò che è scritto nelle Sacre Scritture è finalizzato alla nostra salvezza): questo processo di rivelazione divina avviene gradualmente, per darci il tempo di comprendere pienamente la vita nello Spirito.

Anche l'episodio di oggi avviene per far capire a molte persone chi è l'uomo che ha parlato loro. Gesù arriva alla città di Nain circondato dai suoi discepoli e da molta folla. Questo episodio (così come quello immediatamente precedente, la guarigione del servo del centurione) avviene dopo il Discorso della montagna, in cui la folla ha ascoltato parole di insegnamento relative al Regno dei Cieli, e ne è rimasta attratta a tal punto da seguire questo maestro. Ora è dato loro di vedere CHI è questo Regno dei Cieli che è venuto ad abitare tra noi, e chi è Colui che ha il potere su tutte le cose (ecco il senso del termine "Pantocratore"), perfino sulla vita e sulla morte.

Il morto che è portato in processione è il figlio unico di una vedova. Oltre al terribile strazio di una madre che si vede costretta ad accompagnare il proprio figlio alla tomba (già questo, nell'ordine naturale delle cose, sembra ingiusto), immaginate il dolore di una donna che sa di non avere più una fonte di sostentamento. A quei tempi, una vedova senza figli rischiava facilmente di vivere una vita di VERA povertà, e da una normale vita di famiglia, poteva spesso ridursi a sopravvivere di elemosine.

Ora, il nostro Signore le si avvicina dicendole di non piangere. Chi si sentirebbe in diritto (anche nella nostra società, che per lo meno assegna alle vedove una certa sicurezza economica per la loro vecchiaia) di dire a una donna che ha perso l'unico figlio di non versare lacrime? Chi potrebbe negarle anche questa forma di sfogo emotivo e di consolazione? Sarebbe davvero una richiesta arrogante, se non venisse da una persona che ha compassione di lei, sa di cosa ha bisogno la donna, e che in verità è in grado di restituirle ciò che ha perduto.

Gesù ferma la bara, e vi mette sopra la mano. I Padri danno un grande significato a questo gesto, e lo paragonano all'atteggiamento che noi vediamo nelle icone della Madre di Dio. La stessa tenerezza che noi vediamo circolare tra la madre e il suo bambino, è l'atteggiamento che Cristo ha nei confronti del morto e della madre: un atto di tenerezza dettato dall'amore per gli uomini. Il Dio che Gesù Cristo ci ha rivelato non è un Dio lontano e indifferente. Anzi, è un Dio che prende su di sé la nostra carne, che ci mostra solidarietà, che ci dà Egli stesso l'esempio di come vivere, che CI AMA. E mentre il Signore tocca la bara, i portatori si fermano. Si tratta di un gesto di obbedienza, che dovremmo imitare anche noi tutte le volte in cui Cristo ci si avvicina nella nostra vita: quando ascoltiamo le sue parole, quando vediamo il suo volto in un'icona, e in ogni istante in cui ci ricordiamo dei suoi insegnamenti.

Le parole dette da Gesù "Giovinetto, dico a te, alzati", ci sembrano forse un po' troppo imperiose e dogmatiche, in contrasto con quest'attitudine di compassione e di solidarietà. Perché non usare parole più dolci, tipo "ritorna alla vita"? Ricordate anche nella risurrezione di Lazzaro, quanto sembra imperioso quel "vieni fuori", soprattutto dopo le lacrime di compassione di Cristo per il suo amico? La risposta è semplice: perché Egli è il Signore della vita e della morte, Egli ha autorità (o per meglio dire, È autorità) in quanto Verbo increato di Dio.

Quando il comando di Cristo ha richiamato in vita il giovane, e prima ancora che il Signore lo dia a sua madre, questo giovane, curiosamente, si mette a parlare. Il Padri che hanno commentato questo brano ci spiegano che il suo mettersi a parlare era il modo migliore per dimostrare a quanti stavano intorno che il Signore non si era servito di trucchi o di artifici magici. Ecco una persona normale che riprende a vivere normalmente, senza dare l'impressione di essere ipnotizzato, o drogato, o con lo sguardo fisso. Non ci viene raccontato che cosa gli sia accaduto da quel momento in poi, ma sicuramente quel giovane ha avuto molte cose su cui riflettere per il resto della sua vita.

E a noi, invece, che cosa rimane su cui riflettere dopo il Vangelo di oggi? Intanto, il fatto che tutto quanto abbiamo ascoltato ci parla della nostra salvezza, e che se seguiamo Cristo, seguiamo la strada della nostra stessa salvezza. Quindi, scopriamo che il potere di Cristo si estende sulla vita e sulla morte, e che se, quando siamo afflitti, Egli ci dice "non piangere", è perché ha pronte per noi cose ancora più interessanti di quelle che crediamo di avere perduto. Poi, impariamo che, come i portatori, anche noi dobbiamo fermarci (per obbedienza, ma anche per fede) e lasciare che sia il Signore a operare quelle cose che non riusciamo a realizzare con le nostre forze. Ma "fermarci" non significa aspettare con  indolenza. Significa continuare a compiere quelle cose che ci sono state ispirate dallo Spirito Santo attraverso la Chiesa: la partecipazione alle funzioni sacre (e soprattutto ai Santi Misteri), il digiuno, la lettura delle Scritture e dei Santi Padri, lo studio delle dottrine e dei dogmi della Fede, e la pratica dei comandamenti. E quando sentiamo le parole di Cristo rivolte a noi, impariamo a considerarle così come ha fatto il giovane di Nain: non come dei suggerimenti, ma come ordini, giunti direttamente dal Sovrano della nostra vita.

Controlliamo sempre se siamo sulla via di Cristo e dei suoi comandamenti. Se deviamo dalla via di Cristo, allora non lo incontreremo. Ma se stiamo sulla sua via, sarà il Signore stesso a proteggerci, a trasformarci, a farci risorgere dai morti.

Amen.

 
Domenica 28 ottobre 2001 (21a dopo Pentecoste) La parabola del seminatore (Luca 8:5-15)

Nel nome del Padre, e del Figlio, e del santo Spirito.

Oggi è la Ventunesima Domenica dopo Pentecoste, in cui leggiamo dal Vangelo di Luca la parabola del seminatore. Si tratta di una parabola molto familiare, conosciuta anche tra i non cristiani (molte parabole e altri racconti del Vangelo sono una parte integrante della nostra cultura, e noi stessi usiamo spesso termini presi dalla Bibbia, e magari non ce ne accorgiamo neppure).

Le parabole del Signore hanno un senso esteriore e uno interiore. La particolarità di questa parabola è il fatto che il senso interiore è spiegato dal Cristo stesso ai discepoli. Ma perché il Signore parlava in parabole? Perché dire cose con un significato nascosto? I Padri ci spiegano che quando ci avviciniamo a qualcosa con profondità e attenzione,  ovvero quando facciamo uno sforzo, allora sviluppiamo una comprensione più autentica. Quando ci viene dato qualcosa senza uno sforzo da parte nostra, allora non siamo in grado di comprenderlo a fondo. Possiamo vedere che è così anche nella vita secolare di oggi: guardate quante persone giovani sanno appena leggere e scrivere, a causa dell'informazione televisiva che viene data loro liberamente e senza alcuno sforzo.

Un'altra ragione per cui Cristo si esprime in parabole è che non vuole che quanti ascoltano con leggerezza i suoi insegnamenti vengano poi giudicati responsabili delle cose che non sono riusciti a capire. Dio ci giudicherà per le cose che sappiamo, e anche per quelle cose che SCEGLIAMO di non voler sapere. Ci giudicherà se sappiamo bene qual'è il nostro dovere e decidiamo di non compierlo, e ci giudicherà allo stesso modo se scegliamo volontariamente di essere ignoranti nelle vie della pietà.

Qual'è allora il significato interiore di questa parabola? In realtà è spiegato molto bene nel testo stesso, ed è molto raro nelle Scritture che il Signore spieghi ai suoi discepoli il senso profondo delle sue parole. Ma questo significato è molto importante, ed è bene che tutti (non solo gli apostoli, ma anche noi stessi) lo imparino.

"Un seminatore uscì a seminare la sua semente...". Chi è il seminatore? Non è altri che il nostro Signore Gesù Cristo. I semi sono la Parola di Dio (proprio il "Verbo" di Dio, ovvero il dono che Dio fa di se stesso), che si riflette nelle parole che Cristo ci ha insegnato. E come nel resto delle Sacre Scritture, ogni parola ha un senso: "uscì" significa l'Incarnazione del Figlio di Dio, che ha preso la nostra natura per seminare nel mondo il proprio insegnamento.

Il seme cade in quattro tipi di terreno diverso: il bordo della strada, le rocce, le spine e il terreno buono. Si dice che il seme "cade": non è gettato con la forza, non è imposto con violenza a ciascuno di noi, ma cade uniformemente su tutti, liberamente disponibile a ogni essere umano.

Ci sono quattro tipi di uomini descritti in questa parabola, e tre di questi tipi periscono. Tre tipi di uomini su quattro periranno: se anche non si tratta della maggioranza numerica degli uomini, questa parabola ci racconta qualcosa di terribile: la maggioranza dei tipi di uomini non erediterà il Regno di Dio. Eppure, il nostro Signore continua a seminare la sua semente, e a dare a tutti noi l'opportunità di accettarlo e di seguire i suoi comandamenti.

Il tipo di uomo che viene assimilato al terreno lungo la strada è colui che non crede davvero, che non ha alcun desiderio o convinzione spirituale. I demoni dell'aria portano via immediatamente la parola dai loro cuori. La terra della strada è battuta, indurita: nessun seme vi può penetrare, e viene portato via dall'acqua, oppure resta preda degli uccelli. Se teniamo cara la parola di Dio, i demoni non possono sottrarla al nostro cuore: se però non ce ne curiamo, allora sarà loro preda.

Alcuni semi cadono sulle rocce, e dopo essere nati appassiscono per mancanza di umidità. Qui c'è un po' di terreno, ma non a sufficienza da trattenere l'umidità, ovvero la conoscenza di Cristo. Quando non c'è molto sforzo o desiderio, alla prima e più piccola difficoltà si cade e si muore.

Alcuni sono rappresentati dal terreno spinoso. Le spine soffocano la pratica dei comandamenti, la conoscenza di Dio, e sono di vario tipo, dalle ricchezze agli affanni, ai piaceri dei sensi, all'orgoglio, alla paura, all'ambizione. Ci sono centinaia di modi in cui possiamo voltare le spalle a Cristo, anche se ci rimane l'apparenza esteriore di cristiani. Le spine ci ricordano, in un'altra parabola, la zizzania che cresce assieme alla nostra vita cristiana. E anche se questa vita ha un'apparenza normale, in realtà le spine le sottraggono ogni forza vitale, e ogni autentica vicinanza a Cristo.

Alcuni dei semi cadono sul terreno buono e crescono e portano frutto. Il Vangelo di Luca, che abbiamo letto oggi, dice cento volte tanto. La versione di San Matteo è leggermente diversa: il frutto è ora trenta, ora sessanta, ora cento volte. Neppure tutti i Santi sono allo stesso livello, e questo è rassicurante per noi, perché ci indica che anche che non siamo capaci di grande eroismo di fede, rimane tuttavia una misura di grazia e di felicità proporzionale alla nostra capacità di amare. Il problema è, se mai, come imparare ad aumentare questa capacità di amare...

Com'è che possiamo essere terreno buono? Non è forse questo l'insegnamento più importante che possiamo trarre da questa parabola?

Chiunque abbia mai cercato di coltivare qualcosa, sia pure una singola pianta, sa con quanta cura va preparato il terreno. Per ottenere terreno buono, bisogna zappare e vangare a fondo, spezzare le zolle di terra, gettare via i sassi e i detriti, setacciare finemente la terra, aggiungere fertilizzante, irrigare, e recintare il terreno per non far entrare gli animali. Poi, occorre custodire la terra perché nessuno rubi i frutti. Per avere terreno buono, nei campi come nel cuore, è richiesto uno sforzo. Non è una cosa che si limita ad "accadere".

Inoltre, perché un terreno buono resti tale, occorre ancora una cosa: la costanza nel mantenerlo libero da erbacce. Un terreno buono ma trascurato ritorna in pochi anni allo stato originale. La stessa cosa accade per noi. Se non curiamo con perseveranza (il requisito menzionato dal Signore nella spiegazione della parabola) i semi piantati in noi da Dio, ritorneremo allo stato dell'uomo che eravamo un tempo. Le erbacce possono ricrescere in ogni momento, visto che i loro semi - così come i demoni - sono diffusi ovunque nell'aria. E più tempo si aspetta a sradicare le erbacce, maggiore è lo sforzo che dobbiamo fare. Quanto è doloroso strappare con le mani erbacce con radici profonde, e con spine che ci feriscono e ci fanno sanguinare! Eppure è un lavoro necessario, se vogliamo anche solo INIZIARE a essere terreno buono!

La perseveranza nello sforzo per il Signore è una cosa che ci porta alla salvezza. Cristo stesso ce lo dice, ricordandoci che chi persevera sino alla fine sarà salvato. Siamo appena agli inizi. E se vediamo che qualche parte del nostro essere è terreno buono, allora lavoriamo per trasformare anche il resto in terreno buono. Guardiamo anche con cura, di tento in tanto, a quei punti dove ci sembra di avere già fatto pulizia, per assicurarci che nel frattempo non vi siano cresciute spine soffocanti.

Speriamo di poter essere tutti considerati come terreno buono; lavoriamo con pazienza su di noi, preghiamo gli uni per gli altri, aiutiamoci gli uni gli altri, e chiediamo ogni giorno l'aiuto del Signore, perché la sua grazia ci faccia sradicare i peccati che commettiamo. Lasciamo anche al Signore il tempo di operare in noi, senza volere "tutto e subito", ma facendoci guidare a ciò che è meglio per la nostra crescita. Soprattutto, non perdiamo la speranza: tutti noi POSSIAMO cambiare, e portare a tempo debito i frutti dello spirito.

Nessuno di noi è simile al terreno duro del bordo della strada, perché non siamo del tutto indifferenti, e facciamo per lo meno uno sforzo di venire ad ascoltare le parole del Signore, e a passare un po' del nostro tempo in preghiera assieme a tutta la Chiesa. Alcuni di noi possono avere rocce e spine nel proprio terreno. Non ci è dato di sapere chi, Dio lo sa per tutti, e ciascuno lo sa per quanto riguarda se stesso. Ma se ci accorgiamo che il terreno dei nostri cuori non è ancora pronto del tutto a portare frutti, allora lavoriamo, con l'aiuto del Signore, per diventare terreno buono, coltiviamolo, e Dio ci darà la sua salvezza.

Amen.

 
Domenica 4 novembre 2001 (22a dopo Pentecoste) Il ricco e Lazzaro (Luca 16:19-31)

Nel nome del Padre, e del Figlio, e del santo Spirito.

Alla ventiduesima domenica dopo la Pentecoste è assegnata la lettura della parabola del ricco e di Lazzaro, che è riportata solo nel Vangelo di San Luca. Questo fatto non ci deve stupire come se fosse una curiosità, ma dovrebbe piuttosto farci apprezzare l'umanità degli evangelisti, che aveva prospettive leggermente diverse nel narrare gli stessi gesti e racconti del Signore Gesù Cristo. Il fatto che ogni vangelo abbia le sue particolarità dovrebbe anzi spingerci a leggerli tutti con interesse.

Tutte le parabole del Signore, come già abbiamo visto in molti casi, hanno un significato letterale e uno più profondo, che possono scoprire quanti desiderano fare uno sforzo per comprendere, e per raggiungere la salvezza. Questa parabola, in particolare, è ricca di MOLTI significati. Parla degli ebrei e dei pagani, rappresentati rispettivamente dal ricco e da Lazzaro. Fondamentalmente, dice che i pagani sono sulla soglia della salvezza, così come Lazzaro stava alle porte del ricco. Impariamo anche qualcosa sui giusti e sugli ingiusti, su come dobbiamo e su come non dobbiamo comportarci. Vediamo i frutti della sopportazione, e quelli dell'avarizia e della mancanza di compassione. Impariamo come agire quando siamo ricchi, e come agire quando siamo poveri. Inoltre, impariamo molte cose sulla vita futura, soprattutto sulla condizione dei dannati.

Questa parabola racconta molte cose sulla vita dopo la morte, e ci è di aiuto a rispondere a molte eresie sorte nel corso degli ultimi secoli. Una di queste è la dottrina (ripresa circa 150 anni fa dal movimento avventista) detta del "sonno dell'anima", che porta alle logiche (per quanto sbagliate) conseguenze il rifiuto protestante delle preghiere per i defunti: secondo queste idee, l'anima dei defunti entra in un periodo di incoscienza subito dopo la morte, per "risvegliarsi" solo all'ultimo giudizio. Proprio questa parabola ci mostra quanto questa dottrina sia in contrasto con l'insegnamento di Cristo, così come quelle dottrine che insegnano che l'inferno altro non è che un annientamento totale dell'anima e della coscienza. Inoltre, questo racconto dissipa le dottrine che tendono a rimuovere dall'uomo la responsabilità delle proprie azioni (responsabilità che il Signore sottolinea in ogni sua parola). Infine, alla fine della parabola, impariamo come bisogna ascoltare la Parola di Dio, e come non esista una seria alternativa a questa obbedienza: se non ascoltiamo la Parola di Dio, non ci sono altri mezzo che ci possono convincere, neppure se qualcuno risorge dai morti.

La parabola inizia così: "c'era un uomo ricco". Un uomo ricco - non ha neppure un nome. Ma perché? Le Scritture contengono numerosi riferimenti agli uomini ricchi di beni terreni, ma poveri di virtù, di cui si dimentica il nome (ovvero la memoria); pensiamo per esempio a quanto dice il profeta Giobbe (18:17): "Il suo ricordo sparirà dalla terra e il suo nome più non si udrà per la contrada." Così il ricco della parabola è un uomo senza nome: Dio si è scordato di lui, e ha tolto il suo nome dal Libro della vita.

Era "vestito di porpora e bisso (un tipo di lino molto fine), e banchettava tutti i giorni lautamente". Qui abbiamo due significati: gli ebrei erano "rivestiti" dalla legge, e la grazia di Dio era abbondante in loro, e certo non è un peccato essere ricchi dei doni di Dio, e neppure di saperli apprezzare. È però un peccato, un grande peccato, non sapere condividere. E il ricco aveva molto da condividere con Lazzaro, che era una persona da lui conosciuta, come vediamo alla fine della parabola. Anche nell'inferno si ricordava del suo nome, mentre possiamo essere sicuri che non si fosse mai preoccupato durante la vita di dirgli una sola parola, o di dargli uno sguardo compassionevole.

E c'era "un mendicante, di nome Lazzaro": ecco, quest'uomo HA un nome. Dio lo conosce, e lo conosce BENE. Lazzaro rappresenta i pagani, che a quel tempo erano davvero mendicanti, ancora alle soglie del Regno che ancora non era stato loro rivelato. "La loro memoria sia di generazione in generazione", così diciamo dei giusti che hanno trovato riposo nel Signore. Ecco perché l'identità di Lazzaro - tanto anonimo nella vita terrena - è ricordata, mentre il ricco resta privo di nome e di volto nella vita futura.

Si dice che Lazzaro "giaceva alla porta, coperto di piaghe." Anche qui ci sono due significati. Questa porta alla quale aspettano i pagani, è la soglia stessa della salvezza. Mentre le prostitute e i pubblicani entrano nel Regno, i farisei e sadducei non se ne rendono conto, perché sono troppo arroganti per vedere. Pensano che la loro porpora e il loro bisso durino per sempre, e di fatto non è così.

Abbiamo qui anche un altro significato a cui pensare. Chi giace alla nostra porta? Abbiamo qualche mendicante, che chiede vestiti, denaro, salvezza, tranquillità, consolazione? C'è qualcuno che facciamo finta di non conoscere? Il ricco non aveva scuse, perché conosceva Lazzaro. Lo vedeva ogni giorno (visto che si parla dei suoi banchetti quotidiani, e del desiderio di Lazzaro di sfamarsi alla sua mensa), e tuttavia lo ignorava.

E che cosa sono queste piaghe? Sono i  peccati. Lazzaro era benedetto dal Signore, eppure era anch'egli un peccatore, come tutti noi. Eppure, le ferite dei suoi peccati erano sulla superficie della pelle. I cani stessi, leccandolo, erano in grado di portargli sollievo. Le ferite del ricco erano interiori. Non potevano essere viste e purificate, e così il ricco morì nei peccati. Quando confessiamo i nostri peccati, li portiamo alla superficie, così la nostra anima non rischia di andare in cancrena, ritrovandoci a dover confessare i nostri peccati in un momento in cui non c'è più perdono.

L'immagine delle piaghe di Lazzaro leccate dai cani ci parla anche della sua solitudine. È un uomo privo di conforto. Solo i cani vengono da lui. E la solitudine che deve sopportare, il freddo, la nudità, la fame, la paralisi, il disprezzo, assieme al calore e al lusso dei cibi che vede sulla tavola del ricco, costituiscono tutti una prova che gli dona grandezza d'animo. Il testo non fa parola di un singolo suo lamento.

"Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo." La morte del povero, per questo mondo, è un evento del tutto trascurabile. Non si parla della sua sepoltura. Probabilmente, come accadeva per tanti mendicanti, qualcuno ne prese il corpo e lo gettò in qualche fossa comune. Nessuno venne a pregare per lui. Nessuno se ne occupò. Il ricco potrà avere notato la sua assenza qualche giorno dopo la morte. "Oh, non c'è più quel fastidioso mendicante. Meno male...". La sua morte non creò conseguenze nella società umana di quel tempo.

Ma non morì da solo: la sua morte fu causa di grande gioia nei cieli, e gli angeli lo scortarono nel seno di Abramo. Così capita alla morte dei giusti: il mondo non ne vede che un'immagine deformata.

Che cos'è il seno di Abramo? Naturalmente, è la salvezza. Il riferimento ad Abramo è importante per mostrare agli ebrei la loro stoltezza. E la lezione fu capita. Questa divenne una delle ragioni per cui gli ebrei odiavano tanto Gesù: l'immagine dei pagani che ereditano la salvezza promessa ai discendenti della stirpe di Abramo.

Vediamo invece come è descritta la morte del ricco: "Morì anche il ricco e fu sepolto." Punto. Il Signore parla di una sepoltura, ma senza menzionare nessuno. Il ricco muore da solo! Certamente, la sepoltura di un ricco era un evento notevole, con molto sfarzo, con persone (pagate) che facevano lamenti funebri, processioni, e così via. Dovevano esserci molti familiari (normale, per un uomo che lasciava cinque fratelli ancora in vita), servitori e altri conoscenti. Ma questi non compaiono nel racconto del funerale. Perché? Perché probabilmente non lo amavano affatto, e non avevano per lui nemmeno quell'affetto mostrato dai cani che leccavano le piaghe di Lazzaro. C'erano probabilmente debitori lieti della sua morte che li liberava da obblighi di pagamento, e tanti familiari che erano ansiosi di ereditare da lui, e di mettere le mani sui suoi beni.

Subito dopo la sepoltura, vediamo il ricco tra i tormenti dell'inferno, a elevare gli occhi e a vedere da lontano Lazzaro nel seno di Abramo. Questi tormenti, che ben giustamente sono paragonati a un'arsura inestinguibile, sono tutti i rimorsi, gli "avrei dovuto", gli "avrei voluto" e gli "avrei potuto" della vita, a cui non si può più rimediare. È importante anche il particolare della lontananza: Abramo è lontano, perché è il ricco ad aver deciso di essere lontano dalla luce. Il ricco vede Lazzaro, ma Lazzaro non vede il ricco. Lazzaro è nella beatitudine, e non è gravato dal peso della conoscenza della situazione del ricco. Anche in questo mondo, chi è nella luce ha problemi a vedere chi sta nel buio, ma chi sta nel buio può vedere facilmente quanti stanno in piena luce.

Ora, non lasciamo che il diavolo ci inganni, facendoci temere per la sorte dei nostri cari, chiedendoci come mai potremmo essere felici sapendo che anche una sola persona a noi cara non è in cielo. Ma questa non è una preoccupazione giusta e doverosa: l'unica nostra vera preoccupazione è quella di giungere noi stessi alla salvezza, perché se non salviamo la nostra anima, come possiamo mai aiutare qualcun altro a salvare la propria? Preghiamo il Signore per la nostra salvezza, e preghiamo per tutti quanti ci sono cari.

Una preghiera sincera può essere di aiuto, così ci insegna a credere la Chiesa, anche per lenire i tormenti di chi soffre nell'inferno. Per questo il ricco chiede ad Abramo di mandare Lazzaro a intingere la punta del dito nell'acqua. Ma a colui che negò a Lazzaro una singola briciola non può ricevere neppure il beneficio di una goccia sulla lingua.

Ricordiamo che il ricco era un ebreo, che probabilmente andava in sinagoga, diceva qualche preghiera in cui non credeva, e faceva qualche elemosina solo per farsi notare. E sono queste cose a bruciare in lui con il fuoco della disperazione: la lingua brucia per l'ipocrisia di cose dette e non messe in pratica, per una fede professata ma non creduta veramente.

Abramo ha compassione di lui, e lo chiama figlio, ma questo non è in grado di fargli del bene, ora. Gli dice "hai ricevuto i tuoi beni durante la vita". In alcune lingue, quali lo slavonico e il greco, questo termine "ricevere" ha il significato di "ottenere il frutto di ciò che si è fatto". Ora il ricco semina ciò che ha raccolto, e dato che non ha seminato, non resta nulla da raccogliere. Ha deciso nella sua vita, come Esaù, di scambiare la propria primogenitura con un piatto di lenticchie. Ha fatto la sua scelta, e ha deciso ciò che voleva. Anche noi possiamo fare questa scelta: quando vogliamo i nostri beni? Tutti e subito, o nel Regno dei Cieli? Non avremo nulla nel Regno, se cerchiamo ora solo la felicità mondana.

L'abisso intransitabile di cui parla Abramo è scavato dalle mani stesse del ricco,  che vi è saltato dentro di propria iniziativa. Nonostante non possa varcarlo, il ricco si pente, e vuol fare ammenda. Non è un uomo del tutto privo di buoni sentimenti. Anche la sua memoria è conservata, al punto che invita Abramo a intercedere presso i suoi fratelli. I sensi e la comprensione nella vita futura, in cui saremo privi del fardello della carne, saranno più forti e più fini di quelli attuali,. Anche i tormenti si fanno più forti, e i desideri di piacere e di ricchezza resteranno per l'eternità: "il loro verme non muore e il loro fuoco non si estingue".

Alla richiesta di inviare Lazzaro ai fratelli, Abramo risponde "hanno Mosè e i profeti (ovvero, la parola di Dio); ascoltino loro". Il ricco sa che ciò non sarà abbastanza (non lo è stato per lui...), e prega Abramo di operare un miracolo di risurrezione: nella risposta di Abramo, "Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi", si compendia la risposta degli ebrei alla risurrezione di Cristo stesso (l'ascolto di questa parabola deve avere accresciuto ancor più l'odio di quanti già cercavano di mettere a morte il Signore).

Perché alcuni non vengono "persuasi", né dalla Parola di Dio né da ovvi miracoli? Perché molti che si dicono cristiani hanno difficoltà a "persuadersi" a vivere come tali. Il ricco, come tanti, diceva di credere, ma non cambiava. Lazzaro, attraverso la pazienza e la perseveranza, è stato salvato. Che il Signore ci aiuti a sopportare tutte le sofferenze, a cambiare per essere simile a lui, a essere pazienti, e alla fine a vederlo in paradiso.

Amen.

 
Domenica 9 dicembre 2001 (27a dopo Pentecoste) La guarigione in giorno di sabato della donna inferma da 18 anni (Luca 13:10-17)

Nel nome del Padre, e del Figlio, e del santo Spirito.

Nel Vangelo di oggi leggiamo della guarigione di una donna da un'infermità che la tormentava da diciotto anni, e questa guarigione avviene in giorno di sabato. Come al solito, nei passi del Vangelo ci sono un senso esteriore e uno interiore. Il senso esteriore è abbastanza ovvio da vedere, nelle parole di Gesù Cristo che rimprovera il capo della sinagoga: il senso è che non esiste un periodo prefissato per la misericordia di Dio: ogni momento è adatto per una manifestazione di misericordia, a cui non dovremmo anteporre alcuna prescrizione legale. Il senso interiore si comprende invece dall'infermità della donna, che è ripiegata su se stessa e non riesce a rizzarsi in piedi. C'è un grande significato racchiuso in questa malattia, e nella sua guarigione in un giorno di sabato.

Il Signore insegnava di sabato in una sinagoga ebraica, come da sua abitudine. È un'abitudine molto ebraica di stare tutto il giorno di sabato in sinagoga a parlare delle cose di Dio. E noi cristiani cerchiamo di emularla in modo povero, purtroppo non come facevano gli apostoli e i primi cristiani, tanto ricchi di zelo. Ma serviamo la Grande Veglia e la Divina Liturgia, e in questi momenti abbiamo anche l'occasione di sentire, nella predicazione, una spiegazione e un commento della Parola di Dio. E, credetemi, ne abbiamo bisogno: dovremmo alimentarci continuamente alla sorgente della santità, perché siamo immersi in un ambiente soporifero di preoccupazioni, piaceri e illusioni mondane. Dobbiamo fare qualcosa perché queste distrazioni non prendano il sopravvento: di certo, qualche ora a contatto con cose sante non ci rende subito santi, ma ancor più non possiamo pensare di diventare santi se non passiamo del tempo a lasciare che la santità tocchi e trasformi la nostra vita. Lo scopo delle nostre riunioni di culto al sabato e alla domenica è di lasciare che Dio operi in noi qualcosa con la partecipazione ai suoi Misteri, che sono la medicina dell'immortalità. Ma ci riuniamo anche per gustare la dolcezza dell'insegnamento teologico della Chiesa. Si tratta di parole ispirate da Dio, che respirano con il respiro stesso dello Spirito Santo. E se ascoltiamo e preghiamo, possiamo percepirlo noi stessi: possiamo sentire Dio che parla nelle funzioni della Chiesa!

Sabato e domenica sono consacrati al nostro ricordo di Dio. E anche se tendiamo a distrarci e a cadere nel peccato, facciamo anche un certo sforzo in questi giorni per mantenere vivo in noi il ricordo di Dio. E tale sforzo è proprio l'elemento che ci fa percepire Dio. Non lamentiamoci, pertanto, perché le funzioni della Chiesa sono così lunghe e complesse: più è alto lo sforzo che noi facciamo a partecipare, più è alto il nostro livello di comprensione di Dio: e questo è un tesoro di enorme valore, che dà senso a tutta la nostra vita, e che portiamo con noi anche quando usciamo dalle chiese.

Continuiamo a sforzarci, e il Signore ci aiuterà, così come ha fatto con la donna di cui abbiamo letto nel Vangelo di oggi.

Il Dio-uomo può dire semplicemente "Sei libera", per guarire la donna da un'infermità di dolore e tristezza durata diciotto anni. Si tratta di un tempo ben lungo, e i Padri ci fanno notare che anche la menzione della durata ha un significato: è per mostrarci che si tratta di un'opera di Dio, che siamo nel territorio di Dio, per così dire. E si tratta di un miracolo semplice, senza molta fanfara. Non ci sono eventi che si snodano lentamente fino alla conclusione miracolosa, come nel caso della figlia di Giairo, il cui episodio abbiamo letto da poco. La stessa semplicità e schiettezza del miracolo, il breve comando che libera la donna, sono la prova che Colui che ci ha creati può liberarci dal male con una sola parola. E nessun uomo può fare tanto. Anche la sapienza dell'Antico Testamento, fissandosi sulla vanità delle cose umane, ricorda come "ciò che è piegato non può essere raddrizzato" (Qoelet 1:14). Dicendo alla donna "sei libera", il Signore le dice "tu non puoi aiutarti da sola, ma io posso. Sono giunto ad aiutarti, e lo farò, liberandoti dai tuoi peccati e dalle tue passioni". Essere ripiegati su se stessi è una metafora per il peccato e l'egoismo, che ci fa perdere nella vanità del mondo. E il Signore non solo ci guarisce, ma vuole che possiamo vederlo come guaritore.

Perché era oppressa, questa donna? A causa dei suoi peccati che l'avevano messa in balia di satana, come è evidente dalle parole stesse di Gesù al capo della sinagoga. La sofferenza resta sempre un mistero. Talvolta si soffre a causa dei propri peccati, altre volte no. Ma questa è una cosa che non ci è dato di sapere. Alcuni prosperano da malvagi, altri soffrono da giovani e virtuosi. Alcuni hanno grandi difficoltà e ad altri sembra andare tutto bene. Dio conosce ciò che è meglio per noi, e per la nostra salvezza. Nel caso della donna, c'era una sofferenza a causa di peccati, ma questa sofferenza era sopportata con coraggio. E la donna andava al tempio, mantenendo nel proprio cuore la speranza di essere curata.

Ricordiamo un altro miracolo di Cristo, quello in cui un paralitico riacquista l'uso delle gambe nello stesso momento in cui il Signore perdona i suoi peccati. Anche nel caso della donna c'è un rapporto tra peccato e infermità, e nel liberarla dalle infermità, Cristo la libera dai peccati. In tal modo, rialzandosi, la donna può vedere in faccia il Figlio di Dio, e iniziare a vivere una vita cristiana.

Il Signore, per la verità, è venuto a raddrizzare le storture di tutti noi. Lo annuncia anche il Battista, parlando di "raddrizzare le Sue vie". Solo Dio può raddrizzare ciò che è storto.

E cosa accade quando la donna è libera? Si mette a lodare Dio, e ci si può immaginare che tutti ringrazino il Signore con un senso di timore riverenziale. Ma che capita? Il capo stesso della sinagoga, indignato, rimprovera questo atto di guarigione, poiché è avvenuto di sabato. Dietro l'impressionante stupidità di queste parole, si avvertono gelosia e ire, che offuscano la mente e fanno dire sciocchezze. Chi può paragonare la misericordia di Dio al lavoro ordinario nei campi? E del resto il sabato è un giorno di riposo, ma Cristo, liberando una donna tormentata da diciotto anni, non sta proprio portando il sabato al suo compimento? Nel giorno del riposo, le dona il riposo! Bisogna essere ben stupidi e pieni di arroganza, per non vederlo.

Notate come si esprime il capo della sinagoga. Non si rivolge direttamente a Cristo, come se non avesse il coraggio di farlo. Ma cerca l'approvazione degli altri, per farseli complici. E il Signore invece si rivolge proprio a lui, e gli risponde in modo semplice e diretto. La misericordia di Dio è adatta al sabato, perché è adatta a ogni istante della vita. E chi lo mette in dubbio non è un credente genuino, è un ipocrita. La donna (così come Zaccheo, in un'altro episodio) è detta "figlia di Abramo" ossia vivente nella fede del popolo di Dio, ma il capo della sinagoga, che probabilmente avrebbe protestato di avere anch'egli Abramo per Padre, non merita questo appellativo: "se fosse figlio di Abramo, farebbe le opere di Abramo" (cfr. Gv 8:39). Essere chiamati figli di Abramo significa credere e agire secondo la propria fede. Anche se abbiamo peccati che ci piegano a terra, Dio ci libererà a seconda della nostra fede e del nostro impegno, e ci metterà in grado di vivere virtuosamente.

Sradichiamo pertanto dalla nostra vita l'ipocrisia. Se c'è qualcosa che ci fa credere di essere superiori, che ci fa cercare gli onori e l'approvazione degli uomini, chiediamo a Dio di illuminarci, e di perdonarci. Facciamo uno sforzo per vivere noi stessi secondo i comandamenti di Dio, senza invidiare la misericordia che Egli vuole elargire a quanti stanno intorno a noi. Verrà allora anche per noi il tempo in cui, liberandoci dal peso dei nostri peccati, ci permetterà di raddrizzarci e di guardarlo faccia a faccia.

Amen. 

 
Una mappa del mondo ortodosso

Distribuzione del cristianesimo ortodosso nel mondo per paese

 

Dati dalla pagina di Wikipedia “Orthodoxy by country”, aggiornati al 2010

 

Ortodossia calcedoniana

     Religione maggioritaria (più del 75%)
     Religione maggioritaria (50% - 75%)
     Religione minoritaria importante (20% - 50%)
     Religione minoritaria importante (5% - 20%)
     Religione minoritaria (1% - 5%)

 

Ortodossia non calcedoniana

     Religione maggioritaria (più del 75%)
     Religione maggioritaria (50% - 75%)
     Religione minoritaria importante (20% - 50%)
     Religione minoritaria importante (5% - 20%)
     Religione minoritaria (1% - 5%)

 

 
Domenica 31 agosto 2003 (11a dopo Pentecoste) L'uso corretto del denaro (1 Corinzi 9:2-12 e Matteo 18:23-35)

Nel nome del Padre, e del Figlio, e del santo Spirito.

Nell'Undicesima Domenica dopo la Pentecoste, le letture dell'Apostolo e del Vangelo ci presentano storie di beni materiali, di pagamenti e di ricompense dovute, e dell'uso delle nostre ricchezze al servizio di Dio.

Non è mai facile parlare di denaro quando si spiegano le Sacre Scritture: alcuni pensano che non sia un argomento abbastanza "spirituale", ma di fatto la Bibbia è piena di riferimenti alle nostre ricchezze e a come le usiamo. Il nostro Signore Gesù Cristo parla di denaro molto più di quanto parli di temi come la fede, la risurrezione e la vita eterna. Questo ci deve far pensare che il giusto uso dei nostri beni è importante per la nostra salvezza.

San Paolo ricorda ai cristiani di Corinto che il suo compito missionario di annuncio del Vangelo porta un beneficio a tutta la comunità, e perciò è bene che coloro che lavorano per il Regno di Dio ricevano un compenso da parte del popolo di Dio. Come cristiani, dobbiamo sentire tutti un dovere di aiutare il lavoro di chi continua l'opera degli Apostoli. Per questo San Paolo cita un precetto dell'Antico Testamento (Deuteronomio 25:4), in cui si dice di non mettere la museruola a un bue che sta trebbiando: la metafora significa che quando qualcuno fa un lavoro duro, non è onesto privarlo anche del suo cibo.

Per dare a Dio il dovuto, l'antico Israele aveva l'uso della decima. Ogni anno, il dieci per cento di tutti i frutti della terra e degli animali veniva donato a coloro che si occupavano del servizio alla Legge (la tribù dei Leviti) e del culto del tempio (i sacerdoti). Oggi, i cristiani non devono sentirsi obbligati al pagamento della decima, così come lo erano gli agricoltori e gli allevatori dell'Antico Testamento; ma quanto è triste che proprio noi, che diciamo di avere nella Chiesa la pienezza dello Spirito Santo, e che il Vangelo di grazia da noi annunciato è superiore alla Legge di Mosè, non riusciamo a mantenere lo stesso livello di generosità del popolo ebraico. Se possibile, dovremmo dare ancora di più del dieci per cento dei nostri beni! Ricordiamo cosa dice San Giovanni il Precursore nel Vangelo di Luca? "Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto!" (Luca 3:11).

Se consideriamo i doni di misericordia che il Signore ci elargisce, non ci sarà difficile vedere nelle letture di questa domenica una profonda lezione di introduzione al dono e alla generosità. E partendo dalla generosità nei beni materiali, perché "là dove è il nostro tesoro, sarà anche il nostro cuore" (Matteo 6:21), impareremo anche altre forme di generosità, come la capacità di perdonare (cosa che ci viene chiesta dal Signore in questa parabola del debitore ingrato). Impareremo veramente che tutto appartiene a Dio, e che quanto possediamo in questo mondo è "nostro" solo nel modo in cui un bambino può dire che la camera da letto in cui dorme è "sua": di fatto, la camera appartiene ai genitori, e il bambino ne può disporre temporaneamente sotto la direzione dei genitori (ai quali dovrà rendere conto di come ha usato la camera). Allo stesso modo, se impariamo che ogni nostro bene ci è dato da Dio perché lo amministriamo, saremo in grado di usarne con generosità restituendo al Signore - così come si canta nella Divina Liturgia - "Il suo dal suo, in tutto e per tutto."

Amen.

 

 
Liturghia euharistică în casele de adunare din antichitate

Multe grupări evanghelice din ziua de astăzi propun să abandonăm modelele tradiționale ale slujirii în Biserică, înlocuind așa-zisa monotonie cu ceea este – după cum susțin ei – un model mai aproape de spiritul „Noului Testament”, altfel spus „casa de adunare” sau biserica de tip „capelă”. În esență, aceștia vor ca fiecare biserică locală să practice reuniunile de tip descentralizat, cu alte cuvinte întruniri în case particulare, grupurile formându-se în mod proporțional cu mărimea localității sau a regiunii. Adepții acestei concepții susțin că acesta ar fi modelul biblic atât pentru credincioșii din lume, cât și pentru cei ce urmează perioada de ucenicie, practică (care spun aceștia) își are originea în însuși Noul Testament.

Biserica de la Dura Europos, începutul secolului al III-lea

A - pridvorul de intrare

B - curtea

C - scarele la etajul de sus

D - baptisteriu

E - cristelniţă

F - sala de învăţătură

G - sala de adunare

 

Chiar dacă citim, desigur, despre case de adunare în Noul Testament (de exemplu 1 Corinteni 1-11, 16, Romani 16, 5, Coloseni 4, 15), acestea fiind de obicei case ale unor oameni înstăriți care aveau destul spațiu pentru a adăposti un număr mai mare de oameni, casele de adunare sau capelele zilelor noastre nu au, de fapt, mare lucru în comun cu cultul și modul de venerare caracteristic prototipului neo-testamentar. Mai mult de atât, casele de adunare din perioada Noului Testament au evoluat, devenind bazilici în epoca post-imperială ce a debutat cu domnia lui Constantin cel Mare, atunci când credința ajungea să nu mai fie nevoită a se refugia în catacombe, după cum se întâmplase în vremea persecuțiilor romane și iudaice. Elementele ce compuneau ambientul interior al primelor case de rugăciune s-au regăsit și în bazilicile cu mult mai sigure, precum și în templele din secolul al IV-lea și de mai târziu – atâta doar că noul context le conferea o libertate sporită, fapt ce va conduce la diversificarea și înflorirea acestei forme de expresie.

 
Două astfel de elemente cu totul definitorii ale celor mai vechi case de rugăciune – și, de fapt, ale celor mai vechi biserici ce au fost descoperite vreodată – sunt baptisteriul și locul în care se săvârșea jertfa euharistică [altarul]. 
 
Comentând episodul controversei de la Corint cu privire la Sfânta Euharistie, Jerome Kodell descrie o casă de adunare creștină tipică pentru secolul I d.H.:
 
„cercetările arheologice au demonstrat că o asemenea casă de adunare putea asigura spațiul necesar servirii mesei pentru aproximativ cincizeci de persoane – zece în triclinium (sala de mese sau sufrageria), unde invitații stăteau întinși pe sofale, și patruzeci în atrium (curtea sau grădina), unde aceștia luau loc împrejurul unui mic havuz amplasat în centru” [1].
 
Jerome Kodell, The Eucharist in the New Testament, p. 75.
 
Biserica din Megiddo, sec. al III-lea Descrierea de față corespunde cu cele mai vechi descoperiri arheologice în domeniul caselor de rugăciune vechi, cea de la Megiddo (Palestina) și cea de la Dura Europos (Siria), ambele datând din secolul al III-lea (cam pe la începutul sau mijlocul secolului). Ambele case de rugăciune au o încăpere destinată slujbei de botez, un loc în care se adunau credincioșii și un mic spațiu rezervat Tainei Sfintei Euharistii (de multe ori o masă înaltă sau un altar). În casa din Megiddo a fost găsită o inscripție mare pe mozaic care sună astfel: „Iubitorul de Dumnezeu Aketous a consacrat această masă întru pomenirea Dumnezeului Iisus Hristos”, referință evidentă la Sfânta Împărtășanie, având în vedere că sunt prezente ambele cuvinte „masă” și „pomenire”.
 
Aceste clădiri nu erau simple case în care să se oficieze slujbe austere, lipsite de orice urmă de împodobire sau frumusețe. De altfel, Hugh Wybrew consemnează următoarele: 
 
„Chiar dacă slujbele aveau loc într-un cadru domestic, nu însemna neapărat că nu aveau o anumită strălucire. Prin anii 260, Pavel, episcopul Samosatei, avea un jilț măreț ridicat pe un podium în antreul casei care era alipit de sala de audiențe. Intrând apoi în încăperea destinată cultului liturgic, era primit de credincioși cu cinstea cuvenită unui magistrat roman… Adunarea credincioșilor din Cirta, un orășel din Africa de Nord, se reunea într-o casă obișnuită. Aveau, însă, o colecție bogată de vase din aur și argint, de candele și sfeșnice din bronz. În ciuda persecuțiilor ce se abăteau în mod neașteptat asupra creștinilor, Biserica a prins putere cu repeziciune de-a lungul secolului al III-lea, punând astfel bazele pentru viitoarea sa expansiune”.
 
Hugh Wybrew, The Orthodox Liturgy, p. 22.
 
Această Biserică din Cirta care își desfășura activitatea liturgică în timpul domniei împăratului Dioclețian – unul din cei mai cruzi persecutori ai creștinilor din istoria Imperiului Roman – a fost scena unui raid al autorităților imperiale. În documentul oficial al vremii păstrat de oficialitățile păgâne romane (scris cu mâna lui Munatius Felix), se face un inventar al bunurilor Bisericii:
 
„Victor, fiul lui Aufidius, a întocmit următorul scurt raport: două potire din aur, de asemenea șase potire din argint, șase ulcioare din argint, o veselă din argint, șapte candele din argint, două sfeșnice, șapte mici policandre cu tot cu candele, de asemenea unsprezece candele din bronz cu lanțuri cu tot, optzeci și două de tunici femeiești, treizeci și două de mantii, șaisprezece tunici bărbătești, treisprezece perechi de încălțări bărbătești, patruzeci și șapte perechi de încălțări femeiești, nouăsprezece cingători”[3].
 
Descoperirile de la Dura Europos sunt încă și mai interesante, căci acolo cercetările amănunțite au dezvăluit nu doar o mulțime de mostre iconografice răspândite de-a lungul întregului edificiu (de pildă frescele ce Îl înfățișează pe Hristos ca pe Bunul Păstor, mergând pe apă, vorbind cu femeia samarineancă la puțul lui Iacov și pe femeile mironosițe dinaintea mormântului gol), ci și o serie de fragmente de manuscrise redactate în ebraică, fapt ce demonstrează continuitatea dintre Liturghia Euharistică a primului veac creștin, după cum e descrisă în Didahie, și Liturghia mult mai evoluată (din veacul al IV-lea) constituită pe modelul Constituțiilor Apostolice. De asemenea, aici a fost descoperită o concordanță a Evangheliilor (fragmente), scrisă în limba greacă, distinctă de Diatessaronul lui Tațian (compus spre 175 d.Hr.).
 
În rugăciunea anaforalei din Didahie (cap. 10), datată cel mai devreme în jurul anilor ’50-’60 A. D., scrie în felul următor:
 
„Tu, Doamne, Atotputernice, Carele toate ai zidit spre slava numelui Tău, ai îndestulat cu mâncare și băutură pe fiii oamenilor spre veselirea lor, iară nouă ne-ai dăruit hrana duhovnicească și băutura cea întru viață veșnică prin Iisus Hristos, robul tău.
 
Pentru acestea toate ne plecăm mulțămind Ție, căci a Ta este puterea și slava în vecii vecilor. Amin.”
 
Beard, North și Prize, Religions of Rome: Volume 2, A Sourcebook, p. 112.
 
Fragmentul de text ebraic descoperit la Dura Europos cuprinde, de asemenea, o rugăciune a anaforalei, având o compoziție izbitor de asemănătoare:
 
„Binecuvântat fie Dumnezeu, Împăratul Lumii, Carele toate a zidit, împărțind mâncare și băutură la toate odraslele poftei trupești spre a lor îndestulare, iară nouă, oamenilor, ne-a dăruit a ne îndestula cu hrana miriadelor de îngeri. Pentru aceasta, în adunare cântare de laudă să Îi aducem!”
 
(Fragment A, Dura Europos, circa 235 d.H.).
 
Cu toate că le despart aproape două veacuri, anaforalele ambelor Biserici apostolice din primul secol și anafora din această casă de adunare siriană din secolul al III-lea au în comun o serie de similitudini. Ea reflectă, fără îndoială, aceeași tradiție a Euharistiei, și știm că, după cum spune Sf. Irineu, Euharistia este locul în care credința și teologia noastră încep și iau sfârșit. Hristos mergând pe apă, frescă din Baptisteriul de la Dura Europos, sec. al III-lea Sunt remarcabile, de asemenea, asemănările dintre toate aceste rugăciuni și binecuvântările iudaice pentru mâncare și vin. Creștinii primului veac, ca și cei de mai târziu, se adunau, cu siguranță, în reședințele spațioase ale credincioșilor bogați, însă instrucțiunile detaliate privind desfășurarea ritualului Botezului și Euharistiei prezente în ambele surse, arată că scopul reuniunii comunități nu se reducea la un simplu studiu biblic, la lectură sau cântări corale.
 
Prin urmare, deși grupările evanghelice din ziua de astăzi încearcă, poate, să imite casele de adunare a așa-zisei ere nou-testamentare, poate fi demonstrat cu mare acuratețe că aceste comunități creștine antice se reuneau în primul rând pentru a lua parte la slujba Sfintelor Taine ale lui Hristos: Botezul și Împărtășania. Și n-aș crede că iconografia acestor vechi case se regăsește prea mult în casele de adunare evangheliste ale zilelor noastre.
 
Dacă astăzi un creștin vrea să se alăture altor creștini într-o manieră apropiată de cea a caselor de adunare din era nou-testamentară, cea mai bună cale este de a intra în însăși Biserica Apostolică, biserica în care toate aceste venerabile tradiții au fost păstrate în pofida trecerii atâtor veacuri. Iar această Biserică este Biserica Ortodoxă.

 

 
Una nuova cattedrale per il Montenegro - Riflessioni sull'architettura

 

Cattedrale della Risurrezione, Podgorica

Lunedì 7 ottobre 2013 i primi ierarchi e i vescovi di molte nazioni si sono riuniti per consacrare una nuova cattedrale a Podgorica, la capitale del Montenegro. La copertura giornalistica del grande evento si può trovare su molti siti di notizie, ma qui vorrei riflettere sull'edificio stesso e sulla sua lavorazione.

La costruzione della cattedrale è iniziata nel 1993. Si tratta di una cattedrale del Patriarcato ortodosso serbo di circa 14.000 metri quadrati. L'architetto, il dr. Predrag Ristic, è una figura di spicco nella chiesa serba. Ora ultraottantenne, ha costruito quasi cento chiese nella sua carriera, tra le quali ne ha viste quattordici distrutte nelle guerre degli anni '90. Ristic è cresciuto in una Belgrado ricolma di artisti provenienti dalla Russia imperiale. La sua famiglia ha combattuto nelle guerre per liberare Salonicco dai turchi, e più tardi ha sofferto molto a causa della propria opposizione al comunismo. La vita di Ristic ha instillato in lui un raro senso di scopo e determinazione nel suo servizio a Dio, un servizio che consiste nel disfare i danni di un secolo di guerra e di incredulità.

Il dr. Ristic dice dell'architettura ecclesiastica: "E' impossibile costruire un tempio... senza digiuno, senza pentimento, e senza la discesa dello Spirito Santo. Anche allora, il tempio non è costruito , ma scende dal cielo sulla terra, nello stesso modo in cui il pane e il vino della Liturgia non sono più pane e vino, ma corpo e sangue di Cristo... Pertanto, il tempio deve avere la perfetta armonia caratteristica del Regno dei Cieli, perché solo in tale spazio è adeguato collocare icone e affreschi. Questo è un luogo in cui ci prepariamo per la discesa dello Spirito Santo e la venuta di Cristo. Noi li accogliamo come Abramo ha accolto la Trinità alla sua tavola". (1)

 

il dr. Predrag Ristic

La cattedrale della Risurrezione a Podgorica è certamente una delle più interessanti chiese ortodosse costruite nei nostri tempi. A differenza di altre nuove cattedrali che abbiamo visto di recente, l'esterno non cerca di riflettere la perfezione alto-bizantina. Piuttosto, è un modello affascinantemente eccentrico. Ha le qualità leggermente impacciate di qualsiasi vera cattedrale, che esprimono le tensioni culturali tra l'alto stile imperiale e le capacità degli artigiani locali. La forma generale del frontone occidentale, con le sue torri gemelle e l'enorme arco, è chiaramente modellato sulla Cattedrale di San Trifone a Kotor (Cattaro) - un monumento che mescola gli stili romanico, italiano e bizantino. Ristic ha preso questo stile tipicamente montenegrino e ha dato inaspettata nuova vita alla cattedrale di Podgorica.

 

Cattedrale di San Trifone, Kotor, Montenegro. Costruita tra il 1166 e il 1667.

L'esterno è costruito da blocchi grezzi di pietra bianca. Le strutture sono tipiche delle antiche chiese montenegrine, ma qui la rugosità è incredibilmente esagerata. Se l'intero edificio fosse così rozzo, sembrerebbe quasi una presa in giro. Ma la pietra diventa più liscia man mano che ci si innalza, e poi è riccamente scolpita con i più eleganti e raffinati dettagli verso l'alto . In qualche modo funziona, e funziona molto bene. Non posso fare a meno di pensare che solo un architetto molto anziano e abile avrebbe tentato una tale prova di coraggio!

Ci sono altri eccentricità nel design. I blocchi grezzi di pietra di fondazione hanno diverse icone scolpite al loro interno. Le icone sono situate a casaccio, che appare quasi come il lavoro non autorizzato di uno scultore di graffiti. Sembra quasi impossibile che queste sculture possano coesistere con la pietra grezza intorno a loro e con il raffinato ornamento bizantino al di sopra, e ancora, ancora una volta, tutto funziona. Un'altra particolarità sono le sette croci sul tetto. Esse variano non solo nello stile, ma anche nell'orientamento.

 

L'interno è uno spazio grandioso e complesso adeguato alla grande scala della chiesa. È riccamente decorato con pavimenti in marmo, affreschi e arredi . Purtroppo, questo schema interno non ha lo stesso fascino medievalista dell'esterno. Le iconografie murali hanno uno sfondo d'oro - una pratica che era di moda in Russia intorno al 1900. Si tratta di una scelta strana per questa chiesa di pietra grezza, dove le icone murali sembrano troppo preziose e delicate per l'architettura. Anche il lampadario centrale sembra tardo-russo, ed è aggressivo e sgradevole nella forma. Un choros medievale di stile serbo avrebbe funzionato molto meglio. Sembra improbabile che il dottor Ristic sia stato responsabile per alcune di queste scelte interne.

La cattedrale di Podgorica è un raro esempio di una nuova chiesa che rispecchia in pieno le tradizioni e la storia locale. È forse ancora più notevole in quanto offre alcune idee nuove e innovative che sono completamente in armonia con la tradizione. Ci sono alcuni elementi in pietra che, in un altro contesto, sarebbero stati visti come modernisti. Eppure questo edificio nel suo complesso non ha il minimo accenno di modernismo. È una visione del tutto medievalista, ma ha l'audacia e l'imperfezione deliberata - tratti che sono ormai comuni nell'architettura modernista e purtroppo rari nell'architettura tradizionale .

1) Osservazioni fatte dal dott. Ristic a Sydney, in Australia, nel 1996. Da: www.svetosavlje.org (Traduzione di Andrew Gould)

 

 

 

 

 

 

 
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Cosa dice il principale documento sociale del Patriarcato di Costantinopoli?

il patriarca Bartolomeo. Foto: Unione dei giornalisti ortodossi

Analizziamo il documento del Fanar "Per la vita del mondo: verso un'ethos sociale della Chiesa ortodossa", che esprime l'attuale visione del mondo di questa Chiesa.

In Ucraina, la "Università ortodossa aperta", che è un progetto chiaramente ecumenico, ha svolto una discussione sul documento del Patriarcato di Costantinopoli intitolato "Per la vita del mondo: verso un'ethos sociale della Chiesa ortodossa" nel formato di un webinar (seminario sul web). Questo documento intende presentare la posizione di Costantinopoli su molte questioni di attualità in campo politico, sociale e di altro tipo. Cosa mostra davvero questo testo?

Il documento "Per la vita del mondo: verso un'ethos sociale della Chiesa ortodossa" è stato approvato dal Sinodo del Patriarcato di Costantinopoli nel gennaio 2020 e presentato al pubblico nel marzo 2020. Il documento riflette la posizione del Patriarcato di Costantinopoli su disuguaglianza sociale, povertà, razzismo, diritti umani, bioetica, tecnologia e cambiamenti climatici.

Il testo del documento è stato redatto dalla commissione creata dal Fanar nel 2017, che comprendeva 12 teologi del Patriarcato di Costantinopoli provenienti da diversi paesi. Per esempio, David Bentley Hart, convertito dall'anglicanesimo all'Ortodossia, è un teologo, filosofo e culturologo socialdemocratico che è fortemente impegnato nello studio di vari sistemi filosofici e teologici, tra cui buddhismo, induismo, giainismo e altre religioni dharmiche . In particolare, afferma che non esiste scisma tra Ortodossia e cattolicesimo e che la salvezza eterna è ereditata da tutte le persone, indipendentemente dalla fede, dalla moralità, e così via (apocatastasi). O un consigliere ambientale del patriarca di Costantinopoli, l'arcidiacono Ioannis Chrissavgis, i cui interessi teologici sono descritti come segue: riforme ecclesiastiche, consapevolezza ambientale, ecumenismo.

Il documento "Per la vita del mondo..." si presenta come un documento storico, come una pietra miliare nella comprensione teologica del mondo moderno, un picco che nessuno ha mai raggiunto.

Ma il fatto è che un documento simile della stessa importanza e sulla stessa serie di questioni è stato adottato dal Concilio episcopale della Chiesa ortodossa russa esattamente 20 anni fa. È intitolato "Fondamenti della concezione sociale della Chiesa ortodossa russa". Difficilmente si può evitare il confronto con il documento di Costantinopoli "Per la vita del mondo...", così come le conclusioni che inevitabilmente seguono questo confronto.

Concezioni sociali del Fanar e della Chiesa ortodossa russa: c'è differenza?

Uno degli autori di "Per la vita del mondo...", l'arcidiacono Ioannis Chrissavgis, ha espresso questo confronto in un articolo dedicato alla presentazione del documento con poche parole molto precise: "Nel 2000, il Patriarcato di Mosca ha pubblicato i "Fondamenti della concezione sociale" – un tentativo notevole, sebbene rudimentale, di definire i principi sociali della Chiesa ortodossa in Russia dopo un lungo periodo di oppressione da parte dello stato. In generale, questo documento era critico nei confronti del "mondo", considerandolo una minaccia da sfidare e superare. Una tale posizione difensiva può sopravvivere e persino prosperare in un isolamento confessionale, ma in un contesto più ecumenico non è così efficace".

Queste parole meritano una rilettura e una riflessione sul loro significato. Padre Ioannis Chrissavgis ovviamente voleva, partendo dalla posizione della "Chiesa Madre", dare una pacca sulla schiena alla sua "figlia" e lodarla per "un tentativo", giustificando la natura "rudimentale" di questo "tentativo" con "un lungo periodo di oppressione" della Chiesa da parte dello stato. Ma in realtà, questo "periodo di oppressione" è un'era di confessione che non è mai accaduta prima nella storia della Chiesa. Lo stato non "opprimeva" la Chiesa, la distruggeva letteralmente, facendo esplodere le chiese, fucilando i chierici e imprigionando i credenti. Questa era ha dato migliaia di confessori e martiri, il cui sangue è diventato il seme per la crescita del Corpo della Chiesa, come nei primi secoli della storia cristiana.

E dopo questa era, la Chiesa ortodossa russa ha davvero qualcosa da dire al mondo. E lo dice, non basandosi sulla ricerca accademica (anche se questa non manca), ma sulla fedeltà a Cristo e al suo insegnamento. Probabilmente, questo è esattamente ciò che il pensatore fanarota chiamava "rudimentale" (questa parola significa letteralmente residuo, sopravvivenza, sottosviluppo). Il "mondo" stesso, secondo p. John Chrissavgis, è considerato criticamente come una minaccia nei "Fondamenti della concezione sociale della Chiesa ortodossa russa". E questo è pienamente coerente con le parole della Sacra Scrittura: "Non amate né il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l'amore del Padre non è in lui; perché tutto quello che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo" (1 Gv 2:15-16), "Non sapete che amare il mondo è odiare Dio? Chi dunque vuole essere amico del mondo si rende nemico di Dio" (Gc 4:4). Il teologo di Costantinopoli è infastidito dal fatto che un atteggiamento così critico nei confronti del mondo non sia così efficace "in un contesto più ecumenico". Bene, il documento del Fanar "Per la vita del mondo..." sotto questo aspetto è efficace al 100%.

Dopo l'adozione dei "Fondamenti della concezione sociale della Chiesa ortodossa russa" nel 2000, c'era l'idea che l'adozione di tale documento fosse necessaria già al livello del pleroma della Chiesa. La Chiesa deve rispondere alle domande con le quali ci mette alla prova la vita moderna con i suoi risultati scientifici, i cambiamenti nell'economia e nella sfera sociale. Ciò potrebbe essere realizzato solo consolidando tutte le forze spirituali e intellettuali di tutte le Chiese locali. Ma non è successo. E ora l'apparizione del documento di Costantinopoli "Per la vita del mondo..." mostra che la comprensione dei fondamenti della fede cristiana e le modalità della loro applicazione nella vita moderna variano tra le Chiese locali.

Ora non c'è comunione eucaristica tra i patriarcati di Mosca e Costantinopoli. La ragione è stata l'interferenza del Fanar negli affari della Chiesa ortodossa ucraina, la creazione di una struttura religiosa parallela e il conferimento aquat'ultima di un Tomos di autocefalia condizionale. Ma questa è solo la ragione visibile del divario nella comprensione dell'Ortodossia, che ha iniziato a prendere forma molti decenni prima. Il Patriarcato di Costantinopoli e la Chiesa ortodossa russa guardano in modo diverso a molti fenomeni del mondo moderno e danno loro diverse valutazioni teologiche. E se il conflitto religioso in Ucraina può essere rapidamente risolto attraverso i negoziati, se lo si desidera, superare invece le differenze in una visione del mondo già fissata a livello di documenti concettuali, è molto difficile, se è mai possibile.

Ecco alcuni esempi.

Atteggiamento verso il mondo LGBT

Come sapete, oggi la cartina di tornasole per essere "progressivi" o "retrogradi" è l'atteggiamento nei confronti dei rappresentanti del mondo LGBT. Ecco come questo atteggiamento è espresso nei "Fondamenti della concezione sociale della Chiesa ortodossa russa":

"XII.9. Le Sacre Scritture e l'insegnamento della Chiesa deplorano inequivocabilmente le relazioni omosessuali, vedendo in esse una viziosa distorsione della natura umana creata da Dio. <...> «Non illudetevi... né effeminati, né sodomiti... erediteranno il regno di Dio <...> La tradizione patristica in maniera altrettanto chiara e determinata condanna ogni manifestazione di omosessualità. <...> La Chiesa ortodossa muove dalla ferma ed immutata convinzione che l'unione coniugale dell'uomo e della donna stabilita da Dio non può essere paragonata alle manifestazioni pervertite della sessualità. Essa considera l'omosessualità uno stravolgimento peccaminoso della natura umana, il quale può essere superato da uno sforzo spirituale che porta alla guarigione e alla crescita personale dell'individuo".

Ed ecco cosa dice il documento di Costantinopoli "Per la vita del mondo..." sul tema LGBT.

"§19 Viviamo in un'epoca in cui la sessualità è diventata sempre più da comprendere come un destino personale e persino una questione privata. Numerosi dibattiti politici e sociali nel mondo moderno si rivolgono alle esigenze e ai bisogni distinti delle "identità" sessuali eterosessuali, omosessuali, bisessuali e di altro genere. <…> Deve essere considerato, inoltre, un diritto fondamentale di qualsiasi persona – che nessuno stato o autorità civile può presumere di violare – di rimanere liberi da persecuzioni o svantaggi legali a causa del suo orientamento sessuale. Ma la Chiesa comprende che l'identità umana risiede principalmente non nella propria sessualità o in qualsiasi altra qualità privata, ma piuttosto nell'immagine e nella somiglianza di Dio presente in tutti noi. Tutti i cristiani sono chiamati sempre a cercare l'immagine e la somiglianza di Dio gli uni negli altri, e a resistere a tutte le forme di discriminazione contro il proprio prossimo, a prescindere dall'orientamento sessuale".

Va notato che in questo testo non c'è una sola parola che dica che l'omosessualità sia un grave peccato che priva una persona di speranza per la vita eterna. Inoltre, le perversioni sessuali sono qui implicitamente giustificate. Si dice che, indipendentemente dall'orientamento sessuale, la cosa principale è cercare "l'immagine e la somiglianza di Dio" in una persona.

Atteggiamento nei confronti della politica

Nella questione dell'atteggiamento nei confronti della politica, la Chiesa ortodossa russa testimonia che la Chiesa unisce le persone indipendentemente dalle loro opinioni politiche e non dà la preferenza a nessun regime politico particolare: "Di fronte alle divergenze, ai contrasti e alle lotte della vita politica, la Chiesa predica la pace e la cooperazione fra gli uomini che seguono opinioni politiche diverse. Essa inoltre ammette l'esistenza di convinzioni politiche diverse tra l'episcopato, il clero e i laici, a eccezione di quelle che portino chiaramente ad azioni contrastanti con la dottrina religiosa ortodossa e con i principi morali della tradizione della Chiesa" ("Fondamenti della concezione sociale della Chiesa ortodossa russa").

Ma il documento di Costantinopoli "Per la vita del mondo ..." sostiene pienamente solo un particolare regime politico: "§10 In molti paesi del mondo oggi, l'ordine civile, la libertà, i diritti umani e la democrazia sono realtà di cui i cittadini possono fidarsi <…> ...e sarebbe irrazionale e privo di carità per i cristiani non provare sincera gratitudine per lo speciale genio democratico dell'età moderna. I cristiani ortodossi che godono dei grandi vantaggi di vivere in tali paesi non dovrebbero dare per scontati tali valori, ma dovrebbero invece sostenerli attivamente e lavorare per la conservazione e l'estensione delle istituzioni e dei costumi democratici all'interno dei quadri legali, culturali ed economici delle loro rispettive società".

La glorificazione dei valori democratici, dei diritti umani e di tutti i tipi di libertà civili nel documento "Per la vita del mondo ..." è espressa in modo chiaro che ha permesso ad alcuni scienziati politici di dichiarare una sorprendente somiglianza del concetto storico di "Per la vita del mondo..." con il programma elettorale di Joe Biden, candidato presidenziale del Partito Democratico americano.

Come vivere la vita per essere graditi a Dio?

In generale, la direzione del documento di Costantinopoli "Per la vita del mondo..." è fondamentalmente una proposta di soluzioni ai problemi dell'esistenza terrena dell'essere umano, una formulazione di principi di vita economica e sociale. La direzione dei "Fondamenti della concezione sociale" della Chiesa ortodossa russa è come vivere sulla terra in un modo gradito a Dio. Confrontiamo come questi due documenti vedono il lavoro umano.

Il documento di Costantinopoli "Per la vita del mondo ...": "§37 La Chiesa insiste sul fatto che un'economia o un'azienda giusta è quella che garantisce non solo la ragionevole produttività e la rispettabile retribuzione dei lavoratori, ma le loro opportunità di sufficiente riposo dal lavoro..." , ecc., compresi problemi di corruzione, investimenti all'estero e introduzione di prodotti sul mercato internazionale.

Ed ecco come viene visto il lavoro nei "Fondamenti della concezione sociale" della Chiesa ortodossa russa: "Da un punto di vista cristiano il lavoro in sé non è un valore assoluto. Esso è benedetto quando si manifesta come una collaborazione con il Signore e contribuisce alla realizzazione del suo progetto sul mondo e sull'uomo. Il lavoro non è invece cosa buona se è diretto al servizio degli interessi egoistici dell'individuo o di singole comunità, come pure al soddisfacimento dei desideri peccaminosi dello spirito e della carne. La sacra Scrittura indica due finalità morali del lavoro: mantenere se stessi, senza gravare su nessuno, e sostentare il bisognoso. L'Apostolo scrive: «Ci si dia da fare, lavorando onestamente con le proprie mani, per farne parte a chi si trova in necessità» (Ef 4,28). Tale lavoro educa l'anima e rafforza il corpo dell'uomo, offre al cristiano la possibilità di manifestare la propria fede in buone azioni di misericordia e di amore per il prossimo".

È anche interessante confrontare le prime parole dei due documenti.

Il documento di Costantinopoli "Per la vita del mondo...": "§1 La Chiesa ortodossa comprende la persona umana come creata a immagine e somiglianza di Dio (Gen 1:26). Essere fatti a immagine di Dio significa essere fatti per la libera e consapevole comunione e unione con Dio in Gesù Cristo, in quanto siamo formati in lui, attraverso di lui e per lui (Col 1:16)".

I "Fondamenti della concezione sociale" della Chiesa ortodossa russa: "I.1. La Chiesa è la comunità dei credenti in Cristo, nella quale Egli chiama tutti ad entrare. In essa «tutte le cose del cielo e della terra» devono essere ricapitolate in Cristo, poiché egli è il capo «della Chiesa, la quale è il suo corpo, la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose» (Ef 1:22-23). Nella Chiesa, per l'azione dello Spirito Santo, si attua la divinizzazione della creazione e si compie il progetto che dall'eternità Dio ha sul mondo e sull'uomo".

Entrambi parlano dell'unità dell'uomo con Cristo. Ma il documento di Costantinopoli non sottolinea che questa unità è possibile solo nella Chiesa di Cristo.

Infine, c'è il messaggio principale degli ultimi paragrafi dei due documenti.

Il documento di Costantinopoli "Per la vita del mondo...": "La Chiesa ortodossa vede come sua chiamata condannare la crudeltà e l'ingiustizia, le strutture economiche e politiche che favoriscono e preservano la povertà e la disuguaglianza, le forze ideologiche che incoraggiano l'odio e il bigottismo; ma non è la sua chiamata condannare il mondo, le nazioni o le anime".

I "Fondamenti della concezione sociale" della Chiesa ortodossa russa: "La Chiesa non può accogliere in maniera positiva un ordine mondiale che ponga al centro di tutto la personalità umana oscurata dal peccato".

Queste parole possono essere viste non semplicemente come una differenza ma come una contraddizione diretta di approcci e punti di vista.

Un passo verso l'unità ecumenica?

Come accennato all'inizio, a metà maggio nell'intellighenzia ucraina si è svolta una discussione online sul documento della Chiesa di Costantinopoli. Una delle tesi principali dei relatori è stata l'idea che "Per la vita del mondo ..." è un passo verso il riavvicinamento di ortodossi, cattolici e protestanti.

Konstantin Sigov, direttore del Centro di studi umanistici europei dell'Università Nazionale "Accademia Kyiv-Mohyla", ha dichiarato quanto segue:

"Questo documento è già letto da teologi e filosofi delle chiese cattolica e protestante – le più grandi chiese del mondo. Secondo Anne-Marie Peltier, una studiosa biblica, 'Per la vita del mondo...' è una lingua comune degli ortodossi e dei cattolici. Cioè, per un miliardo di cattolici romani, questo documento è importante e farà rivivere la discussione. Proprio come ha fatto con i protestanti. Cioè, questo documento offre un nuovo spazio per il dialogo".

* * *

Rispondendo alla domanda posta all'inizio dell'articolo: come si evidenzia dalla concezione sociale del Patriarcato di Costantinopoli, possiamo dire che essa mostra che il Fanar si sta muovendo sempre più verso il liberalismo, l'ecumenismo, la preoccupazione per l'ambiente e i diritti umani e la difesa della democrazia e della giustizia sociale. La preoccupazione per l'uomo e il suo benessere durante la sua vita terrena è certamente buona, ma è in qualche modo diversa dalle parole del Salvatore: "Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta" (Mt 6:33).

 
Due storie di buon senso

Dal sito russo Смысл жизни (Smysl zhizni, “Il senso della vita”), presentiamo nella sezione “Umorismo” dei documenti due storie in russo e in italiano. La ricerca del buon senso è sempre un ottimo correttivo sul cammino della vita per i cristiani ortodossi (e forse non solo per loro).

 
Una fossa comune alla periferia di Mosca è tra i siti più sacri della Russia

La chiesa commemorativa e le croci costruite sull'ex poligono di tiro di Butovo sono ora visitate da grandi folle di pellegrini ortodossi ogni anno

Il 10 maggio, la Chiesa ortodossa russa terrà la sua funzione speciale annuale nella Chiesa dei nuovi martiri e confessori a Butovo, un sito poco conosciuto, che ospita la più grande collezione di sacre reliquie della Russia.

Nella foresta vicino alla vecchia Butovo, a circa 5 chilometri a sud del raccordo anulare di Mosca , si trova il più grande luogo di sepoltura per le vittime delle purghe staliniane in tutta la regione di Mosca, un luogo di esecuzioni di massa. Al piccolo appezzamento di terra conosciuto come poligono di tiro di Butovo o "Butovskij Poligon", furono uccise circa 20.760 persone tra agosto 1937 e ottobre 1938. Tra queste vi erano uomini e donne, vecchi e giovani, persone di 70 diverse nazionalità e di molte fedi e classi sociali.

Settantasette anni fa, nell'agosto del 1937, il capo della NKVD ordinò di erigere un'alta recinzione intorno a un lontano appezzamento di cinque ettari di radura in un bosco di querce. La costruzione fu ignorata dalla gente del posto, a cui fu detto che il sito sarebbe diventato un poligono di tiro, una voce sembrava essere confermata da frequenti spari.

Più di 20.000 persone furono uccise nel sito in poco più di un anno - una media di circa 50 persone al giorno. La diversità dei giustiziati era sensazionale, e includeva comunisti sudafricani, nazionalisti polacchi, tedeschi, indù, cinesi, tartari ed ebrei. Tuttavia, il sito era "specializzato" in esecuzioni di membri del clero cristiano ortodosso, ritenuti dall'Unione Sovietica come elementi apparentemente contro-rivoluzionari nel loro stato ateo.

Circa 1.000 delle vittime facevano parte del clero della Chiesa ortodossa russa, e circa 300 persone provenienti da quel numero sono stati finora canonizzati come santi. Dopo il crollo dell'Unione Sovietica, la Chiesa ortodossa russa ha cominciato commemorare il sito, costruendo una piccola chiesa di legno sul sito nel 1996 e una chiesa più grande, attiva dal 2007. Dal 2000, il patriarca ha svolto un servizio annuale nella chiesa dei martiri per commemorare gli uccisi a Butovo.

La più famosa persona uccisa a Butovo fu Serafim, metropolita di San Pietroburgo. Conosciuto al secolo come Leonid Mikhailovich Chichagov, nel XIX secolo era considerato uno dei più grandi scrittori religiosi della Russia, conosciuto soprattutto per la sua vasta ricerca sulla vita di san Serafino di Sarov. Chichagov era noto anche per le sue opere di letteratura sociale secolare, ed era autore del libro "Le gloriose gesta dei guerrieri russi" in memoria della guerra russo-turca del 1877-1878, in cui Chichagov servì come artigliere.

Al momento della sua esecuzione, Chichagov era un infermo di 82 anni che viveva privatamente a Malakhovka ed era malato di idropisia. Quando il NKVD lo arrestò, era chiaro che il vecchio non poteva sopportare interrogatori presso il carcere di Taganka, e così fu subito portato al campo di Butovo e fucilato.

Il metropolita Serafim Chichagov poco prima della sua esecuzione nel 1937

Secondo gli archivi, molti membri di alto rango della società tsarista furono uccisi a Butovo, a parte le figure religiose. Tra i fucilati a Butovo vi sono Vladimir Dzhunkovskij, governatore generale di Mosca; Fëdor Golovin, presidente della Seconda Duma di Stato; Nikolaj Danilevskij, il primo aviatore russo; Otto Shmidt, un esploratore artico; Mikhail Khitrovo-Kramskoj, un compositore; cinque generali tsaristi e rappresentanti di famiglie nobili russe come Rostopchin, Tuchkov, Gagarin, Obolenskij, Olsuf'ev, Bibikov.

La prima chiesa eretta sul luogo è stata costruita da un discendente di uno dei giustiziati a Butovo: architetto Dmitrij Shakhovskoj discende direttamente dal principe Dmitrij Shakhovskoj, il fondatore del Partito della democrazia costituzionale dell'Impero russo, che fu giustiziato alla fine del 1937.

Padre Kirill Kaleda, rettore della Chiesa dei nuovi martiri e confessori, ha lavorato in questo triste luogo fin dal 1995, quando hanno avuto inizio gli scavi dei siti di sepoltura.

Il poligono di tiro è stato tenuto segreto fino al 1995, e un ufficiale del KGB era di stanza permanente presso il sito. "Che cosa custodiva? Ossa... Nel caso qualcuno ne scavasse per caso qualcuno dalla terra", ha detto padre Kirill. Dopo che il sito cessò di essere utilizzato per le esecuzioni, furono piantati meli sul poligono di tiro e sulle fosse comuni, e la gente del posto era solita entrare senza autorizzazione. Gli abitanti del posto dicono che per mezzo secolo la gente continuò a cercare di entrare in nonostante il pericolo – i trasgressori si poteva sparare – perché non c'era nessun altro posto dove potevano ottenere mele rosse tanto dolci.

Quando gli archivi segreti della NKVD furono finalmente declassificati, la vera natura del campo di Butovo fu finalmente svelata.

Raccolte di fondi per la costruzione di una chiesa di legno sul poligono di Butovo si sono svolte in molte chiese di Mosca, l'accesso al sito è stato migliorato, e un bus navetta ora parte dalla stazione della metropolitana Bulvar Dmitrja Donskogo. Inoltre, targhe commemorative con i nomi dei sacerdoti assassinati sono stati installati intorno alla cappella.

Dal 2000 la Chiesa ortodossa russa ha canonizzato più di 300 martiri, che furono fucilati e sepolti sul campo di Butovo. Non c'è nessun altro posto in Russia e nell'ex URSS, dove ci sono tante reliquie – anche il famoso Monastero delle Grotte di Kiev contiene solo circa 150 reliquie di santi. I nuovi santi hanno attirato molte nuove donazioni, consentendo la costruzione di una nuova chiesa in pietra molto più grande, in cui figli e nipoti dei santi recentemente canonizzati possono essere visti in preghiera davanti alle icone dei loro padri e nonni.

Per ironia della sorte, molti dello stesso personale della NKVD che lavorava presso il sito furono poi presi di mira dalle purghe e si trovarono uccisi nello stesso poligono di tiro – e ora si trovano con le loro vittime di un tempo in fosse comuni, e loro resti sono ormai indistinguibili.

 
La Bucovina ucraina

La  storia della Bucovina, parte settentrionale dell'antico principato di Moldavia fin dal XIV secolo, è troppo lunga per essere riassunta in queste righe. È sufficiente notare che questa regione è sempre stata un territorio di confine, tra imperi e regni differenti, e spesso in guerra tra loro: Principato di Moldavia, Regno di Polonia, Impero Ottomano, Impero Austro-Ungarico, Impero Russo, e così via. Oggi la Bucovina si trova divisa a metà tra Ucraina e Romania: qui ci occuperemo in dettaglio della parte settentrionale, che costituisce una regione (oblast') della Repubblica Ucraina, all'interno della Confederazione degli Stati Indipendenti (CIS).

La Bucovina non è solo terra di confine politico, ma anche etno-linguistico: ucraini (ruteni) e romeni (moldavi) sostengono entrambi di essere gli abitanti originali della regione: oggi, la regione della Bucovina ucraina è suddivisa a grandi linee tra la parte nord-occidentale di popolazione e lingua ucraina, e quella sud-orientale di popolazione e lingua romena/moldava. Tipicamente le unità di identità etnica sono i villaggi, e può capitare che la loro dislocazione sia tutt'altro che conforme alle rispettive aree di predominanza etnica. Sintomatico è il caso dell'antico confine tra Regno di Romania e Impero Russo, agli inizi del XX secolo, che cadeva a metà strada tra un villaggio ucraino (Toporivtsy) sotto amministrazione romena, e un villaggio romeno (Colincăuți) sotto amministrazione russa.

La regione della Bucovina settentrionale prende il nome dalla sua capitale, Chernovtsy (in ucraino Chernivtsy, in romeno Cernăuți), una città di 250.000 abitanti che si estende sulle colline a sud del fiume Prut. L'intera regione conta più di 900.000 abitanti, e va dalle pendici boscose dei monti Carpazi settentrionali alle rive meridionali del fiume Dniestr, al confine storico con l'antica Galizia.

Degli attuali abitanti, oltre 300.000 sono etnicamente romeni/moldavi (i due termini vengono usati indifferentemente, e non hanno connotazioni politiche, se non forse per il fatto che i romeni di Ucraina si sentono talora più vicini ai romeni della Repubblica di Moldova, che non a quelli di Romania). Nonostante una certa spinta alla russificazione nel periodo sovietico, e all'ucrainizzazione nell'ultimo decennio, si può dire che i romeni in Ucraina (quasi tutti concentrati in Bucovina) siano una minoranza ben tutelata, con decine di scuole, testate giornalistiche, centri culturali e movimenti politici, e un paio di deputati a Kiev. A paragone, i circa 300.000 ucraini di Romania (in maggioranza russini) sono ancora in uno stato di totale assenza di tutela, con appena una singola scuola ucraina a Sighetul Marmației, nel distretto di Maramureș.

Dal punto di vista religioso, la Bucovina è un saldo bastione di fede ortodossa, se paragonata alla caotica situazione in cui si trova il territorio ucraino appena a nord del Dniestr, storicamente conteso tra ortodossi e greco-cattolici (o uniati). Chernovtsy è stata un'importante sede metropolitana ortodossa (la cui fama aumentò assieme alla crescita della città, con l'apertura dell'Università nel 1875 e della ferrovia nel 1886). Al tempo della dominazione austriaca, il Metropolita della Bucovina (dipendente dal Patriarcato Ecumenico) aveva giurisdizione anche sui fedeli ortodossi della Dalmazia, un territorio ai confini opposti dell'impero. Con l'indipendenza della Chiesa ortodossa romena e la spartizione della Bucovina, la sede episcopale del Patriarcato di Romania è ritornata nell'antica capitale di Suceava, mentre a Chernovtsy si sono insediati vescovi (e ora Arcivescovi) della Chiesa ortodossa russa.

Con il cosmopolitismo tipico dell'Impero austriaco, Chernovtsy e la Bucovina sono divenute sedi di un certo numero di minoranze etnico-religiose; oltre ai greco-cattolici ricordiamo polacchi (cattolici di rito latino) ed ebrei.

Una minoranza curiosa e significativa è quella dei Vecchi Credenti, provenienti in origine dalla Russia del Nord, che hanno la loro storica sede metropolitana nel villaggio di Belaja Krinitsa, o "Fontana Bianca" (in ucraino Bila Krinitsa, in romeno Fântâna Albă). Ancora oggi nel villaggio, pur molto spopolato a causa dell'emigrazione e delle persecuzioni dell'amministrazione comunista, si trova una chiesa nell'antico stile moscovita (reminiscente della Cattedrale di San Basilio sulla Piazza Rossa), unico esempio di architettura sacra russa - assieme alla chiesa della Trinità nella Lavra di Pochaev - in tutta l'Ucraina occidentale.

Con la cessazione delle persecuzioni religiose sotto la presidenza di Boris Eltsin, il quadro della rinnovata libertà di culto lasciava agli ortodossi un immenso panorama di lavoro: centinaia di chiese da riaprire (a partire dalla stessa cattedrale di Chernovtsy), una decina di monasteri chiusi o distrutti da rimettere in funzione, organizzazioni religiose e culturali da ricostruire fin dalle fondamenta. A questi problemi il primo Arcivescovo di Chernovtsy e della Bucovina (oggi Metropolita di Kiev), Onufrij (Berezovskij), ha dovuto aggiungere il conflitto con gli scismi separatisti ucraini, diretti da due patriarchi non canonici, uno a Kiev e l'altro a Lvov. Pur avendo un certo appoggio (in quanto "indipendentisti") da parte delle amministrazioni locali ex-comuniste, queste entità parecclesiali rappresentano una minima percentuale della popolazione (in Bucovina, per esempio, non hanno alcuna presa sulla consistente minoranza romena), e sono anzi riuscite a vanificare molti sforzi di rinascita di un'autentica vita cristiana nella regione, coprendo di ridicolo l'Ortodossia.

Nel nostro paese si è avuta una massiccia immigrazione dalla Bucovina (sia ucraina che romena), e il Metropolita Onufrij, di cui conosciamo lo zelo pastorale e la santità di vita, segue con attenzione le vicende della presenza ortodossa in Italia.

 
Domenica 5 febbraio 2012 - Domenica del pubblicano e del fariseo (Luca 18:10-14)

 

Nel nome del Padre, e del Figlio, e del santo Spirito.

La “Domenica del Fariseo e del Pubblicano” è il giorno in cui inizia il periodo di preparazione alla Pasqua: tre settimane preliminari un po’ speciali, e poi tutta la Grande Quaresima.

Il libro in cui sono contenute le officiature di questo periodo è chiamato Triòdio (o in russo Триодь Постная, ovvero Triodio Quaresimale). Le prime parole del Triodio, che tutti i presenti al Vespro di ieri sera hanno sentito, sono un concentrato dell’insegnamento di questa domenica:

“Non preghiamo, fratelli, al modo del fariseo: perché chi si esalta sarà umiliato. Umiliamoci davanti a Dio, gridando durante il digiuno come il pubblicano: sii propizio, o Dio, a noi peccatori.”

La lezione del Vangelo di oggi è molto importante, così importante che la Chiesa ha voluto mettercela davanti come prima lezione nel cammino spirituale. Ci attendono periodi di preghiera intensa; ci attendono settimane di digiuno; ci attendono molti gesti di pietà cristiana, che hanno lo scopo di rafforzare il nostro animo e di tenerci lontani dal peccato. Ma tutto questo è inutile, se nel nostro cuore ci giudichiamo migliori degli altri.

A differenza del vangelo di domenica scorsa, che parlava di Zaccheo, un pubblicano vero, questa domenica il pubblicano non ha un nome, è un personaggio di una storia che il Signore racconta per insegnarci. Ma proprio perché non è un personaggio reale, si adatta bene a ognuno di noi.

Il fariseo è quello che chiameremmo una persona per bene, il suo elenco di pratiche di pietà ebraica non è affatto diverso da un elenco di pratiche di pietà cristiana: prega Dio, lo ringrazia per quello che è, digiuna (e pure due volte la settimana… vi ricorda qualcosa?), si impegna a sostenere con la sua parte il decoro del tempio.

Il pubblicano invece è quello che tutti disprezziamo. Proprio in questi giorni, in cui sentiamo di politici che rubano milioni di euro senza nemmeno rischiare di fare un giorno di prigione, possiamo capire quanto era odiato un pubblicano, un esattore delle tasse che rubava i soldi che servivano ai poveri, con l’impunità che gli garantivano i romani invasori.

Eppure, Dio considera le loro preghiere non con il conteggio delle loro buone azioni, ma secondo la loro attitudine interiore. Il fariseo si sente superiore agli altri, in generale (e già questo è un peccato), ma soprattutto si sente superiore al pubblicano, di cui non conosce il cuore. E la sua preghiera non lo rende un giusto agli occhi di Dio.

Il pubblicano, invece, non si sente superiore a nessuno. Non osa alzare gli occhi al cielo, ma non sta neppure a guardare i peccati della terra: ne ha già abbastanza dei suoi. Tutto quello che si limita a fare è riconoscersi peccatore e chiedere a Dio di essere misericordioso con lui. E la sua preghiera lo rende un giusto agli occhi di Dio.
 
Quante volte abbiamo avuto anche noi le stesse attitudini, quando andiamo in chiesa? Quante volte abbiamo fatto un rapido conto mentale di tutte le cose buone che facciamo, per vedere quanto siamo superiori agli altri? O al contrario, quando abbiamo avuto veramente bisogno del perdono di Dio, non ci siamo forse dimenticati di tutto e di tutti?

Da queste attitudini dipende la qualità del nostro cammino spirituale. Dato che si tratta delle disposizioni del nostro cuore, nessuno le può vedere pienamente se non Dio stesso. Non possono essere diagnosticate come una malattia, e non c’è un “rimedio della Chiesa” per cambiare attitudine. Anzi, è importante ricordare che per il peccato di orgoglio (mândrie / гордость) la Chiesa non dà nessuna forma di penitenza canonica: questo non perché l’orgoglio non sia un grave peccato, ma perché Dio solo può sapere a che livello di profondità l’orgoglio è sceso nel nostro cuore. D’altra parte, proprio perché è qualcosa che sta nel nostro cuore, possiamo molto facilmente cambiare la nostra attitudine, e invece della preghiera del fariseo, decidere di presentare a Dio la preghiera del pubblicano.

Abbiamo davanti a noi una settimana importante: una settimana in cui il mercoledì e il venerdì non si fa digiuno, proprio per non seguire l’esempio del fariseo. Possiamo limitarci a un paio di pranzi e cene più ricche del solito, e va bene, ma ancor meglio possiamo sforzarci di non giudicare il cuore degli altri. Cambiamo l’attitudine del nostro cuore, per poter trovare, giustificati agli occhi di Dio, il perdono di tutti i nostri peccati.

Amen. 

 
Da Harry Potter al giorno di san Valentino

La casualità è il soprannome di Dio, ma se menzioniamo le coincidenze, non parliamo di quest'anno, diamo un'occhiata all'anno scorso. Il 14 febbraio 2009, il patriarca Kirill ha tenuto il suo primo incontro con i giovani. Rivolgendosi ai partecipanti a un raduno al campus Feodorovskij, venuti a questo incontro da ogni parte del paese, il patriarca ha detto che li vede come i suoi alleati e la sua speranza per il futuro. Ha augurato loro ogni bene, ma ha ricordato che nulla di buono è possibile senza etica, sottolineando che l'etica è difficile da immaginare al di fuori di Dio. Quindi, dal mio punto di vista, l'attuale coincidenza di festività all’apparenza completamente diverse ci offre un'opportunità missionaria unica per combinare i sogni d'amore evocati dal giorno di san Valentino con la pienezza della gioia che viene dall'incontro con Cristo nella festa della Purificazione.

In effetti, il giorno di san Valentino è pieno di contraddizioni, si tratta di una festa di un santo, o è un ordinario affare commerciale? Protestando contro di esso, i siti internet ortodossi inviano immagini di cuori barrati. Tuttavia, il luogo del cuore è vuoto? Nel respingere il giorno di san Valentino, un giorno dedicato all'amore umano, lo diamo a quelli che ne fanno una celebrazione della mentalità contraccettiva. In ogni caso, tali lezioni di educazione sessuale sono stati condotti nelle scuole di Pskov e Cheljabinsk. I genitori dovrebbero prendere atto che, se queste "lezioni" si svolgono senza il loro consenso scritto, hanno il diritto di intentare una causa penale contro gli amministratori della scuola per "corruzione intellettuale di bambini" (articoli 135 e 242 del codice penale).

Tuttavia, non dobbiamo mai dimenticare che l'amore è il soffio di Dio nel cuore umano, e l'amore umano è una delle sue manifestazioni. Pensare alle persone che ami, pregare per loro ed essere in contatto con loro non sono peccati. Ciò significa che se i nostri figli penseranno di essere innamorati, si potranno toccare l'un l'altro. Se glie lo neghiamo, diventiamo nevrotici.

Quindi, dal mio punto di vista, il fatto che i media promuovano il giorno di san Valentino è una buona cosa. Sarebbe molto peggio se offrissero immagini di Afrodite, di Venere, o del Kama Sutra. È molto buono, perché viene dalla nostra radice dell'albero della storia del mondo. Il martire san Valentino è un santo della Chiesa di Cristo. La sua preghiera per l'amore è una preghiera della Chiesa di Cristo. Se preghiamo per l'amore umano e la vita familiare felice ... come può essere un peccato? È per questo che non ci sono impedimenti canonici a invitare i nostri giovani a fare "feste di san Valentino" nelle nostre chiese, dove potranno parlare di amore e servire molieben a san Valentino vescovo di Terni (Interamna) per le sue intercessioni nella moltiplicazione dell'amore umano.

san Valentino vescovo di Terni

Non sappiamo se san Valentino abbia pregato per l'amore umano nel corso della sua vita, ma sappiamo che era vicino ai giovani. Secondo una leggenda della Chiesa, il vescovo san Valentino aveva portato giovani pagani a Cristo ed era interessato alla filosofia, per la quale aveva subito il martirio nel 273, insieme con i suoi discepoli. San Valentino è uno dei primi martiri cristiani e la Chiesa in Russia celebra la sua memoria il 12 agosto, e non dimentichiamo che il sangue dei martiri dà grande grazia. Dio ascolta le loro preghiere per il loro amore per lui, dimostrato con l'offerta della loro vita. Forse, è per questo che dal XIV secolo, nella letteratura inglese e francese, è nata la tradizione di celebrare il giorno di san Valentino come un giorno che onora l'amore umano.

La nostra epoca di pubblicità di massa ha pervertito san Valentino in un manufatto commerciale che sfrutta uno dei più alti sentimenti umani. La pervasiva propaganda del "giorno di san Valentino" potrebbe trarre in inganno i nostri giovani e far loro credere che devono seguire i loro sentimenti e cogliere una gratificazione immediata... Tuttavia, l'amore non è una merce; non ha bisogno di pubblicità. Questo è il motivo per cui dobbiamo ritornare al significato originario di questa festa degli innamorati. Trovare una persona cara, creare una famiglia, ed essere felice ... questa è un’occasione di preghiera!

Vorrei aggiungere un altro parallelo con una storia che è molto importante per me. Lo sapevate che la festa degli innamorati che noi conosciamo come il giorno di san Valentino e i sette libri di fiabe di Harry Potter hanno una fonte comune? Il fatto è che lo scrittore medievale inglese Geoffrey Chaucer ha fatto eco alla credenza popolare che gli uccelli cercano i loro compagni in questo giorno. Attraverso questo mezzo, quest’idea è filtrata attraverso la cultura europea. Tuttavia, qui c’è qualcosa di interessante. Nel suo racconto, J. K. Rowling ha preso in prestito l'immagine di Chaucer dei doni della morte, che nelle mani di Harry Potter diventano doni d'amore.

Pertanto, di cosa parliamo con i nostri figli nelle scuole? Diciamo qualcosa di buono sul giorno di san Valentino e sull'amore umano. Inoltre, lasciate che vi parli di un argomento che consente di spostare la conversazione su un livello diverso con lo stesso significato, che è particolarmente importante nel comunicare con i bambini. Forse, per i bambini più piccoli, si potrebbe spiegare il giorno di san Valentino, utilizzando Harry Potter come analogia. Per la scuola superiore, si dovrebbe tenere un discorso convenzionale e poi pregare per una vita familiare felice. Tuttavia, allo stesso tempo, si dovrebbe dire ai bambini di tutte le cose che si possono fare all'interno o all'esterno di una chiesa, che si tratti di battaglie a palle di neve, tornei cavallereschi, viaggi, o il suono delle campane a Pasqua (a Pasqua, il campanile è aperto a tutti).

Tuttavia, un molieben a san Valentino dovrebbe coincidere con la celebrazione della festa della Purificazione. Nessuno si prende la briga di dirci che la festa del santo Incontro è un incontro che parla di amore, un amore misurato dalla croce sul Calvario. Sì, un amore materno che sta presso la croce... "una spada ti trafiggerà l'anima", l'anziano Simeone predice alla Madre di Dio.

Nel commentare le polemiche sul giorno di san Valentino, vorrei portare la conversazione su un altro piano. Vorrei spostare l'attenzione dagli argomenti sull'immoralità al fatto che Dio ha iniziato la conversazione con il primogenito Adamo con la benedizione dell'amore, del concepimento e della nascita dei figli: "Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela" ( Genesi 1,28). Se vogliamo parlare della comprensione ortodossa dell’amore e della felicità familiare, ha senso dare ascolto alle parole del confessore Sergej Fudel. È stato arrestato per la sua fede, ha trascorso 21 anni nei campi di Stalin e in esilio, e quando suo figlio Nikolaj si voleva sposare, ha scritto quanto segue:

Non puoi unire il matrimonio a una vita che dice che devi "vivere come tutti gli altri". Se ora, quando sei già sulla soglia, "vivere come tutti gli altri" non è solo un prerequisito, ma un dato di fatto, se hai già" giustificato" ("lo fanno tutti") le future liti, tradimenti, rancori e inganno, devi trovare almeno un po' di coraggio e di integrità. Devi mostrare compassione per l'altra persona, e lasciare che tutto venga fuori. Lascia che il tormento o beatitudine sparisca oppure no, ma non essere responsabile delle sofferenze che questo tipo di vita comporta...

Voglio che tu sia a conoscenza, in tutta verità e serietà, che non è possibile costruire un matrimonio senza amicizia. Le labbra infatti svaniscono molto rapidamente o (anche se non appassiscono) improvvisamente diventano quelle di qualcun altro, solo perché un'immagine seducente scoppia improvvisamente nell'anima, come il vento si precipita in casa, se non si chiude la porta in modo sicuro. Vorrei sottolineare questo, non dobbiamo fare giri di parole, e dobbiamo essere onesti in questa materia. C'è amicizia? C'è una stanza luminosa nella tua anima, dove non hai gettato vecchi pantaloni o giarrettiere sul pavimento, una stanza piena di luce del sole, con pareti di silenzio vivo? Allora, prenditi cura di questa stanza, decorala, e non andare al matrimonio come se fosse solo una cerimonia, fallo "per tutto", per i litigi, per il conforto, per la fatica e per il trambusto urbano.

La distorsione commerciale di san Valentino ruba una storia cristiana e manipola la sete umana d’amore. Forse, è arrivato per noi il momento di restituire la dimensione cristiana a questa festa. Questo è il nostro patrimonio, che ci è stato portato via. Nella favola della Regina delle Nevi Kai non può pronunciare la parola "eternità", i nostri figli potrebbero aggiungere la parola "amore?"

La sostanza della famiglia e la crisi demografica non sono solo una questione di standard di vita, ma anche di quei sensi che riempiono la vita di gioia, così come di quelle competenze senza le quali è molto difficile nutrire una nuova vita. Purtroppo, questi significati e competenze sono andati perduti, e, quindi, dobbiamo restituirli alla vita delle persone. Inoltre, e soprattutto, l'attenzione in questo campo non dovrebbe essere alle persone che sono a favore, ma a coloro che sono più vicini ad andare alla deriva.

Il mio sogno è che dovremmo diffondere la nostra attenzione sui valori della famiglia per tutto l'anno. Dopo il giorno di san Valentino, dovremmo stabilire una serie di feste della famiglia. La settimana dopo Pasqua, la Domenica delle sante Mirofore potrebbe essere il giorno dell’amore coniugale e della felicità familiare. Il 14/27 marzo e il 16/29 agosto, i giorni festivi dell’icona Feodorovskaja della Madre di Dio, potrebbero essere i giorni in cui si festeggiano le gravidanze. La festa della santa Protezione il 1/14 ottobre potrebbe essere il giorno per onorare i matrimoni. Il 1 dicembre potrebbe essere la festa della mamma. La Presentazione della Madre di Dio al Tempio il 21 novembre/4 dicembre potrebbe essere il giorno del bambino. Naturalmente, il Natale è una festa della famiglia.

Il mio "dono di san Valentino" ai nostri giovani è: "fate amicizia, innamoratevi, amatevi, create una famiglia, e riempite la Russia di bambini". Questo è il mio contributo puramente monastico alla crisi demografica. Non mi è possibile portare un mio bambino al fonte per il battesimo...

 
Un salto agli antipodi: la chiesa ortodossa russa in Antartide

La Chiesa della Santa Trinità (vedi le pagine di Wikipedia in inglese e in russo) si trova presso la base scientifica russa di Bellingshausen sulla King George Island, nell'arcipelago delle Shetland Meridionali. Non è l'unico luogo di culto in Antartide (sul continente antartico vi sono numerose chiesette e cappelle), e non è nemmeno l'unico luogo di culto ortodosso nel continente: sulla Livingston Island (un'isola più meridionale dello stesso arcipelago delle Shetland Meridionali) si trova la cappella di San Giovanni di Rila, presso l'omonima base antartica bulgara.

Si tratta comunque dell’unica vera e propria chiesa in Antartide (costruita secondo tutti i canoni architettonici delle chiese ortodosse in Russia), e dell’unico luogo di culto sul continente con regolare presenza di monaci.

L'esterno della chiesa

La richiesta di assistenza religiosa al personale scientifico della base antartica di Bellingshausen è stata portata al Patriarca Alessio II poco prima dell’anno 2000. L’idea di costruire una vera chiesa è venuta dai numerosi esempi di chiese in zone artiche e sui monti dell’Altai, dove le condizioni climatiche (gelo, forti venti, bufere di neve) non sono molto dissimili da quelle all’estremo sud del pianeta.

La chiesa è una struttura alta 15 metri, costruita nel tradizionale stile russo. Può contenere fino a 30 fedeli; è stata costruita in legno di cedro e di larice dell’Altai, i materiali più durevoli (nell’atmosfera priva di batteri dell’Antartide possono durare centinaia di anni, laddove il metallo si corrode facilmente per gli alti livelli alcalini e il cemento si sgretola presto a causa del vento). Per resistere ai terribili colpi di vento che raggiungono i 50 metri al secondo, la struttura della chiesa è rafforzata all’interno da cavi d’acciaio, simili a quelli della torre televisiva di Ostankino a Mosca. Viti speciali resistenti all’ossidazione sono state usate per tenere in posizione le assicelle del tetto.

L'interno della chiesa

Il budget della chiesa (60.000 dollari) è venuto da donatori indipendenti, e non ha intaccato quello stanziato per la ricerca scientifica; in compenso ha trasformato la vita dei ricercatori. Nelle parole di uno dei progettisti della chiesa, “se prima un ricercatore subiva un lutto o era abbandonato dalla moglie, cosa poteva fare se non comprare un litro di vodka e mettersi a bere? Oggi ha la scelta tra bere la vodka o pregare in chiesa: un lusso che nella base dei tempi sovietici non gli era concesso”.

Padre Kallistrat (Romanenko), ieromonaco della della Lavra della Trinità e di San Sergio, ha assistito all'assemblaggio della chiesa presso la base antartica. La chiesa è stata consacrata il 15 febbraio 2004 dal vescovo Theognost di Sergiev Posad, superiore della Lavra della Trinità e di San Sergio. Dalla stessa Lavra vengono gli ieromonaci che sono assegnati al servizio della chiesa: uno o due preti monaci, con eventuali aiutanti, sono ogni anno di turno presso la base, e quando non sono occupati con le funzioni in chiesa, si occupano di lavoro manuale (lavori di manutenzione della stazione antartica) esattamente come farebbero in monastero.

Alcune funzioni dei preti sono: la preghiera per le vittime delle spedizioni antartiche, il catechismo e il battesimo (nelle acque dell'oceano!) dei nuovi fedeli ortodossi, l'accoglienza dei visitatori dalle altre basi di ricerca e dei turisti, i matrimoni dei lavoratori delle basi: il primo matrimonio celebrato presso la chiesa è stato quello di un ricercatore cileno ortodosso e della sua moglie russa.

Una foto suggestiva dei dintorni della chiesa

 

 

Due video da youTube (un filmato amatoriale dell’interno della chiesa e un servizio di telegiornale) possono dare un’idea di com’è oggi la chiesa della Santa Trinità:

http://www.youtube.com/watch?v=8Iy_kBNJ5eg

http://www.youtube.com/watch?v=CcFDVnz-RQ8

 
Paramenti episcopali: il sakkos e la mitra

Il Sakkos

Il sakkos, dall'ebraico sakk che significa "tela di sacco", faceva parte del guardaroba imperiale a Bisanzio. Questo indumento non aveva maniche ed era indossato sopra la testa e abbottonato sui lati. Nei secoli XI e XII, gli imperatori cominciarono a dare il sakkos in dono ai patriarchi di Costantinopoli. I patriarchi spesso indossavano il sakkos solo a Natale, Pasqua e Pentecoste. Diversi vescovi cominciarono a indossare il sakkos nei secoli XIV e XV, ma il felonio continuava ad essere il tradizionale paramento episcopale. [1] In questo periodo il sakkos iniziò ad acquisire maniche corte. San Gregorio Palamas, arcivescovo di Tessalonica, è raffigurato sulle icone mentre indossa l'omoforio e il sakkos con maniche corte. Molti vescovi greci iniziarono a indossare il sakkos nel XVI secolo. A quel punto le maniche del sakkos erano diventate più lunghe, ma sempre più corte delle maniche dello sticario.

È difficile determinare esattamente quando i campanelli fecero la prima apparizione sul sakkos. È evidente, tuttavia, che servono come promemoria dei campanelli indossati da Aronne sulla sua veste, perché il loro suono "si sentirà quando Aronne serve da sacerdote, entrando e uscendo dal luogo santo davanti al Signore" (Es 28:30). I campanelli producono un suono squillante ogni volta che il vescovo si muove nella chiesa.

Vescovi serbi in sakkos e mitra

Il sakkos fece la sua prima apparizione in Russia non più tardi del quattordicesimo secolo, come veste liturgica dei metropoliti di Mosca. Il sakkos del metropolita Pietro (1308-1326) è stato conservato fino a oggi. Fu cucito nel 1322 con materiale di seta azzurra sul quale sono intrecciate in oro croci in circoli. Sopravvivono sia il "grande" sia il "piccolo" sakkos del metropolita Fozio (1409-1431). Si distinguono per la loro insolita ricchezza di ricami sulla superficie. Dopo l'istituzione del patriarcato nel 1589, il sakkos divenne la veste dei patriarchi di Mosca. Il sakkos fu indossato nel XVII secolo dai metropoliti e da alcuni arcivescovi. Nel 1705 fu stabilito che tutti i vescovi della Chiesa Russa devono indossare il sakkos.

La mitra

La mitra non fu un attributo dei paramenti episcopali durante i primi tempi. Lo studioso Aleksej Dmitrievskij ritiene che "questo ornamento per il capo del vescovo fu attribuito al suo rango in tempi abbastanza recenti". Egli scrisse che "c'è un silenzio completo per quanto riguarda la mitra in tutti i servizi antichi e più tardivi di consacrazione non solo di un vescovo, ma anche di un metropolita e perfino di un patriarca, cosa che comprende i libri di servizio greci, slavi-meridionali, e anche i nostri libri di servizio slavo-russi, manoscritti, così come stampati, e anche quelli utilizzati nella pratica del servizio in Oriente e in Russia ". [2]

Anche se si tratta di un fenomeno relativamente nuovo che la mitra ai attribuita a ogni vescovo, l'uso della mitra per i singoli ierarchi risale al profondo dell'antichità. L'origine della mitra si trova nel turbante, il copricapo liturgico dei sommi sacerdoti dell'Antico Testamento. San Giovanni Crisostomo fa riferimento alla mitra proprio in questo contesto. [3] Ci sono numerose testimonianze della mitra come attributo dei patriarchi alessandrini. I santi Atanasio e Cirillo di Alessandria sono spesso raffigurati in antichi affreschi mentre indossano cappelli bianchi con croci nere. Era costume dei patriarchi alessandrini indossare tali mitre. Al tempo di san Simeone di Tessalonica (XV secolo), molti altri vescovi in Oriente indossavano mitre, ma tradizionalmente erano ancora considerate un attributo particolare del patriarca di Alessandria. Alla domanda, "Perché vescovi e sacerdoti, con l'eccezione del patriarca di Alessandria, servono a capo scoperto e perché è meglio per servire a capo scoperto", san Simeone di Tessalonica rispondeva:

Tutti i vescovi e sacerdoti orientali, con l'eccezione del patriarca di Alessandria, conducono il sacro servizio a capo scoperto... Ma, forse, qualcuno si chiede se non sia irriverente che il patriarca di Alessandria copra la testa con una copertura sacra (in greco, hieron epikalymma) così come innumerevoli altri secondo l'antica tradizione? Io non me lo chiedo, perché coloro che agiscono in questo modo (e ciò serve come giustificazione) agiscono secondo la tradizione più antica, o più accuratamente – la "più regolare". [4] In realtà, il "legittimo" [5] sommo sacerdote portava sul capo un turbante (in greco, kidarin), che si chiama mitra (in greco, mitran), così come la chiamano i vescovi che la indossano. Forse la considerano come immagine della corona di spine che il Maestro e Re portava sul capo. [6]

San Cirillo di Alessandria con un'antica mitra alessandrina

Nel XVI secolo, quando i patriarchi di Costantinopoli, Alessandria e Gerusalemme concelebravano i servizi divini, solo il patriarca di Alessandria indossava una mitra. Un inviato russo presente al servizio a Costantinopoli nel 1585 ha reso testimonianza di questo fatto. [7] Quando celebrava da solo, il patriarca di Costantinopoli indossava una mitra a forma di corona regale. La mitra può essere stata un dono di uno degli imperatori bizantini al patriarca di Costantinopoli. Un'altra possibilità è che il patriarca di Costantinopoli abbia cominciato a indossare la mitra dopo la caduta dell'Impero Bizantino. "Per il senso di amore nazionale greco era completamente naturale, dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453, mettere la corona degli imperatori, che non esistevano più, sul capo del proprio patriarca ecumenico, che era rimasto il capo e il singolo tutore degli interessi dell'Ortodossia e della stessa nazionalità in tutto l'Oriente musulmano". [8] A poco a poco il patriarca di Costantinopoli passò la mitra a forma di corona agli altri vescovi greci.

