Rubrica

 

Informații despre parohia în alte limbi

Mirrors.php?fotossezPage=19&locale=ro&id=205  Mirrors.php?fotossezPage=19&locale=ro&id=602  Mirrors.php?fotossezPage=19&locale=ro&id=646  Mirrors.php?fotossezPage=19&locale=ro&id=647  Mirrors.php?fotossezPage=19&locale=ro&id=4898 
Mirrors.php?fotossezPage=19&locale=ro&id=2779  Mirrors.php?fotossezPage=19&locale=ro&id=204  Mirrors.php?fotossezPage=19&locale=ro&id=206  Mirrors.php?fotossezPage=19&locale=ro&id=207  Mirrors.php?fotossezPage=19&locale=ro&id=208 
Mirrors.php?fotossezPage=19&locale=ro&id=3944  Mirrors.php?fotossezPage=19&locale=ro&id=7999  Mirrors.php?fotossezPage=19&locale=ro&id=8801  Mirrors.php?fotossezPage=19&locale=ro&id=9731  Mirrors.php?fotossezPage=19&locale=ro&id=9782 
Mirrors.php?fotossezPage=19&locale=ro&id=11631         
 

Calendar Ortodox

   

Școala duminicală din parohia

   

Căutare

 

In evidenza

04/10/2023  Scoperte, innovazioni e invenzioni russe  
14/03/2020  I consigli di un monaco per chi è bloccato in casa  
11/11/2018  Cronologia della crisi ucraina (aggiornamento: 3 febbraio 2021)  
30/01/2016  I vescovi ortodossi con giurisdizione sull'Italia (aggiornamento: 21 dicembre 2022)  
02/07/2015  Come imparare a distinguere le icone eterodosse  
19/04/2015  Viaggio tra le iconostasi ortodosse in Italia  
17/03/2013  UNA GUIDA ALL'USO DEL SITO (aggiornamento: aprile 2015)  
21/02/2013  Funerali e commemorazioni dei defunti  
10/11/2012  Naşii de botez şi rolul lor în viaţa finului  
31/08/2012  I nostri iconografi: Iurie Braşoveanu  
31/08/2012  I nostri iconografi: Ovidiu Boc  
07/06/2012  I nomi di battesimo nella Chiesa ortodossa  
01/06/2012  Indicazioni per una Veglia di Tutta la Notte  
31/05/2012  La Veglia di Tutta la Notte  
28/05/2012  Pregătirea pentru Taina Cununiei în Biserica Ortodoxă  
08/05/2012  La Divina Liturgia con note di servizio  
29/04/2012  Pregătirea pentru Taina Sfîntului Botez în Biserica Ortodoxă
 
11/04/2012  CHIESE ORTODOSSE E ORIENTALI A TORINO  
 



Pagina principală  >  GALLERIE FOTOGRAFICHE
GALLERIE FOTOGRAFICHE

Clicca sull'immagine per aprire la galleria

Răspândește:
 
 
Sezione 1

Siti ufficiali delle Chiese Ortodosse nel mondo

 
Come comportarsi con rispetto in una chiesa ortodossa

L'interno di un tempio ortodosso, accuratamente predisposto per riflettere il cielo sulla terra, richiama tutti coloro che vi entrano (siano essi fedeli assidui o semplici visitatori) a un comportamento riverente e adeguato alla santità del luogo.

Quelle che seguono non sono norme fisse e vincolanti, ma una guida per promuovere l'ordine e il decoro nella chiesa. Poiché i suggerimenti provengono per la maggior parte da chiese di tradizione russa, è opportuno notare come in altre tradizioni locali vi siano usanze leggermente differenti.

I consigli sono rivolti a una persona che entra in una chiesa ortodossa alla ricerca di un punto di rifugio dalle intemperie della vita: idealmente, si tratta di ciascuno di noi.

Atteggiamento interiore ed esteriore

Entra nel tempio con un senso di gioia spirituale. Sei di fronte a Colui che promise di dare conforto agli afflitti: "Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò." (Matteo 11:28). Entra con mitezza, nello spirito del pubblicano del Vangelo, che uscì dal tempio giustificato. Mentre contempli il Volto del Signore e dei santi nelle icone, ricorda come allo stesso tempo essi ti stanno guardando.

Partecipazione

Anche se sei solo in visita occasionale, prega nel tempio come un pieno partecipante, e non come un mero spettatore. Così le preghiere che vengono lette e cantate proverranno anche dal tuo cuore. Segui con attenzione le funzioni, e la tua preghiera non sarà solo personale, ma si unirà alla grande preghiera dell'intera Chiesa di Cristo. Ricorda che le funzioni non sono un tempo per la preghiera privata, ma per la condivisione della grande preghiera della Chiesa.

Orario di arrivo

Cerca di arrivare sempre in tempo, prima dell'inizio delle funzioni. Arrivare in ritardo può capitare e talvolta capita, ma non è certo qualcosa di cui andare fieri. Se, per qualche ragione di forza maggiore, sei in ritardo, abbi cura di non interferire con le preghiere di chi è entrato prima di te. Se arrivi proprio durante la lettura dell'Epistola o del Vangelo, è bene attendere fino alla fine della lettura per entrare o muoverti.

Se arrivi prima della funzione, puoi passare il tempo a prepararti interiormente per la funzione: a un certo punto della Divina Liturgia, durante l'Inno dei Cherubini, ti verrà chiesto di "deporre ogni affanno della vita."

Entrando nel tempio

All'ingresso nel tempio, fatti il segno della croce per tre volte, accompagnando ogni volta il segno di croce con un inchino fino alla cintola. Esistono diverse formule che accompagnano i tre segni di croce, basate sulla preghiera del pubblicano del Vangelo, accompagnate da richieste di intercessione alla Madre di Dio e ai Santi: queste ti ricordano che ti stai preparando essenzialmente a un incontro.

Dopo l'ingresso

Non fermarti di fronte all'entrata, per non bloccare la strada degli altri che entrano per pregare. Muoviti con tranquillità e naturalezza: in un tempio ortodosso puoi andare a occupare il posto che desideri, e se lo vuoi puoi anche cambiare posto nel corso della funzione. Ricorda soltanto che, se passi di fronte alle Porte Sante dell'iconostasi, è bene fermarti un attimo e fare il segno della croce.

Incontri e conversazioni

Quando arrivi, saluta gli amici in silenzio, con un sorriso, un cenno del capo o un inchino. Nella chiesa, evita le strette di mano o gesti simili, anche con amici o parenti stretti, e non metterti a conversare con loro. Vi sono alcuni gesti permissibili in società, che in chiesa diventano quanto mai equivoci: un esempio è baciare la mano alle donne, che si confonde con i gesti di venerazione degli oggetti sacri, e che si dovrebbe assolutamente evitare. Se è necessario parlare (per esempio per chiedere informazioni o assistenza), cerca di farlo con il minimo di disturbo.

Uomini e donne

Secondo un antico costume, uomini e donne occupano nel tempio posti separati. A seconda della disposizione architettonica del tempio, e di usi locali, potrai trovare le donne sulla sinistra e gli uomini sulla destra, oppure le donne sul retro e gli uomini di fronte. Cerca di adeguarti anche tu a questa disposizione.

Vestiti

La Chiesa ortodossa è solitamente piuttosto severa in tema di abbigliamento dei fedeli. Oltre alle comprensibili raccomandazioni sulla modestia e decenza del vestiario (in chiesa non si va per suscitare curiosità e attrattiva fisica), ci sono due importanti regole bibliche da seguire:

-Le donne non dovrebbero vestirsi con indumenti maschili, e viceversa (Deuteronomio 22,5): questa è una ragione per cui in molte chiese ortodosse, anche in Occidente, una donna che porta i calzoni si considera vestita in modo sconveniente.

- Le  donne dovrebbero coprirsi il capo in chiesa, e gli uomini dovrebbero restare a capo scoperto (I Corinzi 11,5). Fanno eccezione i copricapi dei monaci e del clero: questi hanno significati simbolici, e quanti li indossano devono ricevere speciali benedizioni.

Postura

Nel tempio dovresti di norma stare in piedi. In caso di malattia o di stanchezza, ti è permesso sedere. I posti per le persone malate o anziane sono talvolta limitati, per cui abbi cura che ne possa usufruire anche chi ne ha più bisogno di te. Se ti siedi, abbi cura di rimanere in una posizione composta, ed evita di incrociare le gambe.

Non passare il tempo a osservare o scrutare cosa fanno gli altri. Oltre che a evitare di farti esprimere giudizi, questa disciplina ti aiuterà a concentrarti sulle funzioni, e con tutta la complessità dei riti e dell'iconografia non avrai certo tempo di annoiarti.