A metà del XVII secolo, solo il patriarca indossava una mitra durante una funzione di cattedrale nel patriarcato di Gerusalemme. Il viaggiatore russo Arsenij Sukhanov era presente alla funzione del Venerdì Santo e fu testimone di questo fatto:

Ogni metropolita indossava un sakkos, e tutti erano senza copricapo. [9] Inoltre, nessuno indossava un cappello da nessuna parte, tranne che il patriarca. Non hanno cappelli e non ne hanno mai avuto alcuno. Il metropolita di Nazaret, con un copricapo logoro, chiese umilmente al sovrano se poteva ordinare di farne uno nuovo, e il vescovo di Nazaret, al suo arrivo, fece dono al patriarca di questo copricapo e di un sakkos. E fin dall'inizio non c'erano cappelli a Nazaret e in questo momento non li indossano. E si dice che il patriarca, dopo averlo ricevuto, andò a impegnarlo. E mentre era con noi, il metropolita di Nazareth non portava un copricapo quando serviva con o senza il patriarca. [10]

Nel 1642 lo tsar Mikhail Fedorovich offrì una mitra al monastero di santa Caterina sul monte Sinai, e questa è conservata fino a oggi nella skevofilakia del monastero (la sala dove sono custoditi i vasi sacri). Misura 20,5 centimetri di altezza, ha una croce sulla parte superiore, ed è ornata con otto icone, perle e pietre preziose. Un'altra mitra, preparata nel 1636 e presentata al monastero dei cristiani dalla città di Yannin, ha un'altezza di 25,5 cm. Si tratta di una magnifica opera in bronzo rifinita con pietre preziose, perle, numerose icone, e raffigurazioni di cherubini. Una terza mitra, data al monastero dal "Protosynkellos" Niceforo di Creta nel 1678, ha una altezza di 20,5 cm e, oltre a pietre preziose e perle, è ornata con smalti policromi.

Originariamente il copricapo liturgico dei vescovi russi era il kukol (un klobuk arrotondato). A partire dal XV secolo, la mitra emerse nel servizio dei vescovi russi, con l'aspetto di un cappello da principe. Le mitre erano decorate con ricami e pietre preziose ed erano talvolta rivestite di pelliccia sul fondo. La mitra russa a forma di cappello differiva in forma dalla mitra bizantina a forma di corona. Per questo motivo, quest'ultima causava sconcerto agli intenditori di rituali ecclesiastici. Uno di questi intenditori, che era presente durante il servizio del patriarca Teofane di Gerusalemme a Mosca nel 1619, osservava, "Il copricapo che indossava era senza bordo, su velluto nero... come una corona dorata con pietre incastonate e senza raffigurazioni di santi, ma sulla sommità è posta una croce e ai lati quattro cherubini e serafini". [11] Nei secoli XVI e XVII, i vescovi greci erano lieti di ricevere mitre russe a cappello da imperatori, metropoliti, e patriarchi russi, ma non le usavano, piuttosto le impegnavano o le rielaboravano. Le mitre russe a cappello con rivestimenti in pelliccia di zibellino non erano conformi al clima mediorientale. [12]

La mitra a forma di corona dei vescovi greci apparve in Russia nel XVII secolo, quando fu adottata dal patriarca Nikon nel 1653. [13] Tutti i vescovi in Russia iniziarono a indossare mitre di quello stile. Diedero mitre anche ad alcuni archimandriti. Ciò fu permesso da un decreto di Pietro il Grande nel 1705. Nel 1786 Caterina la Grande assegnò una mitra al suo padre spirituale, l'arciprete Giovanni Pamfilov, e a partire dal 1797, con un decreto dello tsar Pavel I, la mitra fu assegnata ad arcipreti meritevoli come segno di distinzione speciale.

In contrasto con la Chiesa greca in cui tutte le mitre sono sormontate da una croce, due tipi di mitra sono utilizzati nella Chiesa russa – con e senza croce. Originariamente la mitra con una croce era il privilegio dei patriarchi di Mosca. Nel 1686 il diritto di indossare una mitra con una croce fu esteso al metropolita di Kiev. In seguito, tutti i metropoliti ricevettero questo diritto, mentre tutti gli arcivescovi, vescovi e arcipreti nonché archimandriti e arcipreti mitrati indossavano la mitra senza croce. Alla fine degli anni '80, durante il patriarcato del patriarca Pimen, il Santo Sinodo ha stabilito, in conformità con la tradizione greca, che tutti i vescovi della Chiesa russa indossino mitre con la croce. La mitra senza croce ora è indossata da archimandriti e arcipreti mitrati. [14]

(Da Orthodox Christianity Vol. III, The Architecture, Icons, and Music of the Orthodox Church, del metropolita Ilarion Alfeev. pp. 98-102)

Note

[1] San Nicola Cabasilas menziona il felonio e l'omoforio come elementi di base dei paramenti episcopali del XIV secolo e non menziona affatto il sakkos. Cfr. 'Sui paramenti sacri', 3, SC 4-bis, 366.

[2] Aleksej Dmitrievskij, "Mitre, Saggio storico-archeologico," Manuale per pastori rurali, n. 11 (Kiev 1903) (Ristampato nelle Notizie Diocesane di Mosca, n. 4-5, 2003); riferimenti alle seguenti edizioni: Relazioni della Russia con l'Oriente, 88, 101; Proskynitarion di Arsenio Sukhanov, 82.

[3] San Giovanni Crisostomo, Sul sacerdozio 3, 4.

[4] Vale a dire, "del Vecchio Testamento."

[5] Di nuovo, questo significa "del Vecchio Testamento."

[6] Simeone di Tessalonica, Sul santo tempio 45. PG 155, 716D-717A.

[7] A. N. Muraviev, Relazioni della Russia con l'Oriente, Parte 2 (San Pietroburgo 1860), 149.

[8] Dmitrievskij, Mitre

[9] Nel libro slavo dei servizi episcopali (Chinovnik) la mitra è chiamata "cappello" (shapka).

[10] "Proskynitarion di Arsenio Sukhanov," Collezione palestinese ortodossa, Edizione n. 21 (vol. 7, ed. 3) (San Pietroburgo 1889), 82.

[11] Letture della Società di Storia e Antichità russa, Libro 2, Parte 2, 166.

[12] Dmitrievskij, Mitre. Con riferimento alla pubblicazione successiva: Relazioni della Russia con l'Oriente, Cap 1, S. 88, 101. Proskynitarion di Arsenio Sukhanov, 82.

[13] Antichità dello Stato russo, parte 1, 124-132

[14] In Occidente la mitra acquisì la forma di una corona a punta, che si allarga a partire dalla base e si restringe sulla parte superiore. Tali mitre a punta possono essere viste nei dipinti dal Medioevo. La mitra era indossata dai vescovi occidentali, tra cui i papi romani. A partire dal XIV secolo, i papi portavano la tiara – un copricapo a forma di uovo ornato da tre corone, che simboleggia il potere temporale e spirituale del papa sulla terra e anche il suo potere sulla vita successiva. La tiara nella Chiesa romana è stata eliminata da papa Giovanni XXIII (1958-1963), e i papi successivi hanno indossato mitre identiche a quelle indossate dagli altri vescovi latini.

 
Domenica 3 giugno 2012 - Festa di Pentecoste (Giovannni 7:37-52; 8:12)

Nel nome del Padre, e del Figlio, e del santo Spirito.

La Pentecoste è una grande festa cristiana, che a sua volta deriva da una grande festa ebraica: così grande, e così radicata nella Bibbia, che perfino quei cristiani che hanno gettato via quasi tutto il patrimonio tradizionale delle feste hanno mantenuto questo giorno con devozione.

“Pentecoste” è un termine greco che significa “cinquantina”: la grande festa che si faceva cinquanta giorni dopo la Pasqua ebraica celebrava il dono della legge a Mosè, che ebbe luogo cinquanta giorni dopo il passaggio del Mar Rosso.

Così come gli ebrei festeggiano la discesa sugli uomini della legge (compimento della promessa fatta da Dio a Mosè), anche i cristiani hanno una importante discesa da festeggiare oggi: quella dello Spirito consolatore (compimento delle promesse fatte da Cristo al suo popolo).

La discesa dello Spirito, con i miracoli che l’hanno accompagnata, è narrata nel libro degli Atti, nel passo che si legge oggi nel libro dell’Apostolo. Nel Vangelo di oggi, tratto da Giovanni, si racconta come Gesù, “nell’ultimo giorno della grande festa” (quella della Pentecoste, appunto), si mette a parlare dello Spirito santo, paragonato a una “sorgente di acqua viva” che sgorgherà dal seno di quelli che credono in Lui. Vi ricorda qualcosa?

Andate indietro con la memoria a tre domeniche o sono… nel suo incontro con la donna samaritana, Gesù promette a chi lo segue un’acqua viva, e dice chi la beve non avrà più sete, anzi “torrenti di acqua viva sgorgheranno dal suo seno”: è la stessa immagine! Nel brano di oggi si spiega senza alcuna confusione che questa “acqua viva” non è altro che lo Spirito santo di Dio, che “non era ancora disceso perché Gesù non era ancora stato glorificato”.

Alla discesa, in forma di lingue di fuoco”, dello Spirito sugli apostoli, vediamo confermare una promessa di Gesù, che ci spiega come la continuazione della sua stessa presenza fisica sulla terra ostacolerebbe il lavoro ulteriore che lo Spirito Santo deve compiere nel cuore dei credenti. E qui non solo abbiamo la prova che le parole di Gesù erano vere, ma che la stessa presenza misteriosa e nascosta dello Spirito in noi ci porta verso quella vita divina che ci è stata riaperta dal sacrificio e dalla risurrezione del Figlio di Dio.

Nell’Antico Testamento si parla della discesa dello Spirito di Dio su particolari persone (profeti, re e sacerdoti) e per particolari scopi, attraverso l’unzione rituale con l’olio. Nell’era cristiana il dono dello Spirito è dato a tutti noi, quando attraverso il mistero dell’unzione con il santo Miro dopo il battesimo, riceviamo il “sigillo del dono dello Spirito santo”. Perché a tutti? Perché in tutti noi lo Spirito di Dio deve operare, per fare di noi “una stirpe eletta, un sacerdozio regale, una nazione santa” (1 Pietro 2:9)

Dobbiamo ricordare, comunque, che lo Spirito di Dio è una persona, non una forza da manipolare a nostro piacimento! Il suo simbolo è una colomba, un animale noto per la sua pulizia, che non si mischia con il fango e la sporcizia. Allo stesso modo, lo Spirito dimora dove c’è pulizia, o per lo meno, un ardente desiderio di ripulire la nostra vita.

Come aiutare dunque la crescita dello Spirito santo in noi? Nutrendoci di esso! Il mistero della santa comunione, che molto spesso riduciamo, con tutte le nostre scuse più patetiche, a un momento in cui crediamo di essere più puri, è invece proprio il contrario: è il nutrimento di base, che ci permette di crescere verso una vera purezza! Semmai, è proprio la nostra coscienza che non siamo mai, MAI, veramente degni dei doni di Dio, che ci toglie l’illusione di poter essere “a posto” e ci rende, al contrario, veramente assetati di quell’acqua viva che solo Dio può donarci.

Che ci sia un ruolo determinante dello Spirito santo nella santa comunione, i cristiani ortodossi lo sanno senza dubbio: ogni volta che il pane e il vino sono presentati perché siano trasformati nel corpo e nel sangue del nostro Signore Gesù Cristo, è lo Spirito santo a essere chiamato a operare questa trasformazione. Quando termina la comunione, cantiamo: “abbiamo visto la vera luce, abbiamo ricevuto lo Spirito celeste…” Le parole della Liturgia stessa ci confermano che lo Spirito di Dio non è lontano da noi, non appartiene ai soli discepoli prediletti, ma è presente, è qui, è in mezzo a noi, in quel mistero che riceviamo con semplice fiducia, che riceviamo come un bambino che sa che crescerà con il nutrimento che gli viene dato.

Possiamo ricevere la santa comunione nella certezza che questa è l’attuazione del dono di Gesù Cristo per noi, e per obbedire al suo comandamento. Già questa è una buona cosa, ma ancor meglio è capire che attraverso la comunione lo Spirito di Dio si fa presente in noi, ci istruisce, ci conduce alla pienezza della verità, ci porta a diventare a nostra volta “fonti di acqua viva”.

Purtroppo, secoli interi di pratiche devozionali sono riusciti a trasformare la santa comunione, da nutrimento di base dei cristiani, in una specie di “premio per i perfetti”. Se qualcuno osasse applicare lo stesso ragionamento al normale cibo di tutti i giorni (“può mangiare solo chi è già cresciuto”), o all’istruzione (“può imparare solo chi è già sapiente”), diremmo che un simile ragionamento è un’assurda stupidaggine. Cerchiamo di riappropriarci, proprio come cristiani che vogliono lasciare spazio allo Spirito di Dio, della comunione come nostro nutrimento. Facciamo ogni sforzo per evitare la sporcizia nella nostra vita, ma non lasciamo che lo sforzo di lavarci ci blocchi dal dono dello Spirito. Chiediamo a Dio di lasciarci sempre nutrire del dono del suo Spirito santo, affinché da lui guidati, possiamo trasformarci anche noi in fonti perenni di acqua viva.

Amen.

 
Domenica 24 giugno 2012 (3a dopo Pentecoste) Un impegno e una speranza (Matteo:22-33)

Nel nome del Padre, del Figlio e del santo Spirito.

Un impegno

Il legame tra lo Spirito santo e i santi è sottolineato nella tradizione ortodossa dalle feste di questo periodo dell'anno. La domenica successiva alla Pentecoste è stata scelta dalla Chiesa come festa di tutti i santi, per sottolineare come non esistono santi se non per la presenza dello Spirito di Dio che agisce in loro.

Dopo la domenica dedicata a tutti i santi, la domenica successiva è comunemente dedicata ai santi “locali” di tutto un paese, e ciascun paese festeggia (o - come vedremo tra poco - dovrebbe festeggiare) i propri santi; infine, arriviamo oggi alla domenica dedicata a diversi santi locali, questa volta di aree più ristrette. Per esempio la Chiesa ortodossa russa, che nel calendario della seconda domenica dopo Pentecoste ha tutti i santi della Rus' (uno spazio storicamente più vasto di quello dell'attuale Russia), ci propone oggi i santi della Belarus', di Novgorod, di Pskov, di San Pietroburgo. Altre Chiese ortodosse celebrano memorie collettive di santi di diverse località e/o categorie (per esempio, in Grecia si ricordano oggi tutti i martiri del giogo turco).

Ora noi possiamo, anzi DOBBIAMO chiederci, cosa rappresenta per noi questo cammino di “avvicinamento” dello Spirito santo alle vite dei santi locali. La tradizione dei santi “locali”, si rispecchia in una serie di celebrazioni delle Chiese ortodosse nel mondo. Si celebrano i santi della Rus', della Romania, della Bulgaria, e via dicendo... e quali santi si celebrano QUI? La stessa idea di santi “locali” dovrebbe farci pensare che ognuno deve ricordare i santi DEL PAESE IN CUI VIVE, e l'Italia non è certo povera di santi ortodossi: anzi, si può ritenere che nel mondo l'Italia sia il PRIMO paese per numero e importanza di santi ortodossi, e lo testimoniano gli innumerevoli pellegrinaggi di fedeli ortodossi che vengono in Italia a venerare le reliquie, i luoghi di martirio e le testimonianze dei loro santi più amati.

Eppure, in queste settimane fate un giro nelle chiese ortodosse in Italia, e chiedete ai parroci e ai fedeli quali santi commemorano in queste domeniche! In stragrande maggioranza, vi risponderanno: i santi della Rus', della Romania, della Bulgaria... e se chiederete loro perché non celebrano i santi ortodossi dell'Italia, vi risponderanno in gran parte (e, credo, con tutta sincerità) che non pensavano che una simile celebrazione sia POSSIBILE!

Se vogliamo che la fede ortodossa sia qualcosa di vivo nella nostra vita, dobbiamo almeno credere che si possa radicare nel paese dove viviamo. Se la trattiamo come un ricordo di altri paesi, se la discesa dello Spirito di Dio è collegata a memorie di una madre patria lontana, difficilmente potremo vedere questo stesso Spirito prendere radici tra noi.

Ecco il nostro impegno: iniziare da oggi in poi, da quest'anno in poi, a celebrare tutti i santi e le sante di Dio dopo Pentecoste, e poi - invece di richiuderci in una mezza dozzina di giurisdizioni diverse a festeggiare i santi di una mezza dozzina di madrepatrie diverse - celebrare la domenica dei santi LOCALI, che per noi qui in Italia significa una immensa nube di testimoni del Vangelo. E non correremo mai il rischio di essere considerati “separatisti”, dato che in quella schiera di santi brillano uomini e donne di ogni provenienza (pensiamo a mediorientali come gli apostoli Pietro e Paolo, ad africani come Agostino... nessuno di loro è meno “santo d'Italia” per il fatto di essere nato in una terra straniera).

E in questa domenica? Ecco, in questa domenica ciascuna delle nostre parrocchie dovrebbe prendersi l'impegno di cercare i santi ortodossi della SUA regione. Forse Roma è più ricca di santi di ogni altra città, soprattutto a motivo degli innumerevoli martiri che vi sono sepolti, ma vi garantisco che (per restare alla nostra parrocchia) Torino e il Piemonte sono tutt'altro che poveri di santi. Sapevate per esempio che la città di Vercelli conta ben trentacinque santi vescovi dell'epoca che possiamo chiamare “ortodossa” (il primo millennio) e che una città piccola come Tortona ne conta quindici? Sapevate che tra i martiri collegati alla celebre Legione Tebea vi sono almeno cinquantotto santi venerati nel solo Piemonte? E pensate che ci sono in Italia regioni ancor più ricche di santi ortodossi!

Perché dovremmo ignorare questo tesoro? Perché dovremmo far dipendere la presenza dello Spirito santo tra di noi da legami ideali con altri paesi, quando proprio da questi paesi i nostri stessi fratelli ortodossi testimoniano a noi l'importanza della terra in cui viviamo, venendo a cercare l'aiuto e l'intercessione di quegli stessi santi tra i quali noi DORMIAMO all'ombra delle loro reliquie?

Cerchiamo di fare TUTTI uno sforzo: trovare i santi delle terre in cui viviamo, memorizzare i loro nomi, cercare e leggere le loro vite, dipingere le loro icone, venerare le loro reliquie, comporre inni in loro memoria, imparare dai loro insegnamenti, chiamarli come nostri intercessori presso il Signore. Solo così la fede ortodossa riprenderà qui le radici che aveva un tempo, e ricomincerà a dare i frutti che si sono visti nelle vite di tutti questi santi. Possa l'esempio dei santi di queste terre ispirarci e mostrare in noi la potenza dello Spirito santo.

Una speranza

Se i santi sono per noi una fonte di ispirazione, le loro stesse vite sono testimonianza della verità delle parole che abbiamo letto oggi nel Vangelo di Matteo. Gli insegnamenti che abbiamo ascoltato ci fanno capire la terribile scelta che è davanti a ciascuno di noi: servire Dio o il denaro. Non solo la vita dei santi ci fa capire che la scelta di Dio è possibile (e neppure troppo difficile), ma soprattutto la loro testimonianza ci conferma che le parole di Gesù sono vere, sia nella loro vita, sia nella nostra!

La gran parte della nostra vita è sprecata nella preoccupazione di possedere il necessario (e spesso anche il superfluo) per garantire sicurezza, conforto, benessere. In questo caso, sembra davvero che la nostra sia una vita spesa al servizio del denaro (Mammona era la figura che presso i pagani personificava la ricchezza).

Se noi che diciamo di credere in Dio vogliamo essere onesti con noi stessi, il modo con cui dimostriamo la nostra fede non è sempre esemplare. Se chiediamo a chi non frequenta la chiesa “ma ha Dio nel cuore” la ragione per cui non va in chiesa, la maggior parte si giustifica dicendo “devo lavorare”. E dato che ben pochi lavorano per puro divertimento, la risposta significa generalmente “ho bisogno di guadagnare”.

Eppure, le parole di Gesù che oggi abbiamo ascoltato contengono una promessa straordinaria: chi si occupa di Dio prima che del denaro… scoprirà che non solo non dovrà più preoccuparsi delle necessità economiche, ma che il necessario gli sarà addirittura DATO in aggiunta! Proprio così, “dato”, non solo una situazione di generale facilitazione, ma un dono di ciò che veramente ci serve. E Dio non si fa superare in bravura e capacità: se sa nutrire gli uccelli del cielo saprà fare ancor di più con noi; se riveste i fiori del campo di una bellezza superiore a quella degli abiti regali di Salomone, saprà dare a noi uno splendore ancor maggiore.

Queste parole accendono nel nostro cuore una speranza straordinaria, tanto più importante in un periodo in cui tutti lamentano crisi economica, mancanza di sicurezza, paura per il futuro.

Ci è richiesto solo di cercare prima di ogni cosa Dio e la sua giustizia, di fare in modo che il Vangelo parli ai nostri cuori prima che questi siano corrotti dalle paure e dalle preoccupazioni.

Come fare in modo che Dio sia al centro della nostra vita? Seguiamo le sue richieste, con semplicità, ma anche con determinazione! Dedichiamogli un giorno della nostra settimana (e i rimanenti sei giorni “umani” acquisteranno tutt’altro valore), dedichiamo una parte dei nostri averi mettendoli a disposizione per le cause che ai nostri occhi promuovono la sua giustizia (e siamo del tutto liberi di scegliere quale causa riteniamo più giusta!), cerchiamo di mettere prima del nostro bene personale il bene comune dei nostri fratelli, e vedremo se in questo clima non si farà vedere la risposta di Dio, che non si lascia mai superare in generosità.

Amen.

 

 
Missione sul continente bianco

Spesso ci lamentiamo della vita: I trasporti pubblici sono davvero fastidiosi... E dove staranno andando tutte queste persone in ogni caso?... Ne abbiamo avuto abbastanza di questa pioggia... Perché questo caldo è così insopportabile?... Che cosa vogliono comunque da me? Sono stufo di tutte queste grida, rumore e confusione... Potremmo continuare a elencare i reclami, sognando di essere da soli e quanto sia bello da qualsiasi altra parte, e in generale lmentarci e desiderando di abbandonare tutto. Ma una volta che sei alla fine della terra, improvvisamente tutto cambia e guardi il mondo in un modo completamente nuovo.

Questi sono i pensieri che ho avuto quando ho incontrato lo ieromonaco Pavel (Geljastanov) che era appena tornato da una obbedienza di 15 mesi in Antartide. Non so se sia corretto chiamare l'Antartide la fine della terra, ma potrebbe probabilmente essere chiamata la fine del pianeta o la fine delle carte geografiche. Anche se, d'altra parte, non si può davvero vedere terra in Antartide, invece tutto è ghiaccio, neve, acqua e rocce e avifauna polare. Ma a fianco di queste cose ci sono le persone che stazionano lì, di gran lunga meno dei visitatori, e vivono nel regno della neve per circa un anno in media: provengono da paesi diversi per svolgere compiti speciali e poi tornare a casa. È per questo che l'Antartide, scoperta nel 1820 dagli esploratori russi Bellingshausen e Lazarev, è chiamata un paese libero: non ci sono politica, economia, cittadinanza, divisioni sociali...

Come è finito lì padre Pavel, un monaco del monastero Novospasskij a Mosca? Ho cercato di trovare la risposta a questa domanda non tra i ghiacci, ma a Minsk, nel nostro convento dove padre era venuto a 'scongelarsi' dopo il suo lungo soggiorno invernale.

 

Ci dica, padre Pavel, come mai è andato in Antartide?

Su richiesta dell'arcivescovo Feognost, il superiore della Lavra della Trinità e di San Sergio, è stato emesso un decreto da Sua Santità il Patriarca che mi inviava come membro della 56a spedizione antartica russa. Sono arrivato il 3 marzo 2011 a servire nella chiesa della Santa Trinità a Bellingshausen.

Questa è l'unica chiesa del continente meridionale e, va detto, in quanto tale non è solo oggetto di curiosità, ma anche di rispetto. Chiunque va alla nostra isola prima di tutto va alla chiesa, si fa fotografare, chiede la storia della chiesa e molti vengono a venerare le icone. E' un'attrazione locale.

Quando siamo atterrati, la prima cosa che abbiamo fatto è stato quello di tenere un servizio di ringraziamento. Siamo stati accolti dal bel tempo. È vero, c'erano alcune pesanti raffiche di vento, ma non ci hanno impedito di ammirare la splendida vista all'atterraggio. La nostra stazione è situata sulla King George Island, accanto a noi sono le stazioni scientifiche di Cile, Argentina, Uruguay, Brasile, Corea, Cina e Polonia. La stazione e la pista di atterraggio della base cilena 'Via Frey' sono sulla parte di terra che è priva di ghiaccio in estate.

Luoghi come questo sono chiamati oasi - coprono meno del 5% dell 'isola. Naturalmente, la natura è incredibile! In realtà, i pinguini sono molto simili ai monaci. Hanno una piccola tonaca bianca sul davanti e sono vestiti, per così dire, in una tonaca esterna nera sulla parte superiore. Sono molto buoni di natura, camminano sulle loro gambe come gli esseri umani, e sono curiosi e non hanno paura delle persone.

Chi era sacerdote nella chiesa della Santa Trinità prima di lei?

Lo ieromonaco Sofronij e lo ierodiacono Palladij, anche loro monaci della Lavra della Trinità e di San Sergio, hanno trascorso lì più di quattordici mesi come parte della spedizione 55. L'intero concetto di istituire una chiesa permanente al Polo Sud è stata un'idea del capo della spedizione antartica russa, Valerij Lukin, e di sua Santità il Patriarca Alessio II. Quest'idea è stata sostenuta da Peter Zadirov che era allora il capo di una società denominata Anteks-Polyus.

E' stato istituito un fondo fiduciario chiamato 'una chiesa in Antartide' e si è tenuto un concorso nazionale per la progettazione. Hanno vinto i costruttori di chiese di Barnaul. Il sito della chiesa è stato benedetto il 20 gennaio 2002 e la chiesa è stata costruita il 15 febbraio 2004. Il superiore della Lavra della Trinità e di San Sergio, il vescovo Feognost di Sergiev Posad, l'ha consacrata assieme a un gruppo di sacerdoti, pellegrini e benefattori che è venuto su un volo speciale dalla più vicina città cilena di Punta Arenas.

Il primo rettore della chiesa è stato lo ieromonaco Kallistrat (Romanenko), seguito dallo ieromonaco Gabriel (Bogachikhin) e dal suo assistente Vladimir Petrakov. Quasi tutto il clero che ha avuto l'obbedienza della pastorale per i lavoratori polari era composto da monaci della Lavra della Trinità e di San Sergio, che si davano turni ogni anno, più o meno come gli stessi lavoratori presso le stazioni antartiche polari.

Che cosa avete fatto nei primi giorni del vostro soggiorno in Antartide?

Un parrocchiano del nostro Monastero, Anatoly Pristupa, ha ricevuto una benedizione e un'obbedienza insieme a me. Ha servito all'altare, ha cantato, ha fatto le letture lettura, ha cucinato le prosfore, ha suonato le campane e ha anche lavorato come restauratore... Il nostro primo compito è stato quello di impostare la nuova iconostasi a due livelli con lo ieromonaco Gabriel (Bogachikhin) e l'artista e restauratore Valerij Grishanov, che aveva dipinto le icone. Queste erano state dipinte in particolare per le condizioni climatiche in Antartide. Il 6 marzo 2011 abbiamo invitato tutti i diciassette membri della spedizione con il loro capo, Bulat Rafaelovich Mavljudov, alla chiesa, dove abbiamo fatto la piccola benedizione delle acque, abbiamo benedetto le icone, l'iconostasi e la gente e abbiamo letto le preghiere per la creascita dell'amore e per i viaggiatori, e quindi abbiamo fatto una fotografia di tutti insieme. Dopo questo padre Gabriel e Valerij sono rientrati in volo a Mosca.

La chiesa è costruita di tronchi in stile antico russo con un campanile a vela. Ci sono otto catene tese dalle fondamenta alla cupola che aiutano a proteggerla dal vento. Gli spessi tronchi e le catene, che sono dipinte di un colore bronzo e spariscono da qualche parte oltre il soffitto, conferiscono una sensazione da favola, e non è possibile non ricordare i versi di Pushkin : 'C'è una quercia verde presso una baia ricurva, e su quella quercia una catena d'oro...'. Una volta in inverno abbiamo avuto una funzione notturna molto particolare e misteriosa.

Le parole della preghiera e il suono delle campane con i venti e il cigolio dei tronchi congelati ti dava l'impressione, se chiudevi gli occhi, di essere in un vecchio veliero che attraversa un mare in tempesta. Alla luce di tali circostanze, L'irmo della sesta ode del canone al nostro Signore Gesù Cristo suonava molto diverso: 'Vedendo il mare della vita gonfio per la burrasca delle tentazioni corro al tuo porto tranquillo e ti grido: togli dalla corruzione l'anima mia, o abbondante di misericordie'.

Chi sono queste persone che vivono al Polo Sud?

Provengono da vari paesi, ma sono molto cordiali, si invitano a vicenda e si aiutano a vicenda disinteressatamente. Il modo in cui è organizzata la vita ci ricorda la vita sul Monte Athos, almeno secondo le storie che si raccontano. Se l'Athos è una repubblica monastica, allora l'Antartide potrebbe essere definita una repubblica polare. Il modo con cui il lavoro è organizzato è più o meno lo stesso, con la sottomissione volontaria a un rigido codice di disciplina (per esempio, se non si dispone delle autorizzazioni dal capo, non è possibile lasciare la stazione; si deve assolutamente firmare un registro, dicendo dove e per quanto tempo si starà via, dare il tempo stimato del proprio ritorno, prendere con sé razioni).

Ogni stazione è una sorta di monastero con le sue regole, il suo abate, monaci, proprietà e territorio. Nessuna porta di qualsiasi abitazione o stazione ovunque sull'isola è bloccata. Nessuno ruberebbe mai niente. Ogni abitazione ha dentro di sé del cibo e chi è stato sorpreso dal maltempo può ripararsi dentro in qualsiasi momento. Mi ricordo che la terza Domenica di Quaresima abbiamo servito la Liturgia di san Basilio il Grande. Dopo la funzione siamo partiti, ma quando siamo tornati la sera abbiamo trovato fiori sul leggio! Ed erano così brillanti! E 'stato veramente bello, soprattutto quando non c'è un albero o un filo d'erba o una foglia in vista! Chi li ha messi lì è un mistero. Grazie e che il Signore lo salvi (o li salvi)...

Si può imparare molto dai membri delle spedizioni polari. Hanno una vita difficile, e rischiano la vita. Per esempio, sembra che in Russia tengano più alla tecnologia rispetto alle persone e fino a poco fa in Antartide hanno fondamentalmente utilizzato attrezzature di scarto. Naturalmente queste macchine si rompono e i meccanici polari devono fare a pezzi i motori e ripararli a temperature di -50, senza alcun tipo di riparo, e poi devono farli ritornare come nuovi. Molti hanno perso la vita nel ghiaccio. Ci sono 160 russi sepolti lì. Ho ritenuto mio dovere pregare per tutte queste persone, battezzati, non battezzati, credenti, non credenti... Dio sa!

Purtroppo, durante questo soggiorno non c'era praticamente nessun fedele assiduo della Chiesa alla stazione. C'era solo una persona che più o meno veniva a confessarsi e si comunicava regolarmente, ma poi è stato trasferito in un'altra stazione. È vero, due persone sono state battezzate e un paio di altri sono venuti con le loro richieste, ma soprattutto amavano stare da soli in chiesa, non avevano voglia di ascoltare il Vangelo, confessrsi o ascoltare discorsi su argomenti spirituali. Forse, in parte era colpa mia perché non sono riuscito a suscitare interesse per la vita spirituale tra le persone, anche se ovviamente ho provato. Ma spero che i miei tentativi daranno i suoi frutti - il Signore provvederà.

Fa freddo. E' buio. Non c'è molto sole. Non c'è verde. Come ha fatto a far fronte alla depressione?

Sì, questo è uno dei problemi delle stazioni polari, tutto è realtà è sempre lo stesso bianco e nero. C'erano molti modi di lottare contro la depressione. per esempio, fare passeggiate e guardare i pinguini. Chiunque sia un po' giù o stanco dà loro un'occhiata e il suo malumore scompare. L'ho sentito, ma non solo io, anche gli altri, ho notato spesso che la gente se ne andava a fare una passeggiata lungo la riva dell'oceano a respirare l'aria. Ma non si possono fare passeggiate in caso di maltempo. Solitamente, la depressione subentra quando non c'è il sole. E per la verità, dopo la Liturgia la domenica e nei giorni di festa era spesso soleggiato.

Gli altri giorni si può combattere contro i pensieri negativi attraverso la lettura o la visione di un film. Ho letto tutte le opere di sant'Ignazio Brjanchaninov e Dostoevskij. E, naturalmente, in tali situazioni, se possibile, non devie essere solo. Anatoly era con me e qualche volta mi ha sostenuto e qualche volta l'ho sostenuto io, così con l'aiuto di Dio ce l'abbiamo fatta.

Oltre a celebrare le funzioni, che altro facevate?

Ufficialmente, io e Anatoly eravamo elencati come tecnici e riparatori e avevamo vari lavori da fare. Come tutti abbiamo avuto diverse mansioni. Per esempio le riparazioni, così come turni di lavoro in compiti come ripulire i bagni, aiutare in cucina, lavare i pavimenti ... Non sono previste eccezioni in questo senso, tutti sono allo stesso livello. Uno dei lavori più complessi è ripulire la ruggine dalle case.

Tutti gli edifici della stazione posano su piloni di calcestruzzo circa 1-1,5 metri da terra. Ciò è stato fatto in modo da non far finire la neve di sotto. Le case sono fissata con bulloni molto robusti a speciali piattaforme metalliche e queste a loro volta sono fissate sui piloni. Sono state posate lì da più di quaranta anni. Le pareti di alluminio sono soddisfacenti, ma le piattaforme, fatte di metallo ferroso, hanno subito una notevole corrosione.

All'inizio, dato che non eravamo abituati, verso la sera ci sentivamo a pezzi, i nostri occhi si chiudevano da soli, non appena arrivavamo ​​vicino a un letto o una poltrona. Le ragioni principali di questa stanchezza erano l'acclimatamento e l'aria di mare purissima. La nostra stazione e la chiesa sono sulla riva del continente e anche se non ci sono gelate molto forti, ci sono forti venti e alta umidità. In un tempo come questo anche le temperature di - 20 e -30 si fanno sentire come se fossero - 60 e ci consigliavano di rimanere all'interno.

A volte dovevamo lavorare nei nostri giorni di riposo - pulendo spazzatura accumulata in cinquant'anni di esistenza della stazione sull'isola. All'inizio tutto si buttava via senza alcun controllo e si sono così costituiti mucchi di spazzatura. Questo atteggiamento verso l'ambiente oggi è cambiato. Per gli accordi internazionali in Antartide è vietato portare animali, terra, o semi sul continente, in modo da non far arrivare batteri o virus alieni per l'ambiente naturale. L'ambiente è volutamente tenuto pulito perché qualsiasi materiale non indigeno attira i raggi del sole e il ghiaccio comincia a sciogliersi rapidamente e si possono formare nel ghiaccio le cosiddette teste di pozzo, che a loro volta possono causare un incidente quando un aereo atterra.

Si è mai sentito in pericolo?

C'è stata paura, ma solo per mancanza di comprensione. Quando c'era un forte vento, la casa cominciava a tremare come un tram in movimento e i primi giorni non mi sentivo al sicuro. Iniziavo a pregare molto intensamente che la casa non fosse spazzata via. Duramnte il mio soggiorno, non ci sono stati incidenti sulla nostra stazione, ma c'è stato un incendio presso la stazione brasiliana. I costruttori non avevano fissato il serbatoio dell'acqua in modo corretto, il vento l'ha strappato via e l'ha soffiato verso le case. Ma per misericordia di Dio è passato tra gli edifici ed è finito direttamente in mare. Cìè stato un altro momento in cui al posto del gasolio invernale hanno lasciato gasolio estivo, che si è congelato. Si può immaginare che cosa significa essere senza calore in Antartide.

Ci sono persone che vogliono andare al Polo Nord o al Polo Sud. Perché?

Ho pensato molto a questo e ho capito che non è solo una questione di superare noi stessi (possiamo farlo anche in altre circostanze), è un desiderio inconscio di trovare la bussola, la nostra direzione. Proprio come il mondo gira sul suo asse, così i cuori battono per qualche scopo principale. Questo obiettivo è diverso per ogni persona. Ma se la gente organizza la propria vita in modo tale che tutto giri intorno a Dio, allora la vita sarà gioiosa.

Il Signore ha fatto il mondo in modo tale che l'asse invisibile e immateriale del mondo ha un significato enorme. Tutte le cose visibili e materiali girano intorno ad esso, gli oceani, i continenti, le città e villaggi con le persone ed i loro effetti personali. Tutto è subordinato a questa legge universale, data alla Terra da Dio.

Se l'asse del pianeta, attorno al quale tutto gira, cambiasse completamente direzione, allora ci sarebbe una catastrofe mondiale! Questa disposizione del mondo visibile serve solo a ricordarci la disposizione del mondo invisibile, spirituale. Qualcuno ha detto che Gesù Cristo è l'asse della storia del mondo. E questo 'asse del mondo' passa attraverso il cuore di tutti i cittadini della Terra. E penso che ognuno di noi ha sentito dentro di sé questo asse spirituale invisibile che si chiama lo Spirito Santo.

Che altro le ha insegnato l'Antartide?

La mia obbedienza nel monastero è quella di organizzare la scuola domenicale. Prima di partire, mi sono sentito come se fossi al mio ultimo respiro. Varie domande mi preoccupavano costantemente: cosa accadrà in futuro? Che cosa dovrei insegnare? Di che cosa parlerò? Quando sono partito per l'Antartide, da qualche parte nel profondo della mia anima ho avuto il pensiero che questo viaggio mi avrebbe dato le risposte alle domande che mi preoccupavano. Durante il mio soggiorno invernale ho capito molto chiaramente quanto sono debole e quanto devo ancora lavorare su me stesso.

Ho capito che per andare in Antartide e lavorare in modo efficace, bisogna essere pronti ad accettare il fatto che non ci saranno molti a baciare la tua mano o a chiedere la tua benedizione, ma che sarai tu, per così dire, a lavare i piedi di coloro che sono al tuo fianco. Per chi vive in una stazione polare, questioni come chi sei tu, come sei vestito e le parole che dici non sono cose importanti, è quello che fai che è importante.

E lì ho anche sentito che io e gli scienziati siamo persone di provenienze e obiettivi spirituali molto diversi. Anche se sono persone molto buone, purtroppo, non avevamo la stessa direzione spirituale, come ho con gli altri monaci del monastero. Ora sono tornato in monastero, sono particolarmente felice ogni volta che incontro ogni vero credente, soprattutto i monaci.

Ha voglia di ripetere il suo soggiorno invernale nel deserto bianco dell'Antartide?

Ci sono quelli che ci sono stati e non possono vivere senza l'Antartide e davvero parlano di amore per 'il deserto bianco'. Nel mese di aprile o maggio tornano alla terraferma e poi in ottobre o novembre, se invitati, fanno ritorno. Ho già detto a qualcuno scherzosamente che mi piacerebbe tornare di nuovo se il capo della stazione accettasse di farsi battezzare (non era battezzato). Ma sul serio, penso che se ci sono alcuni credenti che la pensano allo stesso modo in queste condizioni, allora potremmo avere una sorta di skit, un piccolo monastero, una dipendenza 'scientifica' di uno dei monasteri ortodossi. Sarei ben felice di servire in un simile 'monastero'. Ma tutto è volontà di Dio.

 
Meditazioni sulla Settimana Santa

Il monaco James (Silver), membro della Commissione per le Canonizzazioni della Chiesa Ortodossa in America, è stato tonsurato nel 1978 nel Monastero della Madre di Dio di Tikhvin nel Kansas; dato che quella comunità non esiste più, si è spostato sulla costa orientale degli Stati Uniti con la benedizione delle autorità ecclesiastiche per seguire un dottorato di teologia. Oggi vive nello stato del New Jersey, dove per decenni ha vissuto una vita monastica legata a una carriera accademica, nello stile da lui stesso definito di un “monaco urbano”. Pur non essendo chiamato a un ministero di predicazione, ha scritto testi interessanti che sono una vera miniera di spunti per i predicatori. Queste sue Meditazioni sulla Settimana Santa, circolate per la prima volta nel 1996, gli sono state richieste nel testo originale inglese da oltre un migliaio di corrispondenti in rete.

 

IL SABATO DI LAZZARO E LA DOMENICA DELLE PALME

Quando la Grande Quaresima termina nella funzione serale alla vigilia del Sabato di Lazzaro, ha inizio un altro periodo lungo una settimana, di ancor più intenso digiuno e funzioni liturgiche.

Il Sabato di Lazzaro e la Domenica delle Palme formano insieme una piccola isola nel ‘mare del digiuno’ (Triodio). Questi due giorni non sono inclusi nei Santi Quaranta Giorni, né fanno parte della Settimana della Passione. Le funzioni di questi giorni hanno due temi principali: il battesimo, e la nostra concomitante rinascita alla vita eterna in Gesù Cristo - graficamente illustrata nel suo richiamo di san Lazzaro (Eliezer) dalla tomba; e la gioiosa accoglienza da lui ricevuta al suo ingesso nella città santa di Gerusalemme cinque giorni prima della sua crocifissione. L’eterno Re di Israele ora arriva a Sion cavalcando ‘un puledro figlio d’asina’, per compiere la predizione del profeta Zaccaria (Zc 9,9).

Per inciso, possiamo  notare che il nome ‘Lazaros’ è un tentativo di riprodurre in greco il nome ebraico ‘eliy`ezer’, ‘il mio Dio (è il mio) aiuto’. Quasi tutti i nomi di persone e luoghi nella Bibbia sono in qualche modo intenzionali, e riconoscere il loro significato è spesso utile per comprendere le narrazioni in cui appaiono. Troppo di quel significato si perde quando questi nomi sono riportati in un latino ingarbugliato - come se fosse in una lingua contemporanea - senza alcun tentativo di spiegarli.

Questo Sabato che commemora la risurrezione di Lazzaro è uno dei diversi giorni battesimali nominati dal Tipico. Questi giorni sono i resti di un tempo in cui i catecumeni che avevano completato la loro preparazione per l’Illuminazione ed erano pronti per essere ‘rivestiti di Cristo’ (Gal 3,27) erano portati al fonte battesimale dal loro padrino. In realtà, quel periodo di quaranta giorni di preparazione al Battesimo è uno dei concetti che contribuiscono alla struttura della Grande Quaresima, come l’abbiamo oggi.

Il simbolismo di morte / rinascita della triplice immersione nelle acque di rigenerazione è stato ampiamente descritto altrove, ma dovremmo tenerlo a mente, mentre ricordiamo la risurrezione di Lazzaro in questo giorno. Questo miracolo di Gesù, in cui egli ridona la vita ad un uomo morto da quattro giorni, è un segno della sua autorità sulla vita e sulla morte. E il suo esempio di pianto per la morte di Lazzaro convalida il nostro senso di frustrazione e di perdita, espressi in lacrime quando la morte coglie coloro che amiamo. Tuttavia, non dovremmo piangere come le persone senza speranza (1 Ts 4,13), perché sappiamo che Cristo è risorto, e che risusciterà anche noi che abbiamo fede in lui, perché così ha promesso (Gv 11: 25).

Le prerogative divine del Signore che riguardano la nostra vita e morte, dimostrate nella sua risurrezione di San Lazzaro come un rappresentante o un prototipo di tutti noi (si veda l’Apolitichio per questi due giorni), avrà la sua espressione suprema solo pochi giorni dopo. Nella risurrezione dello stesso Gesù Cristo dai morti, il suo ritorno alla vita fa capire che è lui ad avere ‘l’autorità di deporre la (sua) vita, e l’autorità di riprenderla di nuovo’ (Gv 10,18). Dimostrare tale autorità sulla sua stessa vita e la morte prova che egli è in grado di mantenere la sua promessa a noi che crediamo in lui.

La Domenica delle Palme commemora l’ingresso trionfale di Cristo nella città santa degli ebrei. In virtù dei tanti segni e miracoli che aveva compiuto per il suo popolo, Israele, in particolare la risurrezione del suo amico, Lazzaro, Gesù era già acclamato come il Messia, il Cristo, l’Unto di Dio, il Salvatore di Israele.

Gesù è accolto da folle di persone che agitano palme e rami, simboli di vittoria e di regalità, così come noi accompagniamo il libro dei Vangeli e i Santi Doni con ventagli liturgici. La folla lo accoglie con grida estatiche di ‘Osanna!’ Questa espressione aramaica, ripetuta così spesso nelle funzioni di questo giorno nella sua traslitterazione nel greco evangelico, è il grido dei supplici al loro benefattore, o l’acclamazione degli ammiratori per un guerriero o re vittorioso. Significa ‘salvaci!’ o ‘Abbi misericordia di noi!’ In una forma ebraica (‘hoshi`a na’), troviamo queste parole rivolte a Dio nel Salmo 118:25 (numerazione ebraica), ma il greco testo della Settanta (Salmo 117:25) traduce: ‘salvaci!’, quindi è degno di nota che l’aramaico è conservato nei Vangeli.

Eppure, per tutta l’accoglienza entusiastica che ha avuto alla domenica, dov’erano quelli della folla acclamante il venerdì di quella stessa settimana? Erano in una folla in rivolta sul pavimento di pietra, che urlava ‘Crocifiggilo!’ Ecco dove si trovavano, ed è lì che ci troviamo così spesso anche noi quando, per le nostre peccaminose infedeltà al patto che abbiamo fatto con il Battesimo, mettiamo ancora una volta in mano ai carnefici colui che avevamo da così poco tempo accettato come nostro Salvatore.

Signore, prendici con te alla croce, perché è nostra di diritto. Ma se vuoi prendere tu la punizione che noi meritiamo, e morire per farci risorgere dalla morte, allora facci risorgere di nuovo con te alla nostra morte. Salvaci con la tua salvezza!

GRANDE E SANTO LUNEDÌ

La prima funzione caratteristica della settimana della di Passione è il Mattutino del Grande e Santo Lunedì, che stabilisce il modello anche per i Mattutini del Santo Martedì e del Santo Mercoledì. Questa è spesso chiamata la ‘funzione dello Sposo’ (nymphios), che è, ovviamente, Gesù.

Il Vangelo secondo San Matteo (Mt 25:1-13) è l’ispirazione per il tropario tematica di questi servizi: ‘Ecco! Lo Sposo viene nel mezzo della notte, e beato è il servo che egli trova vigile. Ma guai a colui che egli trova di pigro. Fai attenzione, anima mia, di non farti prendere dal sonno, per non essere data alla morte e chiusa fuori del Regno. Piuttosto, alzarsi in fretta e gridare: “Santo! Santo! Santo sei tu, Signore! Per la Theotokos, abbi misericordia di noi! “‘

Il Tipico dice che questo servizio deve essere cantato intorno all’una di notte, anche se in pratica questo non si fa, se non nei monasteri, e non in tutti. Alcune parrocchie in Russia lo hanno fatto, secondo S.V. Bulgakov, almeno prima della rivoluzione comunista nel 1917.

Non è una piccola ironia che il concetto di ‘servo vigile’ sia più onorato rompendo le tradizioni che rispettandole, almeno liturgicamente. Forse lo Sposo arriva davvero ‘nel mezzo della notte’, ma noi lo troviamo molto più scomodo. Poiché sappiamo che saremo, molto probabilmente, ‘presi dal sonno’, molti di noi riprogrammano questa funzione nelle prime serate di domenica, lunedì e martedì della Settimana della Passione. Ma che altro dovremmo fare nelle ore piccole di quelle mattine? Dormire. Probabilmente.

O magari peccare? Forse. Ma il punto qui è di non cedere al sonno dormire, ma di ‘alzarsi in fretta e gridare ... “Abbi misericordia di noi!”‘

In molti luoghi, questa distorsione del tempo liturgico - che è, idealmente, ‘in tempo reale’ - fa un passo più oltre, spostando anche le funzioni serali e la comunione dei Doni Presantificati, programmandole al mattino. La distinzione tra il ‘tempo reale’ e il suo contrario (in qualunque modo possa essere chiamato) sta diventando sempre più importante in questa epoca di simulazione al computer, video e replay istantaneo, e spesso sentiamo il bisogno intuitivo di recuperare qualcosa del normale passaggio del tempo. Se ci aspettiamo di essere in chiesa di mattina e di sera, in ogni caso, perché non serviamo le funzioni della mattina alla mattina (anche se un po’ più tardi dell’una) e le funzioni della sera alla sera? Soprattutto per quanto riguarda il nostro senso decadente del tempo liturgico, abbiamo bisogno di alcune riforme serie.

Forse possiamo sperare che, crescendo nella nostra comprensione della saggezza della santa Chiesa nel conformare la psicologia umana alla volontà di Dio, un giorno vedremo il valore dell’ ‘alzarsi presto per pregare nel suo tempio santo’ (Triodio) e del digiuno durante il giorno, in attesa della comunione ai Doni Presantificati alla sera.

Lo Sposo che incontriamo in questi giorni di festa non porta corone festive di fiori e gioielli, non ha abiti splendidi mentre va al suo matrimonio sul Golgota. Forse nel paradosso più toccante della nostra tradizione iconografica, l’icona venerata di solito in questi giorni rappresenta il Signore della gloria, coronato di spine e sanguinante, avvolto nel mantello porporaa di una beffarda guardia del pretorio; questa icona è intitolata ‘Lo Sposo’ o ‘l’estrema umiliazione’.

Il profeta lo aveva predetto: ‘Chi è costui che viene da Bozra con le vesti tinte di rosso? Costui, splendido nella sua veste, che avanza nella pienezza della sua forza? «Io, che parlo con giustizia, sono grande nel soccorrere».

‘Perché rossa è la tua veste e i tuoi abiti come quelli di chi pigia nel tino? «Nel tino ho pigiato da solo e del mio popolo nessuno era con me. Li ho pigiati con sdegno, li ho calpestati con ira. Il loro sangue è sprizzato sulle mie vesti e mi sono macchiato tutti gli abiti, poiché il giorno della vendetta era nel mio cuore e l’anno del mio riscatto è giunto. Guardai: nessuno aiutava; osservai stupito: nessuno mi sosteneva. Allora mi prestò soccorso il mio braccio, mi sostenne la mia ira. Calpestai i popoli con sdegno, li stritolai con ira, feci scorrere per terra il loro sangue». Voglio ricordare i benefici del Signore.’ (Is 63:1-7, cfr Ps 2, Ps 73:12).

E ‘vero: il nostro Salvatore ha compiuto la sua opera di salvezza da solo, massacrando i nemici della nostra salvezza eppure versando il proprio sangue per la nostra salvezza. Egli da solo è la speranza e il conforto dell’anima umana. Il sangue umano che colora la veste di Cristo mentre sta davanti a Pilato e alla folla non è solo simbolicamente quello dei suoi nemici sconfitti, ma - cosa più importante - quel sangue della vendetta divina è mescolato con il suo stesso preziosissimo sangue, ‘versato per la vita del mondo’ (Divina Liturgia di San Basilio) e per la sua salvezza, e che ancora ci nutre nel Mistero eucaristico.

Ma, in un certo senso, quel sangue è anche il nostro, in virtù di Gesù Cristo che prende posto in mezzo a noi per espiare i nostri peccati, anche se egli è senza peccato; il suo sangue ha giustificato noi, gli ingiusti (Rm 5:6-11). Gesù è ‘l’Agnello di Dio’, ed è il suo sangue che ‘toglie i peccati del mondo’ (Gv 1,29, cfr Grande dossologia), il Suo prezioso sangue ci ha redenti, perché il nostro sangue era un’offerta inaccettabile e inefficace redimerci.

Il suo unico sacrificio di se stesso sulla croce ci ha veramente salvati. Non aveva bisogno di salvezza, ma nella sua compassione per la stirpe umana creata a Sua immagine, ‘ha preso su di sé le nostre infermità e ha portato portò i nostri dolori * .... È stato trafitto per i nostri delitti, è stato schiacciato per le nostre iniquità, il castigo che ha portato a noi la pace è stato imposto su di lui, e dalle sue piaghe, noi siamo stati guariti... il Signore ha fatto ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti ‘(Is 53, 3-6).

L’altro inno più caratteristico dell’Officio dello Sposo è l’Esapostilario: ‘Vedo il tuo talamo adorno, mio ​​Salvatore, ma non ho abito nuziale perché io possa entrarvi. Fai risplendere in me la veste dell’anima, o datore di luce, e salvami!’ Noi cantiamo questo inno in tutta compunzione e tenerezza, mentre ci inginocchiamo nel buio, con fede nella benignità del nostro Salvatore verso di noi. Ci viene in mente ancora una volta la nostra gioia battesimale, dal momento che dobbiamo inevitabilmente richiamare alla mente l’inno cantato quando un nuovo cristiano è sollevato dalle acque della rinascita e rivestito di una nuova veste bianca: ‘Cristo, nostro Dio, ti sei vestito di luce come d’un manto, concedimi una veste di luce!’ (Officio del Battesimo, cfr PS 103:2).

Tutti noi una volta possedevamo la nuova veste bianca che ci avrebbe dato l’ammissione alla ‘cena delle nozze dell’Agnello’, ma l’abbiamo macchiato con i nostri vergognosi peccati. Questo abito è il simbolo della nostra condizione morale, lo stato delle nostre anime, mentre contempliamo questo Sposo divino. Quanto è pulito il nostro abito di nozze? O è più facile per noi osservare quanto è sporco? “Quel lino fine sono le opere giuste dei santi. Poi l’angelo mi disse: Scrivi: Beati quelli che sono invitati alla cena delle nozze dell’Agnello! E aggiunse: Queste sono le parole veritiere di Dio” (Ap 19:8-9).

Signore, mantienici puri nella nostra vita, puri come la veste bianca che ci è affidata al Battesimo, in modo che possiamo osservare fedelmente per la tua venuta, ed essere in grado di entrare all’eterna festa di nozze nel tuo Regno.

GRANDE E SANTO MERCOLEDÌ

Ogni mercoledì dell’anno è un giorno di digiuno, così come ogni Venerdì, con eccezioni e rilassamenti in conformità con il calendario liturgico. Nei monasteri, anche i lunedì sono giorni di digiuno, dal momento che anche i farisei digiunavano due volte alla settimana (Lc 18:12). Digiuniamo il venerdì in ricordo della crocifissione e della morte del nostro Signore Gesù Cristo, e il mercoledì per ricordare a noi stessi che era il mercoledì della settimana della Passione, quando, nella sua avidità e ingratitudine, l’iniquo Giuda ha venduto il suo Maestro per trenta monete d’argento.

Ma il Mercoledì Santo viene ricordato anche un altro evento più bello, molto consolante: l’unzione di Gesù in casa di Simone il lebbroso a Betania.

Dovremmo tenere a mente che non i costumi funerari degli ebrei (per non parlare dei cristiani ortodossi, che ereditano alcune di queste tradizioni come conseguenza della nostra auto-comprensione come l’Israele di Dio) vietavano l’imbalsamazione, e che la prassi è quella di lavare un cadavere e ungerlo con oli profumati, e di riempire il suo sudario con spezie aromatiche. Mentre la rituale legge ebraica (halakah) non avrebbe permesso di lavare il cadavere di Gesù, dato che era stato ucciso da gentili e come un criminale, il cui sangue macchiava il suo corpo e non poteva essere profanato lavandolo via, gli altri riti di sepoltura, l’unzione e l’avvolgimento nel sudario, di solito si sarebbero potuti effettuare.

Ma nulla di tutto questo è stato possibile per Gesù, perché egli doveva essere sepolto in fretta in modo da non violare il grande sabato di Pasqua (la paskha, nella lingua del nostro Signore, l’aramaico), uno dei giorni più sacri nel calendario ebraico. Il sacrilegio avrebbe avuto due aspetti: in primo luogo, che un ebreo rimanesse insepolto in questo sabato santo (Gn 19:31), e anche che il ‘lavoro’ di avvolgimento e sepoltura i morti era incompatibile con il ‘riposo sabbatico’. Fu per questo motivo che le donne vennero con l’unguento (myron) e spezie all’alba della domenica mattina, in modo da poter completare correttamente la sepoltura di Gesù una volta che il sabato era passato.

Mentre (Gesù) era a Betania nella casa di Simone il lebbroso, mentre giaceva a tavola, giunse una donna con un vaso di alabastro di olio nardo profumato molto costosa, aprì il vaso e versò l’unguento sul suo capo.

Ma alcuni dei presenti cominciarono a dire indignati l’un l’altro: “Perché sprecare questo unguento? Si poteva benissimo vendere quest’olio a più di trecento denari (questo era circa un anno di stipendio, ndt) e il denaro dato ai poveri.” E la rimproverarono duramente.

“Lasciatela in pace!”, Disse Gesù. “Perché la turbate? Ha fatto qualcosa di bello per me. I poveri li avrete sempre con voi, e li potrete aiutare ogni volta che vorrete, ma non sempre avrete me. Lei ha fatto quello che poteva: ha versato olio sul mio corpo per prepararlo in anticipo per la mia sepoltura. Amen! Io vi dico che, dovunque sarà predicato questo vangelo in tutto il mondo, sarà raccontato quello che ha fatto in memoria di lei. Allora Giuda Iscariota, che era uno dei Dodici, si recò dai sommi sacerdoti, al fine di consegnarlo nelle loro mani” (Mc 14:3-9).

(Cerchiamo di non utilizzare questa dichiarazione del nostro Signore come una scusa per non aiutare il poveri, anche Giuda lo ha fatto, ma questo dovrà essere il soggetto di un’altra meditazione.)

Allo stesso modo in cui Gesù ha consentito l’unzione del suo corpo vivo ben prima della sua morte e sepoltura (anche se solo Lui sapeva che sarebbe stato così), e ha concesso una grande benedizione alla donna il cui istinto la spinse a fare questo gesto con umile pentimento, in questo giorno abbiamo anche l’uso di conferire il mistero della Santa Unzione anche ai sani, sebbene di solito sia riservato ai malati.

In molti luoghi, la funzione dell’Unzione prende il posto di tutte le altre funzioni che possono essere tenute la notte del Mercoledì Santo (almeno in una chiesa in ogni grande città, come menziona S. V. Bulgakov quale pratica russa prima della rivoluzione comunista), anche se il Tipico presuppone che serviremo la Divina Liturgia dei Doni Presantificati, che potrebbe, ovviamente, essere celebrata prima dell’Unzione.

Il grande affetto del nostro popolo per questo Mistero di conforto e consolazione, anzi la necessità che per esso sente profondamente, richiede che i pastori e gli insegnanti della Chiesa ci permettano di avvicinarci alla santa Unzione anche quando siamo in buona salute, dal momento che (come il nostro Signore Gesù Cristo), le circostanze della nostra ultima malattia e la morte potrebbero non permetterci di riceverla in qual momento.

Come per tutti i misteri cristiani, siamo tenuti a prepararci per la Santa Unzione pentendoci e confessando i nostri peccati, e con un giorno di digiuno. Mentre presentiamo i nostri occhi e le orecchie, le nostre mani e tutto il nostro corpo e la nostra anima per il tocco di guarigione dell’Olio Santo, dobbiamo essere consapevoli di quanto spesso abbiamo preso gli organi del nostro corpo, i sensi e gli strumenti dei templi dello Spirito Santo che noi siamo, e li abbiamo usati per il peccato, invece che per la pietà.

Quante volte abbiamo mentito, o scatenato una parola vergognosa dalle labbra create per lodare il Signore e portare conforto l’un l’altro? Quante volte le nostre orecchie, creata per udire la Buona Novella della salvezza di Cristo, sono state i vasi di pettegolezzi, di calunnie, di storie vergognose, scherzi, e bugie? Quante volte le nostre mani, create per ricevere il Corpo di Cristo, per essere sollevate in preghiera, per cullare i giovani e confortare gli anziani  nel nome di Cristo, sono state invece alzate in rabbia e violenza, per toccare la carne proibita, per rubare?

Signore! Oh, Signore! ‘Veglia su di noi, e guarisci le nostre infermità, per amore del tuo nome.

GRANDE E SANTO GIOVEDÌ

Il Giovedì Santo è il giorno in cui facciamo memoria dell’ ‘ultima cena’ di Gesù con i suoi discepoli, del suo lavaggio dei loro piedi, del suo dono del ‘comandamento nuovo’ di amarci come egli ci ama, e della sua inaugurazione della nuova alleanza nel suo sangue. In questo sublime atto sacerdotale, ha creato il Mistero dell’Eucaristia, che noi riviviamo secondo il Suo comando e partecipiamo di lui così come ci ha insegnato.

Nessun regalo può essere paragonabile al dono che il nostro Salvatore ci ha dato quando, per il nostro bene, è volontariamente morto sulla croce al nostro posto, prendendo su di sé la punizione per i nostri peccati (Is 53:3-6; Eb 9:27-28) e cancellando la traccia della nostra disobbedienza con la sua obbedienza perfetta (Col 2:9-15). Nessun mistero può essere più misterioso del Santo Mistero in cui Cristo ci dà da mangiare e bere lo stesso Corpo torturato sulla croce, lo stesso sangue versato per la salvezza del mondo.

Ci sono eresie che negano che il pane e il vino eucaristico siano lo stesso corpo e sangue del nostro Salvatore, ma queste sono perversioni della comprensione, un rifiuto intenzionale delle parole più trasparenti del Vangelo, sulle quali Gesù (stranamente) insiste che sono letteralmente vere quando la loro apparente assurdità provoca anche alcuni dei suoi discepoli più vicini a lamentarsi: ‘Questa è una dichiarazione dura, chi può intenderla?’ (Gv 6:27-69). Molti di loro abbandonarono Gesù, perché semplicemente non potevano accettare la realtà del suo insegnamento; a modo loro, erano forse un po’ più onesti di alcuni eretici moderni che insistono per avere Gesù alle loro condizioni, piuttosto che alle sue, e dicono che egli davvero non poteva intendere ciò che ha detto, almeno non letteralmente.

Ci vuole tutta la lunghezza e l’ampiezza dell’autentica tradizione cristiana cattolica ortodossa per determinare ciò che è letterale e ciò che è figurativo; gli eretici di solito non applicano le norme della Tradizione, e questo è il motivo per cui finiscono per diventare eretici, o per lo meno eterodossi, piuttosto che ortodossi.

Siamo stati avvertiti: “Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno, la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in loro. Come il Padre vivo mi ha mandato e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo, non come quel pane che i vostri padri hanno mangiato, ma sono morti. Ma chi mangia di questo pane vivrà in eterno.” (Gv 6:53-58; cfr. Es 16, Nm 11, Dt 8, ecc)

I cosiddetti “cristiani” che rifiutano la più evidente istruzione Cristo in questa materia meritano le nostre più sincere preghiere, dal momento che sono vittime di un complotto ispirato da Satana per privarli della comunione con il loro Signore.

Anche tra gli ortodossi ci sono stati - e continuano ad esserci - estremi nella pratica della ricezione del corpo e del sangue eucaristico di Cristo.

Quando un monaco americano aveva espresso sgomento nel vedere che nessuno si accostava al Santo Calice durante la Divina Liturgia nel giorno della festa patronale di una parrocchia, un prete anziano gli ha spiegato che i cristiani ortodossi (aggettivo etnico soppresso) ricevono la Santa Comunione solo tre volte: quando si sposano, quando sono in procinto di subire un intervento chirurgico, e poco prima di fare un viaggio aereo.

Questo atteggiamento tradisce una comprensione timorosa, infantile, perfino superstiziosa dell’Eucaristia, ma l’aspetto più triste di questa conversazione era che il sacerdote, uomo di lunga esperienza, era completamente all’oscuro l’ironia della posizione, che, come pastore, avrebbe potuto mantenere per educare meglio il suo popolo nella fede, invece di riconoscere passivamente la loro ignoranza come cosa normativa.

Mentre il clero chiede il perdono del Signore per “i propri peccati e l’ignoranza del popolo” (prima preghiera dei fedeli, Divina Liturgia di San Basilio), dovrebbe essere consapevole del fatto che l’ignoranza non è un peccato: se la gente è ignorante, è colpa del clero. I pastori devono aiutare a superare l’ignoranza, piuttosto che perpetuarla, soprattutto per quanto riguarda cose essenziali, come la nostra partecipazione alla Santa Comunione; i laici devono essere incoraggiati ad accettare e credere l’istruzione autentica fornita dai loro pastori.

E i pastori e insegnanti degli ortodossi - diretti dai vescovi – devono assicurarsi di raggiungere la maturità teologica, educativa, morale, emotiva per nutrire il loro gregge e condurlo a Cristo, il Buon Pastore di tutti noi.

Mentre i vescovi sono in ultima analisi responsabili per l’istruzione del gregge di Cristo, dei clero e laici, abbiamo tutti responsabilità gli uni verso gli altri e verso Cristo. In questo giorno santo ci viene ricordato quanto grandemente il nostro Signore ama la sua Chiesa, suo corpo e sua sposa. Amandoci gli uni gli altri come egli ci ama, scegliamo liberamente di ‘portare gli uni i pesi degli altri, adempiendo così la legge di Cristo’ (Gal 6,2).

Alla base dell’aneddoto su come le persone di un certo gruppo etnico ricevono la Santa Comunione solo in tre circostanze c’è una grave distorsione pratica e teologica, che eleva la ‘preparazione’ sopra l’esperienza per la quale ci prepariamo, o che coltiva un senso di indegnità quasi impossibile da superare. Si tratta di un problema pastorale che ha bisogno di una seria riflessione e correzione.

Dobbiamo descrivere come indesiderabile, e anche pericoloso, lo spesso rivestimento incrostato di tradizioni popolari che è cresciuto sopra alla partecipazione infrequente alla Santa Comunione da parte dei laici. Il timore legittimo che dovremmo provare mentre ci avviciniamo al Santo Calice che contiene il nostro sostentamento è stato talvolta distorto in una serie complicata e scoraggiante di rituali che escludono tutti tranne i più audaci e i più casuali (e bambini piccoli, dato che Gesù disse: “Lasciate che vengano a me! “) dalla partecipazione frequente all’Eucaristia.

In tali condizioni, i costumi che circondano la ‘preparazione’ a volte assumono una vita propria e potrebbero essere facilmente interpretati come superstiziosi, o perfino idolatri. Il fatto stesso che il nostro Signore ha reso così accessibile questa necessaria e vitale comunione al suo corpo e sangue eucaristico venendo a noi sotto forma di cibo dovrebbe indurre a capire che egli ha voluto rendere la comunione più facile, non più difficile. Gesù non è paziente con le autorità religiose che rendono difficile al popolo venire a lui (Mt 23). E tuttavia, ai pastori e maestri della Chiesa sono affidate responsabilità molto gravi nella loro gestione dei Santi Misteri, e meritano il nostro più sincero sostegno - nella preghiera e in modo più ovviamente pratico - per il loro fedele servizio, anche quando non vediamo le cose dal loro punto di vista.

Così come è un male imporre regole che rendono difficile, se non impossibile, a molti di ricevere l’Eucaristia, un atteggiamento disinvolto e informale verso la Santa Comunione è una distorsione altrettanto tragica nella direzione opposta. Anche se non è corretto insistere, come requisito generale, che ogni Santa Comunione sia preceduta da alcuni giorni di digiuno severo e dalla confessione, è altrettanto sbagliato accostarsi al Santo Calice sconsideratamente e senza alcuna preparazione. I dettagli devono essere elaborati da singoli cristiani, con le loro madri o padri spirituali, di solito il loro parroco, che è - per definizione - il padre spirituale di tutte le persone della parrocchia che serve. È solo con la sua benedizione che i laici possono cercare un altro padre spirituale.

Non importa quello che facciamo per prepararci per la Santa Comunione, si tratta di un gravissimo errore pensare che compiere certi requisiti rituali taluni possa in qualche modo renderci ‘degni’ di partecipare ai santi misteri del corpo e del sangue di Cristo (si veda il socumento su Confessione e Comunione della Chiesa Ortodossa in America). Il corpo e il sangue eucaristico di Cristo ci sono dati non perché abbiamo fatto (o possiamo fare) qualcosa per meritare la comunione con lui, ma perché Cristo, nel suo amore per l’umanità, ci ha dato quello di cui abbiamo più bisogno, ma che non sapevamo nemmeno chiedere. Siamo tutti peccatori, e moriremo in permanenza, assolutamente, per non risorgere di nuovo, a meno di accettare la salvezza che Dio ci manda nel suo Cristo.

Nella preghiera che il nostro Signore stesso ci ha insegnato, chiediamo: ‘Dacci oggi il pane di cui abbiamo bisogno.’ (Mt 6,11) Non stiamo chiedendo un ‘pane quotidiano’ per la nostra sala da pranzo. Chiediamo un pane che è davvero un miracolo della misericordia di Dio, il pane che va ben oltre la nostra alimentazione per un giorno, il pane che ci nutre ora e per sempre, il pane che ci sosterrà fino all’alba del giorno senza fine del regno di Cristo.

Nel Grande e Santo Giovedì è anche nostra abitudine preparare la riserva dei santi doni, da cui si possono prendere particole per i malati e i moribondi, i carcerati e altri che non sono in grado di partecipare alla Divina Liturgia e di ricevere la santa comunione assieme ai fedeli. I santi doni riservati possono, naturalmente, essere preparati tutte le volte che lo richiedono le esigenze locali, ma vi è un legame speciale in questo giorno con quel primo banchetto eucaristico condiviso dal nostro Signore Gesù Cristo e dai suoi apostoli in quel primo Giovedì Santo di molto tempo fa.

E, in memoria dell’esempio di umiltà del nostro Signore, vi è anche l’usanza nelle cattedrali e nei monasteri di rivivere la lavanda dei piedi dei suoi discepoli: ‘Anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni, perché io vi ho dato un esempio, che facciate proprio quello che ho fatto per voi... Ora che sapete queste cose, sarete beati se le metterete in pratica ‘(Gv 13:3-17). Per i nostri vescovi e il clero di ogni ordine, può risultare salutare chiedersi “a chi ho lavato i piedi ultimamente?” - letteralmente o metaforicamente - prima che i laici li ritengano responsabili. Il nostro Signore ha detto che egli è venuto per servire, non per essere servito. Seguiamo tutti seguire il Suo esempio.

C’è un sano interesse per far tornare questa pratica antica e istruttiva anche nelle parrocchie, dove è in gran parte caduta in disuso. Anche se nella pratica ortodossa la lavanda dei piedi è prevista solo il Giovedì Santo, vi sono cristiani eterodossi, in particolare gli avventisti del settimo giorno e alcune associazioni battiste, che ripetono questo rito ogni volta che osservano la ‘cena del Signore’, forse giustamente interpretando la direttiva del Signore ‘fate questo in memoria di me’ come una richiesta che include più dell’offerta del pane e del vino.

Come san Pietro (Gv 13:9), abbiamo bisogno di essere lavati del tutto, e la lavanda liturgica dei piedi è sempre un evento ‘catartico’, nel linguaggio della psicologia. Ma per noi, ben lontano dall’essere una mera esperienza emotiva, questa catarsi (‘pulizia’) fa molto di più che pulire i nostri piedi. Quasi tutti coloro che testimoniano o partecipano a questo evento sono commosso fino alle lacrime da compunzione spirituale, i nostri cuori e le anime sono addolciti e purificati assieme ai nostri corpi.

Signore, aiutaci a mettere in pratica il tuo comandamento di umile servizio gli uni agli altri, perché ogni piede che laviamo è il tuo.

GRANDE E SANTO VENERDÌ

Le funzioni della Settimana della Passione raggiungono il loro culmine il Venerdì Santo, quando i fedeli sono chiamati a riunirsi in tre momenti. La prima volta siamo chiamati al Mattutino, con i suoi dodici Vangeli della Passione, spesso tenuto alla sera del Giovedì Santo, dal momento che all’una del mattino - il tempo prescritto dal Tipico - saremmo probabilmente ancora ‘oppressi dal sonno’.

Ci riuniamo insieme una seconda volta a metà mattina per leggere le Ore Regali, così chiamate perché (come alla Natività e alla Teofania) l’imperatore romano (basileus in greco) officiava come salmista, o almeno era presente. Questa pratica è stata spesso osservata da monarchi ortodossi in altri paesi molto tempo dopo la caduta dell’Impero Romano nel 1453. Ora non vi è altro re, se non colui il cui ‘regno non è di questo mondo’ (Gv 18:33-38).

Così, alla ‘terza ora’, le nove del mattino, al tempo stesso (Mc 15:25) in cui Gesù è stato innalzato sulla croce, cominciamo a leggere le Ore Regali con una regalità molto diversa in mente, contemplando il Re della Gloria inchiodato all’albero.

In questo giorno così triste dell’anno liturgico, la santa Chiesa dirige la nostra attenzione alle tremende e impressionanti sofferenze che l’immortale Figlio di Dio ha sopportato per noi. ‘Colui che è senza passioni arriva ora alla sua passione volontaria ‘(Triodio). ‘Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me ‘(Gv 12,32).

‘Elevare’ era un eufemismo per la crocifissione romana, una forma orribile di tortura fino alla morte, e un’umiliazione anche dopo la morte, da cui i romani risparmiavano i propri cittadini, ma che infliggevano selvaggiamente ai loro schiavi riottosi e ai ribelli dei popoli soggetti. Questo è il motivo (secondo la tradizione antica) per cui san Pietro fu crocifisso, ma san Paolo fu decapitato (ATTI 22:22-29). ‘Oggi è appeso al legno colui che ha appeso i cieli sulla terra’ (Triodio).

Cosa possiamo dire quando vediamo questo spettacolo incredibile? Il Figlio di Dio è appeso, denudato e torturato su una forca vergognosa; egli la sopporta, anche se gli elementi stessi protestano (Mt 27:45, 51-52, Mc 15:33; Lc 23:44-45). Nella sua impressionante sofferenza, egli non dice che poche parole. Ha già detto tutto quello che aveva da dire, ora compie il destino che ha accettato quando ha accettato un corpo e un’anima umani per noi (Gv 18,37). Quando Gesù dice: ‘Tutto è compiuto.’ (Gv 19,30), vuol dire che la redenzione del genere umano è stata portata a termine, e che il suo lavoro è finito. La sua obbedienza, fino al punto della morte di croce (Fil 2:7-8), ha annullato gli effetti della disobbedienza di Adamo - e della nostra -, se solo vogliamo reclamare tale annullamento. Nessun essere umano può perfettamente soddisfare le leggi dell’antica alleanza, che secondo i rabbini sono state inflitte a Israele a seguito del suo peccato di idolatria sul Sinai (Es 32), e che sono state considerate come una maledizione da cui Cristo ci ha riscattati (Gal 3,13), dal momento che solo lui, con la sua obbedienza perfetta come Figlio di Dio e Figlio dell’uomo in una sola persona, poteva osservare perfettamente la legge antica (Mt 5,17).

La Legge antica è finita, e ora siamo liberi di diventare per grazia ciò che Cristo è per natura: con la sua morte e risurrezione, il Figlio unigenito di Dio ha reso possibile per noi di diventare figli adottivi di Dio, e suoi eredi regali insieme con Cristo (Rm 1:17).

Naturalmente, questo è per noi motivo di grande gioia. Ma, al tempo stesso, dobbiamo anche accusare noi stessi dei peccati che hanno reso necessario a un così grande Salvatore di salvarci, e siamo ben peggiori per avere ignorato e disprezzato il Salvatore, di quanto saremmo se lui non fosse mai venuto (Eb 2:1-3). Oh, come Cristo ci ama! Cosa possiamo fare per rendergli un amore così grande? Egli ci dice: ‘Se voi mi amate, osserverete i miei comandamenti ‘(Gv 14,15).

L’ultima funzione del Venerdì Santo è in realtà la prima funzione del Sabato Santo. Questa è la funzione serale, a volte chiamata ‘lo schiodamento’ o ‘la discesa dalla croce’, non solo perché la funzione si svolge nel tardo pomeriggio di questo servizio in commemorazione della morte del Signore e della sua sepoltura, ma anche perché, in molti luoghi, vi è una rievocazione liturgica della manifestazione: l’immagine del Cristo morto viene rimossa dalla croce, e il sudario raffigurante il suo corpo nel riposo viene solennemente portato fuori per la venerazione e inserito nella ‘tomba’ al centro della navata.

Per quanto toccanti siano questi riti, si farebbe bene a notare che sono di origine relativamente recente, così come la processione esterna con il sudario, certamente non più di circa due secoli nell’uso generale. Questo è importante come freno al nostro nativo conservatorismo nella pratica liturgica: ciò che cerchiamo di conservare può non essere tutto così antico - è solo ciò a cui siamo personalmente abituati, ma potremmo prendere in considerazione, anche adesso, il ripristino di pratiche antiche o lo sviluppo di pratiche nuove.

Vi è una tradizione antica che descrive san Giacomo, il fratello del Signore, che serve la Divina Liturgia su un tavolo coperto con la sindone originale di Cristo, e questa può essere l’origine dell’immagine che si trova di solito sull’antimensio, per non parlare dello stesso epitafio, e forse anche il ‘volto non fatto da mano umana’; la ‘Sacra Sindone’ ancora conservata a Torino presenta un prototipo di tutte queste immagini: la figura intera di un uomo crocifisso sdraiato nella morte, le mani incrociate sull’addome. Notare che la mano destra è posta sopra la sinistra, la mano destra, che veneriamo con i nostri baci. Questo è esattamente l’opposto del modo in cui mettiamo le mani sul petto quando ci avviciniamo al Santo Calice, mentre poniamo la mano destra sul cuore e la mano sinistra sopra la destra.

C’è un silenzio molto forte, un vuoto palpabile, che incombe sulla santa Chiesa alla sera del Venerdì Santo. Mentre ci sforziamo di comprendere l’orrore della sofferenza e della morte del Figlio di Dio, ognuno di noi si vergogna e si chiede: dato che è stato crocifisso per me, dal momento che i miei peccati sono andati ben oltre le mie povere possibilità di espiarli, sono io che ho crocifisso Cristo. Più di Giuda, più degli ebrei, più dei romani, io ho crocifisso Cristo. Come posso sfuggire all’ira di Dio per aver messo a morte suo figlio in questo modo? Come può la creazione stessa sopportarlo? Anche ‘il sole si oscura, incapace di sopportare la vista di Dio oltraggiato’ (Triodio).

Ma è la morte stessa di Cristo che ‘calpesta la morte’, dal momento che egli risorge dai morti e ci libera dalla morte e ci permette di sfuggire alla punizione finale che meritiamo per i nostri peccati. Questo è il motivo per cui descriviamo la misericordia di Dio come ‘grande’, questa è la definizione stessa di ‘grazia’. Questo è il perdono divino e la riconciliazione con Dio, per cui speriamo e preghiamo, e che ci appartiene se solo lo chiediamo, se solo risponderemo al suo amore accettando la salvezza che egli ci offre in modo univoco attraverso il suo Figlio, il nostro Signore, Dio e Salvatore Gesù Cristo.

‘Adoriamo la tua passione, o Cristo! Mostraci la tua santa risurrezione!’ (Triodio).

LA MATTINA DEL GRANDE E SANTO SABATO

Mentre cerchiamo di dare un senso al terribile sacrificio del nostro Signore Gesù Cristo, il pastore che ha dato la sua vita per salvare la vita delle sue pecore, ci avviciniamo alla sua tomba in ginocchio, e baciamo i suoi piedi feriti. Egli ha preso su di sé una morte temporanea, ma reale, al fine di salvare noi dalla morte eterna. La pena di morte eterna che noi senza dubbio meritiamo per i nostri peccati è mitigata perché ègli si è messo al nostro posto: lo stesso Salvatore immortale si è sottoposto alla mortalità in modo che noi mortali da lui salvati possano essere elevati da lui all’immortalità nell’ultimo giorno.

Siamo presi da umile gratitudine quando iniziamo a comprendere, anche in modo limitato, le implicazioni del suo svuotamento sacrificale di sé per la nostra salvezza. ‘Noi siamo indegni di fronte alla (sua) tomba’ (Ottoico, Tono 1) e gli offriamo i nostri inni di lode.

Liturgicamente, questa gratitudine trova la sua espressione nel Mattutino del Sabato Santo, spesso tenuto la notte del Venerdì Santo, dal momento che - come abbiamo già ammesso - probabilmente non avremmo la forza di volontà necessaria per cantare queste lodi all’una del mattino.

Proprio come facciamo nell’Officio del Funerale (e nell’Officio di mezzanotte, la maggior parte del tempo), cantiamo il Salmo 118, il più lungo dei salmi. Ma in questo ‘Funerale’ di nostro Signore, inseriamo un tropario dopo ogni versetto del salmo.

In generale, i versi sono cantati dal coro o dalla congregazione, e il clero o i cantori si occupano dei tropari. In ogni caso, il canto è solitamente fatto in modo antifonale. Ogni tropario, spesso composto da una sola frase, è un commento conciso sul terribile mistero della morte del Figlio di Dio.

Ci sono 176 di questi tropari, uno per ogni versetto del salmo, e questa è una funzione che dura a lungo. Ma, per non essere tentati di lamentarci della sua lunghezza, potremmo ricordare che il nostro Salvatore ha sofferto per sei ore sulla croce.

Questi tropari sono a volte chiamati “lamentazioni” (threnoi), anche se il Triodio si riferisce a loro come “elogi” o “parole di omaggio” (egkomia), e questo è più in linea con il loro spirito, che è uno di lode, piuttosto che di lutto, anche se il lutto non è completamente escluso. Questi sono inni molto emotivi, capolavori di pensiero concentrato, che ci spinge a una contemplazione sempre più profonda di ciò che Gesù ha fatto per noi.

Alla fine del servizio di mattina, la Sindone (epitaphios) con l’immagine del Cristo morto è sollevata con riverenza dal feretro. Preceduta dalla croce, circondata da fiaccole, e scortata dal clero che porta il libro dei Vangeli come segno della presenza divina e sempre viva di Cristo nella Chiesa, la Sindone è portata all’aperto nel buio che precede l’alba in una solenne processione di persone con candele accese, cantando (come in un funerale) l’Inno Trisagio, accompagnati dai rintocchi lugubri delle campane.

Anche se questo è uno dei riti più recente sviluppo della Settimana della Passione, e l’usanza che si incontra occasionalmente di ‘passare sotto la Sindone’ è ancora più tarda, questa processione è diventata una espressione molto importante di pietà popolare. Molte persone considerano il panno funebre di Cristo (la ‘Sindone’ ora conservata a Torino) come il prototipo dell’immagine che veneriamo in questo giorno.

Quando la processione rientra nel tempio, la Sindone è riposta sul feretro al centro della navata, dove era rimasta dopo lo schiodamento, e dove rimarrà così fino al termine dell’officio di mezzanotte. Noi fedeli ci prosterniamo due volte davanti ad essa, poi veneriamo con baci il santo Vangelo e le mani e i piedi dell’immagine del nostro Salvatore crocifisso, e ci congediamo con una terza prosternazione.

Dolorosamente consapevoli del nostro peccato, ma trovando con cautela il coraggio di avvicinarci alla tomba di Cristo a causa della nostra fede nella salvezza che ha ottenuto per noi, baciamo la sua Sindone in segno di gratitudine e umiltà, sapendo che egli risorgerà come aveva previsto, e confidando nella sua promessa di far risorgere anche noi con lui.

In diversi momenti e luoghi, l’usanza di vegliare per tutta la notte, come i soldati al sepolcro di Cristo, è stata seguita nelle parrocchie; ora si vede una ripresa crescente di questa pratica. Mentre potrebbe non essere possibile per tutti noi restare nel tempio per un’intera notte di preghiera, vegliando presso il sepolcro del Signore, noi tutti possiamo almeno ‘mantenere la guardia per un’ora’ (Mc 14:37).

Signore, tu sei nato come uno di noi, e sei morto come uno di noi. Come hai condiviso la nostra vita terrena, rendici degni della tua promessa di condividere la tua vita immortale con coloro che ti amano.

LA SERA DEL GRANDE E SANTO SABATO

‘Tutto è compiuto’, ha detto Gesù (Gv 19,30), e quindi è morto.

La santa Chiesa ha vegliato come una vedova silenziosa presso la tomba del suo sposo ormai da molte ore. Non si sono tenute funzioni liturgiche da quando abbiamo riposto la Sindone del Signore nella tomba, molto prima dell’alba. Tutto - la natura, il mondo, la Chiesa - è silenzioso, pregno di anticipazione e di speranza.

Nel tardo pomeriggio del Sabato Santo (circa le, secondo il Tipico), ci riuniamo ancora una volta per la funzione serale. Come sappiamo, il giorno liturgico inizia al tramonto, la prima funzione, poi, di un dato giorno liturgico è il Vespro (il servizio serale). La Pasqua del Signore non fa eccezione, ed è durante il servizio serale alla fine del pomeriggio del Sabato Santo che la Chiesa comincia a celebrare la risurrezione di Cristo dai morti.

Si legge una serie di quindici selezioni dagli scritti dei profeti del Vecchio Testamento: ciascuna di esse è un bilancio della condizione del mondo e una previsione della morte e della risurrezione di Cristo. Dopo l’ultima profezia, il Salmo 81 è cantato con grande solennità, con i versi separati da un ritornello che comprende l’ultimo versetto del salmo: ‘Sorgi, o Dio, giudica la terra, poiché avrai eredità in tutte le nazioni.’

Mentre si canta il Salmo 81, il clero si cambia i paramenti dai colori scuri che ha indossato finora indossare, e si riveste di paramenti di colori brillanti. Tutti i tendaggi e drappeggi, così come le tovaglie della santa mensa e della tavola dell’offertorio e il velo dell’altare, si cambiano da colori scuri a colori chiari. Quando è stato completato il cambio, le porte sante si aprono e il ritornello ‘Sorgi, o Dio’ si canta per l’ultima volta in modo trionfante.

Il primo Vangelo della risurrezione è quindi letto davanti alla tomba in mezzo a una congregazione spesso commossa fino alle lacrime di gioia. La funzione continua poi, non con gli inni della sera, ma con la Divina Liturgia di San Basilio.

Un frammento dell’antica Divina Liturgia di San Giacomo, ora poco utilizzata, è cantato oggi al posto dell’Inno Cherubico: ‘Taccia ogni carne mortale, e se ne stia con timore e tremore; non abbia in sé alcun pensiero terreno. Poiché il Re dei re e Signore dei signori si avanza per essere immolato e dato in cibo ai credenti. Lo precedono i cori degli angeli, con ogni principato e potestà, i cherubini dai molti occhi e i serafini dalle sei ali, che si coprono i volti mentre cantano l’inno: alleluia, alleluia, alleluia!’

Al termine della Divina Liturgia, ai fedeli si dà un po’ di pane e di vino, a volte un po’ di kolyva (un dolce di grano bollito e frutta, spesso associato a funerali e funzioni commemorative) per sostenerli, in quanto il Triodio presuppone che rimarranno in preghiera nel tempio fino all’inizio dell’Officio di mezzanotte circa quattro o cinque ore più tardi.

Durante questo periodo, si leggono gli Atti degli Apostoli a un leggio vicino alla tomba di Cristo da parte di diversi lettori, a turno. Ogni volta che la lettura degli Atti è completata, si inizia di nuovo, e questo processo si ripete tante volte quanto è  necessario per riempire il tempo prima dell’Officio di mezzanotte. La santa Chiesa ha scelto gli Atti degli Apostoli da leggere in questo momento, perché sono pieni di testimonianze dei primi cristiani riguardo la risurrezione divina di Cristo (S. V. Bulgakov). Dopo tutto, una delle qualificazioni più importanti dell’apostolato è quella di essere testimone della risurrezione del Signore (At 1,22).

Diversi eventi si celebrano il ​​Sabato Santo: la sepoltura di Cristo, la proclamazione della sua salvezza ai prigionieri dell’Ade (1 Pt 3:18-21), e il suo riposo dopo aver completato l’opera della salvezza.

Ci sono due icone venerate in relazione a questi eventi: uno rappresenta la discesa del Signore nell’Ade, e l’altro suggerisce semplicemente la sua risurrezione fisica dai morti; è importante rendersi conto che nessuna delle due raffigura Cristo che risorge dal sepolcro.

Piuttosto, nella prima e più comune icona, Cristo è raffigurato nell’Ade mentre libera tutti i prigionieri “antichi” (Ottoico). Tra le serrature e le catene sparpagliate, egli calpesta le porte spezzate dell’ade - che come egli ci ha detto non potrà mai prevalere sulla Chiesa (Mt 16,18). ‘Con mano potente e braccio teso’ (Dt 5,15), Egli solleva il nostro padre Adamo (in ebraico adam, ‘umano’) e la nostra madre Eva (in ebraico hawwah, ‘vita’), dalla fossa della corruzione. Li solleva alla sicurezza, alla salvezza e alla vita eterna, proprio come aveva sollevato san Pietro, quando questi cominciò ad affondare sotto le onde, così come ci solleva su quando noi, come Pietro, gli gridiamo: ‘Signore, salvami! ‘(Mt 14:30-31).

Intorno al centro dinamico dell’azione dell’icona, vediamo i discepoli del Signore, insieme con i profeti, i sacerdoti e i re dell’antica alleanza che predissero questo giorno benedetto, e che ora vengono sollevati alla vita eterna con Adamo ed Eva. Satana, o una personificazione della morte (non vi è alcuna differenza funzionale), è spesso ritratto come un mostro legato mani e piedi sotto le porte spezzate, impotente ora a esercitare alcuna autorità su coloro che Cristo ha salvato dalla morte eterna.

Le rappresentazioni di Cristo in piedi in un sarcofago aperto, con una bandiera trionfante in mano, o che emerge dalla soglia buia di una tomba non possono, in nessun caso, essere considerate soggetti appropriati per icone ortodosse. Anche se si tratta di temi comuni nell’arte religiosa dei cristiani eterodossi, sono finzioni create da menti di artisti, e sono prive di significato teologico, poiché non hanno alcun punto di riferimento scritturale. In realtà, si potrebbe dire che tali rappresentazioni immaginarie tentino di riscrivere il Vangelo.

Nessuno ha visto Cristo emergere dalla tomba. È stato suggerito che la pietra sia stata rotolata via non perché Cristo possa uscire, ma perché noi possiamo entrare, e vedere che il sudario e il copricapo erano ancora al loro posto, proprio come se il cadavere che era stato avvolto in essi fosse evaporato (Gv 20,8). Il commento di San Giovanni è importante, dal momento che è stato il primo, poco prima di San Pietro, a entrare nella tomba vuota (Gv 20,2) dopo che le donne mirofore erano state informate dagli angeli splendenti da loro incontrati che ‘Egli non è qui, è risorto’. (Lc 24:1-2)

La scoperta della Sindone e del copricapo, che giacevano al loro posto, rende anche impossibile credere alla fabbricazione suggerita dal clero ebraico, che il corpo di Gesù fosse stato rimosso dal sepolcro dai suoi discepoli mentre le guardie dormivano, un evento che sicuramente avrebbe comportato la rimozione delle bende (Mt 28:11-15). Tale circostanza, oltre alla raccomandazione molto strana che i soldati ammettono di essersi addormentati in servizio - un reato di solito punito con severe sanzioni militari - ci permettono di meravigliarci non solo della stessa risurrezione, ma anche delle incredibili contorsioni mentali di persone decise a minare la fede nella risurrezione di Cristo.

Non vi è alcuna carenza di ‘teologi’ cristiani eterodossi all’inizio del XXI secolo, altrettanto determinati a perpetrare questa bestemmia come i loro omologhi del I secolo. Nei tempi moderni, è di moda tra gli eterodossi non negare la risurrezione a titolo definitivo, ma suggerire che - vera o no - non inciderebbe sulla loro fede. Non la fede della Chiesa, ma la loro fede individuale, come se ci potesse essere una differenza. Ricordiamoli nelle nostre preghiere, così come le persone che essi portano fuori strada, dal momento che le argomentazioni, anche di tipo scientifico, non sembrano aiutare.

Le guardie che erano presenti alla risurrezione di Cristo morto sono svenute; non videro nulla se non il lampo brillante di un fulmine divino che emanava da qualcuno che avevano creduto morto, ma non lo videro sorgere (Mt 28:3, Apolitichio della domenica, Tono 2°).

Le brave donne che portavano l’unguento e la mirra per completare la sepoltura di Gesù non videro nulla, ma furono informate dagli angeli che Cristo era risorto. Le donne furono incaricate di annunciare questa lieta notizia agli apostoli, ma non avevano visto nulla, se non l’angelo e la tomba vuota. Per quanto meravigliosa fosse quella visione, non videro risorgere Cristo.

Questa esperienza narrata nel Vangelo costituisce il soggetto di un’altra icona spesso venerata quando commemoriamo la risurrezione di Cristo. Essa raffigura le donne mirofore che arrivano alla tomba vuota, e l’angelo seduto sulla pietra appena rotolata via dalla porta della tomba. L’angelo indica il sudario vuoto e proclama la risurrezione di Cristo, incaricando le donne di condividere la notizia con gli apostoli (Mt 28:2-4). Pochi versetti dopo questa considerazione, si trova il Cristo risorto che incontra le sante donne, e che conferma la direttiva dell’angelo di dire ‘ai (suoi) fratelli di andare in Galilea, dove lo potranno vedere (Mt 28:8-10).

Nel senso più stretto della definizione scritturale di ‘apostolo’ (At 1,22), si deve ammettere che le donne mirofore sono state i primi apostoli. Hanno proclamato la risurrezione a Pietro e al resto dei Dodici, che poi lo hanno proclamato a noi. Questo è un punto importante nel dialogo con le femministe, che affermano che la Chiesa ha negato i “diritti” alle donne. Che cosa avrebbe potuto essere più importante del mandato evangelico di proclamare la risurrezione di Cristo, fatta eccezione per la sua incarnazione? E, in conformità con la provvidenza di Dio, entrambi questi eventi cruciali sono stati compiuti da donne. Nei Vangeli c’è molto poco altro compiuto da uomini, se non il ministero del nostro stesso Signore Gesù Cristo, che può essere paragonato ai due eventi più importanti di cui le donne sono le protagoniste. Il sacerdozio ordinato, incluso l’episcopato, è una mera ombra di questi eventi, e le donne cristiane possono essere confortate e nobilitate dalla consapevolezza che ‘la parte buona’ (Lc 10,42) è stata scelta da Dio per loro, e non da loro stesse. Ci sono altre buone ragioni per questo, ma sono oltre la portata di questa meditazione.

Inoltre, Cristo è stato visto da centinaia di persone dopo la sua risurrezione (1 Cor 15:3-11), e ha continuato a insegnare e guarire e spiegare le Scritture dell’Antico Testamento riferite a se stesso (Lc 24:44-45 , At 1:3) fino a quando è asceso al Padre per regnare alla destra di Dio, da dove invia lo Spirito Santo, l’avvocato che guida e anima la Chiesa nel corso dei secoli (Gv 16:5-16; At 1 :1-8, Simbolo della Fede).

Mentre nessun essere umano ha visto come avvenne in realtà la risurrezione di Cristo come era in corso, tutte queste personalità scritturali hanno visto Cristo risorto e hanno sperimentato gli effetti della risurrezione nella loro vita. Come per loro, così anche per noi: ‘Ora che abbiamo visto la risurrezione di Cristo, adoriamo il Signore santo, Gesù, il solo senza peccato’ (Mattutino della risurrezione).

Nessun essere umano ha visto risorgere Cristo, ma noi sperimentiamo gli effetti della sua risurrezione nella nostra promessa immortalità in Cristo, così possiamo sapere empiricamente che ‘Cristo è risorto dai morti; con la morte ha vinto la morte, e a chi giace nei sepolcri ha elargito la vita.’

 
Un esempio di esegesi comparata: storie di ubriachezza e trasgressioni tra Noè e Lot

Noè che condanna Cam, dipinto di Ivan Stepanovich Ksenofontov (XIX sec.)

 

L'Antico Testamento contiene una quantità di storie "anti-eroiche" attribuite a personaggi giusti. Leggere che una persona giusta e amata da Dio è in grado di compiere atti ripugnanti produce un effetto di delusione e repulsione nel lettore, ma allo stesso tempo lo istruisce a capire come il peccato (conseguenza della caduta dell'essere umano) non risparmia neppure le persone prescelte da Dio nel cammino di redenzione dell'umanità.

 

Esaminiamo nel libro della Genesi (testo CEI 2008) due di questi strani racconti che presentano sorprendenti paralleli tra loro.

 

RACCONTO 1

La nudità di Noè e la maledizione di Canaan (Genesi 9:18-27)

[18]I figli di Noè che uscirono dall'arca furono Sem, Cam e Iafet; Cam è il padre di Canaan. [19]Questi tre sono i figli di Noè e da questi fu popolata tutta la terra.

[20]Ora Noè, coltivatore della terra, cominciò a piantare una vigna. [21]Avendo bevuto il vino, si ubriacò e si denudò all'interno della sua tenda. [22]Cam, padre di Canaan, vide la nudità di suo padre e raccontò la cosa ai due fratelli che stavano fuori. [23]Allora Sem e Iafet presero il mantello, se lo misero tutti e due sulle spalle e, camminando a ritroso, coprirono la nudità del loro padre; avendo rivolto la faccia indietro, non videro la nudità del loro padre.

[24]Quando Noè si fu risvegliato dall'ebbrezza, seppe quanto gli aveva fatto il figlio minore; [25]allora disse: «Sia maledetto Canaan! Schiavo degli schiavi sarà per i suoi fratelli!». [26]Disse poi: «Benedetto il Signore, Dio di Sem, Canaan sia suo schiavo! [27]Dio dilati Iafet e questi dimori nelle tende di Sem, Canaan sia suo schiavo!».

 

RACCONTO 2

La fuga di Lot tra le montagne (Genesi 19:29-38)

[29]Così, quando distrusse le città della valle, Dio si ricordò di Abramo e fece sfuggire Lot alla catastrofe, mentre distruggeva le città nelle quali Lot aveva abitato.

[30]Poi Lot partì da Soar e andò ad abitare sulla montagna con le sue due figlie, perché temeva di restare a Soar, e si stabilì in una caverna con le sue due figlie. [31]Ora la maggiore disse alla più piccola: «Nostro padre è vecchio e non c'è nessuno in questo territorio per unirsi a noi, come avviene dappertutto. [32]Vieni, facciamo bere del vino a nostro padre e poi corichiamoci con lui, così daremo vita a una discendenza da nostro padre». [33]Quella notte fecero bere del vino al loro padre e la maggiore andò a coricarsi con il padre; ma egli non se ne accorse, né quando lei si coricò, né quando lei si alzò. [34]All'indomani la maggiore disse alla più piccola: «Ecco, ieri io mi sono coricata con nostro padre: facciamogli bere del vino anche questa notte e va' tu a coricarti con lui; così daremo vita a una discendenza da nostro padre». [35]Anche quella notte fecero bere del vino al loro padre e la più piccola andò a coricarsi con lui; ma egli non se ne accorse, né quando lei si coricò, né quando lei si alzò. [36]Così le due figlie di Lot rimasero incinte del loro padre. [37]La maggiore partorì un figlio e lo chiamò Moab. Costui è il padre dei Moabiti. che esistono ancora oggi. [38]Anche la più piccola partorì un figlio e lo chiamò «Figlio del mio popolo». Costui è il padre degli Ammoniti, che esistono ancora oggi.

 

Esaminiamo ora gli elementi paralleli dei due racconti:

 

- I peccati degli esseri umani producono un cataclisma di grandi dimensioni

- Una famiglia composta da un capostipite e dai suoi discendenti scampa alla distruzione;

- mentre la famiglia si adatta alla sua nuova vita, avviene un atto riprovevole con riferimenti sessuali;

- l'atto riprovevole è preceduto e causato dall'ubriachezza del capostipite della famiglia;

- i discendenti del capostipite legati a questo atto generano popoli che avranno un ruolo conflittuale in futuro.

 

I paralleli sono davvero impressionanti, sia perché Noè e Lot sono gli unici due personaggi di tutto il libro della Genesi a ubriacarsi, sia perché gli episodi narrati lasciano nel lettore una certa amarezza e disorientamento, proprio dopo la conclusione positiva delle rispettive storie di salvezza.

 

Come molte storie della Bibbia, questi due episodi hanno elementi difficili da interpretare, e molte sono state le ipotesi di spiegazione di questi elementi. Si è ipotizzato che la storia di Lot rifletta una tradizione locale della storia del diluvio, e questo potrebbe spiegare molti dei parallelismi. Inoltre, entrambe le storie giustificano le origini di alcuni popoli (da una parte i cananei/filistei, dall'altra i moabiti - prominenti nel libro di Rut - e gli ammoniti - presenti nell'episodio di Iefte in Giudici) di cui si riconosce una origine comune con i discendenti di Set e di Abramo, ma dei quali si sottolinea un'origine impura e/o maledetta.

 

Il punto che causa maggiore incertezza è lo strano episodio di Noè e Cam, che sembra trattato volutamente in modo oscuro. Qui le tre domande che ci sembrano lasciate ad arte senza risposta sono:

- In cosa consiste esattamente il peccato di Cam?

- Se è stato suo figlio Cam a peccare, perché Noè maledice suo nipote Canaan?

- Perché Canaan è chiamato "fratello" di Sem e Iafet, mentre è descritto come figlio del loro fratello Cam?

 

Vedere la nudità, in particolare dei propri genitori, era considerato un gesto oltraggioso in alcune culture dell'antichità, ma non pare un peccato così carico di conseguenze infamanti, in particolare se messo in parallelo alla relazione incestuosa di Lot con le figlie: per questo molti commentatori, sia ebrei che cristiani, vedono nella nudità di Noè e nella curiosità di Cam un'espressione eufemistica per coprire un gesto ben più indecente.

Forse può gettare una certa luce sulla vicenda un parallelo con Levitico 20:11-12, dove si dice che chi ha rapporti con una moglie di suo padre "scopre la nudità del padre": in questi versi si parla di due tipi di incesto, la relazione di un figlio con una madre (o matrigna) e quella di uno suocero con la propria nuora.

Pur consapevoli di non poter contare su prove certe, cerchiamo di vedere se una di queste ipotesi di incesto è adattabile alla storia di Noè. Le possibilità sono due: o un rapporto peccaminoso tra Cam e la moglie di Noè (approfittando dell'ubriachezza del padre), oppure un rapporto peccaminoso tra Noè e la moglie di Cam (possibilmente causato dall'ubriachezza di Noè). Nel primo caso, la nudità sarebbe un'allusione all'offesa fatta al padre (con riferimento specifico a Levitico 20:11), e nel secondo caso, "vedere la nudità" potrebbe alludere alla scoperta fatta da Cam di un comportamento disonorevole (ma non deliberatamente malvagio, in quanto inconsapevole) del padre ubriaco. In entrambi i casi, Canaan sarebbe il frutto di un'unione perversa, e qui si capirebbe sia la maledizione rivolta a lui invece che a Cam, sia la terminologia che lo vuole fratello (secondo questa ipotesi, fratellastro) di Sem e di Iafet, un termine non altrimenti spiegabile (se non per il noto trucco esegetico di definire "fratello" un familiare, usato anche per cercare di spiegare alcune apparenti dissonanze del Nuovo Testamento).

Le due ipotesi che vedono nell'episodio di Genesi 9 un atto incestuoso sono più o meno altrettanto sostenibili (o altrettanto insostenibili); alla luce del parallelo con l'episodio di Lot e delle figlie, pare leggermente più verosimile la versione dell'incesto di Noè con la moglie di Cam. Questo spiegherebbe la terminologia del "vedere" la nudità del padre, piuttosto che di "scoprirla", come dice testualmente Levitico 20:11; soprattutto, spiegherebbe il peccato di Cam (che non viene in sé condannato) come la reazione di un marito che si vede tradito e corre a dirlo agli altri: un gesto, pur comprensibile, di diffamazione, di cui i fratelli si affrettano a "coprire" le conseguenze.

Le ipotesi che vedono nella nudità di Noè un rapporto incestuoso possono spiegare in parte il fatto che né a Noè né a Cam sono attribuiti altri figli dopo la nascita di Canaan, che in tal caso sarebbe cresciuto come un continuo ricordo della trasgressione dei suoi familiari.

 

Ovviamente, sono state avanzate molte altre ipotesi per spiegare le stranezze della storia di Noè: tra queste, una commistione di racconti diversi (cosa tutt’altro che assente nel libro della Genesi), uno dei quali identificava il figlio peccatore con il nome di Cam e un altro con il nome di Canaan, e che sono stati in seguito fusi assieme. Ci permettiamo tuttavia di ritenere più attendibile l’esegesi centrata su una relazione incestuosa, soprattutto per il parallelo con la storia di Lot, ritenuta una versione della storia del diluvio.

 

Non c'è dubbio che le storie di Noè e di Lot siano state usate (e lo siano, purtroppo, anche oggi) per giustificare la superiorità del popolo ebraico sui popoli della terra di Canaan e dei territori oltre il Giordano. Più insensata, invece, e con conseguenze negative ben più estese, è stata l'attribuzione del peccato di Cam ai popoli africani (infatti, i due primi figli di Cam sono considerati i capostipiti dei popoli dell'Etiopia e dell'Egitto), che ha portato nel corso dei secoli non solo ebrei, ma anche cristiani e musulmani a sviluppare aberranti teologie razziste, che vedevano nella pelle nera il segno di una maledizione dovuta al peccato di Cam (e della quale, non si capisce bene perché, i discendenti di Canaan sarebbero indenni, non essendo neri di pelle). Anche in questo caso, come in tanti altri, il rimedio ai mali dell'umanità non sembra essere quello di scartare la Bibbia o di considerarla un cattivo insegnamento, ma piuttosto quello di leggerla con maggior rispetto e coscienza, senza volervi trovare a tutti i costi le giustificazioni dei nostri pregiudizi.

 
Perché la nostra fede fallisce? Come cercare la risposta nei matrimoni e negli affari

Proprio come  nei matrimoni e negli affari si fanno gli stessi errori più e più volte, li possiamo fare anche noi individualmente quando cerchiamo di mettere la nostra fede in pratica.

Un recente articolo di Business Insider offre un notevole confronto tra le ragioni per cui falliscono le imprese, e i motivi per cui falliscono i matrimoni.

Leggendo l'articolo ("I matrimoni e le imprese falliscono per gli stessi 3 motivi, dice un terapeuta di coppia di Silicon Valley"), diventa subito evidente che le stesse intuizioni possono essere applicate al fallimento della nostra fede personale.

Allora, che cosa dice l'articolo a noi cristiani ortodossi, e che consigli pratici possiamo trarne?

1) Non imparare dall'esperienza

Proprio come i matrimoni e le aziende fanno gli stessi errori più e più volte, possiamo farlo anche noi come individui, quando cerchiamo di mettere la nostra fede in pratica. Non è un caso che la Chiesa ortodossa ci offra il tesoro della santa Tradizione – l'esperienza accumulata di tutte le persone sante, nel corso degli ultimi venti secoli. Da soli, potremmo reinterpretare la Bibbia per soddisfare la nostra mente, o inventare insegnamenti "cristiani" sulla base di quello che sembra "carino" ai nostri tempi. Quando leggiamo e ascoltiamo le vite dei santi e gli insegnamenti dei Padri della Chiesa, beneficiamo di esperienze di prima mano, e questo costruisce una solida base per la vita di tutti i giorni. Questo è ben lungi dal digerire una vita cristiana da soli, senza punti di riferimento – vivendo essenzialmente come un cristiano protestante "indipendente", facendo affidamento su "se stessi e la Bibbia" – o, più precisamente, solo su se stessi.

Apprendere dall'esperienza significa ascoltare la saggezza collettiva dei santi e dei Padri della Chiesa, insieme con la direzione spirituale di sacerdoti e monaci.

2) Non adattarsi alle "perturbazioni"

Potremmo cercare la volontà di Dio, ma quando accadono cose inaspettate, presumiamo che Dio sia in qualche modo in vacanza, e in realtà non utilizziamo tali eventi per la nostra salvezza. La vita moderna, secolare, è principalmente focalizzata su come evitare le interruzioni del piacere e dell'appagamento; una vera vita cristiana riconosce che la croce di Cristo è lo strumento che Dio usa per realizzare la nostra salvezza, e che lo stesso è vero nella vita quotidiana. Possiamo essere sicuri che abbiamo cominciato ad avere una vera mentalità cristiana, quando guardiamo alla sofferenza, alla malattia e alle sfide personali come altrettante croci del mondo caduto, che Dio userà per aiutarci a conquistare le nostre passioni, e a raggiungere la santità nella nostra vita e nel nostro carattere.

3) Non prevedere i problemi futuri

Uno dei vantaggi di mantenere una regola quotidiana di preghiera è quello di stabilizzarci spiritualmente, in preparazione per quei tempi in cui la vita esce fuori controllo. Eppure si possono mettere radici profonde di vita cristiana solo quando le cose sono più stabili, in preparazione per i futuri eventi difficili, creando abitudini positive in questo momento. I media possono dirci di non preoccuparci per il futuro, o tutto il contrario: che dovremmo investire tutti i nostri sforzi nel prepararci materialmente per un crollo della nostra civiltà. Ma nessuno dei due approcci è veramente cristiano: dal momento che sappiamo che i problemi futuri arriveranno inevitabilmente, un saggio cristiano investe i propri sforzi soprattutto nel mettere radici spirituali per sopravvivere, per prosperare spiritualmente, e per essere salvato.

E tutto questo richiede tempo, fatica, e un fermo impegno.

 
Quando un matrimonio è morto - il parere di un sacerdote

Ci è difficile accettare l'imperfezione del mondo. Vorremmo che ci fosse una sorta di garanzia di stabilità. Noi possiamo non essere perfetti, ma almeno qualcuno dovrebbe esserlo, in modo da poter fornire un esempio che tutti gli altri possono seguire. Può quindi essere particolarmente difficile accettare il fatto che le cose non vanno sempre bene anche nelle famiglie del clero. L'arciprete Dmitrij Karpenko, segretario della diocesi di Gubkin e rettore della chiesa di San Giacomo a Gubkin (regione di Belgorod, Russia), offre la seguente risposta a un resoconto scritto da una matushka (moglie di un sacerdote), che aveva subito un matrimonio pieno di abusi psicologici, spirituali e fisici per undici anni, prima di chiedere il divorzio. Il marito, che sosteneva di averla sposata solo per "obbedienza", alla fine si è preso un'amante. Durante tutta questa prova, ogni volta che l'ex matushka ha chiesto il parere di un sacerdote o di un padre spirituale, è stata accolta con lo stesso ritornello familiare: "Sopporta, prega e sii umile" E' in risposta a casi di questo e simili che p. Dmitrij offre quanto segue.

C'è un detto che si adatta perfettamente a questo tipo di situazioni: "Non ci sono problemi irrisolvibili, ci sono soltanto modi sgradevoli di risolverli." Tali situazioni estreme possono essere risolte, ma il modo, ovviamente, sarà molto sgradevole.

Se il marito si comporta in modo inappropriato, se ha un'amante, e se non è disposto a cambiare, allora si deve ammettere che la famiglia è già caduta a pezzi, che non c'è più, che non esiste più. Anche se è stata santificata dal santo Mistero del matrimonio, neppure questa è una garanzia che la famiglia non cadrà a pezzi. Purtroppo, questo può accadere in ogni famiglia, compresa quella di un prete.

Il fatto è che le vite delle famiglie del clero non sono immuni da tali situazioni. Ci sono vari elementi che contribuiscono qui, incluso quanto una persona è ben integrata nella Chiesa quando si sposa o quando accetta l'ordinazione. Può accadere che questo si faccia senza alcuna preparazione interiore.

C'è un altro problema nelle famiglie ortodosse: il matrimonio "per benedizione" [di un padre spirituale]. Ma quando non c'è amore - la condizione principale per la creazione di una famiglia - prima o poi le relazioni familiari entrano in un vicolo cieco. Le famiglie di quelli che si definiscono cristiani ortodossi non fanno eccezione.

Proprio come il santo Mistero del matrimonio non offre alcuna garanzia che il matrimonio sarà felice e non cadrà a pezzi, così anche il santo Mistero del sacerdozio non garantisce che un uomo diventerà un "santo padre", in virtù della sua ordinazione.

Ciò significa che, se la famiglia non esiste più, si deve procedere da questa situazione, prendendo questa realtà dura e sgradevole come un dato di fatto. E se un uomo non è più un marito (un rapporto in cui un uomo si fa beffe del matrimonio, in cui vive con un'altra donna, non è quella di un marito e moglie), allora è necessario divorziare. Se non c'è famiglia né relazione, eppure non si fa nulla, allora ci si sta ingannando da sé.

Una donna in una situazione del genere ha bisogno di divorziare e di iniziare una nuova vita, tenendo conto del fatto che è sola, che ha bisogno di crescere i suoi figli, e che ha bisogno di chiedere aiuto non da suo marito, ma dai propri genitori (se ci sono) o da altri. Qui tutto dipende dalla situazione concreta. Ha bisogno di pensare a dove vivere, a come trovare lavoro, e così via. Ha bisogno di partire dalle circostanze in cui si trova.

Se qualcuno inizia a minacciarla (e qui non importa se è una matushka oppure no) che, se va in tribunale o dal vescovo, questi ce l'avranno con lei, allora ha bisogno di capire che le cose si sono messe davvero male. Niente di "buono" arriverà da queste cose. Niente si risolverà da solo. Questo lo si deve comprendere in modo chiaro. Dovrà cercare di documentare qualsiasi tipo di minaccia o ricatto fatto contro di lei, ad esempio con una registrazione su nastro. Oggi la tecnologia permette di farlo. E dovrebbe rivolgersi alla polizia e ai tribunali.

Poi è essenziale informare il vescovo, e inoltre è meglio farlo per iscritto, in modo che la petizione sia messa agli atti.

Questa è una lista di procedure spiacevoli di cui uno preferirebbe non parlare. Ma uscire da questa sporcizia è essenziale come uscire da una palude. Ti sporchi sicuramente, ma non c'è altro modo. In caso contrario, rischi di annegare completamente.

Nella nostra tradizione ortodossa in qualche modo di pensa che la famiglia debba essere conservata in qualsiasi situazione, che il divorzio sia qualcosa di peccaminoso. In realtà, il divorzio è come un intervento chirurgico, come un'amputazione - senza dubbio spiacevole, ma in alcuni casi (non troppi, ma esistono) un intervento senza il quale la persona può semplicemente morire. Questo è proprio il caso in questione. A volte, se una donna non chiede il divorzio allora la sua vita (soprattutto se ha dei figli) può essere rovinata spiritualmente, mentalmente e fisicamente.

La vita del nostro clero è in genere un libro chiuso; nessuno si occupa dei problemi dei sacerdoti e dei membri delle loro famiglie. Per esempio, ho letto studi sulla sindrome d'esaurimento tra i sacerdoti, sulla depressione e altri problemi psicologici e fisiologici del sacerdozio. Non c'è nessuno, o quasi nessuno, che si occupa di tutto questo. In caso di problemi reali non vi è nessuno in particolare a cui rivolgerci, soprattutto al di fuori delle grandi città. Non c'è nessuno da consultare, non c'è modo di ricevere assistenza qualificata - pastorale, psicologica o spirituale.

Può succedere che qualche "anziano ispirato" dica a una matushka: "devi sopportare" E lei sopporta, perché quel sacerdote è buono, molto rispettato, e non dà cattivi consigli. Ma potrebbe sbagliarsi. Seguire i suoi consigli (o quelli di chiunque altro dia un tale consiglio) può significare rovinare la vostra vita. Non abbiamo alcuna garanzia di poter semplicemente leggere una certa preghiera e di far passare il esto della nostra vita senza problemi.

Qui devi capire che non è quel prete, ma tu stessa, a essere responsabile di ciò che accade nella tua vita - non quel prete, non un'altra persona rispettata, ma tu stessa. Il Signore ci ha dato la vita, ci ha dato la ragione, ci ha dato la possibilità di percepire in qualche modo questo mondo. Dobbiamo essere responsabili delle nostre azioni, per la nostra condizione spirituale. Non dobbiamo avere paura, ma, contando sulla volontà di Dio, dobbiamo prendere le nostre decisioni.

 
Passi da recenti corrispondenze e conversazioni - marzo 2013

Quali pericoli dovrebbe cercare di evitare in primo luogo chi è nuovo alla Chiesa?

Ci sono molti pericoli, proprio come ce ne sono molti come per quelli di noi che non sono nuovi alla Chiesa, ma sono pericoli diversi. La psicologia dei neofiti, per quanto particolare, è comune ai neofiti di tutte le nazionalità e in tutte le religioni.

Per esempio, mi ricordo di aver incontrato circa 30 anni una giovane irlandese che si era convertita al giudaismo per sposare un ebreo. Aveva preso la sua nuova religione con tutto lo zelo che alcuni sono soliti associare al cattolicesimo irlandese. Era del tutto massimalista, non utilizzava il controllo delle nascite, indossava abiti piuttosto strani, mangiava cibo kosher, era incredibilmente pro-israeliana, leggeva molto, ecc. A suo marito, che era un vero ebreo, tutto questo non poteva interessare di meno e probabilmente non aveva mai letto un libro sul giudaismo in vita sua. Era lei a imporgli di osservare lo Shabbat. In altre parole, lì non c'era teologia, solo la psicologia ossessiva dell'insicurezza - lei sentiva di doversi mettere alla prova per essere più ebrea degli ebrei. Ho il sospetto che tutto avesse a che fare con la concorrenza con la suocera, invece che con il marito.

 

A che cosa può portare questo tipo di insicurezza da neofita?

A estremismi - e credo che, in sostanza, il neofita, come tutti noi, dovrebbe evitare gli estremi. Vorrei prendere come esempio il defunto convertito francese, Olivier Clement. Nella sua gioventù, ha cercato di essere più russo dei russi, si preoccupava di indossare vestiti "russi" e altre cose esteriori e di leggere molto, cose che, pensava, lo avrebbero fatto ortodosso. Resosi conto che questo era assurdo, passò poi all'altro estremo e cominciò a scrivere contro la Chiesa russa, ad adottare punti di vista semi-cattolici e perfino a ricevere la comunione nella Chiesa cattolica. Questi stessi estremi dei convertiti si possono vedere in altri personaggi che in gioventù erano eccessivamente zelanti, poi sono diventati eccessivamente lassisti. In Inghilterra, per esempio, mi vengono in mente casi di persone che passano da essere più greche dei greci fino a essere più anglicane degli anglicani.

 

Come si può lottare contro tentazioni del genere?

Mantenendo un senso della realtà. Per esempio, questa tendenza a una mancanza di equilibrio si rafforza molto tra gli intellettuali che non hanno i piedi per terra nella vita parrocchiale, tanto da non avere esempi viventi di fronte a loro. La Chiesa non è una questione di letture, ma di esperienza di vita reale. Questo è il motivo per cui le parrocchie miste con lingue miste sono così vitali. Le piccole 'serre' di convertiti borghesi, che si fanno passare per 'ortodossi', o anche per 'più ortodossi degli ortodossi', e che spesso cercano di imporre alla Chiesa i loro programmi strani o eccentrici, sono sempre destinate al collasso.

In questi gruppi gli 'stranieri' e le 'lingue straniere' di solito sono disprezzati o fatti sentire non a casa. Queste comunità ripiegate su se stesse sono ghetti altrettanto etnici, 'filetisti' quanto i gruppi di immigrati o di esuli nelle grandi città - ma con una differenza. Questi ultimi gruppi sono almeno autentici, ma i gruppi dei neofiti vivono nelle pretese o nella finzione, a partire dai 'concorsi per chi ha la barba più lunga', così amati dagli ex-anglicani, per esempio. Questo perché non hanno radici nella realtà ortodossa, e spesso, purtroppo, sono in fuga dalla realtà. Si deve davvero salire sul treno dell'Ortodossia, oppure allontanarsi dai binari. Se non lo fate, sarete investiti - e sarà colpa vostra.

 

Ci sono altre conseguenze di tale insicurezza?

Sì, l’attitudine di giudizio. Le conversazioni di accusa dei convertiti, del genere 'questo vescovo si comporta così', o 'quel prete fuma', o 'là c'è stato uno scandalo, quindi non posso appartenere a quella Chiesa locale', dimostrano sempre la stessa negatività. Per esempio, io conosco un sacerdote della giurisdizione antiochena che dà la comunione a tutti, ortodossi o meno. Vuol dire che non sono in comunione con il Patriarca e tutti i numerosi e seri vescovi e sacerdoti della sua Chiesa? Certo che lo sono.

Tali conversazioni sono molto deprimenti, perché non si concentrano sulla realtà, ma solo sul negativo. Gli apostoli si erano concentrati su Giuda? No. Allora anche noi dovremmo concentrarci sulle 100 parrocchie dove la vita è normale o addirittura fiorente e dimenticare quelle in cui vi è qualche scandalo. Questo non è nemmeno il caso in cui un bicchiere mezzo pieno è visto come mezzo vuoto, questo è un caso in cui un bicchiere pieno al 99% è visto come vuoto al 99%. Il demonio gioca con il nostro senso della realtà e, seminando illusioni nella nostra mente, crea depressioni, scismi ed errori. Noi non cadiamo a causa di qualche scandalo, uno scandalo ci dovrebbe ispirare zelo. 'Se non fosse per la grazia di Dio ci sarei caduto pure io', è ciò che dovremmo dire. Questo è ciò che hanno fatto gli apostoli dopo il caso di Giuda. Non si facevano illusioni, ma erano felici nella fede.

 

Che cosa possiamo fare per contrastare questi pensieri?

La depressione nasce dall'orgoglio. Siate umili. La vita è bella - Dio ha creato la vita, non la morte. Non dobbiamo aspettarci che gli altri siano santi, quando noi stessi non siamo santi. Dobbiamo condannare solo noi stessi, per gli altri dobbiamo sempre trovare delle scuse. Noi siamo responsabili solo della salvezza della nostra anima. Smettete di interferire, guardando il vicino di casa. Fino a quando non abbiamo imparato questo, non siamo cristiani, siamo solo fonti di orgoglio, per le quali niente è mai buono abbastanza. Qui l’idealismo del neofita è pericoloso. Come si usa dire: 'Se l'erba del vicino è più verde, inizia a innaffiare il tuo giardino'. Dobbiamo rimanere all’interno della corrente principale e tenerci lontano dalle frange e dai margini intorno alla Chiesa. Naturalmente, se ci viene imposto un compromesso, è una questione diversa. Ma questo è raro.

 

Come si fa a non comprometterci in tali casi?

Mi ricordo di un prete in una conferenza pastorale diocesana a Francoforte qualche anno fa, che chiedeva che cosa sarebbe successo quando la ROCOR e il Patriarcato di Mosca sarebbero stati di nuovo in comunione, perché sapeva che un certo prete patriarcale faceva cose totalmente non canoniche e il sacerdote che ha posto la domanda non voleva concelebrare con lui. L’arcivescovo Mark rispose molto semplicemente e penso con grande sorpresa alla strana domanda: 'Allora non lo invitare alla tua parrocchia. Così non dovrai concelebrare con lui'. E lo stesso si può dire di quelli che utilizzano il calendario cattolico. Non abbiamo alcun obbligo di andare alle loro parrocchie e concelebrare con loro. Ma sono invitati a concelebrare con noi e noi li invitiamo. In questo modo sono loro che tornano al calendario della Chiesa, almeno per un giorno.

Un esempio viene dalla contemporanea Chiesa Ortodossa in America (O.C.A.), dove alcuni ortodossi ordinari si stanno finalmente rivoltando contro alcuni convertiti che hanno cercato di imporre su di loro una selettività ispirata alla destra evangelica. Gli ortodossi fedeli alle loro radici non vogliono una politica da serra e una pseudo-ortodossia, vogliono la tolleranza del mondo reale. Ma non vogliono neppure pratiche lassiste, che sono l'altra faccia della medaglia estremista. Hanno sofferto di queste cose per più di quaranta anni, e ciò ha portato alla crisi attuale nella O.C.A., l’ha isolata dal mondo dell’Ortodossia e in pochi concelebrano con loro, come abbiamo visto al recente insediamento del patriarca Giovanni di Antiochia.

Con tutti i suoi scandali finanziari e morali la O.C.A. soffre del tipo di problemi da cui sono affetti i cattolici - e per la stessa ragione - la perdita di fede. Ma questo non vuol dire che vi sono coinvolti tutti. Questo è il motivo per cui dobbiamo pregare per questa Chiesa soprattutto ora. È sempre una minoranza rumorosa che compromette la vita esteriore della Chiesa. Ma gli angeli sono ancora qui, a dispetto di noi. Non dimentichiamolo mai. Noi serviamo Dio, non l'uomo. La Chiesa è di Dio, non la nostra. Quanto a noi, oggi siamo qui, domani non ci saremo più, ma le porte degli inferi non prevarranno. La Chiesa non ha bisogno di noi, noi abbiamo bisogno della Chiesa.

 

Dove possono andare gli ortodossi russi in Occidente andare per la formazione in seminario? Raccomanderebbe il nuovo seminario a Parigi?

Sicuramente non Parigi. Il nuovo seminario non è riuscito a soddisfare le nostre speranze su tutti i fronti ed è notoriamente ecumenista, come tutti sanno e come abbiamo detto faccia a faccia alle autorità a Mosca. È incredibile per noi che a Mosca pensino ancora ingenuamente in categorie pre-rivoluzionarie, che la Chiesa cattolica sia del tutto seria e non soggetta alla massoneria in stile protestante, all'omosessualità e alla pedofilia, entrate in maniera massiccia dopo l'americanizzazione del Concilio Vaticano II.

In Russia non sono mai passati attraverso gli anni ‘60, quindi in questo senso conservano ancora in gran parte la freschezza e anche l'ingenuità degli anni ‘50. Tuttavia, compromettendosi per fraternizzare con i cattolici, come fanno a Parigi, fanno anche loro compromessi con i pedofili. Non lo hanno preso in considerazione. È un vero peccato che a Mosca ancora non ascoltino noi della ROCOR su tali questioni. Noi siamo la Chiesa fuori dalla Russia, siamo nati qui, viviamo qui, ne siamo consapevoli, parliamo ai cattolici ogni giorno come vicini di casa e sappiamo cosa succede tra loro. Ci sono moltissimi cattolici comuni, decenti che guardano alla Chiesa ortodossa perché li liberi da tali tirannie e deformazioni. Ma abbiate pazienza, date tempo a Mosca e impareranno.

Per rispondere alla domanda sulla formazione dei seminaristi di oggi: cercate una benedizione per andare a Jordanville oppure, in alcuni casi, al seminario del Monastero Sretenskij a Mosca. Un giorno Parigi sarà guarita. È un processo appena iniziato.

 

Qual’è oggi il nostro punto di vista sul metropolita / patriarca Sergio (Stragorodskij)? Nel 1930 oltre 30 vescovi respinsero la sottomissione amministrativa al metropolita Sergio, mettendo in discussione il suo compromesso con le autorità atee. Il metropolita Sergio si è trovato in isolamento, faccia a faccia con un'orgia di ateismo, che cresceva in scala sempre più grande. Siamo ancora d'accordo con quello che padre Seraphim Rose ha scritto nel suo libro ‘The Catacomb Saints’?

Penso che il nostro punto di vista sul metropolita Sergio oggi sia piuttosto quello che è sempre stato. Non siamo d'accordo con lui, eppure non lo condanniamo - non siamo mai passati attraverso quello che ha dovuto passare lui e non siamo mai stati di fronte alla scelta tra il martirio e il compromesso. Detto questo, è vero, per esempio, che il libro di padre Seraphim Rose, ‘The Catacomb Saints’, riprende in parte le polemiche inutilmente negative della Guerra Fredda degli anni ‘70, ma questo libro è ancora sostanzialmente nel giusto, nonostante il linguaggio forte che vi è utilizzato a volte e il suo strano titolo.

Nella Russia di oggi ci si sta ancora riprendendo dagli effetti del periodo sovietico e la de-sovietizzazione non ha fatto completamente il suo corso. Ci vorrà un'altra generazione perché la de-sovietizzazione sia completa. Per questo motivo ci sono ancora quelli che lodano il metropolita Sergio. Tuttavia, non dovremmo sentirci superiori, anche in Occidente abbiamo avuto attitudini di censura e condanna, giudizi farisei frutto della guerra fredda. Ma credo che la maggior parte sia stata in grado di liberarsi da tale influenza aliena più velocemente di quanto abbiano fatto in Russia. Quelli che non si sono liberati da tali atteggiamenti ci hanno lasciati.

 

Che cosa dovremmo pensare del ruolo del metropolita Sergio nel raduno delle forze dei russi durante la seconda guerra mondiale?

Per quanto riguarda il raduno dei russi nella seconda guerra mondiale, si potrebbe facilmente sostenere che la Chiesa è sopravvissuta nonostante il metropolita Sergio. Stalin si rese conto che non sarebbe riuscito a vincere la guerra senza la Chiesa. L'attacco nazista sulle terre russe, nel giorno della festa di tutti i santi della Rus’, il 22 giugno 1941, è stato, paradossalmente, l’evento che ha liberato la Chiesa, non i compromessi del metropolita Sergio. E da quel momento in poi, fino alla morte di Stalin e anche oltre, la Chiesa non è stata decimata come prima del 1941. Vero, Stalin e Kruscev dopo di lui hanno di fatto chiuso, naturalmente, molte, molte chiese che Stalin aveva permesso di riaprire e comunque hanno inviato molti in campi e prigioni, ma non ci sono più state fucilazioni di massa, ecc.

Noi, che non abbiamo mai dovuto passare attraverso la sovietizzazione, dovremmo concentrarci sui nuovi martiri stessi, su quelli canonizzati, per esempio, sul santo metropolita Kirill di Kazan’, e non su figure divisive e controverse come il metropolita Sergio. So che in Russia si stanno già muovendo in tal senso e il metropolita Sergio è dimenticato dai fedeli, per lo meno come una figura imbarazzante di leader prono ai compromessi. Lasciatelo ai tomi polverosi degli storici. Cerchiamo di tenere gli occhi sui santi, non sui non-santi.

 

Perché la Chiesa di Costantinopoli usa così tanti titoli clericali? So di diversi vescovi e persino un metropolita che di fatto sono solo ieromonaci glorificati. E i titoli di protopresbitero e archimandrita stanno perdendo significato, essendo diventati così comuni.

Penso che sia piuttosto ingiusto dire che è solo il Patriarcato di Costantinopoli a dare questi titoli così liberamente. È vero che lì il titolo di protopresbitero ora sembra essere dato a qualunque sacerdote che abbia un dottorato, e il titolo di archimandrita è utilizzato piuttosto come 'ieromonaco' è usato nella Chiesa russa. D'altra parte, nella Chiesa russa 'Metropolita' è talvolta usato in modo titolare, come 'cardinale' nella Chiesa cattolica, e nella Chiesa russa vi è un sistema di onorificenze che è spesso abusato. Quindi non posso ritenere che questo sia migliore rispetto al Patriarcato di Costantinopoli. Alcune persone sono un po' vanagloriose e amano i titoli e possono essere acquistate per mezzo di onorificenze. Purtroppo, le persone hanno il loro prezzo e in un mondo in cui molti sacerdoti non vengono pagati in denaro, possono essere pagati in onorificenze.

 

Come ortodossi cosa dobbiamo pensare dell'eurasianismo?

C'è qualcosa che si chiama movimento internazionale eurasiatico, basato in Russia e sviluppato dopo la caduta del comunismo nel 1991, anche se sulla base di un movimento pre-rivoluzionario. Alla superficie, l’eurasianismo ha legami con l'Ortodossia, il cui emblema è l'aquila a due teste, che guardano a est e a ovest. La Chiesa di Dio, il cristianesimo ortodosso, ha il compito e la missione di unire il mondo, oriente e occidente, Europa e Asia, in un'unità nella diversità. (Questo è molto diverso dal senso di unità del Vaticano - ereditato anche dai protestanti - che permette poca diversità e impone un modello totalitario unitario su tutti. Questo si può vedere nel modello dell’Unione Europea, che è una forma secolare del modello del Vaticano, e nel modello degli Stati Uniti, che è una forma secolare del modello protestante. Queste persone guardano la diversità dell'Ortodossia e la chiamano disunione! Questo è solo perché sono abituati a tali stili eterodossi monolitici e totalitari).

In generale, l’eurasianismo vede il moderno Occidente (non il vecchio Occidente storico), come se avesse preso una strada distruttiva, soprattutto dalla riforma protestante e ancor di più dopo il cosiddetto 'illuminismo'. La cultura occidentale oggi è stata spiritualmente svuotata, ha perso la sua anima, abbandonando le sue radici nel primo millennio cristiano ortodosso, ritornando in modo decadente alla barbarie. In altre parole, dietro l’incredibile raffinatezza economica e tecnologica occidentale, c'è la barbarie spirituale, come si può vedere nella promozione occidentale della sodomia e altri punti di vista politicamente corretti ma spiritualmente perniciosi.

L’eurasianismo vede il futuro in Russia, non in Occidente, che nella sua decadenza è sempre più simile all'Impero Romano d'Occidente poco prima della sua caduta più di quindici secoli fa. In tutto ciò che è evidente in queste cose, noi come ortodossi siamo d’accordo con l’eurasianismo. Tuttavia, il problema è che l’eurasianismo è essenzialmente politico, un altro 'ismo' o ideologia, non la Chiesa.

 

Chi ha fondato questo movimento eurasiatico?

Il fondatore dell’eurasianismo moderno è il filosofo russo ortodosso Aleksandr Dugin, nato nel 1962. Tipico della generazione post-comunista, in un primo momento, negli anni ‘90, ha cercato di conciliare il bolscevismo o lo stalinismo con l'Ortodossia. In questo modo anche lui è stato coinvolto con i movimenti nazionalisti post-sovietici di destra come 'Pamjat'. Il suo eurasianismo si è sviluppato su questa impurità spirituale. Da allora se ne è un po' distaccato e ha cominciato a liberarsene, esprimendo opinioni ortodosse più tradizionali, pur restando un nazionalista. Tuttavia, ciò che è scritto su di lui su Wikipedia è probabilmente opera di un’operazione di discredito della CIA. C'è poco di vero.

Ho incontrato Aleksandr Dugin a una conferenza a Londra, circa otto anni fa, e ne ho avuto una chiara impressione. È intellettualmente brillante, ma soffre ancora di confusione spirituale. È per questo che mescola l’Ortodossia con la politica di tutti i tipi, ma in particolare con le sue visioni di destra. La sua discepola più vicina è una giovane intellettuale chiamata Natella Speranskaja, responsabile del Movimento Giovanile Eurasiatico, ma che soffre della stessa confusione di Dugin. Dugin è collegato all’intellettuale greco ortodosso Dimitrios Kitsikis, un anziano geopolitico della generazione precedente. Sebbene sia un amico della Tradizione ortodossa - Kitsikis vuole che la Chiesa greca ritorni al calendario ortodosso - anche lui soffre di confusione spirituale e nazionalista ed è stato strettamente collegato al maoismo!

Ciò che è interessante di questi due pensatori ortodossi è che entrambi sono stati ispirati dal padre della geopolitica, il geografo inglese non ortodosso Sir Halford John Mackinder. Mackinder chiamava Eurasia (in pratica la Russia e l’ortosfera, o il mondo della civiltà ortodossa), quello che noi chiamiamo 'il centro', 'la zona centrale'. Questo è ciò che Kitsikis chiama la zona intermedia e, suppongo, se usiamo la terminologia di Tolkien, si potrebbe anche chiamare 'Terra di Mezzo'.

In altre parole, non vi è dubbio che tutti e tre i geopolitici, l’inglese, il greco e il russo, sono completamente d'accordo sul fatto che chi controlla la Russia / l’Eurasia controlla il mondo. Questo è il motivo per cui il territorio dell'Impero russo, o Unione Sovietica, o Russia, qualunque sia il nome, è stato tanto attaccato lungo i secoli - a causa della sua importanza geostrategica.

 

Che cosa sta accadendo in Siria?

Io sono solo un osservatore. È difficile per me dire qualcosa. Tuttavia, non posso fare a meno di osservare alcune tendenze comuni nella politica degli Stati Uniti da quando Obama è stato rieletto lo scorso anno. Fino ad allora la sua politica sembrava repubblicana e bushista.

Prima di tutto, il falco della destra statunitense, il generale Petraeus, che voleva invadere la Siria e forse bombardare l'Iran, è stato rimosso, dopo essere stato compromesso, e forse incastrato, in una relazione amorosa. Ne è seguito un cambiamento alla radice del personale estero degli Stati Uniti. In particolare Hillary Clinton, nota come falco russofobo, è stata sostituita come segretario di Stato da John Kerry, ex amico personale del presidente Assad di Siria. Hillary Clinton era stata accusata della morte dell'ambasciatore statunitense a Bengasi in Libia, ucciso da terroristi islamici, armati fino ai denti con armi date loro dagli Stati Uniti. Credo che l'amministrazione statunitense si sia resa conto di avere armato i suoi nemici. Si è visto questo anche nel Mali, che gli islamisti hanno conquistato con le armi rubate a causa dei bombardamenti della NATO in Libia. Mi ricordo il vecchio detto: 'Non sputare in cielo, ti ricadrà sul viso'.

Poi c’è stata la nomina del nuovo segretario alla Difesa Usa, Chuck Hagel, un veterano ed eroe del Vietnam, che ha definito la bancarotta dell'invasione dell'Iraq uno dei più colossali errori nella storia degli Stati Uniti. Ha completamente destabilizzato l'intera regione, creando una catena di responsabilità per gli Stati Uniti. Questa catena ha coinvolto l'Iraq, l'Iran, la Siria, la Turchia (dove hanno avuto luogo attacchi anti-USA), i curdi, la Giordania, il Libano e il sifone di denaro di Israele - gli Stati Uniti hanno acceso una miccia su una polveriera e stanno ora cercando di spegnerla prima che sia troppo tardi.

Così, la consapevolezza che molti dei mercenari stranieri che combattono il governo del presidente Assad in Siria sono terroristi sembra essere finalmente arrivata negli Stati Uniti. Da quanto capisco, ho l'impressione, ed è solo un'impressione, che gli Stati Uniti possono aver capito che il vero pericolo dal loro punto di vista è la Cina, e che forse sarebbe meglio lasciare il Medio Oriente alla Russia. Non può combattere entrambi allo stesso tempo. Anche le piccole ma incredibilmente ricche dittature dell’Arabia Saudita e del Qatar, che hanno finanziato e armato le decine di migliaia di mercenari islamici sunniti in Siria, ora sono preoccupate. Il genio è stato fatto uscire dalla bottiglia, e dev’essere rimesso dentro. Penso che solo la Russia, con oltre un milione di abitanti di lingua russa in Israele e l'influenza che ha in Siria, possa farlo. Qualcuno deve riparare il pasticcio che ha fatto l'Occidente.

 

Che cosa dobbiamo pensare di Colombo?

Penso che sia stato un navigatore italiano che si è perso in mare, ha pensato di aver trovato l'India, ma in realtà ha trovato alcune isole dei Caraibi. Così è sbarcato nel paese di qualcun altro e ha deciso di impadronirsene massacrando e schiavizzando gli abitanti.

 
Perché il patriarca di Alessandria porta il titolo di "giudice dell'universo"

Teofilo II fu patriarca di Alessandria dal 1010 al 1020. Per la maggior parte del suo patriarcato visse in esilio a Costantinopoli a causa delle feroci persecuzioni in Egitto da parte del califfo fatimide islamico Al Hakim. Durante questa persecuzione, molti cristiani divennero musulmani o cercarono rifugio in altri paesi, ma nella seconda parte del suo regno il califfo Al Hakim permise ai cristiani ed ebrei che si erano convertiti contro voglia all'islam di tornare alla loro fede e ricostruire i loro luoghi di culto in rovina.

Mentre era a Costantinopoli, il patriarca Teofilo intervenne in una controversia tra l'imperatore Basilio II il bulgaroctono (975-1025) e il patriarca ecumenico di Costantinopoli Sergio II (999-1019). La disputa era la seguente: Sergio II era divenuto patriarca durante il periodo in cui l'istituzione del charistikion era attivamente promossa all'interno dell'impero. Il charistikion era una pratica in cui le donazioni benevole (charistike Dorea) da parte dei monasteri ai privati erano fatte ufficialmente per sostenere il funzionamento dei monasteri, ma in realtà erano utilizzate dalla nobiltà benestante come fonte di reddito. Questa pratica era fortemente sostenuta dall'imperatore Basilio, che aveva emanato a proposito la sua legge Peri ton Dynaton. L'istituzione del charistikion non era popolare tra la gerarchia e fu sfida dal predecessore di Sergio, il patriarca Sisinnio II. Dopo il suo arrivo alla sede di Costantinopoli nel 999, il patriarca Sergio continuò a resistere alle charistike Dorea. Tuttavia, siccome l'imperatore Basilio si rifiutò di abrogare la legge, il patriarca Sergio II ne riprese l'uso nel 1016.

La causa di questa riconciliazione fu l'intervento del patriarca Teofilo, e di conseguenza al patriarca di Alessandria fu dato il titolo di "Giudice dell'Ecumene", con il privilegio di indossare una seconda stola, conosciuta come la stola del giudice (kritato). Il patriarca di Alessandria continua a portare questo titolo e a indossare due stole fino a oggi (come si vede nella foto dell'attuale patriarca di Alessandria, Teodoro II).

 
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L'etica sociale del Patriarcato ecumenico: un momento importante di autocritica?

Anche se sembra essere passato in gran parte inosservato, l'Arcidiocesi greco-ortodossa americana ha recentemente pubblicato un lungo documento intitolato Per la vita del mondo: verso un'ethos sociale della Chiesa ortodossa. Il testo è manifestamente il prodotto di un comitato di accademici di lingua inglese che non ha esperienza pastorale nel mondo reale, ma nondimeno dietro le parole astratte ci sono un certo numero di punti di interesse, non ultimo quello dell'apparente ripudio del divieto, sancito dal Concilio di Creta, del secondo matrimonio dei chierici.

Le critiche iniziali a questo documento si possono trovare altrove. Qui, tuttavia, è più utile concentrarsi su due questioni che affronta con ammirevole chiarezza e candore: ciò che definisce "bizantinismo", e il razzismo. Ciò è tanto più straordinario e lodevole, dato che queste due malattie danneggiano cronicamente la reputazione e le relazioni del Patriarcato di Costantinopoli con le altre Chiese ortodosse. Stiamo assistendo a un momento di riflessione e autocritica atteso da molto tempo?

Il documento inizia saggiamente la sua discussione sull'ecumenismo sulla base di una ferma affermazione che la Chiesa ortodossa è identica all'Una Sancta del Credo: "La Chiesa ortodossa comprende se stessa come la Chiesa unica, santa, cattolica e apostolica, di cui parla il simbolo di fede niceno-costantinopolitano". In seguito, ammette in modo cruciale che:

Le particolari forme culturali della tradizione non devono essere confuse né con la vera autorità apostolica né con la grazia sacramentale che è stata affidata [alla Chiesa]. La Chiesa cerca un dialogo prolungato con i cristiani di altre comunioni per offrire loro una piena comprensione della bellezza dell'Ortodossia, non per convertirli a qualche "bizantinismo" culturale.

Altrove, la dichiarazione denuncia la nostalgia che confonde la Chiesa con un impero morto da tempo:

È una sorta di pericolosa tentazione tra i cristiani ortodossi arrendersi a una nostalgia debilitante e per molti aspetti fantastica per qualche epoca d'oro da tempo svanita, e immaginare che essa abbia costituito qualcosa come l'unica politica ortodossa ideale. Questo può diventare un tipo particolarmente pernicioso di falsa pietà, che confonde le forme politiche transitorie del passato ortodosso, come l'Impero bizantino, con l'essenza della Chiesa degli apostoli.

Ciò è in linea con l' osservazione dell'archimandrita Touma (Bitar) secondo cui "la Chiesa nella sua interezza ha sofferto e continua a soffrire di un complesso psicologico permanente nei confronti dell'Impero bizantino", che si manifesta in "una profonda convinzione o sottomissione [...] al caso ipotetico e delirante che l'impero, con tutto il suo peso e la sua gloria, continui a esistere ecclesiasticamente senza alcun chiaro confine tra ciò che appartiene a Dio e ciò che appartiene a Cesare". Il fatto che l'ethos sociale del Patriarcato di Costantinopoli affronti questa malattia del bizantinismo è un passo in avanti molto positivo... ma solo se prima di tutto tale passo è ritenuto una forma di autocritica. Dopotutto, quale potrebbe essere un'espressione più palese di questo complesso psicologico, se non la recente omelia dell'arcivescovo Elpidophoros (Lambrianides) per la festa dei santi Costantino ed Elena, in cui afferma:

la città di Costantino rimane fino a questo momento la fonte e la sorgente da cui scaturisce la nostra fede ortodossa […] l'eredità di questo impero cristiano – incarnato nella sacra persona del patriarca ecumenico e nella continua diakonia della Grande Chiesa – continua fino a oggi.

C'è un ovvio doppio anacronismo qui: la fede ortodossa, consegnata una volta per tutte ai santi dal nostro Signore Gesù Cristo, è sia precedente sia sopravvissuta a Bisanzio (e in effetti, anche ai tempi d'oro dell'Impero, gran parte dell'Ortodossia esisteva al di fuori dei suoi confini e in opposizione alle eresie spesso promosse dai suoi imperatori e patriarchi). Quindi è assurdo che questa città sia la fonte di una fede che l'ha vista andare e venire, lasciando dietro di sé solo sentimenti confusi nei cuori dei nostalgici dell'Impero.

Ma c'è una serie ancora più inquietante di conflitti nel pensiero dell'arcivescovo Elpidophoros. "L'Impero cristiano" si confonde con la persona stessa del patriarca di Costantinopoli che, se ricordiamo l'ideologia di sua Eminenza del primus sine paribus, è nella sua persona "la fonte del proprio primato". È come se Cristo, il cui regno non era di questo mondo, arrivasse a realizzare un impero mondano al quale la sua Chiesa è ontologicamente secondaria. In effetti, sono forse queste confusioni di impero, patriarca e Chiesa che portano alla pretesa del Patriarcato di Costantinopoli, articolata in modo più celebre nel recente "Tomos di Autocefalia" ucraino, dove si dice che la Chiesa ha come capo" il santissimo trono ecumenico apostolico e patriarcale". Cioè, se seguiamo la logica dell'arcivescovo, questa figura in cui è "incarnato" Bisanzio – vale a dire Cesare – usurpa il posto di Cristo nella Chiesa! Questo linguaggio dell'incarnazione in Costantinopoli non sembra essere accidentale, poiché ricordiamo la parodia blasfema del patriarca Bartolomeo del prologo del Vangelo di Giovanni, quando affermò che "il principio della Chiesa ortodossa è il Patriarcato ecumenico; in esso è la vita e la vita è la luce delle Chiese".

L'Ethos sociale offre un rimprovero conciso a questo tipo di pensiero patologico: la Chiesa degli apostoli non è l'Impero bizantino. L'Ortodossia non può testimoniare Cristo, non può offrire a nessuno la sua piena bellezza, se rimane incantata dalla memoria di Bisanzio.

Allo stesso modo, il documento fa una chiara e inequivocabile condanna del razzismo e del filetismo, che definisce come "la subordinazione della fede ortodossa alle identità etniche e agli interessi nazionali". Ciò è accompagnato ancora una volta dall'ammissione che una tale subordinazione "ha spesso inibito la Chiesa nella sua vocazione di proclamare il Vangelo a tutti i popoli". Le basi teologiche per condannare il razzismo e il filetismo vanno al cuore stesso della nostra fede cristiana:

C'è solo una razza umana, a cui appartengono tutte le persone, e tutte sono chiamate come una sola persona a diventare un unico popolo in Dio creatore. Non esiste umanità a parte l'unica umanità universale che il Figlio di Dio ha assunto nel diventare umano, e abbraccia tutte le persone senza distinzioni o discriminazioni.

Ὑπάρχει μόνον ἕνα ἀνθρώπινο γένος, στό ὁποῖο ἀνήκουν ὅλοι οἱ ἄνθρωποι καί ὅλοι καλοῦνται νά γίνουν ἕνας λαός ἐνώπιον τοῦ Δημιουργοῦ Θεοῦ. Δέν ὑπάρχει ἀνθρωπότητα πέρα ἀπό τήν οἰκουμενική ἀνθρωπότητα, τήν ὁποία ὁ Υἱὸς τοῦ Θεοῦ προσέλαβε μέ τήν ἐνανθρώπησή Του, καί ἡ ὁποία ἐμπερικλείει ὅλους τούς ἀνθρώπους, δίχως διαχωρισμό ἤ διάκριση.

Questa semplice affermazione, secondo cui esiste una sola razza umana, ένα ανθρώπινο γένος, segna una dipartita dal linguaggio abituale del Patriarcato di Costantinopoli, dipartita tanto brusca e inaspettata quanto benvenuta. Proprio lo scorso novembre, il patriarca Bartolomeo è stato accolto nella metropolia del Belgio con molta fanfara come il "Patriarca della Razza" (ο Πατριάρχης του Γένους). Un anno prima, parlava pubblicamente della "precedenza che il Patriarcato ecumenico e la nostra Razza hanno nell'Ortodossia" In effetti, l'intera carriera patriarcale di sua Santità è stata caratterizzata da continui appelli al nazionalismo greco e alla solidarietà razziale, di cui forse quello esibito nel modo più grave e cinico è quello nella sua lettera di questo gennaio al patriarca Teofilo di Gerusalemme, un prelato greco di un gregge arabo maltrattato e privo di diritto di voto, dove fa un appello spudorato alla solidarietà razziale, parlando di Teofilo come persona "dello stesso sangue e che condivide con noi la stessa Razza (Γένος) storica e martirica, a cui naturalmente la Divina Provvidenza dai tempi antichi ha affidato la protezione dei sacri luoghi di pellegrinaggio di Terra Santa attraverso la Confraternita del Santo Sepolcro".

Come giustamente spiega l'Ethos sociale, tale linguaggio e atteggiamenti sono del tutto incompatibili con la fede cristiana e rappresentano un serio impedimento a testimoniare il nostro Salvatore, che ha assunto "la nostra unica umanità universale".

Possiamo solo supporre che il patriarca Bartolomeo e l'arcivescovo Elpidophoros abbiano approvato il documento in buona fede, quindi abbiamo motivo di sperare che abbiano avuto il tempo e la saggezza di considerare le implicazioni del suo messaggio. Tuttavia, anche se l'Ethos sociale è destinato a parlare a tutto il mondo ortodosso e a un pubblico più vasto, pochissime persone saranno interessate a sentire il suo messaggio fino a quando i leader del Patriarcato di Costantinopoli non avranno ripudiato inequivocabilmente le loro precedenti dichiarazioni razziste e filetiste e non avranno ammesso un fatto che apparentemente ha eluso loro e i loro predecessori in passato: che l'ellenismo, la Romiosyni e il nazionalismo greco sono ideologie razziste e filetiste degne di condanna come tutte le altre.

Dovremmo tutti prestare attenzione a come l'Ethos sociale ci spinge a rispondere ai sostenitori del razzismo e del nazionalismo all'interno della Chiesa:

La Chiesa ortodossa condanna incondizionatamente i loro punti di vista e li chiama a un completo pentimento e a una riconciliazione penitenziale con il corpo di Cristo. E deve spettare a ogni comunità ortodossa, quando scopre queste persone in mezzo a loro e non può far loro rinunciare ai mali che promuovono, il compito di smascherarle, denunciarle ed espellerle. Qualsiasi comunità ecclesiale che fallisca in questo ha tradito Cristo.

 
Video-intervista a padre Dimitri

Sul sito della nostra parrocchia madre di Milano si può vedere un'intervista professionale fatta all'archimandrita Dimitri (Fantini), che è stato il fondatore e il primo parroco della nostra comunità torinese. Con la semplicità e il buon senso che lo contraddistinguono, padre Dimitri ci racconta come, insieme a un piccolo numero di italiani ortodossi, ha dato l'avvio a una parrocchia oggi molto attiva e frequentata. Ci parla anche delle impressioni dell'Ortodossia sul cuore di un italiano, del valore storico della lingua slavonica e di altri temi interessanti.

(purtroppo, il video non è più reperibile in rete a causa dei cambiamenti apportati al sito della parrocchia milanese. Se chi ne ha titolo volesse rimetterlo in rete, saremo lieti di segnalarlo nuovamente)

 
La Repubblica di Moldova

Moldova è il termine romeno per la regione storica della Bessarabia centrale, un territorio compreso tra i fiumi Prut a ovest e Dniestr/Nistru a est. Come l'attuale Repubblica (Republica Moldova), anche la precedente repubblica sovietica di Moldavia (Moldavskaia Sotsialisticheskaia Sovetskaia Respublika – MSSR), includeva il territorio della Transnistria, la regione tra i fiumi Dniestr a ovest e Bug a est.

Lo scenario politico di questa ex-repubblica sovietica, con capitale Chisinau (Kishinev in russo) è complicato dalle rivendicazioni di due stati autonomi interni: la Transdniestria e la Gagauzia.

L'attuale entità politica della Transnistria (Pridnestrovskaia Moldavskaia Respublika – PMR), con capitale Tiraspol, non è che una piccola parte di un territorio noto geograficamente come Transnistria, e che oggi si trova per la maggior parte in Ucraina. Per complicare ancor più le cose, la PMR non si limita a rivendicare il territorio sulla riva sinistra (orientale) del fiume Dniester, ma anche due territori sulla riva destra: la città industriale di Bendery e l'anello del Dniester attorno al monastero di Chitcani.

L'area autonoma della Gagauzia, nel sud della Repubblica di Moldova, è abitata dal gruppo etnico di lingua turca dei gagauzi: non corrisponde a un territorio geograficamente compatto, ma consiste nei due distretti confinanti Comrat e Ceadir Lunga, e del distretto territorialmente non collegato di Vulcanesti (all'estremità meridionale della Moldova), oltre a diverse comunità rurali disperse.

Dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica, la tensione tra il nuovo esercito moldavo e la guarnigione inviata a Bendery dalle autorità della Transnistria degenerò in battaglia. Lo scontro fu bloccato di autorità dalla 14a armata della Federazione Russa, non prima che il conflitto provocasse vittime e profughi (rispettivamente stimati attorno a 1.000 e 100.000 persone), traumatizzando la popolazione di entrambe le parti, e allargando ancor di più il divario linguistico, etnico, socio-economico e politico tra le due parti del paese. La creazione di una zona di sicurezza, un'amnistia generale e la mediazione russa hanno congelato il conflitto, ma senza risolverlo del tutto.

Le ragioni che portarono nel 1992 alla battaglia di Bendery hanno origine nella diversa conformazione etnica della Transnistria (dove nessun gruppo etnico ha la maggioranza, diversamente dal resto del paese a prevalenza romena), nelle paure della minoranza slava di una fusione della Repubblica di Moldova con la Romania, e nella relativa ricchezza della Transnistria, che pur essendo composta da meno di un quinto del territorio e degli abitanti del paese, controlla oltre il 40% delle sue risorse industriali.

Le aspirazioni separatiste della Gagauzia si sono invece risolte nel 1994 con l'accettazione di un'area ad autonomia territoriale (Gagauz Yeri), con capitale Comrat — all'interno della Repubblica di Moldova; nello stesso anno sono iniziati i dialoghi bilaterali tra Chisinau e Tiraspol sullo status politico della Transdniestria, con mediatori dell'OSCE, della Federazione Russa, e più recentemente dall'Ucraina.

È interessante notare come la complessità della composizione etnica della Repubblica di Moldova, che ne ha complicato i conflitti interni, non ne è stata tuttavia la causa principale. L'autonomismo della Gagauzia, che è veramente etnico, si è risolto pacificamente, mentre quello della Transnistria ha soprattutto motivazioni politico-economiche. Paradossalmente, quindi, il panorama multietnico può essere una chiave alla soluzione dei problemi, e può costituire una prova generale per tante analoghe difficoltà che possono venirsi a creare. Vale la pena pertanto studiare tale varietà in dettaglio.

Della popolazione totale di 4.359.100 persone in tutto il paese (censimento del 1989), 65% sono romeni/moldavi, 13,8% ucraini, 13% russi, 3,5% gagauzi e 2% bulgari. In Transnistria, su 546.000 abitanti (censimento del 1989), 40% risultano romeni/moldavi, 28% ucraini (l'alta percentuale si spiega con la vicinanza al confine ucraino) e 25% russi. È interessante notare come nessun gruppo etnico abbia la maggioranza assoluta in Transnistria; ciò indica tra le ragioni del separatismo della Transnistria non tanto una presunta egemonia etnico-culturale slava, quanto il timore opposto di uno sconvolgimento dell'attuale precario equilibrio.

In Gagauzia (altro banco di prova della coesistenza), su 182,500 abitanti attuali, 78,7% sono gagauzi etnici. L'utilizzo della lingua gagauza (che è di fatto una versione della lingua turca in caratteri latini) convive nel territorio con quello del romeno e del russo. La minoranza bulgara, consistente in questo territorio (5,5% della popolazione della Gagauzia) non vede con favore l'autonomismo, e alcuni vorrebbero anche un'ulteriore autonomia interna dei bulgari. Tuttavia, non si registrano problemi linguistici né violazioni di diritti umani. L'esperienza della Gagauzia tende a corroborare la teoria che quanto più alta è la maggioranza (specialmente oltre i tre quarti, come in questo caso), tanto più bassa è la tensione inter-etnica. In Gagauzia non c'è alcun timore di "romenizzazione".

Dal punto di vista linguistico, la lingua ufficiale dello stato, nota come "moldavo", è praticamente identica al romeno. Solo con l'indipendenza è ripreso l'uso della lingua romeno/moldava in caratteri latini: nei decenni del dominio sovietico, indubbiamente per estraniare i moldavi dai romeni, erano stati imposti alla lingua moldava i caratteri cirillici. Inoltre, la politica sovietica richiedeva il russo come lingua comune (cosa che peraltro non era gradita neppure alla minoranza ucraina), e questo aveva diminuito di fatto il numero di scuole di lingua romeno/moldava. Oggi a Chisinau vi sono più scuole russe che moldave, e il russo, anche se non ha uno status di lingua nazionale, lo è de facto, visto che tutti i documenti ufficiali vengono sistematicamente tradotti in russo.

Il problema linguistico non è mai stato considerato molto grave nel paese, anche se ha acuito il divario con la Transnistria: a Tiraspol, per il timore di sconvolgere lo status quo, si mantiene il russo come lingua didattica dominante, ed è rimasto l'uso dei caratteri cirillici per la lingua moldava.

L'economia della Repubblica di Moldova si confronta con tutte le sfide tipiche della transizione post-sovietica. Le vecchie repubbliche sovietiche erano tipicamente complessi economici non autonomi, che funzionavano solo in quanto parti dell'economia sovietica globale. Al disintegrarsi di quest'ultima, la Moldova si è trovata a corto di rifornimenti e tagliata fuori dai propri mercati tradizionali. I problemi sono aumentati quando il conflitto ha alienato la Transnistria, fortemente industrializzata, dal resto a maggioranza agricola del paese. Si noti anche che la situazione agricola della repubblica era fallimentare già al tempo dell'indipendenza: l'uva e i prodotti vinicoli rappresentano il settore più florido dell'agricoltura dello stato, e il paese non si era ancora ripreso dagli effetti della politica anti-alcolica di Gorbacev, che aveva fatto distruggere oltre un terzo delle vigne moldave. All'inizio del 1997, quando l'Ucraina ha imposto dazi di transito sulle esportazioni dalla Moldova, il commercio con altri paesi della CSI è notevolmente calato. La Transdniestria si trova in condizioni di insufficienza agricola tali da non riuscire a far fronte al fabbisogno alimentare della sua popolazione; inoltre, la PMR ha stipulato accordi economici internazionali diversi da quelli del governo di Chisinau, e ha una moneta differente. Il livello di cooperazione tra Moldova e Transnistria, misurato in termini di commercio, è del 6%. Almeno in Gagauzia, la soluzione dei problemi politici ha invece facilitato lo sviluppo economico.

Qual'è il ruolo della religione in tutto questo complesso scenario etno-linguistico, politico ed economico? Tutti e cinque i principali gruppi etnici della Repubblica di Moldova sono cristiani ortodossi, inclusi i gagauzi (cosa che fa della Gagauzia, curiosamente, l'unico stato cristiano turco del mondo). La fede ortodossa è tuttora l'unico fattore che lega insieme gli abitanti di tutto lo stato. Una fede comune e compatta, unita al desiderio di vivere in uno stato civile e democratico, sarà un aiuto senza pari alla risoluzione dei conflitti (non escluso, probabilmente, il ruolo dello status politico separato della Transdniestria all'interno delle legittime aspirazioni all'integrità territoriale della repubblica). Queste parole possono sembrare utopistiche nei paesi occidentali, dove l'appartenenza religiosa è vista come un fatto di sentimento personale, che si ha quasi vergogna di mostrare in pubblico. Nell'Oriente cristiano, invece, la fede religiosa modella le abitudini sociali, i comportamenti civili, l'autocoscienza di intere nazioni. Ogni atto che indebolisca la fede ortodossa locale (come le ben note campagne proselitistiche che hanno portato cattolici ed evangelici, evidentemente consci di avere risolto tutti i propri problemi in Occidente, all'invasione sistematica della CSI) non sarà altro che un attentato ai diritti degli abitanti della Moldova di ritrovare la propria dignità.

L'unità giurisdizionale dell'Ortodossia moldava ha allo stesso modo un grande valore, seppure non assoluto, per lo meno in quanto garantisce punti di riferimento comuni che non si ritrovano in alcun altro settore della vita del paese. Fin dai tempi in cui la Bessarabia divenne parte dell'Impero Russo, il suo territorio è stato amministrato dalla Chiesa ortodossa russa, e attualmente è parte del territorio canonico del Patriarcato di Mosca. Tutti i suoi fedeli, anche la maggioranza di lingua romena, seguono lo stile di vita tipico della Chiesa russa (e in certi casi anche della Chiesa romena prima che questa adottasse alcune recenti riforme): calendario giuliano ecclesiastico, ordinamento del clero e Tipico ecclesiastico russo, e così via fino a particolari minuti quali gli stili musicali e la forma dei paramenti. Il Metropolita Vladimir (Cantarean), che incarna nella sua persona la complessità etno-linguistica del paese (proviene da una famiglia romena della Bucovina ucraina), sembra la figura ideale per dirigere il popolo ortodosso moldavo nel complesso periodo di stabilizzazione sociale.

È molto sgradevole, pertanto, il fatto che la Chiesa ortodossa romena (che ha da decenni rivendicazioni sulle popolazioni di lingua romena al di là del Prut) non abbia atteso tempi più tranquilli per cercare di restaurare una "Metropolia autonoma di Bessarabia" legata al Patriarcato di Romania. Questa azione (messa in atto nel dicembre 1992) ha avuto le sue radici immediate nell'appello del Vescovo Petru (Paduraru) di Balti al Santo Sinodo romeno, ed è costata anni di polemiche tra i due patriarcati (risolte nel 1999 con il pentimento dello stesso Vescovo Petru, e l'accettazione del suo passaggio al Santo Sinodo romeno): questo conflitto a livello ecclesiastico ha aggravato alcuni moti politici di irredentismo, e ha seminato dubbi e incertezze in un popolo che si sarebbe meritato una maggiore serenità.

L'esperienza della Repubblica di Moldova è significativa per comprendere le difficoltà e il valore della coesistenza in una società complessa, e il ruolo che la fede può avere nel raggiungimento della pace.

 
La sinassi dei nuovi martiri di Butovo

La prima volta che mi sono trovata qui è stata quattro anni fa. Non sono venuta per conto mio, anche se avevo sentito parlare di questo posto più di una volta, vedendo anche alcune fotografie nei giornali, con la didascalia: il Patriarca Alessio serve al poligono di tiro accanto ai volti familiari di sacerdoti, rettori di chiese a Mosca.

Ma la mia impressione di allora era stata limitata ad alcuni frammenti di frasi: "Butovo, luogo di esecuzioni di massa", "posa della prima pietra", e qualcosa su una "croce commemorativa".

Sono stata portata a Butovo da una conoscente, una monaca di uno dei conventi di Mosca. Con lei, eravamo in dieci. Per matushka questo è un posto speciale: su questo pezzo di terra, in una delle fosse comuni, è sepolto suo padre. No, non era un prete. Era un normale impiegato. Gli capitò di essere tra quelli segnati sulla "lista nera"; fu arrestato e non uscì mai dal carcere. Solo molti anni dopo, quando gli archivi sono stati declassificati, il suo destino è stato chiarito e il suo luogo di esecuzione identificato. Tra i ricordi d'infanzia degli eventi che circondano questa esecuzione è rimasta una scena orribile: quando, dopo l'arresto del padre, la "macchina nera" [1] è venuta per il resto della famiglia, i vicini hanno violato la regola non scritta del silenzio facendo una scenata e impedendo di prenderli. In un primo momento erano andati a nascondersi, non avendo una casa propria. Grazie a questo, sono sopravvissuti. E ora stiamo andando a Butovo.

La "speciale zona protetta" di sei ettari

Avevo avuto l'impressione che fosse un posto molto lontano, ma l'intero viaggio dal centro di Mosca non ha preso più di un'ora. Per Mosca, non è affatto una grande distanza. È praticamente la porta accanto, in un bosco appena fuori dall'autostrada. Ora che la città è cresciuta, c'è un nuovo complesso residenziale, non lontano: case a schiera grigie in cui la vita va avanti come al solito, con i bambini che giocano nei cortili. Anche in passato, negli anni '30, vi era un insediamento di dacie non molto lontano. Le famiglie passavano qui le vacanze, andando a prendere il sole e a passeggiare nei boschi. Certo, si doveva camminare con attenzione e cautela, sapendo che era meglio non andare a piedi nei pressi della lunga recinzione di assi. Non perché il rumore delle armi da fuoco era assordante, ma perché il posto in sé emanava un odore pesante e ostile.

Ufficialmente, era noto che si facevano periodiche esercitazioni di armi leggere in questa zona appositamente protetta dell'NKVD - KGB, uno spazio di solo circa sei ettari. Tuttavia, era un posto strano. Negli anni '30, i residenti dell'insediamento di dacie vedevano, a intervalli di circa una volta ogni due giorni, un veicolo coperto abbastanza spazioso con la scritta "pane" avvicinarsi al poligono di tiro. La gente erano perplessa: perché portavano pane in grandi quantità a un impianto militare situato su un piccolo territorio? Verso la metà degli anni '30 questo posto aveva già acquisito una "reputazione" fermamente stabilita, sulla quale si taceva. Solo anni più tardi i vecchi proprietari delle dacie raccontarono come a uno dei vicini capitò di vedere gruppi di persone semi-svestite condotti di notte sotto scorta attraverso la foresta accanto al poligono – e quindi furono sparati dei colpi. Si è anche detto che anche diversi residenti dell'insediamento erano scomparsi, forse perché avevano assistito a qualcosa che non dovevano vedere.

Ora ecco quella stessa recinzione. Si differenziava da un recinto ordinario solo per diverse bande di filo spinato collocate sulla parte superiore. Varvara Vasilevna Chichagova-Chernaja – nota scienziata, accademica, e nipote dell'ormai glorificato metropolita Serafim (Chichagov) – vide proprio la stessa cosa nel 1994 [2].

Matushka Seraphima (Chichagova)

Le circostanze che la spinsero a venire furono queste: molti anni fa, nel 1937, quando era ancora una studente, una disgrazia avvenne nella sua famiglia: suo nonno, vladyka Serafim, fu arrestato mentre viveva da solo nella dacia di famiglia a Udelnaya. Le persone che lo portarono via erano nervose, così fecero tutto il possibile per non attirare l'attenzione degli estranei. Un'ambulanza arrivò a casa e, pochi minuti dopo, il malato ottantaduenne fu caricato su una barella e portato via, come se fosse stata una chiamata di routine. I tentativi di scoprire almeno qualcosa della sua sorte non portarono da nessuna parte: la stessa risposta attendeva in ogni ospedale e prigione di Mosca: "Chichagov non è elencato". La ricerca del nonno di Varvara Vasilevna fu rinviata per più di mezzo secolo.

Poi un giorno, quando era già diventata una scienziata di fama mondiale e direttrice di un importante istituto scientifico, il secondo giorno dopo la Natività, squillò il telefono nel suo appartamento. Le fu posta una domanda da una voce femminile sconosciuta:

"Sa dov'è sepolto suo nonno?"

"No, non lo so".

"A Butovo, nel poligono di tiro del KGB".

Il metropolita Serafim (Chichagov)

Si scoprì che ottenere l'accesso al poligono durante l'inverno era impossibile: era chiuso. Ciò nonostante, Varvara Vasilevna vi si recò subito alla ricerca. La prima volta non riuscì a entrare. Così rimase di fronte all'alta, impenetrabile recinzione con filo spinato...

"Il Golgota russo"

Grazie agli sforzi di un piccolo gruppo di persone con accesso ai materiali d'archivio, fu possibile ricostruire la storia di questo luogo. Queste persone erano incredibili: due donne che lavoravano con i documenti e pochi parenti delle vittime. Ksenia Fedorovna Ljubimova aveva compilato uno schedario delle persone uccise e sepolte nel poligono di Butovo. Finora, non tutti i materiali sono stati elaborati. La creazione dell'indice dei nomi ha richiesto tempo, pazienza, e, molto semplicemente, forza fisica. Va detto che la memoria delle donne che lavorano in queste questioni investigative è straordinaria. La scena che segue, per esempio, ha avuto luogo in nostra presenza: una donna di Mosca che era venuta a Butovo per la prima volta, finora non sapeva nulla della sorte di un suo parente e tirando a indovinare che potesse essere qui, timidamente diede il suo cognome e data di arresto. In risposta sentì, con voce ferma, il nome di battesimo, il patronimico e una conferma: "Sì, è uno dei nostri".

Fu rivelato gradualmente, strato dopo strato, cosa rappresentasse in realtà quest'area protetta per "scopi militari". Era in precedenza una tenuta della famiglia di mercanti e produttori Zimin, e un tempo aveva un parco ben curato e una scuderia, e furono volontariamente consegnata dai proprietari alle nuove autorità dopo la rivoluzione. Negli anni '20 fu trasformata in una colonia agricola della OGPU. [3] Ma all'inizio del 1934, cominciarono a essere portati qui con carretti i prigionieri dell'ex monastero di Santa Caterina, dove esisteva una prigione dal 1931. [4] La recinzione di filo spinato fece la sua prima apparizione. Furono messe sentinelle qua e là... E poi iniziarono a sparare, a volte per diverse ore alla volta. In un primo momento, i residenti delle dacie non attribuirono a questo alcun significato particolare: un poligono di tiro è un poligono di tiro. I sospetti sorsero più tardi, quando le persone che ritornavano alle loro case a tarda notte cominciarono a vedere le "auto nere", sotto forma di furgoni ben coperti. A volte ce n'erano diverse alla volta. Si udivano anche urla in lontananza. Ma i tempi erano tali che le persone avevano paura anche di condividere le loro ipotesi l'uno con l'altro.

Ormai è noto che l' ex zona speciale dell'NKVD-KGB a Butovo è la più grande fossa comune delle vittime della repressione politica nella zona di Mosca. Tra i giustiziati c'era un gran numero di sacerdoti, tra cui sei vescovi, così come anche monaci e semplici credenti, laici che aiutavano nelle chiese. Nell'arco di diversi anni, con decreti del Concilio e del Sinodo dei Vescovi della Chiesa ortodossa russa, 230 di loro sono stati glorificati fra i santi.

Il picco delle esecuzioni ebbe luogo durante "l'era Ezhov". [5] In un anno, dal luglio 1937 fino all'agosto 1938 ci furono 20.765 esecuzioni sul poligono di tiro. Di questi, circa 1.000 (cifra basata su materiali investigativi) morirono in particolare per la propria fedeltà alla Chiesa e alla fede.

Ma sembra che ci siano stati problemi anche nella morte. Dopo tutto, il Signore stesso fu crocifisso in mezzo a ladri. Qui, nelle fosse comuni senza nome, si trovano i resti sia di santi sia di persecutori della fede, sia delle vittime sia dei loro carnefici – fianco a fianco, l'uno accanto all'altro. Questa è una cosa difficile da scrivere: quelli delle "brigate" dei carnefici compivano la loro missione mentre erano ubriachi di vodka, tanto orribile era il loro lavoro. E tra i compiti di alcuni di queste "brigate", come dicono, c'era la "liquidazione" dei loro predecessori. In tal modo, questo luogo, dove sono state uccise tante persone, fu coperto, nascosto in modo tale che nessuno ne sapesse di più.

Diversi anni fa, l'attuale rettore della chiesa dei Nuovi Martiri a Butovo, padre Kirill Kaleda (nipote dello ieromartire Vladimir Ambartsumov) [6] ha fatto un tentativo di scoprire un piccolo frammento di una fossa comune, utilizzando ogni misura cautelativa, con l'aiuto di antropologi esperti invitati per questo compito. Fu quindi chiaro che la ricerca di reliquie, della quale avevano avuto una piccola speranza, era impossibile. In un quadrato di dieci metri, furono scoperti quasi 150 resti umani. I morti giacevano su cinque strati – il che significa che morti e feriti cadevano su altri morti.

Con l'aiuto della fotografia aerea, è stata stabilita la topografia delle fosse: ce ne sono più di dieci. Ci sono enormi trincee, ampie 60-70 metri e di profonde 4-5 metri, a forma di "pi" e di "lambda". Sepolte in esse sono persone di sessanta nazionalità e di una vasta gamma di punti di vista socio- politici e culturali. Butovo è diventata una delle testimonianze più orribili dell'apostasia degli anni Venti e Trenta – e, contemporaneamente, uno dei simboli più significativi della fedeltà a Cristo.

Durante quel primo viaggio a Butovo, mi sorpresi a pensare che era terribile camminare su questa terra. Non vi è letteralmente spazio libero su di essa: l'intero posto è una "fossa comune". Quando non rimase più spazio nell'area recintata, le uccisioni di piccoli gruppi di detenuti si svolsero nei boschi vicini. Eppure, a prescindere dal torpore che qui mi ha preso in un primo momento – a causa della gravità eccezionale, l'enormità e la vicinanza di questa tragedia – è sorta a poco a poco una sensazione diversa. Non sono riuscita a ricordare esattamente dove e quando avevo avuto la stessa sensazione. Solo più tardi mi sono ricordata: era la stessa sensazione provata a Roma, sulla via Appia, nelle catacombe dei primi cristiani! [7] C'erano tombe con le reliquie dei martiri uccisi nel Colosseo, una moltitudine di donne e bambini sepolta - e poi, improvvisamente, in una delle grotte, sul muro, un dipinto: pavoni celesti e festosi disegnati con linee sottili, eleganti. Il simbolo di incorruttibilità nel cristianesimo primitivo, in colore rosso incredibilmente brillante, turchese e viola. La Pasqua eterna! Sì, Butovo è la nostra "via Appia", il nostro "Golgota". Era dicembre, e sulle fosse di sepoltura, come se fossero dipinti da un artista, vi erano rose cremisi, garofani e gigli peruviani sparsi ovunque. Le cime luminose delle candele che bruciavano qui scaldavano l'aria sopra l'erba, coperta da uno spesso strato di brina.

Più grande della morte

Ed ecco anche qui, i simboli pasquali di questo grande e santo luogo: l'alta, leggera croce memoriale coperta (opera dell'architetto D. M. Shakhovskoj, figlio del sacerdote ucciso Mikhail Shik), [8] per tutti coloro che sono uniti dalla sofferenza e dalla speranza nella risurrezione ; l'icona meravigliosamente viva dello ieromartire Serafim (Chichagov); e l'icona dei nuovi martiri e confessori della Russia. La chiesa è un simbolo, piccola e di legno, eretta proprio qui sul campo di tiro, sul sito della fucina dove si ritiene che abbiano avuto luogo le prime esecuzioni. È molto luminosa e calda all'interno. Vi si prega, specialmente nel giorno che commemora i santi di Butovo. Ci si sente come se fossero tutti qui, accanto a noi, con la piccola chiesetta che racchiude tutti.

Sull'iconostasi c'è una fila di icone che raffigurano i martiri di Butovo. Tra loro ci sono l'arcivescovo Dmitri (Dobroserdov) di Mozhaisk, l'arcivescovo Nikolaj (Dobronravov) di Vladimir e Suzdal, il vescovo Arkadij (Ostalskij) di Bezhetskij, il vescovo Iona (Lazarev) di Velizh, e il vescovo Nikita (Delektorskij) di Nizhnij Tagil. Qui ci sono tutti: archimandriti, abati, arcipreti, preti e parrocchiani.

Più tardi, quando sono venuta da sola, ho chiesto a padre Kirill la benedizione di fotografare la mia amata icona dello ieromartire Serafim (Chichagov). Ho voluto mostrarla ai miei parenti e conoscenti, parlando di Butovo a persone che ancora non sanno nulla o che non hanno potuto venire qui. Una donna che lavora nella chiesa accende la lampada a olio. Guardando con attenzione, vedo piccole goccioline sull'immagine. L'icona effonde miro. Questo accade prima dei giorni di festa e nel giorno della commemorazione di Vladyka Serafim. Con Dio non c'è morte per i santi; con lui sono tutti vivi!

La Chiesa celebra tradizionalmente il ricordo di tutta la Sinassi dei Nuovi Martiri di Butovo il quarto Sabato dopo la Pasqua. Per coloro che ci non sono ancora stati, posso desiderare solo una cosa: che vengano qui a pregare, a venerare le reliquie, e a chiedere perdono. Dopo tutto, la maggior parte di noi è cresciuta in un periodo in cui non si sapeva nulla di tutto questo. E ora, prima di correre in luoghi santi in terre lontane, potrebbe essere meglio e più utile iniziare con ciò che è proprio accanto a noi, ma che, a causa della nostra disattenzione, è finora stato chiuso ai nostri occhi. Oggi c'è una chiesa bianca di nuova costruzione sul complesso memoriale di Butovo. È grande. C'è spazio a sufficienza per tutti.

Note del traduttore:

[1] "Macchina nera" qui si traduce voronok (letteralmente, corvo), il nome popolare dato all'auto usata per il trasporto di prigionieri; questo nome era usato a causa del colore della vettura (nero) e perché il corvo è percepito come uccello del malaugurio.

[2] Varvara Vasilevna Chichagova-Chernaya (1914-1999). A seguito di una brillante carriera nella chimica, nel corso della quale ebbe alte onoreficenze dallo stato, pur non appartenendo al partito comunista, fu tonsurata monaca nel 1997 con il nome di Serafima presso il convento di Novodevichy a Mosca; poco dopo fu installata come badessa del convento stesso, che era stato appena restituito alla Chiesa. Era la nipote del metropolita Serafim (Chichagov) di Leningrado e Gdov, giustiziato a Butovo il 11 dicembre 1937, e successivamente glorificato come santo nel 1997.

[3] L'OGPU (Direzione politica congiunta di Stato sotto il Consiglio dei commissari del popolo dell'URSS) fu un corpo di polizia segreta formato dalla Ceka e in diversi momenti incorporato nell'NKVD, successivamente trasformato in KGB. Fu responsabile della creazione del sistema dei Gulag e divenne il braccio principale del governo per la persecuzione degli enti religiosi.

[4] Il monastero di Santa Caterina si trova appena fuori la città di Vidnoe (già Rastorguevo), a pochi chilometri a sud dei confini della città di Mosca. Fondato nel 1660, fu chiuso nel 1931. Dal 1938 al 1953 ha ospitato la prigione di Sukhanovo (una prigione politica dell'NKVD nota per il suo regime duro); in seguito è stato utilizzato come scuola di polizia. È stato riaperto come monastero nel 1991.

[5] Nikolaj Ivanovich Ezhov (1895-1940) è stato capo dell'NKVD di Stalin durante le grandi purghe (1937-1938). Durante il periodo di destalinizzazione il termine "era Ezhov" fu ​​usato per descrivere il suo regno.

[6] p. Vladimir Ambartsumovich Ambartsumov (1892-1937), nato da padre armeno e madre tedesca, convertito all'Ortodossia nel 1926 dopo molti anni di attività come missionario e predicatore protestante; fu ordinato sacerdote l'anno successivo. Fucilato a Butovo il 5 novembre 1937, è stato glorificato come santo nel 2000. Un gran numero di suoi discendenti ha intrapreso il sacerdozio o altri ruoli attivi all'interno della Chiesa (tra questi l'arciprete Alexander Iliashenko, fondatore e presidente del consiglio di redazione di Pravmir.ru, che è suo nipote).

[7] La via Appia era la strada principale a sud di Roma in epoca classica. Contiene diverse catacombe cristiane, in particolare quelle dei santi Callisto e Sebastiano.

[8] Padre Mikhail Shik (1887-1937) convertito dal giudaismo al cristianesimo ortodosso nel 1918 e più tardi ordinato sacerdote. Fu fucilato a Butovo lo stesso giorno di padre Vladimir Ambartsumov, con il quale aveva servito a Mosca, e insieme a decine di altri sacerdoti.

 
Una parabola: la storia di una nave

C'era una volta una bellissima e grande nave che stava navigando attraverso l'oceano verso il Paradiso.

Altre navi, più piccole ma anch'esse molto belle, le navigavano vicine, virando tutte nella stessa direzione. A volte la grande nave navigava molto velocemente con venti favorevoli, ma a volte i venti erano contrari o c'era bonaccia e si facevano pochi progressi. Poi, un giorno, l'occhio di un uragano catastrofico passò proprio sopra la grande nave. Vedendolo una terribile tempesta che si avvicinava a loro, alcuni passeggeri e marinai scesero dalla grande nave. Con le lacrime agli occhi partirono con la scialuppa di salvataggio, nonostante le molte prove che, come sapevano in anticipo, li attendevano più avanti.

Quelli nella scialuppa di salvataggio trovarono rifugio in vari porti stranieri e lontani, soffrendo all'inizio una grande povertà e patimenti. Alcuni nei porti stranieri accolsero la scialuppa di salvataggio e aiutarono le persone a bordo, ma molti erano ostili e volevano solo che abbandonassero la scialuppa e diventassero come loro dimenticando tutto il viaggio verso il Paradiso. Fedele alla grande nave e alla sua rotta impostata per il Paradiso, i marinai e i passeggeri ostinatamente si rifiutarono di farlo. E non accadde solo questo, ma alcune persone locali nei porti stranieri che volevano andare anche loro in Paradiso salirono a bordo della scialuppa di salvataggio.

Nel frattempo, la maggior parte delle persone, tra cui il capitano, che erano rimaste sulla grande nave, patirono immense sofferenze. L'uragano era terrificante e molti perirono. Alcuni pensavano che la nave savebbe certamente affondata. Alla fine, spazzata fuori rotta dall'uragano e in una situazione disperata, la nave non ebbe altra scelta che rifugiarsi nel porto più vicino. Tuttavia, tutti sofferirono molto in quel porto che era stato occupato dai nemici e poi fu attaccato da altri porti. Moltissimi perirono. Ciò nonostante, qualche tempo dopo, molti riuscirono a tornare a bordo della nave, dove aspettavano di salpare di nuovo.

Intanto, quelli della scialuppa che si era fermata in altri porti, si diressero verso l'Oceano. Trovato il porto dove la grande nave era ormeggiata, attesero nella loro scialuppa di salvataggio. Alcuni a bordo chiamarono quelli della grande nave, altri ne osservarono i danni con scetticismo. Alla fine, la grande nave fu pronta a lasciare il porto. Non senza difficoltà si riunì con i passeggeri e i marinai della scialuppa di salvataggio e riprese la rotta verso il Paradiso. Tuttavia, anche se la grande nave e la scialuppa di salvataggio avevano ripreso la giusta direzione insieme, entrambe avevano necessità di riparazioni dopo i danni che avevano subito.

Oggi, i danni sono ancora in corso di riparazione. Molto è stato fatto, ma c'è ancora molto da fare e ci vuole tempo. Ma è un miracolo che entrambe sono ancora in un unico pezzo. Sia la nave che la scialuppa di salvataggio hanno sofferto molto nell'uragano e nei porti, dove hanno preso a bordo alimenti locali avariati che non avrebbe dovuto essere portati a bordo. A poco a poco, queste forniture sono buttate fuori bordo, ma ci vuole tempo per riconoscere che sono avariate e ci sono stati diversi casi individuali di intossicazione alimentare.

Nonostante questi incidenti di passaggio, la grande nave e l'imbarcazione ora navigano di nuovo fianco a fianco in direzione del Paradiso. Ci sono scambi di passeggeri e sempre più di equipaggio, mentre la gente dalla grande nave si trasferisce nella scialuppa di salvataggio e viceversa. Per quanto riguarda le altre che navi più piccole che avevano viaggiato con la grande nave prima che l'uragano la colpisse, anche queste hanno subito danni. Tuttavia, ora hanno cominciato anche loro a viaggiare di nuovo. Anche loro si stanno muovendo nella stessa direzione, ma alcune di loro stanno navigando molto lentamente a causa del danno che anch'esse hanno subito dopo l'uragano, anche se non erano nell'occhio del ciclone. Anche alcuni a bordo delle navi più piccole sono malati a causa delle forniture avariate che anch'essi hanno preso a bordo. Con l'eliminazione di queste forniture, le navi sono più leggere e possono navigare più rapidamente.

Ci sono anche altre navi nell'oceano, ma hanno perso l'orientamento delle loro bussole. Alcune di loro stanno girando in tondo, altre, piuttosto grandi, che hanno perso l'orientamento molto tempo fa, stanno di fatto viaggiando all'indietro. Alcune persone da queste navi sono riuscite a salire sulla scialuppa di salvataggio e alcune sono salite sulla grande nave o sulle navi più piccole. Tutti sono sollevati di sapere che ora stanno andando nella direzione giusta, anche se a volte soffrono per i danni e per i casi di intossicazione alimentare.

Tuttavia, per quelli della grande nave e della scialuppa di salvataggio la gioia di sapere che stiamo navigando insieme verso il Paradiso è immensa. Le nostre uniche preoccupazioni sono i giorni senza vento e possibilmente altre tempeste, forse anche un altro uragano. Ma per ora navighiamo, acquistando velocità, in cerca di venti favorevoli e un clima equo, sempre più impavido, intrepidi di fronte al vasto oceano e con il sole che splende davanti a noi.

 
Sono importanti le persone, non i numeri

Vladimir Romanovich, a Mosca si muove a piena velocità il programma di costruzione di 200 nuove chiese; arrivano rapporti della posa di prime pietre, alcune chiese sono già in funzione. E la gente, poi, ci va? Che impressioni ha?

Un'impressione è una categoria non scientifica; è una comprensione, sulla base di informazioni verificate: nessuna tra le chiese di recente costruzione è vuota. Le comunità ti crescono davanti agli occhi. Una delle collaboratrici del nostro dipartimento vive a Kuntsevo, dove è in programma la costruzione di una chiesa. L'erezione di una chiesa di pietra non è un processo veloce, quindi fino alla sua costruzione ne è stata preparata una in legno. Durante le feste, questa chiesa temporanea è sempre piena, e in molti devono stare fuori.

Un altro esempio - la chiesa di sant'Aleksandr Nevskij presso la MGIMO (Università Statale di Mosca per le Relazioni Internazionali). Anche in questo caso, è in piedi solo una struttura temporanea, anche se piuttosto grande - per circa 300 persone. Anche qui la domenica, è sempre pieno, testimonia un parrocchiano della chiesa, di cui molti studenti, ex studenti e personale della nostra istituzione aspettano da molti anni l'apertura. Le funzioni vengono effettuate in media 4-5 giorni alla settimana. E non è mai vuota. Con le proteste spesso orchestrati, i rapporti, i sondaggi d'opinione relativi al programma della costruzione di chiese, non sempre si vedono coloro per i quali viene fatto tutto questo, - i credenti e le persone in cerca di fede. Giovani famiglie che vengono alla vicina chiesa a far comunicare bambini, anziani e disabili, che non hanno bisogno di andare dall'altra parte di Mosca - per loro c'è il "Programma-200." A proposito, da quando mi sono "registrato" su Facebook, vi posso dare un esempio: quasi ogni settimana qualcuno scrive di conoscenti, amici e colleghi che chiedono come arrivare alla chiesa.

E le persone sono interessate a questo programma non solo perché la chiesa è stata costruita dove portava a passeggio i loro cani. Alla fine del 2012, nella rubrica "Interviste contemporanee" abbiamo dato ai visitatori del sito del Dipartimento sinodale per l'informazione la possibilità di fare tutte le domande al presidente della gestione economica e finanziaria della Chiesa ortodossa russa, il vescovo Tikhon di Podolsk, che sovrintende la costruzione delle 200 nuove chiese a Mosca. Così, molte domande si sono focalizzate esattamente su questo programma. Le persone hanno chiesto come si scelgono i nomi e i sacerdoti delle nuove parrocchie, e perché è stata bloccata la costruzione di alcune chiese.

 Ai nostri figli è stata vietata l'adozione da parte degli americani, la Chiesa è attivamente coinvolta da molti anni nel problema dei bambini abbandonati. Come risolvere questo problema, se non mandando i figli da stranieri?

Sua Santità il patriarca ha recentemente ribadito il suo appello all'adozione di bambini. Mi auguro che sempre più persone troveranno la forza di rispondere a questa chiamata. Sono convinto che lo Stato debba sostenere finanziariamente le famiglie adottive, e sentire finalmente le proposte della partecipazione della Chiesa a questo evidente problema. La Chiesa ortodossa russa in Russia ha già 90 orfanotrofi ecclesiastici, dove si trova mezzo migliaio di bambini, compresi i bambini disabili. Le condizioni di vita e la qualità di cura e di educazione dei bambini negli orfanotrofi della chiesa in 9 casi su 10 non sono solo paragonabili ma superiori a quelle delle istituzioni statali. Questi sono i risultati del lavoro di credenti, laici, sacerdoti, monaci e monache. E questo lavoro continuerà. Non posso non aggiungere che spesso le iniziative della Chiesa sono ostacolate dall'indifferenza e talvolta dall'ostilità.

Un numero crescente di russi riceve il battesimo, digiuna, battezzare i bambini. Non vanno in chiesa regolarmente, non conoscono i fondamenti della fede - come risolvere il problema del loro inserimento nella chiesa?

La missione della Chiesa è un lavoro che si compie ascoltando le persone rendendosi conto dei limiti delle loro possibilità. Ma il rapporto dell'uomo con Dio è una strada a doppio senso. Da una parte, l'uomo è in grado di fare da solo un passo verso Dio, e la Chiesa lo aiuta in questo. Ma c'è un altro aspetto, nel quale può accadere ciò che non è nelle capacità della gente.

E perché crediamo che un cambiamento importante in una persona non viene solo dai suoi sforzi, ma dalla volontà di Dio.

Un mio amico mi ha detto che è diventato un credente. Era andato a Gerusalemme come "turista religioso". E secondo il principio "tutti lo fanno - lo faccio anch'io," si è messo in fiola alla pietra dell'unzione nel Santo Sepolcro. Quando, pur non cpendo cosa faceva, "come tutti" ha baciato la pietra dell'unzione, in quel momento si è reso conto con tutto il suo essere, che quello che aveva letto nel Vangelo di Cristo è la verità. E come la vita dovrebbe essere diversa, anche lui avrebbe dovuto essere diverso, e vivere in modo diverso. E posso testimoniare che da quel momento in poi è cambiato molto nei suoi pensieri e azioni, cosa che, ovviamente, non esclude la successiva catechesi.

Ci sono cose che non possono essere previste, preparate, "programmate". Far amare un essere umano, farlo credere, organizzare il suo incontro "garantito" con Dio è impossibile. Ma stiamo cercando di fare quello che dipende da noi, in modo che non si perdano.

Vladimir Romanovich, in Russia e a Mosca in particolare, tutte le questioni interetniche diventano più acute: tassisti tagiki uccidono ragazze, bidelli uzbeki prendono in giro i bambini. I lavoratori migranti peggiorano drammaticamente le statistiche criminali. La Chiesa ortodossa in quanto rappresentante del popolo russo vede un modo per risolvere questo problema?

La questione internazionale si pone ora, non solo a Mosca o in Russia, ma è un problema in tutto il mondo. Il multiculturalismo è diventato una sfida per molti paesi, in cui si riversano i migranti. E, tra l'altro, dovunque le comunità religiose fungono da paciere. La Chiesa ha sempre condannato l'odio di persone di altre religioni e nazionalità. Ma questo non vuol dire che bisogna rendere la popolazione indigena vittima degli interessi economici immediati. Non c'è bisogno di dichiarare che i migranti vivranno come vogliono, o solo con quelle abitudini e regole con cui essi vivevano a casa.

La Chiesa ortodossa russa è pronta a fornire assistenza pratica alle istituzioni statali e pubbliche per l'adattamento culturale dei migranti, lo studio della lingua russa, e delle tradizioni spirituali e culturali dei popoli della Russia. Proposte appropriate sono state recentemente presentate al Ministero dello sviluppo regionale. Siamo in attesa di una reazione.

Una recente indagine del servizio «Среда» ha mostrato un numero leggermente inferiore di ortodossi rispetto ai precedenti conteggi sociologici. Ma quanti sono veramente credenti nel paese, secondo la vostra stima?

La sociologia non è matematica. Sulle risposte delle persone incidono diversi criteri. In caso di discrepanze in un sondaggio di «Среда» e dei sondaggi precedenti, si scopre una differenza nei criteri di selezione. E' chiaro che la domanda "Ti consideri ortodosso?" riceve risposta affermativa da più persone rispetto alla domanda, "Appartieni alla Chiesa ortodossa russa?" Di solito all'ultima domanda rispondono in modo affermativo coloro che conducono una piena vita ecclesiale.

Ma la Chiesa ortodossa russa considera giustamente nella sua congregazione anche coloro che non hanno ancora organizzato la propria vita ecclesiale. Quindi non vedo problemi in questi "nuovi" numeri. Nei numeri in sé non ci sono problemi. Una volta il Vangelo dice: "Molti sono i chiamati, ma pochi eletti" - perché dovrebbe metterci in difficoltà qualche percentuale?

Qualche anno fa è passata una legge sul trasferimento dei beni alle organizzazioni religiose, ma la Chiesa ortodossa russa, in particolare, non gode di tale diritto...

In altre parole, vi interessa sapere perché la Chiesa non ha ripreso subito la proprietà di tutti gli oggetti di significato religioso, che possedeva prima della rivoluzione? Infatti, lo Stato ha approvato una legge che non è una restituzione. Lo Stato dichiara semplicemente la disponibilità a trasferire chiese, monasteri e altri edifici e strutture che non non sono conformi ai propri scopi. Grazie a Dio, non sono considerate opzioni di trasformare le chiese in negozi e locali di ritrovo.

La Chiesa, contrariamente a quanto si dice, non è organizzazione così ricca da poter riprendere contemporaneamente il controllo di tutti gli edifici che può rivendicare legalmente. Perciò sarebbe irresponsabile da parte nostra ricevere proprietà immobiliari, cosa che ci crea un compito molto pesante.

Патриархия.ru

 
Juha Molari: la Chiesa Ortodossa Russa è seriamente cristiana, mentre quelle occidentali sono piuttosto laiche

Il pastore della Chiesa luterana finlandese Juha Molari si è convertito alla fede ortodossa durante una cerimonia condotta dall'arciprete Nikolaj Voskoboinikov alla Chiesa di San Nicola a Helsinki, che appartiene alla Chiesa ortodossa russa, il 30 ottobre 2011.

La Chiesa luterana in precedenza aveva deposto il pastore Molari per aver criticato apertamente il sito web del Kavkaz-Center, riconosciuto dalla Russia come estremista. Molari ha condotto una campagna per la chiusura del sito web, a causa della diffusione di propaganda di supporto al terrorismo. Si è rivolto alla polizia nel mese di ottobre 2010 e si è lamentato di essere stato minacciato dai terroristi e separatisti ceceni. La polizia, tuttavia, ha respinto le richieste del pastore come prive di fondamento e ha rifiutato di avviare un'indagine penale su queste minacce.

Egli ha anche sostenuto gli interessi della cittadina russa Rimma Salonen, ha criticato la organizzazione anti-russa Pro-Carelia, che richiede una revisione del confine post-bellico e il ritorno del territorio della Carelia alla Finlandia.

Perché ha preso una decisione di convertirsi all'Ortodossia? Qual è stata la reazione della Chiesa Luterana di Finlandia alla sua decisione? Si sente sicuro in Finlandia oggi? Perché la Finlandia non interferisce nelle attività del Kavkaz-Center sul suo territorio? Molari risponde a queste domande nella sua intervista a Interfax-Religion.

 

Un evento importante è recentemente accaduto nella sua vita - si è convertito all'Ortodossia. Perché ha preso questa decisione?

La mia famiglia era già ortodossa. E' abbastanza normale appartenere alla stessa chiesa della propria famiglia. La mia decisione non è stata presa rapidamente e nel vuoto. La Chiesa ortodossa russa ha anche dimostrato misericordia nelle parole e nei fatti. Voglio appartenere alla Chiesa dove posso vedere l'amore e la misericordia. Nei suoi punti di vista morali e teologici, la Chiesa ortodossa russa è seriamente cristiana, mentre le Chiese occidentali sono piuttosto laicche. Per esempio, non posso condividere la moderna visione luterana circa il matrimonio ecclesiastico gay. Si tratta di una questione importante per me, quando voglio partecipare al culto e conoscere meglio Dio.

 

Qual è stata la reazione della Chiesa Luterana di Finlandia alla sua decisione?

La Chiesa luterana, stando a quanto si riferisce, ha avuto qualche contatto con la Chiesa ortodossa russa in Finlandia, ma non conosco i propositi delle loro discussioni. Dopo la mia decisione la Chiesa luterana ha incaricato un ufficiale giudiziario del tribunale di portarmi i documenti che la Chiesa ha fornito due mesi fa ai media in Finlandia, ma non mi sono affatto arrivati. Questi documenti includevano informazioni ufficiali che non avrei avuto diritto di trovare un lavoro come sacerdote per i prossimi tre mesi.

 

Ha intenzione di entrare al seminario teologico ortodosso e diventare sacerdote e migliorare la conoscenza della lingua russa?

Il miglioramento della conoscenza della lingua russa è un processo lungo, e io non ho talento in questo campo. Dovremmo prendere una decisione a casa di parlare in russo per qualche tempo. In questo modo, potrei migliorare le competenze linguistiche.

La situazione economica mia e della mia famiglia, purtroppo, non mi consente di trasferirmi a vivere al seminario teologico ortodosso. Ora, prima di tutto, io sono un "giovane cristiano ortodosso", che impara le pratiche di culto.

 

Sua moglie e i suoi figli vivono in Russia. Le piacerebbe unirsi a loro?

La mia famiglia e io viviamo in Russia e in Finlandia, a seconda della situazione. Vorrei vivere più stabilmente in Russia, se l'occupazione, il sostentamento e la pensione della mia famiglia fossero sicuri. Per motivi di sicurezza è una cosa molto buona che la mia famiglia sia in qualche modo lontana da me - ufficialmente e nella pratica. Ed è ancora più necessario che i banditi non conoscano gli indirizzi miei e della mia famiglia. Sono entrati al piano terreno della mia casa di famiglia e mi ha inviato una e-mail che diceva che hanno trovato il mio indirizzo e la mia auto.

 

Ha ricevuto più di una volta minacce da militanti ceceni. Perché pensa che la polizia e l'ufficio del pubblico ministero non abbiano preso tutte le misure?

Ufficialmente la polizia ha risposto che non crede che Doku Umarov - il "presidente" del governo separatista - e i suoi alleati mi conoscano.

L'élite politica finlandese è coinvolta in rapporti di amicizia con l'amministrazione del Kavkaz Center. Un paio di settimane fa, il Sig. Pekka Haavisto, candidato alla presidenza finlandese, ha cenato amichevolmente con Mikael Storsjo (in casa di Storsjo), l'amministratore e proprietario finlandese del Kavkaz Center. La signora Heidi Hautala, oggi Ministro per lo Sviluppo Internazionale, Mikael Storsjo (l'amministratore finlandese del Kavkaz Center) e Isa Dzhabrailov, l'amministratore del Kavkaz Center in Svezia e il vice-ministro dell'Informazione di Doku Umarov, ha avuto un incontro con l'ex presidente finlandese Martti Ahtisaari nel 2007. Tarja Kantola, il consigliere speciale del ministero degli Esteri finlandese, ha tenuto una conferenza presso il Parlamento finlandese insieme con Islam Matsiev, che è il webmaster del Kavkaz Center in Finlandia e che ha preso parte ai combattimenti nel Caucaso del Nord.

 

Si sente sicuro in Finlandia oggi?

Non posso avere paura di nulla. Trovo nuove opportunità in ogni situazione. Purtroppo ricevo privatamente - e anche pubblicamente attraverso siti finlandesi online - minacce di morte in ogni settimana, ma ora non l'ho detto ai miei amici e alla mia famiglia, per non farli disturbare inutilmente.

 

Come definirebbe l'atteggiamento della Finlandia verso la Russia oggi in ogni giorno e livello politico?

In realtà la Finlandia ha bisogno di buone relazioni con la Russia. L'economia finlandese trarrà grande beneficio dal fatto che la Finlandia ha un grande vicino nella Federazione Russa. Questa è una cosa preziosa nell'incertezza attuale nell'UE. Purtroppo, questo buon messaggio non viene raccontato dai media finlandesi, ma piuttosto ci sono un po' troppi editori che vogliono promuovere l'adesione alla NATO attraverso scenari di minaccia e di russofobia. E troppe persone credono a queste minacce; ecco un esempio al livello della gente comune: il 9 novembre 2011, due uomini finlandesi di Kerava (una piccola città vicino a Helsinki), noti come sostenitori del secondo più grande partito della Finlandia, " I finlandesi ", hanno urinato sul cofano della station wagon di un uomo d'affari russo. Questi uomini sono ben noti per i loro discorsi anti-russi. Non intendo dire che in generale i finlandesi si mettano a pisciare sui cofani delle auto russe. Tuttavia, questi uomini finlandesi lo hanno fatto. E' difficile valutare se il loro stress interno si sia abbassato dopo il gesto. Sono poi andati in un bar nelle vicinanze per celebrare il loro giorno della vittoria.

 

Perché pensa che la Finlandia non interferisca nelle attività del Kavkaz-Center sul suo territorio?

Per due ragioni. Ho già risposto che troppi politici altolocati hanno intrecci di amicizie in questo sistema. In secondo luogo: In Finlandia, non vi è alcuna conoscenza della materia, perché i nostri media finlandesi tacciono quasi completamente sul problema. Penso che le autorità di sicurezza russe possano aiutare di più in questo caso e rivelare altri nomi di "giornalisti" e "amministratori" del Kavkaz Center. Ora, tutto è anonimo e queste persone deviate possono agire in sicurezza. Inoltre, dovrebbe essere significativo ricordare i casi finanziari in cui i giornalisti del Kavkaz Center hanno anche partecipato al finanziamento dei terroristi.

Ho fatto "un atto di coraggio" nel mese di aprile 2011, perché non ho paura delle autorità giudiziarie, quando opero con integrità. Sono andato all'ufficio del ministero russo dell'Interno e alla FSB a San Pietroburgo. Ho offerto qualche forma di consulenza in merito al caso del Kavkaz Center per capire meglio queste strutture. Purtroppo, un mese dopo, ho ricevuto solo una risposta che devo affidarmi alla conoscenza dei media pubblici.

 

Qual è il motivo della vostra posizione filo-russa, soprattutto della critica dell'organizzazione anti-russa Pro-Carelia e del sito web del Kavkaz-Center?

Non credo che il mio atteggiamento sia particolarmente filo-russo, io sono un finlandese e un europeo, che vuole una maggiore pace e prosperità nel mondo moderno globale. Perciò dico con forza "no" all'estremismo dei separatisti. Si tratta anche di una questione di coscienza cristiana.

Il Kavkaz-Center ha pubblicato già più di 200 articoli falsi contro di me. In questi articoli annunciano che sarei un pazzo terrorista, che sono stato in cura psichiatrica a San Pietroburgo, che avrei un alto stipendio come agente, ecc. Le bugie del Kavkaz-Center sono pericolose, in alcuni casi, quando le persone semplici possono prendere le loro "informazioni" sul serio e agire in modo sbagliato.

Il Kavkaz-Center è venuto particolarmente vicino a me per caso, perché ero andato a fare il pastore in un piccolo villaggio, da cui proviene l'amministratore finlandese del Kavkaz-Center. Le persone del Kavkaz-Center hanno iniziato a presentarsi, quando hanno organizzato manifestazioni illegali e legali contro di me. Così ho avuto la possibilità "libera" di fotografare le persone (finlandesi e ceceni) che lavorano per il Kavkaz-Center. Questo ha fatto arrabbiare ancor di più il Kavkaz-Center. Anche l'organizzazione Pro-Karelia è divenuta familiare per caso, quando il giurista della Pro-Karelia era mio avvocato nel periodo 2001-2004.

 
Cine sunt fraţii şi surorile Domnului Iisus Hristos în Evanghelii?


„Au nu este Acesta teslarul, fiul Mariei şi fratele lui Iacov şi al lui Iosi şi al lui Iuda şi al lui Simon? Şi nu sunt, oare, surorile Lui aici la noi?” (Marcu 6,3) Această nedumerire era exprimată de adunarea din sinagoga din Nazaret, oraşul copilăriei lui Iisus (cf. Matei 2,23), imediat după ce El citeşte un pasaj din profetul Isaia (Isaia 61,1-2) şi-l interpretează referitor la Sine Însuşi (cf. Luca 4,21). Indicaţia este preţioasă întrucât ne dă o listă de patru fraţi şi (cel puţin) două surori ale lui Iisus, al căror nume însă nu a fost reţinut de autorii Sfintelor Evanghelii. Noul Testament îi menţionează pe aceşti fraţi ai lui Iisus în şapte episoade diferite: Marcu 3,31-35 (a se vedea şi Matei 12,46-50; Luca 8,19-21); Marcu 6,3 (a se vedea şi Matei 13,54-58); Ioan 2,12; 7,3.5.10; Fapte 1,14; 1 Corinteni 9,5; Galateni 1,19.

Dar putem spune că Iisus a avut fraţi? Este vorba de fraţii şi surorile din aceeaşi mamă şi/sau tată sau aceste expresii trebuie înţelese altfel?

Semnificaţia semantică a cuvintelor greceşti adelphos şi adelphé

În toate pasajele Noului Testament menţionate, cuvântul „frate” este redat de grecescul adelphos, iar cuvântul „soră” de grecescul adelphé. Aceşti termeni sunt lipsiţi de ambiguitate. Combinaţia dintre alfa copulativ şi radicalul delphys (uter) înseamnă etimologic „născut [ă] din acelaşi pântece”. Desigur, cuvintele greceşti din Evanghelii, ca toate cuvintele din greacă clasică cunosc şi un sens metaforic a cuvântului „frate”, similar cu cel de astăzi. Această utilizare este frecventă la Evanghelistul Matei (cf. Matei 5,22-24.47; 7,3-5; 18,15.21.35). Ea este mai rară în Luca (cf. Luca 6,41-42; 17,3) şi complet absentă în Marcu.

În mod similar, cuvântul „frate” se referă adesea la ucenicii şi apostolii lui Iisus, ca în textul de la Matei 28,10: „Atunci Iisus le-a zis: «Nu vă temeţi. Duceţi-vă şi vestiţi fraţilor Mei, ca să meargă în Galileea, şi acolo Mă vor vedea»” (a se vedea şi Ioan 21,17; Luca 22,32). De asemenea, este cert faptul că primii creştini se numeau între ei „fraţi” şi „surori” (cf. Fapte 1,15; 6,3; 9,30 etc.). Dar în acest caz, contextul nu lasă nici o îndoială cu privire la semnificaţia cuvântului.

Cu toate acestea, atunci când vine vorba de „fraţii” lui Iisus este exclus faptul ca termenul să desemneze pe cei care urmează învăţătura Lui: distincţia între fraţi şi ucenici este evidentă (cf. Ioan 2,12) şi adesea cele două categorii sunt opuse una alteia (cf. Matei 12,46-50). Atitudinea lor este diferită de cea a ucenicilor Săi: „Şi auzind ai Săi, au ieşit ca să-L prindă, că ziceau: «Şi-a ieşit din fire»” (Marcu 3,21). În mod similar, atunci când Evanghelistul Ioan ne spune că „fraţii” lui Iisus „nu credeau în El” (Ioan 7,5), este exclus ca termenul să fie folosit în sens metaforic: ucenicii lui Iisus care nu cred în El nu pot fi ucenicii Săi. Vorbind de „fraţii” lui Iisus, Evangheliile ne descriu deci o legătură de rudenie. Dar în ce constă aceasta?

De la „fraţii” lui Iisus la „verii” lui Iisus

În 380, un creştin din Roma pe nume Helvidius a compus o scriere în care afirma că Fecioara Maria a avut cu Iosif, după naşterea lui Iisus, alţi copii care sunt fraţii şi surorile menţionaţi în textele Evangheliei (cf. Ieronim, Adversus Helvidium). Pentru a-şi dezvolta această teorie, Helvidius s-a folosit în primul rând de Tertulian (160-220) care, bazându-se pe Evanghelia după Marcu (cf. Marcu 3,31-35), a susţinut această idee pentru a demonstra, împotriva lui Marcion şi a adepţilor săi, adevărata „umanitate” a lui Iisus (cf. Tertulian, Contra Marcion IV, 19). În scurt timp monahul Iovinian şi de Bonosus, episcop de Sardica, în Illyria, au adoptat concepţia lui Helvidius.

Opinia lui Helvidius a fost vehement contestată de Fericitul Ieronim care, în 383, în Adversus Helvidium, a susţinut pururea fecioria Mariei. În aceeaşi epocă, episcopul de Milan, Sfântul Ambrozie, reacţionează şi el împotriva lui Iovinian obţinând excomunicarea acestuia în 390 după două sinoade: unul a avut loc la Roma sub papa Siricius (384-399) şi celălalt în eparhia sa, la Milan. În 391-392, Sinodul de Capua, prezidat de asemenea de Sfântul Ambrozie s-a aplecat asupra cazului lui Bonosus. La început sinodul a amânat răspunsul, dar în cele din urmă Bonosus a fost condamnat de un sinod ţinut în Salonic (cf. Ambrozie al Milanului, De virginibus).

Întrucât punctul de vedere al lui Helvidius a fost respins, în conformitate cu credinţa în pururea fecioria Mariei, a trebuit să se găsească o explicaţie pentru existenţa „fraţilor” şi „surorilor” lui Iisus. Fericitul Ieronim a fost atunci primul Părinte al Bisericii care a susţinut că „fraţii” lui Iisus sunt de fapt „veri”, şi că Maria şi Iosif au rămas neprihăniţi. Bazându-se pe un text al lui Hegesip, citat de Eusebiu de Cezarea (cf. Eusebiu, Historia Ecclesiastica III, 11 19 20 şi IV, 22.), Fericitul Ieronim a identificat pe verii lui Iisus ca fiind copiii unei surori ai Maicii Domnului, care s-ar fi numit Maria lui Cleopa (cf. Ieronim, Adversus Helvidium 13-15).

Semnificaţia semantică a cuvântului ebraic ’ah în Vechiul Testament

Pentru a-şi apăra opinia, Fericitul Ieronim, care era un lingvist fin şi un bun cunoscător al limbii ebraice, a remarcat că, în limba vechilor evrei cuvântul frate (’ah) putea însemna, atât frate de sânge, cât şi frate vitreg, nepot sau văr. La trecerea din ebraică în greacă, susţinea Fericitul Ieronim, traducerea Septuagintei a redat în mod constant ’ah prin adelphos, ceea ce înseamnă, fără îndoială, frate. Astfel s-a ajuns să se considere ca în Noul Testament „verii” lui Iisus să fie desemnaţi ca „fraţii” Săi.

Este adevărat că, în cadrul aceleaşi familii, atât limba ebraică, cât şi aramaica veche nu distingeau în mod evident gradele de rudenie. Ebraica foloseşte, în general, cuvântul ’ah care în mod extins poate avea sensul de „unchi, nepot, văr”. Această carenţă poate fi explicată prin faptul că la vechii evrei, ca şi la alte popoare, termenul „frate” se referă la membrii familiei extinse sau la comunitate. Acesta este motivul pentru care, în Biblia ebraică, rudele sunt adesea menţionate ca fiind fraţi şi surori. Astfel, Lot este prezentat ca „fratele” lui Avraam în Facerea 13,8: „Atunci a zis Avram către Lot: «Să nu fie sfadă între mine şi tine, între păstorii mei şi păstorii tăi, căci suntem fraţi»”. De fapt este vorba de nepotul lui Avraam (cf. Facerea 12,5; 14,12). În Facerea 31,46: „Apoi a zis Iacov către fraţii săi: «Adunaţi pietre»”, aici este vorba de fapt nu de fraţii lui Iacov, ci de unchii săi. În episodul în care fetele lui Eleazar s-au căsătorit cu verii lor, aceştia sunt numiţi „fraţi”: „Eleazar însă a murit şi n-a avut feciori, ci numai fete şi le-au luat de soţii fiii lui Chiş, verii [’ahim în textul ebraic] lor” (1 Cronici 23,22). Iar în cartea Iosua, este imposibil să ştim dacă Otniel „fiul lui Chenaz, fratele lui Caleb” (Iosua 15,17) este de fapt fratele sau nepotul acestuia din urmă. Bineînţeles lista cu astfel de exemple ar putea continua.

În toate cazurile Septuaginta traduce în mod mecanic ebraicul ’ah cu grecescul adelphos, fără a căuta să clarifice gradul de rudenie. Spre exemplu, în Facerea 29,12, Iacob spune Rahilei „că-i ruda [adelphosîn textul grec] tatălui ei şi că-i fiul Rebecăi”.

Cu toate acestea, o examinare atentă a textelor din Septuaginta arată că doar un singur loc poate fi invocat în sprijinul argumentaţiei Fericitului Ieronim: în 1 Cronici 23,22 cuvântul ebraic ’ah indică „verii” şi a fost tradus în Septuaginta prin adelphos! În timp ce în Numerii 36,11, Septuaginta foloseşte cuvântul anepsios (văr) pentru a traduce expresia ebraică „fiii unchiului lor” (benê dôdehen).

Cuvântul „fraţi” în Noul Testament

Cuvântul adelphos este folosit de 343 de ori în Noul Testament.

După o examinare critică a fiecărei ocurenţe, putem constata că în nici un caz termenul „fraţi” nu se aplică personajelor despre care am putea spune că ar fi de fapt „veri”. Atunci când adelphos nu este folosit într-un sens figurativ sau metaforic, el descrie o relaţie biologică sau juridică, desemnând un frate de sânge sau legal.

În chemarea lui Iisus a primilor Săi ucenici sau în lista celor Doisprezece Apostoli, de exemplu, Iacov şi Ioan sunt numiţi fraţi şi fii ai aceluiaşi tată, Zevedeu (cf. Matei 4,21; 10,2; Marcu 1,19; 3,17). Acelaşi lucru se aplică şi lui Simon Petru şi lui Andrei, a căror relaţie de rudenie este prezentată ca fiind „doi fraţi” (cf. Matei 4,18-21; 10,2; Marcu 1,16; Luca 6,14). Lazăr este, de asemenea, prezentat ca fratele Mariei şi al Martei din Betania (cf. Ioan 11,1-32), iar acestea din urmă sunt prezentate ca surori (cf. Luca 10,38-39).

Observăm că atunci când scriitorii Noului Testament vor să facă o distincţie în relaţia de familie dintre două persoane ei apelează la vocabularul grecesc, mult mai clar decât cel ebraic. Astfel, atunci când Evanghelistul Luca prezintă gradul de rudenie dintre Elisabeta şi Maria (cf. Luca 1,36) nu spune că sunt „surori”, ci foloseşte cuvântul suggenis (rude după trup). La fel şi Sfântul Pavel foloseşte cuvântul anepsios atunci când vorbeşte despre Marcu „vărul lui Barnaba” (Coloseni 4,10).

Pe bună dreptate, aceste exemple ne fac să ne punem întrebarea de atunci când vine vorba de „fraţii” lui Iisus ar trebui să ne gândim la verii Săi sau la o rudenie de a Sa?

Pentru majoritatea exegeţilor protestanţi, la care se adăugă câţiva catolici (Rudolf Pesch, John P. Meier, François Refoulé), „fraţii” Domnului sunt consideraţi „fraţii” Săi de sânge. Aceasta afirmaţie nu este o noutate: deja în secolul al II-lea potrivit lui Hegesip, Iuda era numit „fratele Domnului după trup” (cf. Eusebiu de Cezareea, Historia Ecclesiastica III 19-20).

Cu toate acestea a afirma că „fraţii” Domnului pot fi „fraţii” Săi de sânge nu doar contrazice o întreagă tradiţie de interpretare a textului Sfintelor Evanghelii şi dogma Bisericii referitoare la pururea fecioria Maicii Domnului, dar ea relativizează profund sensul cuvântului adelphos din societatea ebraică la începutului erei creştine.