Bambini

Se porti bambini alle funzioni, assicurati che si comportino con tranquillità, e senza fare rumore (il miglior modo è offrire loro un buon esempio: ricorda che i bambini imitano istintivamente l'atteggiamento degli adulti che li accompagnano). Se i bambini si mettono a piangere o non riescono a stare in silenzio, accompagnali tranquillamente fuori. Insegna loro a rispettare il tempio, segnandosi all'ingresso e all'uscita, e istruiscili nella pratica della preghiera.

Non permettere ai bambini di mangiare o bere qualcosa all'interno del tempio: l'eccezione è costituita ovviamente dalla Santa Comunione e dal pane benedetto distribuito dopo la Liturgia. Questa regola non vale solo per i bambini, e va rispettata per sottolineare l'importanza del nutrimento dello spirito.

Icone

Dopo i segni della croce all'ingresso, puoi andare a venerare le icone. Tipicamente l'icona viene venerata con un bacio, anche se tra alcuni popoli è consuetudine anche appoggiare la fronte all'icona dopo averla baciata. Per ovvie ragioni, è opportuno che nel tempio le donne non portino rossetto sulle labbra! Il punto preciso del bacio dipende dal tipo di icona, ma preferibilmente dovrebbe coincidere con il luogo dove ci si aspetta un bacio rituale (la mano di Cristo, un libro dei Vangeli, l'orlo di una veste); per questa ragione, nelle icone non si baciano di solito i volti.

Di solito, si venera l'icona del Santo patrono o della festa del giorno, posta su di un analoghio (leggìo) nel mezzo del tempio, e quindi le icone di Cristo e della Madre di Dio. Nulla ti vieta, comunque, di andare a venerare icone di tua scelta. Se al momento del tuo arrivo la funzione è già iniziata, può essere meglio che tu ti astenga dall'andare a venerare le icone, perché a questo punto il tuo passaggio in mezzo agli altri fedeli può disturbare la loro preghiera.

Dopo aver venerato le icone, puoi seguire l'antico costume di chiedere perdono ai presenti, inclusi gli angeli che sono già tra loro. Anche senza chiedere esplicitamente perdono, è sufficiente fare un inchino fino alla cintola, portando la mano destra a terra. Se sei nella congregazione mentre qualcuno si inchina a chiederti perdono, inchinati a tua volta, ripetendo il suo gesto: è il modo in cui i fedeli accolgono la richiesta di perdono, rivolgendosi a Dio come alla fonte di ogni perdono.

Candele

Prepara prima di arrivare alla funzione il denaro che offrirai per le candele: eviterai di fare rumore e di causare distrazioni. Dopo avere lasciato l'offerta, prendi le candele, che potrai accendere di fronte all'icona che desideri. Abbi cura, se vedi tante candele già accese in un certo punto, di non accumularne troppe una vicino all'altra (il calore le farebbe fondere e piegare tutte assieme, con scarso effetto estetico e un reale pericolo di incendio).

Offerte

Come per le candele, è bene preparare in anticipo il denaro per tutto quanto è d'uso offrire nella chiesa (per le liste dei viventi e dei defunti da commemorare, per le piccole prosfore che si accompagnano alle liste dei nomi nell'uso russo, per la questua, etc.). Mettersi a contrattare per cambiare denaro nel tempio del Signore non è proprio un comportamento adatto ai cristiani...

Se hai altre questioni monetarie in sospeso con la chiesa (pagamento di quote parrocchiali, offerte per speciali intenzioni, e così via), cerca di non risolverle in alcun modo durante le funzioni.

Gesti rituali

Segui le funzioni con il tuo corpo non meno che con la tua mente. La pietà ortodossa è ricca di azioni che coinvolgono nel culto tutta la persona. Segnati ogni volta che senti il nome della Santa Trinità o qualche preghiera che ti coinvolge in modo personale. Agli incensamenti e nelle benedizioni che il prete fa con la mano, la risposta appropriata è inchinarsi al prete: in questi casi, segnarsi non è necessario. Ci si segna invece quando il prete benedice con qualche oggetto (la croce, il libro dei Vangeli, il calice con i Santi Doni, etc.). Se servi come lettore o corista, non hai l'obbligo di segnarti se tale azione ti può causare disturbo alla lettura o al canto.

Errori

Non condannare gli errori fatti dai celebranti o dagli altri fedeli, anche se ti capita di notare un atteggiamento sconveniente (se entriamo nel tempio per chiedere a Dio di perdonare i nostri peccati, non è salutare fissarci su quelli altrui). Se proprio devi cercare di porre rimedio a una situazione di grande inadempienza, cerca di farlo dopo la fine delle funzioni, e in modo quanto più riservato possibile.

Momenti di particolare riverenza

Vi sono alcune parti delle funzioni in cui è bene evitare del tutto i movimenti che possono creare intralcio o distrazione: bisogna cercare di non entrare o uscire dal tempio,  muoversi, accendere o spegnere candele o venerare icone durante i seguenti momenti:

Grande Veglia

  1. Piccolo ingresso (con il turibolo)
  2. Lettura dell'Esapsalmo
  3. Ingresso con il Vangelo e lettura del Vangelo Aurorale
  4. Canto del Magnificat ("Più insigne dei Cherubini..." ) e della Grande Dossologia

Divina Liturgia

  1. Piccolo Ingresso (con il Vangelo)
  2. Lettura dell'Apostolo e del Vangelo
  3. Canto dei Cherubini e Grande Ingresso (con i Santi Doni)
  4. Canto del Credo e Canone Eucaristico (che inizia con Misericordia di Pace..." e termina con la benedizione del prete "E siano le misericordie...").
  5. Canto del Padre Nostro.
  6. Lettura della preghiera prima della comunione: "Credo, Signore, e confesso..."

La Santa Comunione

Accostati con grande rispetto alla Santa Comunione, nell'atteggiamento richiesto nella chiesa dove ti comunichi (nelle chiese di tradizione russa, tieni le mani incrociate sul petto). Se, dopo aver ricevuto la comunione, ti viene chiesto di baciare il calice, fallo senza segnarti, per non rischiare di capovolgerlo incidentalmente. Coloro che si comunicano dovrebbero rimanere nel tempio mentre vengono lette le preghiere di ringraziamento per la comunione, dopo la Liturgia. Se per ragioni di forza maggiore non possono restare, sono comunque tenuti a recitare in privato le preghiere di ringraziamento.

L'antidoro

Quando ricevi l'antidoro (il pane benedetto) dopo la Liturgia, abbi cura di non spargerne a terra delle briciole, e se accompagni dei bambini a ricevere l'antidoro, presta particolare attenzione a che non lo facciano cadere. Puoi chiedere di portare a casa uno o più pezzi di antidoro, per dividerli con la tua famiglia: in tal caso cerca di avere un fazzoletto pulito o un altro recipiente adatto a contenere l'antidoro, e se puoi aspetta che tutti abbiano ricevuto il proprio pezzo (soprattutto quando i fedeli sono tanti), in modo da non privare qualcuno della propria parte.

Dopo la funzione

Se non c'è una necessità estrema, non lasciare il tempio prima della fine della funzione.

Il silenzio che dovrebbe accompagnare lo svolgimento di una funzione dovrebbe essere mantenuto anche dopo la conclusione, per lo meno finché i fedeli vanno in fila a venerare la croce e, nel caso della Liturgia, a ricevere l'antidoro. Durante questo momento, è stabilito che un lettore legga le preghiere di ringraziamento dopo la comunione: siccome queste preghiere sono recitate e non cantate, il rumore di una conversazione è in tale occasione ancora più fastidioso.

Spesso le funzioni ortodosse prevedono, dopo il termine della preghiera, un momento di aggregazione sociale: rimanda a tale momento tutte le tue necessità di incontri e conversazioni mondane.

 
100

Foto 100

 
100

Foto 100

 
101

Foto 101

 
Ringraziamento per gli aiuti alla Chiesa di Grecia

Dal sito del Dipartimento per le Relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, riportiamo nella sezione "Geopolitica ortodossa" dei documenti la versione russa e la traduzione italiana del comunicato del 26 novembre 2012. L'Arcivescovo di Atene Ieronymos ringrazia la Chiesa ortodossa russa per il risultato della campagna di aiuto alle strutture caritative della Chiesa di Grecia, impegnate oggi a sostenere le vittime della crisi economica.