Sensul cuvântului „fraţi” în vremea lui Iisus

Fericitul Ieronim, ca majoritatea Părinţilor şi exegeţilor de după el, au preferat o interpretare lingvistică a cuvântului „frate” în faţa adversarilor învăţăturii Bisericii. Pe lângă argumentul lingvistic este posibil să aducem astăzi şi unul de ordin istoric. El ne este pus la dispoziţie de manuscrisele de la Qumran, de literatura evreiască intertestamentară, de cărţile Septuagintei excluse din canonul Bibliei ebraice, de scrierile istoricului evreu Flavius Josephus. Toate aceste scrieri aduc o lumină nouă în ceea ce priveşte importanţa legăturilor familiale din societatea evreiască.

În Palestina primului secol o persoană nu era considerată ca un individ autonom şi independent din punct de vedere social. Comunitatea, satul, familia constituiau structura socială care protejau şi ofereau legitimitate oricărei persoane. În oraşul său natal, Nazaret, populat probabil de aproape 1600 de locuitori, Iisus are la rândul Său parte de un cadru social, de recunoaştere şi de securitate. Este evident faptul că El nu a trăit într-o familie izolată de contextul social al epocii, ci într-o familie tradiţională, ce aparţinea unei neam sau trib care i-a dat de altfel identitatea Sa terestră (cf. Matei 1; Luca 1). Genealogiile pe care le întâlnim frecvent în Vechiul Testament nu au doar rolul de a indica arborele genealogic al unei persoane, ele exprimă totodată identitatea unui grup uman şi legătura sa cu celelalte neamuri sau triburi.

Acesta este şi motivul pentru care cei prezenţi în sinagoga din Nazaret au fost uimiţi interpretarea dată de Iisus textului biblic pe care l-a citit. Ei au remarcat că Iisus a ieşit din rolul şi cadrul social atribuit Lui şi rudelor Sale. El încălca acordul ce guvernează prerogativele şi ierarhiile din interiorul grupului. Doar astfel putem înţelege de ce Iisus concluzionează misiunea Sa la Nazaret cu proverbul: „Nu este prooroc dispreţuit, decât în patria sa şi între rudele sale şi în casa sa” (Marcu 6,4). Prin aceasta El declarăcă se eliberează de controlul social al epocii (patria, rudele, casa) şi anunţă identitatea Sa. Citite în acest context, pasajele referitoare la „fraţii” lui Iisus Domnului ni se descoperă cu un sens nou ce completează, aşadar, interpretarea tradiţională a Bisericii.

Este interesant faptul că deşi în Noul Testament Psalmul 68 est citat destul de des (cel puţin de 18 ori), nu se întâlneşte nici o referinţă la versetul 10: „Înstrăinat am fost de fraţii mei şi străin fiilor maicii mele”. Acest pasaj ar fi integrat perfect textul de la Matei 12,46-50, o Evanghelie ce conţine aproximativ 60 de trimiteri la profeţiile mesianice şi aproximativ 40 de citate din Vechiul Testament. Oare să-l fi evitat Evanghelistul Matei în mod deliberat din cauza frazei „fiilor maicii mele”?

 
Fa bene guardare la TV?

Se vi fosse dato un anno in cui potete fare quello che volete, vorreste davvero limitarvi a stare seduti su un divano a guardare la TV e a scrivere "mi piace" ai post di Facebook di altre persone?

La maggior parte della gente oggi consuma molti contenuti multimediali. Questo può essere in forma di spettacoli televisivi, film, musica, libri, riviste, internet, e, forse alcune altre forme dei media, di cui solo gli adolescenti sono a conoscenza. La maggior parte della gente è consapevole del fatto che alcuni di questi contenuti, per esempio la pornografia, non sono compatibili con la fede cristiana, anche se non è sicura del perché. Ma in molti altri casi, può essere difficile stabilire se un film o una canzone sono appropriati, o se sono compatibili con la fede cristiana. Spero che i seguenti punti si riveleranno utili in questo campo.

Si vive una volta sola

Questo è corretto: si vive una volta sola. In qualche modo, questo promemoria molto utile è diventato una licenza per fare cose che altrimenti si sarebbe prudentemente riluttanti a fare. Ma questa frase accattivante realtà ci dovrebbe ricordare che abbiamo una quantità limitata di tempo in questa vita terrena. Raramente apprezziamo questo tempo, anche se su scala minore, tutti capiamo che cosa significa avere un grande lavoro da fare e molto poco tempo per finirlo. Sappiamo tutti cosa vuol dire lavorare quando c'è di mezzo una scadenza (pensate a chi finisce un compito la notte prima di doverlo presentare). Accade lo stesso nella nostra vita: lavoriamo di fronte a una scadenza. Tale scadenza è la nostra morte fisica, e il compito è veramente grande, dobbiamo prepararci per la vita con Dio. E questo significa che dobbiamo avere le nostre priorità in un ordine che ci aiuterà a completare questo grande compito. Ora, pensate a quanto tempo si può trascorrere a guardare spettacoli televisivi inutili, film che sul momento eccitano i sensi, ma ci lasciano senza niente di valido due ore e mezzo più tardi, o guardare la vita di altre persone sui social media, invece di vivere la propria. Se spendiamo solo un'ora al giorno in queste cose (molte persone spendono molto più tempo!), equivale a un'intera giornata persa di un vostro mese, o a una settimana intera di un anno. Forse questo non sembra molto, ma equivale a un intero anno quando avete raggiunto i cinquant'anni - un anno intero completamente sprecato! Se vi fosse dato un anno in cui potete fare quello che volete, vorreste davvero limitarvi a stare seduti su un divano a guardare la TV e a scrivere "mi piace" ai post di Facebook di altre persone? Quindi, questo è il primo problema: la televisione ci fa sprecare un sacco di tempo che può essere molto meglio speso a vivere la vita che Dio ci ha dato per uno scopo specifico: imparare a stare con lui.

Tu sei ciò che mangi

Spesso abbiamo molto buon senso su ciò che mangiamo. Mangiamo ciò che è fresco e sano. Se qualcosa è marcio o velenoso, ne stiamo alla larga. E sappiamo che se mangiamo qualcosa di velenoso, ci ammaleremo e potremo anche morire. Perché, allora, non abbiamo lo stesso buon senso su ciò che entra nei nostri cervelli? Perché permettiamo a cose velenose di entrare nella nostra mente? Ciò a cui permettiamo di entrare nella nostra mente attraverso gli occhi e le orecchie può essere ancora più pericoloso del cibo cattivo. Il cibo cattivo può affliggere solo i nostri corpi; la cattiva televisione può corrompere le nostre menti e le nostre anime. Dunque, va bene vedere qualcosa che è solo "leggermente" cattivo? Va bene mangiare cibo che è solo "leggermente" marcio? Noi non lo faremmo. Non correremmo il rischio di ammalarci. Perché non applicare la stessa saggezza quando si tratta delle nostre menti? Una volta che avete visto qualcosa, non potete cancellare il ricordo di ciò che avete visto. Il vostro stomaco può vomitare, ma la vostra mente non si ripulisce così facilmente.

Molti spettacoli televisivi e film non sono prodotti per il nostro bene. Il loro obiettivo è quello di guadagnare denaro per chi li produce. E i produttori si rivolgono a ogni passione scadente e peccaminosa al fine di mantenere la nostra attenzione. C'è un motivo per cui gli spettacoli stanno costantemente diventando sempre più sessualizzati e violenti - il sesso e la violenza catturano e mantengono l'attenzione della gente. Ma introducono anche il peccato nelle nostre menti. Questo peccato sotto forma di pensieri e ricordi resta nel nostro cervello a lungo dopo che lo spettacolo è finito, e discende nelle profondità del nostro essere. In questo vediamo che "non siamo solo alle prese con cattive abitudini, televisione pornografica e varie debolezze dei nostri corpi. Siamo anche alle prese con spiriti maligni, e dobbiamo prendere sul serio gli angeli caduti e questa lotta". L'influenza dei media sulla nostra mente è enorme. Spesso ci sono persone che credono a una bugia solo perché l'hanno vista in TV, e si abituano e restano insensibili al peccato solo perché "tutti" lo fanno nei film, o vanno a comprare qualcosa che non avevano idea che esistesse, ma una pubblicità ha detto loro che meritavanop questa cosa e dovevano averla.

Cosa fare

1. Come cristiani, il nostro obiettivo primario è la vita con Dio. Fatevi una regola di spendere almeno tanto tempo per la vostra vita spirituale di quanto ne spendete per il divertimento. Questa vita spirituale ha molte espressioni diverse: la preghiera, la lettura della Sacra Scrittura, partecipare a funzioni religiose, o aiutare e sostenere gli altri. Ma è importante che in cinquant'anni, non avrete sprecato un intero anno della vostra vita seduti di fronte a uno schermo, ma avrete invece lavorato sul vostro rapporto con Dio.

2. Custodite la vostra vita, almeno tanto quanto custodite il vostro stomaco. Siate vigili su ciò che mettete nella mente, almeno tanto quanto siete vigili a quello che mettete nel vostro corpo, e ancora di più, perché è in gioco la vostra anima. Ricordate le parole dell'apostolo Paolo: "tutto ciò che è vero, tutto ciò che è nobile, tutto ciò che è giusto, tutto ciò che è puro, amabile, gentile, se c'è qualcosa di eccellente, se c'è qualcosa di degno di lode, pensate a queste cose "(Fil 4:8).

3. Provate a passare giorni senza tecnologia. Forse una volta alla settimana, forse una volta al mese, ma provate a spegnere televisore, telefono, computer e qualsiasi altro dispositivo e a interagire con il mondo che Dio ha così splendidamente creato. Il momento migliore per limitare le distrazioni tecnologiche e le perdite di tempo è il nostro periodo di digiuno. In russo, il termine per il digiuno, 'post', è lo stesso termine che indica la 'guardia.' State in guardia, vigilate sulla vostra anima contro chi vuole sfruttare i punti deboli della vostra natura per il proprio guadagno personale e contro i demoni che vogliono che siate quanto più possibile pieni di sporcizia come loro.

 
La sfida dell’Ortodossia russa: la costruzione di nuove chiese locali nella diaspora

L’Ortodossia tornerà in vita in Occidente. Ci sarà l’Ortodossia in Gran Bretagna e in Irlanda, in Francia e in Germania, in Olanda e in Spagna, e anche in America. Ogni lingua e nazione avrà la Santa Ortodossia. Questo è il compito che tocca alla nostra emigrazione russa per il nostro pentimento.

San Giovanni di Shanghai, c. 1962

 

1. Introduzione: facciamo i conti con la realtà

Nel corso degli ultimi venti anni abbiamo scritto più volte che non ci sarà alcuna nuova Chiesa locale o Chiese locali nelle terre della diaspora fino a quando un certo numero di persone locali non solo sarà entrato nella Chiesa, ma soprattutto vi si sarà integrato (e non dis-integrato), vivendo l’Ortodossia come un modo di vita. Nel corso degli ultimi cinquanta anni, da quando San Giovanni disse le parole sopra citate, abbiamo visto molti fallimenti nell’integrazione - sempre per lo stesso motivo. Anche se può sembrare duro far notare questi errori, la vita della Chiesa e quindi l’autentica vita spirituale, come abbiamo tante volte detto in precedenza, non può essere costruita sulla fantasia, ma solo sulla realtà. Notiamo così tre fallimenti recenti nella costruzione di Chiese locali:

a. ‘Il rito occidentale’. Il fallimento del piccolo gruppo di ‘rito occidentale’ è stato particolarmente evidente in Francia. Rifiutando la tradizione e la disciplina della Chiesa ortodossa russa fuori dalla Russia perché era troppo attaccato a un rito ricreato, autorizzato a titolo eccezionale per economia pastorale, questo raggruppamento instabile l’ha abbandonata. Cambiando costantemente giurisdizione e passando da una Chiesa locale a un altra, si è alla fine disintegrato nel settarismo dei vescovi vaganti.

b. Parigi. Il fallimento della fazione parigina, la ‘Fraternité Orthodoxe’, nella piccola giurisdizione di Rue Daru, che, volendo fondare una nuova Chiesa locale, ha dimenticato che il Patriarcato da lei scelto non ha mai dato liberamente l’autocefalia ad alcuna Chiesa locale. Ridotta a un solo vescovo da atteggiamenti anti-monastici, anti-clericali e anti-episcopali, questa fazione ha dimenticato che la Chiesa non dipende da dibattiti intellettuali e sogni filosofici, ma da vescovi che appartengono a un Sinodo.

c. La Chiesa Ortodossa in America. Il fallimento della O.C.A., l’esperimento politico fondato a Parigi alla fine della Guerra Fredda, durante la quale l’obbedienza a un patriarca, prigioniero del governo sovietico ateo, era inaccettabile per i cittadini americani. Una volta fondata, l’O.C.A. ha cominciato a frantumarsi a causa degli stessi atteggiamenti anti-monastici, anti-clericali e anti-episcopali visti a Parigi. Senza un’autentica e sana vita monastica, l’episcopato di qualsiasi Chiesa locale si popola di persone inadeguate. Il meglio che un tale gruppo può sperare, così come nel gruppo di Rue Daru, è generalmente che siano disponibili alcuni idonei sacerdoti vedovi che possono diventare vescovi. Come risultato della sua mancanza di vescovi idonei, l’ala rinnovazionista della O.C.A. ha presentato la fantasia di un episcopato sposato, come nella Chiesa episcopaliana, da dove erano venuti molti dei suoi convertiti. Nel proprio isolamento americano, questa fazione ha trascurato il fatto che un cambiamento così radicale avrebbe bisogno dell’accordo di tutte le Chiese ortodosse locali - una cosa impossibile. In questo contesto di vescovi ‘non idonei’, ricordiamo la profezia di San Giovanni di Shanghai: ‘L’America è un grande paese, ma l’avidità e la sensualità sarà la sua rovina’.

In tutti questi tre casi, il fallimento nel fondare una nuova Chiesa locale può essere attribuito alla stessa causa - la mancata trasmissione della Tradizione ortodossa a gruppi che non comprendono più la lingua ortodossa originale della Tradizione. In altre parole, i gruppi hanno versato il vino perché non avevano un recipiente per contenerlo. Ora che questi eccessi del passato, che una volta erano alla moda, possono essere lasciati da parte, anche alcuni all’interno dei gruppi di cui sopra stanno realizzando la necessità fondamentale di una Chiesa madre. Un bambino prematuro o immaturo è incapace di costruire qualcosa senza la sua mamma. Solo l’adolescente orgoglioso e ribelle immagina di poter stare da solo, mettendo il carro davanti ai buoi. È chiaro che attualmente è necessario il bilinguismo, per evitare gli estremismi immaturi di ‘purezza’ monolingue, che una generazione fa hanno strappato alla diaspora tante parrocchie. In questo modo, la Tradizione può essere trasmessa con successo dal gruppo originale immigrato al gruppo che la riceve.

In tutti questi tre casi, è stato anche trascurato un altro interrogativo fondamentale: C’è qualche Chiesa locale libera che abbia anche solo il desiderio di fondare nuove Chiese locali, in considerazione del fatto canonico che una Chiesa locale deve consultare le altre Chiese locali prima di fondare nuove Chiese, soprattutto nelle zone di competenza giurisdizionale mista? Dalle riunioni delle nuove Assemblee episcopali inter-ortodosse in molti paesi in tutto il mondo, è chiaro che, proprio come 40 anni fa, non vi è alcun desiderio, in tredici delle quattordici Chiese ortodosse locali, di fondare nuove Chiese locali. A questo proposito, queste tredici Chiese locali possono essere divise in due gruppi, come qui di seguito.

 

2. Sette Chiese locali che non hanno diaspora

Tutte queste Chiese sono piccole, tutte insieme hanno una popolazione di meno di 13 milioni, e non è loro permesso di avere una diaspora, oppure non hanno una diaspora. In ordine di grandezza, cominciando dalle più piccole, si tratta di:

a. Il Patriarcato di Gerusalemme. Questo sta diventando sempre più piccolo, perché il suo gregge arabo ortodosso, come Cristo crocifisso sulla croce tra due ladri, è costretto a lasciare la sua patria dall’oppressione ebraica e musulmana. Soffre anche di una crisi interna, perché i suoi vescovi sono nominati con mentalità coloniale dal Ministero degli Esteri della Grecia. Hanno pochi contatti con il loro gregge, e per lo più non riescono a parlare la sua lingua.

b. La Chiesa di Albania. Questa è per molti versi un prolungamento della Chiesa ortodossa greca, che si estende dalla Grecia in ‘Epiro del Nord’.

c. La Chiesa di Cipro. Avendo perso dopo la seconda guerra mondiale oltre un quarto del suo gregge per l’emigrazione in Inghilterra e il 40% del suo territorio per l’invasione turca, rappresenta un piccolo paese, che sopravvive in gran parte grazie al turismo e ai prestiti russi.

d. Il Patriarcato di Alessandria. Amministrato in gran parte dal ministero degli Esteri greco, non si è mai completamente ripreso dalla defezione nel passato dei copti in Egitto e degli etiopi, di mentalità nazionalista e anti-greci. Oggi ha la possibilità di prosperare, grazie al battesimo di centinaia di migliaia di africani neri in un continente di un miliardo di persone. Con vescovi africani, invece che greci, avrà un’opportunità di crescere.

e. La Chiesa di Grecia. Fondata circa 200 anni fa, questa è l’unica tra le prime sette Chiese ad avere un gregge di oltre un milione.

Tutte le suddette Chiese di orientamento greco sono in realtà estensioni del Patriarcato di Costantinopoli, che si occupa dei loro emigrati nella diaspora. In questo senso, possono essere trattate tutte come una Chiesa locale. Infine, ci sono due altre Chiese locali, anche queste con un gregge molto piccolo, che non hanno una diaspora. Queste sono:

f. La Chiesa delle Terre Ceche e di Slovacchia. Essenzialmente popolata da carpato-russi (russini ​​o, in latino, ruteni), è stata molto potenziata negli ultimi anni dall’immigrazione dall’Ucraina.

g. La Chiesa di Polonia. Essenzialmente composta da bielorussi, ucraini e Lemko (carpato-russi che vivono all’interno delle attuali frontiere polacche).

Le due chiese slave di cui sopra sono in realtà, nonostante l’interferenza passata e presente e le pretese del Patriarcato di Costantinopoli, estensioni della Chiesa ortodossa russa. Di fatto, quest’ultimo si prende cura dei loro emigrati della diaspora, nonostante alcune attività missionarie molto limitate dei polacchi ortodossi tra i popoli nativi dell’Europa sud-occidentale. In tal senso, queste due Chiese locali possono essere considerate come parti della Chiesa ortodossa russa.

 

3. Sei Chiese locali che hanno una diaspora, ma nessun desiderio di fondare nuove Chiese locali.

In ordine di grandezza, partendo dalla più piccola, si tratta di:

a. Il Patriarcato di Antiochia. Fino a poco tempo la sua diaspora era molto piccola nell’Europa continentale occidentale, anche se è recentemente aumentata a causa dell’emigrazione e della guerra civile in Siria. Particolarmente negli Stati Uniti e in Inghilterra, è stata caratterizzata da piccoli gruppi di conservatori convertiti dal protestantesimo, alcuni dei quali di ‘rito occidentale’, che vivono in modo piuttosto distinto dalla loro gerarchia araba e in genere non si integrano nella tradizione araba della loro Chiesa madre e nella sua amministrazione centralizzata. Il futuro di questa piccola Chiesa è molto incerto, schiacciata e crocifissa com’è tra islam e uniatismo, tanto più data l’attuale guerra civile in Siria, dove ha risieduto a lungo il suo Patriarca.

b. Il Patriarcato di Costantinopoli. Unico tra le Chiese locali, la maggior parte dei suoi pochi aderenti vive nella diaspora, che non esisteva fino a circa 90 anni fa. In effetti, la creazione divisiva di questa diaspora fu in gran parte una questione di opportunismo politico dopo la rivoluzione russa, quando questo Patriarcato di fatto sostenne apertamente i rinnovazionisti, nemici della Chiesa russa sponsorizzati dai comunisti. Allo stesso tempo, questo Patriarcato ha anche inglobato piccole parti della diaspora russa, principalmente in Francia e in Finlandia, così come parte della diaspora carpato-russa negli Stati Uniti, e ha cercato di fare lo stesso in Polonia e in Cecoslovacchia. Questo opportunismo è continuato dopo la caduta del comunismo e questo Patriarcato si è adoperato per cercare di inglobare parti della diaspora galiziana (ucraina) politicamente dissidente e auto-consacrata, i dissidenti anti-russi in Estonia e in Ucraina occidentale, così come un piccolo gruppo di convertiti anti-russi, soprattutto di provenienza anglicana, in Inghilterra.

Il Patriarcato ha in gran parte fallito in queste misure per crearsi un impero, in quanto non era in grado di camuffare il suo nazionalismo essenzialmente greco (‘filetismo’ in greco), per il quale usava come strumenti la finanza e la politica inglese e poi quella statunitense, e quindi le politiche pro-turche, e, nel modo più scandaloso di tutti, un disastroso compromesso ecumenico. Tuttavia le Chiese non possono essere costruite su intrighi e interferenze politiche. Questo Patriarcato non ha mai dato liberamente l’autocefalia a qualsiasi gruppo etnico, né è stato in grado di fare qualsiasi coerente lavoro missionario nel corso degli ultimi 500 anni. Di conseguenza, ha perso in gran parte i giovani della sua diaspora. Il suo futuro sembra molto fragile, mentre il suo episcopato invecchia e le sue finanze diminuiscono.

c. La Chiesa di Georgia. Si tratta di una piccola Chiesa locale e anche la sua diaspora molto recente e introversa è molto piccola. Quindi, vi è un solo vescovo per tutta l’Europa occidentale.

d. La Chiesa di Bulgaria. Anche questa Chiesa è piccola e anche la sua diaspora molto recente e introversa è molto piccola. Quindi, vi è un solo vescovo per tutta l’Europa occidentale.

e. La Chiesa di Serbia. Anche se la diaspora serba si è stabilita prima della maggior parte delle altre, è sempre stata molto ripiegata su se stessa. Oggi, la Chiesa di Serbia, con gran parte del suo territorio canonico occupato dalla NATO e separato e frammentato da nazionalismi sponsorizzati dall’Unione Europea, è stata forzata ad atti di ecumenismo dal governo serbo pro-Unione Europea. Questa crisi si riflette nella sua diaspora.

f. La Chiesa di Romania. Verosimilmente la seconda più grande Chiesa locale, la Chiesa romena oggi ha un’enorme, anche se in gran parte nuova, diaspora tutta l’Europa occidentale, soprattutto in Italia. Sembra, tuttavia, essere in parte soggetta ad alcuni dei nazionalismi che la Chiesa madre sta vivendo attualmente, incoraggiata dall’Unione Europea.

Le sei Chiese locali di cui sopra sono generalmente caratterizzate da introversione e anche da nazionalismo. È forse simbolico il fatto che le loro forme di canto non ‘si esportano’.

 

4. La quattordicesima Chiesa ortodossa locale

Anche se è di gran lunga la più grande Chiesa ortodossa locale, abbiamo lasciato la Chiesa di Russia per ultima perché è per molti versi unica.

In primo luogo, la Chiesa ortodossa russa, con 164 milioni di membri, comprende circa tre quarti di tutta la Chiesa ortodossa.

In secondo luogo, è di gran lunga la più multinazionale e multilingue delle Chiese locali. All’interno della Federazione russa ci sono le correnti di Mosca, di San Pietroburgo, della Russia Centrale e della Siberia multinazionale. Al di fuori di questo territorio, vi è l’Ucraina, la Bielorussia, la Moldova, la Lettonia, l’Estonia, la multinazionale Chiesa ortodossa russa fuori dalla Russia (ROCOR), per non parlare della Chiesa ortodossa autonoma giapponese, e di quella cinese che per il momento fatica ad esistere. In tutto ha 62 diverse nazionalità al suo interno e un terzo dei suoi membri vive al di fuori della Russia.

In terzo luogo, è la più occidentalizzata delle Chiese locali, come si può vedere dalla sua musica polifonica (musica, non ‘canto’), spesso cantata da donne. Questa è stata ‘esportata’ con relativa facilità in un gran numero di altre lingue. Ma più di questo, con i confini occidentali della Russia esposti all’Occidente, ha affrontato e risposto ad atteggiamenti e filosofie occidentali in modo ortodosso.

In quarto luogo, ha la storia più missionaria di tutte le Chiese locali, sia a est che a ovest. Storicamente, ha predicato l’Ortodossia sul suo confine occidentale, in Ungheria, Russia carpatica, Slovacchia e Polonia, Carelia, Stati baltici, e più di recente sulle sue frontiere orientali, attraverso la Siberia, tra gli Altai, in Yakutia, in Kamchatka, circa 250 anni fa in Alaska, poi in Cina, Corea, Giappone e più di recente in Thailandia. Non solo ha due Chiese autonome, ma anche una Chiesa auto-governata e politicamente indipendente fuori dalla Russia, la ROCOR, che ha quasi 100 anni. Questa ha missioni in molte lingue in tutti i continenti, in Europa Occidentale, Nord e Sud America, Africa, Pakistan e tra gli aborigeni dell’Australia. Inoltre, la ROCOR è stata rafforzata dall’emigrazione di massa dopo il recente crollo dell’ Unione Sovietica, economicamente sicura, ma religiosamente e politicamente tirannica. A seguito di tale crollo, nuovi emigranti hanno stabilito della diaspora anche parrocchie che per il momento sono ancora attaccate alla Chiesa in Russia. Le chiameremo “parrocchie della ROCORIR’, parrocchie della ‘Chiesa ortodossa russa fuori dalla Russia in Russia’. Questo termine particolare indica il loro stato per il momento particolare.

Infine, la Chiesa ortodossa russa ha fondato anche cinque seminari all’estero. Questi sono il seminario della ROCOR presso il monastero di Jordanville negli Stati Uniti, il seminario e il monastero di San Tikhon, anch’esso negli Stati Uniti (per il momento ancora sotto la giurisdizione in frammentazione della O.C.A.), un nuovo seminario a Parigi, stabilito come rappresentanza ortodossa russa dopo varie difficoltà, così come gli istituti St Vladimir’s a New York e Saint-Serge a Parigi, il futuro dei quali è incerto al di fuori della Chiesa madre russa.

 

5. Difficoltà nella diaspora della ROCORIR. Non nascondiamo le difficoltà della diaspora ortodossa russa - noi stessi ne abbiamo sofferto per quarant’anni. Cerchiamo di affrontare il problema nelle sue due parti, in primo luogo, nella sua parte più piccola, soprattutto quella di recente costituzione e ancora direttamente dipendente dalla Chiesa in Russia. Qui, lo sviluppo è frenato da tre fattori. Questi sono:

a. ‘Eredità’ del rinnovazionismo. Il rinnovazionismo (modernismo) è stato ampiamente superato all’interno della Russia, grazie alle ferme attitudini dei Patriarchi Alessio I, Pimen e Alessio II. Tuttavia, al di fuori della Russia, alcuni stanno lottando con l’eredità dei filosofi “religiosi” (Berdiaev, Frank ecc) e di ideologi eretici illusi, alcuni di rango ecclesiale (Bulgakov e altri parigini, che si sono diffusi nel mondo di lingua inglese), tutti viziati dal razionalismo disincarnato, dall’intellettualismo liberale, e dallo gnosticismo e origenismo esoterico. Purtroppo, tra alcuni viventi c’è ancora un culto dei morti, un culto del passato, di modernisti antiquati e morti, un retaggio del passato, che avrebbe dovuto essere ormai sepolto, in particolare perché il rinnovazionismo era molto dannoso e assolutamente divisivo quando i personaggi in questione erano vivi. È tempo di guardare al futuro (come facciamo in questo articolo), non al passato. I vecchi culti della personalità devono essere sostituiti dall’autentica Tradizione della madrepatria, basata sui nuovi martiri e confessori, sui martiri imperiali, su santi vivi, come San Giovanni di Shanghai, non su filosofi morti. Purtroppo, i rinnovatori, per usare le loro stesse parole, non hanno posto sulle loro pareti per le icone di questi santi di Dio.

b. Vecchie attitudini stataliste. Qui c’è ancora molto da fare per superare il passato sovietico. La vecchia mentalità di conquista, imperialista, sopravvive ancora tra alcuni laici, come se fossero alla guida di carri armati sovietici diretti a Berlino. La centralizzazione, la mentalità di ‘una taglia unica per tutti’, nonostante sia stata chiaramente rifiutata nel presente ‘metropolismo’ della Chiesa russa, attira ancora alcuni. Permangono ancora attitudini stataliste nel culto anti-ascetico del lusso tra alcuni individui che pensano di dover imitare l’aristocrazia anti-ecclesiale dei tempi pre-rivoluzionari. Qui, la Chiesa deve tenere i neo-battezzati lontani da una mentalità del genere, legati al comportamento e alla disciplina della Chiesa ortodossa, pronti a imparare dagli altri. Con l’insegnamento e con l’esempio, soprattutto da parte dei vescovi e del clero, tutto questo è possibile.

c. Mancanza di integrazione e di identità culturale. Infine, vi è la mancanza di conoscenza locale e della lingua locale. Questo è un problema per i figli degli emigrati, che non capiscono la lingua delle funzioni e desiderano, per esempio, confessarsi nella lingua locale, non in russo. Questa mancanza di comprensione culturale, come la mancanza di registrazione delle parrocchie, è qualcosa che la ROCOR ha vissuto due o tre generazioni fa, e ha imparato a conoscere. È un vero peccato che le parrocchie della ROCORIR sembrino non avere il desiderio di imparare, facendo uso di precedenti esperienze ortodosse in Russia, preferendo invece spesso l’isolamento. In questo modo, i vecchi errori potrebbero essere evitati, invece di essere ripetuti.

 

6. Difficoltà nella diaspora della ROCOR.

Naturalmente, ci sono anche le difficoltà della diaspora della ROCOR. Anche in questo caso, tre fattori stanno rallentando la Chiesa. Questi sono:

a. Mancanza di comprensione della religione di massa. Perseguitata per decenni, la ROCOR è stata isolata da altre Chiese locali, in gran parte a causa della pressione da parte dello Stato sovietico. Durante questo periodo della guerra fredda, in modo del tutto naturale, si è sviluppata una mentalità da assedio, e perfino, comprensibilmente, una certa paranoia, e tra alcuni una mentalità di ghetto o settaria. Ma non c’è vita nel ghetto o nella setta, ed è per questo che tutti i ghetti e le sette si estinguono. Questo si è visto chiaramente nel 2007, quando un piccolo numero di parrocchie della ROCOR ha rifiutato di riconoscere il pentimento di coloro che si erano compromessi in Russia sotto il regime sovietico. Questi erano coloro che avevano già ostacolato la causa dell’unità per anni. Come risultato del loro isolamento auto-imposto, si è sviluppato tra di loro un nazionalismo politico di destra. Hanno dimenticato che il motto ortodosso russo è ‘Per la fede, per lo zar, per la Rus’, non in un altro ordine. Hanno dimenticato che gran parte del movimento dei russi bianchi e dell’emigrazione politica non era stato per nulla ‘bianco’, come ricordano le prediche di vescovi della ROCOR come San Giovanni di Shanghai e l’arcivescovo Averkij di Syracuse, bensì puramente politico.

Come risultato di questo isolamento, si sono sviluppati atteggiamenti provinciali ed è stata persa una panoramica internazionale di tutta la Chiesa. È stato in questo modo e in questo periodo che alcuni hanno perso la comprensione che la Chiesa è la Chiesa delle masse - così come prima della rivoluzione. In questo contesto, vi è anche l’equivoco dell’ecumenismo. L’ecumenismo come sincretismo è fortemente e chiaramente condannato da tutta la Chiesa russa. Tuttavia, vi è anche un ‘ecumenismo’, come relazioni di buon vicinato, sia a livello locale che a livello internazionale, e questa è una buona cosa. La riverenza per il passato della guerra fredda e il desiderio di vedere la perfezione negli altri, e non in noi stessi, non fanno parte della Chiesa. Ciò che queste piccole minoranze non sono riuscite a capire è che tutta la Chiesa russa condivide lo stesso ideale, la restaurazione della monarchia ortodossa a beneficio di tutti gli ortodossi, ma abbiamo diversi modi di raggiungere questo nobile scopo. Quindi, dobbiamo lavorare insieme. Noi della vera emigrazione ortodossa bianca manteniamo lo Zar nei nostri cuori come una fonte di fede, non come una fonte di stretto nazionalismo politico di destra.

b. Mancanza di finanziamenti. La ROCOR è povera, priva di sponsor e di aiuti di Stato. Ciò significa mancanza di infrastrutture e mancanza di sacerdoti. I giovani sono scoraggiati dal sacerdozio, poiché sanno che vuol dire povertà e doppio lavoro. D’altra parte, dobbiamo ricordare che troppi soldi distruggono la Chiesa, come si può vedere altrove nel mondo ortodosso. Forse dovremmo vedere la mancanza di fondi come una benedizione sotto mentite spoglie.

c. Mancanza di vescovi. Alla ROCOR mancano vescovi. Tuttavia, dobbiamo ricordare che è meglio avere pochi vescovi di qualità rispetto a molti vescovi, se per la maggior parte non sono adatti a essere vescovi per ambizione di potere o di denaro, o per deviazione o incompetenza. La soluzione per trovare vescovi è sempre la stessa - promuovere un’autentica vita monastica.

 

7. Conclusione: la vera rivoluzione russa

È chiaro che entrambe le parti della diaspora russa, la piccola e nuova parte della ROCORIR e la grande e anticamente consolidata parte della ROCOR, hanno bisogno l’una dell’altra: sono complementari. Solo insieme possono formare le fondamenta di nuove Chiese locali. Che sia di gradimento per tutti o meno, resta il fatto che i problemi principali della diaspora possono essere risolti solo da parte della Chiesa ortodossa russa. Solo questa ha la forza dei numeri, una storia multinazionale, le competenze, l’apertura, le infrastrutture, l’esperienza, la finanza, la Tradizione senza compromessi - potenzialmente tutto ciò che serve. Qui c’è la capacità e anche, tra molti, la volontà di fondare nuove Chiese locali. Qui c’è una grande responsabilità per la trasmissione della Tradizione, per trasmettere l’identità ortodossa in tutto il mondo a terre diverse e in lingue diverse.

Questa responsabilità comporta il bilinguismo. Significa superare gli estremi ideologici, sia l’autoaffermazione aggressiva che l’abnegazione aggressiva. La prima conduce al complesso di superiorità del settarismo da ghetto - e alla morte spirituale. La seconda conduce al complesso di inferiorità di assimilazione rinnovazionista - e alla morte spirituale. La prima vuole essere più russa dei russi. La seconda vuole essere più americana (o francese) degli americani (o dei francesi).

C’è un mito che nel 1917 ci sia stata una rivoluzione ‘russa’. Non lo era. Era una rivoluzione occidentale materialista, un anti-rivoluzione russa, che ha avuto luogo in Russia. Così non è stato lo zar russo ad abdicare, ma una parte della Russia, infettata da un’ideologia aliena, ha abdicato da lui. La Terza Internazionale di ispirazione occidentale, come più tardi il Terzo Reich di ispirazione occidentale, volevano schiacciare la terza Roma ortodossa, e diffondere in tutto il mondo il materialismo ateo. Non ci sono riusciti, e la cosa si è conclusa in un disastro. Tuttavia, vi è una vera e propria rivoluzione russa.

Oggi, il completamento della reale rivoluzione russa è possibile. Questa possibilità ha avuto inizio più di trent’anni fa, nel 1981, con la glorificazione da parte della Russia ortodossa libera dei nuovi martiri e confessori. Nel giro di pochi rapidi anni ciò ha determinato il crollo della tirannia atea e il battesimo delle masse. Ma questa era solo la prima tappa. La vera rivoluzione russa ha una seconda fase - che la Russia possa passare dal pentimento di una nominale Ortodossia di massa a un’Ortodossia di massa praticante, e su una scala sconosciuta prima della rivoluzione. Questa seconda fase è ciò che stiamo preparando ora, in questo periodo illogico, in cui in Russia si vede ovunque l’aquila a due teste, ma non c’è uno Zar.

Solo quando questo processo di restaurazione sarà completo potrà avere luogo la vera Terza Internazionale. Solo con l’esempio del pentimento in Russia ci può essere pentimento fuori dalla Russia. La vera Terza Internazionale è infatti l’esportazione dell’Ortodossia senza compromessi, ben oltre le patrie storiche dell’Ortodossia ai quattro angoli della terra, verso la Cina e l’India, l’America Latina, gli Stati Uniti e il Canada, l’Australasia e l’Indonesia, le Filippine, la Thailandia, il Laos, il Nepal e il Pakistan, e l’Europa occidentale. E questa rivoluzione spirituale sarà l’unica vera rivoluzione russa e la diffusione dell’Ortodossia in tutto il mondo sarà l’unica vera Terza Internazionale.

 

Arciprete Andrew Phillips,

Colchester, Essex.

 

Santi Pietro e Paolo, corifei degli apostoli

29 giugno /12 luglio 2012

 

 
Padre Seraphim (Rose) sulla ricezione dei convertiti

Quella che segue è una lettera [1] scritta da padre Seraphim (Rose) a padre Alexey Young - ora divenuto lo ieromonaco Ambrose. Tratta del problema di alcune persone che non accettano i convertiti ricevuti nella Chiesa ortodossa attraverso la cresima o la confessione, ma insistono che tutti devono essere ri-battezzati.

In questa lettera p. Seraphim sottolinea il fatto che i convertiti possono essere ricevuti nella Chiesa attraverso la confessione o la cresima, e denuncia l'opinione che una tale ricezione faccia del convertito un cristiano ortodosso "irregolare" o "incompleto" . Egli sottolinea inoltre che si tratta di una questione in cui dovrebbe essere lasciato al sacerdote e al vescovo decidere come una persona deve essere ricevuta, e che questi non sono affari propri di alcun'altra persona.

Questa lettera riguarda in particolare un problema comune all'Ortodossia di oggi, che si ritrova spesso tra gli ortodossi più fanatici, specialmente nelle comunità monastiche qui in America e all'estero: il nuovo battesimo dei convertiti che erano già stati ricevuti mediante la confessione o la cresima. Questo è un grande male che si sta facendo nella Chiesa di oggi, spesso compiuto in segreto senza il permesso di un vescovo, e influenzato dalle presunzioni infondate di scismatici che hanno ben poco a cuore l'unità e il benessere della Chiesa.

 

28 gennaio / 10 febbraio 1976

Abbiamo dimenticato di chiederti come sta L.M. all'interno della vostra comunità. Le sta venendo un desiderio della vita di una grande città? Mi aveva detto che lei e J.K. non vanno d'accordo, e lei pensa che il motivo deve essere la gelosia. Ma potrebbe essere che J. non sopporti il tipo di persona che è L. - una senza peli sulla lingua, una che ha sempre ragione, che ancora riflette qualcosa dell'atmosfera da serra del tipo "di Boston"? [2]

Ho scritto e parlato con L. in merito a questo approccio da serra all'Ortodossia - pieno di pettegolezzi, sempre al corrente di "cosa sta succedendo", con la "risposta giusta" per ogni cosa secondo ciò che dicono gli "esperti". Comincio a pensare che sia questo il suo problema di fondo, e non padre Panteleimon direttamente.

Un esempio: lei è inorridita dal fatto che T. sia stato ricevuto nella Chiesa [dal cattolicesimo romano] senza battesimo o cresima. "È sbagliato", dice. Ma noi non ci vediamo niente di particolarmente sbagliato, questi sono affari che devono decidere il sacerdote e il vescovo, e non sono affari nostri (tanto più, non sono affari suoi). Il rito con cui è stato ricevuto è stato a lungo approvato dalla Chiesa per economia, e, probabilmente, in questo caso era il modo migliore, perché T. avrebbe esitato molto di più se fosse stato battezzato. La condiscendenza della Chiesa qui era una cosa saggia. Ma L. vorrebbe che qualcuno "leggesse a Vladika Anthony il decreto del Sobor" [su questo argomento]. Mio caro, lui era lì, a comporre quel decreto, che dà esplicitamente al vescovo il permesso di utilizzare l'economia quando vuole! Non ci piace per niente questo atteggiamento, perché introduce un disturbo del tutto inutile nell'atmosfera della chiesa. E se lei si metterà a dire a T. che ora lui non è "veramente" un membro della Chiesa ortodossa, può fare danni incalcolabili a un'anima.

Un altro esempio: L. è stata molto contenta che Q. sia stato battezzato [dopo essere stato un membro della Chiesa russa all'estero già da diversi anni]: Alla fine ha fatto la cosa "giusta"! Ma noi non siamo affatto contenti, vedendo in questo un segno di grande immaturità spirituale da parte di Q. e di stretto fanatismo da parte di coloro che approvano. San Basilio il Grande ha rifiutato di battezzare un uomo che metteva in dubbio la validità del suo battesimo, proprio perché aveva già ricevuto la comunione per molti anni ed era troppo tardi per dubitare allora di essere un membro della Chiesa di Cristo! Nel caso dei nostri convertiti, è ovvio che coloro che insistono o sono persuasi a ricevere il battesimo dopo essere già membri della Chiesa stanno cercando, per un senso di insicurezza, di ricevere qualcosa che il sacramento non dà: sicurezza psicologica, un rimedio ai loro fallimenti passati mentre erano già ortodossi, un appartenenza al "club" di quelli che "hanno ragione", un sistema automatico di "correttezza" spirituale. Ma questo atto getta dubbi sulla Chiesa e sui suoi ministri. Se il sacerdote o il vescovo che riceve queste persone si sono sbagliati (e si sono sbagliati così tanto che l'intero atto di ricezione deve essere rifatto di nuovo!), si crea una sorta di Chiesa all'interno della Chiesa, una cricca che, in contrasto con "la maggior parte dei vescovi e i sacerdoti", ha sempre ragione. E naturalmente, questo è il nostro grande problema di oggi - e ancor più nei giorni a venire. E' molto difficile da combattere, perché questi offrono risposte "chiare e semplici" a ogni domanda, e i nostri convertiti insicuri vi trovano la risposta alle loro esigenze.

A volte ci piace pensare che tutto il "problema di padre Panteleimon" nella nostra Chiesa è solo una questione secondaria, che, alla fine, non sarà così terribilmente importante. Ma più osserviamo, più ci viene da pensare che è molto più grave di quanto si immagina, che di fatto si sta formando un "settarismo ortodosso" a spese della nostra gente semplice. Pertanto, quelli che sono a conoscenza di tutto questo devono essere "zeloti secondo conoscenza." La Chiesa è sopravvissuta a peggiori tentazioni in passato, ma temiamo per i nostri convertiti, perché nella loro semplicità non siano portati in una setta e fuori della Chiesa.

Dio è con noi! Dobbiamo andare avanti con fede.

 

Note:

1. Pubblicata nel libro Letters from Father Seraphim.

2. I riferimenti a "Boston" in questa lettera si riferiscono al monastero scismatico vecchio-calendarista della Santa Trasfigurazione a Brookline, MA. I riferimenti a "padre Panteleimon" si riferiscono al padre fondatore e spirituale di quel monastero.

 
Una chiesa al crocevia di tragedia e speranza

 La chiesa di san Nicola il Taumaturgo prima degli attacchi terroristici

Ancora una volta è autunno a New York - un autunno caldo ma rinfrescante dopo l'estenuante calura estiva. L'azzurro del cielo è trafitto dalla guglia del nuovo World Trade Center a Lower Manhattan. La polizia inonda la città all'avvicinarsi dell'11 settembre. E... una sensazione dolorosa nel tuo cuore. Chiedi alla gente del posto e ti accorgerai che questo sentimento è familiare a molte persone a New York. Non può essere dimenticato, non può essere cancellato dalla loro memoria.

Ma il popolo cristiano ortodosso, sia di newyorkesi sia di turisti, non alzano tanto il collo cercando di contare i piani del grattacielo del World Trade Cemter di recente costruzione, ma piuttosto cerca di vedere -  in mezzo alle masse di gru e di edifici che cercano di superarsi a vicenda in velocità di costruzione - il luogo segnato dall'inizio della ricostruzione di una vittima cristiana dell'attacco terroristico dell'11 settembre: la piccola chiesa greco-ortodossa di san Nicola, sepolta sotto le torri in fiamme che le sono crollate sopra.

Padre Panteleimon Papadopoulos, arcidiacono del capo della Chiesa greco-ortodossa in America, l'arcivescovo Demetrios (Patriarcato di Costantinopoli), è venuto a sapere quello che era successo, insieme a sua Eminenza, mentre erano al di fuori di New York.

"Il 10 settembre del 2001, l'arcivescovo Demetrios era presente a un evento ufficiale della Tufts University di Medford, Massachusetts", ricorda l'arcidiacono Panteleimon. "Il giorno dopo verso le 9 del mattino, quando ci stavamo preparando per andare all'aeroporto Logan e tornare a casa, ho acceso la televisione. Mostrava un edificio di New York in fiamme, ma non ho capito subito cos'era successo. Sono andato dall'Arcivescovo nella sua camera d'albergo e abbiamo acceso la televisione e ho visto le torri del World Trade Center che bruciavano. Nel breve tempo che mi ci è voluto per arrivare da Despota (termine greco affettuoso per "vescovo"), un altro aereo si era schiantato contro il grattacielo.

"Abbiamo anche scoperto dalle notizie che in precedenza due aerei passeggeri erano decollati dallo stesso aeroporto da cui avremmo dovuto partire noi ed erano stati dirottati dai terroristi e si erano schiantati contro le torri del World Trade Center. Potete immaginare lo stato in cui si trovava mia moglie a New York? Nessuno sapeva con quale volo avremmo dovuto tornare! Non potevamo chiamare casa, perché il collegamento con New York era stato tagliato".

In quell'anno, diversi mesi prima, Panteleimon Papadopoulos si era laureato al seminario greco [ortodosso] Santa Croce, era stato ordinato diacono, e aveva cominciato a servire con l'arcivescovo Demetrios e accompagnare il gerarca - che non ama i grandi cortei - nei viaggi.

 

L'arcivescovo Demetrios e l'arcidiacono Panteleimon

Ora, dopo 12 anni, l'arcidiacono Panteleimon - un conoscitore della musica della Chiesa russa - serve come prima con sua Eminenza e supervisiona la scuola di canto bizantino che ha fondato a New York.

Padre Panteleimon è nato nello stato del Connecticut, ma molti anni di vita dei suoi nonni paterni sono collegati con la Russia.

Sua nonna, Melpomeni, di etnia greca del Ponto, è nata a Sochi. Suo nonno, Stephan, è nato a Argyroupol, nella regione del Ponto sul Mar Nero, che si trova sul territorio di quella che oggi è la Turchia. Al tempo del genocidio turco nel 1916, tutta la sua famiglia, con l'eccezione di suo padre, era stata sterminata. Il bisnonno di padre Panteleimon, Haralampos, era un insegnante. Avevano cercato di catturarlo, ma era riuscito a emigrare con il suo figlio di 9 anni sulla costa russa del Mar Nero, e si erano stabiliti a Odessa.

"Il mio bisnonno parlava correntemente russo, greco, e il dialetto del Ponto", racconta padre Panteleimon. "Nel 1917 sono iniziati i disordini anche in Russia, ed è scoppiata la rivoluzione. Una volta mio bisnonno ha detto ai suoi amici: "Perché non vi trasferite al mio paese?", intendendo il Ponto. Qualcuno ha segnalato alla milizia che presumibilmente stava tramando qualcosa contro il governo. I bolscevichi hanno spedito mio bisnonno prima in carcere e poi in un campo di prigionia.

"Così si può dire che mio nonno è rimasto orfano per la seconda volta. Quando hanno liberato il mio bisnonno, lui e suo figlio si sono subito trasferiti nel nord della Grecia, nella città di Ptolemaida. Lì, nonno Stephan è stato il custode della chiesa di santo Stefano per 43 anni."

Uno dei suoi parenti ha calcolato che ci sono stati complessivamente 43 sacerdoti nella famiglia Papadopoulos. Padre Panteleimon può nominare almeno nove dei suoi familiari più stretti, e il cognome Papadopoulos - a parte il fatto che indica una discendenza dalla regione del Ponto - significa "figlio di sacerdote" in greco.

"Quella mattina abbiamo appreso soltanto che c'era stato un attacco terroristico, e che tutti i voli erano stati cancellati", ricorda padre Panteleimon. Abbiamo affittato una macchina e siamo partiti per New York. Abbiamo trascorso una notte nel Connecticut, e la mattina dopo il presidente George Bush ha chiesto ai capi delle [differenti] religioni di andare insieme con lui a Ground Zero. La mattina presto hanno mandato per l'arcivescovo una macchina della polizia, con cui è entrato in New York: l'ingresso alle zone centrali della città era chiuso a tutti gli altri tipi di trasporto.

"Io stesso ho visto il luogo della tragedia 11 giorni dopo l'attacco terroristico. L'arcivescovo Demetrios e io siamo arrivati per servire una panichida (servizio per i defunti) per coloro che erano morti e per vedere il progresso degli scavi sul luogo dove si trovava la nostra chiesa. I dintorni dell'ex World Trade Center assomigliavano a una zona di guerra: abbiamo dovuto passare attraverso diversi cordoni di polizia, dove siamo stati accuratamente controllati....

"Ricordo i due enormi scheletri di edifici del World Trade Center, che erano ancora in fiamme. Centinaia di cameramen. Non dimenticherò mai l'odore: corpi che bruciavano.... era un odore orribile, e il retrogusto in bocca... Particelle di resti umani bruciati volavano attraverso l'aria, e volenti o nolenti le si doveva respirare. La chiesa a tre piani di san Nicola era stata schiacciata dal peso della costruzione caduta e praticamente era scomparsa sotto terra, formando un cratere. Abbiamo servito una panichida per i morti ortodossi. L'arcivescovo Demetrios, prima di tutto, era in ansia per la sorte delle reliquie che l'ultimo imperatore di Russia, Nicola II, aveva donato alla Chiesa: san Nicola di Myra in Licia, san Saba il Santificato, e la grande martire Caterina.

"Il responsabile per lo scavo e l'indagine del territorio sul sito della chiesa si è rivelato essere un greco. L'arcivescovo gli ha chiesto di fare lo scavo il più attentamente possibile, e questi ha assicurato Despota che non avrebbero usato ruspe: hanno scavato e ripulito tutto a mano o con l'ausilio di strumenti delicati. Anche dei soldati erano al lavoro sul luogo colmo di macerie, e si sono avvicinati all'arcivescovo Demetrios chiedendo la sua benedizione.

"Poco dopo la nostra visita a Ground Zero, hanno incominciato ad arrivare chiamate all'Arcidiocesi sugli oggetti trovati presso il sito della chiesa. Da sotto le macerie sono stati recuperati libri in greco, uno dei quali era una Bibbia con le pagine bruciate; una piccola campana; candelabri... Hanno trovato alcune icone: della Madre di Dio "Fonte vivificante" e di san Dionisio di Zante.

Una Bibbia carbonizzata trovata sul luogo della tragedia

 

Candelabro a sette braccia sul luogo della tragedia

 

L'icona miracolosamente conservata della Fonte vivificante

"L'icona della Fonte vivificante si era crepata, ma le lettere, i volti, i colori non avevano perso la loro chiarezza e vivacità. La struttura in metallo e vetro che copriva l'icona di san Dionisio si era sciolta nel calore, ma l'icona stessa, che era fatta solo di carta, per un miracolo era rimasta assolutamente intatta! Hanno trovato perfino candele sotto le macerie - erano piegate, ma non si erano sciolte.

"Con la benedizione dell'arcivescovo Demetrios siamo riusciti a catturare su pellicola le testimonianza materiali di ciò che era parte della vita parrocchiale della chiesa sepolta di san Nicola - il fuoco, l'acqua e i giorni di tragedia a Ground Zero. Per dodici anni, mentre sono andati avanti complessi negoziati con il Dipartimento Trasporti dell'Autorità Portuale di New York per la sorte della futura chiesa, questi oggetti sono stati tenuti sul lato sinistro dell'altare nella cappella privata dei santi Pietro e Paolo nel palazzo dell'Arcidiocesi greca a New York, e saranno tenuti lì fino a quando la nuova chiesa sarà completata. L'icona di San Dionisio è qui, anche se all'altare.

"In tutti i dodici anni, nell'anniversario della tragedia, a pochi passi dal famoso 9/11 Memorial, l'arcivescovo Demetrios ha servito un panichida per il riposo dei più di 50 americani ortodossi di origine ellenica, che erano tra i 3.000 morti. Per dodici anni, alla vigilia della festa di San Nicola, Despota ha compiuto i servizi sul sito della chiesa, così come erano stati serviti da più di 80 anni, quando la chiesa aveva cura di una comunità relativamente piccola di greci - 70 famiglie (senza contare le persone di varie nazionalità - dipendenti del Centro, newyorkesi e visitatori che venivano qui ogni giorno a pregare). Sul sito della chiesa veniva sistemata una tenda, in cui una immagine fotografica dell'altare della chiesa di san Nicola, trasferita su tela, serviva come santuario. Tra il clero che ha servito con sua Eminenza ci sono il rettore della chiesa di san Nicola, padre John Ramos, e l'arcidiacono Panteleimon.

"Una volta, quando partivamo da Ground Zero dopo il servizio", ricorda padre Panteleimon, un corrispondente della CNN ha chiesto a Demetrios, 'la vostra fede non è scossa di fronte a tutta questa tragedia?' 'Scossa?' Ha domandato Despota a sua volta. 'Non ha visto l'effusione di amore che ci circonda? Persone provenienti da tutto il mondo stanno offrendo aiuto nella ricostruzione della chiesa. Una tragedia delle tragedie, ma non ha notato questa incredibile quantità di amore?'

"Quasi subito dopo la perdita della chiesa san Nicola hanno iniziato ad arrivare donazioni e offerte di aiuto", continua padre Panteleimon. 'Da parte del governo greco e di molte altre organizzazioni straniere. L'Associazione Nazionale Americana degli Idraulici ha offerto di fare gratuitamente tutto il lavoro di posa dei tubi. Elettricisti, iconografi, designer di interni e altri lavoratori specializzati hanno promesso il loro aiuto gratis. Il capo delle parrocchie patriarcali russe negli Stati Uniti, il vescovo Paul (Ponomarev, ora metropolita di Ryazan e Mikhailov), ha donato una campana. Nella città di Norwalk, Connecticut, una delle strade porta il nome di san Nicola, e praticamente tutte le persone che ci vivono - non solo i greci ortodossi - hanno inviato un fascio di assegni - donazioni per la costruzione della chiesa.

 

Panichida sul luogo della tragedia

Ma non è certo che qualcuno si immaginasse che la strada per ottenere il permesso di costruire la chiesa si sarebbe trascinata per dieci lunghi anni. Nel 2009 il Dipartimento Trasporti dell'Autorità Portuale di New York, che sta attivamente portando avanti la costruzione a Ground Zero, e che in principio aveva promesso non solo l'area di terreno sotto la chiesa, ma anche un aiuto finanziario, ha rotto unilateralmente i propri accordi con l'Arcidiocesi greca sulla prenotazione di un appezzamento di terreno per la costruzione, e ha messo in dubbio la possibilità stessa di ricostruire la chiesa di San Nicola. Ci sono voluti lunghe trattative, procedimenti giudiziari e indagini prima che l'Autorità Portuale, con l'aiuto del governatore di New York, Andrew Cuomo, firmasse l'accordo definitivo con l'Arcidiocesi greca.

La nuova chiesa è progettata per essere completamente finita entro il 2016 - il 100° anniversario della parrocchia di san Nicola - e diventerà una delle parti più significative del nuovo complesso dell'edificio del World Trade Center. Come prima, la chiesa sarà aperta tutti i giorni per tutti: le persone che lavorano nel quartiere, i residenti, e gli ospiti di New York.

L'arcivescovo Demetrios ha detto che, dopo il completamento della costruzione del World Trade Center, fino a 250.000 persone potrebbero passare ed entrare in chiesa ogni giorno - 70 milioni di persone all'anno! E la nuova chiesa sarà un luogo di preghiera e di conforto per tutti i visitatori di Ground Zero, in primo luogo per le famiglie i cui parenti sono rimasti sepolti sotto le macerie. Infine, le persone saranno in grado di venire, accendere candele e pregare per loro, "perché non hanno altro cimitero; questo è il luogo del loro riposo".

Allo stesso modo, i frammenti delle reliquie dei santi Nicola e Saba e della grande martire Caterina, che erano stati presentati una volta dalla comunità greca in Russia, restano sepolti nel quartiere degli affari della megalopoli. Ma forse sono stati messi lì dalla Provvidenza di Dio, non solo sul luogo di tragedia e di dolore, ma anche di fede, speranza e amore, santificandolo per la costruzione di una nuova casa di Dio nel centro di New York.

 

APPENDICE

New York: risorge la chiesa di San Nicola

di Lilia Lodolini, da New York - 2011

Copia cache dal sito www.lottimista.com

Il Comune di Bari tiene molto al suo Santo Patrono. La dimostrazione è il contributo di trecentomila dollari elargito per la ricostruzione della Chiesa di San Nicola a New York. La chiesa non è cattolica, ma greco-ortodossa e il contributo di Bari  è andato alle autorità ortodosse di New York. La speranza è che finalmente questa struttura possa risorgere a dieci anni dalla distruzione: dieci anni di polemiche e di cavilli legali, dieci anni cominciati la fatale mattina dell’11 settembre 2001. Quel giorno, gli aeroplani dei terroristi islamici distrussero non solo le  due Torri Gemelle, ma anche San Nicola. Era una chiesa piccola e bianca, come tante chiesine – e chi c’è stato le ha viste – sulle colline del Peloponneso.

Negli anni Settanta la chiesa di San Nicola esisteva già da una cinquantina d’anni proprio nel luogo dove sarebbero sorte le famose Torri. Soltanto, la Chiesa di San Nicola – che in America, come in Grecia, chiamano Nicholas – piccola piccola, fu sovrastata da una colossale vicina, la Torre Sud. E quando la Torre venne giù, la chiesa fu schiacciata, ridotta, anche lei, a “quota zero”. Non c`è newyorkese che non abbia nostalgia della chiesina bianca all’ombra della gigantesca Torre. Molti giovani, anche non cristiani ortodossi, sognavano di sposarsi lì. Ma è a noi italiani che la ricostruzione della chiesa interessa in particolare e bene ha fatto il Comune di Bari a dare una spinta con i 300.000 dollari, poiché San Nicola è parte della nostra storia.

Nel 1087 i Turchi  si stavano avvicinando alla Licia, una regione dell’attuale Turchia attuale. Lì si trovava la tomba del Vescovo Nicola, morto in odore di santità dopo il 300 d.C. Dei marinai baresi trafugarono i resti del Vescovo Santo e li portarono a Bari. San Nicola divenne il patrono della città e una splendida cattedrale fu eretta in suo onore: il Santo era, ormai, italiano. Pellegrini di tutta Europa confluirono a Bari e diffusero il culto del Santo nei Paesi d’origine, fino a che San Nicola si trasformò nel mondo anglosassone, e quindi anche in America, nel popolare “Santa Claus”, il nostro Babbo Natale.

Ma sarà proprio vero che la chiesa di San Nicola  sarà ricostruita e quindi riaperta, come si dice, fra due anni? Per saperne di più siamo andati a Brooklyn, il quartiere di New York, al di là dell’East River, proprio di fronte alla punta estrema dell’isola di Manhattan, la punta dove ora c’è Ground Zero e dove una volta c’era San Nicola.

“Miracolo! Miracolo!”: una voce profonda riempie la quiete della domenica mattina alla Schermerhorn Street a Brooklyn. La voce viene da una macchina parcheggiata davanti alla Cattedrale Greco-Ortodossa del quartiere, dedicata ai Santi Costantino ed Elena, che è ancora chiusa. Sono venuta qui perché è nella Cattedrale di Brooklyn che i servizi religiosi della distrutta San Nicola al di là della baia, sono “temporaneamente” sfollati. Un signore alto e grosso, vestito di nero, balza fuori dalla macchina. “Lei voleva parlare con qualcuno della parrocchia di San Nicola? Ebbene, io sono il parroco di San Nicola a Ground Zero. Vengo sempre un po’ presto e anche Lei è venuta presto”. Esuberante, il sacerdote mi mette in mano un santino di San Nicola mentre pronuncia una benedizione in greco e mi benedice col segno della croce come fanno gli Ortodossi. “Ma venga dentro la macchina – mi invita -  staremo più comodi”. In macchina ci sono due signore. Una, Patricia Clissuras, è (ci tiene a dirlo) una semplice parrocchiana. L’altra, Lorraine Ramos, è la “Presbitera”, cioè  la moglie del parroco, l’uomo dalla voce profonda, il reverendo John Ramos.

“Ma la mattina dell’11 settembre c’era qualcuno in chiesa?”, è la mia prima domanda. “Sì”, risponde la Presbitera, e spiega che c’erano due uomini che stavano riparando l’impianto elettrico.  Poi un poliziotto arrivò di corsa e gridò: “Via, via, andate via!” (la Torre Nord crollò prima della Torre Sud) e i due si salvarono. Un bel miracolo di San Nicola!

I ricordi agghiaccianti si mescolano alle previsioni tecniche. Come prima, la chiesa sorgerà sulla Liberty Street, che la divideva dalla Torre Sud, ma sarà qualche decina di metri più a ovest. In questa area, sottoterra, c’è un incrocio di metropolitane, di ferrovie di scambi, che devono poter funzionare, passaggi di sicurezza a cui bisogna poter accedere. Per dieci anni il Sindaco di New York, il Governatore dello Stato di New York, l’Ente dei Trasporti e una miriade di ditte e istituzioni private e pubbliche si sono confrontate su ogni aspetto della ricostruzione, e Ground Zero è ancora tutto un cantiere. Parliamo di divieti, di permessi, di studi che non finiscono mai, non di aspetti finanziari, perché da questo lato la Chiesa Ortodossa deve cavarsela da sola.

Così il piccolo spostamento non preoccupa i parrocchiani di San Nicola, basta  che la chiesa sia davvero ricostruita. “Via della Libertà” – una strada piuttosto stretta – sarà sempre l’unico spartiacque fra la chiesa e “Ground Zero” – che diventerà il nuovo “World Trade Center”, “Centro Mondiale del Commercio” – e la “Torre della Libertà”, attualmente in costruzione, che sta andando sempre più su, arrogante e minacciosa, come una nuova Torre di Babele. La chiesa sarà sempre a due passi dai due laghi quadrati che ricalcano le orme delle due Torri distrutte, le meravigliose Torri ariose e leggere, anche con 100 piani d’altezza, appoggiate com’erano su archi di stile vagamente veneziano. La chiesa sarà vicina a Wall Street, al famigerato Parco Zuccotti dei protestatari, al Municipio di New York, al mare aperto, alla Statua della Libertà, insomma a tutte le cose che caratterizzano New York. Ma la chiesa  come sarà?

Né piccola, né bianca, ma più grande. Costruita come casa  privata nel 1832, poi trasformata in taverna, poi nel 1916, “la chiesa greco-ortodossa di San Nicola – ci spiega Lorraine Ramos, nel 2001, era frequentata da un’ottantina di famiglie e aveva spazio per una cinquantina o sessantina di persone”. I marinai delle navi greche che sbarcavano a New York (In Grecia San Nicola è il patrono dei marinai) visitavano la chiesa, come pure gli impiegati di Wall Street, quando cercavano un po’ di pace dopo il turbinio delle contrattazioni. Ma ora le autorità vogliono una chiesa più grande che abbia uno spazio riservato alla meditazione dei credenti di tutte le fedi. La chiesa, però, è stata sempre aperta a tutti, ortodossi e non,  dicono le due signore, e il mercoledì c’era un servizio speciale proprio per dare un  respiro agli impiegati  in mezzo alla settimana. E gli spazi del nuovo “World Trade Center” non sono appunto destinati alla meditazione, senza distinzioni religiose?

È il politically correct che fa capolino. Ma gli altri edifici religiosi “politicamente corretti” della zona sono ad una certa distanza da Ground Zero. La contestatissima Moschea, di cui abbiamo già parlato l’anno scorso, che, da “Casa Cordova” (il nome della città spagnola sotto i Mori), è diventata l’innocuo “Community Center Park 51” è un esempio del “politicamente corretto”, però  si trova due isolati più a nord. Anche la Chiesa cattolica di San Pietro, la più antica parrocchia cattolica, sorta nel 1785, che ha puntato ha sulla “correttezza politica” con bassorilievi su tutti gli atti terroristici, non solo quelli dell’11 settembre, è a un isolato più a est.

Padre Ramos sta per cominciare il servizio religioso nella Cattedrale di Brooklyn. Le due signore ed io lasciamo la macchina. Dentro, ci accoglie la bella voce del Parroco, spiegata nei canti liturgici. I fedeli stanno arrivando: baci e abbracci a tutti. Portano vassoi coperti di stagnola. Dopo ci sarà un pranzo. Amano  le feste, amano gli amici, credono nei miracoli. Il 6 dicembre, giorno di San Nicola, si riuniranno a Ground Zero sotto una tenda. Penso a quello che mi ha detto Patricia in macchina: “A me non importa niente della Moschea, non mi importa della chiesa più grande. Noi saremo lì, proprio a Ground Zero. La nostra chiesa sarà finalmente una presenza cristiana proprio accanto ai martiri dell’11 settembre: questo è quello che conta”.

 

 
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Recensione cinematografica - Taras Bul'ba (2009)

Nella sezione “Geopolitica ortodossa” dei documenti, presentiamo la nostra recensione cinematografica del film del 2009 Taras Bul'ba, diretto da Vladimir Bortko. Nella valutazione del film, cerchiamo di spiegare soprattutto perché questa produzione cinematografica è rilevante per l'Ortodossia, e aggiungiamo alla recensione e ai collegamenti al film un breve filmato che ci fa vedere ai nostri giorni gli stessi cosacchi tra i quali è ambientata la leggenda di Taras Bul'ba.

 
La repubblica di Macedonia

Il più meridionale degli stati nati dalla dissoluzione della Yugoslavia ha potuto fortunatamente evitare i primi atroci conflitti che hanno insanguinato le altre parti di questo paese, ma fin dal principio ha avuto vita difficile a partire dal proprio stesso nome: "Macedonia" è infatti una denominazione contesa con la Grecia, che vede lesi i diritti della regione settentrionale del proprio paese. Il problema del nome sembra risolto con l'adozione della sigla FYROM (per Former Yugoslavian Republic Of Macedonia, ovvero Repubblica Ex-Yugoslava di Macedonia), ma i problemi per la piena indipendenza di questa repubblica non si sono conclusi, specialmente a fronte di alcune rivendicazioni territoriali avanzate dalla Bulgaria, e a livello di riconoscimento internazionale ufficiale.

La Repubblica di Macedonia, con capitale Skopje, si trova su una terra che nella storia ha spesso cambiato confini ed etnicità. Attualmente è un paese di oltre due milioni di abitanti (con una vasta diaspora, soprattutto nel Nord America e in Australia), dotato di una lingua propria (più vicina al bulgaro che al serbocroato), di ceppo slavo meridionale.

La Repubblica di Macedonia è a larga maggioranza ortodossa, con presenze musulmane e cattolico-romane. la Chiesa ortodossa ha nel paese radici molto antiche: vi si conservano resti di basiliche del V secolo (inclusa quella presso il villaggio di Bardovtsi, nella parte occidentale di Skopje).

Nel VII secolo ebbe inizio la colonizzazione della Macedonia da parte di tribù slave, che furono cristianizzate a partire dal IX secolo con l'opera iniziata dai Santi Cirillo e Metodio, e proseguita dai Vescovi Clemente e Naum di Ocrida (Ohrid). Nella seconda metà dell'XI secolo, a Ohrid fu istituito un Arcivescovado autocefalo, che fu di fatto la più importante sede ortodossa nell'area balcanica nel periodo in cui Costantinopoli cadde sotto la dominazione latina. In seguito, l'Arcivescovado fu ridotto a un rango inferiore per sette secoli, soppresso dai turchi nel 1767, e i suoi territori furono annessi al Patriarcato di Costantinopoli: le popolazioni slavo-macedoni, tuttavia, non hanno cessato di adoperarsi per la restaurazione della propria sede.

Le più recenti rivendicazioni di indipendenza della chiesa macedone sono state rivolte al Patriarcato di Serbia, sotto la cui giurisdizione si è trovata la nuova repubblica nel XX secolo, e sotto cui - almeno nominalmente - si trova tuttora.

Dopo una serie di rifiuti da parte di Belgrado di accettare qualsiasi proposta di indipendenza, si giunse nel 1959 a un riconoscimento dell'autonomia della Chiesa ortodossa macedone, attraverso l'accordo tra il primo arcivescovo di Ohrid e della Macedonia, Dositei, e il Patriarca serbo German (non senza la mediazione del Patriarca Alessio I e della gerarchia della Chiesa ortodossa russa, che fecero da garanti agli accordi).

Nel 1966 le relazioni con la Chiesa serba peggiorarono, e il Santo Sinodo riunito nella chiesa di San Clemente a Ohrid votò unilateralmente (il 17 luglio 1967) l'autocefalia (o indipendenza totale) della Chiesa ortodossa macedone. Tale autocefalia non è stata finora riconosciuta da nessuna altra chiesa ortodossa, né potrà esserlo facilmente finché dura il contenzioso con Belgrado, anche se bisogna riconoscere al Patriarca Pavle - assieme ai suoi molti e luminosi meriti - una certa disponibilità alla risoluzione di questo problema ecclesiastico.

Se la Chiesa ortodossa macedone, finché la sua autocefalia non verrà riconosciuta globalmente dall'ecumene ortodosso, viene considerata in stato di scisma formale, è però altrettanto vero che tale durezza ufficiale non intacca in profondità le relazioni tra gli ortodossi macedoni e quelli di tutte le altre chiese, dalle quali (per citare uno dei suoi stessi documenti) "la Chiesa ortodossa macedone dipenderà sempre per preghiere, benedizione e assistenza". I problemi legati al desiderio di indipendenza del popolo macedone non possono essere assolutamente paragonati a quelli degli scismi separatisti ucraini o di movimenti simili, che hanno creato due (e talora tre o più...) gerarchie in conflitto all'interno degli stessi paesi, e che talvolta hanno cercato di "riciclarsi" all'estero cooptando nei propri ranghi persone e gruppi che non hanno niente a che vedere con le proprie drammatiche storie locali.

Resta solo da augurarsi (soprattutto per i fedeli ortodossi macedoni in diaspora, tra i quali un numero considerevole è ora integrato in Italia) una risoluzione pronta e pacifica del problema dell'autocefalia macedone, che reintegri a pieno titolo questo popolo ortodosso nel consesso dei propri fratelli di fede.

 
Il movimento LGBT "monopolizza" l'arcobaleno – simbolo dell'alleanza e del popolo di Dio

l'arciprete Aleksandr Klimenko, chierico dell'eparchia di Borispol della Chiesa ortodossa ucraina. Foto: uno screenshot dal canale YouTube "KRT Channel"

L'arciprete Aleksandr Klimenko spiega il danno che viene dal tenere sfilate gay.

L'arciprete Aleksandr Klimenko, chierico dell'eparchia di Borispol della Chiesa ortodossa ucraina, spiega il pericolo di tenere sfilate LGBT e attira l'attenzione pubblica sul fatto che i membri di questa comunità hanno "monopolizzato" il simbolo dell'alleanza e del popolo di Dio.

"La sfilata è tenuta dai vincitori. A quanto ho capito, abbiamo già perso? <...> Possiamo permettere a una persona di vivere senza regole? Questi "monopolizzano" il mio arcobaleno, che è dato nell'Antico Testamento come immagine dell'alleanza tra il cielo e la terra, tra Dio e gli esseri umani, in definitiva, un arcobaleno come promemoria per noi di ciò che comporta nella società e in tutto il mondo la violazione delle leggi e dei comandamenti di Dio", ha detto sul canale televisivo KRT.

Il sacerdote ha osservato che ora una persona che non è legata alla comunità LGBT non può più scattare una foto con un arcobaleno, senza rischiare di essere classificata tra i gay o tra coloro che li promuovono. Per esempio, ha ricordato una sua storia personale, quando gli abbonati al suo canale lo hanno tempestato di domande e commenti dopo aver visto una foto in cui l'arciprete Aleksandr stava lanciando in cielo un "aquilone" dei colori dell'arcobaleno.

"Non attribuivo a questo alcuna importanza. Erano i colori dell'arcobaleno <...>. Ascoltate, un arcobaleno! Questo è un ricordo del mio rapporto con Dio, che afferma che questo Testamento con Dio sarà eterno", ha osservato il sacerdote, e ha ricordato che la stessa Bibbia, che contiene una descrizione della storia dell'aspetto dell'arcobaleno, parla chiaramente del peccato delle relazioni LGBT.

L'arciprete Aleksandr ricorda che nell'Antico Testamento, nel libro del Levitico, le relazioni omosessuali sono chiaramente chiamate "abominio" (Lev 18:22).

"Se la società sostiene una certa inclinazione, alla fine una persona riceve il pieno diritto di vantarsi del proprio peccato <...>. Se l'intera società sostiene un qualche tipo di perversione, allora l'intera società diventa l'iniziatrice di tali sfilate. Perché? Una persona riceve un diritto morale interiore di vantarsi del proprio peccato. Perché non hanno avuto alcun impedimento", ha sottolineato il sacerdote.

A conferma, ha ricordato le situazioni che spesso si verificano nella vita di tutti i giorni: i giovani si vantano di bere o di usare droghe perché la maggior parte della loro compagnia approva questa linea di comportamento; gli uomini spesso si vantano in compagnie maschili di aver picchiato le loro mogli e di averle costrette all'obbedienza.

 
Ricordi personali di san Serafino di Vyritsa

Il 3 aprile 2014 è stato il 65° anniversario del giorno del riposo di san [1] Serafino di Vyritsa, il grande santo che ha cura e prega non solo per San Pietroburgo [2], ma per tutta la terra russa. Mia nonna, Tamara Vasil'evna Bakanova, ebbe la fortuna di visitarlo più di una volta, e di cercare e ottenere il suo consiglio. Approfittando dell'occasione, mi accingo a scrivere le sue memorie su San Serafino, che mia madre, la dottoressa Galina Georgievna Vasilik, ricordava e ciò che è stato depositato, a suo tempo, nella mia memoria.

San Serafino di Vyritsa

Vi manderanno via, vi cacceranno fuori

Durante la guerra Vyritsa fu occupata dai tedeschi. Per le preghiere di san Serafino, non vi furono distruzioni o grandi perdite di vite. Ma portarono i bambini del campo dei pionieri, che erano stati catturati a Vyritsa, in un campo di prigionia, dove molti di loro morirono di fame o di maltrattamenti. I tedeschi stabilirono il loro ordine dappertutto. Si stabilirono come signori, come una razza di padroni. Scelsero per loro le case migliori. Ancora oggi, i vecchi chiamano una delle case "casa di Miller", dal nome di uno degli ufficiali che aveva preso alloggio lì. E così, gli ufficiali tedeschi hanno scoperto che viveva a Vyritsa un anziano che poteva predire il futuro, e che conosceva il presente.

Per mera curiosità, alcuni di loro andarono a fare visita a san Serafino a casa sua su Pilny Proezd. Gli chiedevano, "Vecchio, quali case ci consigli di scegliere, perché siano più solide e noi non dobbiamo sprecare soldi per le riparazioni?" Ma san Serafino disse loro: "Quali case? Di che cosa state parlando? Vi manderanno via. Vi cacceranno fuori. E non rivedrete la vostra Germania". I tedeschi si arrabbiarono, e uno di loro tirò fuori la pistola e glie la puntò conto, "Oh, ti spariamo subito, allora!" Ma il santo (che era già costretto a vivere a letto) rispose con calma: "Sparate pure. Mi resta solo poco tempo da vivere. 'Per me vivere è Cristo e morire è un guadagno' (Fil 1,21)". I tedeschi infastiditi sputarono e se ne andarono.

E nel 1944 si compì la profezia di san Serafino: l'esercito sovietico bombardò il flagello tedesco con un fuoco di sbarramento e ripulì le vicinanze della città di san Pietro - compresa Vyritsa - da loro. Dio solo sa dove sono accatastati i resti di sangue blu degli sfortunati visitatori di san Serafino. Si sa soltanto che san Serafino aveva pregato per la vittoria della Russia per mille giorni e notti (praticamente tutta la battaglia di Leningrado).

È un galeotto!

San Serafino di Vyritsa

La famiglia Dementiev era tra i figli spirituali di San Serafino: era composta dalla madre (pare che il suo nome fosse Maria) e da sua figlia Tatiana. Erano una famiglia di mercanti, prima della rivoluzione il padre gestiva un negozio di tè, dove un vero e proprio cinese apriva la porta per i clienti. Dementiev aveva sondato in profondità i segreti dell'arte del tè, e per questo scopo si era recato sia in India sia in Cina. Nel mezzo della Nuova Politica Economica, [3] mandarono Dementiev sotto scorta, come membro della classe agiata. Più tardi cambiarono le politiche e la giovane Unione Sovietica dovette gestire il proprio commercio del tè. Persone provenienti dall'NKVD vennero a chiedere a sua moglie, "Dov'è vostro marito? " Lei si limitò a stringersi nelle spalle, "Voi siete quelli che lo hanno arrestato: voi siete quelli che dovrebbero saperlo". E così scomparve nei campi del nord, portandosi con sé i segreti della sua arte nel permafrost.

Ma la sua vedova rimase per far crescere la piccola Tanja. E la fece crescere. La figlia divenne radiosa, bella, e credente.

Dopo la guerra un giovane iniziò a far la corte a Tanja. Il suo nome era Nikolaj. Candidato [4] in ingegneria, era ricercatore anziano presso un serio istituto di ricerca scientifica, che lavorava per la difesa. Lui la corteggiò splendidamente e con tatto. Ogni volta che la vedeva le portava fiori e, talvolta, altri regali. Era gentile e attento, la visitava ogni giorno, in generale, era il pretendente ideale. Fissarono una data per le nozze in tempi brevi.

Ma Maria, la madre di Tatiana, decise di fare prima un viaggio da San Serafino, non tanto per un parere, quanto per una benedizione, in modo che tutto andasse bene alla giovane coppia. Si avvicinò a padre Serafino e gli chiese:

"Batjushka, mi benedice a dare mia figlia in sposa?"

"A chi?"

"A una brava persona".

"Che tipo di brava persona?"

"Una brava persona. Un ingegnere in un istituto di difesa. E lui è pronto a sposarsi".

E ne fece il nome e cognome. Sentendo questo, San Serafino sospirò piano e agitò la mano:

"A cosa stai pensando, matushka? Capisci a chi stai dando tua figlia? È un galeotto! Un galeotto! Quale matrimonio? Quale incoronazione? [5] Le sue prospettive sono sulla Vladimirka. [6] La Grande Via Siberiana è in serbo per lui".

Maria lasciò Vyritsa sentendosi completamente confusa. Da un lato, non si poteva disobbedire a batjushka; dall'altro, non voleva perdere un buon genero. Ma tra tutte le parole, la frase "È un galeotto" l'aveva colpita. Cercò di ricordare il viso e il comportamento di Nikolaj. Cosa c'era in loro che ricordava un condannato? Il suo aspetto era del tutto ben intenzionato... Tornò da Vyritsa a Leningrado. Non aveva intenzione di dire nulla a sua figlia per un po'.

E poi cominciò ad accadere qualcosa di strano. Prima, Nikolaj chiamava ogni giorno, e veniva a vedere Tatiana quasi ogni giorno. Ma inizò a non chiamare, prima per un giorno intero, poi per due, poi per tre e infine per una settimana intera... Maria e Tatiana cominciarono a preoccuparsi: che cosa significava questo silenzio proprio prima del matrimonio? Poteva davvero aver cambiato idea e perso interesse? Che insulto alla sposa! O era successo qualcosa? Chiamarono l'appartamento dove viveva. Inspiegabilmente, sentirono strane risposte: "Chi siete? Per che cosa lo volete?" Andarono al suo appartamento e sentirono, "Non abita più qui. " E gli inquilini si comnportavano in modo strano e non le guardavano negli occhi.

Infine, Maria decise di fare un passo estremo - andè sul luogo di lavoro di Nikolaj. Là la ricevettero in modo ancora più strano che a casa sua. Tutti la evitarono come la peste. Non le davano una sola risposta diretta alle sue domande. Infine, l'anziano capo del personale, dispiaciuto per lei, la invitò nel suo ufficio e le raccontò quanto segue:

Venne fuori che qualche tempo prima Nikolaj aveva sostenuto la difesa della sua tesi di dottorato. La tesi era brillante. Tutti si erano complimentati con lui, fino a quando venne il turno di un anziano professore. Questi si alzò in piedi e disse: "Amici e colleghi. Non mi interessa, mi resta solo poco di tempo da vivere. Devo dirvi la verità su questa tesi. È un plagio. È stata copiata dal lavoro del nostro ex collega A. M., che io ho seguito" Erano tutti inorriditi: A. M. era stato arrestato in base all'articolo 58. [7] Ma la prova del plagio era pesante e la questione non poteva essere messa a tacere. Poiché il soggetto riguardava un progetto militare segreto, i punti principali del quale erano stati rubati da Nikolaj, il caso aveva suscitato l'interesse delle autorità competenti. E si è scoperto che Nikolaj, dopo aver conosciuto il testo della tesi di A. M., aveva scritto un rapporto contro di lui alle autorità e si era appropriato del suo lavoro e della sua invenzione. E per questo Nikolaj era stato arrestato. La profezia di san Serafino, "È un galeotto", si era così compiuta.

Matushka sfamerà tutti

San Serafino di Vyritsa

Madre Serafina, già moglie di san Serafino, - nel mondo Olga Ivanovna Murav'eva, [8], morì nel 1945. Quando Vasilij Ivanovich Murav'ev (il futuro san Serafino di Vyritsa) e Olga Ivanovna si separarono di comune accordo nel 1920, Olga Ivanovna andò a vivere nel convento di Novodevichy. Dopo la devastazione e la chiusura, e tutta una serie di tentazioni, alla fine arrivò a Vyritsa, dove si prese cura di padre Serafino, che era gravemente malato. Morì il 4/17 aprile 1945 per un ictus esteso.

Molte persone vennero a renderle omaggio e a ricordarla. Era durante un periodo di carestia, e San Serafino non aveva praticamente nulla. La sua assistente si avvicinò a lui e disse: "Batjushka, le persone stanno arrivando dal funerale, ma non abbiamo niente per nutrirle - c'è solo una pentola di kasha di grano saraceno [9]".

Ma san Serafino rispose: "Va bene. Dai quello che c'è. Matushka sfamerà tutti". Durante la sua vita, madre Serafina era stata molto ospitale.

E poi vennero i fedeli, uno dopo l'altro. E a tutti fu dato un piatto di kasha di grano saraceno. L'assistente di padre Serafino iniziò a dar loro da mangiare e vide che il livello della kasha non è si abbassava. Ce n'era abbastanza per tutti. E infine, quando l'ultimo visitatore se ne andò, l'assistente vide che c'era ancora Kasha lungo le pareti della pentola. Un miracolo. Proprio come quando i cinquemila furono nutriti con cinque pani. Corse dallo starets [10] e disse: "Batjushka! Ce n'era abbastanza per tutti. C'è ancora un po' di kasha intorno alla parte interna della pentola. "E san Serafino sorrise e disse: "Beh, ho detto che matushka avrebbe sfamato tutti".

Note deil traduttori

[1] Nel corso dell'articolo, il russo utilizza prepodobny, che è un titolo usato per i santi monastici e significa "più simile (a Dio)". Nella traduzione abbiamo usato il normale "san".

[2] La città di Vyritsa è appena a sud di San Pietroburgo.

[3] Nuova Politica Economica: Una politica in Unione Sovietica negli anni 1922-1928, in cui fu permessa una certa quantità di capitalismo, per cercare di salvare l'economia.

[4] Il grado di candidato è il primo grado post-laurea, equivalente a un dottorato di ricerca occidentale.

[5] In russo, svad'ba è " matrimonio", ma un matrimonio in chiesa è venchanie, o "incoronazione", perché nella cerimonia di nozze ortodossa si mettono corone sulle teste della coppia.

[6] Vladimirka - la strada per Vladimir, cioè, il percorso attraverso il quale i detenuti statali erano inviati in Siberia.

[7] L'articolo 58 nell'URSS: "attività controrivoluzionaria".

[9] Kasha – pasta di cereali cotti, può essere fatta di farina d'avena o di altri cereali. Riso, crema di grano e grano saraceno sono tutte forme di kasha.

[10] Starets – anziano, di solito un monaco, molto esperto nella vita spirituale, spesso con grandi doni spirituali.

 
Madre Thekla: Lettera a un nuovo convertito

Caro “John”,

ho saputo che stai per diventare ortodosso. Io non so niente di te, al di là del fatto che sei inglese.

Prima di andare avanti, c'è un punto che devo chiarire. Non mi hanno detto perché ti stai per convertire, ma ti assicuro che non ne hai alcun motivo, se lo fai per ragioni negative. Troverai altrettante cose "sbagliate" (se non di più) nell'Ortodossia, di quante ne trovi nelle Chiese anglicana o romana.

Così - il primo punto è, sei pronto ad affrontare menzogne, ipocrisia, male e tutto il resto, tanto nell'Ortodossia come in qualsiasi altra religione o confessione?

Ti aspetti una sorta di paradiso terrestre con un sacco di incenso e il giusto tipo di musica?

Ti aspetti di andare direttamente in paradiso se ti fai il segno della Croce lentamente, pomposamente e in forma corretta partendo da destra?

Hai un libro di cucina con tutte le autentiche ricette russe per le festività della Pasqua?

Sei esperto a fare tre baci in ogni occasione possibile o inappropriata?

Ti puoi prosternare con eleganza senza far cadere una serie di oggetti dalle tasche?

Oppure .....

Hai letto i Vangeli?

Ti sei mai messo di fonte a Cristo crocifisso? Hai partecipato in spirito all'Ultima Cena - che  è il significato della Santa Comunione?

E ....

Sei disposto, in tutta umiltà, a capire che in questa vita non riuscirai mai a conoscere al di là della fede, e che la fede significa accettare la verità senza prove? La fede e la conoscenza sono la contraddizione ultima... e l'assorbimento ultimo l'uno nell'altra.

L'Ortodossia vivente si basa sul paradosso, che si riflette nel culto - pubblico o privato.

Noi conosciamo perché crediamo e crediamo perché conosciamo.

Soprattutto, sei disposto ad accettare tutte le cose come se venissero da Dio?

Se il nostro scopo è di essere sempre felici, perché la crocifissione? Sei disposto, qualunque cosa accada, a credere che da qualche parte, in qualche modo, tutto ciò deve avere un senso? Questo non significa resistenza passiva, ma significa vigilanza costante, ascolto di ciò che ti è richiesto e, soprattutto, amore.

Poveri, vecchi, malati, fino all'ultimo respiro, possiamo amare. Non quelle sciocchezze sentimentali spesso confuse con l'amore, ma l'amore del sacrificio - crocifissione interiore dell'avidità, dell'invidia, dell'orgoglio.

E non confondere mai l'amore con il sentimentalismo.

E non confondere mai il culto con l'affettazione.

Sii umile - ama, anche quando è difficile. Non il cosiddetto amore sentimentale - E non trattare il culto della chiesa come una rappresentazione teatrale!

Spero che qualcosa di questo abbia un senso,

Con i miei migliori auguri,

Madre Thekla

(già badessa del Monastero dell'Assunzione, Normanby)

 

Madre Thekla ha scritto quanto sopra nel 2009, all'età di 91 anni.

 
Sulla decima ecclesiastica

La Chiesa è il Corpo di Cristo, e proprio come Cristo ha unito in sé la natura divina e quella umana, nella Chiesa cio che è celeste è unito con ciò che è terreno. La Chiesa non è solo composta da apostoli, santi e pii monaci, ma anche da noi, esattamente nella proporzione in cui sottoponiamo il nostro sé terreno al cielo - "non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (Gal 2:20); nella proporzione in cui viviamo in Cristo. Come il Signore costruisce la sua Chiesa celeste attraverso i santi, così costruisce la Chiesa terrena attraverso di noi.

Ai tempi dell'Antico Testamento, Dio diede al suo popolo comandamenti per mezzo dei quali potevano vivere vite giuste e gradite a Dio. Uno dei comandamenti era la legge della decima. Dopo aver ricevuto benedizioni terrene, il popolo di Dio dava la primizia e la parte migliore: un decimo di tutto quello che possedeva, per la manutenzione del tempio di Dio. Il tempio del Signore era magnifico e i suoi servizi continuavano senza sosta.

Ora che non viviamo più sotto la legge, non siamo tenuti a rispettare i comandamenti dell'Antico Testamento: non dobbiamo mangiare cibi kosher, né siamo costretti a donare il dieci per cento del nostro reddito. Ma Cristo non è venuto ad abolire la legge, ma piuttosto a compierla (Mt 5:17). Cioè, egli è venuto a compiere tutto ciò che perfetto e buono; e ora non è il compimento dei comandamenti che Dio richiede del suo popolo, ma la santità: "Siate dunque perfetti come il Padre vostro celeste è perfetto" (Mt 5:48). Non è più "occhio per occhio", ma "amore" (Mt 22:39).; non più "dare il dieci per cento", ma "In verità vi dico, qualunque cosa avete fatto ad uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l'avete fatto a me" (Mt 25,40).

Fin dal principio, dal tempo dei santi apostoli, la Chiesa di Cristo ha curato gli orfani, nutrito gli affamati, accudito i bisognosi, inviato missionari a quei popoli che non avevano ancora ascoltato il Vangelo: ai romani e ai galati, agli ebrei e ai greci, al franchi e agli slavi. E quante chiese sono state costruite! Quanta cura hanno avuto quei popoli per la casa di Dio! E quanto hanno amato i servizi della Chiesa!

Purtroppo, oggi non molte comunità cristiane ortodosse possono prendersi cura dei poveri, inviare missionari, o anche tenere servizi quotidiani a colui che di continuo si prende cura di noi. I sacerdoti e i diaconi che servono al santo altare sono costretti a lasciare i servizi di Dio e, in violazione del diritto canonico, trovare un lavoro secolare per sfamare se stessi e le loro famiglie. La Chiesa è ora in piedi con la mano tesa, implorando i cristiani (!) di dare al tempio di Dio almeno una piccola parte di ciò che gli appartiene di diritto.

Noi non siamo tenuti a portare un decimo del nostro reddito alla Chiesa; possiamo portare il venti, il trenta, o addirittura il cento per cento, come ha fatto la povera vedova (Mc 12:42-43). Ma possiamo iniziare con un piccolo passo. Possiamo almeno portare tanto quanto gli ebrei dell'Antico Testamento, almeno quel dieci per cento che appartiene di diritto a Dio e non a noi. Ma se non abbiamo tanto zelo per il tempio di Dio quanto ne aveva il popolo dell'Antico Testamento, allora il Signore accetterà e benedirà anche il sette o il cinque per cento o qualsiasi altro importo offerto con un cuore puro. Da qualche parte dobbiamo pure iniziare!

 
Dove dovremmo ascendere?

Il Signore ha abitato sulla terra per quaranta giorni dopo la sua risurrezione. Ma non è rimasto con i discepoli di continuo: è apparso e ha parlato con loro di tanto in tanto, a volte in un'altra forma, per cui gli apostoli non potevano esteriormente riconoscere il loro maestro (Marco 16:12). Così, sulla strada di Emmaus i discepoli riconobbero il Signore solo alla frazione del pane, lamentandosi poi di non aver dato ascolto alla voce del loro cuore che ardeva mentre Gesù parlava con loro lungo la strada. Il Signore, per così dire, ha abituato gli Apostoli a un altro tipo di comunicazione, non come quando parlava e li esortava direttamente, ma una comunicazione trasfigurata e più alta in spirito e verità (Giovanni 4:23).

La vita terrena non può andare avanti per sempre; non è l'obiettivo delle nostre aspirazioni. Noi siamo solo ospiti e vagabondi qui, mentre compiamo la nostra processione verso l'eternità. Ora, quaranta giorni dopo la sua risurrezione, il Signore ci mostra il percorso di questa ascesa attraverso la sua sscensione.

A quanto sembra, il Signore avrebbe potuto semplicemente scomparire, una volta che si era separato dai discepoli, svanendo improvvisamemente nell'aria. Ma ha comandato ai suoi discepoli di salire sul Monte degli Ulivi, dove si è presentato a loro prima di ascendere. Immaginate i discepoli in piedi con la testa rovesciata all'indietro, dimentichi di ogni cosa terrena, che guardano estasiati verso il cielo. Probabilmente non hanno potuto né disperdersi né staccare i loro occhi dal cielo per molto tempo...

Penso che ci sia un significato nascosto, più profondo in questa ascesa, in questo sforzo totale verso l'alto. I cieli spirituali non sono situati, ovviamente, sopra le nostre teste. Dopo tutto, il Signore, non è salito nel cosmo, dove i cosmonauti in seguito "non lo hanno visto", ma in altre altezze insondabili - nel regno che è "dentro di noi." Ma questa differenza con la nostra consueta vita orizzontale si esprime verso l'esterno attraverso un'ascensione verso l'alto, come un promemoria che abbiamo bisogno di sforzarci di andare in alto verso Dio.

Ascensione del Signore

Noi tutti dobbiamo elevarci al di sopra della vanità, al di sopra dell'agitazione, al di sopra delle preoccupazioni quotidiane, e scavalcare le nostre paure umane - la paura, in generale, è falsa - che ci ripetono: "Ma quali preghiere? Ma quale ascensione? Guardatevi intorno: dovete affondare i denti in questo firmamento terrestre, scavarlo con le vostre unghie, per vivere, per esistere, per riprendere il vostro posto sotto il sole!" Questo è un sentimento perfettamente naturale. Ma c'è un motivo per cui l'apostolo Paolo ha detto che l'uomo naturale non eredita ciò che viene dallo Spirito di Dio. Ciò che è "naturale" per noi si trova in conflitto inconciliabile con la chiamata "soprannaturale" alla perfezione.

Il Signore ci dice: Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia (Matteo 6:33). Quanto a quello che mangerete o berrete, o come vi vestirete, tutto questo vi sarà dato in aggiunta. Ma noi facciamo esattamente il contrario: siamo costantemente e diligentemente in cerca di cosa mangiare, cosa bere e come essere vestiti. Ma quanto al Regno di Dio - ebbene, pensiamo, ci sarà in qualche modo dato in aggiunta... Ahimè! Giriamo il comandamento di Dio sottosopra senza nemmeno rendercene conto! Invece di salire a Dio, noi vogliamo che lui scenda nelle nostre tenebre e le "benedica" senza cambiarle o diperderle, le "approvi" e le sanzioni, lasciando le cose esattamente com'erano ... facciamo costantemente e ostinatamente "dèi" a nostra immagine e somiglianza e vogliamo vivere solo come ci piace, nel modo in cui vogliamo, in qualsiasi modo ci sembra giusto e conveniente.

Ricordiamo il canone eucaristico: "Eleviamo i nostri cuori."

Naturalmente, abbiamo bisogno di mettere tutto da parte, almeno qualche volta, e di sollevare il nostro sguardo e il nostro cuore.

Quando guardiamo verso l'alto, non possiamo osservare nulla di terreno; in quel momento, non possiamo nemmeno fare un singolo passo. Ma questo arresto, questa preghiera, questo stare in piedi nello Spirito non è uno spreco inutile di tempo quando potevamo, a quanto sembra, di fare tante cose utili e necessarie. Questo è un momento di incontro, di comunione con Dio. In questa comunione siamo in grado di acquisire la cosa più importante: una chiara visione e comprensione di ciò che dobbiamo fare e come lo dobbiamo fare. E' questa consapevolezza che spesso manca quando ci rigiriamo a fare mille cose contemporaneamente, ma senza veramente fare qualcosa di necessario. Alla fine ci ritroviamo al punto di partenza.

Forse era per portarci a un punto morto, per farci guardare in alto, per dirigere la nostra attenzione verso l'alto, verso Dio, che il Signore ci ha esortato con parole di straordinaria ispirazione quando è asceso al cielo: Ecco, io sono con voi ogni giorno, fino alla fine del mondo (Mt 28,20). Questo significa che l'Ascensione non è né un ritiro né una rottura, ma una chiamata alla trasfigurazione, alla nostra ascesa attiva verso Dio, alla nostra umile ascesa verso l'alto. Seguiamo il Signore nel suo Regno!

 
Perché abbiamo bisogno dei santi e li onoriamo

La Chiesa ortodossa ha una lunga tradizione di offerta di onore ai santi.

Mentre tutto il popolo di Dio, santificato o "messo a parte" dal mondo, può essere adeguatamente definito santo (v. Atti 9:13,32,41; Rm 1,7; 1 Cor 1:2, ecc), ci sono alcuni che sono già glorificati in Cristo, e riposano nella luce increata del regno eterno di Dio.

Questi sono i luminari della Chiesa, che risplendono fra le tenebre del nostro mondo, anche durante questo soggiorno temporaneo. Hanno combattuto la buona battaglia; hanno terminato la gara; hanno mantenuto la fede (2 Tim 4:7). Anche nel loro riposo, sono più vivi in ​​Cristo di noi. Ed è a questi santi conosciuti (e sconosciuti) che noi ci rivolgiamo non solo per ispirazione e incoraggiamento, ma anche per intercessione; come esempi duraturi di come parlare, vivere e morire come Cristo.

Alcuni cristiani obiettano all'idea di onorare i santi, sia che si tratti di venerare le loro reliquie e immagini, o di chiedere la loro preghiera, perché sentono che equivale a ignorare i vivi che sono con noi nella Chiesa qui sulla terra. Essi suggeriscono che il pericolo sta nel "parlare solo con i morti", perché i morti non possono o non vogliono risponderci, reindirizzandoci quando ci allontaniamo dalla via stretta e diritta.

Ma è davvero questo così? Il pericolo è reale, o è una finzione fuorviata? Al contrario, io penso che vi sia un pericolo di gran lunga maggiore senza i santi.

Crescendo tra i battisti del sud, ho passato molto tempo nel gruppo giovanile della nostra parrocchia. Praticamente ogni chiesa battista nella Bible Belt ne ha uno, e sono ambienti in cui adolescenti e giovani adulti non solo socializzano, ma imparano anche di più sulla loro fede. Il leader del gruppo giovanile, spesso un ventenne o giù di lì, neolaureato del seminario, era più di un semplice capo di questi adolescenti; era un modello, un mentore, un confidente e un amico. Molti studenti formavano gran parte della loro identità in base a questa persona, per non parlare della loro identità o speranza come cristiani.

E in questa venerazione di una persona ancora vivente arriva un grande pericolo: Cosa succede quando la persona fallisce? Quando scoppia uno scandalo? Quando c'è un conflitto, o un caotico "distacco" tra la persona e una particolare congregazione?

Questo è accaduto più spesso di quanto mi piaccia ricordare, ed era il risultato di ogni tipo di problema, dalle infedeltà coniugali (relazioni con ragazze adolescenti nel gruppo giovanile, per esempio) ad altre forme di gestione inappropriata, finanziaria o di altro genere. E in seguito, la fede di molti studenti si è degradata. Il loro più grande modello di ruolo, amico e guida spirituale si era rivelato un ciarlatano e un bugiardo. La loro fede personale è stata rovinata proprio come la vita di questo leader o del loro gruppo giovanile.

Questa sorta di tragedia e di perdita di fiducia può verificarsi in una serie di situazioni, ovviamente, e non è limitata a un solo tipo di fede o di organizzazione. Ma il punto rimane che affidarsi a coloro che sono ancora vivi non è sempre una "scommessa sicura." In effetti, la "scommessa" più sicura di tutte consiodte nel guardare a coloro che, come scrive san Paolo, hanno combattuto la buona battaglia e finito la gara, una gara che è posta davanti a ciascuno di noi come cristiani.

E sia in Cristo sia nei suoi santi, abbiamo degli esempi; abbiamo sicurezze di fede, modelli di ruolo che non ci deluderanno. Persone che ci possono aiutare ogni passo del cammino della nostra corsa mortale verso il Paradiso.

Consideriamo per un momento la prospettiva che siate arrestati per la vostra fede cristiana. Immaginate di essere una giovane madre o un padre di tre bambine. Siete costretti a decidere tra due scelte: la prima è quella di vedere le vostre figlie uccise davanti ai vostri occhi, una dopo l'altra. La seconda è quella di rinnegare pubblicamente Cristo, offrendo invece il culto ad un falso dio.

Cosa fate? State a guardare la vita che abbandona i volti delle vostre care figlie, che implorano misericordia? O rinnegate Cristo? Non è facile neppure pensare a uno scenario così orribile, e molti di noi vorrebbero credere di avere la forza spirituale per fare la scelta giusta.

Ma ce l'avremmo? L'avrebbe il nostro clero, i nostri padri spirituali? L'avrebbero i nostri coniugi e i familiari più stretti, quelli da cui non cerchiamo solo guida, ma anche forza emotiva, psichica e spirituale?

Durante la persecuzione dell'imperatore romano Adriano (ca. 126 d.C.), una madre di nome Sofia fu messa effettivamente di fronte a questa decisione: lasciare che le sue figlie fossero uccise, o rinnegare Cristo e adorare Adriano. Come convertite al cristianesimo in Italia, a santa Sofia e alle sue tre figlie - Pistis, Elpida e Agape, di 12, 10 e 9 anni - fu concesso di soffrire per la loro fede. Sofia fu costretta a guardare le sue figlie, dalla più vecchia al più giovane, lentamente torturate e poi decapitate. Dopo tre giorni di lutto sulle loro tombe, Sofia stessa si addormentò in Cristo.

Potete immaginare la sofferenza? L'orrore? Da genitore, io riesco a malapena a stare in piedi quando ci penso. E tuttavia, questo è il motivo per cui abbiamo bisogno dei santi. Questo è il motivo per cui abbiamo bisogno dei loro esempi, non solo come un promemoria di come vivere per Cristo, ma anche come un duro monito di come morire, di come soffrire con Cristo come co-eredi della nostra eredità eterna in lui.

Con Santa Sofia, non dobbiamo chiederci che cosa faremmo noi o chiunque altro. Non dobbiamo rischiare di vedere la nostra fede e speranza scandalizzate dalle scelte sbagliate, anche se incredibilmente difficili, di qualcun altro. Noi non dobbiamo lasciare che la nostra fiducia fiducia si persa del tutto mentre ci troviamo di fronte alla nostra persecuzione o sofferenza qui e ora, nella confusa tensione tra il già e il non ancora.

Con Santa Sofia, e gli orrori che ha subito non solo per il bene della propria salvezza, ma anche di quella delle sue trionfanti figlie martiri, quale situazione nella nostra vita va al di là delle sue intercessioni? Quali circostanze difficili potremo affrontare, che lei stessa non riesca a capire, o con le quali non possa entrare in empatia?

Questo è il motivo per cui onoriamo i santi come Sofia; è per questo che chiediamo le sue sante preghiere e le preghiere delle sue giuste figlie - figlie che sono morte così giovani, ma sono tuttavia vittoriose sulla morte stessa in Gesù Cristo risorto. Abbiamo la certezza che le preghiere dei giusti sono potenti ed efficaci (Giacomo 5:16), e non ci sono giusti più giusti dei santi.

Ancora una volta, onoriamo i santi perché hanno perseverato sino alla fine. Avendo terminato la gara, pregano saggiamente che ogni n nostro passo sia guidato fino al traguardo. Poiché hanno terminato la corsa messa di fronte a loro, riposano ora nella gloria di Cristo in cielo, alla presenza della tutta santa e benedetta Trinità. Un luogo dove non c'è dolore o sofferenza, né tristezza o rimpianto, né morte o malattia.

 
Lasciate che i bambini vengano a me

Per essere onesto con voi, cari lettori, non sono nella mia migliore forma in questo momento. "Perché?", mi potreste chiedere. Per due storie che mi hanno scosso fino in fondo. Entrambe queste storie coinvolgono bambini, ed entrambe sono storie di indicibili sofferenze.

Come molti di voi sanno, c'è un bambino texano, James Younger, che è il prodotto di una famiglia distrutta. Sua madre è una pediatra che pensa che il suo bambino voglia davvero essere una femmina. Veramente. Un medico. Suo padre, meno istruito ma di gran lunga più saggio (e certamente più misericordioso), è fermamente contrario all'idea.

Questo è atroce: il ragazzo in questione sarà trattato forzatamente con ormoni femminili per deformare la sua pubescenza in modo che la sua normale formazione androgenica (perché ha un cromosoma X e Y; se avete bisogno che vi spieghi gli uccelli e le api, vi farò un vlog) non avrà luogo. Per questo acquisirà le caratteristiche sessuali secondarie della femminilità. In altre parole, non avrà spalle larghe, maggiore forza nella parte superiore del corpo, una voce profonda e un pomo d'Adamo. Il colpo di grazia avverrà qualche tempo dopo la pubertà, quando il suo pene sarà plasmato in una vagina.

Quando è iniziato questo dibattito, il bambino aveva cinque anni. Adesso ha otto anni. Cosa succederà se decide di prendere una direzione diversa mentre attraversa la pubertà, non volendo continuare a prendere ormoni femminili? Rimarrà con un micro-pene e avrà problemi di continenza per il resto della sua vita.

E ora veniamo a un'altra, anche peggiore, atrocità. L'altro giorno, un bambino di cinque anni della Carolina del Nord, Cannon Hinnant, era seduto in bicicletta sul prato del vicino di casa. Il vicino, un certo Darius Sessoms, è uscito e gli ha sparato alla testa. Tutto qui.

Tremo di rabbia mentre scrivo queste parole. Entrambi gli atti sono imperdonabili e francamente inimmaginabili. Come siamo arrivati ​​a questo punto?

Per quanto riguarda il bambino in Texas, James Younger, do la colpa a sua madre che a un certo punto era ortodossa, che ci crediate o no. Do la colpa anche all'establishment medico, che nella propria incessante ricerca di ciarlatanerie, ha escogitato una condizione medica fasulla nota come "disforia di gender".

A nessun tatuatore in nessuna parte d'America è permesso esercitare il suo mestiere su un adolescente, nemmeno uno che sta per entrare nei Marines, ma ora medici e chirurghi si stanno allineando a destra e a sinistra per mutilare i bambini. Questi ciarlatani dovrebbero essere sanzionati dall'American Medical Association e il Congresso dovrebbe farli sparire.

Quanto al bambino della Carolina del Nord, Cannon Hinnant, nulla può diminuire la rabbia che provo nei confronti del suo assassino. Mi dispiace, ma è per questo che hanno inventato la pena di morte, che nel caso di Sessoms è ampiamente meritata.

Ma cosa dobbiamo pensare della nostra classe di giornalisti, il nostro tanto decantato "Quarto potere"? Al di fuori di FOX News (sì, ecco: l'ho detto!) c'è il silenzio radio. Hanno più interesse per le elezioni di un consiglio scolastico locale in Uzbekistan. Il motivo, ovviamente, è che si tratta di una violazione dell'appassionata narrativa di san George Floyd, e solleva troppe domande scomode.

Il motto delle corporazioni dei media di oggi potrebbe anche essere: "Fate largo, qui non c'è niente da vedere".

Il motto del New York Times è: "Tutte le notizie che possono essere stampate" quando potrebbe anche essere: "Tutte le notizie che possono essere selezionate".

Questo è ciò che sono diventati i media americani moderni: uno scherzo giornalistico. Il loro compito non è stampare le notizie (a meno che queste non abbiano conseguenze negative sui conservatori) ma curarle, per assicurarsi che certe verità spiacevoli non vedano mai la luce del giorno.

Missione compiuta, bastardi. C'è un posto speciale all'inferno per persone come voi. Sessoms potrebbe benissimo essere pazzo e quindi (legalmente) non colpevole, oppure il suo cranio potrebbe essere stato riempito da tutto l'agit-prop di Black Lives Matter che avete vomitato. Ma voi cretini non avete queste scuse. Tutti voi sapete quello che state facendo, quindi, per quanto mi riguarda, siete proprio colpevoli, nel vostro modo contorto. Non siete diversi dal testimone di un processo che dice di non aver visto i ladri rapinare una banca oppure un ladro di borsette gettare una vecchia signora per strada mentre se ne sta lì a non far nulla. Sono contento che vi stiano licenziando a destra e a manca. Se vi vedrò mentre cercate qualcosa da mangiare in un cassonetto, potrò lanciarvi una monetina. Oppure no.

Signore, abbi misericordia.

George Michalopulos

* * *

Una delle mie serie preferite di libri ortodossi si intitola The Explanation by Blessed Theophylact, tradotto da p. Christopher Stade. La maggior parte di voi probabilmente conosce questa serie in cui viene spiegato ciascuno dei quattro Vangeli, per capitolo e versetto, da un punto di vista ortodosso. (Quanto sono grata a padre Christopher per il suo impegno in questo senso, poiché ciò che pensiamo di sapere spesso non è all'altezza di ciò che dobbiamo sapere). 

"Lasciate che i bambini vengano a me..." viene da Matteo 19:14. Il detto completo è: "Gesù però disse loro: Lasciate che i bambini vengano a me, perché di questi è il regno dei cieli". Secondo il beato Teofilatto, le madri portavano i loro figli perché fossero benedetti dal tocco delle mani del nostro Signore. Ma si accalcavano verso di lui in modo caotico, così i discepoli glielo proibirono. I discepoli pensavano che portargli i bambini diminuisse la sua dignità di Insegnante e Maestro e lui li rimproverò dicendo: "Lasciate che i bambini vengano a me, perché di questi è il regno dei cieli" – I bambini e, come loro, quelli privi di inganni, apparentemente occupano un posto elevato presso il nostro Signore.

Allora perché i bambini sono diventati sacrificabili? Sono sacrificabili con l'aborto, in cui diventano subordinati alle incubatrici umane (esito a chiamarle "madri") che credono che i loro diritti abbiano la precedenza sui diritti del nascituro di Dio. Dove saremmo ora se la Theotokos non se la fosse sentita di portare a termine la gravidanza che le era stata richiesta? E i santi? Se le loro madri avessero pensato che le loro vite erano più importanti della vita che avevano dentro di loro?

Dal momento del concepimento, una donna si rende conto che i suoi desideri e bisogni stanno per prendere il secondo posto rispetto ai desideri e ai bisogni del nascituro affidato alle sue cure. Le madri sperimentano la nausea mattutina, che può, infatti, prenderci in qualsiasi momento, a causa degli ormoni che inondano il nostro corpo permettendoci di portare un bambino. Spesso siamo stanche e di cattivo umore. Con mio figlio ero seriamente anemica: il bambino prende tutto ciò di cui ha bisogno dal meglio di ciò che la madre consuma e alla madre resta ciò che rimane. Vediamo i nostri corpi tesi a proporzioni inimmaginabili e passiamo attraverso quello che può essere descritto solo come il peggior dolore immaginabile per partorire un bambino, che in realtà non è nostro figlio. Il bambino che è affidato alle nostre cure appartiene a Dio, per compiere qualunque scopo Dio intende per loro. Quando il bambino arriva, i familiari e gli amici si riuniscono e portano doni, non per noi, ma per il bambino, mentre noi madri ci meravigliamo del dono Dio ha dato a noi, di proteggere e nutrire questa preziosa vita che egli ha creato a sua immagine.

Ho spesso ammirato la poesia scritta da Kahlil Gibran ne Il profeta, intitolata "Sui bambini" perché rende chiaro che i bambini vengono da noi ma non da noi:

E una donna che teneva un bambino al petto disse: Parlaci dei bambini.

E lui disse: I vostri figli non sono i vostri figli.

Sono i figli e le figlie del desiderio che la Vita ha di se stessa.

Vengono attraverso di voi ma non da voi, e sebbene siano con voi, tuttavia non vi appartengono.

Potete dare loro il vostro amore ma non i vostri pensieri, poiché hanno i loro pensieri.

Potete ospitare i loro corpi ma non le loro anime, poiché le loro anime dimorano nella casa di domani, che non potete visitare, nemmeno nei vostri sogni.

Potete sforzarvi di essere come loro, ma cercate di non renderli come voi.

Perché la vita non va indietro né si attarda con il passato.

Voi siete gli archi dai quali i vostri figli vengono lanciati come frecce viventi.

L'arciere vede il bersaglio sul sentiero dell'infinito e vi piega con la sua potenza affinché le sue frecce possano andare veloci e lontane.

Che la vostra flessione nella mano dell'arciere sia di gioia;

Perché come ama la freccia che vola, così ama anche l'arco che è stabile.

Ma ora, da qualche parte, in qualche modo, le cose sono cambiate così tanto che un bambino, James Younger, è diventato soggetto ai capricci di una donna (che in realtà non è nemmeno la sua madre biologica), che vuole trasformarlo dal bambino che Dio ha creato in un semplice oggetto che crede di poter rimodellare in ciò che vuole. I suoi desideri sono diventati più importanti di ciò che Dio intendeva. Costringere un bambino così piccolo al transgenderismo lo consegna a una vita di ormoni, interventi chirurgici e isolamento, aumentandone il rischio di malattie croniche e problemi di salute mentale, come depressione, ansia e abuso di sostanze.

Nel caso di James, la sua madre legale, un medico che conosce la difficile strada da percorrere, è imperterrita. Crede di saperla più lunga di Dio. Nella sua mente, James è suo figlio e lei può fare con lui tutto ciò che le piace, anche nonostante le obiezioni di suo padre. E il calcio finale nello stomaco è questo: il tribunale è d'accordo con lei. James ora è "Lunna" e sta percorrendo una strada di miseria. Un giudice di Dallas ha tolto la pretesa del padre alle cure mediche, psicologiche e psichiatriche di suo figlio, dando potere esclusivamente alla dottoressa Anne Georgulas, che rivendica il titolo di "madre" quando è tutt'altro.

Possa Dio, nella sua misericordia, proteggere James e ammorbidire l'impatto della sua decisione nei decenni a venire, poiché è stato appena condannato a un ergastolo di dolore e angoscia.  

E poi c'è il piccolo Cannon Hinnant di 5 anni, anche lui oggetto di cronaca, ucciso, a bruciapelo, da un uomo che gli si è avvicinato mentre era seduto sulla sua bicicletta. Non c'è molto da segnalare: un bambino innocente falciato da un pazzo malvagio il cui nome non vale la pena di essere menzionato due volte.

Bambini, entrambi, costretti a dire addio a ciò che Dio intendeva per loro in questa vita.

Nella prossima vita, tuttavia, siamo confortati dal fatto che il nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo sarà lì a fasciare le loro ferite: "Lasciate che i bambini vengano a me, perché di questi è il regno dei cieli" Con lui, saranno liberati e ricostituiti.

Preghiamo...

Gail Michalopulos

 
Metropolita Ioann di Belgorod: abituatevi all’ascesi

Vladyka, benedite! La felicitiamo per la festa dell’icona della Madre di Dio “del Segno”. Ci parli, per favore, dei suoi anni di studio presso l'Accademia Teologica di San Pietroburgo.

La benedizione di Dio sia su tutti gli amministratori, insegnanti e studenti! Se devo parlare brevemente dei miei anni di studio in seminario e in accademia, vorrei dire che in quegli anni - l'inizio, la metà e la fine degli anni 1980 - l'atteggiamento delle autorità sovietiche verso la nostra accademia e seminario variava. Ma, al tempo stesso, si è vista una sorta di passo avanti quando è stato concesso il permesso di ammettere studenti diplomati in istituti di istruzione superiore. Io ero tra questi diplomati, sono entrato in seminario nella classe del secondo anno.

I miei anni di studio sono stati anni di rivelazione. Dopo aver finito l'università, e mentre studiavo alla scuola di specializzazione, ho avuto modo di conoscere le istituzioni di studio laiche e vi ho anche insegnato. Ciò che i docenti del seminario avevano da offrire era differente dagli approcci secolari. Soprattutto, vi era un enorme rispetto per la parola, vi era responsabilità per quello che si diceva, e la necessità di comprendere i concetti di cui si faceva uso.

Ricordo che, se non conoscevi una certa parola, gli insegnanti potevano inviarti alla biblioteca in modo che lo studente potesse tornare e dire l’esatto significato della parola a tutta la classe. L’eccesso di parole non era permesso. Se si considera che c’era una grande quantità di verbosità nell’istruzione sovietica, in cui dogmi ideologici erano più importanti rispetto agli approcci accademici, il seminario addestrava persone in grado di percepire la parola come vivificante e attiva, e non semplicemente come un turbinio d'aria. Perciò i miei anni di studio sono stati anni di istruzione e di formazione dei miei atteggiamenti di base nei confronti di tutto ciò che accade, cercando di comprendere la sua essenza.

Questo è stato molto importante per me come persona, ripeto, che aveva esperienza di istituzioni laiche di apprendimento e aveva insegnato in un istituto.

Vladyka, oggi ha celebrato la Divina Liturgia, pregando accanto al rettore, il vescovo Ambrogio, e al clero, insegnanti e studenti. Sua Grazia, il rettore, le ha fatto fare una visita. Quali cambiamenti ha notato nell’accademia rispetto a quando studiava qui?

Sono felice di vedere che i migliori metodi moderni sono utilizzati nel processo di insegnamento, mentre i servizi tecnici sono adeguati al loro compito. In questo senso, l'accademia è al passo con i tempi. Mi piace l'approccio di studio delle origini, cioè, non limitarsi a consumare le informazioni, ma rintracciare le loro fonti. Con l’abbondanza di informazione che abbiamo oggi, bisogna essere in grado di orientarsi correttamente e rintracciare sia la verità che l’informazione su questo o quest’altro fenomeno. In questo senso, credo che l'accademia stia facendo tutto il possibile per insegnare alla gente non solo a essere consumatori di informazioni, ma anche a essere esigenti, secondo le parole dell'apostolo Giovanni: non credete a ogni spirito, ma provate gli spiriti per sapere se vengono da Dio (1 Giovanni 4:1). È gratificante vedere oggi queste cose tra le mura dell’ Accademia Teologica di San Pietroburgo.

Vladyka, lei è rettore del Seminario Teologico di Belgorod, che ha un orientamento missionario. Ci sono differenze nel programma educativo nel seminario? Quali approcci usa nella formazione dei futuri missionari?

Naturalmente, ci sono differenze. Accanto alle norme ora accettate (è in corso un processo di accreditamento per ottenere la licenza di baccalaureato, e dobbiamo soddisfare gli standard proposti per gli studi teologici), abbiamo anche le nostre caratteristiche speciali, collegate con il fatto che il seminario prepara missionari.

Per esempio, durante gli studi in seminario, praticamente tutti i seminaristi partecipano a praticantati nelle diocesi remote della Chiesa ortodossa russa. A volte questo avviene all'estero, vicino o lontano. I seminaristi partecipano a questi periodi di praticantato, sulla base degli standard di pratica missionaria che abbiamo stabilito. Stiamo agendo secondo la benedizione della gerarchia - sua Santità il Patriarca e il Concilio dei Vescovi - che afferma che la moderna formazione teologica deve avere un carattere missionario. E questo carattere missionario dovrebbe essere dominante. Pertanto, ci sforziamo di ampliare la gamma delle nostre discipline familiarizzando i nostri studenti con le conquiste della psicologia sociale. Vi è uno specifico gruppo di discipline legate alla risoluzione dei conflitti. Vi è anche la conoscenza etnografica, che oggi è essenziale. Questi metodi moderni e le conquiste dell’etnografia sono lì per aiutare i nostri studenti a raggiungere una migliore inculturazione, vale a dire, l'immersione nella cultura dei popoli tra i quali essi svolgeranno la loro missione. Ci sforziamo di garantire che i nostri studenti avranno non solo competenze teoriche, ma anche pratiche. Qui sorgono questioni di sopravvivenza: mandiamo studenti in Chukotka e in Kamchatka, dove durante l'inverno a volte hanno bisogno di viaggiare in slitte trainate da cani. Ci sono altre competenze di comunicazione con la popolazione locale, che richiedono di essere in buona forma fisica. Abbiamo una struttura molto buona per la preparazione fisica dei nostri studenti. Anche questo è molto importante. Ricordo che quando studiavamo qui giocavamo a calcio nel parco con gli studenti dell'Istituto di educazione fisica. A volte vincevamo noi, a volte loro. Tuttavia, non avevamo l'opportunità di impegnarci in una normale educazione fisica. Se non prendiamo in considerazione questi fattori, ci saranno influenze sullo stato mentale degli studenti, e così cerchiamo di prendere tutto questo in considerazione.

Chi, secondo lei, ha più bisogno della missione: gli abitanti di insediamenti remoti o gli abitanti delle grandi città?

Stiamo parlando del Vangelo, di come dovrebbe essere predicato fino agli estremi confini della terra. Quali sono i "confini della terra"? È ovunque il Vangelo non sia stato predicato. Questo non dipende da dove si sta andando a vivere: se in Chukotka o in Kamchatka, o nel mezzo di Mosca o di San Pietroburgo. I confini del mondo sono ovunque il cuore dell'uomo non ha accettato il Vangelo o accettato Cristo.

La predicazione della Buona Novella è impossibile senza esempio personale. Sia i pastori che le comunità parrocchiali possono fornire questo esempio. La creazione di una comunità amichevole e affiatata non è sempre facile. Che consigli potrebbe dare ai pastori giovani a questo proposito? Come si dovrebbe costruire la propria vita pastorale e come si dovrebbe creare una parrocchia?

In primo luogo, i pastori non dovrebbero iniziare a imporre oneri gravi sui fedeli. L'errore più comune dei giovani pastori è che cominciano subito con richieste stravaganti. Dovrebbero applicare tali richieste prima di tutto a se stessi. Successivamente, c’è bisogno di parlare con le persone in un linguaggio semplice e cercare di fare in modo che siano veramente parrocchiani, e non semplicemente visitatori che vengono solo nei giorni di festa più importanti senza prendere parte alla vita della comunità.

Una comunità si crea quando ogni membro ha un mandato, che noi chiamiamo un mandato missionario. Quanti più di questi mandati ci sono, tanto maggiore sarà l'impegno dei membri della comunità nel lavoro sociale, missionario e catechetico della Chiesa nel suo insieme, e più forte diventerà questa comunità. È molto importante che il rettore organizzi adeguatamente la procedura per l'adozione di determinate decisioni. Oggi non ci si può più far guidare dal principio "Io sono il rettore e so meglio del resto della comunità ciò che deve essere fatto." Bisogna abituare le persone a partecipare alla procedura di adozione delle decisioni, bisogna tenere riunioni più spesso, bisogna consultarsi con le persone più spesso sulle cose da fare, su quando la chiesa ha bisogno di essere riparata, e così via. Allora la gente sarà informata di ciò che sta succedendo. In caso contrario, sorgerà la divisione tra gli iniziati e i profani che spesso esiste nelle parrocchie. Non ci sarà una comunità, ma solo una chiesa in cui vengono celebrati i servizi divini, e una comunità in quanto tale esisterà solo durante la celebrazione della Divina Liturgia o di altre funzioni, ma sarà assente al di fuori della chiesa. In condizioni moderne, è essenziale che le persone siano più attive, e questa è la preoccupazione e il compito primario dei pastori.

Vladyka, chi tra i nostri contemporanei chiamerebbe degni missionari il cui esempio vale la pena di emulare?

Ci sono molti lottatori ascetici dei quali non si parla, e che non saranno mai mostrati in televisione. Tali persone servono nell'entroterra. Per esempio, so di alcuni dei miei studenti che sono andati a fare un praticantato in una diocesi o in un’altra, e poi vi sono andati a servire come preti e hanno costruito chiese, servendo tra persone che non avevano mai visto un prete. Ci sono centinaia di esempi di questo tipo. È importante che noi che ci stiamo preparando per il lavoro missionario arricchiamo noi stessi attraverso l'esempio dei missionari precedenti, come ad esempio sant’Innocenzo (Veniaminov), leggendo la suo libro Indicazione del cammino verso il Regno dei Cieli, una magnifica opera che è stata scritta in lingua aleuta e successivamente tradotta in russo, passando per innumerevoli edizioni prima della rivoluzione. Oppure leggendo Ammonizioni a un missionario dell’archimandrita Macario (Glukharev). Tutto questo è fondamentale per noi per acquisire una comprensione di ciò che è il lavoro missionario. Per esempio, i diari di San Nicola del Giappone sono una miniera di informazioni per comunicare con le persone.

A volte ci sembra che le persone siano cambiate. Naturalmente, sono cambiate: forse sono diventati meno sensibili al dolore degli altri, meno amichevoli, oppure l'egoismo è aumentato. Ma l'uomo non è cambiato sostanzialmente: egli è immagine e somiglianza di Dio. Quindi l'eredità dei missionari precedenti è molto importante per noi. Non si può dire che dal momento che utilizziamo metodi nuovi in circostanze moderne - la predicazione a grandi concerti, la partecipazione a eventi sportivi o a gare di velocità, e così via - allora la missione è cambiata. L'uomo, a cui ci stiamo rivolgendo, non è cambiato: egli è immagine e somiglianza di Dio. È un'altra cosa, quando le sue capacità e i suoi talenti non sembrano essere richiesti nella nostra società. Abbiamo bisogno di vedere noi questi talenti e svilupparli in lui. Questo deve essere fatto sul saldo fondamento dell'attività missionaria delle generazioni precedenti.

Vladyka, su cosa consiglierebbe di concentrarsi agli odierni studenti delle scuole teologiche, che sono sulla soglia del loro ministero pastorale nel mondo di oggi?

In primo luogo, suggerirei di abbassare le richieste che stanno imponendo sulle condizioni del loro ministero. Quando stavamo iniziando il nostro ministero l'ambiente sovietico era piuttosto aggressivo e non permetteva nulla. Ora ci sono molte tentazioni di questo mondo, che spesso si trovano come una pietra pesante su anime inesperte. Questa pietra, che si chiama consumo eccessivo e voglia di arricchirsi, oggi appesantisce le gambe dei pastori che si preparano a predicare. Pertanto, abituatevi all'ascesi. In generale, il mondo moderno ha bisogno di una presenza ascetica in tutte le cose. Oggi abbiamo bisogno di predicare questo. Questo non significa il rifiuto di tutti i progressi tecnologici e di tutti i beni. Significa saper misurare ciò di cui l'uomo ha bisogno per la sua vita, con l'obiettivo ultimo della nostra vita umana: la comunione con Dio e la deificazione. Questo è il principio più importante.

Intervista condotta da Stanislav Shardakov

 
La storia e lo sviluppo del dialogo ortodosso-orientale

Parte I

Le dichiarazioni ecumeniche: Sperando in una nuova prospettiva ortodossa

Dopo aver pubblicato due articoli sulla mia conversione all'Ortodossia, ho ricevuto una serie di messaggi interessanti da parte di lettori curiosi di sapere di più sulla storia e la riflessione dogmatica sul dialogo tra la Chiesa ortodossa e le Chiese orientali non calcedoniane. Ho anche ricevuto richieste di ulteriori spiegazioni degli insegnamenti attuali delle Chiese orientali sulla cristologia e la differenza tra la comprensione ortodossa e quella ortodossa orientale della natura di Cristo. Tali questioni devono essere risolte con la verità nella carità (Ef 4:15), così ho deciso di scrivere una serie di articoli in cui discuterò dello sviluppo e dei problemi dell'approccio ecumenico nel XX secolo tra le due Chiese. Spero che questo suggerisca un approccio nuovo e fecondo. Nel prossimo articolo parlerò degli argomenti delle Chiese orientali con le nostre risposte su base storica e dogmatica. Infine, discuterò le implicazioni della cristologia ortodossa rispetto alla cristologia monofisita su diversi dogmi, a partire dai documenti e dagli insegnamenti dei leader monofisiti, al fine di mostrare esattamente le dimensioni delle difficoltà e della deviazione dalla verità di cui soffrono i monofisiti.

Vicolo cieco

Nella sua recente visita in Egitto, il patriarca di Mosca Kirill ha espresso il suo desiderio di proseguire il dialogo teologico tra la Chiesa ortodossa e la Chiesa copta, che è la parte più grande e più influente della Comunione orientale monofisita. Il dialogo è giunto al termine dopo il 1993 perché si è arrivati a un vicolo cieco. Questo è stato in gran parte il risultato di aver preso un approccio sbagliato. Il Patriarcato Ecumenico ha ospitato l’intero dialogo ufficiale e il co-presidente della Commissione mista era il metropolita Damaskinos (Papandreu) di Ginevra. Fino a oggi, la parte monofisita ha nascosto i risultati al proprio popolo e ha fatto numerose dichiarazioni ostili contro le Chiese calcedoniane, non solo la Chiesa ortodossa.

Questo drammatico fallimento era stato previsto dal Patriarcato russo anche prima che il dialogo ufficiale iniziasse a metà degli anni '80. Il Patriarcato russo non ha riconosciuto l’accordo di Chambesy del 1990 e non lo ha incluso nelle sue pubblicazioni ufficiali. Chiaramente, una serie di fattori si sono combinati insieme per spingere l'intera procedura verso questo punto morto. Al fine di evitarli nei nuovi tentativi di dialogo, abbiamo bisogno di far luce su questi fattori.

Compromettere i Padri della Chiesa non può essere una soluzione

Prima di iniziare un dialogo, se ne deve comprendere l'obiettivo. L'idea non deve diventare un tentativo di armonizzare due tradizioni diverse, ma dobbiamo aiutare l'altro lato a scoprire dove si trova la verità nei nostri insegnamenti divinamente ispirati che sono stati tramandati nei secoli dai Padri e dai santi Concili Ecumenici, senza cessare di predicare ogni giorno lo stesso Vangelo con la stessa verità di Cristo. Questa tradizione è la base della Chiesa e comprometterla non può mai essere una soluzione. Sorprendentemente, il paragrafo 9 dell’accordo ufficiale del 1990 stabilisce che "entrambe le tradizioni hanno mantenuto la stessa fede cristologica ortodossa, anche se hanno usato termini diversi", riducendo tutti gli scritti, i concili e l'eredità della Chiesa ortodossa di 1500 anni a quello che hanno chiamato un "equivoco terminologico"!

Tale conclusione mina alla radice tutta l'eredità ortodossa e la credibilità dei Padri della Chiesa, come se questi avessero costruito le loro conclusioni sul monofisismo in quattro Concili ecumenici basandosi su motivazioni politiche, ignoranza o fanatismo. La storia ci dà una visione completamente diversa. I Padri della Chiesa avevano la capacità di aprire un dialogo con una forte volontà di riconciliazione, ma la differenza fu mostrata quando i Padri vollero dare agli scismatici un pane invece di una pietra (cfr. Mt 7, 9). Quando Acacio, patriarca di Costantinopoli, cercò di spostare le basi della riconciliazione al di fuori dell'ortodossia e dell'accettazione del quarto santo Concilio Ecumenico, la Chiesa cattolica subì uno scisma di 35 anni tra Roma e Costantinopoli (484 - 519). Questo è esattamente ciò che vogliono i leader monofisiti, vuole, un’unità che escluda dalla sua base Calcedonia e i nostri Concili ecumenici, come ha detto il patriarca dei copti, Shenouda III: "Non ci dovrebbe essere alcun riferimento esplicito [nella dichiarazione congiunta del 1990] al quarto Concilio Ecumenico o a papa Leone di Roma per ragioni di prudenza pastorale ". [1] I Padri e dottori della Chiesa hanno espresso la dottrina ortodossa su Cristo in conformità con i sette santi Concili Ecumenici. Da Calcedonia nel 451 fino a Nicea nel 787, i Padri e i santi hanno avuto dibattiti e scambi epistolari molto lunghi con i monofisiti. Anche dopo che quel tempo, gli ortodossi hanno mantenuto il loro dialogo con gli scismatici anche sotto il grave assedio islamico di Costantinopoli.

Storicamente parlando, mentre l'argomento della "incomprensione terminologica" è un’innovazione recente, ci sono stati alcuni riferimenti impliciti alle controversie post-calcedoniane. Grandi studiosi come Leonzio di Gerusalemme nelle sue Aporie e San Giovanni di Damasco nei suoi trattati contro gli eretici si riferivano a tali approcci ingannevoli che mirano a trascurare le differenze dogmatiche esistenti. San Massimo il Confessore, che è uno dei più grandi teologi della storia della cristianità, si trovò di fronte ai tentativi di Severo di Antiochia, un eretico monofisita, di manipolare le parole "natura" e "ipostasi". Considerava questi tentativi una sorta di malvagità, [2] mentre Giovanni Damasceno chiede: "Perché si dovrebbero equiparare questi termini nel campo dell'economia?" Ma tornerò a questa domanda nel prossimo articolo.

Mancanza di competenza accademica

Questa situazione ci porta al seguente problema. Il lettore dei documenti presentati nelle commissioni miste non trova - sia nei dialoghi ufficiali che in quelli non ufficiali - un singolo studio sulla cristologia di uno qualsiasi dei Padri della Chiesa. Al contrario, Ioannis Romanidis ha criticato San Leone di Roma per aver dato a Teodoreto la possibilità di parlare. Ha fatto riferimento a Leone come al sostenitore di un eretico e ha detto che "Leone ha seguito Teodoreto come un animale al guinzaglio", mentre il sostegno di Dioscoro a Eutiche era meno sbagliato! [3]

Io ero nella chiesa copta quando ho letto il suo saggio. Ciò significava che le sue parole avrebbero potuto essere prese da me come una vittoria e come una fonte di credibilità per la mia fede copta. Tuttavia, con una ricerca umile e imparziale si può scoprire come il suo motivo anti-papale - come lo ha implicitamente descritto più avanti nel documento stesso - lo ha portato a lanciare questo duro attacco contro uno dei più grandi dottori dell’intera cristianità e come il suo approccio manca di sostegno storico se si effettua un’indagine storica imparziale. Da tale disamina emerge una domanda critica: abbiamo uno studio cristologico e storico di san Leone Magno da presentare ai monofisiti? Romanidis non è riuscito a produrre un tale approccio accademico, quando ha criticato Leone senza leggerlo all'interno del contesto storico e dottrinale, tanto meno il suo errore nel sostenere di sapere che cosa intendeva Dioscoro con "una natura", un significato ortodosso secondo Romanidis, mentre noi non abbiamo quasi nulla che sia sopravvissuto dai suoi scritti! Allo stesso tempo, com’è che trascurare la metodologia accademica può aiutare i monofisiti? Questo è accuratamente descritto dal prof. Theodoros Zisis che descrive tale approccio come "un caso senza precedenti nella storia della Chiesa, quando la Chiesa ortodossa respinge il proprio insegnamento per compiacere gli eretici". [4] A prescindere dal fattore religioso in questione, troviamo un grave problema accademico. Quindi, io sono d'accordo con il saggio del Prof. Zisis, nella sua critica di questo approccio non accademico, in cui dice: "l'amara esperienza delle recenti discussioni inter-confessionali lascia l'impressione che i membri delle delegazioni ortodosse manchino di formazione teologica sistematica, e di conoscenza degli scritti patristici e delle risoluzioni conciliari ». [5]

D'altra parte, io ho personalmente conosciuto il co-presidente dal lato orientale, il metropolita Bishoy [Paissio] di Damietta, insieme con gli altri membri della commissione copta. Tranne il Dr. Joseph M. Faltas, che ha un dottorato in Patrologia all’Università di Atene, nessuno dei membri ha studiato teologia in qualsiasi università. Quando ho discusso quei testi con loro mi sono stupito che non avessero nemmeno letto gli scritti dei loro stessi padri, in particolare gli scritti di Severo, dato che non hanno una conoscenza adeguata della lingua originale greca. Ho dovuto anche fornire a uno di loro le lettere di Severo, recentemente tradotte in inglese.

Nel 2005, una delegazione copta è stata invitata a Mosca per discutere il progetto di proseguire in un dialogo più efficace con la Russia. Tuttavia, il deludente documento presentato dal metropolita Bishoy ha portato a un ritardo e ha ridotto l'interesse ad avere un dialogo professionale. C'è ora una certa volontà di proseguire, ma sotto la supervisione del Patriarcato di Mosca, cosa che sono abbastanza sicuro che permetterà di evitare gli errori del dialogo precedente, che ha portato a questo vicolo cieco.

Nel prossimo articolo, vorrei discutere il contesto storico e dogmatico della controversia e spiegare gli insegnamenti e gli scritti dei monofisiti che ora sono utilizzati in arabo e sono totalmente nascosti alla parte ortodossa. Poi vorrei discutere gli sviluppi dottrinali della comunione orientale basati sulla loro cristologia, che è quello che li porta a condannare altre principali dottrine ortodosse come la deificazione e l'eucaristia.

Note

[1] "Relazione al Santo Sinodo della Chiesa di Grecia per quanto riguarda l'Assemblea della Commissione mista per il dialogo tra la Chiesa ortodossa e le Chiese ortodosse orientali a Ginevra", protocollo n. 416 (1 ottobre 1990), citato da: Santo Monastero di San Gregorio, Gli eretici non calcedoniani, Etna, California 1996 p.9.

[2] "Severo dice disonestamente che l’ipostasi è la stessa cosa della natura", PG vol. xci col. 40A

[3] Ioannis S. Romanidis, Consultazione tra ortodossi e ortodossi orientali: Il supporto di Leone di Roma a Teodoreto, il supporto di Dioscoro di Alessandria a Eutiche e l'abolizione degli anatemi [http://www.romanity.org/htm/ro4enfm.htm]

[4] Citato da: Ludmilla Perepiolkina, Ecumenismo: un sentiero verso la perdizione, San Pietroburgo 1999, p.255

[5] Ibid. p.256

 

Parte II - a

Presupposti storici e dottrinali

Introduzione

Nel precedente articolo, ho parlato dei problemi che hanno sovvertito il dialogo ecumenico. Ho cercato di analizzare perché l'approccio ha portato a un vicolo cieco e ha richiesto un nuovo inizio con un approccio corretto. In breve, ho fatto riferimento alla fallacia dei tentativi di ridurre la differenza tra le cristologie ortodossa e monofisita a un semplice equivoco terminologico. I lettori dovrebbero notare due punti: in primo luogo, questo articolo fa luce sui fatti più importanti, ma non fornisce un studio intensivo su di loro. In secondo luogo, dovrebbe anche essere noto al lettore che le idee seguenti fanno luce sulle questioni fondamentali che sono state, probabilmente in modo voluto, trascurate dalle due parti della Commissione mista di dialogo.

Origini del monofisismo: una storia della formula della natura una

Monofisismo non è un termine che è stato letteralmente usato dai monofisiti. In realtà, è stato utilizzato in seguito dagli studiosi per descrivere un modo di pensare che ha portato la gente a ciò che è chiamato fede nella natura una. Questa convinzione è descritta dalla formula greca mia-physis che significa “una-natura”. La prima obiezione dei monofisiti è la distinzione tra mono e mia. Il primo è il prefisso del nome che i calcedoniani utilizzano per descrivere la fede dei non calcedoniani, mentre il secondo è quello utilizzato nella formula che i non calcedoniani stessi usano. Essi sostengono che la differenza tra il termine usato dai calcedoniani, vale a dire mono, e il termine usato dai non-calcedoniani, vale a dire mia, mostra l'approccio impreciso nel descrivere la fede da loro professata. In realtà, monofisismo è un nome tecnico usato per descrivere i fattori comuni nelle varie forme di fede che si trovano in Eutiche, Dioscoro, i severiani (Severo ei suoi seguaci), e in seguito i non-calcedoniani. Mentre tutti rifiutano la cristologia ortodossa, non tutti condividono lo stesso sistema di fede. In ogni caso, abbiamo bisogno di cominciare a capire le origini della formula mia-physis e il nucleo del monofisismo al suo interno.

Per quanto riguarda l'autenticità di questa formula, i monofisiti credono che essa sia stata usata dai Padri per descrivere l'unità della natura di Cristo in una singola natura incarnata. Storicamente, non riusciamo a trovare un solo Padre della Chiesa che utilizzi tale concetto. Il prominente studioso inglese di patrologia del XX secolo, Henry Chadwick, mette in luce come il linguaggio e la teologia della mia-physis, partendo dagli esempi di Origene, siano stati in seguito utilizzati da Apollinare e poi, come vedremo, dai monofisiti radicali. [1] [2] Nella sua confessione di fede, Eudossio, il vescovo ariano di Costantinopoli, ci fornisce il primo uso conosciuto della cristologia della singola natura composita. Egli dice: "Crediamo in ... l'unico Signore, il Figlio ... che si è fatto carne, ma non uomo. Infatti non ha preso alcuna anima umana, ma si è fatto carne in modo che Dio si rivelasse a noi uomini nella carne come attraverso un velo, non due nature, dal momento che non era un uomo completo, ma Dio nella carne invece di un anima; il tutto è una singola natura per composizione "[3] La stessa idea si trova nelle parole di Luciano, un'altra figura ariana che era vescovo di Alessandria negli anni 373-378. [4] Tuttavia, il primo uso conosciuto di questo termine fu da parte dell'eretico più famoso della storia e dei suoi seguaci, con questo voglio dire Ario.

Questa mia-physis riduce al minimo non solo la divinità di Gesù ma anche la sua umanità, escludendo l'anima umana dalla sua natura umana. Questa sarebbe stata più tardi conosciuta come l'eresia apollinariana, predicata da Apollinare di Laodicea. Nella sua difesa zelante contro l'arianesimo, Apollinare ne ha usato lo stesso linguaggio nel modello che formava il suo insegnamento. Per preservare la personalità unica di Cristo, Apollinare ha ritenuto che la mente umana e l'anima possono formare insieme un'altra persona, così, per evitare di avere due persone o esseri in Cristo, ha negato l'esistenza di un'anima umana o della mente razionale, affermando che il Logos (l'ipostasi del Figlio) ha riempito queste lacune nella natura umana... Ecco perché è stato il primo a predicare nella Chiesa cattolica il termine di una natura composita, la sintesi della mia-physis. [5]

Infine, entro la fine del quarto secolo, Apollinare aveva assicurato la trasformazione del termine mia-physis da una semplice espressione in una solida formula completa. Questa formula è quella usata più tardi dai monofisiti che si attengono ad essa fino a oggi ad esclusione di qualsiasi altra formula e insegnamento. Gli scritti di Apollinare si sono sviluppati fino a raggiungere questa frase controversa: "Così, il Signore non esisteva in due sostanze, ma in una ... L’ortodossia potrebbe essere riassunta nella formula Una natura incarnata del Logos - μία φύσις τοῦ θεοῦ λόγου σεσαρκωμένη (mía phýsis toû theoû lógou sesarkōménē)" [6]

Questa formula di stile stravagante era stata ricevuta negativamente da tutta la Chiesa cattolica, in quanto mina l'unità e la solidarietà del Figlio con la nostra umanità. "Quello che non è stato assunto non può essere restaurato, ciò che è salvato è ciò che è stato unito a Dio", dice San Gregorio di Nazianzo. [7] Lo scioccato e deluso Atanasio di Alessandria, che un tempo aveva pensato che Apollinare fosse suo alleato contro l'arianesimo, scrisse diversi trattati contro la sua convinzione, mentre i Padri della Cappadocia e di Roma iniziarono a scrivere contro quello che è stato chiamato poi una formula e un insegnamento"scomodo". Questo composito natura-una ha mantenuto una cristologia illegittima e deforme. San Gregorio di Nissa ha detto: "Se, dunque, la natura è da osservare nelle proprietà opposte - mi riferisco alle proprietà della carne e della divinità, come possono le due nature essere una?" [8 ] San Gregorio Nazianzeno ha detto: "La combinazione è uno, tuttavia, non è una per natura, ma per unione". [9] Il problema aumentò quando i Padri non solo criticarono l'uso di questa formula, ma la condannarono pure. Alla fine, l’apollinarismo è stato condannato nel primo canone del terzo Concilio ecumenico di Costantinopoli. Per non lasciare spazio all'uso di questa formula anche a prescindere dall’apollinarismo, san Giovanni Crisostomo, che era l'arcivescovo di Costantinopoli, [10] il più alto trono in Oriente, insieme a sant'Ambrogio di Milano [11] in Occidente, scrisse un avvertimento contro l'uso di questa formula "scomoda" e condannando chi la utilizza. La questione è: com’è che questa formula, con il concetto minimo di umanità che detiene, ha trovato la sua strada in scritti su cui si basano i monofisiti per dimostrare la loro autenticità patristica? Decifriamo questo enigma.

Legittimazione della formula natura-una: i falsi apollinariani

Con il patrocinio dell'imperatore Giustiniano, ebbe inizio un intenso dialogo tra calcedoniani e non calcedoniani in tutto l'Impero d'Oriente. Raggiunse il suo culmine dopo il 530, quando i teologi sistematici e gli studiosi di Costantinopoli e di Roma diressero dibattiti con i severiani. L'argomento scioccante che fece trasalire i severiani è il risultato di intensi studi testuali degli scritti patristici, che hanno portato alla conclusione che i testi che citano la mia-physis formula erano stati erroneamente attribuiti a grandi Padri della Chiesa come sant’Atanasio, e che questi scritti non erano altro che falsi apollinariani. [12] In breve, Ipazio di Efeso e il grande studioso Leonzio di Bisanzio diedero un grande contributo nel confrontare i testi apollinariani con i presunti testi pro-miaphysis di Atanasio, Giulio di Roma e altri.

Dai tempi degli antichi filosofi greci fino ai secoli medievali, è noto che diversi testi scritti da sconosciuti o eretici sono stati trasmessi etichettandoli con nomi famosi. Gli esempi famosi nel cristianesimo sono i vangeli gnostici che erano attribuiti agli apostoli mentre erano stati scritti nei secoli successivi. Le falsificazioni apollinariane salvarono i pensieri e le formule di Apollinare usando nomi come Atanasio il Grande e san Cirillo, che si lamentava egli stesso della diffusione di scritti falsi attribuiti ad Atanasio e a lui stesso. Ciò ha portato l'infiltrazione del linguaggio apollinariano (compresa la formula controversa) nei suoi scritti e ha causato gravi danni tra Alessandria e Antiochia in quanto gli antiocheni conoscevano molto bene gli scritti del loro vescovo di Laodicea, Apollinare.

Questo è stato un punto fondamentale nella vita del monofisismo. Grazie alla collaborazione di fattori politici e sociali emersi dal patriarcato di Alessandria, Cirillo è diventato più di un vescovo, è divenuto un grande simbolo di fede per gli egiziani. Stabilendo la formula di riunione con Giovanni di Antiochia, Cirillo faticò a prendere le distanze dall'eredità di Apollinare e le accuse contro di lui fino a quando confessò chiaramente al Papa di Roma che egli professava "Cristo da due nature e in due nature". [13] Mentre lui stesso era una forte personalità carismatica, la determinazione di Cirillo di prendere le distanze dalla terminologia apollinariana sconvolse la corrente radicale in Egitto, che voleva l'indipendenza teologica e politica. A questa corrente mancava un adeguato studio teologico (dato che provenivano dal sud dell'Egitto e non avevano studiato ad Alessandria), cosa che li portò ad attaccare violentemente Cirillo. Cirillo ebbe poi da giustificare la sua posizione. "Non siamo divenuti così pazzi", dice Cirillo, "da anatemizzare i nostri stessi punti di vista, ma ci atteniamo a ciò che abbiamo scritto e al nostro modo di pensare" [14].

Tuttavia, era troppo tardi. La corrente radicale proveniente dal sud e guidata da un monaco di nome Shenouda [Scenute], che aveva distrutto i templi, perseguitato e bruciato tutto ciò che era contro di lui, riuscì a conquistare il sostegno della corrente radicale dei monaci egiziani, tra cui Dioscoro, [15] che sarebbe diventato il successivo patriarca. "Dioscoro", dice il professore di storia ecclesiastica presso l'Università di Edimburgo "fu ricordato come uno dei grandi cattivi della storia ecclesiastica". [16] una milizia armata [17] custodiva i suoi sogni e la sua nuova ideologia radicale si legava al monofisismo con fermezza. In questo modo, il Trono di Alessandria, il più influente in Oriente, è diventato il pulpito dal quale fu predicato il monofisismo, mentre tale formula avrebbe dovuto essere fermata in una piccola città in Asia Minore, chiamata Calcedonia.

Nel prossimo articolo, discuterò l'eredità teologica dei monofisiti e della Chiesa ortodossa, e discuterò in dettaglio il ruolo cruciale delle discussioni di Calcedonia e post-Calcedonia che hanno acuito la situazione attuale.

Note

[1] H. Chadwick, Eucaristia e cristologia nella controversia nestoriana, Journal of Theological Studies, Oxford, NS: 2 (1951) p.145

[2] Citato da Leonzio di Gerusalemme, Contro i monofisiti: testimonianze dei santi e aporie, tradotto e pubblicato da Patrick Gray, Oxford University Press, UK, 2006. P.52

[3] Aloys Grillmeier, Cristo nella tradizione cristiana, Vol.I, John Knox Press, Atlanta, 2a edizione 1975, p. 244

[4] Ibid. p.245

[5] Cfr. la sua opera principale, Trattato sull’Incarnazione 6. cfr. Aloys Grillmeier op. cit. vol. II part2 p. 358

[6] Apollinare Ep. Ad. Jovianum I (Lietzmann pp. 250-1). Citato da WHC Frend, L'ascesa del movimento monofisita, Cambridge University Press, UK 1979, P.116-117

[7] Ep. 101,7

[8] Gregorio di Nissa, Contro Apollinare, ed. F. Mueller

[9] Gregorio di Nazianzo, Orazione 30

[10] 'Nel momento in cui la natura divina abitava così nel corpo, la combinazione completava un Figlio, una persona, conosciuta in maniera indivisa e inconfusa, non in una sola natura, ma in due nature complete. In una natura, del resto, come potrebbe esserci inconfusione? Come potrebbe esserci indivisione? Come si potrebbe mai parlare di unione? Questo è perché la natura una non può essere unita con se stessa, o confusa con se stessa, o divisa da se stessa... Fuggiamo quelli che inventano la favola di una sola natura dopo l'unione. Attraverso l'idea della medesima natura si affrettano ad attribuire la sofferenza al Dio impassibile". Giovanni Crisostomo, lettera a Cesario.

[11] Ambrogio, Spiegazione del Credo. G.H. Ettlinger, Eranistes (Oxford, Clarendon Press, 1975), 163.

[12] Per un approfondimento, vedi Aloys Grillmeier, ibid. p.237 & 358, e anche W H C Frend, op. cit. p.115 - 120. Philip Schaff discute con argomenti come i falsi apollinariani sono stati trovati tra i testi pseudo-atanasiani: http://www.ccel.org/ccel/schaff/npnf204.v.iii.i.html

[13] Cirillo di Alessandria, Lettera 53 a Sisto, Vescovo di Roma, PG76.

[14] Lettera XXXVII, a Teognosto, Patrologia Graeca, vol. LXXVII, Col. 169C; citato in The Non-Chalcedonian Heretics, p. 12.

[15] Dioscoro, patriarca di Alessandria d'Egitto, disse: " Questo paese di 'Egitto' appartiene a me più che agli imperatori e io richiedo la sovranità su di esso." [Citato da Jaques Tagher, Cristiani nell’Egitto musulmano, Oros Verlag 1998, p.3]. Il patriarca e i sacerdoti copti come Scenute dal V secolo condussero campagne contro i loro nemici, distruggendo templi pagani e punendo gli avversari con l'espulsione dalle loro case e proprietà. Vedi: Michael Gaddis, Non c'è crimine per coloro che hanno Cristo, University of California Press 2005.

[16] W. H. C. Frend, op. cit. p.26

[17] Questo nome, in greco "Parabolani", significa volontari per Cristo. Secondo i codici Theodosianus xvi, 2, 42 e Justinianus I, 2, 4, agivano in aiuto dei malati e dei poveri, e più tardi divennero le guardie del patriarca ed ebbero un ruolo violento in vari eventi come una milizia.

 

Parte II - b

Presupposti storici e dottrinali

Introduzione

Nel precedente articolo, ho discusso le obiezioni e le rivendicazioni dei monofisiti sulle origini della loro formula della natura una. In questo articolo, esamineremo l'emergere del movimento monofisita e la vittoria della Chiesa cattolica al santo quarto Concilio Ecumenico di Calcedonia. Tenete a mente che non dscuteremo in dettaglio i verbali dei Concili dal momento che per questo non disponiamo di spazio sufficiente in un articolo. Mi propongo di fare una rapida indagine degli insegnamenti delle principali figure monofisite, i cui nomi sono stati raccomandati dalla Commissione congiunta del dialogo tra le due chiese, perché siano aggiunti ai dittici ortodossi. Infine, mostrerà la coerenza dell'insegnamento attuale delle chiese monofisite con il primo monofisismo, cosa che giustifica totalmente il parere del Patriarcato moscovita.

La fondazione del movimento monofisita: Eutiche e il vescovo tiranno

San Flaviano ed Eutiche: Costantinopoli 448

La storia inizia quando Eusebio di Dorileo, insieme ad alcuni altri, fece una petizione per giudicare Eutiche per i suoi insegnamenti monofisiti. Eutiche era l'abate di un grande monastero e predicava il suo monofisismo nei circoli dei monaci. Flaviano, il Patriarca di Costantinopoli, convocò un concilio locale nella capitale per fronteggiare Eutiche. Tuttavia, Eutiche rifiutò di partecipare quando fu convocato. Flaviano era paziente e rispettoso, e gl'inviò un paio di messaggeri che gli chiedevano di venire, ma Eutiche procrastinava. Alla fine, dopo la terza citazione, sentì di dover andare all’udienza. A Eutiche fu data la possibilità di parlare e spiegare, ma preferì la manipolazione e i giochi di parole. Flaviano alla fine riuscì a spingerlo a confessare la natura della fede che sosteneva. Eutiche elogiò chiaramente la formula mia-physis e condannò il fatto che il Cristo sia consustanziale a noi nella sua umanità. Il paradosso tra gli scritti di Cirillo, che aveva usato la formula mia-physis (influenzato da Apollinare) e la sua formula di riunione con Antiochia (433), che dichiarava le due nature di Cristo, rese urgentemente necessaria una spiegazione scritta della santa Chiesa cattolica. Il Sinodo presentò una formula di fede ortodossa che usa il termine "da due nature", che deriva dalla formula di Cirillo. Così, come vedremo, nel condannare Flaviano, Dioscoro condannava anche Cirillo.

Dioscoro: il vescovo tiranno

Eutiche si appellò a Dioscoro per "mantenere la fede ortodossa". Dioscoro era un ambizioso archimandrita, che aveva guidato la corrente radicale contro Cirillo ed era divenuto patriarca dopo la morte di Cirillo nel 444 d.C. I resoconti alessandrini mostrano che era un uomo corrotto e violento. Una serie di testimoni egiziani sfilò a testimoniare i furto e le violenze che avevano caratterizzato la sua amministrazione episcopale. Un testimone dichiarò: "Nessuno si è salvato dall'esperienza della sua crudeltà e disumanità. Alcuni hanno visto le loro terre devastate quando i loro alberi sono stati abbattuti, altri hanno avuto le loro case distrutte, altri sono stati esiliati, e altri colpiti con multe, altri ancora sono stati cacciati fuori della grande città di Alessandria, come se quella città fosse proprietà personale di Dioscoro". [1] Dioscoro non ha avuto misericordia di nessuno correlato a Cirillo di Alessandria. Ha rubato i loro soldi e ha perseguitato i nipoti e gli amici di Cirillo come fece con Atanasio, il nipote di Cirillo. [2] Nestore, il vescovo di Phragon in Egitto, uno dei responsabili finanziari di Cirillo, accusò Dioscoro di connivenza con Crisafio, un ciambellano corrotto del governo, usando 1.400 libbre d'oro, l'eredità di Cirillo, per i propri fini. [3]

Il Sinodo dei briganti di Efeso - 449

Il vescovo tiranno, Dioscoro, utilizzò l’appello di Eutiche per trascinare Flaviano e il resto dei patriarchi nel suo inferno. Un punto interessante è che il 6 agosto, l'imperatore Teodosio II inviò una lettera a Dioscoro assicurandolo che aveva piena autorità sulle guardie militari, e che non doveva preoccuparsi di dare agli eretici la possibilità di parlare, in quanto "non vi è alcuna libertà di espressione ". [4] In quel tempo il cristianesimo aveva quattro patriarcati apostolici, tra cui Roma. Dioscoro, che voleva prendere in consegna la chiesa di Cristo, scomunicò tutti i Patriarchi e il Papa! Dopo aver ripristinato Eutiche, ammise - contrariamente alle obiezioni dei successivi difensori copti del Sinodo dei briganti - di avere usato la violenza e diede il suo segno a monaci e soldati per iniziare a picchiare i vescovi anziani. Ilario, che era il capo della delegazione romana, gridò in latino "Contradicitur!" L’importante studio di Chadwick sulla morte di San Flaviano ci dice che morì per il dolore fisico dovuto all’assalto dell'esercito che affrontò in seno al Concilio e sulla via dell’esilio tra la fine di agosto e la fine dell'anno 450 d. C. [ 5] Infine, Dioscoro si assicurò la piena vittoria e ordinò - in modo anticanonico - il suo diacono apocrisario Anatolio come patriarca di Costantinopoli. In cambio, Anatolio ordinò Massimo II ad Antiochia, e così Dioscoro ebbe ora un controllo completo su tutto l'Oriente e scomunicò il Papa di Roma, Leone.

Ma Dioscoro era un monofisita o era semplicemente un uomo ambizioso? I documenti storici provano che egli era in realtà in pieno accordo con Eutiche. I monofisiti, e purtroppo Romanidis, hanno cercato di dire che Dioscoro aveva rifiutato la formula "in due nature" ma non quella "da due nature", in quanto la prima non era stata menzionata nella formula di riunione e che, dato che Dioscoro aveva accettato quest'ultima, allora sembrerebbe che non fosse monofisita. Questo non è vero; leggendo i verbali del concilio del 448 nel Sinodo dei briganti del 449, Dioscoro si fermò al termine "da due nature" e disse chiaramente che Flaviano era un nestoriano e che il contenuto della formula di riunione era blasfemo. [6] Inoltre, appena dopo aver sentito il rifiuto di Eutiche di dichiarare che Cristo è consustanziale con noi nella sua umanità, Dioscoro fu abbastanza chiaro, e disse: "Siamo tutti d'accordo con questo". [7] Questo è il cuore del monofisismo, Cristo per loro non è consustanziale con noi nella sua umanità. Indipendentemente dalla questione della completezza della sua umanità, non è per genere come noi. Alla fine, ha senso vedere Dioscoro condannare Flaviano per aver usato la formula di riunione. La scusa dei monofisiti che Dioscoro fu ingannato da Eutiche non spiega la sua condanna di tutta la cristianità ortodossa. Non ha solo ripristinato un eretico, ma ha condannato gli ortodossi. Per questo motivo si è tenuto attaccato alla formula mia-physis.

La vittoria dei valori in seno al Concilio di Calcedonia

Il Concilio convenuto a Calcedonia nel 451 è stato una vittoria di principi e di valori. Il delegato romano gestè il Concilio, dando la possibilità di parlare a tutti, incluso Dioscoro. Pascanio, il capo della delegazione romana, disse che non gli avrebbero fatto quello che egli aveva fatto ai suoi avversari. Il Concilio di Calcedonia ha riportato la dignità e la reputazione dei concili ecumenici cristiani in cui Cristo e il kerygma cristiano sono stati dichiarati al di sopra di ogni considerazione e di ogni persona. Mentre Dioscoro era sostenuto dal potere dell'imperatore Teodosio, il più elevato Senato ufficiale era sostenuto dal diritto e dalla tradizione romana.

Durante il Concilio, la dignitosa legge romana conservò la giustizia e ogni documento, testimonianza ed elemento di prova furono accuratamente testati, a differenza del precedente Sinodo dei briganti che non aveva nemmeno fornito un notaio pubblico. Ogni documento doveva essere esaminato alla luce del Credo di Nicea e dei grandi Santi Padri, tra cui le due lettere canoniche di san Cirillo di Alessandria, che erano state attentamente esaminate indipendentemente dal titolo del suo autore. Il Tomo di Papa Leone, che era stato tradotto in greco, fu fornito a tutti i vescovi per dieci giorni per verificarne la coerenza con gli insegnamenti della Chiesa. A differenza delle azioni di Dioscoro, che aveva deposto Teodoreto e una serie di altri vescovi in loro assenza, il Concilio di Calcedonia convocò Teodoreto e lesse attentamente i suoi scritti. Alla luce della loro coerenza e la condanna pubblica di Nestorio fatta da Teodoreto, gli fu data la sua occasione completo di meritare di essere restaurato. I parenti alessandrini di Cirillo insieme con i laici che erano stati perseguitati da Dioscoro, si aspettavano che fosse abbastanza coraggioso da partecipare al Concilio, ma non lo fece. Così fu data loro la possibilità di esprimere la verità senza alcun timore della violenza del loro vescovo. Tali alessandrini erano l'essenza del coraggio, perché continuarono il Trono apostolico di Alessandria sotto la persecuzione dei monofisiti che uccisero san Proterio, il primo vescovo ortodosso di Alessandria dopo la deposizione di Dioscoro.

Tutti i vescovi egiziani riconobbero la validità del Tomo, e quattro di loro lo approvarono ufficialmente. Il resto pregò il senato del Concilio di salvarli dalla violenza e umiliazione che potevano trovarsi ad affrontare per mano dei seguaci di Dioscoro in Egitto, se lo approvavano pubblicamente. Essi erano a conoscenza della sorte dell’eroe ortodosso Proterio e degli uomini coraggiosi di Alessandria. Teodoreto dimostrò di avere una conoscenza ancora migliore della loro degli scritti di Cirillo e riuscì a confutarli pubblicamente con gli estratti delle opere di Cirillo. I monofisiti sapevano quanto avevano deviato dalla verità e quanto Cirillo non appartenesse a loro.

Il leader del gruppo che aveva assassinato Proterio, Timoteo "il gatto", fu eletto nel 457 patriarca di monofisiti. Timoteo condannò san Cirillo a causa degli accordi di riunione: " Cirillo [...] dopo aver ottimamente articolata la sapiente proclamazione dell'Ortodossia, ha mostrato di essere volubile e deve essere condannato per l'insegnamento di dottrina contraria: dopo avere in precedenza proposto che si debba parlare di una natura di Dio Verbo, ha distrutto il dogma che aveva formulato ed è stato colto a professare due nature di Cristo" [8] Anche Severo di Antiochia, famosa figura monofisita, condannò san Cirillo di Alessandria insieme con tutti i santi Padri dicendo: "Le formule utilizzate dai santi Padri in materia di due nature unite in Cristo dovrebbero essere scartate, anche se sono di Cirillo". [9]

Nella parte successiva e ultima della serie, prenderemo in esame i testi classici dei monofisiti importanti da Severo di Antiochia del VI secolo fino agli scritti attuali di studiosi monofisiti, al fine di dimostrare la continuità dello spirito monofisita sia attraverso le esplicite dichiarazioni cristologiche e le implicazioni in altri campi della teologia cristiana.

Note

[1] Un esempio rappresentativo, dal libello presentato dal diacono Ischirio: ACO 2.1.3.51. Sulla politica ecclesiastica di Alessandria vedere Haas 1997, e in particolare sull’episcopato di Dioscoro vedere T. Gregory 1979, pp 175-192. citato da M. Gaddis, Non c'è crimine per coloro che hanno Cristo, University of California Press, 2005 p.319

[2] Il trattamento scandaloso di Atanasio fu segnalato da lui in una lettera al Concilio di Calcedonia: ACO 2. I.

[3] Citato da WHC Frend, L'ascesa del movimento monofisita, Cambridge University Press, UK 1979, P. 28

[4] Lettera di Teodosio a Dioscoro, il 6 agosto 449: ACO 2.1.1.52. citato da Gaddis M. op. cit. P.299

[5] H. Chadwick, L'esilio e la morte di Flaviano di Costantinopoli: un prologo al Concilio di Calcedonia, The Journal of Theological Studies 1955 VI (1) :17-34, doi: 10.1093/jts/VI.1.17

[6] Gli Atti del Concilio di Calcedonia, vol. 1 Liverpool University press vol.1 p.304

[7] Ibid. p.221-222

[8] Timoteo Ailouros, "Epistola a Kalonymos," Patrologia Graeca, Vol. LXXXVI, Col. 276, citato in The Non Chalcedonian Heretics, Center for Traditionalist Orthodox Studies, California 1996, p. 13

[9] Patrologia Graeca, vol. LXXXIX, Col. 103D. Sant’Anastasio del Sinai conserva questa citazione di Severo nelle sue opere, citato in The Non Chalcedonian Heretics, op. cit. p. 12

 

Parte III

Il monofisismo, ieri e oggi

Introduzione

Nella parte precedente, ho discusso le origini storiche del movimento monofisita e di come il Concilio di Calcedonia abbia fermato la sua marcia verso una completa conquista della cristianità. In questo articolo voglio dimostrare come il monofisismo è stato un vero e proprio movimento ideologico e come continua fino ad oggi negli insegnamenti delle chiese anti-calcedoniane.

Un caos al di fuori di Calcedonia: monofisismi diversi?

Dopo Calcedonia e la deposizione di Dioscoro, i monofisiti erano frammentati. Non c'era una singola entità monofisita rigida. La cristologia monofisita prese del tempo per sviluppars nelle sue varie forme. Tuttavia, tutte queste forme condividevano un’antipatia nei confronti del Concilio di Calcedonia e della consustanzialità di Cristo con l'uomo nella sua umanità.

Questo è il cuore del monofisismo, Cristo non è consustanziale con noi nella sua umanità. Indipendentemente dalla questione della completezza della sua umanità, non è per genere come noi. Questo concetto è il punto di partenza per ogni studioso monofisita. In seguito il lettore scoprirà che le deviazioni tra di loro possono portarli a considerarsi l’un l’altro come eretici.

Il monofisismo radicale

La prima corrente del monofisismo è quella radicale ed è attribuita ad Eutiche e a Dioscoro. L'assistente antiocheno di Dioscoro, Barsumas, ha detto: "se il sangue del Figlio Unigenito Crocifisso fosse stato della stessa natura del sangue dei figli di Adamo, come potrebbe aver espiato i peccati dei figli di Adamo?" [1] Un frammento di pensiero di Dioscoro è conservato negli "Antirrhetica" di Niceforo (Spicil. Solesm, IV, 380.), e chiede: "Se il sangue di Cristo non è per natura [kata physin] di Dio e non dell’uomo, cosa lo fa differire dal sangue dei capri e dei vitelli e dalla cenere di una giovenca? Questi sono terreni e corruttibili, e il sangue dell'uomo secondo natura è terreno e corruttibile, ma Dio non voglia che si debba dire il Sangue di Cristo è consustanziale con una di quelle cose che sono secondo natura ". [2] Anche nelle lettere a lui attribuite dagli storici monofisiti, Dioscoro si asteneva dal confessare la doppia consustanzialità. [3]

Questo tipo di monofisismo radicale vive ancora oggi, come vedremo, nella Chiesa copta. Non è condiviso dai siriani che sono fedeli alla più importante figura monofisita nella storia, Severo di Antiochia.

Severo di Antiochia: monofisismo con elementi nestoriani

Un uomo violento che guidava milizie e diffondeva terrore tra i suoi avversari, sostenuto dall'imperatore Anastasio che aveva abbracciato il monofisismo, Severo divenne il patriarca di Antiochia intorno all'anno 512. Scrisse alcune polemiche interessanti che spiegano il suo rifiuto dell'Ortodossia.

Severo crede che Cristo sia una ipostasi composta da due ipostasi, non soltanto due nature. Queste ipostasi contengono la propria persona. Sorprendentemente, troviamo che le due cristologie discordanti, cioè nestorianesimo e monofisismo, si combinano insieme per dare alla luce la cristologia severiana. [4] V.C. Samuel, lo studioso indiano monofisita, dice: "La divinità e l'umanità, quindi, si combinano in uno. Nel momento in cui la divinità è venuta all'unione in Dio Figlio, l'umanità viene all’unione in uno stato individuato. Come dice Severo, le due nature che si sono riunite assieme in unione erano ipostasi... nell’unire l'umanità a se stesso, la Parola di Dio l’assume solo come una realtà astratta, senza essere in una condizione ipostatica o personale? Se l'umanità di Cristo non ha le caratteristiche che ne fanno un persona, può funzionare in alcun modo nell'incarnazione? [5] San Massimo il Confessore ha rilevato questa strana combinazione e ha attribuito la comprensione nestoriana dell'unione delle nature a Severo. [6]

Queste sono le principali correnti del monofisismo. A causa di questo, Dioscoro e Severo sono altamente considerati come i più grandi maestri nel cristianesimo tra i monofisiti e per questo la liturgia copta cita i loro nomi prima di tutti i patriarchi e santi. I classici monofisiti successivi contengono una miscela di queste correnti.

In Egitto, vi furono famosi studiosi medievali copti che hanno scritto secondo questa tendenza. Ibn al-Makin ha scritto il più importante e voluminoso lavoro teologico del XIII secolo in Egitto. Egli afferma che la natura umana di Cristo non è del tutto come la nostra, e la ragione, che è la stessa che usa Dioscoro come punto di partenza per la sua cristologia, è che il suo corpo è unito con la Divinità e questo rende impossibile pensare una consustanzialità di Cristo con noi nella sua umanità. Secondo al-Makin, "Mentre i padri hanno confessato la sua completa umanità, non hanno affermato che ogni aspetto della nostra natura umana deve essere in Cristo, o viceversa". [7] Egli spiega la differenza tra la nostra natura e la sua umanità chiedendo come l’essenza umana di Cristo è pari alla nostra, mentre lui ha una nascita verginale, è libero dal peccato originale, unito con la Divinità e incorruttibile, mentre la nostra natura è corruttibile e manca delle citate caratteristiche uniche. [8] Egli ritiene che l'unione crei una sola sostanza, a differenza dell’"l'unione ipostatica" e, curiosamente, la attribuisce ai "melchiti", cioè ai calcedoniani. [9]

Vediamo un monofisismo radicale che condivide gli stessi argomenti di Dioscoro e Barsumas contro la doppia consustanzialità. Tuttavia, troviamo Ibn al-Makin ripetere l’idea di Severo e avere, "un uomo [Ensan], il Figlio temporale [al-Ibn al-Zamany], unito al Figlio eterno [al-Ibn al-Azaly], il Verbo". [10]

La stessa tendenza di raccogliere queste due correnti si può trovare nella maggior parte dei classici monofisiti arabi prima ancora di Ibn al-Makin, come le famose opere di Sawiris Ibn al-Muqaffa (Severo di Ashmunin). [11]

L'insegnamento attuale nella comunione non-calcedoniana

L'insegnamento dei diversi corpi monofisiti non è cambiato. Questi hanno mantenuto l'atteggiamento di oscillare tra queste due diverse correnti monofisite. Tuttavia, ci sono stati sviluppi degni di nota di recente. Per esempio, possiamo trovare che gli studiosi armeni non trovano alcun problema a dichiarare di accettare la fede di Calcedonia e che il loro problema è con i tempi del Concilio. [12] Si sono spinti anche oltre fino a dichiarare Severo di Antiochia un eretico, e che "la chiesa armena non accetta l'eresia di Severo [Hartaqat Sawiris] del Teopaschismo (la credenza che Dio possa soffrire nella sua stessa natura)". [13]

Tuttavia, questa non è la posizione ufficiale del discorso non-calcedoniano. La Chiesa copta pubblica ancora i testi e le opere dei suoi padri medievali che hanno mantenuto una cristologia non ortodossa. Anche nelle sue formule e scritti recenti, mostrano una forte ostilità verso Calcedonia e la sua cristologia.

Anba Gregorius, che è considerato uno dei più accreditati studiosi copti nel XX secolo, e insegnante del patriarca Shenouda, respinge la distinzione di san Leone tra le due nature, anche dopo aver riconosciuto l'unità. [14] Inoltre, egli afferma chiaramente che la Chiesa copta condanna la confessione della chiesa calcedoniana che Cristo è Dio perfetto e uomo perfetto. [15] Gregorius va ancora oltre, affermando che: "Io davanti a Dio io rifiuto il termine doppia consustanzialità se ciò significa la dualità delle essenze [...] noi ammettiamo che queste essenze dopo l'unità sono divenute una". [16] Nel frattempo, l’intero argomento di Romanidis per sostenere l'ortodossia dei copti è la loro presunta accettazione della dualità delle essenze, in quanto distinguono tra natura ed essenza. Questo non concorda con la definizione stessa di Gregorius.

Il Metropolita Bishoy, il co-segretario generale del Comitato congiunto di dialogo, ha mostrato un chiaro rifiuto della cristologia ortodossa. [17] Nel suo documento presentato al 3° incontro tra la Chiesa ortodossa russa e le Chiese orientali in Libano, ha dichiarato che queste rifiutano di considerare Calcedonia un Concilio Ecumenico. Inoltre, ha legato l'accettazione dell’ecumenicità di Calcedonia, con l'accettazione del Sinodo dei briganti di Efeso nel 449 da parte della Chiesa ortodossa! [18]

Anche se ritiene che gli ortodossi abbiano deliberatamente frainteso il termine, Shenouda III, il patriarca della Chiesa copta, ha il coraggio di etichettare la sua Chiesa con il termine "monofisiti", al posto del termine miafisiti. [19] Egli ripete le stesse condanne di Gregorius contro la confessione di Cristo come Dio perfetto e uomo perfetto. [20]

Conclusione

Mentre il monofisismo ha preso forme diverse, è sopravvissuto nei secoli, in diverse forme e diversi discorsi e linguaggi. Gli insegnanti della chiesa monofisita oggi non si hanno smesso di usare le forme classiche del monofisismo nelle confessioni. A differenza degli armeni, il lato copto ha mostrato quanto gli manca l'attitudine a modificare la loro cristologia. Nel prossimo articolo, l'ultimo della serie, metterò in evidenza le implicazioni e l'impatto della cristologia monofisita sulle diverse dottrine copte, mostrando quanto ha deviato dalla teologia ortodossa.

Note

[1] È menzionato nella vita di Barsumas scritta tra il 550 e il 560, citata da W.H.C. Frend, L'ascesa del movimento monofisita, Cambridge University Press, UK 1979, p.140

[2] Chapman, J. (1909). Dall'eutichianesimo. In The Catholic Encyclopedia. New York: Robert Appleton Company. Consultato il 10 Agosto 2010 da New Advent: http://www.newadvent.org/cathen/05633a.htm

[3] W. H. C. Frend op. cit. p.29. La lettera menzionata è tradotta in arabo e pubblicata dal Seminario Copto di Studi Avanzati  nel 1986

[4] Severo stesso scrive contro quelli che sostengono che egli usi natura e ipostasi come sinonimi nel campo dell'economia e, come nel campo della Trinità, distingue tra ipostasi e natura, e afferma che tanto quanto il Verbo è personalmente distinto nella Trinità, l’ipostasi umana è allo stesso modo personalmente distinta dal resto della razza umana: "... Ecco, abbiamo chiaramente dimostrato come, quando facciamo la dichiarazione 'da due nature', non capiamo queste nature come sostanze secondo il significato generale di realtà che tengono insieme molte ipostasi - in modo che si possa trovare, secondo la vostra malvagia ipocrisia, che la santa Trinità è incarnata nel seno di tutta l'umanità e di tutto il genere umano; ma una sola ipostasi di Dio, della Parola che può essere separata solo per contemplazione, e una sola ipostasi di carne razionalmente animata, e assemblata dalla Vergine e Madre di Dio, deve essere riconosciuta senza alterazione nella composizione, e che in effetti rimangono quello che erano, ma non nella particolarità della (loro) sussistenza, come abbiamo dichiarato in molte occasioni, e che sussistevano nella dualità della loro natura, ma che concorrendo in un'unica entità hanno formato perfettamente una natura e ipostasi del Verbo incarnato e una persona ". Severo di Antiochia, Contra impium Grammaticum, Or. 11,22

[5] Citato da V.C. Samuel, "Severo di Antiochia", Ekklesiastikos Pharos, vol.58 (1976), p.290

[6] PG vol. xci, Col. 41A

[7] Ibn al-Makin, Al-al-Mawsoo'a Lahouteya al-Shaheera Bel-Hawy, Vol.3 pubblicato dal Monastero Muharraq. Noubar Press 2001. pp.144 - 145

[8] Ibid.

[9] Ibidem. p.146

[10] Ibidem. pp 145-149. Inoltre, Ibn al-Makin dice da qualche altra parte, spiegando l'incarnazione: è il Figlio eterno, che è definito "il Verbo", unito con il temporale Figlio di Maria (Ebn Mariam), in modo ineffabile, uno da due, una realtà da due realtà, nato da Maria. "Ibn al-Makin op. cit. vol.II p.230

[11] Sawiris Ibn al-Muqaffa' (Severo di Ashmunin) è il più famoso storico e studioso copto del X secolo. Ha scritto sull'idea che Cristo è una ipostasi di due ipostasi, e che la persona umana, che era unita al Verbo divino, divenne tutt'uno con lui. Mentre allo stesso tempo si passa all’eutichianismo radicale con cui mette in dubbio l'increaturalità della "natura una" di Cristo dopo l'unità poiché Maria è la Madre di Dio perché è la madre di una persona increata e della natura increata, usando lo stesso argomento di Dioscoro e del suo successore Ibn al-Makin sull’incorruttibilità e il cambiamento della natura umana a causa della unità ipostatica con la divinità. Cf. Al-Durr Al-Thameen fi Eedah al-Deen. pubblicato da Papa Kyrellos VI, Sons, Egitto 1992. pp.166-177

[12] Does Chalcedon Divide or Unite? towards convergence in Orthodox Christology. A cura di Gregorios Paulos, William H. Lazareth. Tradotto in arabo da Michel Najm. Manshourat al Nour, Libano 1987. P.183

[13] Ibid. p.168

[14] Anba Gregorius, Mowso'at allahoat al Anba Gregorius, vol.I. Anba Gregorius Biblioteca: Egitto 2003. p.208

[15] Ibid.

[16] Ibid. p.288

[17] Recentemente, ha pubblicato un libro che raccoglie poesie su se stesso scritte da sacerdoti che apprezzano i suoi sforzi ecumenici. In una di queste poesie, gli ortodossi sono descritti come “i nestoriani malati”, al-Nasatera al-Seqam. [Anba Bishoy: Sham'a Modee'a fe Kanesetna al Qebteya, Damietta 1997, capitolo 15]

[18] "I quattro concili successivi degli ortodossi", dice Bishoy, "possono essere considerati come concili locali riguardanti la loro famiglia di Chiese. Lo stesso vale per il Concilio di Efeso del 449 d.C. che gli ortodossi orientali non obbligano nessuna Chiesa ad accettare come Concilio Ecumenico, sebbene sia stato una grande difesa contro la propagazione del nestorianesimo e fu difeso da san Severo di Antiochia". Bishoy di Damietta, The Council of Chalcedon 451 AD. The Third Meeting of The Joint Commission for the Relations Between  the Russian Orthodox Church and Oriental Orthodox Churches in the Middle East,12-16 dicembre, 2005, Catholicossato della Grande Casa di Cilicia, Antelias, Libano.

[19] Shenouda dice: "...Il termine "monofisiti" utilizzato per i credenti nella Natura Una è stato intenzionalmente o non intenzionalmente travisato lungo tutto il corso di alcuni periodi della storia. Di conseguenza, le Chiese copta e siriana, in particolare, sono state crudelmente perseguitate a causa della loro fede...". Shenouda III, La natura di Cristo, Dar El-Tebaa El-Kawmia, 2 ° edizione inglese Cairo 1991. P.9

[20] Ibid. p. 18

 

 

Parte IV

E ora?

Introduzione

Nelle puntate precedenti di questa serie di articoli, ho gettato un po' di luce sull’esistenza e la natura del disaccordo cristologico tra il Concilio di Calcedonia e le chiese orientali che hanno rifiutato i suoi decreti. In questo ultimo articolo della serie, che metterà in evidenza la situazione attuale della Chiesa copta, la più grande e influente chiesa orientale, oltre alla differenza teologica a causa del disaccordo cristologica. Questo mi porterà a proporre alcune raccomandazioni per un futuro dialogo ortodosso-orientale, che è fondamentale perché, come dice lo studioso egiziano George Bebawi [1]: "Dioscoro di Alessandria, che ha respinto il Concilio di Calcedonia (451) ha fatto un errore enorme e io non so come lo possiamo correggere ". [2]

Le conseguenze dottrinali oggi

La situazione attuale della Chiesa copta è una conseguenza di questa mossa da parte di Dioscoro. Ma la sua decisione non era avulsa dal contesto dell'Egitto nel V secolo. Storicamente, l'Egitto era una terra fertile per la crescita di diversi movimenti filosofici, tra cui lo gnosticismo. L'Egitto ha avuto anche un movimento nazionalista molto forte. Dopo lo scisma nel 451, la Chiesa copta, e più tardi quella sira, hanno espresso forti sentimenti nazionalisti. I copti hanno mostrato una chiara ostilità verso tutto ciò che è "greco". Ciò ha portato a una sorta di isolamento dalla Chiesa cattolica, che è stata descritta dai copti come la chiesa dell'Imperatore, e così è stata etichettata come melchita.

A seguito del rigetto copto degli scritti dei Padri e qualsiasi cosa che riguarda Bisanzio, i movimenti monastici in Egitto hanno sviluppato un movimento spirituale alternativo influenzato dalla filosofia gnostica egiziana che ha svalutato il corpo e trascurato il fatto dell’incarnazione completa di Cristo. Questo ha plasmato la spiritualità orientale, con la sua cristologia monofisita. Come spiegato negli articoli precedenti, questa spiritualità espelle la deificazione e ogni sorta di comunione tra Dio e l'uomo. Questo è il motivo per cui Severo di Antiochia, nella sua spiegazione della cristologia, rifiuta la deificazione. [3]

Un altro fattore influente, con conseguenze per la Chiesa copta, è stato la vittoria islamica in Egitto. L'influenza della cultura e del pensiero islamico si può vedere negli scritti dell’attuale patriarca copto, Shenouda III. Egli adotta facilmente gli atteggiamenti severiani e altre attitudini orientali al fine di riconciliarli con la comprensione islamica dell'impossibilità di avere una comunione Dio-uomo.

Shenouda dice: "È impossibile che uno dei padri della chiesa abbia insegnato la deificazione" [4] Questo rientra nel contesto della serie di scomuniche di Shenouda contro i suoi avversari, tra cui Bebawi, per quanto riguarda i loro tentativi di riportare la tradizione patristica. Stephen Davies, dell'Università di Oxford, ha detto: "l’obiezione di Shenouda a questa dottrina (la deificazione) è anche motivata da particolari sensibilità culturali e interreligiose... Quest'ultima preoccupazione viene a esprimersi in modo straordinario e senza precedenti, quando il patriarca adotta il linguaggio della diatriba musulmana anti-cristiana e dirige tale retorica polemica contro i monaci del monastero di san Macario. In primo luogo, egli critica Matta-el-Meskin e i suoi seguaci in quanto colpevoli di Al-Tahrif, [5], la 'corruzione' della Scrittura". [6]

Poi Shenouda spiega il mistero dell'Eucaristia dividendo Cristo, come riteneva la cristologia severiana, prendendo solo la natura umana senza la natura divina. Egli dice: "Il nostro Maestro Cristo disse: "Chi mangia il mio corpo e beve il mio sangue" (Gv 6,56), egli non ha detto chi mangia la mia divinità e beve la mia divinità... Dio è Spirito (Gv 4,24) e lo Spirito non può essere mangiato o bevuto. Inoltre, colui che mangia la natura divina e questa rimane in lui diventerà dopo aver ricevuto la comunione un dio, e quelli in chiesa lo adoreranno. Anche qui è un altro problema: che dire di quelli che si comunicano indegnamente? Mangiano anche la divinità e bevono la divinità, e quindi mangiano il giudizio (1Cor 11,29)?" [7]

Anche in questo caso, coloro che hanno respinto la spiegazione di Shenouda hanno dovuto affrontare le sue accuse islamiche. Davis cita Shenouda con una buona analisi dicendo: "In secondo luogo, e ancor più acutamente, li accusa di aver commesso al-Shirk billah ('l'atto di associare qualcosa con Dio'). L’accusa di al-shirk rappresenta una normale critica musulmana diretta contro i sostenitori della dottrina trinitaria cristiana. In questo caso, però, Shenouda utilizza questo linguaggio nei confronti di un altro cristiano, come espressione di opposizione alla dottrina della deificazione "[8]

Nuove definizioni di quasi ogni dottrina cristiana, tra cui la Trinità, sono state sviluppate dalla comunione orientale e in particolare da quella copta. Questi problemi, almeno per la Chiesa copta, non possono essere ignorati. Sono problemi seri che hanno portato il patriarca a scomunicare studiosi e a vietare la pubblicazione di libri e a emettere verdetti forti nei confronti di un intero monastero (vietando le letture delle pubblicazioni del Monastero di san Macario e isolando i monaci dalla chiesa). Di conseguenza, la Chiesa ortodossa ha bisogno di prendere seriamente anche la posizione copta su dottrine come l’Eucaristia e la santificazione.

Raccomandazioni per un dialogo ecumenico positivo

Il problema del dialogo ortodosso-orientale è cruciale. Come ha detto Bebawi, "La condizione attuale della Chiesa copta - isolata, povera, oppressa, e priva della ricchezza della tradizione patristica - è molto triste, anche se il dialogo con gli ortodossi è andato avanti in modo intermittente per secoli". [9 ] Ma per perseguire un dialogo teologico che possa portare buoni risultati, le due parti devono ricominciare dall'inizio uno studio serio della tradizione e della teologia, l’una dell’altra.

La chiesa copta non accetterà mai san Leone di Roma o Calcedonia se rimane bloccata nei classici copti medievali che hanno distorto l'immagine della cristologia cattolica. D'altra parte, la Chiesa ortodossa ha bisogno di sapere di più quello che è successo e quello che sta succedendo dall'altra parte del Mediterraneo. Gli sviluppi teologici della Chiesa copta hanno creato una massiccia deviazione dalla Chiesa ortodossa.

Credo che parte del problema sia l'atteggiamento sbagliato del precedente dialogo morto. Il dialogo ha accelerato i tentativi di unità, e ha sottovalutato la vicinanza delle dottrine senza avere una comprensione seria e attenta di ciò che è al di là della cristologia.

A mio parere, i risultati del dialogo tra ortodossi e cattolici romani hanno raggiunto una pietra miliare con il Documento di Ravenna. Questo documento ha determinato con esattezza il loro accordo sui loro disaccordi (!). Di conseguenza, essi sanno quello che hanno realmente bisogno di studiare insieme. Questo è esattamente ciò di cui il dialogo ortodosso-orientale ha bisogno oggi.

Il Patriarcato ortodosso russo dovrebbe prendere una forte posizione positiva per quanto riguarda il dialogo convocando diverse tradizioni orientali (armena, siriaca e copta) per avere un profondo dialogo teologico. Questo mi renderebbe ottimista sul fatto che Mosca possa guarire il dialogo ... con tutte le speranze che "tutti siano una cosa sola". (Gv 17,21)

Ringraziamenti particolari:

Vorrei esprimere la mia profonda gratitudine alla rivista Pravmir per aver ospitato questa serie di articoli e per il suo contributo leale e spirituale al giornalismo cristiano on-line.

Vorrei anche ringraziare la mia collega e fidanzata, Elizabeth Iskander, che ha trascorso il suo tempo, mentre difendeva la sua tesi di dottorato all’Università di Cambridge, a rivedere il linguaggio e la struttura degli articoli.

Brookline, Massachusetts (USA)

Note

[1] un ex insegnante presso la Divinity School di Cambridge e recentemente scomunicato dalla Chiesa copta, cosa che lo portato a unirsi alla Chiesa ortodossa russa

[2] Road to Emmaus Orthodox Magazine, Numero 38. P.27

[3] Cfr. Center for Traditionalist Orthodox Studies. The Non Chalcedonian Heretics, p.17

[4] Shenouda III, Teologia comparativa 5, p.5

[5] Si tratta di una espressione islamica riferita alla grave apostasia di cambiare le parole di Dio.

[6] Davis, Stephen J. Coptic Christology in Practice, Oxford University Press. P.277

[7] Shenouda III, op. cit. p.18

[8] Davis. op. cit. p.278, che cita Shenouda op. cit. p.31

[9] Ibidem. pp. 27-28.

 
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Una croce subacquea innalzata nella baia di Karantinnaja a Sebastopoli

Su iniziativa dei subacquei della Crimea e con la benedizione di sua Beatitudine il metropolita Vladimir di Kiev e di tutta l'Ucraina, un santuario è stato istituito presso il fondo del Mar Nero nel distretto della baia di Karantinnaja a Sebastopoli, per ricordarci di tutti coloro che sono stati uccisi in mare. Il design della croce è opera di un progetto internazionale denominato "Mare sacro", e in concomitanza con le celebrazioni dedicate al 1025° anniversario del Battesimo della Rus'.

L'evento è volto a rafforzare i legami storici, culturali e spirituali tra i popoli di Ucraina, Russia e Belarus', e tra le persone associate a diversi tipi di sport subacquei, nonché i rappresentanti delle unità di soccorso militari e sottomarine.

Dopo il servizio, che si è tenuto presso la cattedrale di san Vladimir a Sebastopoli, l'arciprete Sergej Khaljuta ha compiuto il rito della consacrazione della croce in memoria dei caduti in mare.

In seguito, la croce consacrata è stata sistemata dai subacquei sul fondale della baia di Karantinnaja a Sebastopoli.

"Ricordati, Signore, dei tuoi servi defunti, i cristiani morti nelle profondità del mare dai primi secoli fino ai nostri giorni, che hanno deposto la loro vita per la fede in Cristo e per la patria".

 
Intervista con il professor Roman Kon’ sul fenomeno delle sette

Nella sezione “Figure dell’Ortodossia contemporanea”, presentiamo l’intervista in russo e in italiano al professor Roman Kon’, professore associato all’Accademia teologica di Mosca, esperto di studi sul settarismo. Le parole del professor Kon’ ci aiutano a capire come nel Patriarcato di Mosca la questione delle sette viene affrontata con metodi rigorosamente teologici (in particolare il ricorso all’esperienza patristica) invece che con i metodi dei movimenti anti-sette laici in Occidente.

 
Intervista al Patriarca di Mosca Alessio II sullo status della Chiesa Ortodossa in Macedonia

Nella foto: Sua Santità Alessio II, Patriarca di Mosca e di tutta la Rus'

La vostra lettera al Patriarca Paolo di Serbia ha causato eccitazione nel pubblico macedone. Particolarmente sconvolgente è stata la rapida reazione. Ma il popolo macedone è ancora perplesso dal fatto che la grande Chiesa Ortodossa Russa si è messa a difendere un vescovo, Ioann, che è ritenuto scismatico dalla maggior parte dei macedoni. Tutto questo può influire sull'attitudine dei macedoni verso la Chiesa Ortodossa Russa. Vorremmo sottolineare che i macedoni provano simpatia e rispetto per il popolo russo e per la Chiesa Ortodossa Russa.

Prima di tutto vorrei assicurarvi che la Chiesa Ortodossa Russa e il popolo russo ricambiano i sentimenti dei nostri fratelli nella Repubblica di Macedonia. I sentimenti di simpatia e solidarietà sono diventati ancor più forti da quando il popolo del vostro paese è stato attaccato da formazioni estremiste armate, sono morti dei civili per mano di terroristi, e chiese e santuari ortodossi sono stati distrutti. In verità, il vostro popolo sa, e non per sentito dire, che cosa sia il terrorismo. Ho scritto di queste cose oltre un anno fa, all'inizio della campagna di terrorismo, al Presidente macedone Sig. Trajkovski, cercando di esprimere il nostro sostegno ai macedoni.

Allo stesso tempo, abbiamo sempre lamentato la situazione in cui il popolo ortodosso del vostro paese si è trovato dopo che la Chiesa Ortodossa Macedone ha fatto una dichiarazione unilaterale di autocefalia. Da 35 anni ormai è rimasto ecclesiasticamente lacerato dalla famiglia mondiale delle nazioni ortodosse. E ora Sua Santità il Patriarca Paolo di Serbia ci ha informati che uno dei vescovi della Chiesa Ortodossa in Macedonia ha risposto alla chiamata a restaurare la comunione liturgica e canonica con la Chiesa Ortodossa Serba, e in tal modo con la Plenitudine dell'Ortodossia Universale. A quella lettera abbiamo risposto che noi, assieme alla Chiesa Serba, eravamo deliziati dell'accaduto e che attendevamo il momento in cui anche gli altri vescovi in Macedonia sarebbero entrati in comunione canonica, e il problema dello status della Chiesa Ortodossa nel vostro paese si sarebbe risolto in modo appropriato. 

Allora la nostra gioia comune sarà piena. Torneremo a pregare assieme. E non possiamo capire perché alcune persone, come dite voi, considerano il Metropolita Ioann come scismatico. Lo scisma è assenza, non presenza, di comunione. 

Nella vostra lettera sostenete Sua Eminenza Ioann che ha separato la diocesi di Veles e Povardar dalla Chiesa Ortodossa Macedone e l'ha unita liturgicamente alla Chiesa Ortodossa Serba. Ciò può provocare e stimolare processi simili anche in altre diocesi. Tutto ciò può avere effetto sulla Chiesa Ortodossa Macedone su regioni ortodosse. Che cosa potete dirci riguardo a questo? 

Ci è stata fornita una copia della lettera che il Metropolita Ioann ha rivolto al clero, ai monaci e ai laici della sua diocesi e al Santo Sinodo della Chiesa Ortodossa Serba. La lettera non menziona la separazione dalla Chiesa Ortodossa Macedone. Sottolinea che, in accordo con la proposta di Sua Santità il Patriarca Paolo, non saranno introdotti cambiamenti alla pratica liturgica e amministrativa stabilita nella diocesi di Veles, a meno che non sorgano da requisiti canonici. Perciò, a nostro parere, il fatto in questione è un evento di portata spirituale, piuttosto che una qualche "spartizione della Macedonia". 

Siamo d'accordo con le parole del Metropolita Ioann: "Nessuno può essere umiliato dal punto di vista nazionale dal fatto di stabilire l'unità". Il Patriarca Paolo dice lo stesso in questo messaggio: "Non parliamo da una posizione di esclusività nazionale, né abbiamo alcuna rivendicazione nazionale o territoriale". La nostra Chiesa, da parte sua, è fermamente convinta che questo modo per restaurare la comunione porterà non del male ma del bene alla Chiesa Ortodossa Macedone. E' necessario superare l'auto-isolamento in cui si sono trovati gli ortodossi macedoni. Perciò, preghiamo ardentemente il Signore di aiutare la gerarchia, i pastori e i fedeli macedoni a seguire la buona via evangelica dell'unità di tutti gli ortodossi nella Santa Chiesa Cattolica e Apostolica. A questo siamo chiamati da San Paolo: "Vi esorto pertanto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, ad essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e d'intenti" (1 Cor. 1:10). 

Vostra Santità, vi preghiamo di fare chiarezza su un punto ulteriore della vostra lettera. Abbiamo notato che nella vostra lettera al Patriarca Paolo non usate il termine "popolo macedone", ma usate l'espressione "popolo slavo fraterno" o "questo popolo". Forse noi in Macedonia siamo troppo sensibili e cerchiamo significati anche dove sono assenti. Se è così, vi preghiamo di perdonarci.

Non mi aspettavo che qualcuno vedesse in queste parole una qualche vaghezza. Di fatto, la lettera parla del "popolo della Macedonia", "fedeli nella Repubblica di Macedonia che appartengono a un popolo slavo fraterno". Naturalmente, la sensibilità acuita alle questioni nazionali è una conseguenza della lunga e tragica storia dei Balcani. Considerando questa circostanza, vorrei aggiungere che abbiamo accolto con favore la posizione della Chiesa Ortodossa Serba espressa nel messaggio di Sua Santità il Patriarca Paolo, che afferma in particolare, "Noi rispettiamo l'auto-determinazione e l'identità nazionale del popolo macedone". 

Sono pienamente d'accordo con queste parole di Sua Santità. Vorrei anche ricordarvi come la nostra lettera al Patriarca Paolo ha come soggetto non il problema nazionale ma la questione dell'ordine ecclesiastico che da tempi antichi è stato basato su principi territoriali, non etnici. La Chiesa non divide i popoli su basi nazionali. Come dice l'Apostolo, in essa "non c'è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti" (Col. 3:11). L'unità della fede viene prima; perciò la Chiesa per sua natura è universale. E allo stesso tempo, la Chiesa Ortodossa ha sempre cercato di non sopprimere l'identità nazionale, ma al contrario di promuovere la sua piena manifestazione.

La Chiesa Ortodossa Macedone non percepisce il proprio status come scismatico rispetto alla Chiesa Ortodossa Serba. Per la Chiesa Ortodossa Macedone, l'autocefalia significa il rinnovamento dell'Arcidiocesi autocefala di Ochrid nella persona della Chiesa Ortodossa Macedone di San Clemente. Questo status autocefalo fu distrutto in modo non canonico da un potere esterno nel 1767. I fedeli e i laici in Macedonia non ritengono che l'autocefalia della Chiesa Ortodossa Macedone violi alcun canone o i principi santi della fede e dell'amore di Dio. I macedoni credono anche che non siano violati nemmeno i principi etici e i modelli statali di organizzazione ecclesiale ortodossa. Qual'è la vostra attitudine nei confronti di questo desiderio e sentimento dei fedeli ortodossi in Macedonia? 

Tutti gli ortodossi hanno a cuore l'eredità dei Santi Clemente e Naum di Ochrid, fedeli discepoli dei Santi Cirillo e Metodio Uguali-agli-Apostoli. Noi onoriamo profondamente il ruolo storico che l'Arcidiocesi di Ochrid ha avuto nell'illuminazione degli Slavi per mezzo della fede salvifica di Cristo. Nel Tropario dei Santi Cirillo e Metodio chiediamo ai nostri primi maestri: "Intercedete presso il Signore di tutti perché stabilisca tutte le nazioni slave nell'Ortodossia e in unanimità".

L'unità è potere. Sono convinto che, di fronte a un attacco terroristico, ottenere un'unità gradita a Dio tra nazioni slave fraterne sia un compito molto più importante che argomentare senza fine su tempi passati. Sarebbe d'aiuto alla nostra discussione addentrarci in una valutazione di quelle contraddizioni tra la Porta turca, il Patriarcato di Costantinopoli e l'Arcidiocesi di Ochrid che portarono agli eventi del 1767? Una discussione storica su questo tema ci porterebbe troppo lontano. Per esempio, può venir fuori che i confini della Chiesa di Ochrid erano differenti a quel tempo. Skopje, in particolare, non era entro quei confini. E questa non è l'unica ragione per cui la decisione unilaterale presa a Ochrid duecento anni dopo non fu riconosciuta dalla comunità ortodossa mondiale. 

Lo status futuro della Chiesa Ortodossa in Macedonia, a nostro parere, dovrebbe diventare soggetto di negoziati, e la decisione dovrebbe essere basata sulle norme del diritto canonico. E noi ci aspettiamo, come ho scritto a Sua Santità il Patriarca Paolo, che questa decisione sarà adeguata, ragionevole e basata sull'amore. Ma a questo fine è necessario prima di tutto restaurare la comunione canonica degli ortodossi nella Repubblica di Macedonia con la Plenitudine universale della Chiesa Ortodossa. E se, come dite, la Chiesa Macedone non ritiene di essere in scisma con la Chiesa Serba, troviamo difficile capire perché alcuni mass media macedoni abbiano condannato con così tanta forza l'azione del Metropolita Ioann che ha detto di essere ora "in unità liturgica e canonica con la Chiesa Ortodossa Serba e con l'intero ecumene ortodosso". In risposta, il Concilio dei Vescovi, come hanno riportato i giornali, lo ha deposto dalla sede e ha persino pensato di ridurlo allo stato laicale. 

Pensate che la sola via per la Chiesa Ortodossa Macedone di ricevere l'autocefalia possa essere quella sulla quale insiste la Chiesa Ortodossa Serba? Ci si chiede se l'Ortodossia possa diventare ostaggio di alcuni vecchi dogmatismi nel mondo in cui viviamo ora...? 

Da duemila anni ormai la Chiesa è impegnata a portare al mondo la buona novella, il Vangelo di Cristo basato sull'amore. Questo messaggio non diverrà mai obsoleto. E i sacri canoni sono regole che salvaguardano l'amore; la loro logica mira a sostenere la Chiesa nell'armonia divina di unità e ordine. 

In accordo con i canoni, il modo di ottenere l'autocefalia può essere solo uno che non rompe la comunione fraterna tra i cristiani. Altrimenti l'Ortodossia diventerà l'ostaggio di mutevoli interessi politici, spesso contraddittori. Dal tempo in cui gli apostoli iniziarono a predicare al mondo Cristo Crocifisso e Risorto, molti imperi e sistemi politici dono sprofondati nell'oblio, mentre la Chiesa mantiene la tradizione apostolica e rimane incrollabile. Ogni differenza nella Chiesa dovrebbe essere risolta tramite il dialogo e in spirito di amore fraterno. A nostro avviso, il dialogo con la Chiesa Ortodossa Serba ha già portato buoni risultati, in particolare quelli fissati nel nostro Accordo di Nis, che garantisce piena indipendenza amministrativa e pastorale alla Chiesa nella Repubblica di Macedonia. 

Speriamo che sappiate che per il popolo macedone la questione della Chiesa è un importante aspetto della questione nazionale odierna. Recentemente, come sapete, il popolo macedone ha affrontato una minaccia di perdere il proprio stato. Sfortunatamente, affrontiamo anche una minaccia alla nostra auto-determinazione nazionale. Per nostra sfortuna, ora c'è la questione della Chiesa. Non vi sembra che, come discendenti della più antica Chiesa degli Slavi, abbiamo diritto a un po' più di comprensione?

Dando alla Chiesa quanto le è dovuto per il ruolo che ha giocato nella formazione dell'autocoscienza e della cultura nazionale, non si dovrebbe dimenticare che il compito primario della Chiesa nel mondo è di educare gli esseri umani al Regno di Dio. La Chiesa non dovrebbe essere vista come uno strumento per raggiungere fini politici. E' mia profonda convinzione che per la Macedonia l'uscita della Chiesa dall'isolamento e l'entrata in comunione con le altre Chiese Ortodosse sarà una cosa coerente con la dignità del popolo macedone, e porterà al rafforzamento dell'autorità del suo stato nella comunità mondiale.

 
La decapitazione del santo profeta e precursore Giovanni il Battista

Nel nome del Padre e del Figlio e del santo Spirito.

Perché la Chiesa offre una tale venerazione a San Giovanni Battista, fissando perfino un giorno di stretto digiuno in suo onore? Ecco dieci ragioni:

1. Il nostro Signore stesso disse che San Giovanni era il più grande profeta ‘tra i nati di donna’ (Luca 7, 28). Alcuni si stupiscono udendo queste parole. Chiedono: non è Cristo stesso il più grande tra i nati di donna? Ma Cristo non nacque da una donna in modo naturale (cioè, da una donna sposata), nacque da una vergine. Perciò, in obbedienza alle parole del nostro Signore, che chiama San Giovanni il più grande tra i nati di donna, la Chiesa gli rende il dovuto onore. Di fatto, non ci sono meno di sei feste di San Giovanni nell’anno della Chiesa. La prima è la sua Concezione il 23 Settembre. Poi c’è la sua principale commemorazione il 7 gennaio, il giorno dopo la festa del Battesimo di Cristo. Poi c’è il secondo ritrovamento del suo capo il 24 febbraio. La sua festa successiva è il terzo ritrovamento del suo capo il 25 maggio. Il quinto è la sua Nascita, o Natività, il 24 giugno, e infine la festa di oggi, ultima nell’anno della Chiesa, la sua Decapitazione il 29 agosto.

2. I genitori di San Giovanni erano a buon diritto persone grandi e sante, e il loro figlio fu un dono in risposta alla loro preghiera, esaudita nella loro pia vecchiaia. Suo padre era San Zaccaria, profeta, sacerdote e martire. Sua madre, Santa Elisabetta, era sorella di Sant’Anna, madre della Madre di Dio. Questa correlazione tra la Madre di Dio e il suo parente, San Giovanni, è espressa nell’icona che sta sopra le porte sante in molte chiese ortodosse. L’icona mostra Cristo al centro, la Madre di Dio alla sua destra e San Giovanni il Battista alla sua sinistra. Quest’icona è chiamata la Deisis (supplica), e significa che la nostra salvezza è correlata non solo al nostro Salvatore, ma anche alla sua santa Madre e a San Giovanni.

3. Per questa ragione San Giovanni ha il titolo speciale di ‘Precursore’, in greco ‘Prodromos’, che è anche un nome di battesimo comune tra i greci. San Giovanni è il solo che vanta il nome di Precursore di Cristo, perciò è il pioniere della nostra Fede. Come possiamo pertanto mancare di rendergli un onore speciale?

4. Al santo Precursore è anche dato il titolo di ‘Profeta’. Di fatto si può dire che sia stato l’ultimo profeta dell’Antico Testamento. Come potete ricordare, gli ultimi diciassette libri dell’Antico Testamento sono i Libri Profetici, da Sant’Isaia a San Malachia. In questo modo, possiamo anche dire che San Giovanni è il primo profeta del Nuovo Testamento. Così, San Giovanni può essere considerato un cardine, che unisce l’Antico Testamento e il Nuovo Testamento. Notiamo anche che non solo San Giovanni il Battista è il primo profeta del Nuovo Testamento, ma anche che l’ultimo profeta del Nuovo Testamento si chiama Giovanni. Si tratta di San Giovanni il Teologo, che ha scritto l’ultimo libro del Nuovo Testamento nonché il suo unico libro profetico, il libro dell’Apocalisse.

5. San Giovanni il Battista, primo profeta del Nuovo Testamento, è stato anche il primo martire nel tempo della predicazione pubblica di Cristo, circa tre anni prima del Santo Arcidiacono Stefano, che fu il primo martire dopo l’Ascensione di Cristo.

6. Si può anche dire che San Giovanni il Battista è stato il primo monaco, èd è per questo che è il santo patrono dei monaci e della vita monastica. Questo è il significato del primo vangelo che leggiamo oggi, nel quale il nostro Signore dice al giovane che desidera seguirlo, prima di tutto di obbedire ai comandamenti e poi di donare tutte le sue ricchezze. Questo è il modo in cui Sant’Antonio il Grande decise di andare nel deserto, udendo questo stesso Vangelo, che imita così tanto San Giovanni il Battista.

Ricordiamo l’importanza della vita monastica per la Chiesa Ortodossa. Il monachesimo è il barometro della Chiesa. Quando la vita monastica fiorisce, così fiorisce tutta la Chiesa. Quando la vita monastica è debole, allora tutta la Chiesa è debole. E San Giovanni è a capo della vita monastica.

7. Il primo passo verso la vita monastica, e invero verso la vita cristiana in generale, è la conversione. E questa è la prima parola di San Giovanni. Per questo è grande, perché predica la conversione. La conversione è la lettera A dell’alfabeto cristiano ortodosso, è il marchio della verità, il marchio della sobrietà, l’assenza di esaltazione, il senso della realtà. Così, i primi discepoli di San Giovanni, Andrea e Pietro, furono anche i primi discepoli di Cristo. E non dovremmo dimenticare che San Giovanni ha predicato la conversione non solo sulla terra, ma anche nell’ade. Dopo la sua decapitazione, San Giovanni scese agli inferi, dove tutta l’umanità defunta era tenuta prigioniera, e qui predicò a tutte le generazioni, da Adamo ed Eva in poi, dell’imminente venuta di Cristo, in meno di tre anni.

8. Il primo passo nella vita monastica è l’obbedienza. Questa obbedienza si può vedere nella preghiera e nel digiuno di San Giovanni. Egli pregava nel deserto e mangiava miele e locuste, vestito di pelo di cammello. Gli angeli lo servivano. Così, nella Chiesa egli è chiamato ‘uomo celeste e angelo terreno’. La sua obbedienza si può vedere nella sua accettazione di battezzare il Figlio di Dio, il cui legacci dei sandali egli, stando alle sue stesse parole, era indegno perfino di sciogliere.

9. Il secondo passo nella vita monastica è la povertà, non solo in termini di non avere denaro, ma anche di non avere potere. San Giovanni denunciò senza paura gli abusi di potere, quando questo era usato per fare del male. Questo è il significato del secondo vangelo di oggi, il vangelo per la festa di San Giovanni. Questo vangelo ci racconta come San Giovanni aveva denunciato Erode Antipa, figlio di quell’Erode che aveva massacrato i Santi Innocenti quasi trent’anni prima a  Betlemme, che al tempo della predicazione di San Giovanni era il sovrano della Galilea.

10. Infine, San Giovanni fu grande perché fu l’araldo del terzo passo nella vita monastica, quello della castità. San Giovanni denunciò i peccati di sensualità di Erode Antipa, e denunciò il primato del corpo sullo spirito. Erode aveva dapprima sposato la figlia di un principe arabo, chiamato Areta, quindi si era preso per amante la propria cognata, Erodiade. Da lei ebbe una figlia, Salome. E quindi Erode ebbe una relazione incestuosa con questa figlia, avuta dalla sua amante. Come risultato della denuncia dell’iniquità di Erode e di Erodiade fatta da San Giovanni, egli fu decapitato, e il suo capo portato a Erodiade su un vassoio. Ecco perché gli ortodossi chiedono sempre le preghiere di San Giovanni Battista nei casi di tumori cerebrali, emicranie e mali di testa.

Come abbiamo sentito, fu alla sua festa di compleanno che Erode, eccitato dalla danza di sua figlia, acconsentì alla richiesta di sua moglie di decapitare San Giovanni. Questa è una ragione per cui noi ortodossi non diamo molta importanza ai nostri compleanni, ma piuttosto al giorno dei nostri santi patroni. Questo episodio con Erode è infatti il solo caso nel Nuovo Testamento in cui udiamo di una festa di compleanno, e questa fece commettere un grande crimine.

La punizione di Erode fu terribile. Dapprima, il suo regno fu invaso dal principe arabo Areta, che fu fin troppo diligente a vendicare l’onore di sua figlia. Quindi Erode fu esiliato con tutta la sua famiglia dai romani infuriati. Esiliati da loro a Lerida in Spagna, fu qui in un terribile inverno che sua figlia Salome cadde in un’apertura nel ghiaccio mentre passava sopra a un fiume gelato. Mentre affondava nel fiume, il ghiaccio si strinse attorno al suo collo. Nello sforzo di liberarsi, mosse le gambe come per danzare. In quel momento, tuttavia, le sporgenze affilate del ghiaccio le tagliarono il collo e la decapitarono. Il suo corpo peccatore e impenitente scomparve per sempre sotto il ghiaccio. I testimoni oculari videro il suo capo sul ghiaccio, lo raccolsero e lo portarono a Erode – su un vassoio. Quanto a Erode ed Erodiade, scomparvero anch’essi, precipitando in un crepaccio che si aprì nel corso di un terremoto a Lerida. Così, essi scomparvero dalla storia, senza obbedire al richiamo di conversione di San Giovanni, inghiottiti dai fuochi sotterranei. Ma quanto a San Giovanni che chiamò e che ancora chiama alla conversione – il suo nome vive per sempre.

Santo Precursore, Profeta e Battista Giovanni, prega Dio per noi!

Padre Andrew Phillips

Festa della decapitazione del Precursore (domenica 29 agosto / 11 settembre 2005) 

 
L’attore Jonathan Jackson parla del suo viaggio verso il cristianesimo ortodosso

L’attore Jonathan Jackson, che interpreta il ruolo di Lucky Spencer nella soap opera "General Hospital", ha vinto il trofeo per il miglior attore non protagonista ai Daytime Emmys.

Ha colto l'occasione di ringraziare Dio nel suo discorso di accettazione.

"Prima di tutto, devo dare onore e gloria al Padre, al Figlio e al santo Spirito", ha detto all'inizio del discorso, facendosi il segno della croce. Dopo aver ringraziato la sua famiglia e i colleghi, ha aggiunto: "Grazie a tutti i monaci sul monte Athos, che pregano costantemente per la vita del mondo ".

 

Jonathan Jackson si è convertito all'Ortodossia nel 2012. Ha raccontato la sua storia in un'intervista ad Ancient Faith Radio.

P. Andrew Stephen Damick: Qui parla padre Andrew Stephen Damick, e questo è un episodio un po’ diverso di Roads From Emmaus. Siete abituati a sentirmi parlare di fronte a un microfono a un gruppo di persone in ascolto a una conferenza, ma oggi in realtà faremo una conversazione. Sto facendo un colloquio con qualcuno. Perché dovrei farlo? Il motivo è che sono molto interessato alle questioni di comunione e località e di connessioni dirette. Così una volta che ho sentito che il mio ospite di oggi era sulla costa orientale, abbiamo studiato un modo per collegarci in persona. Al momento siamo seduti nel parcheggio del Newark Liberty International Airport, dove si appresta a salire sul suo aereo per tornare sulla costa occidentale.

Il mio ospite di oggi è il signor Jonathan Jackson, attore e musicista forse più noto per il suo ruolo come Lucky Spencer in General Hospital, che è andato in onda nell'ultimo paio di anni - beh, pensano che ora tu si stia prendendo una pausa - ma ha recitato anche in un film, Tuck Everlasting, di circa dieci anni fa. Ha vinto quattro Emmy, e ha anche avuto un ruolo ricorrente nella serie della Fox The Sarah Connor Chronicles, che è un derivato dei film di Terminator, e ha la sua band musicale, che si chiama Enation, ed è per questo motivo che è stato qui sulla costa orientale.

Perché, vi chiederete, sto intervistando una star di una soap opera? Beh, il motivo è che in questo momento lui e la sua famiglia sono catecumeni nella Chiesa ortodossa. Quindi, ti ringrazio molto per avermi incontrato. Sono molto onorato di essere con te, davvero.

Jonathan Jackson: Grazie, padre. Anch’io sono onorato. Lo apprezzo. Sono contento di essere qui.

P. Andrew: La mia prima domanda è: come sei arrivato a questo punto? Qual è il tuo background religioso?

J. Jackson: Entrambi i miei genitori sono stati cresciuti come avventisti del settimo giorno, probabilmente per circa quattro generazioni in entrambe le famiglie sono stati avventisti del settimo giorno. Così sono cresciuto con questa eredità come parte della mia educazione cristiana fino probabilmente circa all'età di nove o dieci anni. I miei genitori hanno cominciato ad allontanarsi da quella particolare denominazione. Ci siamo trasferiti a Los Angeles quando avevo dieci anni, quasi 11, e ho iniziato a lavorare come attore abbastanza presto. Ho iniziato con una parte in General Hospital quando avevo 11 anni, così ho iniziato davvero presto...

P. Andrew: Vero, e quelli un po' più anziani tra i miei ascoltatori potranno ricordare, alla fine degli anni '70 e nei primi anni '80, la super-coppia di Luke e Laura a General Hospital; Jonathan interpretava il loro figlio, Lucky. Questo ti mette all'interno del pantheon della soap opera.

J. Jackson: Quando mi sono trasferito a Los Angeles, non andavamo in nessuna chiesa. E io e mio fratello, Richard Lee Jackson - è un attore, e anche lui fa parte di Enation - ascoltavamo registrazioni di sermoni da un paio di altoparlanti diversi, quasi ogni sera della settimana. E quella era in un certo modo la nostra chiesa; era la nostra vita spirituale.

Per circa cinque anni a Los Angeles, dagli 11 ai 16 anni, praticamente non sono andato in chiesa. Ascoltavo appena questi nastri alla sera, e ho cominciato a leggere libri apologetici e spirituali su temi cristiani, probabilmente quando avevo 12 o 13 anni. Un paio di sermoni mi hanno davvero lasciato una profonda impressione, a 12 o 13 anni, e questo è stato il punto in cui la mia vita ha iniziato a orientarsi verso il mio rapporto con Dio in modo molto serio. Ho iniziato a leggere Il cristianesimo così com’è e Il grande divorzio di C. S. Lewis e tutti i grandi libri di quel genere.

P. Andrew: Opere eccellenti.

J. Jackson: Opere eccellenti. E che davvero mi hanno messo su un cammino, a circa 12 o 13 anni.

Quindi, non andavo ancora in chiesa. Non ne vedevo lo scopo. Per me non aveva senso. Amavo Dio, amavo Gesù, ma la chiesa era solo un concetto assolutamente confuso. Era quasi... per me, sembrava inutile. Ho pensato che se potevo leggere libri, se potevo ascoltare registrazioni, perché dovevo andarci?

P. Andrew: Proprio così. Solo io-e-Gesù, vero?

J. Jackson: Sì, esattamente. Bene, e allo stesso tempo, c'era anche questo senso cosmico. Ho sempre pensato che volevo essere... che non volevo far parte di una denominazione. Volevo appartenere a tutto il movimento del mondo cristiano. Non avevo idea di cosa ciò potesse significare nel senso di una Chiesa universale, ma mi sentivo collegato a C. S. Lewis, che era di una generazione precedente, che era inglese, e ho pensato...

P. Andrew: Ed era anglicano.

J. Jackson: ...ed era anglicano, giusto. Ma tra me, mi sono detto: questo è qualcuno con cui mi sento connesso. Le denominazioni mi sembravano tutte strane, per essere onesto.

E poi, quando avevo circa 17 anni, abbiamo cominciato davvero a cercare alcuni gruppi ecclesiali, e lo abbiamo fatto piuttosto nel mondo protestante carismatico, non confessionale.

P. Andrew: Quindi, quanti anni hai ora?

J. Jackson: 29.

P. Andrew: 29. E che hai fatto da quel momento nella tua tarda adolescenza fino a ora? Ora sei un catecumeno nella Chiesa ortodossa.

J. Jackson: Qualche anno fa non avrei nemmeno saputo che cosa significava la parola catecumeno.

P. Andrew: Già, è una specie di Shibbolet ortodossa. La tiri fuori, e ti ci trovi dentro.

J. Jackson: Beh, sa, una volta che ci siamo messi in contatto con il movimento carismatico, di fatto abbiamo creato una chiesa domestica a Burbank per due anni e mezzo, gestita in qualche modo da me e da mio fratello assieme ai miei genitori. Loro andavano avanti e indietro dalla città, e un pastore con cui eravamo collegati veniva a controllare le cose. Ma lo abbiamo fatto per circa due anni e mezzo, assieme a circa da 15 a 20 attori e attrici e persone del settore, che venivano quasi ogni fine settimana.