 
101

Foto 101

 
101

Foto 101

 
La preghiera a casa durante la Quaresima

Nella situazione contemporanea dei fedeli ortodossi, che spesso sono completamente tagliati fuori dalla chiesa di Dio, che non hanno la possibilità di sperimentare in sé l'influsso benefico delle funzioni della chiesa e tutta l'atmosfera di preghiera della chiesa, è molto importante creare, anche nella propria solitudine, un po' di somiglianza con l'atmosfera ecclesiastica. Come si può fare?

Prima di tutto, occorre sistemare un posto speciale per la preghiera. Nella vostra casa, magari accanto al letto, sono appese due o tre icone e una lampada da vigilia è accesa davanti a loro... È indispensabile stabilire un ordine permanente di preghiera a casa. Selezionate una regola di preghiera - la sera, la mattina e durante il giorno. Fate in modo che la regola non sia troppo lunga, in modo che non vi stanchi a causa della novità dell'esperienza. La regola deve essere sempre osservata con timore, sforzo e attenzione. Anche in questo caso saranno richiesti alcuni elementi esterni: stare in piedi, fare prosternazioni, stare in ginocchio, fare il segno della croce, la lettura... Più spesso si prega in questo modo, meglio è. È bene abituarsi a una preghiera del genere, in modo che al principio, si accende subito lo spirito di una persona. Bisogna pregare semplicemente: alzandosi per pregare, dire le preghiere con timore e tremore, come all'orecchio di Dio, accompagnando la preghiera con il segno della croce, prosternazioni e inchini. La regola adottata deve essere sempre compiuta, senza eccezioni.

Ci sono diversi gradi di preghiera: il primo grado è la preghiera fisica, che consiste principalmente nella lettura, nello stare in piedi, nel fare prosternazioni; l’attenzione oscilla, il cuore non è sensibile, non vi è alcuna inclinazione verso la preghiera: sono necessarie fatica e pazienza, questa è la preghiera attiva . Il secondo grado è la preghiera attenta: la mente si abitua a concentrarsi nelle ore di preghiera e a pronunciare la preghiera intera senza distrazione. Il terzo grado è la preghiera del sentimento: il cuore si riscalda con il sentimento, e ciò che prima si pensa diventa sentimento. Uno che ha raggiunto questo sentimento prega senza parole, perché Dio è il Dio dei cuori.

Leggete la Parola di Dio, il Nuovo Testamento, e prima di leggere rivolgetevi a Dio in preghiera, perché il Signore vi possa aiutare a capire, accettare e mettere in pratica quello che avete letto. Non fatevi spaventare dall’ascesi, dallo sforzo, dal digiuno, dalla preghiera e dall'astinenza a cui la Chiesa vi chiama. Tutto questo è noioso e pesante solo quando è fatto senza memoria di Cristo, ma quando è fatto in nome di Cristo, con fede e amore, allora il giogo diventa facile e il fardello diventa luce...

Che il Signore ci aiuti a compiere bene il percorso della Grande Quaresima in modo da poter degnamente adorare la gloriosa Risurrezione!

 
Regole per una vita devota

Forzati ad alzarti presto e a un'ora fissa. Appena ti svegli, rivolgi la tua mente a Dio: fai il Segno della Croce, e ringrazialo per la notte che è passata e per tutte le sue misericordie nei tuoi confronti. Chiedigli di guidare ogni tuo pensiero, sensazione e desiderio, in modo che tutto ciò che dici o che fai gli sia gradito.

Quando ti vesti ricorda la presenza del Signore e del tuo Angelo custode. Chiedi al Signore Gesù Cristo di ricoprirti con il manto di salvezza.

Dopo esserti lavato, vai a fare le preghiere del mattino. Prega in ginocchio, con concentrazione, con riverenza e mitezza, come si conviene di fronte agli occhi dell'Onnipotente. Chiedigli di darti fede, speranza e amore, così come una tranquilla forza per accettare tutto ciò che il giorno che viene ti può portare - le sue difficoltà e suoi problemi. Chiedigli di benedire le tue fatiche.

Chiedigli aiuto: per adempiere qualche particolare compito che hai di fronte; per stare alla larga da qualche particolare peccato.

Se puoi, leggi qualcosa dalla Bibbia, soprattutto dal Nuovo Testamento e dai Salmi. Leggi con l'intenzione di ricevere qualche illuminazione spirituale, inclinando il tuo cuore alla compunzione. Dopo avere letto un poco, fermati a riflettere su quanto leggi, e quindi procedi oltre, ascoltando ciò che il Signore suggerisce al tuo cuore.

Cerca di dedicare almeno quindici minuti a contemplare spiritualmente gli insegnamenti della Fede e il profitto della tua anima in quanto hai letto.

Ringrazia sempre il Signore perché non ti ha lasciato perire nei tuoi peccati, ma si preoccupa di te e ti guida in ogni modo possibile al Regno Celeste.

Inizia ogni mattino come se avessi appena deciso di diventare un cristiano e di vivere secondo i comandamenti di Dio.

Andando a fare i tuoi doveri, sforzati di fare tutto alla gloria di Dio. Non iniziare nulla senza preghiera, perché tutto ciò che facciamo senza pregare alla fine si rivela futile o dannoso. Le parole del Signore sono vere: "Senza di me, non potete fare niente."

Imita il nostro Salvatore, che ha lavorato aiutando Giuseppe e la sua purissima Madre. Mentre lavori, mantieni un buono spirito, affidandoti sempre all'aiuto del Signore. È cosa buona ripetere incessantemente la preghiera: "Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi misericordia di me peccatore."

Se i tuoi lavori hanno successo, rendi grazie al Signore; e in caso contrario, affidati alla sua volontà, poiché Egli si prende cura di noi e dirige tutto verso il meglio. Accetta tutte le difficoltà come penitenza per i tuoi peccati - in spirito di obbedienza e di umiltà.

Prima di ogni pasto, prega che Dio benedica il cibo e le bevande; e dopo il pranzo rendi grazie a Dio e chiedigli di non privarti delle sue benedizioni spirituali. È bene lasciare la tavola sentendo un poco di appetito. In ogni cosa, evita gli eccessi. Seguendo l'esempio dei cristiani antichi, digiuna il Mercoledì e il Venerdì.

Non essere avido. Sii contento di avere cibo e vestiti, imitando Cristo che si è impoverito per noi.

Sforzati di compiacere il Signore in tutto, in modo da non essere rimproverato dalla tua coscienza. Ricordati che Dio ti vede sempre, e così sii accuratamente vigilante per quanto riguarda i sentimenti, i pensieri e i desideri del tuo cuore. Evita anche i più piccoli peccati, per non cadere in quelli più grandi. Scaccia dal tuo cuore ogni pensiero o progetto che ti muove lontano dal Signore. Lotta specialmente contro i desideri impuri; scacciali dal tuo cuore come una scintilla di brace che cade sui tuoi vestiti.

Se non vuoi essere turbato da desideri malvagi, accetta mitemente l'umiliazione da parte degli altri.

Non parlare troppo, ricorda che per ogni parola detta dovremo rendere conto a Dio. È meglio ascoltare che parlare: nella verbosità è impossibile evitare il peccato. Non essere curioso di ascoltare novità, che non fanno altro che intrattenere e distrarre lo spirito. Non condannare nessuno, ma considera te stesso peggiore di tutti gli altri. Colui che condanna un altro sta prendendo su di sé i suoi peccati; è meglio lamentarsi per il peccatore, e pregare che Dio lo corregga a modo suo. Se qualcuno non ascolta un tuo consiglio, non discutere con lui. Ma se i suoi atti sono una tentazione per gli altri, prendi misure appropriate, perché il bene di molti deve avere maggior peso di quello di una persona sola.

Non litigare mai, e non cercare scuse. Sii mite, quieto e umile; sopporta tutto, secondo l'esempio di Gesù. Egli non ti caricherà di una croce che eccede le tue forze. Ti aiuterà anche a portare la tua croce.

Chiedi al Signore di darti la grazia di compiere i suoi santi Comandamenti meglio che puoi, anche se sembrano troppo difficili da mantenere. Dopo aver fatto una grande impresa, non aspettarti gratitudine, ma tentazioni: l'amore per Dio è infatti messo alla prova da ostacoli. Non sperare di acquisire qualsiasi virtù senza soffrire amarezza. Nel mezzo delle tentazioni non ti disperare, ma rivolgiti a Dio con brevi preghiere: "Signore, aiuta... Insegnami a... Non lasciarmi... Proteggimi... " Il Signore permette tentazioni e prove; Egli ci dà anche la forza di superarle.

Chiedi a Dio di allontanare da te tutto ciò che ti riempie di orgoglio, anche se sarà una perdita amara. Cerca di non essere astioso, lugubre, brontolone, diffidente, sospettoso o ipocrita, ed evita la rivalità. Sii sincero e semplice nella tua attitudine.