P. Andrew: Così la vostra famiglia in qualche modo ha formato il nucleo di questo gruppo, ma poi ci sono state altre persone associate ad esso.

J. Jackson: Sì, è stato fantastico. È stato un momento molto significativo, ed è stata un'esperienza incredibile. Mi sono trasferito nello stato di Washington, dopo che mi sono sposato. Saranno dieci anni a giugno da quando mi sono sposato.

P. Andrew: Ti sei sposato a 19 anni?

J. Jackson: 20. Avevo appena compiuto 20 anni.

P. Andrew: Buon per te, amico. Buon per te. Sono molto a favore del matrimonio dei giovani. Prendetene tutti nota.

J. Jackson: Sì, lo è stato. Matrimonio di giovani, e ho già tre figli. I bambini hanno otto anni, sei anni e 17 mesi.

P. Andrew: Ringraziamo Dio.

J. Jackson: Sì, è meraviglioso.

In ogni caso, abbiamo seguito il movimento carismatico per dieci anni. E ci sono state alcune esperienze belle, incredibili. C'era qualcosa per cui penso che molte persone nel movimento carismatico sarebbero attratte dall'Ortodossia, perché molti degli elementi più razionalistici in alcune altre denominazioni protestanti sembrano davvero rifuggire dallo Spirito Santo. Evitano ogni cosa che sa di mistico e soprannaturale. Penso che al centro di questo anelito che hanno i protestanti carismatici ci sia il desiderio di incontrare Dio, di sperimentare lui e il mistero del suo essere.

P. Andrew: Questo è un gran modo di descrivere il fenomeno.

J. Jackson: E non hanno la tradizione della Chiesa. Non ce l’hanno proprio, tanto che stanno creando nuove tradizioni, ma penso che per la maggior parte, i cuori di quelle persone sono assolutamente nel posto giusto. Sono alla ricerca di Dio. Sono alla ricerca di quell'incontro. E penso che molti di loro avrebbero trovato molte risposte nella fede antica, e avrebbero trovato una casa. Certamente è stato così per me.

P. Andrew: E in termini di come è iniziato tutto, come è avvenuta la transizione? Qual è stata la scoperta, il catalizzatore che ti ci ha portato?

J. Jackson: Sa, sono stato inviato in Romania per lavorare in un film. Sono stato per circa tre mesi e mezzo a Bucarest.

P. Andrew: Che film era?

J. Jackson: È una storia curiosa. Era un film che ha finito per essere chiamato Il risveglio delle tenebre. È interessante perché avevo un grande ruolo di co-protagonista, molto importante per il film. Il film era basato su un libro, e io sono stato lì per tre mesi e mezzo, ho girato tutto, e quando hanno fatto le modifiche del filmato, lo studio ha finito per voler tagliare completamente il mio personaggio fuori dal film.

P. Andrew: Carino...

J. Jackson: Cose che capitano, e per questo non sono nel film. Ma penso di essere stato mandato lì per un altro motivo.

P. Andrew: Già. La provvidenza.

J. Jackson: Sì. Ci sono andato con mia moglie, avevamo due bambini al momento, Caleb e Adora. Siamo stati per tre mesi e mezzo in Romania, ed è stato davvero intenso. Eravamo a Bucarest, un ambiente molto intenso. È interessante notare, che non è lì che ho conosciuto l'Ortodossia.

P. Andrew: Oh, wow. Lì ci sono chiese ortodosse in ogni angolo!

J. Jackson: Avrebbe dovuto essere così, ma nel mio spazio mentale pensavo così: tutto ciò che era antico era religioso e oppressivo. Era solo una supposizione. Questo è tutto quello che sapevo.

Sono entrato in alcune chiese ortodosse, molto piccole, con un sacco di oro e per me completamente estranee. E non ci ho davvero pensato molto. Ho pensato - e mia moglie pensava la stessa cosa, lei è italiana ed è cresciuta come cattolica romana - entrambi abbiamo avuto lo stesso pensiero, che era:

gli ortodossi erano una specie di cugino strano del cattolicesimo romano. Questo era tutto quello che pensavamo.

P. Andrew: Sì, lo sentiamo dire spesso!

J. Jackson: Non ho nemmeno pensato di studiare la cosa più a fondo. Ho solo pensato, ah, è solo un ramo di Roma un po' bizzarro, o qualcosa del genere.

P. Andrew: Sei andato qualche funzione religiosa, mentre eri lì, o hai semplicemente visitato le chiese?

J. Jackson: No, abbiamo solo visitato le chiese. La prima cosa che abbiamo fatto quando siamo arrivati ​​è stato entrare in una chiesa ortodossa. E la prima cosa che abbiamo fatto quando siamo usciti è farci rapinare dagli zingari. Non è uno scherzo. Non è stato un bel "Benvenuti in Romania".

La Romania è stata grande, ma dato che avevo una settimana di riposo dalle riprese, e mia moglie è italiana, abbiamo pensato: "Ehi, andiamo a Roma."

P. Andrew: Sì, non è poi così lontano.

J. Jackson: Non è poi così lontano, quindi... Eravamo a Bucarest già da due mesi, credo, in quel momento. Quindi, andiamo a Roma ed è stato lì che ho incontrato per la prima volta questo senso di "Aspetta un attimo. C'è molto di più in questa fede, nel cristianesimo, di quanto avrei mai pensato. E non risale solo ai padri fondatori dell'America".

P. Andrew: Ora, tua moglie era cattolica romana praticante quando vi siete sposati?

J. Jackson: No. No, il modo in cui è tornata a Cristo... si è allontanata dalla sua fede dopo i vent’anni, ha avuto un periodo molto buio. Questa è una cosa del tutto diversa, una storia molto intensa, di come ci siamo messi insieme. È tornata a Cristo nelle chiese domestiche che stavamo organizzando.

P. Andrew: Okay. Allora, è così che l'hai incontrata, attraverso la chiesa?

J. Jackson: Beh, era un'attrice in General Hospital, quindi le nostre strade si sono incrociate, ed è stato in realtà agli Emmy che ci siamo davvero legati, perché ho ringraziato Cristo quando ho ricevuto uno dei premi, e questo ha fatto scattare qualcosa in lei. Era lontana dal Signore in quel momento.

P. Andrew: meraviglioso.

J. Jackson: Si era sentita scandalizzato e anche molto incuriosita da questa frase. Era come se dicesse: "Non dire così!"

P. Andrew: Già, "Aspetta un attimo. Gesù è qui adesso!" all’improvviso.

J. Jackson: Comunque, no, non era cattolica romana. Era come me, vale a dire non confessionale. E mi aspettavo, a modo mio, quel che si potrebbe dire un fanatismo religioso, mi aspettavo di andare a Roma e sentire "Questo è un posto religioso così opprimente. Deve essere così". ebbene, è ​​stato l'esatto contrario.

Sono arrivato a Roma. Era la Domenica delle Palme, ed è stato semplicemente incredibile. Rami di palma erano allineati per le strade, e Papa Benedetto parlava. Eravamo a tre isolati di distanza da San Pietro, ed è stato magico. È stato molto, molto profondo, ma non ho davvero capito perché. Nel Colosseo, c'è questa grande croce, e ha colpito mia moglie e me in modo così forte che ci siamo sentiti in presenza di martiri cristiani... È una cosa leggerlo in un libro, ma è un'altra cosa essere lì, fisicamente, e realizzare.

Questo è stato il viaggio che ha risvegliato qualcosa in me. Ho pensato: "Devo imparare qualcosa di più sulla mia fede, sulla storia cristiana". Siamo tornati in Romania. Ho ordinato un libro di Justo L. Gonzalez. È uno storico davvero grande. Ha scritto un libro intitolato The Story of Christianity, in due volumi. Ho letto il primo libro, e l’autore è protestante, ma mi ha davvero aperto gli occhi sulla storia cristiana.

Questo è stato l’inizio, perché una volta che si apre la porta si comincia a dire, "Aspetta un attimo! Da dove viene tutto questo?"

P. Andrew: È come il vecchio detto - probabilmente ne hai sentito parlare - di John Henry Newman, convertito dalla Chiesa anglicana al cattolicesimo. Egli disse: "Essere in profondità nella storia significa cessare di essere protestante."

J. Jackson: Già. Sa, è divertente, perché l'ho letto. Che cosa è realmente accaduto è stato che sono andato a Roma, e ho iniziato a leggere libri di storia, che erano tutti o cattolici o protestanti. Non vi era quasi alcuna menzione dell’Ortodossia o della Chiesa d'Oriente.

P. Andrew: Già, siamo invisibili.

J. Jackson: Ho trascorso tre anni a leggere con attenzione libri di storia, di storia cristiana, e non ho incontrato quasi nulla della Chiesa d'Oriente, perché sono tutti scritti da storici occidentali.

Sono stato in questo luogo dove ho iniziato a scoprire quella che ritenevo essere la Chiesa storica, l'unica opzione. Ho pensato che questa portasse a Roma. Ho letto G. K. Chesterton. Ho letto probabilmente 15 di libri di Papa Benedetto XVI. Ho letto Giovanni Paolo II, Henry Nouwen. "Now-en": è così che si pronuncia il suo nome?

P. Andrew: "New-in."

J. Jackson: "New-in". Bei libri, come La vita dell’amato e quello sul figliol prodigo. Libri intensi. Ma c'erano alcune cose sul cattolicesimo romano che non riuscivo a conciliare, cose come l'infallibilità papale, in particolare quanto in ritardo era diventata una dottrina ufficiale, intorno al 1870 o qualcosa del genere. Era piuttosto interessante per me, perché stavo cercando la continuità, la storia della fede.

Finalmente, dopo tre anni, è venuto il punto di svolta in cui ho pensato: "Va bene..." Perché mia moglie e io abbiamo cominciato ad andare ad alcune messe cattoliche, ed ero andato a circa 12, nel corso di quel viaggio. Ed è stato interessante perché ci sono andato e sono rimasto molto mosso dallo Spirito Santo, molto commosso, e ho pensato: "Wow. Sono in presenza di... Questa è una fede storica". Ma mi sentivo come se fossi quasi nella storia del Medioevo. Non è stato fino a quando sono entrato in una chiesa ortodossa per la prima volta che ho sentito che ero in presenza della Chiesa antica, la Chiesa originale antica - ma ho fatto un salto in avanti.

In ogni caso, sono arrivato a questo punto che mi sono reso conto, "Sto per diventare cattolico?" E c’erano solo un paio di cose, cose molto grandi nel mio cuore, che io non riuscivo ad accogliere nell’anima, così mi sono trovato letteralmente a pregare per una terza porta. Ho chiesto a Dio, mi sono detto: "Non capisco più il protestantesimo," perché, per me, una casa divisa contro se stessa non può resistere. Ci sono oltre 23.000 denominazioni nella sola America.

P. Andrew: A seconda di come si conta.

J. Jackson: Sì, beh, in qualunque modo le contiamo, ci sono migliaia e migliaia di denominazioni nella sola America. Come concorda questo con i primi mille anni in cui la fede era una? Ovviamente, ci sono molte eresie, ma la Chiesa universale è una, e anche dopo la scissione di Roma, ovviamente si considerano ancora l'unica Chiesa.

P. Andrew: La storia riguarda ancora l'unità.

J. Jackson: Sì, questo è il nucleo. E anche Martin Lutero è stato... Non hanno detto tutti di colpo: "Tutto è finito," e "Potete essere tutto ciò che volete." Stavano ancora cercando di essere la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica.

Stavo pregando, e ho avuto molte notti che si avvicinavano a una sorta di notte quasi oscura dell'anima, una ricerca struggente della verità, perché volevo così disperatamente l'unità della fede antica. Eppure, c'era qualcosa circa la fede cattolica romana, che non era del tutto in risonanza con me. Ma tutto quello che sapevo era che l'altra opzione era quella di rimanere protestante.

Sono arrivato alla fine di questa ricerca, dopo circa tre anni, e alla fine ho pregato e ho detto, "A questo punto, perché non riesco ad accogliere appieno il cattolicesimo romano, credo che dovrò essere una sorta di protestante privo ​di diritti civili". E questo pensiero è entrato nella mia testa. Non so come sia successo. Ho pensato: "Prima di gettare del tutto la spugna e diventare un protestante rassegnato, non ho mai studiato il Grande Scisma, davvero." Ho pensato, "È una cosa che dovrei probabilmente conoscere... Ho letto tutta la storia cristiana. Dovrei dare un'occhiata a questo".

Appena ho dato un’occhiata, è stato come un fulmine. Tutte queste cose hanno cominciato a collocarsi al loro posto. Non so nemmeno come sia successo. Penso che il primo libro che ho letto è stato The Orthodox Church di padre John Anthony McGuckin, ed era appena stato pubblicato. Era un libro nuovo e l'ho preso sul mio iPhone.

P. Andrew: È appena uscito in edizione economica, tra l'altro.

J. Jackson: Lo consiglio a chiunque sia interessato a conoscere la Chiesa ortodossa. Io non riuscivo a smettere di leggerlo. Me ne stavo in piedi, fino a tarda notte, a leggerlo. Da lì in poi, è stato... È stato il culmine di quello che a quel punto era diventato un percorso di quattro anni di apprendimento e di ricerca.

Ho continuato a leggere The Orthodox Way del Vescovo Kallistos Ware, For the Life of the World di Alexander Schmemann (un libro fenomenale), Becoming Orthodox di Gillquist, The Mountain of Silence... non riesco mai a ricordare il nome dell'autore. Spero che un prete antiocheno mi possa aiutare...

P. Andrew: Kyriakos Markides.

J. Jackson: Questo libro è stato fenomenale, una grande esperienza di trasformazione.

Comunque, andiamo avanti. C'è una lista enorme di libri che ho letto da allora, e tutti sono stati semplicemente incredibili e profondi. Ho iniziato a cercare chiese ortodosse su Google, e ho trovato un paio di chiese greche a cui sono andato. La prima volta che sono entrato in una chiesa ortodossa, è stato un giorno in cui non c'era nessuno. C'era questa signora anziana nella chiesa, le porte erano chiuse, ho bussato, e mi ha guardato come per dire, "Che cosa ci fai qui?" Mi ha fatto entrare, era davvero dolce.

Ho detto, "Sto solo guardando queste chiese. In realtà non ne so ancora molto".

Mi ha detto: "Vieni dentro! Vai avanti, la chiesa è vuota. Cammina, sentiti libero di guardarti intorno". Entro in chiesa da solo, in un silenzio completo, circondato da icone enormi, completamente estranee al mio background, e alzo lo sguardo e vedo il Pantocratore è lì. La prima cosa che è uscita dalla mia bocca è stata un’imprecazione, che probabilmente non era la cosa giusta...

P. Andrew: Beh, ma che si può dire quando si sta guardando il Signore Iddio onnipotente?

J. Jackson: Esattamente. Voglio dire, è stato come ... "Oh, santo...! Wow, probabilmente non avrei dovuto dirlo". Ma ero così sbigottito da quello che provavo. E questo è stato il momento in cui ho capito che quello che provavo a una funzione cattolica romana era come se fossi stato trasportato quasi al Medioevo. Quello che provavo qui era: Questa è la Chiesa originale. E l’ho provato solo stando in presenza delle icone.

Ma ecco un'altra cosa interessante: avevo sognato di essere in una chiesa ortodossa, prima di essere mai effettivamente entrato in una di esse. Quando sono entrato un quella chiesa greca, davvero bella... E sono entrato in un’altra bella chiesa greca dedicata a san Nicola nei pressi di Ventura, credo. La cosa interessante è che avevo fatto un sogno molto, molto vivido di quello che si prova ad essere in questa particolare Chiesa ortodossa, prima di averne mai vista una.

E quando sono entrato in quelle chiese, erano solo un po' diverse dal sogno, e io ne ero davvero, per qualche ragione, affascinato. Ho continuato a cercare on-line, e ho trovato questa chiesa particolare, quella in cui ora vado, chiamata Cattedrale di Santa Maria Vergine a Silverlake, e la foto sul sito web era esattamente l'esperienza che avevo avuto. Non c'erano banchi, e questo era un particolare molto preciso nel sogno che avevo avuto. La luce fluiva attraverso le finestre tra i fumi d'incenso, ed era un’esperienza molto mistica, le persone si muovevano attorno. E non appena l’ho vista, ho pensato, " Questo è proprio quello che ho sperimentato nel sogno! "

P. Andrew: Oh, wow!

J. Jackson: Ho chiamato, e il rettore della chiesa, padre John Strickland, ha risposto al telefono. Era arrivato appena due giorni prima da Seattle. Ha risposto al telefono, e ho potuto dire subito che questo era il posto giusto, perché era egli stesso un convertito, anche lui dallo stato di Washington, e siamo subito andati d’accordo.

Ho avuto alcuni incontri con lui, e poi ho portato mia moglie, Elisa, e abbiamo iniziato il collegamento con lui. La prima funzione – la prego di interrompermi se ha altre domande...

P. Andrew: No, no, questa è una bella storia!

J. Jackson: Va bene. La prima funzione a cui sono effettivamente andato era ... Ero da solo, perché stavo ancora osservando. È stato interessante perché la prima reazione che ho avuto quando sono entrato in chiesa è stata un’impressione molto, molto forte di sentirmi dire, "Va’ via. Scappa. Vattene. Esci. Vai. Non dovresti essere qui". E io pensavo che era così strano, perché avevo già letto alcuni libri, sapevo nel mio cuore che questo era il luogo dove Dio mi stava mandando, e ho pensato: "Wow". Ho iniziato a sudare. Era una sensazione davvero intensa.

Mi sentivo molto a disagio. Non conoscevo nessuno, e tutto era molto estraneo. Non sapevo cosa fare, ma, dopo, ho sentito come se lo Spirito Santo mi avesse detto: "No, resta per tutta la funzione, e poi saprai come ci si sente". [Sospiro.] Ho detto, "Va bene, lo posso fare. Lo posso fare." Così i primi 45 minuti sono stati solo un disagio assoluto.

P. Andrew: Sai, non sei la prima persona da cui ho sentito cose del genere. Ci sono molte persone che, quando incontrano l'Ortodossia, hanno questo forte senso di disagio, e credo che, per cercare di dare un’interpretazione al fenomeno, che questo sia proprio perché si sta in piedi alla presenza di Dio. E così come la tua reazione quando hai visto il Pantocrator è stato quello di dire qualche parola sconveniente, che cosa dire alla presenza di Dio? Cosa sentiamo o cosa facciamo?

Io in realtà ho visto un ateo che è venuto in una chiesa ortodossa perché era interessato a una ragazza che la frequentava, ed è stato presente per circa 20 minuti, e poi è corso fuori dalla porta principale, ha vomitato sul prato ed è letteralmente scappato. È una reazione un po' più estrema della tua, ma è accaduta davvero.

J. Jackson: Io stavo sudando. Stavo per andarmene. Ma c’era come un pensiero vivo. Non era il mio pensiero. Era del genere: "Esci. Scappa. Vai fuori di qui. Adesso". E io pensavo, "Ma perché mai? Non è... non credo che sia da Dio, ma cosa sta succedendo qui?" La cosa incredibile è stata:" Resta per tutta la funzione, e poi saprai come ci si sente".

A 45 minuti dall'inizio, è successo qualcosa. Tutta la stanza si è trasformata, e sono passato dal disagio totale a - le dirò quando è accaduto per gli ascoltatori ortodossi che conoscono la Divina Liturgia - è stato subito dopo l'omelia, dopo la preghiera per i catecumeni. Al canto di un inno - sono sicuro che ce ne sono molti, ma c’è un inno specifico che si canta dopo "Catecumeni, uscite." E tutto il luogo si è trasformato visivamente.

P. Andrew: Probabilmente è l'inno dei cherubini.

J. Jackson: Penso anch’io che sia quello.

P. Andrew: Si tratta di noi che raffiguriamo gli angeli.

J. Jackson: Sì.

P. Andrew: E siamo in adorazione di fronte al trono e all'altare di Dio.

J. Jackson: Questo è quello che è successo, perché il cielo... si è aperto. E io stavo lì. Dall'estremo di sentirmi dire "Vai fuori di qui. Queste non sono altro che cose estranee, bizzarre e scomode" fino alle lacrime sul mio viso, completamente affascinato. Era la prima funzione a cui sono andato, per quel che ricordo, le visite alle chiese greche hanno avuto luogo dopo; penso in realtà di essere andato prima a questa funzione, e poi di avere controllato alcune altre chiese per vedere a quali mi sentivo più collegato personalmente - ma la prima funzione era stata alla Domenica del pubblicano e del fariseo, che abbiamo appena passato un paio di settimane fa.

E ciò che mi ha affascinato in quel momento era che non avevo mai visto un gruppo di persone che pregano Dio con tanta umiltà. Non l'avevo davvero mai visto. Mi ha tolto il fiato, vedere persone che si fanno il segno della croce ripetendo: "Signore, abbi misericordia". E non era un pentimento da auto-flagellazione, del tipo "sono un verme". Non lo era. Era un pentimento collegato in qualche modo alla gioia, alla risurrezione. Era in qualche modo... come una relazione romantica con Dio.

Non l’avevo mai visto prima, e mentre le lacrime mi rigavano il viso, mi sono riscoperto a pregare, "Tutto quello che voglio fare è essere qui, in questa presenza. Non mi importa di niente altro al mondo. Tutto quello che voglio fare è semplicemente stare qui in questa presenza con questo gruppo di persone". Non solo il corpo locale dei fedeli, ma il Corpo.

P. Andrew: Il Corpo.

J. Jackson: Il Corpo di Cristo.

A quel punto... Non è stato facile, da quel punto.

P. Andrew: No, non è mai facile. Mai.

J. Jackson: Ma è stato certamente un momento cruciale.

P. Andrew: Non devi dirmelo se non vuoi, ma tua moglie, era con te in questa esperienza?

J. Jackson: No, non era con me in quella prima esperienza.

P. Andrew: Quindi l'hai portata dopo aver sperimentato queste cose.

J. Jackson: Sì, e l’ho portata a incontrare padre John prima che avesse mai partecipato a una funzione. E lui è stato semplicemente incredibile. Ci siamo incontrati e abbiamo parlato di molte cose. Lui ci ha accompagnato in tutta la chiesa prima che lei fosse mai stata a una funzione. E per lei è stato intimidatorio. Ha guardato le icone, e si è sentita in un certo modo impaurita. Voglio dire, come si dice, noi non giudichiamo le icone, ma loro giudicano noi. Ed è vero. È vero, spaventoso, intimidatorio. E soprattutto perché la gente deve capire che se si è cresciuti in Occidente, sia nel cattolicesimo romano o nella maggior parte delle denominazioni protestanti, si sta guardando l'esterno dell'Ortodossia attraverso la lente di qualunque esperienza o incontri che abbiamo con il cattolicesimo romano.

Ora, io non voglio criticare troppo i cattolici romani. Ho molto rispetto per loro. Ho un ottimo rapporto con molti cattolici, quindi non voglio essere troppo polemico nel mio dialogo, ma ci sono differenze tra le tradizioni. Alcuni dei punti di vista più strettamente giuridici sulla salvezza... Questo era ciò che mia moglie stava vivendo. Quando era nella Chiesa ortodossa, la stava vedendo attraverso la lente di ciò che aveva sperimentato nel cattolicesimo.

P. Andrew: Da ex-cattolica.

J. Jackson: Già, da ex-cattolica. E non solo, ma con la pesante influenza di dieci anni nel mondo protestante, che è estremamente anti-cattolico. E 'Romafobia', è uno dei termini che conosco.

P. Andrew: Specialmente quello che potremmo definire "Protestantesimo da Chiesa bassa."

J. Jackson: Sì, assolutamente. Per me non c'era sottofondo sacramentale per me. Per i sacramenti mi ci è voluto molto tempo, e sto ancora crescendo nella mia comprensione, e, a Dio piacendo, continuerò a crescere senza diventare stagnante.

Ma in ogni caso, lei era un po’ più titubante su molte cose. Ma io volevo condividere con lei tutto il tempo, ogni libro che stavo leggendo. Le ho letto delle cose a lei, ne ho parlato con lei. Anche quando stavo cercando nel cattolicesimo, questo apriva punti di vista diversi sulla Vergine Maria, che, crescendo nel mondo protestante, è la cosa più bizzarra e strana che si possa pensare. E, da ex-cattolica, mia moglie aveva trascurato Maria, come qualcosa del tutto irrilevante, tranne forse a Natale. Va bene durante il periodo natalizio, ma a parte questo ...

P. Andrew: "Arrivi a tenere in braccio il bambino Gesù".

J. Jackson: Già, esattamente. Ma ha cominciato a venire in chiesa con me e a prendere confidenza. Siamo arrivati all’inizio della Quaresima, e io ho uno di quei caratteri che voglio tutto subito. Così mi sono immerso completamente. Ho fatto il digiuno, lo voglio sperimentare. Lei al momento stava allattando il nostro figlio più giovane, così non era in grado di digiunare tanto. E in realtà abbiamo avuto una specie di non-proprio-meravigliosa esperienza di Pasqua a causa della tensione che c'era. E va bene così. Fa parte del cammino.

Ma ora... il suo cuore è completamente immerso. Doveva venire al Vespro del perdono ieri sera, e c'è stato un fraintendimento, e non ha potuto esserci a causa del bambino. Mi ha chiamato al telefono, piangendo, perché voleva essere lì. Ecco dove è il suo cuore.

P. Andrew: Sappiamo cos’è la maternità e la vita di un cristiano ortodosso - non abbiamo il tempo di entrare in dettaglio - ma l’ho notato anche con mia moglie. Si tratta di una costante... lotta ascetica. È un compito enorme.

Beh, vorrei cambiare un po' argomento e ti chiedo una cosa che vorrebbero chiederti i tuoi fan: Com’è che la tua fede, specialmente ora che stai diventando un cristiano ortodosso, informa e modella la tua recitazione e anche la tua musica?

J. Jackson: Sì, sono domande importanti. Ho iniziato a recitare, come ho detto, quando avevo circa 11 anni.

P. Andrew: Era in General Hospital.

J. Jackson: Già, e molto presto, mio ​​fratello e io ci siamo resi conto che dovevamo fare qualche seria riflessione su come questa professione si collega alla nostra fede.

P. Andrew: È che ... penso che parte di questo è dovuta al fatto che, come attore, interpreti personaggi che spesso fanno cose che come cristiano non peneresti affatto di fare.

J. Jackson: Assolutamente. Questa è la recitazione. Assumi il ruolo di altre persone.

P. Andrew: Tu sei qualcun altro.

J. Jackson: Sì, è un mezzo di comunicazione davvero interessante, molto, molto interessante. Una delle cose che mi dà conforto è che Cristo ha insegnato attraverso parabole, attraverso storie. Mi accosto all’arte della recitazione a partire dalla narrazione, dalla ricerca di modi per presentare la vita con onestà, che si spera possano attirare la gente quasi come in uno specchio, capaci di vedere se stessi vivere un'esperienza.

Per esempio, se una storia ritrae una vendetta, a volte una vendetta può essere una cosa molto devastante, brutta da vedere se la si prende in tutta la sua estensione. Ed è una cosa molto shakespeariana, molto biblica.

P. Andrew: Penso che Shakespeare usi questa immagine di uno specchio, e lo specchio è la vita.

J. Jackson: Davvero? Beh, è così. Ma la cosa bella è che, diciamo nel tuo cuore, hai un seme di rabbia o rancore verso qualcuno, e hai un istinto verso una sorta di vendetta - non in un modo grandioso - , ma vedi un film che mostra lo stesso istinto in modo grandioso, e tutto ad un tratto, ti rendi conto: "Wow. Guarda che conseguenze".

P. Andrew: "Guarda come è realmente il male."

J. Jackson: Già. Ti permette di vedere te stesso in forma esagerata, estesa, ma che può, credo, cambiare la vita delle persone. O mettiamo che si tratti di tossicodipendenza. Diciamo che c'è qualcuno che sta solo fumando marijuana, e non prenderebbe mai in considerazione l'eroina o il crack o qualcosa del genere. Ma va a vedere un film su un tossicodipendente, e vede la sua devastazione... Forse gli farà pensano due volte prima di coinvolgersi in queste cose. Forse si ricorderanno l'immagine del personaggio sofferente - che era finzione: anche se è un attore a farlo, forse avrà un impatto su di lui, per fargli dire, "Io non vorrei mai finire così".

P. Andrew: Penso che spesso le storie possono insegnare in modo molto più efficace, almeno per molta gente, di una semplicemente predica o insegnamento, "Questa è la nostra morale". Sì, penso che ne abbiamo bisogno, ma al  stesso tempo, se non vediamo nella nostra mente l'immagine di come appare il male, e come appare la santità, non sapremo come fare, o se dovremmo fare qualcosa.

J. Jackson: Rimane una cosa astratta. Teorica. Nell’Ortodossia, l'incontro con Dio è una cosa enorme. Uno degli altri libri che ho letto, dal Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo, è stato Incontro con il mistero, davvero un libro bellissimo.

Recitare è un tipo di incontro, e una delle persone che vedo come una sorta di ispirazione è C. S. Lewis - che sapeva scrivere storie. Penso che a un certo punto della sua vita abbia capito di essere uno dei migliori apologeti cristiani negli ultimi cento anni, credo, ma scrisse ancora storie. Ha scritto Narnia. Se ne rese conto dicendo "ho bisogno di presentarlo in un modo che le persone possono incontrarlo in un modo viscerale, istintivo, emozionale."

Come il matrimonio, per esempio. Non ci innamoriamo teoricamente. Non ci innamoriamo razionalmente. Ci innamoriamo incontrando quell'altra persona, e se qualcuno ti domanda, puoi nominare un paio di cose, ma in realtà non puoi indicare ciò che è. È... un mistero.

P. Andrew: Lo è davvero.

J. Jackson: Così le storie, credo, fanno questo alla gente. E l'altra ispirazione è stato Dostoevskij, che è stato una grande influenza, perché l’ho scoperto da adolescente, e ha scritto cose molto, molto tenebrose. E tuttavia, ne ha scritto da un luogo di luce. Così, come attore, interpretavo serial killer, suicidi, eroinomani. Per qualche ragione, la maggior parte dei ruoli che ho ricoperto erano molto oscuri, molto disturbati, eppure ho dovuto cercare un modo di rappresentarli, non entrando io stesso nelle tenebre, ma in realtà entrando di più nella luce in modo da essere in grado di rappresentare le tenebre, ma partendo da un luogo di preghiera e intercessione; questo sarebbe in realtà, a Dio piacendo, una qualche forma di liberazione o illuminazione per la gente.

P. Andrew: Ebbene, ecco una specie di domanda un po’ più personale: L'umiltà è la virtù chiave degli ortodossi. È il modo in cui... È il cammino che stiamo percorrendo come cristiani ortodossi. Lo menziono perché alcuni potrebbero pensare: "Beh, perché sta intervistando questo ragazzo che è una star della televisione e del cinema e un musicista, e così via?" Ma non è questo il punto del colloquio. Non è il fatto che sei famoso.

D'altra parte, ho voluto sottolineare, almeno per alcuni dei nostri ascoltatori ortodossi, che, sì, ci sono alcuni personaggi famosi che sono ortodossi, non solo le persone cresciute nella fede come Tina Fey di Saturday Night Live o Jennifer Aniston di Amici o Jim e John Belushi, che sono stati tutti cresciuti ortodossi, ma anche alcuni che ci sono arrivati da adulti, come il calciatore dei Pittsburg Steelers, Troy Polamalu, che è una specie di eroe per gli ortodossi della Pennsylvania, l'attore Tom Hanks che si è sposato con una ragazza greca , e il cantante Chris Cornell dei Sound Garden, e ora tu.

Come funziona questo per te? Ovviamente, la nostra cultura valorizza la fama come un bene quasi intrinseco, ma imparare l'umiltà è il nostro obiettivo di cristiani ortodossi. Direi che la celebrità è quasi uno strumento necessario per il tuo lavoro, è una delle cose che devi essere in grado di gestire. Quindi, sapendolo, come cerchi di perseguire l'umiltà in mezzo a tutti questi fan che ti dicono quanto sei grande?

J. Jackson: Penso che sia un cammino e un interrogativo di tutta la vita. La preghiera di Gesù è utile. Questa è una domanda che ho fatto fin da quando avevo 12 anni. Mi alzavo ogni mattina, come se stessi sperimentando questa trasformazione nella mia vita con Dio, e una delle preghiere di ogni mattina quando mi alzavo era che vorrei la sapienza, ma: "Dammi la saggezza solo in proporzione all’umiltà, perché non voglio la sapienza senza un fattore di equilibrio".

E poi c’è anche CS Lewis, per esempio, che dice fondamentalmente che quanto più umile uno diventa, tanto più si rende conto del suo orgoglio. Quindi per me, una delle più grandi trasformazioni che ho avuto è stato proprio uno di quei sermoni che ho ascoltato da bambino, un sermone sull'orgoglio, e mi ha toccato fino al cuore. Non avevo mai veramente capito quant’ero orgoglioso e arrogante e sconsiderato nei miei pensieri e nelle cose che dicevo alla gente. È diventato quasi una gara di corsa con lo Spirito Santo. Tutto ad un tratto ho cominciato a sentire me stesso nelle conversazioni con le persone e questi orribili pensieri di giudizio. Ho solo pensato: "Wow! Non ho mai saputo che tutto questo esisteva in me". Ma sapendo che non c'è nessuna condanna per quelli che sono in Cristo, questo mi ha ancorato a essere in grado di ricevere la condanna e pentirmi senza un senso di perdita di speranza.

Fondamentalmente, io non so come farlo. Tutto quello che so è che "Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi misericordia di me peccatore" è una parte della mia vita quotidiana con Dio. Le vite dei santi: se pensi di essere spirituale o santo, letto solo di uno dei santi, e poi diventerà abbastanza evidente che ti restano una vita e l'eternità per scoprire la fede.

Penso che queste siano alcune delle cose principali. La fama è una cosa ridicola, ed è l'enfasi completamente opposta al regno. Gli ultimi saranno i primi, i primi saranno gli ultimi. E devi entrare nel regno come un bambino.

P. Andrew: Penso che sia una croce, in realtà. Credo che la fama sia una croce. Ci sono alcune persone che se ne nutrono, e sono sicuro che probabilmente hai incontrato un sacco di gente del genere. Cosa fai? Ma al tempo stesso, credo che, se la vedi come una croce, sia che si tratti di una persona che si trova di fronte a un gruppo di un centinaio di persone o di qualcuno che sta di fronte a milioni, è ancora una croce. È sempre una croce.

J. Jackson: Giusto. Già. E devo dire che il mio cammino con Dio è stato segnato da questa domanda disperata. "Signore, per favore aiutami, aiutami a rimanere alla tua presenza". Non c'è modo di rimanere aperto alla sua grazia senza l'umiltà, e scoprire l'Ortodossia e sperimentarla fino a questo punto e camminare verso il giorno del nostro battesimo, devo dire che la tradizione ortodossa e le vite dei santi, la comunione dei santi, e le dottrine e la teologia nella fede ortodossa aiutano nel cammino dell’umiltà.

Una delle cose che mi ha davvero colpito, alla prima funzione a cui sono andato, è stato quando il prete, che era p. John, nel bel mezzo della funzione, è uscito e si è inchinato e ha detto: "Perdonatemi, fratelli e sorelle." Ora, questo è stato strabiliante, perché in Occidente, tutto quello che sappiamo sul sacerdozio è una sorta di clericalismo, una sorta di essere al di sopra di tutti gli altri.

P. Andrew: "L'intermediario".

J. Jackson: Sì, l'intermediario tra Dio e l'uomo. E questo era completamente diverso. Questo era... era un sacerdozio basato sull’umiltà, basato sul servizio, e sull’essere un riflesso e un'icona di Cristo. Ed è integrato nel sistema, nella tradizione. Non è come se questo individuo, padre John, fosse per caso umile, ma è nel sistema. È . Ed è nelle preghiere che il sacerdote recita durante la confessione. Voglio dire, una cosa ha segnato profondamente: l'umiltà. Non è una cosa del genere, "Sì, sì, povero peccatore, io ti assolverò." No. E del genere, "Io sono sulla tua stessa barca, e ci troviamo davanti al giudice che verrà di nuovo".

Sono grato alla Chiesa ortodossa, perché mi ha dato una casa e un posto per praticare questo combattimento spirituale di umiltà - perché è una guerra - e mi ha aiutato a darmi una casa.

P. Andrew: Hai parlato del tuo imminente battesimo. Oggi è il primo giorno di Quaresima per i cristiani ortodossi nel 2012. Noi chiamiamo questo lunedì il "Lunedì puro", e quando è che sarai battezzato?

J. Jackson: A Dio piacendo, sarà a Pasqua. Dovrebbe essere al Sabato Santo.

P. Andrew: Così questo è il giorno. Voglio dire, ogni giorno va bene per essere battezzati, ma questo è il giorno. Così sarai tu con tua moglie e i tuoi tre figli.

J. Jackson: Sì.

P. Andrew: Wow.

J. Jackson: E una cosa che volevo dire sulla mia famiglia che entra nella Chiesa è stata l'esperienza che hanno avuto i miei figli, perché è stata davvero affascinante, perché la amano assolutamente. Voglio dire, quando sono entrati la prima volta, è stato... erano semplicemente stupefatti.

P. Andrew: È come un circo a tre piste per i bambini.

J. Jackson: Oh, è incredibile!

P. Andrew: Ho anch’io tre figli.

J. Jackson: Penso che l'apprendimento, l'incontro visivo con la fede... ne parla Gillquist, e sono sicuro che ne parlano molti altri autori: tutti i sensi sono presenti alla Divina Liturgia in una chiesa ortodossa: il profumo dell’incenso, il suono degli inni che ci uniscono con gli angeli, le icone e gli elementi visivi, e quindi per gli ortodossi battezzati, la comunione: gustare e ricevere il corpo e il sangue di Cristo - ci sono tutti i sensi, e per un bambino di sei - sette anni, credo che ascoltare una predica per un'ora e venti minuti non avrà su di loro un impatto tanto quanto essere semplicemente nel bel mezzo di tutto e ricevere impressioni da quel luogo misterioso.

Anche il mio figlio più giovane, Titus, che è di 17 mesi, si sveglia ogni mattina e vuole andare verso l'angolo bello, e vuole baciare le icone. E si sveglia e dice: "Jesuh?" Cercando di dire, "Gesù". E si tocca la testolina per fare il segno della croce. Pur così giovane, è già in grado di comprendere che Gesù non è un nome teorico. C'è un'immagine, e perché è così importante? Perché Dio si è fatto visibile in Cristo, e la connessione tra le icone e l'incarnazione di Dio è molto profonda per me, e vedere la risposta dei miei figli e la connessione all’esperienza di Dio, non solo attraverso l'insegnamento, ma visivamente e attraverso l'incontro, è una cosa potente.

P. Andrew: Ho due domande. La prima è: che tipo di progetti hai in corso? Uno di quelli che mi hai raccontato, prima di questa intervista, è che stai lavorando a un libro sui contatti, le connessioni, le formazione tra l’Ortodossia e quello che fai per vivere.

J. Jackson: Questo libro in particolare è chiamato Recitare nello Spirito, e l'idea alla base era che ci sono molti metodi per gli attori, un sacco di metodi diversi...

P. Andrew: Certo, Stanislavskij.

J. Jackson: Stanislavskij e così via. Meisner e così via.

P. Andrew: L’ho letto ai tempi del college.

J. Jackson: Concettualmente non ho davvero nulla contro di loro, ma ho voluto esplorare un modo diverso di avvicinarsi al mestiere della recitazione, e l’ho fatto in un certo modo durante il mio cammino. Ora faccio l’attore da circa 20 anni. Volevo esplorare questo: come si fa ad accostarsi a personaggi tenebrosi, come ha detto lei? Come ci si avvicina a queste cose?

Il libro è davvero questo. Ogni capitolo, più o meno, parla di "recitazione come preghiera" o "recitazione come profezia", "recitazione come incontro", tutte queste cose. Parla dell'arte della recitazione, ma anche, in realtà, di ogni tipo di forma d'arte. Se qualcuno è un musicista, un poeta, uno scrittore, un regista, tutto è connesso, ma è per lo più focalizzato sulla recitazione.

Una delle cose fondamentali per recitare, nel libro, è la visione ortodossa, una visione sacramentale del mondo, per me davvero potente, rendersi conto che tutto il mondo è un sacramento, e quando il Dio invisibile incontra il mondo fisico... e recitare è un mezzo fisico: hai a che fare con altre persone: è incarnazionale. Quindi, in qualche modo, la parola deve farsi carne, misticamente, in tutti noi che siamo in Cristo, incontrandoci insieme con l'umanità nell'arte della recitazione. Si tratta davvero di un’esplorazione,. Non è certamente una cosa che viene - spero - da un luogo di cui credo di conoscere molto. È più come fare un sacco di domande e dire: "Questa è la mia esperienza", e poi sperare, forse, che potrà ispirare alcune persone, perché alcuni metodi di recitazione possono diventare piuttosto devastanti per le persone, nella loro vita personale.

Molti giovani attori, se devono interpretare un eroinomane, iniziano a sperimentare le droghe, perché pensano di dover iniziare da quel punto di vista il metodo di recitazione. La mia opinione è che questo è assolutamente inutile. Se si cresce nella compassione del cuore, come dice sant’Isacco, e si vedono le cose da un punto di vista cosmico, non solo come individui, il nostro cuore deve essere aperto a piangere con quelli che piangono, a rallegrarsi con quelli che sono nella gioia, e come attore diventa un’esperienza molto cosmica, spirituale, perché si sta entrando nella vita del personaggio, ma non è finzione quello che stai facendo, è l'intercessione che stai portando alle persone con cui lavori e alle persone che potranno vedere la storia e ciò che vi è rappresentato. Ecco alcuni dei temi del libro.

P. Andrew: E che si chiama Recitare nello Spirito?

J. Jackson: Sì, Recitare nello Spirito.

P. Andrew: Lo aspetteremo, a Dio piacendo, quando uscirà. Ecco la mia ultima domanda, allora. Per i tuoi fan, o chiunque altro potrebbe essere ora in ascolto, che non sanno nulla della Chiesa ortodossa, e tutta questa cosa può essere strana per loro, cosa diresti loro? Se avessi la possibilità di sederti con loro, come hai avuto la possibilità di sedersi con me, e ti chiedessero, "Che cosa è questo?" Forse dopo che hanno ascoltato tutto quello che hai appena detto, che messaggio vuoi dare loro? Quale messaggio vuoi dare ai tuoi fan sul cristianesimo ortodosso?

J. Jackson: Hmm. Wow. Beh, avrei dovuto usare meno parole e fare più affidamento sulla preghiera per incontrare la persona a cui sto parlando. Vorrei solo dire che è la cosa più bella che puoi sperimentare e che "Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato..." ecco che cos’è questo per me. Ed è a disposizione di tutto il mondo, di tutta la creazione. Se qualcuno è attratto verso Cristo, allora direi che questa è la casa perfetta, e se proviene da un background diverso, da una diversa tradizione, allora sarà, molto probabilmente, a volte un po' scomodo, ma al di là del disagio c'è una benedizione e una trascendenza che ne vale la pena.

Lo so, per me, il mio viaggio è una sorta di stato simile a quel momento nel Vangelo di Giovanni, quando Gesù cominciò a raccontare ai suoi seguaci: "Chi non mangia la mia carne e non beve il mio sangue non è degno di..."

P. Andrew: Giovanni 6.

J. Jackson: Sì. Non riesco a ricordare il numero - forse lei lo ricorda - ma c’erano circa una settantina di discepoli, o quant’altro, ma la maggior parte se ne andò.

P. Andrew: Sì, la maggior parte lo ha lasciato quando ha detto quelle cose.

J. Jackson: E più o meno tutti quelli che rimasero erano i dodici, e Gesù si voltò e li guardò, e disse: "Volete andarvene anche voi?" E la risposta di Pietro a Cristo è un po’ ciò che prova il mio cuore nei confronti della Chiesa ortodossa: "È un discorso duro, quello che hai appena fatto. Non lo capisco completamente, ma tu hai parole di vita eterna. Dove posso andare?" E questo è più o meno come mi sento. Sono affascinato, e anche a disagio, vedo difficoltà, a volte, c'è una bellezza trascendente e una comunione con Dio che onestamente non cambierei con nulla, perché questo è l’oggetto originale vecchio di 2,000 anni, proprio qui.

E inoltre, la comunione mistica dei santi è qualcosa di molto, molto potente: rendersi conto che durante la Divina Liturgia non stiamo solo pregando insieme. Stiamo pregando assieme al Corpo globale di Cristo che è vivo, presente oggi, ma stiamo anche pregando assieme al Corpo di Cristo, che è al di fuori del tempo, e ci uniamo con il cielo. Fare parte di questa esperienza mistica è qualcosa che non si può esprimere a parole, e non è disponibile, in realtà, in qualsiasi altro luogo, perché è solo nella Chiesa storica. È la fede storica.

P. Andrew: Molte, molte grazie, per essere venuto a parlare con me oggi. Ancora una volta, sono qui con l'attore e musicista Jonathan Jackson, e saremo lieti di vedere qualsiasi altra cosa hai in programma, ma ti auguriamo anche successo nel tuo cammino quaresimale mentre vai, a Dio piacendo, verso l’illuminazione alla santa Pasqua. Grazie mille.

J. Jackson: Grazie, Padre.

 
Europei occidentali alla ricerca della verità: Il convento della Natività della Madre di Dio ad Asten, Paesi Bassi

Le albe e i tramonti in questa parte rurale, meridionale dell’Olanda, emanano sfumature mistiche di un rosa effervescente, una manifestazione che ha attirato molti artisti in queste pianure. E se si dovesse cercare in tutta l'Olanda, sarebbe difficile trovare per un monastero un posto più adatto di questo pezzo di terra, una distesa insolita in un paese densamente popolato. Si ritrovano qui i segni usuali della campagna olandese - campi verdi lussureggianti, vacche lucide e grasse, bianche e nere, fattorie di mattoni con pizzi alle finestre, canali, e orizzonti indisturbati. È tranquillo, verde e fertile, con una tenue brezza di mare nell’aria.

Al convento della Natività della Madre di Dio ad Asten, Paesi Bassi

Una natura conservata con cura, tradizione locale, pulizia, tutto concorre alla scena europea di una vita comoda e tranquilla. Ma che cosa è tutto questo senza la grazia di Dio? Solo un paesaggio o una natura morta. Ad Asten, tuttavia, una cappella in stile russo lungo la strada, con cupola e croce a otto punte, si staglia contro l'orizzonte piatto. E l’effervescenza rosa-porpora si irradia in qualche modo non solo dal sole, ma dai cieli, perché in questo luogo c’è un monastero ortodosso, dedicato alla Natività della Madre di Dio.

La fondatrice e badessa di questa piccola comunità è Madre Maria, nata a L'Aia. Madre Maria è un esempio edificante di chi ha cercato e trovato, chiesto e ricevuto. Il risultato visibile è questo convento.

Nata alla fine della seconda guerra mondiale, un momento di grande travaglio per i Paesi Bassi, Madre Maria descrive la sua educazione come favorevole a una visione cristiana della vita.

"Sono nata e cresciuta alla periferia di L'Aia. Dietro casa nostra c’erano boschi, e al di là le dune. Era una bella zona, e ha ispirato l'inizio del mio amore per la natura e per il suo Creatore. Anche se non sono stata cresciuta come credente, sono cresciuta in una famiglia amorevole, dove ci è stato insegnato a rispettare le persone e la natura. Nella mia prima infanzia sono stata influenzata dalle storie della Bibbia che abbiamo studiato durante le lezioni di religione nelle scuole elementari, e più tardi, dopo esperienze personali, ho cominciato a pensare alle grandi domande della vita: 'C'è un Dio? È vero che ascolta le nostre preghiere?' Mia madre a volte partecipava alle funzioni della Chiesa riformata olandese. Ho iniziato ad andare con lei, e a frequentare la scuola domenicale. In seguito ho avuto un’amica cattolica che cantava in un coro bizantino Chiesa cattolica. Quando avevo quattordici anni, ho iniziato anche io a cantare in quel coro, in slavo ecclesiastico, alla Liturgia. All'incirca nello stesso tempo, ho visitato il convento ortodosso di San Giovanni il Precursore a L'Aia. Qui sono diventata ortodossa, all'età di diciotto anni. "

L’Ortodossia russa è venuta in Olanda negli anni ‘40 e ‘50, attraverso questa comunità a L'Aia, con l'aiuto inconsapevole della Chiesa cattolica. Quando la rivoluzione comunista si è impadronita della Russia, si è formata una diaspora in Europa occidentale, che avrebbe contribuito a introdurre la Fede ortodossa tra la popolazione locale. Il cristianesimo in Russia è stato sostituito dall’ateismo militante, un fatto che ha portato la Chiesa cattolica a iniziare le sue ferventi preghiere per la cristianizzazione della Russia.

"Certo, la Chiesa cattolica immaginava una Russia cattolica, ma molte persone erano sinceramente preoccupate per il destino della Russia. Questo è ciò che ha ispirato la formazione di un ministero cattolico per i profughi russi, e l'apertura di un monastero a Chevetogne, in Belgio, da parte di monaci cattolici benedettini che avevano studiato al Russicum del Vaticano. Il nuovo monastero avrebbe dovuto osservare i riti liturgici bizantini. Si trattava di persone di mentalità missionaria, pronte ad andare in Russia a predicare, ma è apparso chiaro che lì la loro predicazione non era necessaria. Il loro ministero ha aiutato molti rifugiati russi; tuttavia, si potrebbe sostenere che all’inizio erano un po' ingannevoli - non dicevano a questi profughi che la loro organizzazione era cattolica. Sembravano ortodossi, usavano anche la lingua slavonica ecclesiastica nelle funzioni. Tuttavia, molte altre persone erano attratte da questo monastero in Belgio, unico nel suo genere, e una volta che hanno visto chiaramente la differenza tra le Chiese cattolica e ortodossa, hanno scelto l'Ortodossia ".

Tra questi c’erano il vescovo Jacob e l’archimandrita Adrian de L'Aja, forse i primi olandesi a diventare ortodossi. Erano monaci cattolici che avevano cominciato a studiare la letteratura ortodossa, e avevano scoperto che gli insegnamenti dei Padri della Chiesa erano stati conservati solo nella Chiesa ortodossa. Sono stati ricevuti nella Chiesa ortodossa nel 1940 dal vescovo Dionisij del Patriarcato di Mosca. Più tardi avrebbero conosciuto l'Arcivescovo John (Maximovich), che diede loro incoraggiamento. Padre Adrian fu ordinato sacerdote nel 1952, e padre Jacob fu consacrato vescovo nel 1965. Le loro figlie spirituali hanno costituito una piccola comunità a L'Aia, in un edificio che un tempo era un convento cattolico. Le sorelle erano olandesi, e non c'erano russe nella comunità. "La maggior parte dei russi", dice Madre Maria, "semplicemente non riusciva a capire perché gli olandesi si rivolgevano all'Ortodossia. Non aveva senso per loro a quel tempo".

Madre Maria

Madre Maria entrò in quel convento come novizia tre anni dopo la sua conversione, nel 1965.

"Quando avevo 21 anni sono entrata come novizia nel monastero de L'Aia. Perché? Questa decisione non è maturata in un giorno. Avevo un desiderio di vita monastica, delle funzioni della Chiesa, un crescente desiderio di dedicarmi a una comunità, a una vita di semplicità e di preghiera. Certo, avevo letto molto su questo, ma più importanti per me erano i miei viaggi al convento della Madre di Dio di Lesna in Francia. [1] Ci sono andata durante quasi tutte le vacanze estive. Ho partecipato a tutte le funzioni, sono andata alla Divina Liturgia ogni mattina, ho aiutato le monache nel giardino, in cucina, e nel laboratorio dove facevano le candele, e ho persino imparato a fare le corde da preghiera. Lì ho imparato un po' di russo e slavonico ecclesiastico. Lì, il desiderio di diventare monaca è impercettibile maturato dentro di me.

"Particolarmente importanti per me sono stati gli ultimi tre anni prima di entrare in monastero, quando mi trovai di fronte alla decisione sull'opportunità o meno di sposarmi. Stavo diventando sempre più consapevole del potere della preghiera, del senso della vita in un monastero, anche del significato della vita eremitica, e quindi ho perso il mio interesse per la "vita del mondo". Si dice che in tempi difficili, le persone cercano un'esistenza senza problemi nei monasteri. Io non ci credo. La vita in monastero è troppo difficile per essere chiamata "senza problemi." Ma si può vedere come ai nostri tempi ci sono persone in Grecia, in Europa occidentale e in America che lasciano consapevolmente una vita comoda nella società occidentale per il bene dell’ascesi e della fatica monastica".

Anche se la ricerca di Madre Maria era prima di tutto ricerca di vita monastica, discute anche della ricerca di un padre spirituale, e di un monastero:

"Se una persona trova ciò che sta cercando, e il suo padre spirituale è il superiore di un monastero, allora è probabile che si unirà a quel monastero. Un monaco è sotto la guida spirituale del padre spirituale del suo monastero. Questo può essere il superiore, o qualcun altro. Quando il padre spirituale muore, la sua posizione è solitamente assunta da uno dei suoi figli spirituali. Anche le monache di un monastero hanno un padre spirituale, di uguale importanza della loro madre badessa. Quando muore, o per qualche motivo non è più in grado di guidare spiritualmente le sorelle, il monastero deve trovare un altro padre spirituale che sarà adatto alle tradizioni di quel monastero".

Fondato in Olanda da olandesi e per olandesi, il convento a L'Aia aveva il suo "sapore", distinto da quello che si potrebbe trovare in un paese tradizionalmente ortodosso. Questa differenza ha portato Madre Maria a una nuova ricerca - di un monachesimo tradizionale.

"Quanto a me, ero entrata al monastero a L'Aia, perché era l'unico monastero ortodosso in Olanda. Avevo un solo, semplice pensiero: se Dio ha pensato bene di chiamare me, una ragazza olandese, al monachesimo, allora questo doveva essere in un monastero in Olanda. Guardando indietro, posso dire che questa è stata la decisione giusta per me, anche se la mia vita è andata in una direzione diversa da quello che avrei potuto prevedere in quei giorni. La vita monastica a L'Aia era molto difficile per me. L'idea era di avere un monastero nel centro della città, in modo che chi voleva poteva venire a conoscenza dell'Ortodossia. Era un monastero con una parrocchia e solo alcune monache, che andavano ogni giorno a lavorare in posti di lavoro secolari in abiti civili, al fine di guadagnarsi da vivere. A quel tempo vivevano lì anche molti fratelli, ognuno dei quali ha poi trovato la sua strada. Mi ricordo di padre Timoteo, defunto quest'anno (allora il suo nome era David) che ha vissuto 30 anni sul monte Athos; anche padre Pacomio (pure lui defunto di recente), che ha fondato il monastero di sant’Hubert (nel sud dell'Olanda), e di padre Tommaso, che ha fondato un monastero in Belgio.

"Ho lasciato il monastero a L’Aia perché era difficile per me lavorare durante il giorno in città, ed essere una novizia solo durante le ore serali e nei fine settimana. Non ero ancora una monaca tonsurata".

Nel 1973, la giovane novizia olandese ha cercato il monachesimo e la spiritualità ortodossa in Serbia, ed è entrata nel Monastero di Zhicha, nei pressi di Kraljevo. San Giustino Popovich, il padre spirituale del monastero di Celije, era ancora vivo al momento, e madre Maria ricorda le parole profetiche che le disse quando andò a ricevere la sua benedizione. Le disse che era venuta in Serbia per imparare il monachesimo, ma che sarebbe poi tornata in Olanda.

"Sono stata nel monastero in Serbia per due anni, e ho dovuto abituarmi alla severa vita monastica tradizionale, in compagnia di sorelle con cui ero molto felice. Questo è stato un periodo di transizione prima della mia vita ancora sconosciuta in Grecia. I figli spirituali del grande anziano Giustino Popovich, ora vescovi Atanasio Jeftich e Ireneo Bulovich, mi hanno consigliato di andare in Grecia, per prendere la mia decisione finale ".

La cappella dell’Odigitria

Come cittadina olandese, Madre Maria non era libera di rimanere a tempo indefinito nella Jugoslavia comunista, così ha ascoltato i consigli degli anziani, e nel 1975 è andata in Grecia.

"Nell’atmosfera libera della Grecia, sono stata in grado di respirare più facilmente. Ben presto, mi sono sentita come a casa. L'influenza del Monte Athos era molto forte, in particolare quella dei Kolivades, [2] che chiedevano alle persone di ricevere la Santa Comunione più frequentemente e non solo una volta all'anno durante la Grande Quaresima (o una volta al mese, come i monaci in Serbia a quel tempo). Ho trovato lì una tradizione viva, conservata per centinaia di anni nei monasteri. In un certo senso, ho dovuto ricominciare tutto da capo, tenendo conto delle differenze di tradizione e mentalità. Ho vissuto con la sensazione di aver trovato il mio posto, per il resto della mia vita..."

Madre Maria ha vissuto in un monastero nel Peloponneso, vicino a Sparta, dove ha ricevuto la tonsura monastica. Nel frattempo, ha fatto grandi progressi nel suo studio della lingua greca.

Nel 1982, per la prima volta da anni, ha visitato di nuovo l’Olanda, dove i suoi amici ortodossi l’hanno convinta ad aprire un convento nella sua terra natale. È tornata in Grecia, al fine di prepararsi per questa impresa. Madre Maria si è stabilita temporaneamente in un monastero della diocesi di Drama, nel nord della Grecia, e ha intrapreso presso l'Università di Tessalonica un corso sulla traduzione dei testi liturgici, insegnato dal defunto professor I. Fountoulis. Si stava avvicinando il tempo in cui avrebbe lasciato la Grecia, la sua casa per undici anni, al fine di contribuire da aiutare la crescita della Chiesa ortodossa in Europa occidentale.

"Io stessa mi sento a casa in un monastero greco, ma posso capire perché non sarebbe così per tutti. Non c'è da meravigliarsi che si aprano nuovi monasteri ortodossi in Occidente. Ma è molto importante che tali monasteri abbiano connessioni con un paese che è tradizionalmente ortodosso, e con i suoi monasteri.

"Nel corso della storia ci sono stati monaci che, dopo aver trascorso diversi anni in Grecia, sono tornati alle loro terre d'origine. Padri russi come sant’Antonio delle Grotte di Kiev e san Nilo di Sora ne sono esempi. Negli ultimi tempi possiamo citare padre Placide, che è divenuto ortodosso sul monte Athos ed è tornato in Francia, dove ha iniziato un monastero. Un altro esempio è un’australiana di origine greca, divenuta monaca in Grecia nel 1983, e dieci anni dopo è stata rimandata in Australia, un paese con diversi milioni di greci ortodossi, al fine di stabilire un monastero femminile. Vi è anche padre Vasilije (Grolimund), svizzero-tedesco di origine, che ha fondato un monastero in Germania, dopo aver vissuto per dieci anni sul monte Athos.

"La storia dei monasteri americani dell'anziano Ephraim non è molto diversa - su richiesta di un certo numero di greci americani, ha scelto un gruppo di monaci e monache greci per organizzare monasteri in America secondo la regola athonita. In meno di vent’anni padre Ephraim ha fondato diciotto monasteri, e spera prima di morire di fondarne altri due, in modo che possano essere in numero pari ai monasteri del Monte Athos - venti. La maggior parte degli abati e badesse di questi monasteri americani sono greci, o sono di origine greca; per esempio padre Paisius, l'abate del monastero in Arizona, è un greco che è nato in Canada.

"Nel 1986, dopo essersi consultata con padri monastici, e, naturalmente, con la benedizione della mia badessa e del vescovo locale, sono tornata in Olanda. Padre Pacomio del Monastero di S. Elia mi ha dato ospitalità, e ho vissuto in una sua casa con giardino fino a quando alcune persone pie hanno offerto di acquistare una vecchia casa colonica ad Asten nel 1988. Poi nel 1989 mi sono trasferita lì per fondare un monastero. "

Uno dei padri con i quali madre Maria si è consultata è stato l’archimandrita Sofronio (Sakharov), del monastero di San Giovanni il Precursore nell’Essex, in Inghilterra.

"Due anni prima di ritornare in Olanda mi stavo già preparando per il mio ritorno, visitando diversi monasteri, tra cui quello nell’Essex. Il mio incontro con padre Sofronio è stato molto significativo per me. Ricordo in particolare il suo consiglio di non essere una monaca in una parrocchia, è meglio che un monastero sia separato da una parrocchia. Inoltre mi ha consigliato di cercare un posto con spazio sufficiente perché il monastero cresca. Ha parlato anche dell'idea di 'esilio.' Nella vita spirituale, è importante che uno lasci la sua patria, come ha fatto Abramo, che diventi un vagabondo sulla terra, come è stato Gesù Cristo. Padre Sofronio mi ha chiesto se non fosse meglio per me rimanere una straniera in terra straniera. La mia risposta è stata semplice e onesta: 'Padre, come una monaca ortodossa sono più straniera in Olanda che in Grecia!' "

Ha passato i primi anni della sua vita ad Asten per lo più da sola. C’è voluto del tempo per l’arrivo delle sorelle. Una delle prime monache del monastero è venuta dagli Stati Uniti, e poi altre di origine greca provenienti dall’Inghilterra. Ora ha due sorelle olandesi.

Padre Matteo

"Ci sono otto sorelle qui, di tutte le nazionalità diverse, e il nostro sacerdote, padre Matteo, è di un’altra ancora. Sono venute tutti qui in modi diversi, ognuna ha la sua storia e il suo cammino. Il fatto che siamo tutte di paesi diversi è una cosa che rende unico il nostro monastero. Parliamo lingue diverse, abbiamo diverse esperienze di vita, mentalità e tradizioni, ecc. Tuttavia, siamo coraggiosamente cercando di formare una comunità ".

Che cosa lo rende possibile? "Penso", dice madre Maria, «che questo è possibile solo quando i Vangeli sono il fondamento della nostra vita, quando i nostri ideali monastici sono vivi, e quando percorriamo umilmente e con gratitudine il cammino secolare, santo e benedetto della vita monastica tradizionale. Per fortuna, siamo strettamente connesse con i monasteri in Grecia e Cipro, in Inghilterra e in Francia, e ci sentiamo un ramo vivente del grande albero del monachesimo ortodosso. "

Questa sintesi è evidente in tutti gli aspetti della vita quotidiana delle sorelle. Saldamente piantato sul suolo olandese, i pasti del monastero sono secondo la cucina olandese, e la lingua usata nella vita quotidiana e nelle funzioni della Chiesa è l'olandese, i testi liturgici sono stati tradotti in gran parte da padre Adrian de L'Aia. Ma l'inglese entra qua e là, e talvolta è usato il greco. Madre Maria insegna anche la lingua greca alle sorelle, se hanno il desiderio di imparare. Gli olandesi sono generalmente molto abili a padroneggiare lingue straniere, e madre Maria non è un’eccezione. Ha anche integrato sempre più musica bizantina nelle funzioni religiose. E, naturalmente, il giorno della festa patronale del monastero, le comitive di immigrati greci sono un allegro ricordo che il monastero si sta formando secondo la tradizione greca.

Su base giornaliera, tuttavia, i visitatori regolari sono olandesi. Per loro si svolgono settimanalmente classi di studio della Bibbia.

"Gli olandesi sono generalmente attratti dalla bellezza dell’Ortodossia - le icone, la musica. Sono anche attratti dalla sua stabilità. Il Concilio Vaticano II ha causato grande turbamento tra i cattolici in Europa, mentre l'Ortodossia offre una tradizione immutabile.

"I protestanti vengono a cercare la Chiesa dei primi secoli del cristianesimo, che è, ovviamente, ciò che l’Ortodossia sostiene di essere. Molte persone vengono attraverso contatti personali, e attraverso la lettura di libri. Il libro del vescovo Kallistos Ware, The Orthodox Church, ha fatto molto per l'Ortodossia in Europa, così come gli scritti di Vladyka Anthony Bloom, e di padre Sofronio. Naturalmente, oggi molti stanno diventando ortodossi attraverso matrimoni misti.

"I convertiti sono giunti all'Ortodossia in maggior parte attraverso la Chiesa russa piuttosto che quella greca, perché gli immigrati greci sono venuti qui con l'intenzione di guadagnare denaro e di ritornare in Grecia. Gli immigrati dalla Russia e Europa dell'Est sono venuti a vivere in modo permanente. Tuttavia, ci sono molti casi in cui un olandese va in Grecia per una vacanza al sole, vede la pietà nei villaggi, mette piede in una bella chiesa, poi cerca quella stessa Chiesa in Olanda. L’Ortodossia è sicuramente in crescita in Europa. "

Le sorelle del convento. Il giovane è un aspirante alla vita monastica diretto a Monte Athos

Il convento di Asten è visitato anche da membri della "nuova" immigrazione dai paesi ex comunisti, che ora stanno diventando parrocchiani in chiese ortodosse locali, dove ci sono molti convertiti olandesi. Gli immigrati stanno imparando a vivere in una società molto diversa.

"Se c'è una buona comunicazione, questo può portare a una buona combinazione - almeno in teoria. Si tratta di una sfida - la sfida di Dio. Per quanto riguarda le infrastrutture e le attività, però, qui la Chiesa copta è meglio organizzata rispetto agli ortodossi.

"Ci possono volere dieci o più anni perché una persona olandese diventi ortodossa. Il sacerdote è anche prudente, mettendo alla prova la stabilità e l'intenzione di una persona per circa un anno prima del battesimo. "

Si è parlato in passato di organizzare una "Chiesa ortodossa olandese ", ma Madre Maria ritiene che sia troppo presto.

"Ci sono difficili considerazioni storiche. Ciò che rende le cose complicate è che l'Europa occidentale è storicamente la diocesi di Roma. Con il ritorno all'Ortodossia, cioè della gente, ma non della stessa Chiesa di Roma, abbiamo la situazione non canonica di più di un vescovo in una città. In Francia e negli Stati Uniti ci sono comitati ortodossi (come la SCOBA in America), dove si incontrano i vescovi di tutte le diverse giurisdizioni canoniche, e lavorano insieme su varie questioni. Così in Olanda, gli ortodossi sono almeno in grado di lavorare insieme, e si può formare una naturale 'ortodossia locale'. "

Questo ci riporta alla piccola cappella sulla strada fuori del convento, che "è venuta da sé" in un modo improbabile. Ecco come è successo.

Un certo artista olandese nella zona ha avuto un idea originale: arte lungo l'autostrada. Ha ricevuto l'autorizzazione da parte delle autorità autostradali per costruire alcuni oggetti d'arte in aree di sosta lungo le principali arterie d'Olanda. Al fine di decidere che cosa avrebbe dovuto costruire, ha fatto un sondaggio sulla categoria di conducente che il più delle volte passa attraverso queste parti. È accaduto che la categoria principale di una certa area di riposo fosse costituita da concessionari di auto russe, e ha chiesto loro che cosa avrebbero voluto vedere. La risposta è stata - una piccola cappella. L'artista ha fatto la sua ricerca sul tema, ed è stata costruita una struttura in legno, una cappella dedicata alla Madre di Dio, Odigitria, o "Colei che indica la Via", completa di un'icona al suo interno, e di una preghiera per i viaggiatori stampata sulla parete in olandese e in slavonico ecclesiastico.

Ora, le autorità autostradali avevano acconsentito a una mostra temporanea, e non a un monumento fisso, e quindi la cappella doveva essere rimossa. Per fortuna, qualcuno ha detto loro del "Klooster ortodosso" di Asten, e hanno chiamato madre Maria, che ha accettato con gioia di prendere la cappella.

Ma si devono tenere a mente le norme urbanistiche estremamente rigorose nei Paesi Bassi, per comprendere ripensamenti di madre Maria in tal senso. Una lamentela da parte di vicini conservatori avrebbe potuto ostacolare eventuali progetti immobiliari futuri sul terreno del monastero. Ci pensò un po' su, e poi prese il telefono per chiamare le autorità e dire loro che aveva cambiato idea. Avevano già fissato la data per la consegna della cappella, così avrebbe dovuto annullarla in tempo ...

Sì, la data era... e si ricordò. La data di arrivo era la festa dell'icona della Madre di Dio, Odigitria! Cancellò invece la sua chiamata, senza osare ostacolare la Provvidenza di Dio e la benevolenza della stessa Madre di Dio.

Così, in modi che vanno al di là dei nostri sforzi, solo che richiede il nostro consenso, può formarsi un’"Ortodossia locale" dove non c'è né greco né ebreo, né barbaro né scita, ma Cristo in tutti e per tutti (cfr. Col 3,11). "Così", dice madre Maria, "viviamo in questo angolo del mondo secolarizzato occidentale, conservate dalle preghiere di molti padri spirituali, sotto la protezione della santissima Madre di Dio, benedicendo il Signore in tutti i giorni della la nostra vita .... "

Note

[1] Il Convento della Madre di Dio di Lesna, a Provemont, nei pressi di Parigi, è stato costruito da monache russe emigrate da quella che oggi è la Polonia orientale. È stato un venerato luogo di pellegrinaggio per la Chiesa russa in esilio.

[2] I Kolivades furono un movimento sorto sul monte Athos intorno alla metà del XVIII secolo, come reazione al declino della vita monastica.

 
Scrisoarea unui arhiereu către preoţii săi

Recent, am primit de la câţiva preoţi dintr-o eparhie a Bisericii Ortodoxe Române scrisoarea pe care ierarhul lor le-a trimis-o prin email. Redau conţinutul scrisorii, apoi voi veni cu unele comentarii. 

“Doamne ajută, fraților,

În ciuda obișnuinței noastre "tradiționale" de a binecuvânta icoanele, conform Sfintei Tradiții, nu e nevoie să se binecuvânteze icoana, pentru că chipul însuși al celui reprezentat pe ea constituie de fapt "binecuvântarea" ei. Mai adaug și o prevedere din Pidalion (spre finalul lui) în care se spune să nu se urmeze "obiceiului papistășesc" de a se binecuvânta icoanele...

De ce totuși a apărut această practică și de ce continuă să se facă?

Eu, personal, cred că duhul lumesc (adică al "secolului", de unde vine "secularizare") care a pustiit de credință sufletele a determinat nevoia omului de a "sfinți" ceea ce, în mod normal nu mai are nevoie de sfințire (purtând deja pecetea sfințitoare a celui care e reprezentat pe ea). Dar slăbirea sensului sacrului precum și a evlaviei pictorilor de icoane (care rar mai postesc și se mai roagă înainte de a picta), la care se adaugă și apariția litografiilor, care nu mai au nici atâta parte de rugăciune și postire, cred că au determinat necesitatea de a "binecuvânta" icoana, ne mai având conștiința și credința că cel reprezentat pe ea este cel de la care vine binecuvântarea... De aceea, este obiceiul de a se lăsa icoana în altar 40 de zile, pentru a se "impregna" oarecum din sfințenia slujirii din altar... Nu mai vorbesc de iconițele pe hârtie sau litografiate și înrămate pe care se scrie "Sfințită" ca să se tranchilizeze conștiințele cele mai scrupuloase...

Această mentalitate cred că s-a dezvoltat și pe fondul neîmpărtășirii cu Sfintele Taine a celor care se folosesc de icoane și care, fiind în carență de har, caută să o compenseze cum pot, pierzând adevăratele și sănătoasele intuiții liturgice și sacramentale... Din păcate, clerul (la toate nivelurile lui) s-a complăcut în această situație, răspunzând cu inventivitate la cererea poporului și acordându-i fel de fel de "biberoane de plastic" și de "surogate" liturgice, datorită propriei sale secularizări și a pierderii sensului sacrului, prin bagatelizarea propriei slujiri și prin rutina intrării în altar ca într-un spațiu "ordinar", prin slujirea Liturghiei fără a se mai și "ruga" (ci limitându-se la a-i îndemna pe ceilalți să o facă) și prin apropierea de Sfintele Taine fără evlavia și fiorul avute la hirotonie, ci doar în virtutea "automatismului" ce decurge din statutul de "cleric"...

• Așa a apărut punerea potirului (care are în el doar vin și apă binecuvântate) pe capetele pioșilor creștini la intrarea cu "darurile";

• așa a apărut obiceiul "salturilor" peste credincioșii întinși pe jos la intrarea cu aceleași "daruri" încă nesfințite;

• așa a apărut așa zisa rânduială a "dezbrăcării preotului" de la sfârșitul Liturghiei, ca să se împărtășească și bieții creștini din "fărâmăturile sfințeniei" pe care ar trebui să le-o dea preotul;

• așa a apărut "slujba pe rufărie" (cum o numește părintele Arsenie Boca într-o scrisoare către mitropolitul Nicolae Bălan de la Sibiu), stropindu-se cu apă sfințită și ungându-se cu untdelemn de Maslu lenjerie intimă și batiste șterpelite de la membrii familiei, pentru a le merge bine;

• așa s-a accentuat necesitatea citirii "dezlegărilor" pentru rezolvarea problemelor (fără niciun efort, decât financiar, din partea "clientului"), decât să li se facă îndemnul de-și schimba viața;

• așa a apărut bagatelizarea Aghesmei mari, ca substitut la Împărtășanie, ca și când cel nevrednic de împărtășire ar putea fi vrednic de o "sfințenie" mai "mică"...;

• așa a apărut binecuvântarea anaforei la Liturghie, după prefacere, uitându-se că termenul de "anafora" se cuvine doar prescurii "ridicate în sus" la Proscomidie și din care s-a luat Sfântul Agneț, gest prin care ea s-a sfințit, ne mai având nevoie de a fi binecuvântată a doua oară, la finalul Liturghiei (iar celelalte prescuri mici fiind "afierosite" altarului prin scoaterea miridelor din ele, ne mai necesitând nici ele a fi binecuvântate încă o dată);

• așa s-a ajuns să se dea anafora pe post de "antidoron" (în locul darurilor) celor care nu se pot împărtăși sau nu sunt "pregătiți să se împărtășească", când ea era de fapt hărăzită tocmai acelora care se împărtășeau din Agnețul care se luase din prescura "înălțată" la Proscomidie și care devenise prin aceasta "anafora" (aceasta se aplică și mai evident cu privire la Agnețele care se scot pentru Liturghia Darurilor mai înainte sfințite, păstrându-se partea de prescură rămasă după ce s-a scos fiecare Agneț, și tăindu-se pentru a deveni "anafora" care se dă credincioșilor care s-au împărtășit, în timpul Psalmului 33, la Liturghia la care se folosește Agnețul care s-a scos din aceasta);

• așa s-a ajuns să se dea, după împărtășire, uneori, în loc de puțin vin îndulcit amestecat cu apă caldă (pentru clătirea gurii – P.P.), "agheasmă", celor care s-au împărtășit, adăugând astfel "sfințenie" la "sfințenie", lucru binecuvântat de Biserică, în mod excepțional, doar în zilele Praznicului Bobotezei, până la Odovania acesteia (lucru care în zilele noastre se interpretează eronat, reducând zilele în care pot lua creștinii Aghiasmă Mare doar la zilele Praznicului, când, de fapt, Aghiasma Mare – adică de la Bobotează – se poate lua în toate zilele anului, cu excepția celor în care ne împărtășim cu Sfintele Taine, aceasta fiind rațiunea principală pentru care se păstrează Aghiasma Mare pe toată perioada anului); etc...

Care e calea de revenire la calea cea adevărată și curățită de "inovații" a Sfintei Tradiții?

Nu cred că e pedagogic să se înceapă prin a se refuza creștinilor binecuvântarea icoanelor (fiind anume rugăciuni pentru aceasta în molitfelnice, în acest sens, încă de la [Sfântul] Petru Movilă), ci mai degrabă trebuie să lucrăm la recăpătarea simțului duhovnicesc a ceea ce împlinim prin slujire și, puțin câte puțin, vom regăsi și sensul liturgic și sacramental al dumnezeieștii slujiri, vom înțelege adevăratul sens (spre deosebire de cel eronat de astăzi) al cuvintelor diaconului de la începutul Liturghiei: "Vremea este a face Domnului" care înseamnă de fapt: "Vremea este a face DOMNUL", adică EL E CEL CARE FACE și noi împreună-slujim cu El și NU INVERS!; vom redescoperi conținutul adânc al "credinței" al "evlaviei" și al "fricii lui Dumnezeu" cu care suntem invitați (ȘI NOI, CLERICII, NU DOAR MIRENII!) să intrăm în biserică, și astfel, sufletele noastre vor redeveni permeabile la Harul și la lucrarea Duhului Sfânt, spre a noastră împlinire și spre ajutorul și mângâierea poporului... Atunci vom putea și să-i lămurim altfel pe bieții creștini însetați de sfințenie și o să le dăm ADEVĂRATA SFINȚENIE, prin toate mijloacele pe care Biserica ni le pune la îndemână...

Să ne ajute Dumnezeu!

Observaţiile mele:

1. Din păcate, Biserica Ortodoxă, inclusiv cea Română, a ajuns într-o situaţie când ierarhii pot să comunice oficial şi nestingherit cu preoţii lor doar când vine vorba de bani. În rest, când vor să le comunice ceva duhovnicesc, sunt nevoiţi să o facă prin emailuri private, aproape clandestine, ca să nu ia peste cap de la cei mai mari. Dar e bine că măcar aşa unii îşi fac datoria. Apreciez mult această apropiere faţă de preoţi.

2. Întrucât textul scrisorii nu apare pe saitul oficial al eparhiei şi nici nu a fost trimis sub forma unei circulare oficiale, am considerat că nici eu nu trebuie să dezvălui numele ierarhului. Însă, pentru importanţa ideilor, n-am putut să ascund textul scrisorii, mai ales că acesta confirmă unele idee pe care şi eu de ani buni le tot scriu şi le spun. Sper ca ierarhul respectiv să nu se supere pe acest gest al meu, bazat doar pe intenţii nobile şi aprecieri sincere. 

3. Trebuie să precizez că, pe lângă corectarea câtorva greşeli ortografice (care vorbesc despre caracterul spontan şi natural al scrisorii), am eliminat o frază întreagă de la început, care putea să trădeze identitatea expeditorului. Dar lipsa acelei fraze nu schimbă esenţa scrisorii, ba chiar o face mai înţeleasă şi mai generală. 

4. Unele probleme liturgice expuse în scrisoare sunt discutabile şi nu pot fi tratate atât de simplist, dar, în general, totul este bine expus şi merită a fi luat în seamă de toţi preoţii BOR. 

5. Problematica abordată merită a fi dezbătută în cercuri mai largi ca, în cele din urmă, să primească o apreciere sinodală, care sper să fie în acelaşi duh. Speranţa mea porneşte de la constatarea fericită că există mai mulţi ierarhi cu asemenea viziuni. Totuşi, mă tem însă că aceştia sunt încă departe de a constitui o majoritate în Sinodul BOR. 

P.S. Rog să vă abţineţi de la divulgarea identităţii expeditorului (în cazul în care cunoaşteţi acest lucru), ca nu cumva dorind să-l lăudăm şi apreciem, să-i facem doar rău...

 
Come rientrare in seno alla Chiesa ortodossa

Un'altra comunità scismatica in Ucraina ritorna all'unione con la Chiesa canonica

17 giugno 2010

I parrocchiani della comunità della Santa Protezione, che apparteneva all’auto-proclamato “Patriarcato di Kiev”, nel villaggio di Kijanitsa nella regione di Sumy, hanno richiesto di essere ripresi in seno alla Chiesa canonica.

I parrocchiani hanno correttamente inviato una lettera all’attenzione del vescovo Evlogij di Sumy e Akhtyrka, come ha annunciato giovedì scorso il sito della Chiesa ortodossa ucraina

In precedenza, la comunità si trovava sotto a cura pastorale del “sacerdote del “Patriarcato di Kiev” Roman Kravets, del vicino villaggio di Junakovka.

Come riportato in precedenza questo chierico è stato ricevuto nella Chiesa canonica come laico. Assieme a loro, anche la comunità di Junakovka ha lasciato lo scisma, donando il tempio locale all’eparchia di Sumy.

Interfax-Religion

http://www.interfax-religion.ru/?act=news&div=36077

 

Una comunità della Chiesa Ortodossa Ucraina (Patriarcato di Kiev) richiede di rientrare in seno alla Chiesa di Cristo

13 giugno 2010

A sua Eccellenza,

il sacratissimo Evlogij,

Vescovo di Sumy e Okhtirka,

Amministratore dell’Eparchia di Sumy

Chiesa Ortodossa Ucraina

Vostra eccellenza!

Noi, abitanti del villaggio di Junakovka, distretto di Sumy, regione di Sumy, le richiediamo di prenderci, con pentimento, in seno all’eparchia di Sumy della Chiesa Ortodossa Ucraina canonica. Preoccupati per il futuro della nostra chiesa, che in questo momento è in cattivo stato, diversi anni fa abbiamo fatto un grosso errore. Abbiamo ceduto alle promesse dei rappresentanti del "Patriarcato di Kiev" di fornire assistenza finanziaria per il restauro del tempio, così come alla loro garanzia che la cosiddetta Chiesa del Patriarcato di Kiev è canonica e riconosciuta nel mondo ortodosso, e siamo e siamo entrati in questa organizzazione. Ci rendiamo pienamente conto del nostro errore e del peso del peccato dello scisma. Questo è ciò che ha causato il nostro sincero pentimento e la richiesta di essere ripresi in seno alla Chiesa canonica.

Allo stesso tempo, vi informiamo che di fatto noi siamo la comunità del "Patriarcato di Kiev" nel villaggio di Yunakivka. Inoltre vi chiediamo sinceramente di non lasciare senza la vostra misericordia l’ex "sacerdote" Roman della C.O.U (P.K.). Confidiamo che questo uomo porterà non poco beneficio alla Chiesa ortodossa, nel caso in cui vorrete considerare la possibilità di ammetterlo nel clero dell'Eparchia di Sumy.

Sinceramente, con sentito pentimento e con la speranza nella vostra misericordia,

gli ex membri della parrocchia della Santa Protezione della Madre di Dio della C.O.U (P.K.).

Villaggio di Junakovka

(firme)

Православная Сумщина (Sumy ortodossa)

http://eparhia.sumy.ua/ru/2010-06/news_438/

 

 

Il “sacerdote” della cosiddetta C.O.U (P.K.) si è appellato al vescovo dell’eparchia di Sumy in penitenza ed è stato ricevuto come laico in seno alla Chiesa ortodossa.

13 Giugno 2010

Vostra Eccellenza,

sacratissimo Evlogij,

Vescovo di Sumy e Akhtyrka

Lettera di penitenza.

Vostra Eccellenza!

Il 26 ottobre 2009, sono stato ordinato “prete” nel gruppo scismatico del “Patriarcato di Kiev”. L’ultima sede del mio ministero è stata la chiesa della Natività della Madre di Dio nel villaggio di Junakovka nel distretto di Sumy. Mi sono reso conto che la cosiddetta C.O.U (P.K.) è una comunità priva di grazia e non voglio prendere parte al peccato dello scisma.

La prego di ricevermi in seno alla Chiesa Ortodossa Ucraina sotto l’omoforio del suo Primo Ierarca, il Beatissimo Metropolita Vladimir di Kiev e di tutta l’Ucraina, e sotto l’omoforio di vostra Grazia.

L’umile novizio di vostra Grazia,

Roman Nikolaevich Kravets

Православная Сумщина (Sumy ortodossa)

http://eparhia.sumy.ua/ru/2010-06/news_437/

 

Richiesta della parrocchia della C.O.U (P.K.) del villaggio di Kijanitsa di riunione con la Chiesa canonica

16 Giugno 2010

Al vescovo Evlogij di Sumy e Okhtirka,

Noi, i parrocchiani della comunità della Santa protezione della Madre di Dio nel villaggio di Kijanitsa, sappiamo che la comunità della C.O.U (P.K.) del villaggio di Junakivka è passata in seno alla Chiesa Ortodossa Ucraina canonica. Su richiesta della comunità del villaggio di Junakivka è passato anche il “prete” Roman della C.O.U (P.K.).

Noi, i parrocchiani della comunità della C.O.U (P.K.) del villaggio di Kijanitsa sosteniamo la loro decisione e anche quella di p. Roman.

Vogliamo certificare che ci siamo lasciati con p. Roman e ritorniamo alla Chiesa Ortodossa Uucraina sotto l’omoforio del metropolita Volodimir (Sabodan) di Kiev e di tutta l'Ucraina.

Vi preghiamo di sostenere il nostro batjushka, p. Roman, e di accettarlo nel gregge della Chiesa Ortodossa canonica.

Sinceramente, con sentito pentimento e con la speranza nella vostra misericordia,

I parrocchiani della chiesa della Santa Protezione

Villaggio di Kijanitsa, distretto di Sumy

(firme)

Православная Сумщина (Sumy ortodossa)

http://eparhia.sumy.ua/ru/2010-06/news_448/

 
Una lettera aperta alle attrici porno delle fantasie di mio marito

Care signore,

voi non mi conoscete. Sono la donna dall'altra parte dello schermo. Sono la donna che ha amato l'uomo che "non ha commesso adulterio" con voi. Ero io ad aspettarlo a letto mentre era al piano di sotto con voi. Sono rimasta sveglia il più possibile, quasi tutte le sere.

Ho aspettato, una volta, appollaiata sul lato del letto in una posa seducente, in un vestito seducente... Non sapeva che stavo aspettando, avrebbe dovuto essere una sorpresa divertente; ma invece è rimasto di sotto con voi. Alla fine sono strisciata sotto le coperte e mi sono messa a dormire.

Vi ho trovate, tutte voi. Una mattina, volevo vedere cosa lo aveva tenuto lontano da me e ho trovato tutte voi.

La cosa mi ha tolto il fiato. Mi sono resa conto molto rapidamente perché ha riso quando mi ha scoperto in biancheria intima e perché mi ha detto che sembravo ridicola. Non posso competere con voi. Siete quasi perfette. Siete disposte a fare tutte le cose che io non farei mai, e sembra che vi piacciano, o almeno fingete che vadano abbastanza bene. Lui veniva da me ogni singola notte, a meno che non gli provocassi dispiacere in qualche modo. In quelle notti passava le prime ore del sonno con voi, signore.

Voi non lo deludete mai. Non gli lasciate mai i piatti nel lavandino, non lo mettete in imbarazzo davanti ai suoi amici, non gli chiedete troppi complimenti o il suo rispetto. Di fatto, non avete bisogno di niente da lui tranne il suo desiderio e la sua carta di credito, e lui sembra felice di darvi entrambe le cose.

Ho provato a essere come voi! Ho indossato abiti più seducenti, ho speso soldi cercando di far sembrare il mio corpo come il vostro, ho sussurrato nel suo orecchio cose che volevo che mi facesse. Ho fatto tutto questo sperando che non me le avrebbe mai fatte fare. Sembrava che gli piacessi di più in questo modo, ma non sono mai riuscita a liberarmi da quella fastidiosa abitudine di chiedere il suo rispetto. Quindi, sfortunatamente, alcune sere è ancora scivolato via dal letto quando pensava che stessi dormendo, in modo da poter passare del tempo con voi.

Ma non mi ha davvero tradito, giusto? Non ha mai "effettivamente" dormito con voi. Non vi ha mai incontrate, né vi ha parlato, né ha interagito con voi nella vita reale, in alcun modo... Non conosce nemmeno i vostri veri nomi. Allora perché quando ho pensato a voi ho desiderato di raggomitolarmi in una palla tanto stretta da comprimere il mio cuore abbastanza da fermare il dolore? Se non era "infedele", perché sono sicura che immaginava voi ogni volta che i suoi occhi erano chiusi mentre noi eravamo insieme? Se non eravate le sue amanti, perché ho perso ore del suo tempo in modo che potesse stare da solo con voi invece che con me?

Vorrei quasi che lo aveste toccato e baciato e che aveste avuto momenti di intimità con lui. Almeno allora il dolore che provo avrebbe un senso. Nessuno mi direbbe "tanto gli uomini sono uomini", o "smettila di reagire in modo eccessivo, ogni uomo fa queste cose", se fosse stato davvero con voi. Ma eccomi qui, a desiderare che le cose vadano meglio e a desiderare che lui si arrenda.

Cordiali saluti,

La vera donna nella sua vita

 
Ce să-i răspundem lui Steve Jobs, sau din nou despre lacrima copilului

Acest om este numit "icoană a antreprenoriatului." El nu mai este doar un "self-made-man", este un simbol pentru o epocă întreagă.

Cum se atârna Steve Jobs faţă de religie? Mulți știau că fondatorul companiei Apple a fost un budist practicant. Dar aşa nu a fost întotdeauna.

În biografia oficială a întreprinzătorului, scrisă de jurnalistul american Walter Isaacson, există o relatare interesantă:

"Paul și Clara nu erau nişte părinţi foarte religioși, dar au vrut să-i dea fiului o educație religioasă, și de atât în duminici îl luau cu ei la biserica luterană. Dar când Steve a împlinit treisprezece ani, el nu a mai mers acolo. Părinţii săi erau abonaţi la revista „Life”, pe coperta numărului din luna iulie 1968 a căruia a fost postată o fotografie a copiilor înfometați de Biafra. Steve a adus revista la școala de duminică și a întrebat pastorul:

- Dacă aș ridica un deget, ar ști Dumnezeu pe care anume vreau să-l ridic chiar înainte să fac asta?

Pastorul i-a răspuns:

- Desigur, Dumnezeu cunoaşte totul.

Atunci Steve i-a arătat imaginea de pe revistă:

- Dumnezeu ştie că acești copii mor de foame?

- Steve, înţeleg că pare greu de crezut, dar Dumnezeu știe şi despre asta.

Atunci Jobs a spus că nu mai vrea să creadă într-un asemenea Dumnezeu, și nu a mai fost niciodată la biserică. "

Viitorul fondator al imperiului Apple ştia despre ce să întrebe. Cu această întrebare puteți "închide subiectul" într-o conversație cu orice preot, chiar și cu cel mai inteligent şi instruit. Și nu pentru că este imposibil de a se răspunde. Pur și simplu există acţiuni profund lipsite de orice morală, prin natura lor, deși aparent ar putea părea decente și pioase. De exemplu - să stai pe bancă în faţa bisericii și să-i relatezi unui adolescent de treisprezece ani, de ce permite Dumnezeu suferinţa şi foametea copiilor din Biafra, ar fi aproximativ aceeași ca unui copil să i se explice de ce în plină zi oamenii trec indiferenţi pe lângă o persoană căzută pe marginea trotuarului.

Pastorul a procedat destul de înțelept atunci când nu a încercat să-l convingă de nimic pe tânărul Steve. Pentru că orice răspuns ar fi sunat în această situație ca o încercare cinică de a justifica nedreptatea, de a explica că nu este chiar atât de nedreaptă, că este în ea şi o oarecare justificare. Nu poți să permiţi nici propriului gând, nici a altoră să încline pe calea aceasta strâmbă.

Celebrul filosof şi psiholog rus Semion Frank a spus : "Explicația răului ar fi însemnat  dovedirea sa și prin urmare şi justificarea. Dar acest lucru contravine însăşi esenţei răului, ca la ceea ce este greșit, ce ce nu ar trebui să existe. Unica acceptare a răului ar trebui să fie - respingerea, eliminarea lui, și nu explicarea, care îl legifirează și justifică".

În esenţă Frank descrie aici atitudinea creștină normală: ai văzut răul - încearcă să-i ripostezi, nu o poţi face – roagă-te şi plângi pentru cei care sunt afectați de acesta, pentru slăbiciunea ta, pentru durerea pe care a adus-o altor oameni și ţie, indiferent de cât de departe de tine se poate afla. Fiindcă toți oamenii de pe pământ - sunt urmașii lui Adam și Eva, așa încât nu există în lume nefericirea altcuiva. Și când undeva pe cealaltă parte a lumii, copiii mor de foame, vei ști întotdeauna, sau cel puțin vei simţi că sunt înfometaţi frații și surorile tale mai mici, că este durerea familiei tale, şi deci - și a ta.

Indignându-se în faţa nedreptăţii, omul acționează absolut normal, în conformitate cu puterile sănătoase ale sufletului. Dar iată să-şi justifice indiferența faţă de urăciunile lumii prin "smerenia creștină" și schemele teologice o poate face doar unul, care deja a devenit indiferent faţă de rău şi nedreptate. Dreptul Iov, spre exemplu, nu se gena să se indigneze faţă de acţiunile lui Dumnezeu, nedrepte în opinia sa: Dumnezeu este Cel ce mă urmăreşte şi că El m-a învăluit cu laţul Său. Dacă strig de multa-apăsare, nu primesc nici un răspuns; ţip în gura mare, dar nimeni nu-mi face dreptate.

În acest sens, Steve Jobs, în pofida vârstei sale fragede, a fost mult mai cinstit decât mulți dintre contemporanii săi, cărora aceste probleme pur și simplu nu le erau interesante. Cu toate acestea, există o diferență semnificativă între poziția sa şi a lui Iov. Dreptul Iov a pierdut tot ce avuse - copiii, averea, chiar şi sănătatea – şi strigă indignat solicitând explicaţia dumnezeiască la ceea ce se întâmplă.

Dar indignarea lui este adresată anume lui Dumnezeu, ca singura sursă a răspunsurilor posibile. Și nici prin gând nu-i trece să spună - "într-un asemenea Dumnezeu, nu vreau să cred." Pentru că alt Dumnezeu nu există şi prin urmare, trebuie de lămurit starea lucrurilor cu Cel care este. Logica este simplă și clară: dacă ai pretenţii față de Dumnezeu – spune-le Lui, și nu vecinilor de bloc. Întrebările importante ar trebui să fie întotdeauna setate la adresa corectă. În caz contrar, risti să obții un set standard de explicații, care pe toate le explică, dar nu dau hrană nici minţii şi nici inimii.

Asceți creștini, la fel ca și profeții Vechiului Testament nu s-au temut să ceară Domnului răspunsuri la întrebările "incomode". Astfel, fondatorul monahismului Sfântul Antonie cel Mare i s-a adresat lui Dumnezeu cu aceleaşi întrebari care îl tulbura şi pe Steve Jobs:

"Doamne, pentru ce unii mor de tineri, pe când alţii ajung la cea mai adâncă bătrâneţe? Şi pentru ce unii sunt săraci, iar alţii bogaţi ? Şi cum cei nedrepţi se îmbogăţesc, iar cei drepţi sunt săraci ?"

Aceste întrebări nu se puteau naşte în inima indiferentă, și nu un suflet apatic era îndurerat după aceste răspunsuri. Însă Antonie cel Mare, nu a încercat să discute problema ce-l chinuia cu alți călugări. Asemănător dreptului Iov, el speră să găsească soluția nu într-o discuție teologică, ci în rugăciune.

Şi Dumnezeu i-a răspuns.

Cei drept, răspunsul a fost neașteptat și total diferit faţă de ceea ce oamenii așteaptă în astfel de cazuri: "Antonie, vezi numai de tine! Aceasta este judecata lui Dumnezeu, ce nu ţi se cade ţie a cunoaşte.". Apropo şi dreptul Iob a auzit ceva asemănător : Unde erai tu, când am întemeiat pământul? Spune-Mi, dacă ştii să spui.. Poţi tu cu adevărat să găseşti cusur judecăţii Mele? Şi Mă vei osândi pe Mine, ca să-ţi faci dreptate? Este braţul tău ca braţul lui Dumnezeu? Şi glasul tău este, oare, tunet, precum este glasul Lui? Atunci împodobeşte-te cu măreţie şi cu semeţie, îmbracă-te cu strălucire şi cu cinste! Revarsă puhoaiele mâniei tale şi doboară cu o privire pe cel trufaş! Vezi de toţi semeţii şi smereşte-i şi calcă în picioare, fără zăbavă, pe toţi cei răi! Ascunde-i pe toţi grămadă, în pământ, şi îi înmormântează. Şi atunci Eu Însumi te voi preamări, pentru toate câte ai izbândit cu dreapta ta.

Și primul şi al doilea răspuns, de fapt se rezumă la teza cunoscută tuturor din copilărie - "Nu e treaba ta". Dar un lucru e ciudat: pentru un motiv oarecare, atât primul, cât şi al doilea au fost pe deplin mulțumiţi cu explicația neobișnuită.

Şi motivul pentru aceasta este probabil următorul. Problema suferinței copiilor şi adulților îl chinuie pe om nu pentru că mintea noastră nu poate reconcilia logic această suferință cu existența unui Dumnezeu iubitor atotputernic și atotștiutor.

Aceasta nu ar fi cel mai grav - câte nu nu poate omul înțelege prin logica sa. De fapt, mult mai dureros aici e altceva. După "lacrima copilului" lui Karamazov sau coperta revistei Life în mâinile lui Steve Jobs se ascunde o întrebare mult mai tragică: oare cu adevărat Dumnezeu nu există în această lume nebună? Oare toate aceste suferințe nevinovate sunt lipsite de sens și sunt doar dovezi concludente că lumea noastră - este orfană?

Istorii de acest gen – a drepţilor, sfinților, Ivan Karamazov, Steve Jobs – ar putea fi readuse la o exclamație comună: Doamne, oare exişti cu adevărat, dacă în jur există acest coșmar? Anume despre aceasta şi doar despre asta, întreabă ei în cele din urmă. Orice altceva – sunt doar fapte care au adus la acest strigăt către Dumnezeu la cei mai diverşi oameni din toate timpurile.

Deci ce ar fi trebuit să i se răspundă lui Steve Jobs la întrebările sale "blestemate"?

De fapt absolut nimic. Pentru că să răspundă la ele pe bună dreptate poate doar singurul Dumnezeu. Lui Antonie cel Mare şi dreptului Iov Dumnezeu le-a răspuns şi ei s-au liniştit -  Din spusele unora şi altora auzisem despre Tine, dar acum ochiul meu Te-a văzut. (Iov 42:5). Steve Jobs, de asemenea, a auzit despre Dumnezeu, dar nu a primit nici un răspuns, și a plecat dezamăgit. Deoarece nu a întrebat despre cauza răului din lume la Cel, care singur îi putea răspunde. Și nu pe pastor l-a adus în acest impas , ci pe sine însuși pentru mulți ani.

Nici un păstor, preot, teolog nu poate explica de ce în această lume suferă și mor în chinuri cumplite copiii. Orice astfel de explicație va fi întotdeauna o substiture a răspunsului celui mai important, în care Dumnezeu se descoperă omului. Trebuie doar să-L întrebi, trebuie să te adresezi Lui, chiar dacă crezi că "într-un astfel de Dumnezeu nu e necesar să crezi." Spunei-I şi tu despre aceste lucruri, revoltă-te, indignează-te cum a făcut-o dreptul Iov, dar cere-I, cere-I Lui Dumnezeu să-ţi răspundă la întrebările care nu-ţi dau voie să trăieşti liniştit. Deoarece altă modalităte de a obține răspunsul la întrebările "blestemate" nu exista.

traducere şi adaptare: Natalia Lozan

 
Sf. Grigorie Teologul despre episcopii din timpul său…

În mod clar istoria Bisericii nu a avut niciodată „secole de aur” şi nici „perioade de glorie”. Tot timpul au fost şi ierarhi vrednici, dar şi foarte mulţi episcopi sau patriarhi pe care nu-i puteai numi nicidecum „urmaşi ai apostolilor”. La fel era şi cu mirenii şi chiar cu călugării (dacă ne gândim că toate hotărârile sinodale din secolele V-VIII vorbesc de călugări doar de rău). Tocmai de aceea noi ne orientăm doar spre sfinţi, iar „paginile negre”, fără a fi băgate sub preş, rămân uitate tocmai pentru că ele nu fac partea din „memoria Bisericii”, ci din memoria a ceea ce este în afara Bisericii sau chiar împotriva ei. Dar astfel de „pagini negre” cu siguranţă au existat şi vor exista. Recursul la unele dintre ele ne este de folos, chiar dacă aflăm şi lucruri de care nici nu ne închipuiam…

Toate acestea nu trebuie să ne smintească, ci şi mai mult să ne întărească căci, necătând la faptul că Biserica a avut foarte puţini teologi şi ierarhi adevăraţi, ea rezistă până astăzi şi chiar se întăreşte. Dacă viaţa ei ar depinde numai de ierarhi, Biserica demult nu mai exista. Iar faptul că Biserica există până astăzi, indiferent cât de mult o distrug ierarhii ei(!), nu înseamnă că Duhul Sfânt lucrează prin toţi laolaltă, indiferent cum sunt ei, ci că Duhul Sfânt lucrează în Biserică şi le dă şansa tuturor celor din Biserică, indiferent de slujirea lor, să se facă părtaşi harului Său mântuitor. Bineînţeles avem ierarhi şi preoţi buni şi foarte buni, chiar dacă ei sunt unul la zece sau douăzeci. Dar eu zic că rata nu chiar atât de rea…

Bineînțeles, slujirea de episcop (din greacă: „supraveghetor”) este în primul rând una învăţătorească, aşa cum arată foarte clar slujba hirotoniei în episcop. Ai noştri însă sunt cneji, boieri, vlădici/stăpâni, administratori, constructori, agenţi fiscali, uneori slujitori şi asistenţi sociali şi foarte rar învăţători. Luxul veşmintelor şi fastul slujbelor lor sunt într-o vădită contradicţie cu Evanghelia, dar toată lumea tace, fără să se poată sustrage de la contribuţia pentru traiul tot mai aristocratic al episcopilor şi ai suitei lor. Sunt însă şi preoţi care trăiesc foarte greu, dar pe care nimeni nu-i crede, căci lumea de rând îşi închipuie că preoţii ştiu să se împartă între ei… 

Iar ca să nu ne închipuim că în vremurile noastre este totul chiar atât de rău sau că trăim cele mai rele timpuri posibile, am hotărât să public câteva versuri de-ale Sfântului Grigorie Teologul, cunoscute datorită cărţii lui Jean Bernardi, „Grigorie din Nazianz; teologul şi epoca sa”, apărută la Editura Deisis, 2002. Textele de mai jos nu sunt decât nişte spicuiri din poemele autobiografice ale Sfântului Grigorie, cu referire la episcopii din timpul său, inclusiv/mai ales, a celor 150 adunaţi la Sinodul II Ecumenic, pentru a lupta cu ereziile şi răutăţile, deşi ei înşişi erau agramaţi şi imorali. Vom vedea mai jos că Sfântul Grigorie nu laudă nicidecum pretinsa simplitate a unor ierarhi, ci o condamnă vehement, cel mai mult ridicându-se împotriva pretenţiilor de stăpânire şi îmbogăţire a ierarhilor.

Deci redăm mai jos un fragment din cartea sus numită (pp. 169-172), iar pentru lămuriri, vă îndemnăm să citiţi întreaga carte. Sper că publicarea unor texte patristice nu-i considerat un păcat de „mai-marii poporului”?!

* * * * *

Dacă Maxim [Cinicul] e invidios, el seamănă de fapt cu majoritatea episcopilor:

„În acelaşi timp, el a dobândit una din bolile celor care stau în tribune, o sechelă a bolii dintâi, care este o gelozie fără limite […][1].

Grigorie nu ezită să vorbească despre episcopii egipteni, cei care-l creditau pe Maxim [Cinicul], în următorii termeni:

„Apoi, puţin mai târziu, vin cei pe care-i trimiseseră demni generali ai acestei falange, sau poate, ca să mă exprim mai potrivit pentru aceşti câini care au ajuns păstori”[2].

Despre membri sinodului în curs (adică Sinodul II Ecumenic  – n.n.), va spune fără ocolişuri:

„Aceştia urlau fiecare din locul său; era o adunare a unui popor de gaiţe împopoţonate, un fel de circ de copii, o gaşcă de un soi nou, un vârtej care trăgea în urma lui praful ridicat de vânturi, oameni cărora nimeni crescut în frica lui Dumnezeu n-ar fi vrut să le dea cuvântul, căci bâzâie încoace şi încolo în neorânduială, sau pur şi simplu îţi sar de-a dreptul în faţă ca viespile”[3].

Sau:

„Cei care conduc poporul şi-l învaţă, distribuitorii Duhului, care din înălţimea tronurilor lor rostesc cuvântul mântuirii, care vestesc neîncetat pacea tuturor cu gurile larg deschise în biserici, se dezlănţuie unii împotriva altora cu atâta răutate, încât scoţând strigăte puternice, recrutându-şi aliaţi, fiind acuzaţi şi deopotrivă acuzatori, şi risipindu-şi generozităţile şi divagând în mijlocul salturilor lor, sfâşiind cu dinţii pe cel pe care şi-a pus mai întâi mâna cu mânia poftei lor de putere şi de putere personală – cum să strigi aceste lucruri, cu ce cuvinte? – , stricat-au lumea întreagă […]”[4].

În cele din urmă, Grigorie se mărturiseşte depăşit de anarhia şedinţelor lor:

„Dar tu, spune-mi, n-ai aprobat şi tu acestea mai-nainte? Cine avea autoritate asupra acestor şedinţe? – Ele depindeau de cine puteau (şovăi să repet ceea ce-mi face ruşine ), de toată lumea sau mai bine zis de nimeni, fiindcă autoritatea mulţimii e anarhie”[5].

Şi, mai grav:

„Această uriaşă adunătură de traficanţi de Hristos, o voi lăsa să se apropie doar atunci când cineva va ştii să lege buna mireasmă a unui parfum imaculat de cea a unui smârc […]”[6].

Aceste condamnări nu sunt rodul unui moment de iritare datorat unei experienţe nefericite, fiindcă şi alte poeme sunt pline de aceeaşi vehemenţă:

„Întoarce-te, rogu-te, de la un singur lucru: de la episcopii cei răi, care nu tremură de frică din pricina demnităţii tronului lor. Cu toţii au dobândit înălţimea, dar nici unul harul. Dă la o parte pielea şi vei vedea lupul”[7].

Va mai spune: 

„excelenţii mei confraţi, păstorii… crapă de invidie… bădărănia lor nu poate suporta cultura…”[8]. „Între ei, unii sunt urmaşi de contabili ai fiscului, fără alt orizont decât acela al făuririi de înscrisuri mincinoase; alţii sunt luaţi direct de la tejgheaua lor […] alţii, care au părăsit plugul, sunt arşi de soare, alţii şi-au lepădat prăşitoarea şi sapa, iar alţii, au lăsat vâsla sau armata, lasă în urmă un miros de hazna şi sunt brăzdaţi de cicatrice: […] alţii nu şi-au curăţat încă în întregime pielea de sudoarea meseriei focului. Aceşti înşelători cu biciul şi piatra de moară […] se fălesc şi, înşelând lumea, prin convingere sau prin constrângere roiesc spre înălţimi ca gândacii spre ceruri. Calea pe care merg e cea a fumului şi capul lor nu se mai întoarce în urmă ca înainte, îşi închipuie că sunt învăţători ai lucrurilor înalte, dar rostesc numai nerozii şi nu sunt în stare nici să-şi numere mâinile şi picioarele. Nu-s toate astea urâte şi nedemne de-un episcop?”[9].

„Unul se laudă cu nobleţea sa, altul cu elocinţa sa; pentru unul bogăţia contează, pentru altul familia. Cei care n-au nimic ca să facă o figură bună Se fac cunoscuţi prin viciile lor”[10].

„De unde până unde, atunci când procurarea de pietre preţioase nu e uşoară şi nu toate ţinuturile produc aromate, şi piaţa e plină de cai de pripas, în timp ce sunt crescute animale de rasă în casele bogaţilor de unde până unde e atunci uşor să afli un episcop făcut fără să-şi dea osteneala şi încropit în demnitatea sa?”[11].

„Dar tu, viteazule, care ai fost perceptor sau în slujbă de funcţionar, spune-mi, de unde până unde tu, care erai sărac, i-ai întrecut mai apoi în avere pe Cirus Medeul, pe Cresus sau Midas făcându-te stăpânul acestei case acoperite de lacrimi, ai ajuns la tribună şi şezi pe tron ca un stăpân şi păstrezi tot ce ai dobândit prin forţă şi în cele din urmă, îţi întinzi stăpânirea până şi la tainele lui Dumnezeu?”[12].

În Poemul II, I, 13, de exemplu, intitulat Către episcopi, citim[13]:

„Veniţi, toţi care călăriţi răutatea, lepădături ale neamului omenesc, voi umflaţilor, neobrăzaţilor, trufaşilor, beţivilor, vagabonzilor, petrecăreţilor şi muieraticilor, mincinoşilor şi aroganţilor, gata la sperjur, vampiri ai sângelui poporului, care vă întindeţi mâinile temute asupra bunurilor altuia, invidioşilor, făţarnicilor şi perfizilor, linguşitori laşi ai puterii, lei faţă de cai umili, indivizi îndoielnici, slujitori ai oportunităţilor schimbătoare. […] Veniţi aici cu încredere: un tron mare e gata pentru voi!”

* * *

P.S. Nu s-a întâmplat nimic special care să mă fi determinat să public acest text. Voiam să-l public încă acum câţiva ani, dar nu aveam cartea la îndemână…

[1] Poemul II, I, 11: Despre viaţa sa, v. 815 – 817.