Accetta umilmente le ammonizioni degli altri, anche se sei più saggio ed esperto.

Ciò che non vuoi che sia fatto a te, non farlo agli altri. Piuttosto, fai loro ciò che desideri che sia fatto a te. Se qualcuno ti visita, sii dolce nei suoi confronti, sii modesto, saggio, e a volte, a seconda delle circostanze, sii anche cieco e sordo.

Quando senti la pigrizia, o una certa freddezza, non lasciare il consueto ordine di preghiera e le pratiche di pietà che hai stabilito. Tutto ciò che fai nel nome del Signore Gesù, anche le cose piccole e imperfette, diventa un atto di pietà.

Se desideri trovare la pace, affidati completamente a Dio. Non troverai pace finché non ti rassereni in Dio, amando solo lui.

Di tanto in tanto isolati, seguendo l'esempio di Gesù, nella preghiera e nella contemplazione di Dio. Contempla l'amore infinito del nostro Signore Gesù Cristo, le sue sofferenze e la sua morte, la sua risurrezione, la sua seconda venuta e il Giudizio finale.

Visita la chiesa quanto più spesso possibile. Confessati più frequentemente e ricevi i Santi Misteri. Facendo così dimorerai in Dio, e questa è la più alta benedizione. Durante la Confessione, pentiti e confessa onestamente e con contrizione tutti i tuoi peccati; il peccato di cui non ci si pente porta infatti alla morte.

Dedica le domeniche a opere di carità e di misericordia; per esempio, visita qualche ammalato, consola qualche afflitto, salva qualche perduto. Se qualcuno aiuterà i perduti a ritornare a Dio, questi riceverà una grande ricompensa in questa vita e nell'era ventura. Incoraggia i tuoi amici a leggere letteratura spirituale cristiana e a partecipare a discussioni su temi spirituali.

Che il Signore Gesù Cristo sia il tuo insegnante in tutto. Fai sempre riferimento a lui rivolgendo a lui la tua mente; chiediti: che cosa farebbe il Signore in simili circostanze?

Prima di andare a dormire, prega apertamente e con tutto il tuo cuore, ricerca e guarda i tuoi peccati del giorno trascorso.

Dovresti sempre spingere te stesso a pentirti con un cuore contrito, con sofferenza e lacrime, per non ripetere i peccati passati.

Andando a letto, fatti il Segno della Croce, bacia la croce, e affidati al Signore Dio, che è il tuo Buon Pastore. Considera che forse questa notte dovrai apparire di fronte a lui.

Ricorda l'amore del Signore nei tuoi confronti e amalo con tutto il tuo cuore, la tua anima e la tua mente.

Agendo in questo modo, raggiungerai la vita beata nel Regno della luce eterna.

La grazia del nostro Signore Gesù Cristo sia con te. Amen.

 
101

Foto 101

 
102

Foto 102

 
Conversazione con padre Gabriel (Bunge)

Il nostro confratello, lo Schiarchimandrita Gabriel (Bunge) dell'eremo della Santa Croce (Canton Ticino), già presentato in un altro articolo del nostro sito, è stato alcune settimane fa a Mosca, dove ha rilasciato a Olga Bogdanova un'interessante intervista su diversi aspetti della vita spirituale e del cambiamento della vita nella Russia di oggi. Presentiamo il testo di questa conversazione in russo e in italiano nella sezione "Figure dell'Ortodossia contemporanea" dei documenti.

 
102

Foto 102

 
102

Foto 102

 
La Santa Comunione nella Chiesa Ortodossa

La Santa Comunione è il mistero più santo e sublime del culto cristiano: accostandosi al calice eucaristico, i fedeli comunicano al Corpo e al Sangue del Signore Gesù Cristo, e vengono resi partecipi dello Spirito Santo.

Nella Chiesa Ortodossa, la Santa Comunione è circondata da grande riverenza e rispetto, ma talvolta si fa sentire la necessità di una informazione chiara e lineare sulle norme e gli usi che regolano la ricezione di questo sacramento.

Le note che seguono hanno lo scopo di chiarire questi punti, a beneficio sia dei non ortodossi che assistono al rito eucaristico (o Divina Liturgia) della Chiesa Ortodossa, sia degli ortodossi che desiderano approfondire la propria tradizione.

Professione di Fede

Il requisito fondamentale per ricevere la Santa Comunione (che spesso viene dato tanto per scontato da non essere neppure nominato) è quello della fede. Uno può accostarsi al Santo Calice solo se professa la fede ortodossa (o, per la comunione dei bambini, se la professa un genitore o un padrino o tutore).

La stessa ricezione della Comunione, infatti, è di per sé una professione di fede; il comunicante testimonia con il suo atto che nella chiesa che gli offre il Corpo e il Sangue di Cristo è presente la pienezza della fede apostolica. In un senso più profondo, colui che riceve i santi Misteri nella Chiesa Ortodossa denuncia la propria appartenenza a tale Chiesa, impegnandosi a professarne la fede, e a seguirne le norme e la disciplina.

Per questa ragione, ai non ortodossi non è solitamente concesso di ricevere la Comunione. È pur vero che, in casi eccezionali di una certa gravità, a cristiani non ortodossi, interamente tagliati fuori dai ministri di culto della propria Chiesa, viene concesso con permesso speciale il privilegio di accostarsi alla Comunione ortodossa, pur senza diventare di fatto membri della Chiesa Ortodossa. Bisogna ricordare, però, che tale privilegio è di norma riservato al Vescovo del luogo, e che un singolo prete non ha l'autorità di stabilire eccezioni.

Confessione dei peccati

Poiché la singola professione di fede non implica sempre che tale fede venga vissuta in modo ideale, la Chiesa offre, per ritrovare l'equilibrio e l'orientamento della propria vita spirituale, il sacramento della Confessione. La tradizione stabilisce la confessione dei peccati, e la conseguente assoluzione sacramentale, come uno dei requisiti alla ricezione della Santa Comunione.

Poiché la Confessione è un rimedio ai mali specifici di ogni singola anima, non esistono regole generalizzate sulla frequenza della confessione. È sufficiente dire che, per coloro che si comunicano con frequenza (per esempio ogni domenica), non è necessario far precedere ogni comunione da una confessione completa. È bene, in ogni caso, attenersi alle indicazioni del proprio padre spirituale.

È invalso oggi l'uso, dove il tempo dei confessori è limitato, di far precedere la comunione da un'assoluzione sacramentale, che può essere individuale o collettiva. Questo tipo di assoluzione preliminare non è comunque un sostituto della confessione completa dei peccati (soprattutto nel caso di chi abbia colpe gravi sulla coscienza). Dato che si tratta di un sacramento, anche questa assoluzione resta riservata, così come la Comunione, a coloro che professano la fede ortodossa.

Preghiera

È richiesta a ogni partecipante, per quanto possibile, una preparazione di preghiera. Tipicamente, questa preparazione si effettua partecipando alla funzione della Grande Veglia (o quanto meno al Vespro) la sera precedente alla Divina Liturgia. Laddove

questo non sia possibile, chi desidera comunicarsi può supplire con adeguate preghiere preparatorie (per il testo di queste preghiere, che sono obbligatorie per i membri del clero, potete rivolgervi alla vostra parrocchia).

Per favorire un clima di raccoglimento, a chi si accosta alla Santa Comunione è richiesto di astenersi, alla sera precedente, da attività mondane e dispersive (come la danza) o, nel caso di sposi, da rapporti coniugali (questo non per disprezzo verso la sessualità, ma per un senso di priorità del nutrimento dello spirito).

La Santa Comunione si conclude con preghiere di ringraziamento, che dovrebbero essere recitate da un lettore dopo la conclusione della Divina Liturgia.

Digiuno

Nella Chiesa Ortodossa chi desidera ricevere la Santa Comunione non deve mangiare o bere nulla dal momento del risveglio al mattino. Questa regola vale anche nei rari casi di Liturgie vespertine, ma in tali casi è di solito tollerato un digiuno di sei ore.

Il digiuno eucaristico non include le medicine o altre sostanze amministrate a scopo terapeutico, ma include il fumo e altre sostanze assunte a scopo ricreativo.

Non sono infrequenti, nel mondo ortodosso, casi di fedeli particolarmente devoti, che prima di comunicarsi osservano anche uno o più giorni di digiuno totale: queste sono forme di devozione personale (talora legate a usi locali), del tutto rispettabili, ma che non vanno generalizzate: l'unico requisito di tempo comune a tutta la Chiesa Ortodossa è quello del digiuno completo fin dal risveglio al mattino della Comunione.

È sempre buona cosa, comunque, informarsi (v. sotto, "Usi locali") se nella parrocchia dove ci si comunica vige qualche particolare regime di digiuno, se non altro per evitare equivoci.

In casi di necessità particolari, è possibile ottenere dal sacerdote una dispensa dal digiuno.

L'Antìdoro

Alla conclusione della Divina Liturgia, ai partecipanti viene distribuito l'antìdoro, un pezzo del pane dell'offerta eucaristica, che è stato benedetto durante il rito della Presentazione dei doni, ma non consacrato. Dato il suo nome (anti-doro, ovvero "al posto del dono"), esso viene consumato da coloro che, per diverse ragioni, non hanno ricevuto la Santa Comunione.

La distribuzione dell'antidoro non è regolata ovunque dalle stesse tradizioni (alcuni sostengono che l'antidoro, così come la Santa Comunione, andrebbe consumato a digiuno; gli ortodossi più rigoristi tavolta escludono dall'antidoro i non ortodossi).

In assenza di indicazioni contrarie, comunque, tutti coloro che hanno partecipato alla Divina Liturgia sono invitati a ricevere l'antidoro, e, se lo desiderano, a portarne a casa per consumarlo con i propri cari, come segno di fraternità cristiana.

Usi locali

Vi sono particolari, nell'amministrazione della Santa Comunione, legati a tradizioni locali, che possono variare da una chiesa ortodossa a un'altra. Per fare un esempio, nelle chiese ortodosse romene vi è l'uso, legato simbolicamente alla professione dei voti battesimali, di presentarsi alla comunione reggendo una candela accesa; nelle chiese di tradizione slava, invece, è uso accostarsi alla comunione con le mani incrociate sul petto, nel gesto che simbolizza il ministero degli angeli; in alcune chiese, una volta ricevuta la Comunione, si usa baciare la base del calice, talora la coppa del calice, o la mano del sacerdote, e così via.

Di fronte a usi non conosciuti, il miglior consiglio è quello di adeguarsi alle modalità della chiesa nella quale ci si trova, chiedendo eventualmente informazioni e spiegazioni.

 
Ce este ANTIMISUL

 Antimis (αντί - în loc de şi μίνσος - masă) este o bucată de pânză de in sau mătase de formă dreptunghiulară (cu laturile de 40‑60 cm), care se găseşte la mijlocul Sfintei Mese şi pe care se slujeşte Dumnezeiasca Liturghie.

La mijlocul Antimisului este imprimată scena coborârii de pe cruce şi punerii în mormânt a trupului Mântuitorului. În colţuri sunt pictate chipurile celor patru evanghelişti. În partea de jos se află inscripţia cu menţiunea Hramului Bisericii pentru care este dat Antimisul, data şi semnătura ierarhului care l-a dat. În spatele Antimisului, într-un mic buzunăraş, este cusută o părticică din moaştele unui sfânt mucenic.

Originea Antimiselor este foarte complexă şi ea este legată de două etape diferite: cea preiconoclastă şi cea posticonoclastă.

Se ştie că în epoca preiconoclastă exista obiceiul (negeneralizat şi neobligatoriu) de a pune în Sfânta Masă părticele din moaştele martirilor. Această practică îşi are originea încă în creştinismul primar şi mai ales în epoca persecuţiilor, când drept loc pentru Sfânta Masă erau preferate mormintele martirilor. Acest obicei se reflectă în prezent în slujba de Sfinţire a Bisericii, când în Sfânta Masă trebuie puse părticele din moaştele martirilor.[1]

Un alt element al istoriei Antimisului est legat mai ales de biserica Sfânta Sofia din Constantinopol. Acolo exista obiceiul de a împărtăşi cu Sfintele Taine în mai multe locuri (datorită numărului mare de creştini); de aceea, în acele locuri se puneau nişte măsuţe de lemn sfinţite, care se numeau antiminsos. Denumirea arată clar faptul că ele aveau rolul de a înlocui Sfânta Masă (centrală). [2] Acest obicei a fost împrumutat şi de alte biserici.

Nu mult după aceea, mesele respective nu se mai sfinţeau, ci pe ele se punea o mahramă sfinţită, care a primit aceeaşi denumire de antimis. Tot în aceste mahrame au început să fie puse şi părticele cu Sfintele Moaşte - pentru a arăta credinţa în Sfintele Moaşte (lucru destul de important îndeosebi după anul 787/843), dar nici această regulă nu era obligatorie, mai ales dacă în Sfânta Masă deja existau Sfinte Moaşte.[3]

Înmulţirea bisericilor ctitorite de diferiţi dregători ai Bizanţului a introdus noţiunea de „paraclis particular”. În cazul acestora, Sfintele Mese nu se mai sfinţeau după „toată rânduiala”, ci pe ele se puneau aceste mahrame care aveau şi semnătura ierarhului, prin aceasta dând o autoritate canonică acestui Antimis.[4]

Prin urmare, la început Antimisele se foloseau doar în paraclisele particulare[5] şi în bisericile cu Sfânta Masă nesfinţită (fără Sfinte Moaşte), iar începând cu secolul al XVII-lea întrebuinţarea Antimiselor s-a extins şi la bisericile cu Sfânta Masă sfinţită, probabil mai mult din motive practice, de a putea uşor aduna miridele, dar şi din motive canonic-administrative, căci Antimisul trebuie obligatoriu să fie semnat de episcopul locului, iar retragerea Antimisului înseamnă lipsa dreptului de a sluji Sfânta Liturghie în biserica respectivă.[6]

Sfântul Antimis este întotdeauna învelit într-o bucată de pânză roşie, care se numeşte iliton. Ilitonul (din greacă ειλιτόν, înseamnă „a înveli”) este puţin mai mare decât Sfântul Antimis şi serveşte drept învelitoare pentru el. În prezent, la slujba Dumnezeieştii Liturghii, ilitonul şi Antimisul se desfac la ectenia pentru cei chemaţi, dar în vechime se desfăcea doar ilitonul, abia înainte de Heruvic - pentru aceleaşi scopuri practice ca şi cele de azi, iar Antimisul (până în secolul al XVII‑lea) stătea permanent deschis sub acoperământul (inditia) Sfintei Mese, deci nu la vedere, ca astăzi.

Sfântul Antimis simbolizează giulgiurile de îngropare, iar ilitonul - mahrama cu care a fost înfăşurat capul Mântuitorului.

Note

[1] Nu se pun părticele din moaştele altor categorii de sfinţi, ci numai de la martiri, pentru că ei înşişi s-au jertfit pentru Hristos şi constituie deci modelul supremei jertfe.

[2] Cf. М. ЖЕЛТОВ, „Антиминс”, în ПЭ, том 2, p. 489.

[3] Şi astăzi grecii pun moaşte doar în Sfânta Masă, la sfinţirea bisericii, nu şi în antimise.

[4] Acest subiect este dezbătut pe larg în Sintagma Atheniană, cap. V. Tot acolo găsim menţiunea lui Manuil al II‑lea, patriarhul Constantinopolului (1243-1255), care zice că „Antimisele nu trebuie puse pe fiecare Sfântă Masă, ci numai pe acelea despre care nu se ştie dacă au fost sfinţite, şi ele nu sunt necesare acolo unde se ştie că masa este sfinţită”.

Aceeaşi teză o susţine şi canonistul Matei Vlastaris, care spune că „Antimisele se pun pe acele mese care nu au fost consacrate prin actul sfinţirii” (vezi Pr. Petre Vintilescu, Liturghierul Explicat, ed. 1998, nota 399, p. 156). Este clar că aceste consideraţii nu iau în calcul valoarea canonic-juridică a Antimisului, care probabil nici nu era în vigoare, iar dacă autorii au ţinut seama şi de aceasta, înseamnă că ei s-au referit la cazul în care Liturghia este slujită chiar de arhiereu, care nu are nevoie să‑şi dea singur dreptul de a oficia Liturghia.

[5] Canonistul bizantin Theodor Balsamon consideră că apariţia numeroaselor paraclise a şi fost motivul pentru care Antimisele au devenit obligatorii (vezi Pr. Petre Vintilescu, op. cit, p. 156).

[6] Cf. М. ЖЕЛТОВ, „Антиминс”, în ПЭ, том 2, pp. 489‑493.

 
102

Foto 102

 
Come preparare i memoriali per i viventi e i defunti


Un memoriale (in slavonico pomiannik, in romeno pomelnic) è una lista di nomi di persone (viventi o defunte) che si ricordano durante le funzioni in una chiesa ortodossa, soprattutto durante la preparazione della Divina Liturgia.