[2] Ibid., v. 854 – 847.

[3] Ibid., v. 1680 – 1787.

[4] Ibid., v. 1546 – 1558.

[5] Ibid., v. 1739 – 1744.

[6] Ibid., v. 1756 – 1758.

[7] Poemul II, I, 12: Către sine însuşi şi despre episcopi, v. 35 – 38.

[8] Ibid., v. 136 – 138.

[9] Ibid., v. 154 – 176. 

[10] Ibid., v. 345 – 348.

[11] Ibid., v. 389 – 394.

[12] Ibid., v. 432 – 439.

[13] V. 75 – 82, 89.

 
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L'icona di Port Arthur del trionfo della Theotokos

Non ci è dato di percepire ciò che ci attende nel futuro della Chiesa. Dolori e persecuzioni spesso accompagnano la vita di un cristiano. Ma la riapparizione dell'icona miracolosa della Santissima Madre di Dio dimostra la sua intercessione di grazia per tutti i cristiani ortodossi. Questo ci darà coraggio e abnegazione nel portare la nostra croce.

- Arcivescovo Veniamin di Vladivostok e Primorje

 

Nel dicembre 1903 un marinaio anziano che era stato uno degli ultimi difensori di Sebastopoli durante la guerra di Crimea giunse alla città di Kiev per pregare davanti alle sante reliquie della Lavra delle Grotte.

Una notte, qualche strano rumore svegliò il vecchio che vide la Madre di Dio con angeli intorno a lei, tra i quali l'Arcangelo Michele e l'Arcangelo Gabriele. La Theotokos era in piedi su due spade scartate e rotte sulla riva di una baia, con la schiena rivolta verso l'acqua. Teneva in mano un velo bianco con frange blu, su cui c'era l'immagine del Salvatore "non dipinta​​ da mano umana". Angeli nelle nuvole di luce accecante le tenevano una corona sulla testa e il Signore degli eserciti era seduto ancor più in alto sul trono della gloria, circondato da una radiosità accecante.

Il vecchio fu sconvolto ed ebbe un enorme timore, ma la Theotokos lo confortò e gli disse: "la Russia sarà presto coinvolta in una guerra molto difficile, sulle rive di un mare lontano, molti guai la attendono. Dipingi un'icona che mostra il mio aspetto come lo vedi ora e invia l'icona a Port Arthur [1]. Se l'icona sarà in quella città, l'Ortodossia trionferà sul paganesimo e i soldati russi otterranno il mio aiuto, il mio patronato e la loro vittoria". La luce accecante riempì la stanza e la visione scomparve.

Quest'apparizione è stata la prima rivelazione di questo tipo nella Russia del XX secolo. Il XX secolo è stato chiamato il tempo del Golgota russo, ma anche l'età della gloria e trionfo della Santissima Madre di Dio, perché in esso la Theotokos ha manifestato molti miracoli, segni e rivelazioni. La Tutta santa è sempre presente dove suo figlio è crocifisso. Quindi lei non ha abbandonato la Croce della Russia in quel momento funereo.

A Kiev diedero ascolto della storia del vecchio marinaio, e solo due mesi dopo si parlava dell'apparizione della Vergine in tutta la Russia. All'inizio del 1904 scoppiò la guerra russo-giapponese [2] con l'attacco di torpediniere giapponesi sulle navi russe nel porto di Incheon, in Corea.

I russi si ricordarono del volere della Theotokos e cominciarono a raccogliere fondi. Diecimila persone fecero donazioni, dando un copeco dopo l'altro, e l'icona è fu realizzata esattamente sulla base della descrizione del vecchio marinaio. Fu benedetta durante la Settimana Santa e inviata a San Pietroburgo, affidata alle cure dell'Ammiraglio Verkhovskij. La gente di Kiev espresse la propria speranza che l'ammiraglio avrebbe fatto ogni sforzo possibile, senza perdere l'opportunità di consegnare l'icona in modo sicuro e il più rapidamente possibile alla fortezza di Port Arthur.

L'icona fu nella casa dell'ammiraglio a Pascha, ma egli non si affrettò a inviarla in Estremo Oriente. Per diversi giorni la sua casa fu come il salotto di un artista. Generali, senatori e rappresentanti delle autorità locali passarono a dare uno sguardo all'icona. Anche il metropolita Antonio di San Pietroburgo fece un visita e ricordò all'ammiraglio che l'icona doveva giustamente essere consegnata a Port Arthur e che egli avrebbe dovuto affrettarsi a compiere la volontà della Madonna.

Il 31 marzo, il comandante della marina russa, Stepan Makarov, perì non lontano da Port Arthur. In quei giorni l'imperatore Nicola II scrisse nel suo diario, "Tutto il giorno non ho potuto darmi pace a causa di questo dolore straziante. Che la volontà di Dio si compia in tutto, ma dobbiamo chiedere la sua misericordia verso di noi peccatori".

L'ammiraglio Verkhovskij apparentemente non vide la tragedia della morte di Makarov come causa sufficente per consegnare l'icona del trionfo della Theotokos. Infatti, questa continuò ad essere un elemento decorativo del suo appartamento.

L'ammiraglio Nikolai Skryidlov fu nominato alla posizione del defunto Makarov. Quando si stava preparando a partire per il campo di battaglia di Port Arthur, l'imperatrice vedova Maria (madre di Nicola II ) decise di assumersi la responsabilità dell'icona. Dopo una breve Moleben l'icona è stata consegnata al carro-vagone dell'ammiraglio Skryidlov. Questi promise personalmente di portare l'icona proprio nella cattedrale di Port Arthur.

Ma il treno dell'ammiraglio non andò subito verso l'Estremo Oriente, e lui stesso fu occupato a rimettere a posto affari di casa e di famiglia. Alla fine di aprile del 1904 Port Arthur fu assediata e di conseguenza Skryidlov andò a Vladivostok, invece che a Port Arthur.

Uno dei suoi contemporanei ha commentato in un resoconto scritto quello che è avvenuto, "L'icona miracolosa del Trionfo della Theotokos è stata temporaneamente collocata nella Cattedrale di Vladivostok, il 2 agosto 1904". Questo indica che non fu posta nella Chiesa per pubblica venerazione fino a 90 giorni dopo l'arrivo dell'ammiraglio Skryidlov. Questi, preso da preoccupazioni, si era semplicemente dimenticato dell'icona. Fu per un decreto dell'imperatrice Maria che l'icona fu finalmente portata dalla casa dell'ammiraglio alla cattedrale della Dormizione.

Un testimone oculare scrisse:

Gente inginocchiata in lacrime e con profonda fede pregava davanti all'icona. Quelli della marina e della fanteria, dai soldati all'ammiraglio e al generale si prosternavano davanti all'icona e chiedevano nelle loro preghiere zelanti la consolazione, l'incoraggiamento, e l'intercessione della Santissima Madre di Dio.

Il vescovo Evsevij di Vladivostok disse queste parole il 6 agosto prima di servire il primo Moleben davanti a quest'icona miracolosamente rivelata:

Anche se l'icona non ha raggiunto Port Arthur, non lasciamo che siano turbati il cuore del vecchio marinaio che è stato fatto degno di questa visione, né il cuore di coloro che hanno raccolto fondi per l'icona. Il Signore è misericordioso e onnipotente, e anche se l'icona della sua Purissima Madre è a Vladivostok, lei è in grado di aiutare i soldati di Port Arthur, e tutti i soldati russi. E noi, cittadini di Vladivostok, esultiamo per la gioia di avere una cosa così sacra.

Ma quasi tutti pensavano che era stato fatto qualcosa di sbagliato. La casa editrice delle notizie ortodossa e le autorità militari ricevevano decine di lettere al giorno. Questa riassume le opinioni della gente:

Dato che l'icona non è arrivata al punto della sua destinazione finale, non può dare l'aiuto pieno di grazia e di tutela della Theotokos. Ora è giunto il momento di chiedere l'intercessione celeste, e se questo aiuto è stato promesso al verificarsi di determinate condizioni, non dobbiamo lasciare le cose fatte a metà. Fate in modo che sia tentato ogni mezzo per consegnare l'icona, comunque pericoloso, perché se questa è la volontà della Theotokos, la sua icona arriverà sicuramente a Port Arthur. Anche se non sarà così sottomettamo la nostra volontà alla Theotokos, e non ci sarà nessun rimprovero nella nostra anima per la nostra disattenzione a ciò che la Regina celeste ci ha detto attraverso il vecchio marinaio.

Un gruppo di giovani ufficiali ortodossi provò diverse volte, ma non riuscì a consegnare copie dell'icona a Port Arthur. Nella Cattedrale della Dormizione i moleben di fronte all'icona non cessarono, un testimone oculare scrisse che c'erano sempre molti che piangevano e pregavano e si poteva sentire spesso ripetere la domanda: perché non mandano l'icona a Port Arthur, dopo tutto? Perché non c'era persona che per puro amor di patria poteva intraprendere la missione pericolosa ma nobile di consegnare l'icona della Madre di Dio ?

Fu allora che comparve l'interessato che poteva tentare un tale nobile gesto: un ufficiale in pensione, Nikolaj Fjodorov. Era sulla cinquantina e soffriva di reumatismi e malattie dello stomaco, e sicuramente non aveva mai pensato ad alcun gesto audace, vivendo tanto lontano dall'Estremo Oiente a Gatchina (vicino a San Pietroburgo). Ma poi si era imbattuto in un articolo di giornale che esprimeva il parere che nessuno poteva compiere la missione di portare l'icona alla sua destinazione.

Così Nikolaj Fjodorov disse alla moglie che avrebbe fatto un viaggio rischioso verso l'Estremo Oriente e partì immediatamente per la città di Kronstadt a chiedere la benedizione del grande pastore della terra russa, san Giovanni di Kronstadt. In seguito raccontò che durante il suo viaggio erano avvenuti tanti piccoli miracoli e tutti i problemi difficili erano stati in qualche modo risolti facilmente. Ha detto che non era sorprendente, dal momento che aveva la benedizione di san Giovanni.

Il 7 ottobre Nikolai arrivò a Vladivostok. Lo stesso giorno l'ammiraglio Skryidlov ricevette da Copenhagen un telegramma dall'imperatrice vedova, che diceva che avrebbe dovuto lasciare al signor Fjodorov il compito di prendersi cura dell'icona da quel momento in poi.

Portare l'icona per via di terra era fuori questione, così Nikolaj decise di dirigersi in primo luogo alla città di Shanghai, in Cina. Il piroscafo norvegese Eric doveva prendere l'icona il 22 novembre. Il notiziario diocesano scrisse che durante tutto il tempo prima della data fissata Fjodorov digiunò, fece la confessione, e ricevette la santa comunione.

Il piroscafo partì e i credenti attesero con speranza qualche notizia, ma questa non venne; Port Arthur cadde il 20 dicembre.

Finalmente l'11 gennaio giunse a Vladivostok una lettera, in cui Fjodorov diceva che vi era stata calma di vento per qualche tempo e si era dovuto fermare a Chifu. A quel tempo quattro torpediniere tornarono da Port Arthur con la notizia più triste. Port Arthur si era arresa. Ma le vie di Dio sono sconosciute, e quindi non era la volontà di Dio che Fjodorov per raggiungesse la città.

Il capo della missione ortodossa russa in Corea, l'archimandrita Pavel, disse:

Gloria a Dio che c'era in Russia un uomo che ha manifestato il coraggio e la fede cristiana che a noi manca. Ahimè! La storia dell'icona del Trionfo della Theotokos è stata un banco di prova per la nostra fede, e il fatto che è stata dipinta a Kiev è tanto insolito quanto la lezione che Port Arthur ci ha insegnato.

Entrati nel XXI secolo non dobbiamo dimenticare la volontà della Tutta santa rivelata a noi un centinaio di anni fa. Non è stata soddisfatta perché ad alcuni funzionari militari è mancata la convinzione nella sua intercessione. Tutto questo ha lasciato un ricordo doloroso e una ferita nel cuore russo. San Giovanni di Kronstadt era solito dire che la Russia ha fallito a causa della negligenza verso la santa icona.

Nikolaj Fjodorov dovette restituire l'icona ai suoi comandanti militari. Successivamente l'icona tornò a Vladivostok nel maggio 1905, dopo essere stata nella chiesa itinerante del comandante in capo.

Dopo la rivoluzione del 1917 la cattedrale della Dormizione fu chiusa e poi demolita. L'icona di Port Arthur fu persa nel vortice di eventi tragici che si abbatté sulla Russia nel XX secolo. Ci furono molte congetture sul luogo in cui l'icona poteva essere. Allora il Signore si è compiaciuto di rivelare un altro dei suoi miracoli.

Anche se molti hanno tentato di cancellare i ricordi del passato, un comando della Theotokos non può essere revocato. Il 18 febbraio 1998, pellegrini da Vladivostok si sono imbattuti nell'icona di Port Arthur in un negozio di antiquariato a Gerusalemme!

Il 6 maggio 1998 l'icona di Port Arthur del "Trionfo della Theotokos" è tornata a Vladivostok. I credenti gioiosi l'hanno accolta con una processione della Croce e campane a festa. Ora l'icona originale è nella cappella della diocesi di Vladivostok della Chiesa ortodossa russa.

Alla Pasqua del 2003 le porte di una nuova chiesa in onore di questa icona si sono aperte a Vladivostok. La chiesa cominciò a tenere i servizi durante l'anno del 100 ° anniversario dell'apparizione della Theotokos. Poi è emerso un movimento pubblico chiamato "benedizione dell'Estremo Oriente". Presto è stata prodotta una copia esatta dell'icona, e questa copia è stata portata in una processione Croce lungo il mare sulla costa della regione di Primorje.

Nel 2004 ha avuto luogo una seconda processione della Croce. Una nave, la Pallada, ha portato l'icona alla città di Port Arthur (ora Lushun, in Cina). L’organizzazione della Benedizione dell'Estremo Oriente, la chiesa dedicata all'icona di Port Arthur, e l’Università tecnica della pesca dell'Estremo Oriente hanno compiuto questo evento memorabile. Il progetto è stato guidato da padre Romano, il decano della chiesa dedicata all'icona di Port Arthur, così come da Dmitrij Astapenko, il direttore del club russo a Dalian, in Cina. Essi, con il capitano e l'equipaggio della Pallada, hanno celebrato un servizio trionfale nel cimitero russo di Port Arthur con preghiere di penitenza per chi aveva messo in dubbio la volontà della Theotokos. Così i soldati russi che sono morti lì hanno ricevuto l'icona dopo un centinaio di anni di attesa.

Un'altra copia di questa icona da San Pietroburgo aveva visitato il cimitero un anno prima, il 9 maggio 2003. Questa copia era stata fatta lo stesso anno e aveva viaggiato in tutta la Russia, in Estremo Oriente, in Serbia, in Caucaso e in Ucraina.

Nel gennaio 2004 due ospiti dall'America, Dan Kendall e Gale Armstrong, della comunità ortodossa di san Giovanni in Alaska, hanno visitato la chiesa dell'icona Port Arthur a Vladivostok. Hanno fatto conoscenza con la storia dell'icona. Una copia, con iscrizioni in lingua inglese, è stata data loro dopo la Divina Liturgia alla festa della Natività. È iniziata così la glorificazione trionfale dell'icona in tutto il Nord America.

Nel settembre 2006, la Società Missionaria ortodossa di sant'Innocenzo di Toronto ha consegnato in Canada una copia miracolosa dell'icona che era stata eseguita nel salone di iconografia russa dell'Arcangelo Michele esclusivamente per i cristiani ortodossi del Nord America. Il direttore dell'organizzazione Benedizione dell'Estremo Oriente, Jurij Korsakov, e il presidente della società russa di sant'Innocenzo, Arkadij Mukhin, hanno sostenuto questo progetto missionario. Il Vescovo di Anchorage, Sitka e Alaska fu il primo ad accogliere l'icona nel suo cammino verso il Canada nella sua terra benedetta spiritualmente legata alla Russia. Poi l'Akathistos all'icona è stato tradotto in inglese alla cattedrale di san Giovanni (Eagle River, Alaska). L'icona di Port Arthur del Trionfo della Theotokos ha iniziato il suo giro trionfale in tutto il Nord America. Oggi questa copia miracolosa ha trovato la sua sede permanente nel monastero della Santa Trinità, a Jordanville, New York.

Pensiamo: non è forse perché i russi hanno abbandonato la loro unità religiosa e le antiche cose sante e il retaggio dei loro antenati, che ora guai e disastri tormentano la Russia? Il Signore ha elargito alla nostra nazione il ruolo di custode e protettore delle cose sante. Queste cose sante sono le fondamenta religiose e morali per l'istituzione della vita personale, familiare e sociale, in modo da scacciare il male e lasciare un ampio spazio al bene.

- Metropolita Ioann di San Pietroburgo

Sono assolutamente certo che durante il mio viaggio ho sentito sia fisicamente che spiritualmente la grazia di Dio procedere dall'icona.

- Nikolaj Fjodorov

Note

[1] Port Arthur era una città che portava il nome del capitano del vascello inglese Algerino. Fu fondata in Manciuria nel 1858 sul sito di un antico insediamento cinese, Lao Shun. Quaranta anni dopo la Cina diede in affitto questa città (insieme con i territori confinanti) alla Russia a causa della minaccia giapponese. Così la Russia divenne la protettrice e difensore dei territori dell'Estremo Oriente. Nel 1902 vi fu costruita la chiesa ortodossa di San Nicola presso il presidio militare.

[2] La guerra russo-giapponese del 1904-1905 fu combattuta per la competizione di rivendicazioni sul dominio della Cina nord-orientale e della Corea. Nel febbraio del 1904 il Giappone iniziò la guerra attaccando Port Arthur, la cui difesa durò fino all'inizio del 1905. I giapponesi sconfissero l'esercito russo nella battaglia generale a Moukden, e la marina russa nel Golfo coreano (isola di Tsushima).

Quando la guerra finì, le risorse militari del Giappone erano alla fine, ma la Russia era solo all'inizio delle sue azioni militari. Tuttavia, il trattato di pace di Portsmouth lasciò Port Arthur e la metà dell'isola di Sakhalin al Giappone, portò la Corea sotto l'influenza giapponese, e liquidò completamente la marina russa del Pacifico.

Uno storico americano, Dennett, ha scritto nel 1925 :

Ora pochissimi suppongono che il Giappone sia stato privato dei frutti delle sue future vittorie concludendo il trattato di pace di Portsmouth. Predomina il parere contrario: il Giappone era già all'esaurimento alla fine di maggio e solo quel trattato lo salvò dalla disfatta completa nel suo scontro con la Russia.

 
22 Gennaio - Anniversario della morte dell'Arcivescovo Sergio di Eucarpia

Oggi si commemora il decimo anno dalla morte dell'arcivescovo Sergio (Konovalov) di Eucarpia. Nato l'8 luglio 1941 a Louvain (Belgio) servì come diacono e prete sposato (padre di tre figli) nell'Esarcato russo di Costantinopoli in Europa occidentale. Tonsurato monaco alla morte della moglie, guidò l'Esarcato con il titolo di Arcivescovo di Eucarpia dal 1993 al 2003.

Nelle chiese del Patriarcato di Mosca abbiamo ragione di ricordarlo piangendone la fine prematura, perché sembra abbastanza pacificamente accertato che fu in gran parte grazie a dialoghi da lui tenuti con Mosca che si giunse al documento dell'aprile 2003, che prospettava una Metropolia autonoma dell'Europa occidentale, che avrebbe riunificato le parti ancora separate della diaspora russa. Il concetto stesso di questa Metropolia, sviluppato nella lettera del Patriarca Alessio II, era una diretta risposta al desiderio dell'Arcivescovo Sergio di ritornare direttamente in seno alla Chiesa madre, in una situazione di autonomia locale.

Anche se non potremo mai sapere se questo ritorno avrebbe avuto luogo, a causa della sua morte improvvisa il 22 gennaio 2003, non dimentichiamo l'esempio di realismo e lungimiranza dell'Arcivescovo Sergio. Eterna Memoria!

 
La Missione Ortodossa in Africa

Nella foto: Stephen Hayes, autore dello studio sulle missioni ortodosse in Africa tropicale, è un nostro amico e corrispondente di Pretoria (Repubblica Sudafricana); è stato uno dei fondatori della Società Ortodossa di San Nicola del Giappone, e ideatore di diversi mezzi missionari per mantenere i contatti tra i fedeli ortodossi che si trovano isolati in paesi lontani. Ringraziamo Stephen per il suo permesso di diffondere questa traduzione

La maggior parte delle storie delle missioni cristiane in Africa danno importanza scarsa o nulla alle missioni della Chiesa Ortodossa. Una possibile ragione è la relativa novità delle missioni ortodosse, che per la maggior parte sono fiorite solo negli ultimi decenni. Tuttavia, una certa indifferenza al fenomeno può essere dovuta all'arbitraria identificazione di queste missioni con vari movimenti indipendentisti africani, e quindi come una fonte di imbarazzo per le chiese sovvenzionate dagli antichi regimi coloniali. Spesso, il cristianesimo ortodosso africano è stato visto come un problema per le missioni, piuttosto che come una forma di missione a pieno titolo, e talora è stato persino caratterizzato come "paganesimo."

La missione ortodossa nell'Africa tropicale ha avuto i suoi alti e bassi, e la situazione è cambiata rapidamente, con una grande varietà di stili e modelli. Vi si possono trovare esempi di tutti i metodi missionari adoperati nel mondo, in ogni epoca della storia cristiana.

Gli inizi in Kenya

Tutte le chiese ortodosse in Africa cadono sotto la giurisdizione del Papa e Patriarca di Alessandria e di tutta l'Africa. La storia del Patriarcato ha inizio nel primo secolo, ma le sua attività sono state fortemente indebolite, sia con la separazione dei cristiani non calcedoniani (copti, etiopi ed eritrei), e quindi con l'invasione e la dominazione islamica.

Fino agli inizi del Ventesimo secolo, l'attività del Patriarcato di Alessandria si limitò a venire incontro alle necessità spirituali degli ortodossi (in gran parte greci) che, per motivi prevalentemente commerciali, si erano stabiliti in diverse zone dell'Africa, formando comunità culturali e religiose. Il quadro cambiò nella prima metà del secolo, con movimenti autonomi di cristiani africani, scontenti della politica razzista delle loro chiese, alla ricerca di una forma di cristianesimo più autentica e rispettosa delle loro radici.

Il primo di questi movimenti a contribuire alla formazione della missione ortodossa fu la Chiesa Ortodossa Africana (una chiesa indipendente afro-americana che, malgrado il proprio titolo, non era ortodossa, ma vantava una successione episcopale dal notorio vescovo vagante Joseph-René Vilatte).

Il vescovo sudafricano Daniel William Alexander della Chiesa Ortodossa Africana diede inizio nei primi anni '30 a una missione in Uganda e in Kenya. A capo di questa missione stavano due ex-anglicani, Reuben Sseseya Mukasa (in seguito noto come Padre Reuben Spartas, e dal 1973 come Vescovo Cristoforo di Nilopoli) e Obadiah Bassajjikitalo, che erano stati spinti dalle loro letture teologiche verso la Chiesa Ortodossa. Non potendo seguire direttamente i membri della missione ugandese a causa della politica restrittiva del governo sudafricano, il Vescovo Alexander li incoraggiò a entrare in contatto con il Patriarcato ortodosso di Alessandria.

Dopo una visita del Metropolita Nikolaos di Axum nel 1942, i gruppi fondati dal Vescovo Alexander in Uganda e in Kenya furono incorporati nel 1946 come chiese ortodosse canoniche nel Patriarcato di Alessandria. Iniziarono le ordinazioni di preti locali, che avevano compiuto i loro studi teologici ad Alessandria e ad Atene. Tra questi vi era Theodore Nankyamas, attuale Metropolita dell'Uganda.

In Kenya dopo la Seconda Guerra Mondiale si intensificò la lotta contro il dominio coloniale. Durante l'emergenza dichiarata dalle autorità nel 1952, la Chiesa Ortodossa fu bandita e le sue scuole e templi chiusi dal regime coloniale. Molte chiese furono bruciate dalle forze armate, e il clero fu messo nei campi di concentramento. La Chiesa Ortodossa in Kenya, che dopo la guerra era cresciuta rapidamente, fu trattata dal regime coloniale britannico nello stesso modo in cui la Chiesa Ortodossa in Russia era stata trattata dal regime bolscevico. I missionari cattolici romani e protestanti, visti dagli ortodossi come collaboratori del regime, cercarono di screditare e sminuire la Chiesa Ortodossa, conducendo propaganda ostile (un tipico approccio era sostenere che l'Ortodossia predicata da Padre Reuben Spartas non era altro che una sua invenzione o nuova eresia, e che nessun uomo bianco seguiva una simile religione).

Un sollievo inaspettato venne dalla visita dell'Arcivescovo Makarios di Cipro, che dopo l'anno di esilio a cui era stato sottoposto dal governo inglese, passò per il Kenya nell'Aprile 1957, celebrando la Divina Liturgia a Nairobi e predicando contro il colonialismo. Questo fu un enorme incoraggiamento per i leader indipendentisti kenyoti, molti dei quali a quel tempo erano ancora in carcere (assieme al clero ortodosso). Questo episodio può spiegare non solo l'amicizia che si sviluppò tra l'Arcivescovo Makarios (primo presidente di Cipro indipendente nel 1960) e Jomo Kenyatta (primo presidente del  Kenya indipendente nel 1963), ma la loro cooperazione nella fondazione del primo seminario ortodosso nell'Africa sub-sahariana. Il presidente Kenyatta offrì un terreno a Riruta, alla periferia di Nairobi, e l'Arcivescovo Makarios raccolse i fondi per la costruzione degli edifici, donati al Patriarcato di Alessandria nel 1971 (anche se il seminario non divenne operativo fino al 1982). A Kagira e Nyeri, dove il Vescovo Alexander aveva compiuto visite e predicato circa 40 anni prima, l'Arcivescovo Makarios battezzò nella sua visita diecimila persone.

Nel 1958 il Patriarcato di Alessandria creò una sede metropolitana a Irinoupolis (Dar es Salaam) per i fedeli in Tanzania, Kenya e Uganda. Il Metropolita Nikolaos si trasferì a Kampala, visitando da lì le altre nazioni. Nel 1970 l'Archimandrita Crisostomo Papasarantopoulos, che aveva lavorato dieci anni a Kampala, iniziò una nuova missione nello Zaire. A quel tempo vi era grande bisogno di missionari esterni in Africa Orientale, anche se continuavano le ordinazioni di preti locali.

Negli anni '70 vi fu poco progresso visibile, e anzi si ebbero alcuni problemi, quando il Vescovo George Gathuna (uno dei primi convertiti di Daniel Alexander), deposto dal Santo Sinodo del Patriarcato, non accettò la deposizione e si affiliò a un gruppo vecchio-calendarista in Grecia. Il Vescovo Kigundu, succeduto alla morte di Gathuna nel 1986, fu a sua volta deposto dai Vecchi Calendaristi quando questi scoprirono che egli si era sposato in segreto, contrariamente ai canoni. La maggior parte dei preti ordinati da Gathuna e Kigundu dopo lo scisma sono rientrati in seno alla Chiesa ortodossa.

Per diversi anni la sede del Metropolita fu tenuta dal Vescovo Anastasios Yannoulatos, uno dei più insigni missiologi ortodossi del ventesimo secolo, attivo fin dagli anni '50 a incoraggiare un risveglio di interesse per la missione nella Chiesa Ortodossa. Il Vescovo Anastasios non era un Metropolita a pieno titolo, poiché non faceva parte del Patriarcato, ma del Sinodo della Chiesa Autocefala di Grecia. Non volendo entrare in permanenza nel Patriarcato di Alessandria, mantenne la sua posizione di professore all'Università di Atene, e di direttore della Apostoliki Diakonia (il dipartimento ufficiale delle missioni della Chiesa di Grecia). Nel 1992 fu nominato Arcivescovo di Albania, per condurvi la ricostruzione della Chiesa locale.

Il seminario a Nairobi aprì al tempo del Vescovo Anastasios, iniziando con 19 studenti. Originariamente era destinato agli studenti dell'Africa orientale, ma nel 1995 iniziò ad accogliere studenti anche da altri paesi africani, arrivando a 42 studenti da sette nazioni - Kenya, Uganda, Tanzania, Camerun, Nigeria, Zimbabwe e Madagascar. Lo scopo è di rendere il seminario un'istituzione pan-africana, e di promuovere un senso di unità nel Patriarcato. Questa decisione non è stata priva di problemi, tuttavia. Gli studenti provenienti dal di fuori dell'Africa Orientale hanno sofferto considerevolmente di shock culturale, trovando difficoltà anche nel cibo locale.

Si dice spesso che la missione ortodossa è centripeta anziché centrifuga: i fedeli sono attratti all'Ortodossia dall'esterno, e non da missionari mandati dalle chiese ortodosse. La crescita dell'Ortodossia in Kenya e Uganda conferma sicuramente questo dato. Fu soprattutto il risultato di persone di questi paesi che cercavano l'Ortodossia, piuttosto che di missionari ortodossi giunti da altrove che cercavano loro. Si può veramente dire che la Chiesa Ortodossa in questi paesi sia di origine africana.

Tanzania e Zimbawe

In Tanzania si può rintracciare lo stesso schema, ma con alcune varianti. Grazie agli sforzi di Padre Nicodemus Sarikas, che si era adoperato perché la Chiesa Ortodossa Africana in Uganda divenisse canonica, si registrarono alcuni sforzi evangelistici, con un certo successo nella parte nord-occidentale del paese: oggi vi è un vescovo a Bukoba, sulle sponde del Lago Vittoria.
Nello Zimbabwe l'Ortodossia, per lungo tempo confinata tra le comunità di immigranti europei, si diffuse tra la popolazione locale con gli sforzi di Raphael Ganda, un giovane di Harare introdotto all'Ortodossia in Grecia, e ora all'opera nella traduzione della Divina Liturgia e degli altri servizi in lingua Shona. Al completamento del corso di seminario a Nairobi, il suo progetto è di diventare missionario rurale.

In questi casi, i metodi missionari somigliano a quelli della Chiesa pre-nicena. Dal quarto secolo in poi, la maggioranza dei missionari ortodossi furono monaci, ma in Africa orientale e nello  Zimbabwe la missione monastica non ha avuto molta rilevanza.

Zaire e Madagascar

In Zaire e Madagascar c'è stato qualche esempio di missione "centrifuga," e anche di missione monastica. L'Archimandrita Crisostomo si trasferì in Zaire all'inizio degli anni '70, e iniziò l'opera missionaria nella capitale. Un giovane collaboratore delle missioni zairesi, Yannis Aslanidis, intraprese il cammino monastico a Monte Athos nel 1978, e in seguito ritornò in Zaire come Padre Cosmas, del Monastero di Grigorìu. Si dedicò a un progetto di sviluppo agricolo, che ebbe un enorme successo e che viene considerato una fattoria modello nella provincia dello Shaba. Così ebbe inizio il coinvolgimento diretto di un monastero del Monte Athos nelle missioni africane, anche se la missione non creò un monastero locale.

In Madagascar la chiesa ortodossa greca della capitale Antananarive, costruita nel 1953, fu chiusa nel 1972. Non fu che nel 1994 che l'Archimandrita Nectarios Kellis, giunto come prete missionario dall'Australia, soccorse la comunità greca, conducendo nello stesso tempo un'attività evangelistica in città e villaggi dell'isola. Oggi vi è già un prete nativo, seminaristi, diverse comunità, attività di traduzione in lingue locali, e Padre Nectarios è stato da pochi mesi consacrato vescovo per il Madagascar.

Africa occidentale

In Ghana e Nigeria esistevano già gruppi indipendenti non canonici, legati, come la Chiesa Ortodossa Africana, alla successione episcopale del Vescovo Vilatte. Vari fattori (tra cui la lettura del libro del Vescovo Kallistos Ware, The Orthodox Church) li spinsero a cercare la comunione della Chiesa Ortodossa. Uno tra i primi convertiti ghanesi, Padre Joseph Kwame Labi, fu formato negli USA al St Vladimir's Orthodox Seminary.

L'Arcivescovo Ireneo, che ha il titolo di Metropolita di Accra, risiede a Yaunde, nel Camerun, e la sua arcidiocesi copre 22 paesi dell'Africa occidentale. Sotto l'Arcivescovo Ireneo, dal 1976, l'Ortodossia in Camerun si è estesa alla popolazione locale: si contano 8 parrocchie tra le tribù Tuburi, lungo il confine con il Ciad, e le attività missionarie si sono estese anche in quest'ultimo paese. L'attuale Papa e Patriarca di Alessandria, Pietro VII (Papapetrou), era in precedenza Metropolita del Camerun.

Osservazioni generali

Mentre la Chiesa Ortodossa è piuttosto statica nell'Africa settentrionale e in Sudafrica, vi è stata una crescita significativa nell'Africa tropicale in seguito alla Seconda Guerra Mondiale, quando il Patriarcato di Alessandria accolse i membri della Chiesa Ortodossa Africana in Kenya e Uganda. Seguirono quindici anni di persecuzioni di cristiani ortodossi in quei paesi, con chiusura di chiese da parte dei governi. La creazione di un arcivescovado nel 1958, e l'independenza di Kenya e Uganda, sollevarono queste pressioni. Dal 1980 la crescita è stata rapida, ed è stata caratterizzata da una stupefacente varietà di attività e di metodi missionari. Nelle missioni ortodosse dell'Africa tropicale, si possono infatti trovare esempi di tutti i metodi e approcci missionari che siano mai stati tentati in ogni epoca e parte del mondo.

Forse il metodo più comune è il metodo pre-niceno di "pettegolezzo del Vangelo." Le persone sentono parlare della Chiesa Ortodossa da amici, familiari o colleghi, e il loro interesse si risveglia, e viene passato ad altri. Un esempio è quello del capo locale del popolo dei Nandi del Kenya, che incontrò l'Ortodossia tra i Luah del Kenya occidentale, che a loro volta l'avevano ricevuta dall'Uganda. Il capo divenne un lettore e catechista della Chiesa Ortodossa, che nell'area è il gruppo cristiano predominante. Ciò ricorda in qualche modo la conversione del Principe Vladimir di Kiev e del suo popolo nel decimo secolo.

Alcuni sono entrati nella Chiesa ortodossa a partire da denominazioni diverse. Un insegnante anglicano Luo aveva un problema con alcuni studenti ossessi nel suo liceo. Un evangelista ortodosso, Charles Omuroka, basato a Kakamega nel Kenya occidentale, andò alla scuola e pregò per i ragazzi, che furono guariti. Tali metodi sono solitamente associati a missionari pentecostali, piuttosto che a quelli ortodossi. A Konyabuguru, presso Bukoba in Tanzania, Padre Sosthenes Kiyonga arrivò nel 1974 a insegnare la fede ortodossa. Gli abitanti del villaggio dovevano fare 8 chilometri per portare l'acqua. Il prete pregò, e nel villaggio sgorgò una sorgente, che finora non si è seccata. Ciò fece convertire molti all'Ortodossia, tra cui pagani, anglicani e cattolici romani. Tali metodi sono di solito associati ai missionari celtici del settimo secolo, piuttosto che a quelli africani del ventesimo.

Ci sono stati diversi casi (incluso quello originale di Padre Reuben Spartas) di persone che hanno letto libri sulla fede ortodossa, e che quindi si sono messi in viaggio, spesso con grande spesa personale, per incontrare la Chiesa dal vivo. Questo può essere descritto come "evangelismo letterario," anche se la maggior parte della letteratura in questione non era stata scritta con intenti evangelistici.

Alcuni gruppi linguistici distinti sono stati interessati da attività di evangelismo e di traduzione condotti dal seminario ortodosso di Nairobi. Si tratta di un approccio simile alla conversione di certe popolazioni, con la differenza che il seminario cerca consapevolmente di essere multinazionale e inter-tribale. Quando gli studenti vanno in missione o a visitare parrocchie, lo fanno in gruppi che comprendono differenti nazionalità o gruppi linguistici, e questo è posto all'attenzione delle congregazioni: la Chiesa non è Luo, Kikuyu, Haya, Turkana o Greca, ma è composta di gente di ogni nazionalità e cultura. Vi è un'enfasi considerevole sull'idea della Chiesa come comunione inclusiva. Uno dei maggiori ostacoli alla missione ortodossa negli ultimi secoli è stata l'insularità etnica degli stessi cristiani ortodossi, e pertanto qui si fa un deliberato tentativo di reazione.

L'approccio che è meno in evidenza è quello che altrove è stato il più prominente: la missione monastica. Non ci sono monasteri ortodossi nell'Africa tropicale. Eppure diversi monaci e monache sono stati inviati dai propri monasteri a lavorare in diverse parti dell'Africa e in Madagascar. Un altro aspetto della missione, ovvero la missione come liberazione, è strettamente collegata con la storia della Chiesa in Kenya.

Si possono anche trovare i metodi "classici" usati dai missionari cattolici romani e protestanti: servizi educativi e medici. in molti luoghi in Kenya, Tanzania e Uganda sono state costruite cliniche e dispensari. E non sono mancati progetti di sviluppo comunitario, come l'opera di sviluppo agricolo nello Zaire e e l'ambizioso programma di ricostruzione avviato nel 1988 dalla Chiesa Ortodossa d'Uganda dopo le devastanti guerre civili degli ultimi 25 anni. In tali progetti, si è avuta l'assistenza delle Chiese Ortodosse di Finlandia, Grecia e Cipro, e dell'Orthodox Christian Mission Center negli USA. Gruppi di volontari sono giunti da questi paesi per aiutare le popolazioni locali a costruire ed equipaggiare cliniche, dispensari, scuole e chiese.

La missione ortodossa nell'Africa tropicale è stata iniziata da persone di ogni tipo: un arcivescovo nel Camerun settentrionale, un evangelista nel Kenya occidentale, un prete nella Tanzania nord-occidentale, e molti altri in ogni tipo di situazione. La missione è stata sia centripeta che centrifuga. Pur nella sua grande varietà di metodi e approcci, è stata in larga misura frutto di un'iniziativa africana, e si differenzia dalle missioni occidentali per la rapida ordinazione e la predominanza del clero africano. A parte il seminario a Nairobi, e poche cattedrali costruite dai greci in alcune grandi città, vi sono ben poche infrastrutture elaborate, o grandi investimenti in edifici ed equipaggiamenti, che si trovano in molti corpi missionari occidentali, tanto visibili in città come Nairobi. Un'ampia percentuale di studenti del seminario è composta da figli di contadini, e molti membri del clero sono essi stessi contadini, che risiedono nelle comunità dove hanno sempre vissuto.

(Questo articolo condensa il saggio ORTHODOX MISSION IN TROPICAL AFRICA, di Stephen Hayes)

 
Una "Tanja russa" dalla Guinea-Bissau

Monica Tatiana Mendes Corrêa condivide il suo cammino verso l'Ortodossia in un'intervista con padre Dimitrij Smirnov.

Dalla tribù “Manjaku”

Io sono una "Tanja russa" dalla nascita. Mio padre mi ha dato il nome Tat'jana. Molte persone pensano che io abbia preso il nome da sola, perché mi piaceva come suona. Ma non è vero.

Sono cresciuta in una famiglia adottiva a Ivanovo, in Russia. Sono figlia di un politico. Qualche tempo fa, figli di politici in Africa, America Latina e Asia sono stati inviati all'estero da paesi amici per salvare loro la vita. Quando un politico, un comunista confermato, era condannato a morte, anche tutta la sua famiglia era sterminata...

Sono stata inviata in Russia per essere salvata. Avevo quattro o cinque anni allora.

Considero la Russia la mia patria. Parlo correntemente il russo, anche se con un accento. Ho studiato in una scuola molto buona a Ivanovo - una delle migliori. A scuola non ci proibivano di parlare la nostra lingua madre. Inoltre, era una scuola internazionale - i bambini provenivano da varie parti del mondo. E per impedirci di dimenticare la nostra lingua, avevamo lì insegnanti di lingua madre!

Ho quattro lingue native. Prima viene il portoghese. Poi il Creolo - i popoli della Guinea sono considerati creoli. Vi è anche un linguaggio tribale, che parlavano mio padre e mia madre, ma io non lo conosco per niente... Se si tenta di pronunciare il nome della mia tribù in russo, verrà fuori qualcosa come "Manjaku".

Ora, quando gli amici studenti della Guinea-Bissau vengono qui, ridono di me: "Come può essere che tu sia dalla nostra tribù, se non sai una sola parola!" Ma io davvero non ne so una parola. E cosa ancor più divertente - ballo le danze popolari, anche se nessuno mi ha mai insegnato a ballare. Credo che sia nella mia natura. Ballare mi aiuta a calmarmi. Ho iniziato a ballare a scuola.

Senza diritto a una patria

Ho vissuto in Russia già da 25 anni, ma ancora non ho un passaporto russo: mi viene negato. A volte sento solo "no" come risposta, a volte varie scuse. La cosa stranamente divertente è che ho avuto un figlio qui. Ok, possono dirmi "no", trovano sempre qualche scusa ("E' stata la Croce Rossa che ti ha aiutata? Fai pure quello che vuoi ora"), ma il bambino è nato qui. E lui ora dovrebbe già ricevere un passaporto ora, perche ha 14 anni.

Cosa posso rispondere alle autorità? Sì, in passato la Croce Rossa ci ha aiutati. Ma più tardi molti di noi non hanno potuto tornare indietro, perché non sapevano dove andare. Da nessuna parte. Quasi tutti i nostri parenti sono stati uccisi. Se avessi qualcuno da cui andare o fossi sicura di essere in grado di stabilirmi lì e sopravvivere, potrei andare e fermare queste discussioni con i funzionari. Ma sono cresciuta qui.

Il mio fratello più giovane Samuel ha lasciato la Russia per la Francia, è più facile per lui, e si è già registrato per ottenere i documenti. Ma io sono troppo testarda e così ho deciso di soggiornare qui. Non ho nulla contro gli altri paesi, ma la mia anima è qui.

Dietro la soglia

In un primo momento avevo paura della Chiesa, anche se mio padre era cristiano. Apprezzavo le icone, le immagini cristiane, ma non ho mai potuto entrare in una qualsiasi chiesa. Ogni volta che ho sentito un coro di chiesa anche a grande distanza, mi dicevo sempre: "No, no, grazie mille, ma io non ne ho bisogno".

La ragione è che svenivo sempre quando arrivavo sulla soglia di una chiesa. Perdevo i sensi nel momento in cui arrivavo alla porta della chiesa.

Ogni volta, quando discutevamo con i miei coetanei e loro dicevano qualcosa di critico sulla Chiesa, io la difendevo. Anche se non ho mai frequentato la chiesa io stessa...

Ho superato la mia paura e sono entrata in una chiesa quando ho finalmente ammesso che stavo attraversando un periodo difficile. Non avevo nessuno con cui parlare. E' successo non molto tempo fa, circa un anno o un anno e mezzo. Lì ho trovato il sostegno di persone, dei parrocchiani.

Sono in genere fortunata a trovare eccezionali sorelle in Cristo. Lasci che le parli di un'esperienza interessante.

Mi ricordo che siamo andati a Suzdal, quando ero bambina. C'erano chiese antiche molto belle. Ma non potevo entrare in nessuna di loro. Perché anche quando siamo passati accanto a loro nel nostro bus, sono caduta in crisi isterica, ho iniziato a piangere e sono svenuta. Ma volevo davvero andare dentro. E c'era una sorella (non ricordo il suo nome), che ha detto: "devi fare la comunione".

Ho detto: "Sei matta? Che cosa stai dicendo "Ma lei insisteva:" Ne hai bisogno ". Allora ho detto: "Molte cose che vedo nei miei sogni più tardi accadono in realtà. E mi fa paura ... E, sai, io non sono battezzata".

Davvero non ero battezzata. Sì, in Guinea-Bissau i bambini vengono battezzati alla nascita. Ma nella nostra famiglia era diverso. A casa, in Africa, non andavamo in chiesa, anche se nel nostro paese è normale andare in chiesa ogni domenica. Mio padre aveva vietato a me e a mio fratello di frequentare la chiesa.

Sono stata battezzata da padre Aleksandr nella vicina chiesa dell'ambasciata della Guinea-Bissau a Mosca. Non riesco a ricordare il nome della chiesa. Durante i servizi stavo sempre in piedi alle porte e ascoltavo gli inni - sapevo che non potevo entrare.

Così un giorno aspettavo fuori e ho chiesto al sacerdote: "Che cosa devo fare per essere battezzata? E' possibile?" Mi ha chiesto: "Sei stata battezzata in un'altra confessione?" - " No, non sono stato battezzata per niente". "Perché allora hai scelto l'Ortodossia?" gli ho spiegato che ho vissuto qui tutta la mia vita e mi piace molto la storia della Russia. Mi piace anche la Chiesa cattolica, ma non è per me...

Il padre ha detto che mi avrebbe dato un periodo di prova - un mese. Se avessi frequentato la chiesa regolarmente durante quel mese, mi avrebbe battezzata. Gli ho detto che fisicamente non potevo entrare in una chiesa. Ed egli disse: "Fai un tentativo. In un primo momento, tenta di fare un passo all'interno, Cerca solo di stare dentro, non alle porte. Mi capita spesso di vederti alle porte. Dovresti cercare di entrare, Forse, questa decisione passerà. Se vedi che non ne hai bisogno, allora non dovresti essere battezzata. Ma se vedi che questo è per te, allora parleremo del tuo battesimo".

Così ho frequentato la chiesa per un mese e quindici giorni. Sono entrata e mi sono fermata vicino all'ingresso. Un paio di volte sono svenuta lì. La gente mi ha portata fuori, ma ogni volta sono tornata grazie alla mia determinazione.

Sono di forte volontà per natura. Vado in tour - io ballo danze popolari africane. Il pubblico tratta spesso le ballerine come bambole da toccare... io dico: «Non puoi toccarmi. Limitati a guardare la danza», - e nessuno mi tocca.

Mi sono detta la stessa cosa per quanto riguarda la chiesa: se posso essere persistente sul palco, perché non riesco a venire a pregare qui? Ho cominciato a impormi. All'inizio la gente mi ha aiutato, e poi l'ho fatto per conto mio. Mi riposavo per un po', e quando mi girava la testa, uscivo. Respiravo una boccata d'aria e tornavo indietro.

«Litigi» con Santa Tatiana

In chiesa ho incontrato una donna che mi ha parlato di lei, padre Dimitrij.

Quando arrivavo in chiesa, cominciavo a parlare con le icone, e subito scoppiavo in lacrime... Credo che lei mi abbia visto in quel momento. E' venuta da me e mi ha chiesto: "Che cosa ti è successo", le ho detto: "Niente va bene, non ho forze... Tutti i miei piani vanno storti per qualche motivo". "Quali santi stai pregando?" "Prego tutti i santi. Non ho preferenze ", ho risposto.

Ora ho i miei santi preferiti. Sono Metrofane di Voronezh e Serafino di Sarov. E anche quando sto pregando, non mi rivolgo direttamente al Signore, mi appello alla Madre di Dio. Credo di considerarla la Madre di tutti. Le dico: "Per favore, prega con me il tuo Figlio". Solo dopo questo, prego il Signore.

Sono divenuta anche molto legata a santa Tatiana. Eppure, mi capita spesso di litigare con lei, quando qualcosa va storto!

Mi piace molto l'icona della Madre di Dio "Calice inesauribile". Le dico il perché. Quando mi sentivo male, avevo preso l'abitudine di bere. E non ho nemmeno notato come l'alcol ha iniziato a svolgere un ruolo importante nella mia vita.

E quella donna dalla chiesa mi ha detto: "Vai alla chiesa del santo vescovo Metrofane di Voronezh sulla Khutorskaja, e là non pregare lui, ma trova l'icona della santa Madre di Dio "Calice inesauribile" e prega davanti a lei. Così, sono venuto qui.

Consolazione

Lei, padre Dimitrij, mi ha visto, quando sono venuta qui per la terza volta. Ho detto ai miei amici: "Ho visto un prete nei miei sogni". Sono abituati a sentirmi dire sciocchezze... E improvvisamente sentono "Ho sognato un prete"... "Beh, descrivilo". E io l’ho descritta.

Quando sono entrata in chiesa e mi sono fermata in un angolo, mi ha visto e sono scoppiata in lacrime. Sono tornata a casa e ho detto: "Katja, te lo immagini? Ho visto il prete del mio sogno, di cui ti ho parlato ".

Ho parlato con lei e le ho detto che ho paura, perché tutto ciò che sogno accade nella realtà. Lei poi ha detto: "E allora? Che cosa hai visto? Sei viva nel sogno?" Ho detto: "Sì". "Va bene. Quindi puoi continuare a vivere serena". E questo in realtà mi ha tranquillizzata.

In precedenza, avevo paura di dormire, ma dopo che ho cominciato ad andare da lei alla confessione, sono stata in grado di addormentarmi. Mentre prima dovevo andare in chiesa tre o quattro volte alla settimana per calmarmi.

Lei mi ha aiutato a trovare lavoro in chiesa, e ora entro tranquillamente in chiesa tutte le mattine. Prima dell'inizio dei lavori prego a casa. Mi alzo sempre presto, intorno alle 7 - e faccio le mie preghiere del mattino.

La gente in chiesa alla fine si è abituata a me, ora mi salutano. Quando mi hanno visto per la prima volta, al contrario, mi guardavano a occhi sbarrati e sussurravano tra loro. Ora, se manco una domenica, mi chiedono: "Perché non sei stata in chiesa?" Io spiego, e poi mi dicono: "Va bene, ma assicurati di esserci domenica prossima!"

Tutti mi conoscono, anche quelle donne che si trovano nei pressi della chiesa e chiedono l'elemosina. Anch’io le conosco! Quando arrivo, ci salutiamo sempre e parliamo. Poi, quando do loro l'elemosina, chiedono sempre come sto.

E ora mi sento bene. Sono in pace...

 
Rasoforii în Biserica Ortodoxă Rusă. Observaţii personale despre treptele monahale

În perioada 2-3 februarie 2015, în sala de şedinţe a Catedralei „Hristos Mântuitorul” din Moscova a avut loc Adunarea Consultativă a arhiereilor Bisericii Ortodoxe Ruse, care a adunat 259 de ierarhi din tot cuprinsul Patriarhiei Moscovei.

În cadrul discuţiilor s-a dezbătut şi subiectul unui nou Regulament al mănăstirilor, care deja de doi ani este supus dezbaterilor la diferite nivele (sinodal, eparhial, mănăstiresc şi public/pe internet).

Unul din punctele delicate pentru care au fost consultaţi ierarhii a fost statutul rasoforului (adică a purtătorului de rasă monahală). Dând o apreciere rangului de rasofor (la punctul 8 al comunicatului final), comisia abilitată va putea finaliza lucrarea de redactare a Regulamentului mănăstirilor, care va fi aprobat de Marele Sobor Arhieresc ce va avea loc, cel mai probabil, în februarie 2016.

Iată ce s-a hotărât la acest subiect: 

“Participanţii la Adunarea Consultativă a arhiereilor, analizând minuţios dezbaterile Permanenţei Intersoborniceşti despre statutul rasoforului în „Regulamentul mănăstirilor şi monahilor”, au formulat o părere comună că rasoforia este o etapă pregătitoare pentru primirea monahismului. „Slujba la îmbrăcarea rasei şi camilafcei”, include tunderea părului, îmbrăcarea celui tuns în rasă, centură şi camilafcă[1] (de asemenea mandila[2] la femei). Purtătorul de rasă şi camilafcă se pregăteşte pentru voturile monahale şi aderarea la „ceata călugărilor”.

Cel tuns ca rasofor poate fi hirotonit în treapta diaconiei sau preoţiei, dacă există o hotărâre unanimă a consiliului duhovnicesc al mănăstirii. În acest caz, celui hirotonit i se atribuie numele de „ierodiacon” sau „preot-călugăr[3]”.

Intenţia rămânerii în mănăstire şi apoi primirea rasoforiei atrage după sine obligaţii morale. Cei care le încalcă, părăsind mănăstirea şi plecând în lume, cad sub incidenţa epitimiei canonice.

În cazul în care părăsirea mănăstirii se face în taină, fără aprobarea egumenului sau arhiereului, sau prin minciună, intervin impedimentele canonice legate de interzicerea primirii hirotoniei. Problema posibilităţii hirotoniei unei astfel de persoane, cu condiţia respectării celibatului, se hotărăşte de arhiereu, în baza rezultatelor judecăţii bisericeşti. Un fost rasofor care s-a căsătorit nu poate fi hirotonit.

Observaţii personale:

1. Hotărârea este binevenită, dar este mult prea ambiguă şi nu răspunde la toate întrebările. Ea nu vorbeşte atât despre statutul rasoforului ci, mai degrabă, despre posibilitatea şi condiţiile hirotonirii acestora. Rămâne însă neclar dacă un fost rasofor care se căsătoreşte poate fi cununat în Biserică sau nu? După tradiţie, în acest caz se săvârşeşte „a doua cununie”, dar lucrul acesta era bine să fie stipulat în mod expres. De asemenea nu se spune nimic despre schimbarea numelui la rasoforie. 

2. Hotărârea de mai sus păstrează rânduiala devenită tradiţională în Biserica Rusă (iar mai târziu şi în Biserica Română), la care rasoforul este tuns şi primeşte nu doar rasă şi potcap, ci şi cuculie, adică acea pânză care se îmbracă peste potcap şi formează ceea ce ruşii numesc „klobuk”, iar românii „camilafcă” [4]. Cu toate acestea, rasoforul nu este considerat a fi monah, ci doar candidat, care se pregăteşte pentru depunerea voturilor monahale şi primirea schimei monahale (mici). Cam acelaşi înţeles îl are rasoforia şi în Biserica Ortodoxă Română. 

3. La greci, şi în special în Muntele Athos, lucrurile sunt privite un pic diferit: ei nu tund rasoforul şi nu-i dau cuculie, ci doar rasă şi potcap, în schimb îl consideră monah, chiar dacă n-a dat voturile, ci doar i s-au citit nişte rugăciuni (în cadrul cărora stareţul poate rosti un alt nume). Diferenţa dintre rasofori şi monahi în mediul athonit este mai degrabă în faptul că rasoforul, în cazuri speciale(!), îşi poate schimba mănăstirea, pe când monahul este obligat să stea în mănăstirea de metanie până la moarte, cu excepţia cazurilor când este trimis de egumen sau este cerut de episcop pentru o anumită slujire bisericească. Athoniţii însă consideră că rasoforul nu poate primi nici măcar „a doua cununie” în cazul în care se căsătoreşte, ci trebuie să-şi caute o altă mănăstire, care să i se potrivească mai mult caracterului şi aspiraţiilor sale. (Este o vorbă la athoniţi: novicele [dokimos] poate pleca din mănăstire sau poate fi dat afară, căci între el şi mănăstire încă nu există obligaţii reciproce; rasoforul poate pleca, dacă vrea foarte tare, dar nu poate fi dat afară din mănăstire; iar monahul nici nu poate pleca şi nici nu poate fi dat afară din mănăstire, căci s-au legat pe viaţă!)

4. Sper că la redactarea finală a Regulamentului mănăstirilor aceste aprecieri să fie completate şi îmbunătăţite. Aş prefera ca în varianta finală să rămână varianta greacă a slujbei rasoforiei (fără tundere şi fără cuculie), dar înţelesul să fie cel de acum: acela de ascet, care nu a depus încă voturile monahale şi simte nevoia (sau este obligat de careva împrejurări) să-şi menţină un fel de libertate faţă de stareţ şi mănăstire, păzind în mod special doar votul castităţii. De exemplu, Sf. Vasile cel Mare, considerat unul din întemeietorii monahismului, nu foloseşte niciodată termenul de „monah”, ci doar pe cel de „ascet”, care putea să aibă o mai mare deschidere către lume, după cum însuşi Sfântul Vasile a avut.  

5. Pe de altă parte, consider că un frate/soră care vrea să intre în mănăstire, dar încă doreşte să-şi continue careva studii, inclusiv cele teologice, este bine să fie făcut cel mult rasofor, iar voturile monahale să fie date abia după terminarea studiilor şi retragerea definitivă în mănăstire. Nu-i logic să-i dai schima monahală, iar a doua zi să-i dai bani şi telefon mobil, şi să-l trimiţi la studii. (Apropo, în BOR există şi practica îmbrăcării în rasă printr-o simplă binecuvântare, fără nici o slujbă concretă şi fără tundere, tocmai pentru a nu crea consecinţe canonice şi duhovniceşti pentru cel care ar putea să lase rasa şi să plece în lume. Ar fi bine ca Sfântul Sinod al BOR să clarifice statutul acestui tip de "rasofori".)

6. Amânarea depunerii voturilor monahale nu atrage după sine şi amânarea hirotoniei, dacă mănăstirea are o necesitate reală de diacon sau preot. Un rasofor hirotonit preot poate accede la treapta episcopiei chiar şi fără depunerea voturilor monahale. În unele Biserici locale această practică este larg răspândită, având în vedere şi faptul că „arhieria” şi „monahismul” nu sunt întru totul compatibile (în special din cauza „votului supunerii/ ascultării”). 

7. Consider că schimbarea numelui la rasoforie trebuie să se facă numai în cazul în care candidatul nu poartă un nume de sfânt, aşa cum e tradiţional în Biserica Ortodoxă. Obiceiul de a schimba numele şi la rasoforie, şi la tunderea în schima mică, şi la tunderea în schima mare (iar grecii le mai schimbă uneori şi la hirotonie) – aduce numai confuzii şi chiar traume psihologice, pierzându-se din vechiul înţeles al schimbării numelui. De câte ori în viaţă cineva poate spune: „m-am lepădat de omul vechi, cu tot cu numele lui şi am devenit un om nou, inclusiv cu un nume nou”? 

8. În aceeaşi ordine de idei, sunt de acord cu Sf. Teodor Studitul şi cu tradiţia monahală athonită ca după rasoforie să se dea direct schima mare (pe care, la moment, ruşii şi românii o dau doar la bătrâneţe). Ar fi corect să există o singură schimă monahală, care să fie dată abia după ce se vede clar ce vrea şi ce poate omul, iar cei care încă nu sunt hotărâţi, să rămână mai mult timp rasofori, iar înainte de a primi rasoforia, să treacă nu doar printr-o perioadă de încercare (cum se zice la noi), ci mai ales prin una de formare, căci nimeni nu poate fi încercat dacă nu a fost mai întâi informat şi apoi bine format!

9. Monahii care îndeplinesc anumite slujiri bisericeşti în lume, trebuie să fie legaţi canonic şi duhovniceşte de o anumită mănăstire, în care să se retragă după terminarea slujirii încredinţate. Această legătură nu trebuie să fie doar formală, ci una reală şi simţită atât de obştea care se roagă pentru monahul ce-şi duce slujirea în lume, cât mai ales de însuşi monahul care are nevoie de retrageri sistematice în mănăstire pentru a nu pierde cugetul monahal. 

Note:

[1] În rusă: „klóbuk”. Aici am folosit termenul utilizat în BOR şi în teologia românească. Vezi mai multe detalii la punctul 2 din „Observaţii”.

[2] În rusă: „apóstolnik”, care este asemănător cu mandila (baticul) monahiilor din Grecia, doar că nu acoperă atât de mult fruntea. În BOR călugăriţele poartă o uniformă specifică, nemaiîntâlnită în alte ţări ortodoxe. Atributul principal purtat de călugăriţe pe cap se numeşte „scúfie/scófie”, pe când la ruşi „scufía” are sensul de „fes călugăresc”. E foarte greu să traduci toţi aceşti termeni vestimentari, ştiind că diferă nu doar cuvântul, ci şi înţelesul lui.

[3] În rusă: „sviaşcennoinok”. Întrucât  expresia „lik inokuiuşcih” am tradus-o cu „ceata călugărilor”, singura variantă de traducere pentru „sviaşcennoinok” ar fi „sfinţit-călugăr” (care însă se poate referi şi la diaconi) sau „preot-călugăr”. Ca şi slavonescul „inok”, românescul „călugăr” are un sens mai general decât cel de „monah” (care rămâne neschimbat la greci, ruşi şi români).

[4] Apropo, ruşii numesc „camilafcă” doar potcapul colorat, purtat în special de preoţii căsătoriţi.

 
L'eroe ascetico della Rus' Carpatica: il venerabile Iov di Ugol'

Il villaggio di Iza nella Rus' Carpatica è chiamato "il villaggio dei santi" – solo nella prima metà del XX secolo, da esso sono emersi più di 160 monaci. Il ricordo di alcuni di loro è custodito dai carpato-russi con trepidazione.

Georgij e Anna Kundrja avevano avuto cinque figli e tre figlie, ma per i residenti di Iza una famiglia così non era molto numerosa. Qualcuno aveva 10-12 bambini. Il figlio, nato il 18 maggio 1902 fu chiamato dai genitori Ioann.

Dato al ragazzo il nome del Precursore del Signore – il padre dei monaci e degli eremiti, ai genitori fu predetto che sarebbe diventato un anziano portatore di spirito, e mentore di molti monaci.

Quando Ivan Kundrja aveva circa dieci anni, la sua vita ebbe un incontro che fu per lui e suo fratello Vasilij il "momento della verità". In quel tempo, nella loro casa si nascondeva dalle autorità ungheresi lo ieromonaco ortodossa Amfilokhij (Kemin'). La croce dell'asceta scintillava d'oro, e i ragazzi desideravano molto baciarla.

"Questa croce è un dono dell'imperatore Nicola II, pertanto chiunque la bacia, deve dedicare tutta la sua vita a Dio e diventare monaco", disse seriamente l'anziano. I ragazzi non dormirono tutta la notte per l’agitazione, e la mattina andarono risoluti dal sacerdote, e promisero che sarebbero diventati monaci.

Entrambi i fratelli mantennero il voto, ma questo ebbe luogo molti anni più tardi, e dopo un'infanzia difficile. La Rus' Carpatica era allora sotto il dominio dell'Austria-Ungheria, ed essere ortodossi significava essere fuorilegge. Per celebrare le funzioni i credenti si riunivano a casa di nascosto, di notte. I sacerdoti ortodossi si muovevano da villaggio a villaggio, nascosti nei carri sotto il fieno. Solo i bambini potevano muoversi liberamente, senza destare il sospetto dei gendarmi. Erano proprio i bambini a riunire la gente per il culto, erano in grado di portare una lettera del vescovo o il crisma consacrato.

Un giorno padre Amfilokhij (Kemin') celebrava una delle sue Liturgie notturne, e Ivan Kundrja e suo fratello facevano la guardia per avvisare dell'arrivo dei gendarmi. I ragazzi si entusiasmarono della funzione e non si accorsero del momento in cui la casa fu circondata. L'anziano fu arrestato di fronte ai contadini e portato a Khust. I fratelli piangsero. Non potevano perdonare se stessi per questo errore.

"Fin dalla prima infanzia ho amato il nostro Signore Gesù Cristo, la sua tutta santa Madre e la fede ortodossa. E la nostra povera Transcarpazia non ha mai avuto un periodo di riposo. È costantemente passata di mano in mano. Così, da noi vennero gli ungheresi, i romeni, i cechi, e di nuovo gli ungheresi. Tutti, tranne i romeni, hanno perseguitato la fede ortodossa e tutti comunque hanno imposto l'unione con Roma".

Ogni adolescente qualche volta sogna di raggiungere paesi lontani o di viaggiare in tutto il mondo. Ivan sognava la Serbia. Per lui, era un paese fantastico in cui avevano vissuto martiri impavidi e re santi, in cui nessuno era in grado di distruggere la fede ortodossa. Il ragazzo cercò di andarci non appena ebbe 17 anni. Non aveva denaro, ma sapeva che il fiume Tibisco sfocia nel Danubio e che se si segue la corrente, si può andare direttamente a Belgrado – la capitale della Serbia ortodossa. E iniziò a nuotare...

Costruita una zattera, e fatte le provviste, pregò Dio con fervore e si arrese alla volontà del rapido fiume. Lo aspettava un brusco risveglio: solo l'acqua è libera di muoversi a valle, passando i confini di stato, e questo non è dato a persone. La sua zattera fu bloccata dalle guardie di frontiera, e aveva Ivan fu costretto a tornare a casa.

"Nella chiesa del mio villaggio natale serviva padre Dorimedont, che mi ha insegnato la Legge di Dio e mi ha benedetto per aiutarlo all'altare. Quando crebbi, con la benedizione dei genitori e di padre Dorimedont diventai un novizio nel monastero, dove alla fine sono stato tonsurato rassoforo con il nome di Iov (Giobbe). E poi, come volle il destino, scoppiò la seconda guerra mondiale. I cechi lasciarono la Rus' Carpatica – ancora una volta vennero gli ungheresi. Fecero una verifica al monastero e mi ordinarono di andare nell'esercito ungherese. Che disgrazia – c'ero solo io e non c'era abbastanza!"

Con i fratelli del monastero di Gorodilovsko

Padre Iov sapeva che i nazisti ungheresi intendevano costringerlo a combattere contro l'Unione Sovietica. Non volendo sparare contro i fratelli slavi, decise di fuggire in Russia. Prese un sacco, vi mise il Vangelo, del pane, del sale, una tazza, disse addio all'abate e se ne andò nella notte. In parte a piedi, in parte a cavallo, giunse con successo al confine con la Polonia, e finalmente fu al confine della Russia sovietica. Pregando con zelo, attraversò il confine dell'URSS. Era il 1939.

"Mi imbattei subito in una guardia di frontiera. Assalito da un cane, lo tenni lontano con un bastone, mentre mi puntavano addosso i fucili. Mi urlarono: "A terra!". Mi sdraiai per terra, piangendo, baciandola con gioia: "Fratelli di sangue, vengo a voi dalla Transcarpazia, finalmente Dio mi ha portato nella Santa Rus'!" Il capo ha risposto: "Andiamo all'avamposto di frontiera, là capiremo che tipo di uccellino sei". All'avamposto mi hanno subito considerato come una spia, e mandato all'NKVD. Il mio processo è durato sette minuti. Il verdetto è stato il seguente: per spionaggio – 15 anni; per attività religiose – cinque, e in ogni caso altri cinque anni di esilio. In tutto – 25".

Il Gulag sovietico viveva secondo il principio: "I criminali devono distruggersi da soli". Vi creavano condizioni tali che la gente si imbestialiva e si uccideva a vicenda. Era particolarmente difficile nelle miniere a Noril'sk. La fame, la fatica e la crudeltà delle guardie erano tanto dure che la morte di freddo era considerata una facile liberazione dalla sofferenza. Improvvisamente, padre Iov fu convocato dal capo del campo e sostituito nella mobilitazione del corpo dei cecoslovacchi di Ludvik Svoboda, perché per passaporto il monaco era un cittadino ceco.

"Oh, guerra, guerra, pesante, maledetta! È la fatica di Caino e non dovrebbe toccare a un monaco. L'unica cosa che mi confortava era il ricordo dei santi monaci guerrieri Osljab e Peresvet, che san Sergio di Radonezh aveva benedetto ad andare sul campo di Kulikovo. Così, tra i conflitti, sono arrivato a Praga. Dopo la vittoria, finalmente, sono stato dimesso. Sono tornato in patria. Salute a te, Verkhovina, mia madre. Ancora una volta, ero nel mio monastero. "

Per sette anni padre Iov mancò da casa. Furono anni di prove, che temprarono il suo spirito. Passò attraverso il dolore di molte persone, e il Signore gli diede la capacità di alleviare il dolore. Gli aprì il dono della preghiera e della visione. Divenne uno di quelli che in Russia fin dai tempi antichi chiamavano anziani.

In 40 anni di servizio sacerdotale ci furono solo un paio di giorni, in cui padre Iov (Kundrja) non celebrò la Divina Liturgia. Una volta fu a causa di un'operazione, quando all'asceta dovettero rimuovere un grosso frammento che era si era incastrato nel suo petto da l tempo della guerra. In un'altra occasione, perse la Liturgia per errore – i suoi assistenti non erano riusciti a cuocere il pane della comunione. "Se sapeste che cosa abbiamo perso oggi", disse con profondo dolore allora l'anziano.

Chiesa del grande martire Demetrio

Irradiava una gioia speciale, piena di grazia. A quelli che venivano per essere consolati, diceva: "Non rimproverate voi stessi! Voglia Dio che tutto finisca bene". Tuttavia, il suo viso era raggiante di gioia, e le semplici parole pronunciate nel dialetto russino avevano un effetto più forte di qualsiasi sermone.

Ma con tutta la compassione che aveva, non sopportava i vizi, soprattutto quando avevano a che fare con le cose sante. Una volta vide che dopo aver letto i Salmi per l'anima del defunto avevano messo della vodka per il pasto di commemorazione funebre. "Gente! Cosa state facendo! Sono stati letti i Salmi, e voi fate queste cose! Me ne vado via da qui!"

Una volta vennero a trovare l'anziano un docente dell'Università Statale di Mosca e sua moglie, per discutere di importanti questioni spirituali. Il professore era un credente, era da lungo tempo sposato civilmente con sua moglie, ma non erano sposati in chiesa. "Voi vivete nella dissolutezza, e venite a parlare di cose sublimi!" Fin da quando varcarono soglia, l'anziano li rimproverò. Immediatamente scelse tra i presenti dei testimoni che potessero tenere le corone, e sposò la nuova coppia.

"Una volta i calici della comunione erano di legno, e i fedeli d'oro. Ora – è il contrario. I fedeli non si rendono conto che partecipiamo al corpo e al sangue di Cristo. La fede è decaduta. Costruiranno chiese, ma non vi sarà la grazia, non vi sarà l'amore. Se una persona vuole vivere secondo la fede, vi sarà fortemente turbato".

Chiesa del grande martire Demetrio

Il Signore diede all'anziano un potere speciale sugli spiriti maligni. Lo scrittore Valerij Ljalin raccontò di essere stato testimone dell'espulsione di un demone dal russino Ivan Gojda, ossessionato da uno spirito impuro: "Al mattino presto, prima della Liturgia, batjushka e il guardiano della chiesa – un robusto boscaiolo – portarono Ivan nel nartece. Presto ci fu un urlo come di un cinghiale ucciso per il Natale.

Poi si sentì un pianto di pentimento, e dopo un'altra mezz'ora tutto fu tranquillo. Infine, barcollando, uscì Ivan. Si asciugò le lacrime con la mano dicendo: "Che cosa potrei ancora fare – no, Dio mio. Tutto e per sempre. Dio mi ha colpito. Domani farò richiesta di diventare monaco". Gli chiesi, "è uscito il demonio? " "Oh-ho-ho, e che demonio! Grande, puzzolente, peloso, come un gorilla". - "E batjushka che ha fatto?" - "Ha fatto tutto è fatto. Ha letto la preghiera, mi ha rimproverato, ha asperso acqua santa, ha acceso incenso, ha appoggiato su di me una grande icona"

Nel 1966, il padre Iov fu elevato al rango di archimandrita. L'anziano dai capelli grigi aveva allora 63 anni. Serviva nel villaggio di Ugol', era il padre spirituale di una enorme contrada e di diversi monasteri; su sua raccomandazione oltre 150 giovani erano entrati in seminario ed erano divantati parroci, ma batjushka si considerava sinceramente indegno del rango di archimandrita.

"La supplico umilmente, vladyka, – scrisse l'anziano all'arcivescovo Grigorij – mi lasci nel mio rango di igumeno. Ci sono molti sacerdoti, teologi e arcipreti che già da più di 40 anni servono la Chiesa, e sono degni di questo premio, ma io non lo sono. Pertanto, per la seconda volta, le chiedo di non premiarmi con una così alta dignità".

Tuttavia, non tutti a Ugol' andavano da padre Iov solo per chiedere consiglio. Alcuni credevano che nella chiesa di Ugol' ci fosse qualcosa di nascosto, poiché era visitata da molti pellegrini, e tutti lasciavano qualche soldo. Un certo Petr del villaggio di Dragovo decise di derubare l'anziano. Durante l'assalto, padre Iov chiese al ladro di non togliergli la vita – non per sé, ma per il bene del gregge, e dell'anima dell'assalitore.

Petr non toccò il prete. Prese i soldi e scomparve. Fu catturato e condannato. Si pentì dell'atto, e per tutta la vita fu felice che il Signore non gli avesse permesso di uccidere un uomo santo. Tuttavia, i parenti dell'anziano furono molto turbati da questo caso. Pregarono l'anziano di trasferirsi dal Ugol' al suo villaggio natale di Iza, o per lo meno di permettere loro di seppellirlo nel suo villaggio natale. Fu a questo punto che l'anziano scrisse il suo testamento.

"Ho servito per 20 anni nel villaggio di Malaja Ugol'ka nella chiesa del santo grande martire Demetrio di Tessalonica. La mia vita sta volgendo al termine, e presto avrò 80 anni. Proibisco a chiunque di prendere il mio corpo peccaminoso. Chiedo un funerale monastico e di essere sepolto presso la croce al centro del cimitero. Archimandrita Iov".

Il 28 luglio 1985, il giorno della festa del santo principe Vladimir pari agli apostoli, la chiesa di Ugol' era affollata, come di solito accade in questi grandi feste. Batjushka serviva sempre in modo devoto e solenne, come se parlasse con Dio. Tuttavia, durante l'omelia, sorprese i fedeli. Era sempre conciso, ma questa volta parlò a lungo e con entusiasmo, come per dire addio al suo gregge. Alla fine della giornata celebrò il Vespro, durante il quale le lacrime scorrevano continuamente sul suo volto.

Dopo la funzione il suo allievo padre Iosif Jarema sentì l'ultima istruzione. L'anziano disse che presto sarebbe venuto un tempo in cui gli ortodossi non saranno perseguitati per la loro fede, ma una nuova era di libertà non dovrà indurre in errore, perché avverrà uno straordinario declino della moralità. Durante la conversazione padre Iov si sentì male, e in quella stessa notte morì.

L'anziano chiese di essere seppellito a Ugol', ma la sua richiesta in parte non è stata rispettata. Egli non riposa nel cimitero, ma nella chiesa di Ugol', perché il 12 ottobre 2007 ha avuto luogo la sua glorificazione nel novero dei santi.

Il reliquiario del santo Iov di Ugol'

Dopo l'esumazione le sue reliquie furono portate subito dal cimitero in chiesa, ma non appena il corteo entrò in chiesa un albero cadde sulla linea elettrica e in tutto il villaggio le luci si spensero. I servizi furono tenuti esclusivamente a lume di candela.

Il suo sogno fin da bambino era quello di diventare un prete ortodosso. Non un grande re e un cavaliere su un cavallo bianco, ma un monaco ordinario al servizio di Dio e del popolo. Voleva dare alla gente la felicità infinita della fede. Per realizzare questo sogno una volta baciò una croce dorata, e il suo sogno si è avverato.

 
Arciprete Aleksij Uminskij: Predica della domenica dopo la festa della Croce (Marco 8:34-9:1)

Nel nome del Padre, del Figlio e del santo Spirito!

Il Signore disse: "Chiunque vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la sua vita per causa mia e del Vangelo, la salverà. Che giova infatti all'uomo se guadagna tutto il mondo e perde la sua anima? O che cosa potrà dare l'uomo in cambio della propria anima? Chi dunque si vergognerà di me e delle mie parole in questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con i santi angeli". E disse: "In verità io vi dico, vi sono alcuni qui presenti che non gusteranno la morte, finché non abbiano visto il regno di Dio venire con potenza" (Marco 8:34-9:1).

Nel Vangelo c'è un passo così terribile che, ogni volta che qualcuno lo legge, sembra sempre come il tremendo Giudizio: Chiunque vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Sono parole terribili, che riflettono perfettamente l'essenza della vita spirituale. Espongono ciascuno di noi, in ultima analisi, passandoci attraverso e rendendo ognuno di noi senza risposte davanti a Dio. Perché la Croce di Cristo definisce perfettamente l'essenza dell'uomo, determina il nucleo del suo essere, e definisce la sua vita.

Ognuno di noi porta questa croce su di sé, ognuno di noi si difende per mezzo di questa croce. Con la parola "croce", ognuno di noi capisce qualcosa di suo, naturalmente. Fondamentalmente, questo è un fardello di problemi irrisolvibili che ci uccidono, per così dire, e non ci permettono di vivere, ci schiacciano in ogni modo. Noi chiamiamo questi problemi la nostra "croce" e siamo tormentati da loro. E per noi, nella nostra comprensione umana, una croce è una tortura.

Una croce è davvero una tortura. Si tratta di uno strumento di tortura, nell'antichità era il mezzo più tortuoso di esecuzione. Ed è veramente così. Ma questo mezzo di tortura è una gioia per i cristiani. Noi cantiamo: "Attraverso la Croce, è giunta la gioia in tutto il mondo". E noi veneriamo in ogni modo questa croce, la indossiamo, e rafforziamo la nostra fede per mezzo di essa. Eppure, che cos'è una croce? Come possiamo vivere con questa croce? Cosa significa nella vita di un cristiano?

Un saggio cristiano ha detto: "Chi vive senza la Croce, vive senza speranza". Perché la vita di una tale persona sarà un allontanamento costante da Dio, sarà un costante nascondersi tra le vanità di questo mondo, un desiderio di abbandonare le proprie responsabilità, si perdere la testa, e di abbandonarsi solo a piaceri esterni e a sogni illusori. Una tale persona non ha nessuna speranza, nessuna speranza di sorta.

Ma se porta la propria croce, allora ha questa speranza. Perché vivere secondo la Croce di Cristo non è semplicemente una questione di iniziare la propria vita da zero, non è semplicemente una questione di iniziare un movimento verso Cristo a partire dal nulla. È la possibilità di seguire Cristo dal più spaventoso abisso, di seguire Cristo e di cambiare la propria vita da una condizione in cui non si può più chiamare se stessi umani. Questo è possibile solo con l'aiuto della Croce di Cristo. Questa è una croce che ciascuno di noi è obbligato a portare per il nostro Signore. Questo ci dà la grande speranza che noi che siamo qui riuniti, così malati e così spesso completamente amareggiati da problemi insolubili nella nostra vita e deformati da peccati passati, abbiamo la possibilità, prendendo la nostra croce, di cambiare completamente, di trasformarci completamente, di fuggire dalla morte alla vita, e di rinascere e risorgere in Gesù Cristo nostro Signore. E questa è la più grande gioia e felicità della vita cristiana. Perché la nostra vita è la salvezza nella nostra speranza, perché il Signore stesso, con la croce su cui fu crocifisso, discese a tali profondità di caduta da impalare su questa croce l'intero nucleo della disperazione umana e del peccato. Nulla è rimasto che non sia stato conquistato da questa Croce, che non sia stato spezzato da questa Croce. E non è rimasto che non sia stato reso sicuro da questa Croce, che non sia stato raggiunto attraverso la sete di vita e di immortalità.

Pertanto la nostra croce è la nostra unica speranza di salvezza, la nostra unica fiducia che la nostra vita cambierà, se prendiamo questa croce seguendo Cristo con essa. Questo significa anche essere in grado di negare noi stessi. Questo significa anche essere in grado di buttare via tutto ciò che noi chiamiamo nostro, ma che in realtà non è nostro: i nostri peccati non sono nostri, le nostre passioni non sono nostre, le nostre ferite dell'anima e la mortalità non sono nostre. Questo non è ciò che il Signore ci ha dato, perché questo non ha alcuna relazione con Dio, e tutto ciò che non ha alcuna relazione con Dio non può avere alcun rapporto con noi. E non importa quanto sia radicato in noi, non importa quanto sia diventato la nostra maschera, distorcendo il nostro vero volto, non importa quanto sia diventato la nostra pelle - non è nostro. Abbiamo bisogno di toglierlo, non importa quanto sia doloroso e terribile possa essere. Se siamo in grado di scoprire noi stessi in questo modo, di rinnegare noi stessi, senza paura di rovinare la nostra vita artificiosa, vuota e priva di significato, allora otterremo Cristo, allora acquisiremo la vita vera ed eterna, che il Signore ci ha concesso con la sua crocifissione e la sua risurrezione. Amen.

 
Archimandrita Tikhon (Shevkunov): "Vedere la ricerca di fede dei giovani cinesi è stata l'esperienza più incredibile che ho avuto negli ultimi tempi."

Quest'autunno, il coro del Monastero Sretenskij ha fatto un tour di 20 giorni, visitando le parrocchie ortodosse degli Stati Uniti. Ha concluso il tour... in Cina, dove era stato invitato a tenere due concerti. Anche se ogni passo che questi russi hanno fatto in città ha dato loro un ricordo di se stessi, questa terra resta comunque misteriosa e un po' incomprensibile, meravigliosa e sorprendente... L'abate del monastero Sretenskij, l'archimandrita Tikhon, condivide con noi le sue impressioni della Cina.

Pechino. La Città Proibita.

-Padre Tikhon, quest'anno è stato in Cina con il coro del Monastero Sretenskij. Come ci siete arrivati, considerando il complesso rapporto tra il governo cinese e la Chiesa ortodossa?

-Il coro monastero è stato invitato in Cina, in modo inaspettato per noi, dal Maestro Long Yu, un uomo molto famoso nel paese. È il direttore del Festival Internazionale di Musica di Pechino, a cui partecipano orchestre sinfoniche tra le più acclamate, cori e solisti.

Nel corso dei negoziati preliminari abbiamo posto l'accento sul fatto che il Coro Sretenskij è prima di tutto un coro di chiesa cristiano ortodosso. Le attività della Chiesa ortodossa in Cina sono state ufficialmente limitate per molti decenni, e perciò devo ammettere che siamo rimasti piuttosto sorpresi quando un uomo così vicino ai più alti gradi del governo cinese, che sapeva benissimo che noi siamo cristiani ortodossi, ha invitato noi e non qualcun altro. Ma la commissione festival ha confermato: sì, il coro di un monastero ortodosso russo è invitato. Li avevamo avvertiti che non avremmo rimosso le canzoni religiose dal programma. In risposta la Commissione ci ha proposto di tenere un concerto di inni della chiesa, e l'altro di arte corale secolare. Siamo stati d'accordo.

Ufficialmente, in Cina i servizi religiosi ortodossi siano condotti esclusivamente nel territorio del consolato russo. Purtroppo i cittadini cinesi non sono ammessi, neanche il piccolo gruppo di cinesi ortodossi. Così, i cinesi hanno avuto l'opportunità di ascoltare inni ortodossi praticamente per la prima volta in molti anni, e in nessun altro luogo se non al concerto del nostro coro.

Il Coro Sretenskij si esibisce nella Città Proibita, Pechino.

Il loro interesse è stato sincero. I cinesi sono un popolo molto musicale e un pubblico che sa apprezzare. C'erano molti giovani. C'erano anche molte persone anziane che potevano ancora ricordare l'Unione Sovietica. La sala era piena di molti artisti professionisti e critici musicali. Uno dei concerti è stato dato in un posto molto speciale, la Città Proibita, così come chiamano il grandioso complesso di palazzi degli imperatori cinesi. Alla performance del coro sono stati dati voti molto alti da parte del pubblico e della critica.

-Ha avuto l'opportunità di andare in giro per Pechino?

-Pechino è una città straordinariamente interessante. Anche se poche, alcune strutture antiche sono ancora conservate. Ma nel complesso la città è stata interamente ricostruita. È moderna, con strade larghe ed enormi nuovi edifici. La ricostruzione effettuata in preparazione per le Olimpiadi è impressionante. Molti ora ne scrivono e ne parlano.

Pechino.

-Ma a quanto pare non è questo ciò che l’ha stupito della Cina?

-Ha indovinato. Questo non era il mio primo viaggio in quel paese. Durante i tre anni dopo il mio ultimo viaggio, è veramente cambiato molto. Da tutte le indicazioni, il tenore di vita di questo miliardo e mezzo di abitanti è più alto. Ma non è la cosa principale.

Sono stato sorpreso al massimo da quello che meno mi aspettavo di vedere: la fioritura del Cristianesimo in Cina.

Alcuni anni fa, e anche prima di questo viaggio, molti mi avevano assicurato che la stragrande maggioranza dei cinesi non è semplicemente in grado di comprendere il cristianesimo. Presumibilmente i cinesi, secondo loro, non solo sono non-religiosi; sono quasi per natura assolutamente incapaci di accettare qualsiasi cosa spirituale, perché sono materialisti all'estremo. Alla fede - e in parte al Cristianesimo ortodosso - sono così indifferenti e freddi che è del tutto inutile anche parlarne con loro.

Sì, certo vi è, come si suol dire, un culto del denaro e del successo materiale in Cina, ma non sta a me giudicare. Il leggendario pragmatismo cinese è stato a lungo una "parola d'ordine tra le nazioni". Ma ciò in cui mi sono imbattuto in questo viaggio rimane una delle più forti impressioni che ho avuto per lungo tempo.

Tutto è iniziato quando alcuni cinesi che si definiscono cristiani hanno espresso il desiderio di fare la mia conoscenza dopo che uno di loro aveva letto il mio libro, Santi quotidiani, in inglese. A dire la verità, questi miei nuovi conoscenti non potevano davvero dire a quale confessione appartengono - hanno appena letto i Vangeli, credono nel Signore Gesù Cristo, lo pregano, e con fermezza e ostinatamente si considerano cristiani. Alcuni di loro non sono per nulla battezzati, altri sono stati battezzati dai protestanti, altri ancora dai cattolici... Non ci sono ortodossi tra loro per il semplice motivo di cui ho parlato prima in questa conversazione.

Ma che fede hanno questi cristiani! Mi hanno invitato a casa loro in un edificio di appartamenti nuovi alla periferia di Pechino. A quanto pare in Cina si riuniscono in case diverse per pregare; si potrebbe dire che è come nei primi anni del cristianesimo, o come in tempi piuttosto recenti in Russia. E questo è straordinariamente toccante. Davvero, mi ricorda gli anni ’70 e ’80 a Mosca, quando giovani credenti si riunivano per pregare, per leggere acatisti, sempre di corsa a passare gli uni agli altri quelli che erano allora i rari libri cristiani, per stare insieme... ho visto in Cina, oggi, quello stesso e raggiante spirito neofita... E dicono che c'è un enorme numero di tali "chiese domestiche" in tutta la Cina.

La maggior parte dei giovani interessati alla fede sono prelevati e portati alla loro fede da pentecostali e cattolici. Per essere onesti, stanno lottando con grande coraggio in quelle fedi...

-Anche le loro attività sono illegali?

-La loro missione può essere complicata a volte, ma a differenza del frequentare la chiesa ortodossa, non è illegale.

Naturalmente, per noi il modo protestante di fare le cose è un po' una novità. Dicono: "Andiamo a lodare Cristo!" E si dirigono al parco con una chitarra. Possiamo immaginare queste canzoni protestanti: spesso poeticamente ingenue, a volte del tutto semplicistiche, ma sincere. Ebbene, i cristiani cinesi cantano queste canzoni nei parchi e sui viali. Folle di giovani si radunano intorno a loro, e fanno domande con vivo interesse. Poi qualcuno passa attorno la Sacra Scrittura su brochure ristampate. Rispondono alle domande, li invitano a riunioni... Questo non è contro la legge. In ogni caso, non ho visto alcuna azione contro queste attività da parte delle autorità.

Un gruppo di cristiani che studiano la Bibbia in Cina.

L’interesse dei cinesi per il cristianesimo è, senza esagerazione, enorme. Assieme allo ieromonaco Pavel (Shcherbachev) abbiamo incontrato funzionari governativi cinesi, che hanno confermato che prevedono un futuro molto serio per il cristianesimo in Cina. A loro avviso, il vettore di sviluppo pragmatico e materialista nel loro paese ha raggiunto un punto morto. Molti cinesi capiscono che la loro vita ha bisogno di un vettore di sviluppo completamente diverso, un vettore spirituale. E molti vedono la soluzione nel cristianesimo.

Secondo vari dati, una percentuale dal sette al dieci per cento dei cinesi è cristiana. Si tratta di una cifra pari a circa la popolazione del nostro paese [la Russia]. Ufficialmente, si dichiara così: alla fine del 2006, il capo dell'ufficio di Stato per le religioni Ye Siou Ben ha dichiarato al centro di informazione che il numero dei cristiani in Cina ha raggiunto i 130 milioni (e ci potrebbero essere dati più recenti). Si deve anche considerare che queste sono persone di età principalmente giovane o media. Non ci sono statistiche precise, ma secondo vari dati il ​​numero di cristiani in Cina aumenta da uno a tre milioni ogni anno.

-C'è qualche lavoro missionario svolto in Cina adesso?

-Per quanto ne so, ci sono l’arciprete Dionisij Pozdnayev [del Patriarcato di Mosca] e lo ieromonaco Damascene (Christensen) [della Chiesa ortodossa serba] che vi si recano. Ma se stiamo parlando di missioni eterodosse, ne stanno arrivando molte dalla Russia, soprattutto pentecostali. Medici cristiani o uomini d'affari di piccole aziende vi si recano consapevolmente per combinare il proprio lavoro con la predicazione.

 

Vi è una vera - non una rinascita, non si può chiamare così - ma una vera scoperta del cristianesimo che sta avendo luogo in Cina. È un vero peccato che noi, per il quale la questione è più importante che per chiunque altro, non abbiamo praticamente alcuna partecipazione in questo fenomeno.

E lì c'è un vero, serio interesse per l'Ortodossia. Protestanti e cattolici mi hanno detto che stanno pregando con la preghiera di Gesù e sono alla ricerca di letteratura ortodossa nella speranza di saperne di più circa l'esperienza ortodossa della comunione con Dio... Così, la sincera ricerca di fede dei giovani cinesi ha lasciato su di me la più grande impressione ed è stato il più grande - non ho nemmeno paura di dire la parola - shock che ho sperimentato negli ultimi tempi.

 
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Per che cosa si assegna ora un Oscar

ora i registi che vogliono vincere un Oscar devono soddisfare nuovi requisiti. Foto: Unione dei giornalisti ortodossi

Il cinema americano ha ora nuovi standard di inclusione: i registi sono tenuti a includere nei film persone LGBT, persone con disabilità, minoranze nazionali, ecc.

L'American Film Academy ha annunciato che dal 2024 in poi, per qualificarsi per un Oscar, i film dovranno soddisfare nuovi standard. Ce ne sono quattro: A, B, C e D. Una richiesta deve soddisfare almeno due di questi standard per essere considerata ammissibile. Questi standard includono quanto segue:

Standard A:

  • Almeno uno degli attori principali o attori secondari significativi deve appartenere a un gruppo etnico o razziale "sottorappresentato": asiatico, ispanico/latino, nero/afroamericano, indigeno/nativo americano/nativo dell'Alaska, nativo hawaiano. eccetera.
  • Almeno il 30% di tutti gli attori in ruoli secondari e minori deve provenire da almeno due dei seguenti gruppi sottorappresentati: donne, gruppi etnici o razziali, LGBTQ, persone con disabilità cognitive o fisiche, o sorde/ipoudenti.
  • La trama principale, il tema o la narrazione del film devono essere incentrati su un gruppo sottorappresentato.

Standard B: dei rappresentanti dei gruppi "sottorappresentati" devono occupare posizioni di leadership nella compagnia cinematografica o nel team di produzione.

Standard C: la società di produzione, distribuzione e/o finanziamento del film deve offrire opportunità di apprendistato/tirocinio retribuito e formazione per persone appartenenti a gruppi sottorappresentati.

Standard D: Lo studio e/o la compagnia cinematografica deve avere più dirigenti senior interni tra i gruppi sottorappresentati nel marketing, nella pubblicità e nella distribuzione.

Notevoli sono le parole con cui i rappresentanti della Film Academy hanno spiegato l'innovazione: "Crediamo che questi standard di inclusione saranno un catalizzatore per un cambiamento duraturo ed essenziale nel nostro settore".

In altre parole, il pubblico dovrà vedere sullo schermo gay, lesbiche, attori con il colore della pelle non bianco, malati di mente o mentalmente disabili. E dato che il cinema nel mondo di oggi è probabilmente lo strumento principale per plasmare la visione del mondo della gente, diventa chiaro di cosa si tratta: la popolazione generale diventerà gradualmente simile.

Nel 2016 è uscito "Moonlight", che presto ha vinto il Golden Globe Award per il miglior fim drammatico ed è stato nominato a un Oscar in 8 diverse categorie. Il film parla della vita di afroamericani in difficoltà con una trama omosessuale.

uno screenshot del film "Moonlight"

Tutto è esattamente come è ora specificato nei requisiti per i film da nominare per un Oscar in futuro. Cioè, dal 2024, tutti i film che ambiscono a una statuetta dell'American Film Academy dovranno essere approssimativamente gli stessi. Dato che una tale statuetta è il sogno di tutti i registi e produttori, la tristezza è totale.

Nuove regole per le nomination agli Oscar: censura comune?

Ci sono due aspetti nelle nuove regole per le nomination agli Oscar. Il primo è stato formulato dal capo del servizio stampa del patriarca di Mosca e di tutta la Rus', Vladimir Legojda. Questi ha richiamato l'attenzione sulla somiglianza ideologica tra le nuove regole dell'American Film Academy e la censura sovietica.

"Sembra che si possa dire addio alla libertà di creatività in una particolare comunità cinematografica. Penso che la vecchia generazione dell'élite creativa russa, che realizzava film durante l'era della censura sovietica, avrà qualcosa con cui confrontarsi. <.. .> Sembra che il cinema americano stia diventando uno strumento di rozza propaganda ideologica, ignorando la creatività e il talento. Oppure, se vinceranno la libertà di parola e la creatività, prima o poi queste catene saranno spezzate", ha scritto Legojda sul suo canale Telegram.

Sì, le nuove regole di Hollywood non sono altro che censura. Ovviamente nessuno vieta di realizzare film che non rispettano queste regole. Ma un film del genere non attirerà più finanziamenti adeguati, attori famosi, operatori di talento, professionisti del marketing creativo e così via. Dopotutto, è improbabile che un progetto cinematografico che non ha alcuna possibilità di essere nominato a un Oscar li interessi. Tutto ciò limita fortemente le idee creative nell'industria cinematografica, costringendole a girare solo ciò di cui hanno bisogno gli ideologi del mondo LGBT e di altre "tolleranze".

Questo non era solo il caso dell'Unione Sovietica; qualsiasi stato autoritario ha cercato in un modo o nell'altro di indurre scrittori, poeti, artisti, registi e altre persone creative a promuovere l'ideologia che prevaleva in quello stato. Oggi gli Stati Uniti, e anche molti paesi europei, si stanno trasformando in tali stati, dove è necessario rispettare i diritti delle persone LGBT, dei migranti, delle minoranze nazionali e di altre minoranze, ma dove è impossibile dire che "...né immorali, né idolàtri, né adùlteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio" (1 Cor 6:9-10).

La censura dà forma a una nuova realtà

Un altro aspetto è che la comunità LGBT e altre comunità minoritarie hanno cessato da tempo di essere perseguitate. Le loro ideologie vengono ora apertamente imposte sulla società. La persona creativa non può più aspirare al successo se non segue le linee guida stabilite dalla censura liberale, ma è costretta a creare opere che siano chiaramente nel quadro di questa ideologia: glorificare gli afroamericani, creare un alone di rispetto intorno alle persone LGBT e così via. E la persona creativa, a sua volta, con i suoi capolavori letterari o cinematografici, forma nella società una comprensione appropriata di ciò che è buono e ciò che è cattivo, di ciò che è la norma e di ciò che è una deviazione da essa.

Così, si forma per esempio una visione pubblica del mondo che dà già per scontato come persone innocenti che siano "sfortunate" a nascere con la pelle nera si inginocchino di fronte a folle ribelli che distruggono negozi e bruciano auto.

Qualche giorno fa si è verificato un caso indicativo presso la National Basketball Association (NBA). L'afroamericano Montrezl Harrell ha pubblicamente chiamato il suo giocatore della squadra rivale, lo sloveno Luca Dončić, "brutto culo bianco". E nessuno si è indignato, nessuno ha sollevato uno scandalo, nessuno ha buttato Harrell fuori dalla NBA. Si può solo immaginare una tempesta di indignazione se l'insulto fosse stato di tipo inverso.

È ancora più triste vedere l'ideologia LGBT imposta ai bambini piccoli. Negli ultimi anni, sono stati presentati personaggi gay nei cartoni animati americani. Ecco alcuni esempi recenti. All'inizio di maggio 2020, due studi di Hollywood, Disney e Pixar, creatori di cartoni animati molto popolari, hanno pubblicato il cartone animato "Onward", che comprendeva un personaggio minore chiamato Spectre, una poliziotta ciclope lesbica. Il fumetto stesso, a proposito, insegna ai bambini la magia, ma non è di questo che si tratta ora. L'annuncio del fumetto sottolinea in particolare che questo ciclope è doppiato da un'attrice apertamente lesbica, Lena Waithe.

il personaggio Spectre del cartone animato "Onward" e l'attrice Lena Waithe

E alla fine di maggio 2020, le stesse compagnie cinematografiche hanno pubblicato il cartone animato "Out", in cui gli omosessuali sono i personaggi principali e la loro relazione è alla base della trama. Il film è destinato alla categoria dei bambini dai 6 anni in su.

una scena del cartone animato "Out"

Conosciamo tutti molto bene le peculiarità della psiche del bambino quando un bambino imita i suoi personaggi preferiti e si sforza di essere come loro. È facile intuire che influenzando il pubblico dei bambini, gli ideologi della nuova realtà stanno plasmando il domani, un giorno in cui le perversioni sessuali diventeranno non solo la norma, ma un modello.

Come resistere?  

La cosa più semplice da dire è che non dovremmo guardare film e cartoni animati americani. Ma se in epoca sovietica avevamo un'ottima alternativa, ora non possiamo dirlo. Quindi cosa dovremmo fare?

In primo luogo, investire risorse finanziarie, amministrative e, soprattutto, creative nella creazione di capolavori che riflettano valori tradizionali.

Prendiamo, per esempio, il festival del cinema ortodosso "Pokrov". Si tiene da 17 anni ed è giunto il momento di portarlo a un livello qualitativamente nuovo. Certamente questo richiede materiali significativi e altri costi. Non deve essere uno sfogo occasionale. Ma di conseguenza, il festival può essere una buona alternativa allo stesso Oscar.

Un altro esempio è il film "Dove sei, Adamo?" diretto da Aleksandr Zaporoshchenko, che può essere definito un capolavoro del documentario. I creatori del film hanno dovuto lavorare sodo per far sì che il film fosse distribuito nei cinema. Ora il film è in uscita ma solo in alcuni cinema e i suoi spettacoli sono limitati.

In secondo luogo, non solo possiamo, ma dobbiamo fare del nostro meglio per insegnare ai nostri figli il giusto atteggiamento nei confronti delle persone LGBT e il concetto di peccato in generale, e formare una mentalità cristiana. Non dobbiamo lasciare che i produttori cinematografici di Hollywood ci rubino le anime dei nostri figli. E per fare questo, dovremmo prestare la massima attenzione possibile ai nostri figli, trascorrere più tempo possibile con loro e la cosa principale da ricordare è la regola d'oro dell'educazione: i bambini non ascoltano, i bambini vedono. Quindi, sono ciò che vedono in noi.

 
Botezul copiilor

Nici eu nu eram la inceput convins ca este bine ca pruncii sa fie botezati. Si eu mi-am pus intrebarea "Cum poate un prunc sa creada si sa se boteze ?" Numai acum, dupa un studiu al Scripturii si al istoriei Bisericii primare, pot spune ca exista argumente covarsitoare in favoarea botezului pruncilor. Sigur ca la prima vedere, expresii ca "pocaieste-te si boteaza-te", sau "crede si boteaza-te" pot da impresia ca numai adultii se pot boteza. Greseala acestui mod de a gandi nu consta in faptul ca un adult trebuie sa creada inainte de a se boteza, ci in aplicarea in cazul pruncilor unei porunci adresata adultilor. Biblia nu a fost scrisa pentru prunci, ei fiind in grija parintilor, care pot auzi, intelege si crede. In plus, mai trebuie facuta o distinctie importanta intre botezul copilului si cel al adultului : adultul trebuie sa se pocaiasca in timp ce pruncul, neavand greseli personale, nu are pacate pentru care sa se pocaiasca. Din moment ce nu si-a inchis inima printr-o respingere voita a vointei lui Dumnezeu, inima lui este deschisa si capabila de a primi harul lui Dumnezeu. Gandeste-te, daca am urma acelasi rationament, din ceea ce citim in 2 Tesaloniceni 3:10 "Daca cineva nu vrea sa lucreze, nici sa nu manance" ar reiesi ca trebuie sa ne infometam copiii, pentru ca nu vor sa munceasca. Desigur ca nu este asa, copiii putand primi hrana chiar daca nu muncesc. Verbele "a se pocai", "a munci" se refera la cei care sunt capabili sa faca aceste lucruri.

Pe de alta parte, avem in Biblie exemple de copii ce primesc darul credintei atunci cand sunt atinsi de harul lui Dumnezeu. In Luca 1:44, cand Maria s-a dus la Elisabeta, aceasta a spus : "Iata, cum veni la urechile mele glasul salutarii tale, pruncul a saltat de bucurie in pantecele meu." Deci, nu putem masura intr-un mod stiintific predispozitia unei persoane de a primi harul mantuitor. Ar mai fi si alte exemple : Psalm 8:2 (in traducerea Cornilescu, numerotarea psalmilor este decalata cu 1 fata de traducere pe care o am eu), Matei 21:16 "…din gura copiilor si a celor ce sug Ti-ai pregatit lauda", Psalm 21:9-10 "Ca Tu esti Cel care m-ai scos din pantece, nadejdea mea. Spre tine m-am aruncat de la nastere, din pantecele maicii mele, Dumnezeul meu esti Tu". In Matei 18:3 ni se spune: "De nu va veti intoarce si nu veti fi precum pruncii, nu veti intra in imparatia cerurilor", deci vedem ca, pruncii sunt modelul nostru de credinta. Nu este pusa conditia : pana cand pruncii nu vor deveni adulti, ci exact opusul : pana cand adultii nu vor redeveni ca pruncii.

Pentru a intelege practica istorica crestina a botezului copiilor, este important sa intelegi modul in care pruncii erau inclusi in procesul mantuirii din Vechiul Testament. Cel mai important semn al legamantului intre Dumnezeu si copii lui Israel era circumcizia. Dumnezeu a poruncit ca acest ritual sa fie aplicat tuturor celor de parte barbateasca in varsta de 8 zile. (Geneza 17:12).

Fireste, pruncul nu era intrebat daca vrea sa se nasca in Israel sau daca vrea sa fie evreu. Intrebarea : "vrei sa porti semnul legamantului si sa apartii poporului lui Dumnezeu, sau nu vrei acest lucru ?" nu a fost niciodata pusa, aceasta decizie apartinand parintilor. Este usor de gasit legatura intre circumcizie si botezul crestin in scrierile lui Pavel privitoare la Israel si Biserica : "In El ati si fost taiati imprejur, cu taiere imprejur nefacuta de mana, prin dezbracarea de trupul carnii, intru taierea imprejur a lui Hristos ingropati fiind impreuna cu El in botez" (Coloseni 2:11,12). Deci pentru crestini botezul este plinirea taierii imprejur din Vechiul Testament. Folosindu-ne de aceasta legatura, putem spune ca Dumnezeu a inclus toti evreii, chiar si copiii in legamantul Vechiului Testament. Scriptura subliniaza ca "toti au fost botezati in nor si in mare" (1 Cor. 10:2) atunci cand l-au urmat pe Moise prin Marea Rosie. Ar fi fost de neconceput ca oamenii sa-si lase copiii la tarm pentru a deveni prada a armatelor lui Faraon, doar pentru ca nu erau destul de mari pentru a intelege, sau pentru ca nu puteau lua o decizie personala de a se salva strabatand Marea Rosie. In Iesire 10:9 se vede ca toti au pornit in aceasta calatorie, adulti si copii.

"Caci nu voiesc, fratilor, ca voi sa nu stiti ca parintii nostri au fost toti sub nor si ca toti au trecut prin mare. Si toti, intru Moise au fost botezati in nor si in mare. Si toti au mancat aceeasi mancare duhovniceasca; Si toti, aceeasi bautura duhovniceasca au baut, pentru ca beau din piatra duhovniceasca ce ii urma. Iar piatra era Hristos (l Corinteni 10:1-4).

Un alt simbol al mantuirii in Vechiul Testament, deasemenea destinata intregii familii, este arca lui Noe. Dumnezeu I-a spus lui Noe : Intra in corabie, tu si toata casa ta (Geneza 7:1). Apostolul Petru, referindu-se la potop si la arca, scrie : "putine suflete…s-au mantuit prin apa. Iar aceasta mantuire prin apa inchipuia botezul, care va mantuieste astazi si pe voi" (1 Petru 3:20-21). Din nou, este dificil a ne inchipui ca nepotii lui Noe sa fi fost lasati in afara corabiei, numai pentru ca nu puteau intelege misiunea lui Noe.

Pentru a intelege mai bine acest concept, al "mantuirii familiei" in Vechiul Testament, iti mai dau un exemplu. Dumnezeu I-a vorbit lui Moise, poruncindu-I sa spuna poporului sau sa ia "cate un miel de familie fiecare". Sangele acelui miel urma sa salveze viata primului nascut al fiecarei familii. Acest concept al mantuirii familiei este intalnit nu numai in vremea lui Avram si Moise ci si chiar in vremea ultimei perioade a Vechiului Testament, in vremea lui David (2 Regi 7:12-16).

Precum vezi, in toate legamintele Vechiului Testament facute de Dumnezeu cu poporul sau erau inclusi si copiii: legamantul cu Noe dupa potop (Facere 9:9), legamantul cu Avraam (Facere 17:4,7), cu Moise "Va infatisati inaintea fetei Domnului… copii vostri, femeile voastre… ca sa inchei legamint cu Domnul Dumnezeul tau" Deuteronomul (29:10-12). Chiar si consecintele incalcarii legamintului cu Adam s-au facut simtite si asupra copiilor. Oare in Noul Testament, desi il depaseste pe cel Vechi in ceea ce priveste privilegiile si promisiunile, acest principiu sa nu mai functioneze ?

La cincizecime, atunci cand Petru a predicat pentru prima data Evanghelia, el nu a spus ca promisiunea este facuta numai adultilor. Dimpotriva, dupa ce a aratat doar cu un verset mai sus necesitatea botezului, el aminteste invatatura ce facea parte dintotdeauna din legamantul iudeilor: Caci voua este data fagaduinta si copiilor vostri si tuturor celor de departe, pe oricati ii va chema Domnul Dumnezeul nostru (Fapte 2:39). Aceeasi fagaduinta a fost facuta de catre Dumnezeu lui Avraam, si apoi reamintita de Pavel in epistola catre Galateni : "Iar daca voi sunteti ai lui Hristos, sunteti deci urmasii lui Avraam, mostenitori dupa fagaduinta" (Gal. 3, 29). Nimeni nu poate alege singur sa devina mostenitor, asa se naste, fie ca doreste sau nu. Ma gandesc acum la un print care va deveni mostenitorul tronului.

Gandul despartirii parintilor de copiii lor, mi se pare contrar atat sentimentului crestin cat si legilor umane. Se poate ca in vreme ce tulpina este in biserica, ramura sa fie in afara ei ? Se poate ca in timp ce parintele este in imparatia vizibila a Mantuitorului, copilul lui, trup din trupul lui sa nu aiba nici o legatura cu ea ? Cum ziceam, si in legile facute de oameni vedem ca pruncii sunt nascuti cetateni ai statului in care rezida parintii, avand aceleasi drepturi cu acestia.

Copiii erau membri recunoscuti in biserica din Vechiul Testament. Cand Dumnezeu l-a chemat pe Avram si a stabilit un legamant cu el, nu numai ca l-a inclus si pe pruncul lui, dar a stabilit si un ritual in care era pecetluita relatia copilului cu biserica. Circumcizia exprima clar, in viziunea lui Pavel, o "pecete a dreptatii in credinta" (Romani 4,11). Dumnezeu ii spune lui Avram : "Se vor binecuvanta intru tine toate neamurile pamantului" (Facere 12:3), deci nu numai descendentii lui (Facere 18:18; 22:18; 26:4). Legamantul, pecetea a fost administrata la porunca lui Dumnezeu timp de aproape doua mii de ani. Daca infinita intelepciune a considerat ca este drept ca pruncii sa fie subiectii "pecetei dreptatii in credinta" inainte de a fi capabili sa si-o exercite, eu cred ca acest lucru este potrivit si acum.

Biserica lui Dumnezeu este aceeasi in substanta acum ca si atunci.

In Galateni 4:1-6 Pavel compara poporul afla sub legamantul Vechiului Testament cu un copil mostenitor. Asa cum un om ajuns la maturitate este acelasi individ ca pe vremea cand era copil, tot astfel si biserica, dupa venirea lui Hristos, aflata deci in plenitudinea privilegiilor si a luminii, este aceeasi biserica cu cea care, cu multe secole in urma nu se bucura de atatea privilegii, dar avea in fruntea ei acelasi Conducator divin (Fapte 7:32). Tot Pavel, referindu-se la copiii lui Israel, spune ca "Si noua ni s-a binevestit ca si acelora" (Evrei 4:2); "parintii nostri au fost toti sub nor si toti au trecut prin mare. Si toti, intru Moise au fost botezati in nor si in mare. Si toti au mancat aceeasi mancare duhovniceasca; Si toti, aceeasi bautura duhovniceasca au baut, pentru ca beau din piatra duhovniceasca ce ii urma. Iar piatra era Hristos (l Corinteni 10:1-4). Avraam, ni se spune, " a fost bucuros sa vada ziua lui Hristos si a vazut-o si s-a bucurat" (Ioan 8:56). Deci biserica vechiului testament nu este doar o biserica divin constituita ci este si o biserica a evangheliei, a lui Hristos, zidita pe aceeasi temelie a aposolilor (Efeseni 2:20).

Dar pasajul ce pune sub cea mai puternica lumina identitatea bisericii, este Romani 11: 15-24, unde Biserica este comparata cu un maslin. Aceeasi comparatie este facuta si de profetul Ieremia: "Maslin verde, impodobit cu roade frumoase, te-a numit Domnul", dar din cauza pacatului "in zgomotul cumplitei tulburari a aprins foc imprejurul lui si ramurile lui s-au stricat" (Ieremia11, 16). Romani 11: 15-24 "Caci daca parga este sfanta, asa e si framantatura, si daca radacina este sfanta, atunci si ramurile sunt. Dar daca unele din ramuri au fost taiate si daca tu, maslin salbatic, ai fost altoit in locul lor si-ai devenit partas al radacinii si al grasimii maslinului, nu te mandri fata de ramuri; iar daca te mandresti, nu tu porti radacina ci radacina pe tine… Dar vei zice: Au fost taiate ramurile ca sa fiu altoit eu… Bine ! Ele au fost taiate din pricina necredintei, dar tu stai prin credinta. Nu te ingamfa, ci teme-te; ca daca Dumnezeu n-a crutat ramurile firesti, nici pe tine nu te va cruta. Vezi dar bunatatea si asprime lu Dumnezeu: asprimea fata de cei ce-au cazut, dar fata de tine bunatatea lui Dumnezeu, daca vei ramane in aceasta bunatate; altfel si tu vei fi taiat. Dar si aceia, de nu vor ramane in necredinta vor fi altoiti, ca putere are Dumnezeu sa-I altoiasca din nou. Caci daca tu ai fost taiat din maslinul cel din fire salbatic si’mpotriva firii ai fost altoit in maslin bun, cu cat mai mult acestia, cei ce sunt dupa fire, vor fi altoiti in chiar maslinul lor.

Inlaturarea ramurilor naturale (evreii) din cauza necredintei nu duce la distrugerea maslinului. A ramas trunchiul, radacina. Neamurile – ramurile unui maslin salbatic – au fost altoite in maslinul bun, acelasi maslin din care s-au taiat ramurile naturale. Evreii vor fi altoiti in insusi maslinul lor cand vor reveni in biserica crestina. Daca cele doua biserici ar fi fost distincte, ar fi fost o exprimare gresita referitoare la evreii ce "vor fi altoiti in chiar maslinul lor".

Daca pruncii erau membri si daca biserica ramane aceeasi, ei raman inca membrii bisericii, garantia primirii pruncilor fiind data cu 2000 de ani inaintea scrierii Noului Testament, ea nefiind revocata niciodata.

Introducerea pruncilor in sanul bisericii prin porunca divina este de netagaduit. Unicitatea bisericii, in ambele perioade, este de netagaduit. Permanenta legamantului lui Avraam, care atinge "toate neamurile pamantului", deasemenea este de netagaduit. Si nu gasim in Noul Testament sau in scrierile bisericii primare nici un indiciu potrivit caruia acest mare privilegiu sa fi fost retras, deci indiscutabil ramane in vigoare O noua reinstituire a acestui privilegiu nici nu ar fi fost necesara, mai ales pentru ca se intelesese deja ca in Noul testament, privilegiile nu se micsorau ci se extindeau. Nu se poate imagina ca privilegiile si semnul apartenentei copiilor cu care erau asa de obisnuiti primii crestini sa fie brusc retrase, fara a rani inimile parintilor. Totusi, nu se semnaleaza in istoria erei apostolice nici o disputa pe aceasta tema.

Diferentele intre circumcizie si botez sunt in aceleasi puncte in care si Vechiul Testament difera de Noul Testament. Botezul nu mai are limitarea de a se administra numai partii barbatesti si numai in a opta zi, aceste ridicari ale constrangerilor reamintindu-ne de noile privilegii ale Noului Testament, sub care "nu mai este nici iudeu, nici elin, nu mai este nici rob, nici liber, nu mai este parte barbateasca si parte femeiasca, pentru ca voi toti una sunteti in Hristos Iisus" (Galateni 3:28).

Profetul Isaia, desi nu este un scriitor al Noului Testament, vorbeste mult despre timpurile Noului Testament. Vorbind despre zilele de pe urma, profetul declara : "Nu va fi nici o nenorocire si nici un prapad in muntele meu cel sfant… Eu voi face ceruri noi si pamant nou… Varsta poporului Meu va fi ca varsta copacilor… ei vor fi un neam binecuvatat si impreuna cu ei si odraslele lor" (Isaia 65:25; 11:9; 65:17; 22-23). Putem face legatura intre spusele proorocului Ieremia si cele ale lui Hristos pe care le gasim la Matei 19:13-15 :"Lasati copiii si nu-i opriti sa vina la Mine, ca a unora ca acestora este imparatia cerurilor." In original, este aceeasi exprimare folosita de Hristos in predica de pe munte; Matei 5:3,10 "Fericiti cei saraci cu duhul, ca a lor este imparatia cerurilor". Daca imparatia gloriei le apartine, cu atat mai mult au dreptul la privilegiile bisericii pe pamant.

Tot Dumnezeu spune ca sub Noul Testament, va scrie legea Lui pe inimile poporului sau: "Voi pune legea Mea inauntrul lor si pe inimile lor voi scrie si le voi fi Dumnezeu, iar ei Imi vor fi popor… toti de la sine Ma vor cunoaste, de la mic pana la mare "(Ieremia 31:34). De aici eu inteleg ca credinta noastra reprezinta mai mult decat cunoasterea unei anumite doctrine, ci mai mult o incredere neconditionata, ca cea a unui copil, in Dumnezeu. Mai inteleg ca pruncii participa in credinta, chiar daca nu o pot articula, deoarece credinta noastra este lucrarea lui Dumnezeu in noi si nu depinde de capacitatea noastra de a o explica.

1 Corinteni 7:14 "Caci barbatul necredincios se sfinteste prin femeia credincioasa si femeia necredinciosa se sfinteste prin barbatul credincios. Altminteri, copiii vostri ar fi necurati, dar acum ei sunt sfinti".

Termenii sfant si necurat au si un sens eclezial in biblie. In Vechiul Testament, numai poporul lui Dumnezeu era "popor sfant si deosebit de toate popoarele fiind al Domnului" (Lev. 20:26) pentru ca era poporul cu care incheiase legamant.

Printre Corinteni erau multe cazuri de crestini uniti prin casatorie cu pagani. Pavel spune ca atunci cand necredinciosul vrea sa locuiasca cu femeia credincioasa, ei trebuie sa continue sa locuiasca impreuna, legatura lor fiind sfintita prin caracterul persoanei credincioase, copiii lor fiind "sfinti", adica, membrii ai bisericii din care face parte persoana credincioasa. Deci partea necredincioasa este sfintita de persoana credincioasa in sensul in care copiii sunt recunoscuti ca apartinand familiei sfinte din care face parte persoana credincioasa.

Faptul ca atunci cand ambii parinti sunt credinciosi copiii lor au dreptul sa apartina bisericii se subintelegea. Daca s-ar fi stiut ca nici un copil – din parinti credinciosi sau nu – nu poate apartine bisericii, atunci nu ar fi existat nici un dubiu. Caci daca credinta amandoura nu ar fi insemnat nimic, credinta unuia nici atat. Intrebarea pe care Pavel ar fi primit-o ar fi putut fi urmatoarea : "Vad copiii vecinilor mei crestini fiind membri ai bisericii si mai vad copiii cerlorlalti, care sunt necredinciosi, ca nu apartin bisericii. Eu cred in Hristos, dar barbatul meu nu. Ce se va intampla cu copiii nostri ? Vor fi admisi cu mine sau vor ramane ca barbatul meu ?" Dumnezeu ii considera de partea celui credincios. Necredinta partenerului nu poate interveni in legamantul lui Dumnezeu.

Argumentul conform caruia daca nu exista nici un exemplu de botez al pruncilor in Biblie, acest lucru nu este posibil ar trebui sa functioneze si in cazul femeilor care nu ar avea voie sa se impartaseasca, sa primeasca Cina Domnului. Totusi, acest lucru nu se intampla nici in bisericile neo-protestante.

Toate cazurile de botezuri intalnite sunt administrate convertitilor de la iudaism sau paganism la crestinism. Nu exista cazuri de persoane nascute din parinti crestini care sa fie botezati, odata ajunsi la maturitate. Nu se intra in detalii din sanul bisericii decat pentru a arata rezolvarea unor disensiuni. Botezul pruncilor neiscand nici un conflict, fiind un eveniment de zi cu zi in biserica, nu avea rost a fi subliniat.

Conform acestor principii neo-protestante, copiii crestinilor sunt complet "inafara" (Efeseni 2:12), ca si copiii paganilor si mahomedanilor, pana cand prin credinta si pocainta devin subiecti ai legamantului. Convertirea si botezul lor ar fi trebuit insemnate, detaliate, ca si botezul celor "instrainati de cetatenia lui Israel". Totusi, pe parcursul a 60 de ani cuprinsi in Noul Testament, nu exista vreun botez al unui adult nascut din parinti crestini.

Folosul botezului copiilor, ca si folosul circumciziei iudeilor "este mare, in toate privintele" (Rom 3:2). Copilul devine purtator de har si este protejat de puterea raului, inainte de a da vreun semn de inteligenta sau de capacitate de intelegere. Nu exista nici un parinte care sa astepte trezirea, credintei, a cugetului, pentru a-si imbraca, hrani, imbaia copilul. Dorinta pentru sanul mamei si nevoia de caldura sunt naturale in copil.

Odata cu botezul, copilul incepe sa locuiasca in Hristos si vointa lui este intarita pentru a depasi efectele pacatului mostenit. Umanitatea cazuta, corupta, este unita cu umanitatea inviata a lui Hristos.

Hristos a luat asupra lui pacatele tuturor, s-a dat jertfa pentru toti. Daca viata incepe la nastere, oare Hristos nu are mila de a-si oferi leacul nemuririi si copiilor care au nevoie de el ?

Romani 5:12 "De aceea, precum printr-un om a intrat pacatul in lume si prin pacat moartea, asa si moartea a trecut la toti oamenii, pentru ca toti au pacatuit in el." De aceea, "nu este drept nici unul, nici macar unul nu este".

Tit 3:5 "El ne-a mantuit, nu din faptele cele intru dreptate savarsite de noi, ci dupa a Lui indurare, prin baia nasterii celei de-a doua si prin innoirea Duhului Sfant".

Credinta nu trebuie considerata un act al mintii si al vointei. Este o relatie de dragoste si incredere, o relatie care nu este limitata de ratiune. (Psalm 21:9-10, Marcu 9:42, Luca 1:44).

Am cateva intrebari la care sunt curios sa aflu raspunsul tau.

  1. Daca botezul copiilor este o inventie ulterioara, cand a fost mentionat prima data si cine a fost initiatorul ?
  2. De ce nu exista proteste impotriva validitatii din partea nimanui in timpul bisericii primare ?
  3. Unde se spune in Biblie exact ca este interzis botezul copiilor ?
  4. Unde este abolit legamantul lui Dumnezeu cu evreii, care care ii includea si pe copii ?
  5. Unde prescrie Scriptura o varsta anume pentru botez ?
  6. Chiar daca ar exista o varsta cand credinta ajunge la maturitate, cum se poate discerne ea ? Care credinta nu se maturizeaza mereu ? Cand este destul de matura pentru botez ?
  7. Unde in scriptura scrie ca pruncii sunt scutiti de efectele caderii pentru ca nu sunt destul de maturi sa creada ? (chiar si creatia este sub blestemul caderii omenirii Romani 8:19-21)
  8. Cum ramane cu multele intelesuri biblice ale botezului, altele decat "urmare a pocaintei", cum ar fi: taina regenerarii (Tit 3:5), altoirea in trupul lui Hristos (1 Cor. 12:13), trecerea din domnia Satanei sub autoritatea lui Hristos (Romani 6:17), expresia manifestarii dumnezeirii (Luca 3:21, 22), primirea in legamantul lui Dumnezeu (Coloseni 2:11), actul de adoptiune al Domnului si imbracarea cu Hristos (Gal 3:26, 27). De ce aceste lucruri sa fie luate, interzise copiilor unei familii crestine ?
  9. Daca ar fi existat norma de a boteza copiii la o varsta mai mare, de ce nu exista mentionate in biblie sau in scrierile bisericii instructiuni date parintilor pentru a sti cum sa-si ajute tinerii adolescenti sa se pregateasca pentru botez ?

Botezul copiilor este o expresie a dragostei lui Dumnezeu. Ne arata ca ne iubeste si ne accepta inainte ca noi sa Il cunoastem si sa-L iubim, inca din momentul nasterii. A spune ca o persoana trebuie sa ajunga la varsta responsabilitatii inainte de a fi botezat inseamna a face harul lui Dumnezeu oarecum dependent de inteligenta omului. Dar harul Dumnezeiesc nu este dependent de o actiune a noastra, este un dar al dragostei Lui.

Ceea ce ma nedumereste cel mai mult este conceptul varstei responsabilitatii, sub care nimeni nu se poate boteza. Oare la ce varsta un copil, fara vina personala in fata lui Dumnezeu , se transforma peste noapte dintr-un miel inocent intr-un pacatos pe care iadul il asteapta daca nu se pocaieste si se boteaza ? Sa fie la 8, 12, 14 sau 20 de ani ? Cand Dumnezeu va considera unele actiuni care ieri ar fi fost trecute cu vederea, puse pe seama imaturitatii, ca fiind pasibile de pedeapsa cea mai grea.

Practica botezului numai la adulti a aparut in secolul XVI, odata cu aparitia anabaptistilor. Vrand ca adeptii lor sa demonstreze public renuntarea la orice mostenire catolica, anabaptistii vroiau ca acesti adepti sa-si demonstreze supunerea la vointa Domnului printr-un botez public. Initial ei nu admiteau pe nimeni sub 20 de ani. Aceasta varsta a fost coborata mai apoi la 16 ani, iar si mai tarziu a scazut si mai mult, ajungandu-se ca astazi sa nu fie o regula stricta pentru toate bisericile descendente ale doctrinei anabaptiste. Astfel, se pot intalni copii de cinci, sase ani al caror botez sa fie permis in unele biserici iar in altele nu.

Ce se intampla cu copiii care mor inainte de a ajunge la varsta responsabilitatii, la varsta la care credinta lor ar putea creste ? Vor ajunge in iad?

  • Daca crezi in realitatea mostenirii pacatului stramosesc, nu poti trage alta concluzie. "Ce este nascut din trup, trup este, si ce este nascut din Duh, Duh este" (Ioan 3:6), "Carnea si sangele nu pot sa mosteneasca imparatia lui Dumnezeu" (I Corinteni 15:50), "Nimeni nu e curat de intinaciune, chiar daca viata lui ar fi o singura zi" (Iov 14,4) si "intru faradelegi m-am zamislit si intru pacate m-a nascut maica mea" (Psalm 50,6).
  • Daca raspunsul tau este: nu, Dumnezeu este prea milostiv ca sa lase sa se intample asa ceva unui prunc nevinovat inseamna ca exista o justificare a botezului copiilor, din moment ce admiti existenta unor factori, altii decat propria lor vointa, care pot interveni in procesul mantuirii.

In Ioan 3:5, Hristos ne spune : "Adevar, adevar iti spun, de nu se va naste cineva din apa si din Duh, nu va putea sa intre in imparatia lui Dumnezeu." Conform spuselor lui Hristos, pentru a intra in imparatia lui Dumnezeu, fiecare persoana trebuie sa se nasca din apa si din Duh. Vedem ca Hristos nu aminteste de nici o exceptie in ceea ce ii priveste pe prunci. El nu spune: "Pentru a intra in imparatia lui Dumnezeu adultii trebuie sa se nasca din apa si din Duh, dar copiii pot intra si fara nastere din apa si din Duh". Aceasta porunca este universala, iar daca cineva vrea sa fie sigur ca pruncii sai vor ajunge in imparatia lui Dumnezeu in caz de moarte, trebuie sa stie ca nasterea din apa si Duh este absolut necesara.

Stiu ca unii neoprotestanti nu considera ca Ioan 3:5 se refera la botez, desi nu pot da o interpretare clara a versetului. Nu vreau sa intru acum in amanunte in ceea ce priveste semnificatia botezului, dar bucuros o voi face daca si tu vrei intr-o scrisoare viitoare. Tot ce vreau sa spun este ca nici o interpretare a versetului nu poate scoate din cauza necesitatea botezului copiilor. Daca vei admite ca aici este vorba de botez, atunci cu siguranta si copiii trebuie sa se boteze pentru a ajunge in rai in caz de deces. Daca nu admiti ca aici este vorba de botez, atunci sustii ca numai adultii, cei care ajung la varsta responsabilitatii se pot naste din nou. Din moment ce Hristos a spus ca trebuie sa fii nascut din nou pentru a ajunge in imparatie inseamna ca propria teologie condamna pe cei decedati inainte de varsta responsabilitatii la iad. Totusi, imi vei spune ca acesti prunci pot ajunge in rai.

Reiau pasajul din Matei 18:2-5 " Si El, chemand la Sine un copil, l-a pus in mijlocul lor si le-a zis : Adevar va spun: De nu va veti reveni si nu veti fi precum copiii, nu veti intra in imparatia cerurilor. Dar cel ce se va smeri pe sine ca acest copil, acela este mai mare intru imparatia cerurilor. Si cel ce va primi un copil ca acesta intru numele Meu, pe Mine Ma primeste." Ar fi ciudat sa spunem ca trebuie sa venim la El ca si copiii, iar apoi sa-i excludem chiar pe copiii care ni s-au dat drept model de la a intra in comuniune cu el prin botez. Pasajul are aluzii directe la botez, Hristos spunand "in numele meu". In Fapte 2:38 ni se vorbeste despre botezul "in numele lui Iisus Hristos" adica sub autoritatea lui Hristos. Sunt patru astfel de pasaje (Fapte 2:38, 8:16, 10:48 si 19:5). Intr-adevar, botezul se face "in numele Tatalui, a Fiului si a Sfantului Duh" (Matei 28:19). Comparand versetele, tragem concluzia ca Hristos se gandea la botez cand a spus cuvintele din Matei 18.

Principala dificultate a unora dintre protestanti in a accepta botezul pruncilor o constituie notiunea ca nimeni nu poate primi har fara sa ceara. Totusi, acest lucru este bine stabilit in Noul Testament. Il vedem pe Hristos in Matei 19:15 punandu-si mainile peste copiii adusi de parinti. Oare nu s-a transmis har din mainile Lui, chiar daca pruncii nu au cerut acest lucru ? Cand sutasul Corneliu L-a rugat pe Hristos sa-i vindece sluga, Hristos nu i-a spus "imi pare rau, dar nu pot face asta decat daca sluga ta mi-o va cere", ci l-a vindecat pe baza credintei sutasului. Fiica femeii cananeence din Matei 15:21-28 a fost tamaduita datorita credintei mamei sale.

Matei 9:2-6 "Si iata, I-au adus un slabanog zacand pe pat. Si Iisus, vazand credinta lor, i-a zis slabanogului : Indrazneste fiule, iertate fie pacatele tale… Ridica-te, ia-ti patul si mergi la casa ta!" Credinta prietenilor slabanogului a facut posibila atat vindecarea fizica cat si iertarea de pacate.

In Marcu 5:22, 23 tatal unei fetitze aflate pe moarte vorbeste in numele ei, zicand "Fiica mea este pe moarte; vino si pune-Ti mainile pe ea, ca sa scape si sa traiasca." Nu cred ca a spus cineva la acel moment ca fata ar fi trebuit sa creada pentru ea, nimeni neputand sa creada in locul ei. Hristos o inviaza datorita credintei tatalui ei.

Atunci cand ucenicii ii opresc pe cei care isi aduceau pruncii la Iisus (Matei 19:14, Luca 18:15-16), Hristos le spune: "Lasati copii sa vina la Mine si nu-I opriti, ca a unora ca acestia este imparatia lui Dumnezeu". Cuvantul folosit in limba greaca este brephe = prunci, care nu se pot apropia de Hristos de unii singuri, si care nu pot lua o decizie constienta de a-l "accepta pe Iisus ca Domn si Mantuitor personal" (citatul l-am pus intre ghilimele, desi nu este din Biblie). Dar Hristos nici nu le cere sa faca o asemenea alegere, spunand ca ei sunt exact genul de oameni care pot veni la El sa mosteneasca imparatia. Daca Hristos spune, "lasati-i sa vina la Mine", putem sa nu-i lasam sa se imbrace in El (Gal 3, 27) prin botezul in Hristos (Romani 6:3)?

Sunt exemple in Noul Testament de intregi familii botezate.

"…am botezat si casa lui Stefanas" (1Cor 1,16); "Iar dupa ce s-a botezat, si ea si casa ei…" (Fapte 16:15), "…s-a botezat indata, el si toti ai lui" (Fapte 16:33) Este greu de imaginat ca acele familii nu contineau copii, intr-o cultura unde familiile erau numeroase, neexistand metode contraceptive sofisticate, in care copiii erau considerati o binecuvantare de la Dumnezeu.

Apoi, daca crestinii din veacul apostolic in dorinta de a usura sufletele celor care au murit nebotezati in vremea pregatirii pentru botez, incepusera a se boteza ei, iarasi, pentru cei morti nebotezati (I Cor 15,29), cum si-ar fi lasat ei copiii sa moara nebotezati ?

Ai observat ca pana acum am analizat doar texte biblice desi, pentru mine, ca ortodox, Biblia nu este singurul ghid. Am vrut doar sa-ti arat ca practica botezului pruncilor reiese si doar din Biblie. Dar si invataturile bisericii sunt clare si unanime in privinta botezului aplicat pruncilor. Toti episcopii, toti sfintii bisericii spun ca si pruncii trebuie botezati. Primii care au refuzat aceasta practica au fost anabaptistii, in secolul 16. Majoritatea protestantilor, de-alungul istoriei, incluzand luterani, anglicani, metodisti, reformati, prezbiteriani, au botezat si ei prunci. Luther si Calvin (folosindu-se de acelasi principiu "Sola Scriptura") au propovaduit botezul pruncilor.

Dupa cum spuneam, toti parintii bisericii au afirmat aceasta practica, incepand cu Policarp, episcopul Smirnei, discipol al apostolului Ioan, nascut in jurul anilor 70, care a fost ars de viu la Roma pentru ca a refuzat sa-l nege pe Hristos, continuand cu Iustin Martirul (110 – 165), Irineu (120 – 202), episcopul Lyonului, Hipolit (170-236), Origen (185-254). Sfantul martir Ciprian, episcopul Cartaginei, a condus sinodul din Cartagina in anul 251 in care s-a redactat un raspuns catre Fidus, care propusese ca botezul sa fie administrat ca si circumcizia odinioara, adica in a opta zi de la nastere. In raspuns se spune ca mila si harul lui Dumnezeu nu trebuie refuzat nici unui om, indiferent de varsta. Este de notat ca Fidus nu se indoia de legitimitatea botezului pruncilor, el doar credea ca botezul trebuie administrat exact ca si circumcizia, in a opta zi.

Lista ar putea continua cu Grigorie de Nazianz, cu Ioan Gura de Aur, toti aratand in scrierile lor insemnatatea botezului pruncilor.

Pentru a-ti arata cat de importante sunt aceste scrieri, vreau sa-ti aduc aici un citat din epistola lui Pavel catre tesaloniceni "…fratilor, stati neclintiti si tineti predaniile pe care le-ati invatat fie prin cuvant, fie prin epistola noastra" (2 Tes 2:15). Evanghelia consta din traditii orale si scrieri (traditie = paradosis -> a transmite).

Biblia condamna doar traditiile omenesti care contrazic cuvantul lui Dumnezeu, (Matei 15:3-9, Marcu 7, Coloseni 2:8-9) ca de exemplu obiceiul de a da zeciuiala din banii destinati parintilor. Biserica se bazeaza pe traditia apostolica, nu omeneasca. Pavel ii lauda pe cei care tin predaniile (1 Cor 11:2) si ii sfatuieste pe crestini sa se fereasca de cei care nu umbla dupa predanie (2 Tes. 3:6).

Matei 23:2-3 scaunul lui Moise – nu este mentionat nicaieri in vechiul Testament. Hristos, care condamna traditia umana in capitolul 15, valideaza traditia autentica in capitolul 23.

Fapte 2:42 : dupa predica lui Petru, cei botezati staruiau in invatatura apostolilor si in partasie, in frangerea painii si in rugaciuni. Conform teoriei sola scriptura, biserica vizibila nu are autoritate in doctrina. Totusi se vede ca doctrina deja exista prin biserica asezata de Hristos, desi nu exista nici un rand scris din Noul Testament. Conform sola scriptura, acesti crestini nu ar fi putut avea nici o doctrina in care sa staruie.

Cum s-a rezolvat disputa privind circumcizia din Fapte 15? Crestinii din Iudeea vroiau sa forteze pe cei ce se crestinau sa fie circumcisi. Cine a luat decizia finala si cum a fost luata? Daca s-ar fi aplicat sola scriptura, adevarul ar fi trebuit sa fie dovedit cu versete din Vechiul Testament, apostolii ar fi trebuit sa scrie raspunsul si dupa ce se stabilea ca este o scriere a Noului Testament, atunci s-ar fi lamurit problema. Totusi, dupa ce Petru le-a zis ce s-a hotarat de catre apostoli si preoti, in Fapte 15:12 toata multimea a tacut. Aceasta decizie nu s-a scris decat dupa 25 de ani, insa biserica nu a asteptat ca Luca sa scrie pentru a aplica decizia.

2 Petru 1:20 "Nici o proorocire a Scripturii nu se talcuieste dupa socotinta fiecaruia." Petru condamna interpretarea personala, principiul ce sta la baza teoriei sola scriptura.

2 Petru 3:16 Petru spune despre scrierile lui Pavel ca ar contine "lucruri anevoie de inteles pe care cei nestiutori si neintariti le rastalmacesc ca si pe celelalte Scripturi, spre a lor pierzare". Interpretarea personala poate duce la erezii.

Daca fiecare punct teologic trebuie dovedit din Scriptura, atunci si sola scriptura trebuie dovedita din Scriptura. Asta este cea mai mare problema a teoriei sola scriptura, nu poate fi dovedita din biblie, deci se autocontrazice. Imi aduce aminte de o propozitie ca "Nici o generalizare nu este adevarata" care deasemenea se auto desfiinteaza. Vei gasi in Biblie versete care sa spuna ca Scriptura este de folos, ca este inspirata, dar nicaieri ca este suficienta ca ar contine tot adevarul inspirat necesar, sau ca numai ea ar fi de folos.

Matei 18:17-18 drept aceea, mergand, invatati toate neamurile, botezandu-le…invatindu-le sa pazeasca toate cate v-am poruncit voua, si iata, eu cu voi sunt in toate zilele, pana la sfarsitul veacului. Ce s-a intamplat cu apostolii carora li s-a poruncit sa propovaduiasca ? Numai Ioan, Matei si Petru au scris ceva in Noul Testament. Oare ceilalti nu si-au indeplinit misiunea ?

Fapte 13:5 Pavel si Barnaba au vestit cuvantul in Salamina iudeilor. Dar nu se scrie nicaieri ce continea predica lor.

Fapte 20:27, 31-32 Pavel spune ca I-a invatat pe Efeseni 3 ani noapte si zi. Oare cele sase scurte capitole din epistola catre Efeseni epuizeaza toata invatatura data de Pavel?

2 Timotei 2:2 "si cele ce ai auzit de la mine cu multi martori de fata, acestea le incredinteaza la oamenii credinciosi, care vor fi destoinici sa invete si pe altii. Pavel nu spune : scrie ce-ti spun si distribuie copiile la toata lumea ca sa citeasca si sa interpreteze singuri. Timotei, care a fost hirotonisit de Pavel (1 Timotei 4:14; 2 Timotei 1:6) va propovadui ceea ce Pavel I-a spus oral, credinta venind din ceea ce se aude (Romani 10:17). Nu exista nici un verset care as apuna ca cuvantul scris este singurul cuvant al lui Dumnezeu.

Daca autorii Noului Testament credeau in sola scriptura, de ce apelau la traditia orala, considerand-o drept cuvantul lui Dumnezeu ? (Matei 2:23; 23:2; 1 Cor 10:4; 1 Petru 3:19; Iuda 9, 14 15)?

Cand Iisus s-a ridicat la cer, ce a lasat in urma, o carte sau o biserica ? Biserica s-a raspandit cu decenii inainte ca Noul Testament sa fie scris si adunat. Prima carte s-a scris la mai mult de 20 de ani dupa rastignire, iar ultima la mai mult de 60 de ani. Canonul Scripturii a fost stabilit de sinoadele de la Cartagina (393) si Hippo (397). Cum au rezistat crestinii, toti acesti ani fara o lista a cartilor Noului testament, daca Iisus a vrut ca toti crestinii sa urmeze numai Biblia ? Biblia provine din Biserica, nu Biserica din Biblie. Exista deja stalpul si temelia adevarului (1Timotei 3:15), biserica cea care rezista de atunci. Daca cineva nu asculta de biserica, trebuie sa-ti fie pagan si vames (Matei 18:17-18). Aici cred ca este singurul loc unde "ecclesia" este tradus prin neutrul "adunare" in traducerea Cornilescu. Sa-ti mai dau un exemplu de traducere dupa parerea mea eronata: Psalm 97,7 : "Sint rusinati toti cei ce slujesc icoanelor si care se falesc cu idolii" care in traducerea ortodoxa este "Sa se rusineze toti cei se inchina chipurilor cioplite si se lauda cu idolii lor", fireste cuvantul icoana nu avea ce cauta aici.

Hristos a dat autoritate bisericii vazute sa lege pe pamant si in cer.

De ce acceptam in Scriptura carti care nu au ca autori pe vreunul din cei 12 apostoli?

De unde stim cine a scris cartile carora le spunem Matei, Marcu, Luca, Ioan, Fapte…

Unde in Biblie gasim o lista inspirata si infailibila a cartilor ce trebuie sa fie continute in Biblie?

De unde stim, numai din Biblie, ca fiecare carte a Noului Testament este inspirata, chiar daca numai Apocalipsa isi atesta propria canonicitate ? Totusi, chiar Apocalipsa si Epistola catre Evrei nu au fost de toti recunoscute, pana la cele doua cele doua sinoade din secolul patru. Intr-adevar, chiar daca scriptura ar spune care sunt autentice am putea crede bazandu-ne numai pe acest lucru? Si cartea lui Mormon sustine ca este inspirata.

Majoritatea cartilor Noului Testament au fost scrise pentru a aborda probleme specifice bisericii primare, niciuna dintre ele nefiind o prezentare sistematica a teologiei, a dogmei crestine. Pe ce suport biblic se bazeaza protestantii cand spun ca toate invataturile apostolilor sunt cuprinse in scrierile Noului Testament?

Daca sinoadele din Cartagina si Hippo erau infailibile, atunci de ce nu sunt recunoscute toate doctrinele sustinute de membrii celor doua sinoade cum ar fi succesiunea apostolica, botezul pruncilor, etc. Tot in 397 a fost stabilit si canonul Vechiului Testament, care continea cele sapte carti care si acum sunt incluse in traducerea ortodoxa, spre deosebire de traducerea Cornilescu. Cele sapte carti sunt citate atat de episcopii cei mai importanti ai primelor secole, cat si chiar de Pavel (Evrei 11:35 – niciunde in Vechiul Testament, traducerea protestanta, nu vei gasi un exemplu de persoane torturate, care refuza eliberarea pentru a dobandi una mai buna, invierea. Va trebui sa cauti printre cartile Vechiului Testament inlaturate de Luther, si anume in 2 Macabei 7:1, 5-9 "Intamplatu-s-a si cu sapte frati, pe care, impreuna cu maica lor prinzandu-i, i-a silit regele, cu biciul si cu vine batandu-i, sa manance carnuri de porc, care nu le era slobod a manca…Dar fratii impreuna cu mama lor se indemnau a muri vitejeste zicand asa : Domnul Dumnezeu vede si cu adevarat mangaiere are dintre noi… Si dupa ce primul frate s-a savarsit, a adus pe al doilea sa-l batjocoreasca…insa si acesta, ca si cel dintai, pe rand toate chinurile le-a suferit si, cand era sa moara, a zis: tu, dar, nelegiuitule, ne scoti pe noi dintr-aceasta viata, insa Imparatul lumii pe noi cei care murim pentru legile Lui, iarasi ne va invia cu inviere de viata vesnica").

Daca Hristos a intentionat ca crestinismul sa fie religia unei carti, cum de a asteptat pana in anul 1450 pana cand sa arate cuiva cum sa construiasca o masina de tiparit ? In plus, cei care stiau sa citeasca in timpul imperiului Roman nu depaseau zece procente din totalul populatiei.

Traditia si Sfanta Scriptura se conditioneaza reciproc si se completeaza una pe alta; caci Scriptura s-a nascut din traditia orala, care a existat de la inceput. Daca traditia se regaseste pana la Iisus si pana la apostoli atunci ea are autoritate. Daca nu poate fi urmarita in trecut, pana la apostoli, este facuta de oameni. Daca adevarul lui Dumnezeu nu se poate schimba, atunci teologia noastra poate fi gasita in secolele I, III, VII, XV, XX. Daca nu, atunci nu poate fi apostolica (Matei 16:18-19, 28:20; Ioan 16:13). Sola scriptura o gasim numai din secolul XVI.

Vreau sa-ti spun ca, avand ocazia sa stau mai mult timp pe internet, am vorbit cu cativa ortodocsi, majoritatea din SUA, care proveneau din biserici neoprotestante. Unul dintre ei, facea parte din grupul de doua mii de neoprotestanti care in anul 1987 au trecut in jurisdictia arhiepiscopala a Bisericii Ortodoxe de Antiohia. Auzisem despre ei, dar nu stiam amanunte. L-am intrebat ce l-a facut sa se converteasca la Biserica Ortodoxa. Mi-a spus ca in anul 1986 se publicase in Christian Sourcebook o situatie statistica, conform careia existau 21 000 denominatiuni, cu 270 de noi denominatiuni care se formau in fiecare an, deci probabil ca acum numarul lor a ajuns la 25000. Fiecare denominatiune este sigura ca este singurul grup care intelege revelatia lui Dumnezeu si ca nimeni altcineva in ultimii 2000 de ani nu a mai gasit deplina invatatura a lui Hristos. Majoritatea rupturilor s-au format ca rezultat al interpretarilor personale ale Noului Testament. Un asemenea haos nu poate fi vointa lui Dumnezeu, pentru ca Dumnezeu nu este autorul neorinduieli, ci al pacii (1 Cor. 14:33). Mi-a dat un citat din rugaciunea lui Hristos dupa despartirea de apostoli (Ioan 17:21) "Ma rog si pentru cei ce prin cuvantul lor vor crede in Mine, pentru ca toti sa fie una; asa cum Tu, Parinte, esti intru Mine si Eu intru Tine, tot astfel si ei sa fie una intru Noi, ca lumea sa creada ca Tu M-ai trimis." Intre crestini trebuie sa existe o unitate conforma cu unitatea Sfintei Treimi. Iti imaginezi ca ar putea exista disensiuni intre persoanele Sfintei Treimi ?

Si din alte versete reiese aceasta idee:

Filipeni 2:2 Faceti-mi bucuria deplina ca sa ganditi la fel, avand aceeasi iubire, aceleasi simtiri, aceeasi cugetare.

1 Corinteni 1:10 Va indemn, fratilor, pentru numele Domnului nostru Iisus Hristos ca toti sa vorbiti la fel si sa nu fie dezbinari intre voi, ci sa fiti cu totul uniti in acelasi cuget si in aceeasi intelegere.

Mi-a spus ca a inceput sa citeasca scrierile episcopilor primelor biserici crestine, hotararile primelor sinoade si a constatat ca a gasit concepte care erau categoric respinse de biserica din care facea parte si a inceput sa ia mai in serios versetul 1 Timotei 3:15.

Am spus ca nu voi intra in amanunte privind semnificatia botezului, si intr-adevar, nu vreau sa-ti citez, sa fac o exegeza a unor versete ca (1 Petru 3:18-21, Fapte 22: 12-16; Fapte 2:38-39,41; Romani 6:3-4, Galateni 3:27; 1 Cor 12:13; Evrei 10:22; Tit 3:5; Marcu 16:16, 1 Cor 6:11etc.) pe care sunt convins ca le-ai citit si tu. Vreau insa sa-ti aduc aici cateva profetii ale Vechiului Testament privitoare la botez. Primul citat este din Iezechiel 36:24-27 care sintetizeaza cred intreaga invatatura ortodoxa despre botez :

"De aceea va voi scoate dintre neamuri si din toate tarile va voi aduna si va voi aduce in pamantul vostru. Si va voi stropi cu apa curata si va veti curati de toate intinaciunile voastre si de toti idolii vostri va voi curati. Va voi da inima noua si duh nou va voi da; voi lua din trupul vostru inima cea de piatra si va voi da inima de carne. Pune-voi inauntrul vostru Duhul Meu si voi face ca sa umblati dupa legile Mele si sa paziti si sa urmati randuielile Mele."

Ideea "spalarii" pacatelor o gasim si la Isaia, in 4:4. Mai departe, in Zaharia 13:1, Domnul spune: "In vremea aceea va fi un izvor cu apa curgatoare pentru casa lui David si pentru locuitorii Ierusalimului, pentru curatirea de pacat si de orice alta intinare." Profetul ne arata cu siguranta promisiunea botezului, asa cum face si regele David in Psalmi 50:3: "Mai vartos ma spala de faradelegea mea si de pacatul meu ma curateste". In final Isaia leaga apa de mantuire Isaia 12: 2-3: "Iata Dumnezeul cel tare al mantuirii mele; nadajdui-voi intru El si nu ma voi infricosa, ca izvorul puterii mele si cantarea mea de lauda este Domnul Dumnezeu si izbavirea mea. Veti scoate apa cu veselie din izvoarele mantuirii".

 
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Ecco una notizia che i media italiani NON hanno dato nel 2012

Abbiamo tradotto dal blog del giornalista Andrej Zolotov di RIA-Novosti un resoconto del raduno di preghiera tenuto a Mosca il 22 aprile 2012, e richiesto dal Patriarca Kirill come gesto di riparazione per la “preghiera punk” eseguita dal gruppo Pussy Riot nella Cattedrale di Cristo Salvatore poco prima dell’inizio della grande Quaresima. La performance delle Pussy Riot (di cui la stampa italiana ci ha fornito notizie ad nauseam) ha coinvolto direttamente qualche decina di persone; la preghiera di cui leggerete ne ha coinvolte diverse decine di migliaia. Valeva la pena di mettere a disposizione del pubblico italiano almeno un decente articolo su questo evento? Scopritelo leggendo la nostra traduzione dell’articolo, corredata da una serie di foto, nella sezione “Pastorale” dei documenti.

 
La Chiesa ortodossa, la libertà religiosa e la politica americana

Nella foto: Il Dr. Nikolas K. Gvosdev

Di tutte le confessioni cristiane, la Chiesa Ortodossa dell'Est è quella che ha maggiormente subìto le conseguenze delle persecuzioni del Ventesimo secolo. Nei primi due decenni, vi furono atroci massacri di ortodossi greci, slavi, e armeni nell'Impero Ottomano, che culminarono nel genocidio degli armeni in Anatolia nel 1915, e nella quasi totale distruzione dell'antica comunità ortodossa assira in Iraq. Nel 1923, l'intera popolazione ortodossa dell'Asia Minore fu forzata a lasciare le proprie case, portando al termine una presenza cristiana di due millenni.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, due gruppi di cristiani ortodossi furono in modo specifico bersagli di un genocidio per mano dei nazisti e dei loro alleati collaborazionisti: gli zingari e i serbi ortodossi di Bosnia e Croazia, mentre le popolazioni di Grecia, Serbia, Russia Europea e Ucraina furono schiacciate sotto il tallone dell'occupazione nazista, e designate dai loro conquistatori come gruppi inferiori destinati a servire come forza di lavoro pesante per il Terzo Reich. Per ordine speciale di Heinrich Himmler (21 Aprile 1942), i membri del clero dell'Est (a differenza dei loro confratelli dell'Europa occidentale) dovevano essere destinati ai lavori pesanti.

Nello stesso tempo gli ortodossi soffrivano in proporzioni maggiori di qualsiasi altro gruppo cristiano per mano dei comunisti, che cercavano di eliminare completamente la religione. Dapprima in Russia e Ucraina, poi in Europa dell'Est, in Grecia durante la sua guerra civile (1945-1949), e in Etiopia, la Chiesa Ortodossa era il primo bersaglio degli attacchi, sabotaggi o aperte distruzioni. Alla fine gli ortodossi del Medio Oriente si sono trovati presi di mira nei fuochi incrociati dei conflitti tra musulmani ed ebrei in Israele e sulla sponda occidentale del Giordano, e nella guerra civile tra maroniti, musulmani e palestinesi in Libano.

Tra i costi umani di prigioni, campi di concentramento, marce forzate ed esili, guerra, fame e brutali occupazioni militari, è ragionevole concludere che fino a CINQUANTA MILIONI DI CRISTIANI ORTODOSSI sono periti nei primi ottant'anni del Ventesimo secolo.

Anche negli Stati Uniti, dove tanti ortodossi hanno trovato rifugio, i nativi americani ortodossi delle Isole Aleutine furono internati con la forza durante la Seconda Guerra Mondiale, e molte delle loro chiese furono deliberatamente distrutte dall'esercito americano. Sfortunatamente, la profondità e la vastità delle sofferenze degli ortodossi in tutto il mondo in questo secolo rimangono largamente sconosciute e incomprese in Occidente.

Persecuzione degli ortodossi dal 1987 al 1997

Si presume comunemente che la salita di Mikhail Gorbacev alla carica di Segretario Generale in Unione Sovietica nel 1985 e i suoi successivi tentativi di democratizzazione abbiano portato un termine alla persecuzione della Chiesa Ortodossa, e che oggi, con qualche eccezione minore, la Chiesa Ortodossa sia libera di crescere e svilupparsi in tutto il mondo.

Sfortunatamente, le cose non stanno così. La vessazione della Chiesa Ortodossa nell'ex-Unione Sovietica è continuata durante l'era Gorbacev. Molte delle chiese che si ritiene che siano state restituite agli ortodossi tra il 1988 e il 1990 erano in Ucraina occidentale, parte di un tentativo del KGB di seminare aperta discordia tra ortodossi e cattolici, mentre solo 100 chiese furono restituite nella Russia vera e propria. Il KGB continuò a bersagliare il clero ortodosso attivo nella lotta per la libertà religiosa e la democratizzazione, e nel 1990 diversi preti di spicco, tra i quali Padre Aleksander Men', una guida dell'intelligentsia e dell'opposizione democratica, furono assassinati. In tutta l'URSS le cellule locali del Partito comunista continuarono a prevenire la restituzione delle chiese agli ortodossi, e fu solo sotto il Presidente Boris Eltsin che fu restaurata piena libertà agli ortodossi e alle altre confessioni basate in Russia. In altre parti dell'ex-Unione Sovietica, soprattutto in Uzbekistan e Tagikistan, i governi post-sovietici hanno continuato a limitare i diritti delle minoranze religiose ed etniche.

Il trionfo della democrazia in Polonia non ha portato la piena libertà per i membri della sua minoranza ortodossa, forte di un milione di persone. Anche se il picco delle attività anti-ortodosse si è avuto dopo il 1991, con diverse chiese ortodosse e un monastero storico vandalizzati, gli ortodossi continuano ancor oggi a essere visti come cittadini di seconda classe in Polonia, attitudine riflessa in un rapporto segreto del Ministero degli Esteri polacco, in cui le popolazioni ortodosse venivano descritte come un "corpo alieno nell'organismo dello stato polacco." Le leggi sull'istruzione religiosa nella scuola hanno virtualmente ufficializzato la Chiesa Cattolica Romana a detrimento sia degli ortodossi che dei luterani, e i credenti ortodossi continuano a lamentare molestie meschine a livello locale a causa della loro affiliazione religiosa.

In Slovacchia, il governo annunciò nel 1991 la sua intenzione di rivedere la proprietà delle 125 parrocchie ortodosse del paese. Da quel tempo, oltre 90 edifici ecclesiastici sono stati confiscati agli ortodossi e dati alla Chiesa cattolica, e agli ortodossi è stato proibito da ufficiali locali di costruire nuove chiese, aprire scuole e tenere funzioni. Le proteste del Metropolita Nikolai di Presov, a capo della Chiesa Ortodossa in Slovacchia, sono state in gran parte ignorate, così come è stata ignorata la politica ufficiale del Vaticano, annunciata il 16 Luglio 1990, che consigliava ai cattolici slovacchi di condividere le proprietà disputate assieme agli ortodossi.

Le guerre nell'ex-Yugoslavia sono state disastrose per gli ortodossi. Nessuno condona gli atti intrapresi da e in nome della popolazione serba, ma allo stesso tempo non dovremmo usarli come una scusa per ignorare gli atti intrapresi contro la popolazione ortodossa serba. Il governo croato ha praticamente liquidato la Chiesa Ortodossa sul suo territorio, iniziando con l'atto dinamitardo che fece saltare la residenza e la biblioteca del metropolita ortodosso di Zagabria l'11 Aprile 1992. In seguito all'offensiva croata dell'autunno 1995 e alla seguente partenza dalla Croazia di oltre 200.000 serbi ortodossi (che portava a un totale di oltre 800.000 deportati ortodossi come risultato della guerra, quattro diocesi della Chiesa Ortodossa Serba sono state liquidate: Dalmazia, Bihac-Petrovac, Gornij-Karlovac e  Slavonia occidentale. Nel territorio bosniaco sotto controllo croato, il vescovo ortodosso di Mostar è stato cacciato dalla sua sede, e la maggior parte della popolazione ortodossa è stata espulsa. Le stime concludono che oltre 154 chiese ortodosse nel territorio della Bosnia e della Croazia sono state distrutte tra il 1991 e il 1993, e altre 75 danneggiate. Nelle aree soggette all'offensiva croata del 1995, altre 200 chiese ortodosse sono state deliberatamente distrutte.

In Turchia e nella zona di Cipro sotto occupazione turca, la posizione degli ortodossi ha continuato a deteriorarsi. Nonostante le garanzie internazionali del Trattato di Losanna del 1923, il governo turco continua a costringere alla chiusura l'Accademia di Teologia ortodossa di Halki a Istanbul. Alle famiglie di ortodossi espulsi illegalmente negli anni '50 e '60 non è mai stato concesso di fare ritorno in Turchia, di nuovo in contravvenzione al trattato del 1923 che garantiva il loro diritto di risiedere liberamente a Istanbul e di praticare la fede ortodossa. A Cipro, circa 450 chiese ortodosse nella parte settentrionale dell'isola sono state dissacrate come luoghi di culto, e alcune di esse, monumenti storici risalenti fino al V secolo, sono state saccheggiate e lasciate alla rovina. C'è una campagna sostenuta con forza per rimuovere le ultime vestigia della bimillenaria presenza ortodossa dalle aree occupate di Cipro.

Gli ortodossi in Egitto continuano a soffrire di molte restrizioni alle loro capacità di partecipare all'economia e alla vita politica, oltre a restrizioni alle loro possibilità di costruire e riparare chiese, e stanno divenendo sempre più il bersaglio di attacchi armati da parte degli estremisti musulmani. Negli ultimi due anni, dozzine di contadini ortodossi sono stati assassinati nell'Alto Egitto da sicari islamici. In India, i cristiani ortodossi di San Tommaso lamentano crescenti molestie da parte di estremisti, sia hindu che musulmani, con attacchi isolati e una crescente retorica per la loro rimozione dallo scenario dell'India.

Questa è solo una panoramica molto generale della situazione. Il Servizio Ortodosso di Stampa (SOP) diffonde informazioni dettagliate sullo stato delle comunità ortodosse intorno al mondo, mentre il Keston College, a Oxford, continua a vagliare la situazione nell'Europa dell'Est e a pubblicare i suoi rapporti sullo stato della libertà religiosa nell'era post-comunista.

La credibilità americana

Il governo degli Stati Uniti si vanta del proprio impegno nella difesa della libertà religiosa. Sfortunatamente, molti cristiani ortodossi in Medio Oriente e nell'Europa dell'Est non condividono questo apprezzamento ottimistico della situazione, cosa che ho potuto verificare di persona come risultato dei miei viaggi in queste regioni. Gli Stati Uniti sono visti come ardenti sostenitori soltanto dei diritti di quelle chiese che possiedono sufficiente "influenza" a Washington, mentre sono preparati a ignorare gli appelli degli ortodossi. Eventi recenti degli ultimi dieci anni hanno teso a confermare questa valutazione:

(1) Negli anni '80, il Servizio di Immigrazione e Naturalizzazione accordava lo stato di profugo a qualsiasi sovietico che poteva provare una persecuzione su basi religiose - tranne che ai membri della Chiesa Ortodossa Russa. La chiesa che sia per numeri che in termini assoluti aveva sofferto di più sotto il dominio sovietico non era considerata "perseguitata", anche se le chiusure di chiese e gli arresti di zelanti membri del clero e di laici continuarono fino al 1988.

(2) Dopo il 1989, i credenti ortodossi in Polonia e in Slovacchia avvertirono che erano "a rischio" come minoranze religiose. Nel 1991, il Congresso dei Russi-Americai preparò due rapporti per la Commissione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (CSCE: Luglio e Settembre 1991) avvertendo dei pericoli e chiedendo che si ottenessero garanzie per i diritti degli ortodossi. Non fu intrapresa alcuna azione, e finora non c'è indicazione che gli Stati Uniti abbiano fatto pressioni per assicurare i diritti di queste minoranze religiose in entrambi i paesi (così come gli Stati Uniti hanno fatto pubblicamente nel caso della Russia, che è un paese prevalentemente ortodosso). Non vi sono altresì indicazioni che gli Stati Uniti abbiano mai subordinato l'assistenza economica o l'ingresso nella NATO di entrambi i paesi al miglioramento della situazione delle loro minoranze religiose.

(3) Nonostante il grande livello di assistenza economica e militare alla Turchia, non ci sono indicazioni che gli Stati Uniti siano mai stati preparati a far leva su questo motivo per assicurare i diritti della minoranza ortodossa, anche se la Turchia è tenuta dalla sua stessa costituzione e dagli obblighi internazionali a permettere agli ortodossi di mantenere scuole e altre istituzioni. In contrasto, senatori americani hanno spesso richiesto pubblicamente e ad alta voce che l'assistenza americana alla Russia fosse condizionata all'accettazione da parte della Russia dei missionari americani.

Perché qualsivoglia iniziativa americana sulla libertà religiosa goda di credibilità, pertanto, il governo statunitense deve essere preparato a indagare a fondo e a battersi per i diritti dei credenti ortodossi, e rendere noto ai paesi che sono alleati americani, o che desiderano migliori relazioni con gli Stati Uniti, che il loro trattamento dei credenti ortodossi è un punto che sarà messo in discussione. La persecuzione e la vessazione degli ortodossi nell'Europa dell'Est e in altre parti del mondo continua a causa della credenza che gli Stati Uniti non siano interessati al fato degli ortodossi, e che non intraprenderanno alcuna azione (tranne qualche occasionale retorica) per assicurare la libertà religiosa agli ortodossi. A loro volta, i leaders ortodossi nel mondo stanno osservando attentamente per vedere se le iniziative future sulla libertà religiosa che provengono dagli Stati Uniti siano o no basate veramente su princìpi, o se la politica americana sarà selettiva nei termini di chi viene incolpato e di chi viene esonerato. La Chiesa Ortodossa ha sofferto molto in questo secolo, e continua a soffrire in molte parti del mondo. Se gli Stati Uniti scelgono di ignorare tutto ciò per convenienza, allora la causa della libertà religiosa - per tutti i popoli - sarà gravemente compromessa.

 

 
Il monaco crocifisso: l'icona della vita monastica

Intorno all'ingresso dei refettori dei monasteri ortodossi, a volte si può vedere un'immagine scioccante di un monaco crocifisso. Il monaco senza nome riposa in silenzio sulla croce, mentre è assalito tutto attorno da demoni terrificanti e figure scheletriche. Altrettanto sconvolgente quanto l'immagine stessa è la scritta che l'accompagna: La vita del vero monaco.

Il monachesimo è un'antica pratica cristiana che si è sviluppata nel III e IV secolo d.C., nel periodo in cui il cristianesimo è diventato legalizzato nell'Impero romano e le persecuzioni sono praticamente cessate. Questo a volte è stato dato come motivo per la nascita del monachesimo: il desiderio di cristiani zelanti di fuggire dal mondo, in cui vivere la vita cristiana era divenuto improvvisamente confortevole, più "facile", e anche alla moda. Tuttavia, tutti i più grandi santi monaci, nei loro scritti, danno una fonte per la loro motivazione dell'ingresso in un monastero: i Vangeli.

Un perfetto esempio di questo è dalla vita di Sant'Antonio il Grande. Nella chiesa della sua città natale, Antonio udì proclamare la lettura del Vangelo, come se questo parlasse direttamente a lui: "Se vuoi essere perfetto, va', vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri, poi vieni e seguimi". E così Antonio fu ispirato a vivere una vita che è diventata la base per il monachesimo, proponendo la motivazione di base per i monaci e le monache fin da allora.

Con questa motivazione scritturale di base per il monachesimo, questo stile di vita diventa molto più interessante per ogni cristiano.

L'icona: "La vita del vero monaco"

Affresco al monte Athos

L'immagine del monaco crocifisso è didascalica: un'icona per la contemplazione, non per la venerazione. Il soggetto dell'icona non è un santo con un nome, ma una figura anonima, generica di un monaco - o di una monaca se ci si trova in un monastero femminile. Nella sua forma più completa, l'immagine appare come quella raffigurata qui sopra, tratta da un affresco athonita. Inizialmente molto confusa, l'immagine è piena di iscrizioni che spiegano appieno ciò che sta accadendo, e l'unica barriera alla comprensione è il fatto di non essere in grado di leggere la lingua di queste iscrizioni.

Non posso dare una spiegazione dell'icona migliore di quella di questo estratto riprodotto dal "Manuale del pittore" (L'ermeneutica della pittura) di Dionisio di Furnà, un testo greco del XVIII secolo per iconografi:

Disegna un monaco crocifisso su una croce, vestito con una tunica e un copricapo da monaco, a piedi nudi e con i piedi inchiodati al poggiapiedi della croce: i suoi occhi sono chiusi e la bocca serrata. Appena sopra la sua testa è questa iscrizione: "Poni, Signore, una custodia alla mia bocca e una porta fortificata intorno alle mie labbra".

Nelle sue mani tiene candele accese, e accanto alle candele c'è questa iscrizione: "Lasciate che la vostra luce risplenda davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro, [che è nei cieli]".

Sul petto ha una tavoletta a forma di sgabello, che dice: "Crea in me, o Dio, un cuore puro, e uno spirito retto rinnova nelle mie viscere".

Sul suo stomaco c'è un altro rotolo, come un titolo, con queste parole: "Non essere sviato, o monaco, da una pancia piena".

Più in basso sul suo corpo c'è un altro rotolo che dice: " Mortifica le tue membra che sono sulla terra".

Più in basso ancora, sotto le ginocchia, c'è un altro rotolo che dice: "Prepara i tuoi piedi sulla via del Vangelo della pace".

Sopra, sul braccio superiore della croce, fai un titolo inchiodato con questa iscrizione: "Dio non voglia che io mi vanti, se non della Croce del mio Signore". Sui tre bracci della croce fai dei sigilli, e su quello di destra scrivi: "Chi persevererà sino alla fine sarà salvato". Su quello di sinistra: "Chi non rinuncia a tutto non è in grado di essere un discepolo di Cristo". Sul sigillo sopra il poggiapiedi della croce: "stretta e angusta è la via che conduce alla vita".

Sul lato destro della vernice dipingi una caverna buia con un grande drago arrotolato in essa, e scrivi: "L'inferno che tutto divora". sopra la bocca del drago è un giovane nudo con gli occhi bendati da un panno, che tiene in mano un arco e punta al monaco. Sul suo arco è un rotolo che dice: "il creatore della lussuria". Scrivi questa iscrizione sopra di lui: "L'amore della prostituzione". Sopra la grotta metti molti serpenti e scrivi: "Le preoccupazioni". Vicino all'Ade metti un diavolo che tira la croce con una corda e dice: "la carne è debole e non può resistere" All'estremità destra della pedana metti una lancia con una croce e una bandiera e scrivi su di essa: "Io posso ogni cosa in Cristo che mi dà la forza".

A sinistra della croce fai una torre con una porta, dalla quale esce un uomo seduto su un cavallo bianco, che indossa un cappello di pelliccia e abiti intessuti d'oro e bordati di pelliccia. Nella mano destra tiene una coppa piena di vino e nella sinistra una lancia alla cui estremità è una spugna; un rotolo avvolto intorno alla lancia dice: "Prendi diletto nei piaceri del mondo". Egli li mostra al monaco. Scrivi questa iscrizione sopra di lui: "Il mondo vanaglorioso". Sotto di lui metti una tomba, da cui esce la morte con una grande falce sulla spalla e una clessidra in mano, e guarda il monaco. Al di sopra, la scritta: "La morte e la tomba".

Sotto le mani del monaco su entrambi i lati metti due angeli che reggono cartigli; scrivi sulla pergamena di quello di destra : "Il Signore mi ha mandato ad aiutarti". E su quello di sinistra: "Fa' il bene e non temere".

Sopra la croce rappresenta il cielo con Cristo che tiene sul petto i Vangeli aperti alle parole: "Chiunque vuole seguirmi, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua". Nella mano destra tiene un corona regale, e nella sinistra una corona [di fiori]. Sotto di lui, ai lati ci sono due angeli, che guardano il monaco e lo mostrano a Cristo, e tengono tra loro una lunga pergamena con queste parole: "Lotta per poter ricevere la corona della giustizia, e il Signore ti darà una corona di pietre preziose ".

Quindi scrivi questo titolo: La vita del vero monaco.

Alcune versioni di questa icona saranno semplificate, oppure mostreranno demoni che circondano il monaco crocifisso lanciandogli frecce (vedi la prima immagine di questo articolo). Le frecce e lance dirette contro il monaco saranno identificate da iscrizioni come varie "passioni" (vanagloria, lussuria, gola, ecc.)

L'immagine è dipinta per la contemplazione dei monaci e quindi il suo posto appropriato è in un monastero. La "vita del vero monaco" non è necessariamente la vera vita cristiana di tutti noi. Se non siamo monaci o monache, non dobbiamo far finta di esserlo. Eppure, nella misura in cui la vita monastica è basata sul Vangelo e istruisce tutti i cristiani su come vivere una vita cristiana, l'icona del monaco crocifisso può essere utile. Ogni volta che i cristiani "laici" leggono opere monastiche come "La scala del paradiso", fanno ritiri temporanei nei monasteri, o attingono in altri modi all'esperienza monastica, possono ottenere beneficio anche da questa icona.

Soprattutto durante la Quaresima, quando la vita di tutti i cristiani diventa appena un po' più ascetica, possiamo vedere l'immagine della "vita del vero monaco", come l'immagine della "vita del vero cristiano".

 
La storicità dei Sette Dormienti di Efeso

Quando ho letto per la prima volta il racconto dei Sette Dormienti di Efeso, ne sono stato assolutamente affascinato. Il racconto parla di sette giovani conosciuti come Massimiliano, Giamblico, Martiniano, Givanni, Dionisio, Exacustodiano (Costantino) e Antonino, vissuti verso la metà del terzo secolo. Durante il regno dell'imperatore Decio (249-251) e la sua visita a Efeso, fu emanato un ordine che tutti i suoi cittadini offrissero sacrifici agli dèi, con la pena di morte per tutti coloro che si rifiutavano. Dopo essere stato accusati per la loro fede cristiana, i sette giovani fuggirono dalla città e si nascosero in una grotta sul monte Ochlon, dove passavano il loro tempo in preghiera, in preparazione per il martirio. Appreso dove i giovani erano nascosti, l'imperatore ordinò che l'ingresso della grotta fosse sigillato con pietre, in modo che i santi morissero di fame e di sete. Il racconto poi ci trasporta per quasi due secoli al regno dell'imperatore Teodosio il Giovane (408-450), quando tutte le persecuzioni contro i cristiani erano cessate e in effetti il cristianesimo era a quel tempo la fede ufficiale dell'Impero. Si dice che in città fosse sorta in quel momento una controversia riguardante la risurrezione dei morti. Nel frattempo il proprietario del terreno su cui si trovava il Monte Ochlon scoprì la costruzione in pietra, e i suoi operai aprirono l'ingresso della grotta. Si scoprì poi che il Signore aveva mantenuto in vita i giovani, ed essi si svegliarono dal sonno, senza sapere che erano passati quasi duecento anni. I loro corpi e vestiti erano completamente intatti dalla decomposizione. Essi scoprirono che erano stati conservati quando Giamblico andò in città a comprare il pane e sentì il nome di Gesù pronunciato liberamente e presentò una moneta obsoleta con l'immagine di Decio per comprare il pane. Disorientato, fu portato al Vescovo di Efeso che alla fine parlò a tutti e sette i giovani e scoprì che Dio aveva permesso questo miracolo per porre termine alla controversia relativa alla risurrezione dei morti. L'imperatore andò anche a Efeso per esaminare questo miracolo e dopo aver parlato con loro, permise loro di tornare nella loro caverna, senza gli onori reali che intendeva tributare loro, e lì i giovani si addormentarono per sempre. Nel complesso fu stabilito che i santi giovani si erano addormentati nella grotta nell'anno 250 e si risvegliarono nell'anno 434, il che significa che dormirono per 184 anni.

Anche se la storia è letta come un mito o un racconto fantastico da qualcuno che non accetta i miracoli, ciò che è affascinante è il contesto storico in cui è ambientata. Essa menziona specifici imperatori storici e una polemica storica che si svolse in una città storica (che aveva acquisito ancora maggiore fama tre anni prima, nel 431, durante il terzo concilio ecumenico che ebbe luogo a Efeso) nel corso di due epoche storiche: una di persecuzioni sotto Decio e l'altra di pace sotto Teodosio. E ci dice anche il luogo specifico in cui questi santi sono morti. La storicità di questi santi non è mai stata ufficialmente messa in dubbio fino al XVI secolo, soprattutto a causa della verificabilità di questo racconto e della sua popolarità immediata in tutto il mondo conosciuto.

Molti hanno onorato questi sette santi giovani. La Chiesa ortodossa commemora questi santi due volte l'anno, il 4 agosto e il 22 ottobre (il primo giorno è la data del loro primo sonno e il secondo la data della loro morte), e non ha mai messo in dubbio la veridicità di questo racconto. Anche il Martirologio latino li onora il 7 luglio. Sono inoltre considerati come pii nell'islam, e sono conosciuti come "la gente della caverna" (Ashab Al-Kahf), con un'intera sezione a loro dedicata nel Corano (Sura 18, versetto 9-26).

L'ascesa del protestantesimo e il periodo dell'illuminismo in Occidente hanno fatto sorgere dubbi su questa storia, come John Donne notava in una delle sue poesie nel XVI secolo. Cesare Baronio (1538-1607), non solo uno studioso del Rinascimento, ma un cardinale nella Chiesa latina, fu il primo a trattare la storia come "apocrifa", e da quel momento non fu mai più presa sul serio in Occidente. La Chiesa latina si riferisce ancora alla tradizione come a un "romanzo puramente immaginativo". Il racconto è diventato molto popolare nella letteratura dei romantici in una forma distorta, ispirando una poesia di Goethe, un racconto ammonitore dei fratelli Grimm, e anche il racconto di Washington Irving, Rip van Winkle così come The Sleeper Awakes di H. G. Wells e Innocence Abroad di Mark Twain, tra gli altri.

Nel 2001 ho avuto l'opportunità di visitare Efeso, e assieme alla famosa chiesa di san Giovanni il Teologo e alla chiesa dell'antica Efeso in cui il ha avuto luogo il terzo Concilio ecumenico, una delle mie mete principali è stata la visita alla grotta dei Sette Dormienti. Anche se era un po' fuori dai sentieri battuti e recintata, un buco nella recinzione mi ha dato pieno accesso alla grotta su cui fu costruita una chiesa, ora malandata. Completamente visibile era il luogo dei riposo dei Sette Dormienti, dove il pellegrino russo Daniele riportava nel XII secolo di aver visto le reali reliquie dei santi giovani. Questo pellegrinaggio, anche se breve, mi ha fatto considerare sempre di più la veridicità di questo racconto.

Fonti letterarie

Perché la storia dei Sette Dormienti avesse una solida base di fatto, ci aspetteremmo che una rivelazione tanto meravigliosa si diffondesse in tutto il mondo, in un lasso di tempo relativamente breve. I fatti storici dimostrano chiaramente che questo in effetti è proprio quello che è successo. Entro la fine del VI secolo si può dimostrare la conoscenza di questa tradizione dall'Irlanda alla Persia, dall'Etiopia ai paesi scandinavi. A causa di tutte queste prime diffusioni della tradizione, gli studiosi ammettono che la prima versione scritta della tradizione deve essere stata composta in una sola generazione a partire dell'evento stesso, per spiegare la sua circolazione precoce e capillare.

Il miracolo dei Sette Dormienti è stato apparentemente descritto per la prima volta dal vescovo Stefano di Efeso (448-51). [1] Sembra che il miracolo si sia verificato durante il vescovato di Basilio (+443), che era stato preceduto da Memnone e succeduto da Bassiano (444-448), anche se potrebbe essersi verificato durante il vescovato di Memnone, che era vescovo di Efeso anche durante il terzo Concilio ecumenico. Chiunque abbia familiarità con la controversia cristologica durante questo periodo di tempo, così come con i conflitti amministrativi che ebbero luogo a Efeso al tempo dei quattro vescovi di cui sopra [2], capirà il motivo per cui ci sono voluti circa quattordici anni per registrare la storia dei Sette Dormienti. Tuttavia, nell'antichità quattordici anni per registrare una storia era un periodo di tempo molto breve, soprattutto se si considera che non è mai stata contestata da nessuno. Inoltre, la memoria del vescovo Stefano fu condannata al quarto Concilio ecumenico, e dal momento che Efeso era in cattiva reputazione a causa del Sinodo dei ladroni del 449, le circostanze sembrano essere state cambiato a causa del nome e della data incriminati nelle versioni successive del racconto. [3]

Il miracolo è stato tempestivo perché rispondeva a una controversia in corso relativa alla risurrezione dei morti. La polemica origenista era iniziata alla fine del IV secolo e nel 434 si era ormai diffusa in Asia Minore a partire dall'Egitto. Gli origenisti negavano la risurrezione della carne, e quando il vescovo Stefano registra che il vescovo del tempo considerava questo miracolo dei Sette Dormienti come risposta alle polemiche, questo sembra aver impedito all'origenismo di stabilirsi a Efeso. Dal momento che dibattiti teologici di vario tipo erano comuni durante questo periodo di tempo, ci sono pochi dubbi che questa parte del racconto sia vera.

In forma scritta, la prima fonte presunta che oggi sopravvive è di un vescovo siriano di nome Jacob di Sarugh (452-521), che aveva cominciato a comporre omelie poetiche intorno al 474, e una di queste era in particolare sul tema dei Dormienti. Però è difficile determinare quando è stata composta esattamente questa specifica omelia. In questo caso, è difficile stabilire se è davvero la prima fonte.

Il vescovo Zaccaria di Mitilene era un monofisita che, in qualche tempo tra il 491 e il 518, scrisse la sua Storia Ecclesiastica in siriaco mentre risiedeva a Costantinopoli, e cita i Sette Dormienti. Nel libro 2, capitolo 1 afferma: "Sono stato in grado di scoprire da resoconti e atti o da lettere una verità che è stata attentamente esaminata: esporrò qui la verità della risurrezione, che ha avuto luogo nei giorni di Teodosio il re, dei corpi dei sette giovani che erano in una grotta nel distretto di Efeso, e le registrazioni siriache; sia per tenerli nella memoria dei santi sia per la gloria di Dio, che è in grado di fare ogni cosa". Questi riferimenti di cui parla non sono esattamente noti, ma dovrebbe essere notata la sua intenzione di esaminare attentamente la verità. Sembra che ci fossero molte testimonianze scritte dei Sette Dormienti prima di lui, che ora non esistono più. Potrebbe essere che lo stesso Jacob di Serugh abbia sentito per la prima volta dei Sette Dormienti attraverso Zaccaria.

Teodosio il Pellegrino, nel suo De situ Terrae Sanctae, registra di aver visitato in qualche punto tra il 518 e il 538 la tomba dei Sette Dormienti. Egli si riferisce alla tomba come al "Santuario dei Sette Dormienti".

Il vescovo Giovanni di Efeso (c. 507 – c. 586) ha registrato il racconto dei Sette Dormienti nella sua Storia ecclesiastica, come un fatto storico accaduto nella sua città un secolo prima. La sua storia era scritta in siriaco, poiché egli era nato ad Amid nel nord della Mesopotamia, ed è considerato molto preciso nel suo approccio storico e nell'attenzione ai dettagli.

La versione più antica esistente nell'Occidente latino risale all'incirca all'anno 525, da parte di un diacono di nome Teodosio. San Gregorio di Tours ne ha dato un resoconto completo in latina nella sua Gloria Martyrum qualche anno più tardi. Si dice che Gregorio abbia ricevuto questo racconto da un siriano, anche se il suo resoconto latino sembra essere di origine greca.

È interessante notare che il Corano, scritto nei primi anni del VII secolo, comprende la storia dei Sette Dormienti in un capitolo intitolato "La caverna" (al-Kahf). Esso aggiunge dettagli importanti, che i giovani erano accompagnati da un cane e che erano rimasti addormentati per 309 anni. Tuttavia i musulmani non riconoscono Efeso (chiamato Afsis in arabo) come il sito della grotta dei Sette Dormienti, ma il luogo dal suono simile di Afsus vicino Elbistan nel sud-est dell'Asia Minore. Ovviamente hanno scelto Afsus perché era ben all'interno del territorio arabo, mentre Efeso era tenuta dal loro nemico, i romani.

Pellegrinaggio

Una chiesa in mattoni fu costruita sopra le sette tombe originali, con pavimenti a mosaico e rivestimenti in marmo dell'imperatore Teodosio. Un grande mausoleo a cupola fu aggiunto alla grotta nel VI secolo. Gli affreschi alle pareti e nelle volte sono prevalentemente decorazioni vegetali.

Come ci si potrebbe aspettare, i pellegrinaggi al luogo della grotta furono estremamente popolari fino alla fine del XV secolo, come testimoniato dai graffiti sui muri, sia in latino sia in greco. Il luogo divenne anche un posto privilegiato di sepoltura nella tarda antichità. Teodosio nel suo pellegrinaggio nel sesto secolo vide le tombe dei Sette Dormienti, e secondo uno scrittore del IX secolo, ai visitatori della grotta erano mostrati sette corpi incorrotti. Il pellegrino russo Daniele nel XII secolo ha visto lo stesso. Daniele dice anche che molte persone erano sepolte lì.

Anche se si videro pellegrinaggi nel corso di tutti i secoli medievali, il più famoso fu probabilmente uno promosso dall'ultimo re anglosassone d'Inghilterra, Edoardo il Confessore, in risposta a una visione. La storia di questo particolare pellegrinaggio a Efeso doveva essere immortalata per sempre in un fregio di pietra nella cappella dedicata a Edoardo il Confessore nell'Abbazia di Westminster.

Archeologia

Al sito archeologico di Efeso, una strada ben lastricata che conduce a est del ginnasio di Vedius conduce alla Grotta dei Sette Dormienti, a circa 0,8 km di distanza. La grotta associata ai Sette Dormienti si trova sul versante orientale della collina Panayirdag.

Nel 1926, una ricerca da parte dell'Istituto Archeologico Austriaco ha scoperto le rovine della Basilica dei Sette Dormienti (costruita sopra la grotta), che ha permesso di specificarne la data. Risale alla metà del V secolo. L'archeologia è stata in grado di confermare implicitamente la data letteraria di questo racconto.

Sono stati effettuati scavi nella grotta dei Sette Dormienti tra il 1927 e il 1930. Una delle caratteristiche più interessanti del sito archeologico è il tesoro di oltre 2000 lampade di terracotta che è stato scoperto all'interno, e che erano offerte alla chiesa. Esse risalgono principalmente al IV e V secolo. La maggior parte delle lampade sono decorate con una croce; altre portano scene del Vecchio Testamento popolari tra i cristiani, come Adamo ed Eva, Abramo e Isacco, e Daniele nella fossa dei leoni. Ci sono anche una grande varietà di scene profane, come pescatori e spettacoli teatrali. Ma accanto a queste vi sono scene religiose pagane come Ercole e il leone, Zeus e Afrodite, immagini di facciate dei templi, e la testa del dio Attis. Queste lampade erano state realizzate e utilizzate da efesini, che si consideravano i cristiani, ma mantenevano tradizioni pagane, oppure dei pagani si univano ai cristiani nelle devozioni alla grotta dei Sette Dormienti? La risposta non è chiara, anche se sappiamo che l'imperatore Giustiniano mandò il vescovo Giovanni di Efeso in aree remote dell'Asia Minore a debellare il paganesimo, e durante quel tempo si dice che il vescovo abbia fatto migliaia di convertiti. [4]

La parte principale del complesso è la chiesa della grotta in cui i Sette Dormienti hanno compiuto il loro sonno e sono poi stati sepolti. La grande grotta, con un soffitto alto come molte chiese ordinarie, è stato rivestito con muratura di mattoni per formare una chiesa. Ci sono nicchie ad arco sui lati e un'abside arrotondata nella parte posteriore. I luoghi di sepoltura dei dormienti nel pavimento sono ora buche vuote e aperte.

Studi moderni

Per gli studiosi moderni, uno dei dibattiti più importanti si occupa delle origini di questo racconto, sia che fosse greco o siriaco. Secondo A. Allgeier, I. Guidi, B. Heller, Th. Nöldeke, V. Ryssel, A. Krymski, ecc il lavoro agiografico è stato prima scritto in siriaco, mentre M. Huber, P. Peeters e E. Honigmann insistono sulla priorità di alcuni testi greci. Ciò che sembra evidente ora e a questo punto è che l'origine di questo racconto sul piano letterario è davvero greca, perché tutti i primi autori (con l'eccezione di Jacob di Serugh) avevano riunito le loro informazioni di questo racconto mentre vivevano in prossimità di Efeso. Il vescovo Stefano di Efeso ha quasi certamente scritto la prima storia in greco. Tuttavia, alcuni di questi autori hanno scritto in siriaco, di conseguenza, le loro storie, anche se di origine greca, si erano avventurate a est, dove erano diventate rapidamente popolari dopo essere state scritte nella lingua locale. Anche se il miracolo era originariamente considerato ortodosso, è stato rapidamente acquisito dai monofisiti siriaci.

Nel 1953 Ernest Honigmann difese la possibile storicità del racconto dei Sette Dormienti con notevole ingegnosità seguendo la documentazione archeologica e letteraria. Honigmann stabilì che questa tradizione era comune a cristiani melchiti, monofisiti, nestoriani e giacobiti, e precede quindi la loro divisione (secoli V e VI). Dopo aver esaminato tutti i documenti storici disponibili, nonché le testimonianze archeologiche, Honigmann è stato in grado di formulare la conclusione finale:

"Dal tempo del cardinale Baronio fino a oggi nessuna credibilità è stata data a questa strana storia;. Alcuni critici hanno parlato di 'inganno e falso'. Tuttavia non vi può essere alcun dubbio che, come abbiamo detto sopra, la relazione sul risveglio dei sette giovani deve essere basata su qualche fatto storico. alla luce delle prove archeologiche ora sembra incontestabile che circa verso la metà del V secolo sette giovani efesini hanno davvero creduto o hanno tentato di far credere che erano stati perseguitati al tempo di Decio, e che un alto dignitario ecclesiastico, in una sorta di auto-inganno entusiasta, ha dato per scontata la loro strana affermazione, tanto più che questa gli forniva le armi che gli servivano per confutare certi eretici e per far trionfare l'ortodossia". [5]

Conclusione

Oggi è dimostrato, come dichiarava Honigmann, che la base per la storia è un fatto storico ben attestata. Infatti F. Miltner, che era a capo degli scavi intrapresi a Efeso nel 1926 dall'Istituto Archeologico Austriaco, trovò motivo di credere che la chiesa da lui scoperta era stata costruita intorno alla metà del V secolo. Questa chiesa è stata trovata presso il sito tradizionalmente attribuitogli nell'antica Efeso. La critica testuale ha anche portato gli studiosi a determinate conclusioni che sembrano confermare i risultati raggiunti dalle scoperte archeologiche. Anche se l'archeologia e la critica testuale non possono verificare il miracolo dietro il racconto, essi verificano che il racconto descrive un evento storico reale di sette giovani apparsi in mezzo agli efesini, un evento ritenuto la fonte di un grande miracolo che ha confermato a tutti la risurrezione dei morti.

Note

1. Clive Foss, Ephesus after Antiquity: A Late Antique, Byzantine and Turkish City (Cambridge: Cambridge University Press, 1979) p. 43.

2. Peter L'Huillier, The Church of the Ancient Councils (Crestwood, New York: St Vladimir's Seminary Press, 1996) pp. 199-201. Richard Price e Michael Gaddis, The Acts of the Council of Chalcedon vol. 3 (Liverpool University Press, 2007) pp. 1-3.

3. Clive Foss, Ephesus after Antiquity: A Late Antique, Byzantine and Turkish City (Cambridge: Cambridge University Press, 1979) p. 43.

4. Catalogo completo: FiE IV/2, 96-200. Lampade ebraiche: p. 45, n.48; lapidi pagane: p. 211.

5. Ernest Honigmann, "Stephen of Ephesus (April 15, 448 - October 29, 451) and the Legend of the Seven Sleepers". Patristic Studies. Studi e testi, 173 (1953) pp. 125-168.

Una moderna rappresentazione di tutto il complesso della chiesa

Lo scavo del lato sud del complesso nel 1920

Una porzione delle oltre 2000 lampade scoperte sul sito, che erano offerte dei pellegrini

La grotta scavata con la chiesa

Le sette tombe dei Sette Dormienti

Interno della chiesa

Interno della chiesa

 
Il copto che è diventato ortodosso

In principio era Cristo

Quando ero un bambino alla scuola elementare, mi ricordo una domanda importante che mi ha fatto riflettere profondamente su chi è Cristo. Ero seduto in classe quando l'insegnante di storia mi ha chiesto: "Che ne dici di Issa (un nome arabo per Gesù)?", Risposi, "Egli è il Figlio di Dio". Come ci si poteva aspettare da una pia donna musulmana, la risposta l'ha lasciata perplessa, così ho detto: "Ma è un uomo." Anche se sono stato io a rispondere alla domanda, non ero meno perplesso di lei! Sono tornato a casa e ho detto a mia madre quello che era successo, mentre lei lavava i piatti e preparava la cena. Ho detto, "Credo che Cristo non possa che essere un uomo. Tuttavia, Egli è il Figlio di Dio, perché è nato miracolosamente e senza un padre". Mi ha detto,"Cristo è un vero Dio, dovresti imparare a confessarlo ogni volta che ti chiedono di lui. Cristo dice: "Chi mi rinnegherà davanti agli uomini anch'io lo rinnegherò davanti al Padre mio nei cieli (Mt 10,33)". Ho sentito il peso della domanda e l'importanza di raggiungere una risposta. È un Dio o un uomo o qualcos'altro?

Sono cresciuto in una famiglia copta. La parola copto deriva originariamente dalla parola greca per l'Egitto, Aigyptos, e il termine copto significava semplicemente egiziano. Dopo la conquista musulmana dell'Egitto nel VII secolo e la successiva trasformazione dell'Egitto in un paese a maggioranza musulmana, il termine copto è venuto ad applicarsi solo alla minoranza di egiziani che sono rimasti cristiani. La mia famiglia non era molta coinvolta nella vita religiosa della Chiesa copta, soprattutto perché al momento vivevamo in un paese arabo del Golfo, piuttosto che in Egitto. Dopo la morte di mio padre, siamo tornati in Egitto, dove abbiamo sperimentato un ambiente religioso nuovo e diverso, essendo circondati da chiese copte. Cristo era la mia preoccupazione principale, ma la domanda è rimasta senza risposta.

Per ragioni storiche e dottrinali, la domanda: "chi è Cristo?" ha un sapore e un impatto unico in Egitto. Era dall'Egitto che era emerso il più controverso dibattito cristologico, che ha portato alla convocazione di tre concili ecumenici. In realtà, oggi non è un'esagerazione dire che lo scisma tra i cristiani della Chiesa di Alessandria dopo il concilio di Calcedonia ha cambiato l'intera mappa del mondo per sempre.

Tornando alla domanda, ho sentito che era il momento di affrontarla definitivamente quando sono entrato all'Università perché avevo il tempo e le capacità mentali e linguistiche per avviare una ricerca più approfondita di una risposta. Ho studiato ingegneria, ma ho deciso di entrare nel seminario copto e ho frequentato corsi serali. Dalle classi, sono arrivato a capire che la Chiesa copta crede in un'unica formula greca, che si chiama "l'unica natura incarnata". Di conseguenza, ha rifiutato la formula del concilio di Calcedonia e ha condannato papa Leone di Roma per la sua epistola confessionale chiamata "il Tomo".

A quel tempo, non avevo mai visto una traduzione del Tomo in lingua araba, ma avevo letto su di esso in alcuni libri. Uno di questi era stato il libro di Shenouda III, il patriarca della Chiesa copta. Scriveva: "le due nature divennero così evidenti che si è detto che Cristo è due persone, un Dio e un essere umano. L'uno opera miracoli e l'altro accetta insulti e umiliazioni" [1] ho scoperto dopo, quando sono riuscito a ottenere il Tomo in inglese per la prima volta, che questa traduzione era imprecisa. Papa Leone era chiaro nella sua distinzione tra le nature di Cristo e nel preservare l'unità della sua persona.

La mia domanda successiva è stata perché la Chiesa copta abbia mantenuto questa posizione dottrinale. Ho scoperto che l'isolamento della Chiesa copta, derivante dal conflitto politico tra il Patriarca e l'Impero bizantino, ha portato a nuovi sviluppi teologici che ebbero luogo lontano dalla corrente ecumenica ortodossa. Questo aiuta a spiegare le circostanze sociologiche, politiche e teologiche che hanno portato alla nascita di quella che è stata chiamata cristologia monofisita, sostenuta dalla maggior parte dei copti fin dal V secolo.

Il monofisismo è la dottrina che afferma che Cristo ha una sola natura. Vale a dire, quella divina. Il termine non è stato generalmente usato dagli stessi monofisiti. Tuttavia, Papa Shenouda lo usa dicendo, "il termine 'monofisiti' usato per i credenti nella Natura Una è stato intenzionalmente o non intenzionalmente travisato nel corso di alcuni periodi della storia." [2] Nello stesso libro, Shenouda dice: "La Vergine non ha dato vita a un uomo e Dio". [3]

Stavo ancora cercando di rispondere alla mia domanda iniziale e sentivo che questa dottrina monofisita della Chiesa copta non riusciva a interpretare la verità di Cristo, che è veramente divino e veramente umano. Piuttosto ho cominciato a sentire che gli scritti dei santi padri e gli atti dei Concili ecumenici erano più in grado di esprimere la verità di come Dio stesso si è fatto uomo.

Il cammino verso Calcedonia

Mentre i copti per la maggior parte hanno respinto la definizione del concilio di Calcedonia e stabilito il proprio patriarcato con il patriarca scomunicato Dioscoro, io non potevo. Ho iniziato a leggere gli scritti ortodossi sulla cristologia, soprattutto, la serie di patrologia dell’eminente studioso russo, Georges Florovsky.

Attraverso questa lettura sono arrivato a capire la centralità della cristologia nella vita della Chiesa ortodossa e in che modo sia questa ad averla resa piena di vita. Ho visto come i Padri della Chiesa hanno vissuto e testimoniato la verità della divinità e umanità di Cristo e come l'unione ipostatica e la formula di Calcedonia hanno plasmato la liturgia e il culto della Chiesa. Questo mi ha aiutato a trovare finalmente la risposta alla mia domanda: Cristo, che è Dio fatto Uomo. Una persona con due nature unite in modo ineffabile. È il mistero della fede, che è stato rivelato nel Nuovo Testamento, conservato dai padri e vissuto dalla Chiesa. Cristo è il vero Figlio di Dio, la seconda persona della Trinità.

Accettando gli insegnamenti della cristologia della Santa Chiesa Cattolica e Apostolica sono arrivato a comprendere e vivere con gioia il Dio nel cristianesimo come un Dio reale, in grado di comunicare con il mondo. Egli non è un mito o una descrizioni registrati e tramandata nel corso della storia. Egli è venuto e ci ha parlato e si è fatto uomo in modo che possiamo capirlo. Egli si è fatto uomo perché l'uomo possa diventare un dio come Sant'Atanasio il Grande ha detto. [4] La salvezza si basa totalmente su questa verità, la vera umanità di Cristo, tanto quanto la sua vera divinità. Se l'uomo è mortale, è immortale per partecipazione alla natura divina di Cristo (2 Pt 1, 4), ed è vero dire con san Gregorio di Nazianzo "ciò che Egli non ha assunto non ha guarito, ma ciò che è unito alla sua divinità è anche salvato". [5]

Significato teologico

Dopo la mia comprensione che la cristologia dei Padri della Chiesa è la pietra angolare della teologia cristiana, ho cominciato a immergermi nei simboli di fede e nelle minute dei Concili ecumenici. Sono stato particolarmente incuriosito dal Concilio di Calcedonia. Mi ricordo quando ho comprato il set di tre volumi degli atti del Concilio di Calcedonia pubblicati dalla Liverpool University e ho iniziato a esaminare i dettagli che hanno portato alle sue decisioni e alla sua confessione di fede. Ci possono essere divergenze su alcuni degli eventi che hanno avuto luogo in occasione dei Concili, ma un esame del Concilio, delle sessioni di Calcedonia e del credo che ne è emerso, ci dà una visione in profondità nel pensiero di coloro che hanno trasposto il credo cristiano in parole. Illustra anche come essi capivano Cristo.

Come avevo sperimentato personalmente, ogni squilibrio nel capire chi è Cristo inevitabilmente scuote la fede cristiana. Ecco perché i Padri della Chiesa hanno attentamente utilizzato una terminologia unica e specifica per il credo. Non hanno imitato o inventato un mito, ma hanno realizzato il modello con cui si descrive la verità della rivelazione registrata nella Scrittura. L'opera dello Spirito Santo era evidente nella loro testimonianza alla verità unica. Questo ha assicurato che la terminologia non travalichi il significato, ma piuttosto lo illumini.

I Padri non discutevano semplicemente concetti irrilevanti o di un altro mondo e quindi erano consapevoli della loro responsabilità di difendere la fede a noi trasmessa dagli Apostoli. Questo sforzo è stato il punto cruciale del Concilio Ecumenico di Calcedonia. Questa volta, non era una questione di fedeltà alla terminologia preferita di una certa persona, ma di fedeltà alla fede. Questo è stato il cuore della famosa lettera di san Leone il Grande meglio conosciuta come il Tomo.

A mio parere, il passao più importante nel Tomo è il numero IV. Questo passo del Tomo riassume il significato delle Scritture e fa eco a Paolo in due celebri brani poetici in Filippesi 2:6 e Galati 4:4-6, che descrivono come Dio si è fatto uomo e ha riunito la debolezza con l’onnipotenza nella sua stessa persona. San Leone conclude "... Quindi, in conseguenza di questa unità della persona che deve essere intesa in entrambe le nature, leggiamo del Figlio dell'uomo sceso dal cielo, quando il Figlio di Dio si è incarnato dalla Vergine che lo ha partorito. E di nuovo si dice che il Figlio di Dio è stato crocifisso e sepolto, anche se non era in realtà nella Sua Divinità in base al quale l'Unigenito è coeterno e consustanziale con il Padre, ma piuttosto nella sua debole natura umana che egli ha sofferto queste cose. Ed è così che anche nel Credo tutti noi confessiamo che il Figlio unigenito di Dio fu crocifisso e sepolto, secondo quanto dice l'Apostolo: "perché, se avessero saputo, non avrebbero mai crocifisso il Signore della gloria. "(1 Corinzi 2:8).

Il credo di Calcedonia è cresciuto in modo significativo in questo spirito. Nonostante l'uso di classici termini patristici come "Theotokos" e "ipostasi", non è stato limitato dalla terminologia. È riuscito a essere, come dice Karl Rahner: "sia un punto di fine che d'inizio. Per quanto è riuscito a spiegare una dottrina e a porre fine a quasi duecento anni di polemiche, è riuscito a essere la base per un'antropologia cristiana più profonda alla luce dell'amore divino. "

Il quarto Concilio ecumenico tenuto a Calcedonia

L’essenza "teantropica" [6]

Dopo aver risposto alla mia domanda iniziale su chi è il Cristo e stabilito la mia comprensione di ciò che significa in pratica attraverso lo studio del Concilio di Calcedonia, ho iniziato a muovermi nell'approfondire il mio concetto di fede e di spiritualità. Ho scoperto che ci sono due tipi di spiritualità, uno vero e uno falso. La spiritualità reale si basa su Cristo come realtà e pietra angolare della Chiesa. Egli è la Verità (cfr Gv 14,6) e la vera spiritualità è dimorare in lui (1 Gv 2, 28). Al contrario, la spiritualità falsa proviene spesso dalla trasposizione di bisogni emotivi. Alcune persone emanano una spiritualità superficiale per paura dell'inferno o del giudizio, mentre altri cercano buone azioni per soddisfare qualcosa dentro di loro o per indossare una maschera come i farisei (Marco 12:40). Questo parvenza di spiritualità non si può esercitare in modo permanente e non potrà mai essere bella o solida come una spiritualità basata sull'immagine del Dio-uomo, ovvero theanthropos. Quando la spiritualità è profondamente radicata nella conoscenza della cristologia, siamo meglio attrezzati per riconoscere la bellezza e la significatività della vita cristiana.

Qui è venuto il punto cruciale. Sapevo che credere in Cristo deve essere basato su due concetti importanti: in primo luogo, dobbiamo capire che l'incarnazione non è solo il fatto che il Figlio abbia assunto la carne nel grembo della Madre di Dio. Questo è stato solo l'inizio. L’incarnazione ha trovato il suo compimento quando Dio il Figlio ha vissuto l'intera esperienza umana con tutti i suoi limiti. Gesù ha effuso la sua luce divina nell'esperienza umana e consegnò questa a Dio come dice Paolo, "Perciò in tutte le cose gli conveniva essere reso simile ai suoi fratelli ... Per in quanto egli stesso ha sofferto la tentazione, è in grado di soccorrere quelli che sono tentati" (Ebrei 2:17-18). Questo rende la forma umana completa e le permette di essere divinizzata. In questo modo, Cristo diventa l'archetipo dell'uomo e l'obiettivo di un’umanità divinizzata. Egli è l'Alfa e l'Omega.

In secondo luogo, abbiamo bisogno di vedere la persona divina. Così, la seconda ipostasi della santissima Trinità, che è il Figlio, ha preso forma umana. Di conseguenza, la nostra natura è dentro la sua ipostasi e in questo modo incontriamo Dio, non solo un profeta, perché Gesù è l'espressione dell'essenza di Dio (Ebrei 1:3). Ecco perché quando vediamo Gesù, "noi tutti, a viso scoperto, contempliamo come in uno specchio la gloria del Signore" (2 Cor 3:18). San Leonzio di Bisanzio usato il termine enhypostaton, il che significa che la natura umana di Cristo non era mai stata in una persona umana o in una persona diversa da Dio, ma è diventata personalizzata nella sua ipostasi/persona divina.

Cristo pantocratore. icona del VI secolo, Monastero di santa Caterina, Sinai.

Nei suoi occhi il potere e l'amore divino appaiono insieme.

È tempo di cambiare

La salvezza sta passando all’"altra" natura. Ricordo una bella definizione della redenzione nel recente libro di Papa Benedetto XVI, che dice: "il discepolo che cammina con Gesù viene così portato con lui in comunione con Dio. E questo è il significato della redenzione: un passo al di là dei limiti della natura umana, che era lì come una possibilità e un'attesa nell’uomo, immagine e somiglianza di Dio, fin dal momento della creazione "[7]

Questa è la differenza che la comprensione della cristologia ha fatto nella mia vita. Credere nel Dio-uomo è sapere quanto Dio ama la sua creazione e soprattutto l'umanità. Perché Egli stesso si è fatto uomo, vivendo l'esperienza della natura umana e portandola al modo divino di essere, anche se l'uomo lo ha ucciso. È quasi impossibile capire questo dono supremo di sé come descritto da san Paolo in Filippesi 2:4-6 e continuare a trattare le persone con mancanza di rispetto.

Al centro della salvezza è la divina inumanazione, per cui Dio Padre vede il volto del suo Figlio diletto in forma umana. Attraverso Gesù che è uno di noi, [8] Dio Padre ci vede nel suo Figlio. Versa il Suo Spirito in noi per mezzo del Figlio, in modo che noi possiamo partecipare del suo stato di Figlio (Galati 4:4-8). Al tempo stesso, in Gesù vediamo la natura divina, il prosopon Divino. [9]

Il vero significato di questo è stato ben espresso da una storia interessante che Henri Boulad, un monaco gesuita, ci ha detto durante la prima conferenza teologico-ecumenica nella nostra Chiesa in Egitto. Quando l'ordine dei gesuiti in Egitto stava preparando il prossimo numero della sua rivista annuale, a Boulad è stato chiesto di scegliere un'immagine di Gesù per la copertina. Ha visto icone e immagini qui e là, ma poi ha scelto l'immagine di un bimbo che aveva visto in strada. Ha detto che quando siamo in grado di vedere l'immagine divina in quel bambino e muoversi verso di esso con amore come Dio ha fatto con noi mediante la sua incarnazione, allora diveniamo salvati.

Quindi, abbiamo accettato veramente la salvezza quando vediamo l'immagine divina del Figlio nell’umanità di ogni essere umano che incontriamo. Allora possiamo vedere Cristo in essi e riversare il nostro amore su di loro, e come Dio riversa la sua luce divina, attraverso di noi - La sua comunità eucaristica - così diventiamo suoi sacerdoti per il nuovo mondo glorificato esattamente come dice Paolo in Romani 8:19 - 20.

Sono questi i concetti che sono stati messi in parole nel credo di Calcedonia e questi stessi concetti sono esattamente quelli che sono stati respinti dai non calcedoniani, come la Chiesa copta in cui sono cresciuto. Di conseguenza, essi rifiutano l'intero insegnamento ortodosso della salvezza come sono giunto a capirlo. [10] Nel settembre del 2006, dopo aver concluso tutto questo, mi sono detto, "È tempo di cambiare!" E sono stato ricevuto nella comunione con la Chiesa ortodossa dove ora celebro e vivo la pienezza della divina economia e dei suoi 2000 anni di vita e di preghiera.

Ora, se la stessa insegnante di storia mi ponesse di nuovo la domanda "Chi è Gesù", io risponderei con la stessa risposta, Gesù è Dio e uomo. Non sarei perplesso questa volta, non perché ho potuto svelare il mistero dell'incarnazione, ma perché ora l’ho capito e accettato per fede. Tuttavia, non credo che lei sarebbe meno perplessa.

 

Note

[1] Patriarca Shenouda III, The Nature of Christ, 1 ° edizione 1985 Ottawa

[2] Ibidem. p.4

[3] Ibidem. p.9

[4] Atanasio di Alessandria, Trattato sull’incarnazione, 53.

[5] Gregorio di Nazianzo, Lettera 51

[6] Questo termine deriva da theanthropos, una parola patristica greca che significa "Dio uomo", che è Cristo.

[7] Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, p.8. Roma 2006

[8] mentre siamo ontologicamente radicati in Lui attraverso l'Eucaristia (partecipando della sua stessa vita)

[9] Prosopon significa persona, in Cristo incontriamo Dio personalmente, perché Cristo non è diverso dal Figlio divino e neanche unito a lui. Cristo è la stessa persona divina.

[10] Questo ha portato ad una serie di condanne all'interno della Chiesa copta contro gli studiosi che hanno accettato la deificazione e la salvezza come detto prima. Il caso più famoso è la scomunica del prominente studioso George H. Bebawi che serve ora sotto la Chiesa Ortodossa Russa.

 
Cât postim înainte de Liturghia Darurilor Înaintesfinţite?

Liturghia Darurilor Înaintesfinţite nu este o slujbă euharistică de dimineaţă, aşa cum e Liturghia Sf. Ioan Gură de Aur sau a Sf. Vasile cel Mare, ci este o rânduială specială de împărtăşire, cu Daruri euharistice sfinţite în prealabil, şi care trebuie săvârşită spre seară, aşa încât credincioşii să se împărtăşească după o ajunare mai lungă decât de obicei. Aceasta e logica Liturghiei Darurilor Înaintesfinţite şi tocmai din acest motiv ea se uneşte cu Vecernia, ca să fie săvârşită spre seară, nicidecum dimineaţa!

Pe de altă parte, chiar şi în trecut, împărtăşirea nu se făcea seara târziu, ci avea loc pe la orele 15/16 – timp la care majoritatea oamenilor de acum nu pot participa din cauza programului de lucru. Ajunarea până la orele 18/19, când ar putea avea loc împărtăşirea în zilele noastre, este un lucru anevoios pentru majoritatea oamenilor din lume şi chiar pentru călugări, de aceea, Biserica s-a văzut nevoită se vină cu nişte reglementări speciale care să stabilească durata ajunării înainte de împărtăşire, fără a desfiinţa nici regula postului şi nici tradiţia slujirii acestei Liturghii seara.

Mă refer la o hotărâre a Sinodului Bisericii Ortodoxe Ruse din 28 noiembrie 1968 (Jurnalul 41).

Ca urmare a adresării mitropolitului Antonie de Suroj şi a arhiepiscopului Ionathan de New-York, şi în baza raportului ştiinţific al profesorului Nicolae Uspensky, Sfântul Sinod a hotărât:

1. Se binecuvintează ca în bisericile Patriarhiei Moscovei Liturghia Darurilor Înaintesfinţite să se săvârşească seara, acolo unde chiriarhul va considera aceasta de folos.

2. Pentru săvârşirea Liturghiei Darurilor Înaintesfinţite în orele de seară, abţinerea de la mâncare şi băutură pentru doritorii de a se împărtăşi trebuie să fie de minimum şase ore; iar abţinerea înainte de împărtăşire începând cu miezul nopţii al acelei zile este lăudabilă şi ea poate fi respectată de cei care au putere fizică.

Mai precizez că această hotărâre a fost confirmată de Adunarea Consultativă a Arhiereilor Bisericii Ortodoxe Ruse, desfăşurată la Moscova în perioada 2-3 februarie 2015, la care au participat 259 de ierarhi. În documentul „Despre participarea credincioşilor la euharistie” (II.2) adunarea ierarhilor reconfirmă postul minim de 6 ore atât pentru Liturghia Darurilor Înaintesfinţite, cât şi pentru anumite categorii de oamenii care, din cauza anumitor boli, trebuie să mănânce dimineaţa înainte de a merge la slujba de duminică sau sărbătoare.

În concluzie, dacă Liturghia Darurilor Înaintesfinţite se săvârşeşte pe la orele 18/19 seara şi, respectiv, împărtăşirea va avea loc pe la 19/20 sau chiar mai târziu, credincioşii pot mânca ceva uşurel pe la prânz, calculând minim şase ore până la împărtăşire. Bineînţeles, mâncarea trebuie să fie una uşoară, doar spre întărire, nu se plăcere sau îmbuibare. Şi să nu uităm că postul nu este cel mai important lucru în pregătirea noastră pentru împărtăşire...

P.S. Consider că această hotărâre poate fi folosită şi pe teritoriul canonic al altor Biserici Ortodoxe Autocefale.

 
Sulle Sacre Scritture nella vita di Padre Zosima

Amici e maestri, ho sentito più volte, soprattutto negli ultimi tempi, che da noi i sacerdoti di Dio, soprattutto nelle zone di campagna, si lamentano ovunque del loro misero stipendio e delle loro umilianti condizioni di vita, e dichiarano, anche per mezzo della stampa (l’ho letto io stesso) di non essere più in grado di spiegare le Scritture al popolo, perché hanno pochi mezzi, e che se i luterani e gli eretici arrivassero a portar via il loro gregge, lo lascerebbero andare, perché, come dicono, hanno poche risorse. Signore Iddio! Che tu li benedica aumentando le loro risorse (perché il loro reclamo è giusto), ma in verità vi dico: se qualcuno è colpevole di questo, allora per metà siamo colpevoli noi stessi! Infatti, anche se non hanno tempo, anche se dicono giustamente di essere presi per tutto il tempo da attività e servizi, ma non sarà per tutto il tempo, perché, dopo tutto, avranno almeno un'ora libera in tutta la settimana per ricordare Dio. E poi non si lavora tutto l'anno. Che un sacerdote raccolga attorno a sé una volta alla settimana, in un’ora serale, anche solo i bambini, in un primo momento – poi i padri lo sapranno e incominceranno a venire anche loro. E non occorre costruire un palazzo per queste cose, basta accoglierli nella sua izba [casetta], non tema che gli si riempia di fango la casa, ci rimarranno solo un'ora. Apra questo libro e inizi a leggere senza parole difficili e senza presunzione, senza elevarsi al di sopra di loro, e con tenerezza e mitezza, felice di leggere con i fedeli, e che questi lo ascoltino e lo comprendano, con amore per le parole della lettura, che si fermi solo di rado per spiegare le parole che i più semplici non riescono a capire, e che non si preoccupi, tutti capiranno, tutto capisce il cuore ortodosso! Che legga la storia di Abramo e Sara, di Isacco e Rebecca, di come Giacobbe andò da Labano e lottò con il Signore in sogno e gli disse: "Questo posto è terribile", e questo rimarrà impresso nelle menti devote della gente più semplice. Che legga, soprattutto ai bambini, come i fratelli vendettero come schiavo Giuseppe, il caro ragazzo, sognatore e il grande profeta, e poi dissero al padre che una belva aveva divorato suo figlio, mostrandogli la sua veste insanguinata. Legga come poi i fratelli arrivarono in Egitto per comprare il pane, e Giuseppe, diventato già un grande dignitario, senza essere riconosciuto da loro, li tormentò, li accusò, imprigionò il fratello Beniamino, e tutto ciò pur amandoli ancora, "Vi voglio bene e per amore vi tormento". Infatti, per tutta la sua vita, si era costantemente ricordato di come l'avevano venduto ai mercanti là nella steppa ardente, vicino al pozzo, e di come lui, torcendosi le mani, piangeva e pregava i fratelli di non venderlo come schiavo in terra straniera. Ed ecco, rivedendoli dopo tanti anni, sentiva di nuovo per loro un amore immenso, ma li perseguitò e li fece soffrire, pur amandoli. Infine si allontanò da loro, non potendo sopportare il dolore nel suo cuore, si gettò sul letto e pianse. Poi si asciugò il volto, tornò da loro sereno e raggiante, ed esclamò: "Fratelli, io sono Giuseppe, vostro fratello". Vada ancora avanti, e legga come il vecchio Giacobbe si rallegrò nel sentire che il suo caro ragazzo era vivo, e come si trascinò fino in Egitto, abbandonando anche la patria, e come morì in terra straniera, dopo aver annunziato, per tutti i secoli dei secoli, la grande parola, che era rimasta misteriosamente chiusa nel suo cuore timido e mansueto tutta la vita, e cioè che dalla sua progenie, dalla stirpe di Giuda, sarebbe uscita la grande speranza del mondo, il pacificatore, il Salvatore! Padri e maestri, perdonatemi, e non vi adirate se parlo come un bambino di cose che già da molto conoscete, e che potete insegnare a me in modo cento più qualificato ed eloquente del mio. Io parlo così per entusiasmo, e perdonatemi se piango, ma amo questo libro! Che si metta a piangere anche lui, il sacerdote di Dio, e vedrà che i cuori di quelli che lo ascoltano gli risponderanno con un fremito. Basta un piccolo seme, un seme minuscolo: lo getti nell'anima dell'uomo semplice, e non morrà. Vivrà dentro di lui per tutta la vita, nascosto nel buio del suo cuore, in mezzo alla putredine dei suoi peccati, come un punto luminoso, come un grande richiamo.. E non c'è bisogno di spiegare molto, di insegnare molto, non ce n'è bisogno; capirà tutto facilmente. Credete forse che l'uomo comune non capisca? Provate a leggergli la storia, toccante e commovente, della bella Ester e dell’arrogante Vasti, o il meraviglioso racconto del profeta Giona nel ventre della balena. Non dimenticate di leggergli anche le parabole del Signore, soprattutto quelle del Vangelo secondo Luca (come ho fatto io), e poi dagli Atti degli Apostoli, la conversione di Saulo (quella è da leggere assolutamente, assolutamente!) E, infine, dalle Vite dei Santi, almeno la vita di Alessio, l'uomo di Dio, e della grande tra le grandi beate lottatrici, Maria l'Egiziaca, che vide Dio e portò Cristo in sé. Con queste storie semplici penetrerete nel suo cuore, e basterà un'ora la settimana, malgrado lo stipendio minuscolo, un'ora soltanto! E allora vedrà che il nostro popolo è misericordioso e riconoscente, e che lo ricompenserà cento volte; ricordandosi del suo zelo e delle sue parole commosse, lo aiuterà volentieri nel suo campo, lo aiuterà anche in casa, e lo rispetterà molto più di prima, ed ecco che così le sue condizioni di vita saranno subito migliori. È una cosa talmente semplice, che a volte si ha perfino paura di dirla, perché qualcuno si burlerà certo di noi, eppure è così vera! Chi non crede in Dio, non crederà neppure nel popolo di Dio. Chi, invece, ha creduto nel popolo di Dio, arriverà sicuramente a comprendere la santità, anche se prima non ci credeva affatto. Soltanto il popolo con la sua forza spirituale futura convertirà i nostri atei, che si sono staccati dalla loro terra natale. E che cos'è la parola di Cristo senza l'esempio? Guai al popolo, se gli manca la parola di Dio, perché la sua anima ha sete di questa parola e di ogni buona impressione.

 
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Covid 19 – il disastro economico evitabile

Il Covid 19 continua a diffondersi rapidamente in tutto il mondo, proprio come inevitabilmente fa ogni nuovo virus.

La situazione ideale sarebbe il 100% di infezione e lo 0% di morti. Oggi, a differenza di aprile e maggio, ci sono migliaia di casi di contagio ogni giorno (e sono solo quelli registrati ufficialmente) e relativamente pochi morti (anche se, tragicamente, sono ancora decine). Alcuni professionisti sanitari ritengono che tra un terzo e la metà della popolazione del Regno Unito abbia già avuto l'infezione. Questo spiegherebbe il gran numero di casi e i relativamente pochi decessi.

Per la maggior parte, specialmente per quelli sotto i 40 anni, il contagio non crea sintomi oppure si sperimenta come un lieve raffreddore. In generale, tra gli studenti che lo prendono, il 90% non si rende nemmeno conto di averlo. Tuttavia, quelli che sono molto fragili a causa della vecchiaia avanzata (l'età media dei morti è 83 anni), o hanno malattie croniche, o sono tossicodipendenti, alcolizzati, forti fumatori o sono obesi, soffrono e, purtroppo, molti di loro muoiono.

Tra gli infettati di età superiore a 90 anni c'è ancora un tasso di recupero dell'85%. La maggior parte delle persone altamente vulnerabili è già tragicamente scomparsa, da qui forse il basso tasso di mortalità di oggi nonostante l'alto tasso di infezione. Ogni giorno molte più persone muoiono per altre malattie, tra cui l'influenza ordinaria, il cancro, attacchi di cuore, incidenti stradali, suicidi (a causa della depressione causata dal lock-down del governo – in effetti, una forma di carcerazione) che per il Covid.

I governi in preda al panico in tutto il mondo hanno rimandato l'inevitabile diffusione del Covid imprigionando gli ingenui nella popolazione e mandando in bancarotta le loro economie sotto la pressione dei media atei allarmistici e isterici. La loro reazione di fatto è un problema spirituale. È avvenuto perché chi è al governo teme la morte, invece di temere Dio. Attraverso il loro allarmismo, i non cristiani e, più spesso, gli anti-cristiani, nei media e nei governi hanno creato la vera pandemia, la pandemia di depressione, disoccupazione e bancarotta. Per generazioni bisognerà pagare il prezzo di questo grave errore.

 
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