Il nostro dovere cristiano di ricordare i vivi e i morti al Signore si incontra così con la libertà di ricordare le persone a noi più care, e di associarle a noi nei momenti di preghiera e nel culto della Chiesa.

Di solito i vivi e i morti si ricordano in momenti separati, con preghiere specifiche per gli uni e per gli altri. Perciò, le liste dei nomi si scrivono su fogli separati, segnati “per i viventi” (o “per la salute”) nel caso dei vivi, e “per i defunti” (o “per il riposo”) nel caso dei morti. Si possono anche scrivere fogli con due liste, una per i vivi e una per i morti, affiancate l’una all’altra: questo era l’uso cristiano più antico, e per questo i memoriali sono chiamati anche “dittici”, dal termine greco che significa “duplici”.

Come scrivere i nomi

1) Usare i fogli che sono disponibili in chiesa. E’ possibile scrivere nomi su altri tipi di fogli o piccoli quaderni, ma soprattutto se ci sono molte liste, questo può causare confusione al momento della lettura.

2) Scrivere bene! I nomi sulle liste devono essere leggibili. Chi non scrive chiaro in corsivo può scrivere in stampatello. È meglio scrivere i nomi in colonne ben ordinate (se il foglio ha righe prestampate, un solo nome per riga), e non riempire un foglio con troppi nomi.

3) Scrivere solo i nomi e non i cognomi. Nelle preghiere si ricordano le persone per nome di battesimo e non per nome di famiglia o con un patronimico. Nella più antica tradizione cristiana si dava un solo nome di battesimo; oggi in molti paesi, anche di tradizione ortodossa, è subentrato l’uso di dare nomi multipli: in questo caso si può scrivere un nome multiplo, ma comunque senza cognome.

4) Scrivere i nomi in forma piena (in russo e slavonico, i nomi si scrivono al genitivo). In molte lingue si usano diminutivi di nomi: “Beppe” invece di “Giuseppe” (in italiano), “Misha” invece di “Mikhail” (in russo), “Gică” invece di “Gheorghe” (in romeno) e così via. I nomi non vanno scritti in forma diminutiva, perché questi non sono nomi di battesimo, ma soprannomi. Il miglior modo per non fare errori è sapere dai nostri cari con quale nome sono stati battezzati.

5) Se si ricorda un membro del clero o un monaco o monaca, si ricorda anche il titolo accanto al nome. Se non si conosce il titolo esatto (come per esempio “ieromonaco”, “arcidiacono”, “igumena”…) può andar bene scrivere “padre” o “madre”.

6) Talvolta si ricordano accanto ai nomi alcune condizioni speciali: si può specificare che si tratta di un bambino o bambina, si può scrivere “malato”, “carcerato”, “viaggiatore” o “missionario”, oppure segnare “soldato” accanto al nome di una persona che fa il servizio militare allo Stato, o che è morta in combattimento. Queste annotazioni non sono comunque necessarie, e se non vogliamo chiedere preghiere speciali (per esempio, una preghiera per un malato) è bene non esagerare con queste specificazioni. Anche se non è sbagliato scrivere la finalità per cui preghiamo (per esempio “per la riuscita negli esami”), è meglio non farlo, dato che i memoriali in una chiesa possono essere centinaia o migliaia, e ogni ulteriore annotazione complica la lettura dei nomi.

Ecco un esempio di una coppia di memoriali scritti in modo corretto.

I nomi sono scritti in modo chiaro e leggibile (in russo, si scrivono al genitivo) e le specificiazioni accanto ai nomi sono quelle consuete.

7) Si possono scrivere i nomi di cristiani non ortodossi, oppure di non cristiani? È bene domandare in ogni chiesa, perché non in tutte si seguono le stesse regole. In alcune chiese si separano i nomi dei cristiani ortodossi dagli altri in liste diverse. In altre chiese non si sente questa necessità, ma è sempre bene informarsi prima. Anche se in certe chiese ci sono restrizioni sui nomi da scrivere sui memoriali, ricordiamo comunque che come cristiani è nostro dovere ricordare tutti, senza eccezioni, nelle nostre preghiere personali.

8) Per una persona morta da poco tempo (secondo la tradizione cristiana ortodossa, nei 40 giorni successivi alla morte), si può segnare “recentemente defunto” accanto al nome del morto. Se si vuole far ricordare il defunto in tutto il periodo di 40 giorni, allora si deve annotare accanto al nome il giorno esatto della morte.

I 40 giorni di preghiera ricordano il passaggio dalla vita terrena alla vita del cielo, così come i 40 anni nel deserto avevano segnato il passaggio del popolo di Israele dalla schiavitù in Egitto fino alla terra promessa (anche i 40 giorni della Quaresima sono stati sviluppati come segno di passaggio dalla morte nel peccato alla risurrezione). Al di fuori dei giorni subito dopo la morte di un nostro caro, non ha alcun senso chiedere preghiere per 40 giorni, né per persone morte da più tempo, né per i vivi, perché non c’è nessun “passaggio” da seguire. Certamente, possiamo chiedere preghiere multiple, o anche per un lungo periodo, ma non ci sono ragioni perché questi periodi debbano durare esattamente 40 giorni, oppure richiedere 40 ripetizioni di preghiere. I sorokousti (nella cultura russa) o sărindari (nella cultura romena) sono pratiche uscite completamente al di fuori delle loro giuste dimensioni, e spesso si caricano di valori magici o superstiziosi (per esempio, credere che si debbano menzionare i nomi in 40 liturgie, anche a distanza di più tempo, per ottenere risposta alle proprie richieste), proprio perché non ci sono ragioni autentiche per seguire simili usanze.

 
Le candele

 

 

Che cosa fa un cristiano ortodosso appena varcata la soglia di una chiesa? In nove casi su dieci, va al banco delle candele. La nostra pratica del cristianesimo, il nostro coinvolgimento nel suo rito, inizia con una piccola candela di cera d'api. È impossibile immaginare una chiesa ortodossa in cui non si accendono candele.

 

Il Beato Simeone di Tessalonica (XV secolo), commentatore della Liturgia, dice che la cera pura simbolizza la purezza e la castità di quanti la offrono. L'offerta è un segno di pentimento per l'ostinazione e la volontà personale. La morbidezza e la flessibilità della cera indicano la nostra prontezza a obbedire a Dio. La candela che brucia rappresenta la deificazione dell'essere umano, il suo divenire creatura nuova attraverso il fuoco dell'amore di Dio.

 

Inoltre, la candela è un testimone della fede, della nostra appartenenza alla luce divina. Esprime la fiamma del nostro amore per il Signore, per la Madre di Dio, per gli angeli e per i santi. Non si deve accendere una candela con il cuore freddo, come mera formalità. L'azione esterna deve avere il supplemento della preghiera, anche la più semplice, usando le proprie parole.

 

Una candela accesa è presente in molte funzioni della chiesa. Ne tengono in mano una i nuovi battezzati, e quanti si uniscono l'uno all'altra nel mistero del Matrimonio. Il rito del funerale si compie in mezzo a una moltitudine di candele accese. Proteggendo dal vento le loro candele accese, i fedeli camminano nelle processioni della Croce. Non vi sono regole assolute su quali e quante candele si devono offrire. Il loro acquisto è un piccolo sacrificio a Dio, volontario e non pesante. Una candela larga e costosa non è portatrice di maggiore grazia rispetto a una piccola.

 

Chi è meticoloso ad andare in chiesa cerca di accendere diverse candele in ogni visita: davanti all'icona della festa al centro della chiesa, all'icona del Salvatore o della Madre di Dio – per la salute dei propri cari, e al candelabro rettangolare (kanun) di fronte alla Croce – per il riposo delle anime dei defunti. Se il cuore lo desidera, si possono accendere candele a qualsiasi santo.

 

Talvolta accade che tutti gli spazi di un candelabro siano pieni, e non c'è posto per accendere un'altra candela. Non si dovrebbe spegnere una candela che sta ancora bruciando per rimpiazzarla con la propria. È meglio chiedere a uno degli attendenti di accenderla al momento appropriato. E nessuno si deve rattristare se, alla fine della funzione, la sua candela viene spenta; il sacrificio è già stato accettato da Dio.

 

Non c'è ragione di credere che si debba accendere una candela solo con la mano destra, che se la candela si spegne da sola questo sia un segno sfortunato, o che bruciacchiare il fondo di una candela per farla meglio aderire al candelabro sia un peccato, etc. Ci sono molte superstizioni simili, e sono tutte prive di senso.

 

La candela di cera che brucia è gradita a Dio, ma Egli gradisce ancor di più l'ardore dei cuori. La nostra vita spirituale, la nostra partecipazione alle funzioni della chiesa, non è limitata alle candele. Le candele non ci liberano dai peccati, non ci uniscono a Dio, e non ci danno il potere di combattere la guerra spirituale. La candela è ricca di significato simbolico, ma noi non siamo salvati dai simboli, bensì dalla piena realtà, la Grazia increata di Dio.

 

Perché usare candele di cera d'api?

La cera pura d'api, così come l'olio d'oliva, il vino, il frumento e altre sostanze naturali e pure, è un elemento essenziale del culto della Chiesa ortodossa. La cera, anche se prodotta dalle api, non contiene materiale di origine animale, e pertanto simbolizza sia la purezza dei doni, sia la sincerità di chi dona.

La cera d'api viene impiegata assieme all'olio per alimentare le luci davanti agli oggetti sacri, ed è stata usata nella pratica costante della Chiesa ortodossa fin dai primi secoli. Purtroppo, a causa della mentalità molto utilitaristica introdotta anche nelle chiese negli ultimi secoli, oggi si fa ricorso in molti luoghi di culto ortodossi a candele composte in quantità più o meno elevata di paraffina.

La paraffina si produce "decerando" i residui del petrolio dall'olio lubrificante. Per fare candele, il petrolio deve essere purificato per mezzo di un'operazione decerante a base di solventi. Il petrolio è trattato con acido solforico seguito dal filtraggio nella creta e dalla deodorazione per rimuovere le impurità. La paraffina di petrolio, di cui sono fatte la maggior parte delle candele commerciali, è anche la base della fabbricazione di etano, propano e butano. La presenza di alcune impurità nella paraffina può dare origine a irritazioni della pelle e in rari casi all'eczema (infiammazione cronica della pelle). Le candele di paraffina producono una fuliggine nera che ricopre gradualmente dipinti, arredi e mura. Talora è visibile sulle candele stesse. Queste tendono anche a gocciolare eccessivamente, lasciando spesso colate mentre bruciano.

La ragione dell'uso della paraffina è esclusivamente di natura economica: mischiando la cera con paraffina - o sostituendola del tutto - si riducono i costi di produzione. Questo atto, però, non resta senza risultati sul piano della pratica della fede cristiana. Se crediamo - e siamo disposti ad ammetterlo con tutta la forza del nostro ragionamento - che "solo il nostro meglio è buono abbastanza per un'offerta al Signore", allora la trasformazione di un'offerta di prima qualità in un'offerta più scadente equivale simbolicamente a una perdita di fede. Leggiamo a proposito il capitolo 4 della Genesi: Caino fa un'offerta che Dio non gradisce (a differenza di Abele, che offre le primizie del suo gregge), e le conseguenze di questo gesto sono tragiche.

Certo, le condizioni di difficoltà di una chiesa ortodossa che sorge fuori di un proprio ambiente tradizionale - e senza i canali adeguati di rifornimento di materiali - giustificano più che ampiamente il ricorso a forme provvisorie per venire incontro alle necessità immediate (si può ricordare a proposito anche l'uso delle riproduzioni di icone al posto delle vere icone dipinte). Ciò non toglie, tuttavia, che quanto prima possibile una chiesa ortodossa dovrebbe adeguarsi al meglio del proprio ideale di culto, senza rimanere adagiata sui surrogati mondani.

 
Le lampade da vigilia

Un aiuto alla preghiera dei cristiani

LE LAMPADE DA VIGILIA

Per noi cristiani ortodossi, la nostra casa è come una “chiesa di famiglia.” Per questa ragione, le famiglie ortodosse, quando si trasferiscono in una nuova casa, scelgono una parete rivolta a oriente o un angolo prominente della propria casa (un punto che tutti possono vedere), e trasformano il luogo in un “angolo delle icone.” L’angolo delle icone è, per così dire, il nostro “santuario di famiglia”: è il luogo dove preghiamo assieme come famiglia, e dove condividiamo molte gioie e dolori con il Signore. Nell’angolo delle icone dovremmo sempre avere un’icona di Cristo, una della Madre di Dio, e di tutti i santi che desideriamo venerare o ricordare regolarmente. Molte famiglie dedicano la chiesa domestica a un particolare santo, ponendo nell’angolo anche la sua icona. Nell’angolo delle icone dovrebbe esserci un tavolino o uno scaffale con i libri delle preghiere, un incensiere manuale, una bottiglia d’acqua santa, olio benedetto, rami di palme, una croce da benedizione, e altri oggetti di culto (per esempio, le coppie sposate vi tengono spesso le candele che reggevano durante le nozze).

Di fronte alle icone, lontano dalla portata di bambini piccoli e animali domestici, dovremmo tenere, perpetuamente accesa, una lampada a olio. Anche se alcuni accendono davanti alle icone candele votive di cera, la tradizione è di usare olio di oliva. Le luci elettriche non sono appropriate come luci di fronte alle icone. L’olio d’oliva è il combustibile usato nella maggior parte dei monasteri e delle chiese, e rappresenta una tradizione molto antica. Il primo rimando biblico è alla colomba che riportò nell’Arca un ramoscello d’ulivo (Genesi 8,11) come segno della misericordia di Dio. Si noti la somiglianza tra le parole greche elaion (olio d’oliva) ed eleos (misericordia). Anche a casa, i pii fedeli ortodossi prendono frequentemente olio dalle loro lampade, e si benedicono facendosi il segno della Croce sulla fronte.

Vi sono altre due ragioni - oltre alla fedeltà alla tradizione della Chiesa - per usare olio d’oliva, entrambe legate all’idea del sacrificio. Il costo aggiuntivo dell’uso dell’olio d’oliva rispetto all’elettricità, o anche alle candele votive, rende l’accensione di una lampada di fronte a un’icona un sacrificio più genuino, e una più significativa offerta a Dio. Inoltre, le lampade ad olio richiedono attenzione quotidiana e pulizia periodica. Questo ci costringe a rendere a Dio qualche piccolo servizio ogni giorno, non fosse altro che qualcosa di tanto semplice quanto mantenere una lampada. Tale pia e costante diligenza non resta senza ricompensa. La storia della Chiesa è ricolma di racconti di famiglie e di monasteri che mantennero fedelmente le proprie lampade, anche quando il cibo si esauriva letteralmente, e che Dio di conseguenza soccorse nei loro bisogni.

Vi sono un certo numero di utensili destinati a bruciare l’olio davanti alle icone. Molto comune tra questi è lo stoppino con il galleggiante, che utilizza pezzi di sughero per mantenere lo stoppino e la fiamma fluttuanti sull’olio. Qui di seguito è descritta la cura delle lampade a olio.

1. Il vetro. Per la lampada si può usare un bicchiere votivo o qualsiasi bicchiere con l’imboccatura larga. Una volta usato per la lampada, un bicchiere non dovrebbe essere riutilizzato per alcun altro scopo. Si suggerisce di usare un bicchiere abbastanza grande da contenere olio per almeno dieci o dodici ore. Tradizionalmente si usano vetri di colore rosso o blu, che danno un gradevole riflesso. In Grecia, tuttavia, le lampade sono oggi quasi tutte di vetro chiaro.

2. L’olio. L’uso dell’olio nelle lampade votive è, come si è detto, un’antica tradizione, che risale fino ai tempi di Mosè. L’olio d’oliva brucerà meglio se il suo contenitore è lasciato aperto, e l’olio viene lasciato a invecchiare (o persino a diventare rancido). Assicuratevi di proteggere (soprattutto in estate) l’olio lasciato all’aperto da insetti e da altre possibili fonti di contaminazione. Prima di versare l’olio nel bicchiere, alcuni aggiungono una piccola quantità d’acqua con un poco di sale. L’olio galleggerà sull’acqua, e nel caso in cui la lampada venga lasciata per troppo tempo incustodita, l’acqua estinguerà la fiamma quando l’olio si sarà del tutto consumato, evitando il rischio che lo stoppino e il galleggiante prendano fuoco. Il sale aggiunto all’acqua impedirà la crescita di microorganismi.

3. Lo stoppino. Per fare uno stoppino, si può usare un filo di cotone lungo fino a una trentina di centimetri. Non usate fili cerati o foderati. Un cordino a sei fili intrecciati è abbastanza spesso. Se lo stoppino viene messo a bagno nell’aceto brucerà con una fiamma più brillante e più pulita. Se si usa il bagno d’aceto, lo stoppino deve essere fatto completamente asciugare prima di essere usato.

4. La fiamma. I Padri del Monte Santo (il Monte Athos) hanno insegnato a usare una fiamma molto bassa, che chiamano apathes, o “impassibile.” (Le dimensioni della fiamma, per fare un paragone, non dovrebbero essere superiori a quelle di un piccolo nocciolo d’oliva). La fiamma dovrebbe bruciare in modo uniforme e non tremolare, poiché in tal caso sarebbe un disturbo durante la preghiera. Una lampada a bicchiere brucerà dalle sei alle dodici ore, fino anche a ventiquattro, a seconda soprattutto della quantità d’olio, ma anche delle dimensioni della fiamma, del clima, etc. Prima di riaccendere una lampada, rimuovete il carbone in eccesso dallo stoppino, e ruotate leggermente la sommità del filo, per modellarla in una punta. Si può usare cera di candela per fare una punta rigida, se è d’aiuto per far passare lo stoppino nel galleggiante. La punta di cera dovrebbe essere tagliata prima di accendere lo stoppino.

5. Le pulizie. Il tovagliolo o tessuto usato per pulire il carbone e l’olio dalle dita dovrebbe essere bruciato in un luogo separato (il posto migliore è l’incensiere domestico) e non gettato semplicemente nella spazzatura. State attenti a non far colare l’olio quando accendete la lampada (San Teodoro lo Studita imponeva un canone di trenta prosternazioni all’ecclesiarca che versava olio dalle lampade delle icone in chiesa). Il vetro dovrebbe essere lavato periodicamente, e l’olio rimpiazzato. L’acqua in cui si lava la lampada (così come l’olio vecchio) non dovrebbe essere versata negli scarichi. Piuttosto, è meglio versarla nel terreno sotto piante e alberi, o in un’area che non viene calpestata da nessuno.

6. Precauzioni. Il sistema del fondo d’acqua può portare il bicchiere a creparsi. Quando la fiamma esaurisce l’olio, e tocca l’acqua, questa può riscaldarsi fino a bollire, e spaccare un vetro che non sia abbastanza spesso o resistente. Se usate il fondo d’acqua, potete fare prima una prova di resistenza del vetro, riempiendo il bicchiere di acqua bollente. Ricordate che l’olio non brucia da solo, e che l’unico vero oggetto infiammabile nella lampada è costituito dallo stoppino. Il galleggiante di sughero di solito non lo è, ma una corrente d’aria, o l’esaurimento dell’olio, possono farlo bruciare (generalmente si limita ad annerirsi). Un rivestimento di carta d’alluminio può evitare il problema, a condizione di non appesantire il galleggiante tanto da farlo affondare. Un’alternativa al galleggiante è il tubo per stoppino in “stile russo”: si tratta di un tubetto di rame o d’ottone, fissato ai bordi del bicchiere da fili o lamine di metallo, in cui si fa passare la punta dello stoppino. Questo sistema ha il vantaggio che la fiamma rimane sempre alla stessa altezza, a prescindere dal livello dell’olio. Inoltre, quando l’olio scende al di sotto del livello d’assorbimento dello stoppino, la fiamma si estingue da sola.

Lampada ricavata da un bicchiere robusto, con un portastoppino in stile russo

Per l’olio bruciato di fronte a un’icona dovremmo mostrare la stessa cura e riverenza che mostriamo all’icona stessa. Ai nostri tempi c’è una moda di riprodurre icone in modi piuttosto mondani. Si usano come riproduzioni su bottiglie di vino, come timbri sulle buste e come francobolli, e persino sulla carta da imballaggio. In tutti questi casi, le icone sono trattate come mere decorazioni, senza alcun rispetto o venerazione. Dopo aver servito la loro funzione decorativa, vengono cestinate. Poiché tutto quanto facciamo come cristiani ortodossi dovrebbe essere logico e coerente, non ha alcun senso prosternarci davanti a un’icona baciandola, e poi buttarne un’altra nella spazzatura. Allo stesso modo, dovremmo evitare usi mondani o irriverenti dell’olio delle lampade.

In caso di sospetti di pericolo da parte di assicurazioni, vigili del fuoco, etc., si può dimostrare come una lampada scossa o urtata (soprattutto se la fiamma è mantenuta bassa e costante) ha la tendenza a spegnersi da sola. Se si prendono le precauzioni adeguate, una lampada da vigilia non è particolarmente pericolosa.

Ricordate sempre che una lampada da vigilia accesa trascende l’olio e il vetro di cui è fatta. Un giorno, di fronte alle richieste di un figlio spirituale che gli chiedeva cosa fare per assicurare la casa, un monaco indicò la lampada che ardeva nell’angolo delle icone, e disse: “Non lasciarla spegnere. Abbine cura ogni giorno. Questa è la migliore di tutte le assicurazioni”.

 

 
103

Foto 103

 
Comunione e infezioni – il parere di un vescovo scienziato

Le obiezioni “igieniste” sulla santa Comunione e le malattie infettive sono un fenomeno ricorrente, che purtroppo si estende anche ai cristiani non ortodossi che sono perplessi dal modo di distribuire la comunione nella Chiesa ortodossa, dimenticandosi che nella maggior parte dei casi i loro stessi antenati si sono comunicati per secoli allo stesso modo. Cerchiamo di rispondere con le parole di un personaggio che ha tutte le carte in regola, sia scientifiche che teologiche, per parlare autorevolmente su questo tema.

Il Metropolita Nicola (Hadjinikolaou) di Mesogaia e Lavreotiki è il fondatore dell’istituto di bioetica di Atene. Laureato a Harvard e al Massachusetts Institute of Technology (astrofisica, ingegneria biomedica, ricerca di laboratorio cardiovascolare), è una figura altamente rispettata sia nell’ambiente ecclesiastico che in quello accademico e scientifico. Nella sezione “Ortoprassi” dei documenti, presentiamo un estratto in russo e in italiano di una sua lettera del 2009 a proposito delle malattie infettive e dei santi Misteri.

 
103

Foto 103

 
103

Foto 103

 
Il calendario giuliano: un'icona millenaria del tempo in Russia

Fin dall'antichità, l'uomo si è inchinato di fronte al mistero del tempo, cercando di sondarlo. Il tempo gli sembrava qualcosa di profondamente ostile, che richiedeva sacrifici cruenti (come per gli Aztechi), oppure un'arena della lotta tra caos e cosmos, oppure un sogno magico (tempo del sogno) che faceva tornare al passato oscuro dei primordi totemici.

Le leggende e i miti ci portano l'eco di antiche nozioni del tempo. L'uomo temeva o deificava il tempo, impartendogli le forme più diverse: un raggio, che penetra l'oscurità; una freccia, che vola dal futuro al passato; catene, o circonferenze. Molto spesso, il tempo era concepito come un numero; talvolta, come tra gli orfici e i celti, era rappresentato con il suono o con la musica. Così, il dio celtico, Dagda, richiamava le varie stagioni dell'anno suonando su un'arpa vivente di quercia. (1) C'è una concezione poetica del tempo con la quale si compie qualche tentativo di risolvere la disputa tra tempo ed eternità: "La morte e il tempo regnano sulla terra: non chiamarli maestri" (Vladimir Soloviev).

Il tempo si riflette in immagini metaforiche nei miti cosmogonici, antropogenici ed eziologici [lo studio delle origini delle malattie]. L'uomo intuiva che qualcosa di molto importante era collegato con il tempo: l'inizio e la fine; la sua memoria e speranza. Il sogno di spiegare il tempo e di padroneggiarlo si riflette anche nella "macchina del tempo" della fantasia moderna, che permetterebbe di vagare liberamente in questo regno insondabile.

Da Crono alla teoria di Einstein, l'umanità ha fatto un lungo cammino, senza mai essere mai in grado di svelare appieno l'enigma dell'essenza del tempo. Come oggetto secolare di riflessioni filosofiche e scientifiche, il tempo resta indeterminato come categoria. In verità, gli viene attribuita una categoria apparentemente indubitabile (la durata); ma spesso anche questa si rivela una finzione. Così, la teoria della relatività si basa, come ben si sa, sul concetto di tempo-spazio a quattro dimensioni, laddove l'asse temporale è immaginario.

Si può parlare del tempo della creazione del mondo, se l'atto stesso della creazione non entra tra le cause del fenomeno? Trascendente per natura, tale atto sorpassa ogni nozione umana di spazio e tempo. Nel parlare del "principio" dell'esistenza, l'uomo è forzato a fare ricorso alla categoria del tempo, per rimanere entro una cornice di pensiero a lui consueta.

Le definizioni razionali del tempo equivalgono a delle tautologie più o meno camuffate. Dopo tutto, dire che il tempo è l'ordine dei fenomeni nella loro sequenza, equivale a definire il tempo per mezzo del tempo. (2)

E' possibile che il tempo sia una strada; ma dove conduce? (3) Quando misuriamo il tempo, da dove viene, prima che siamo in grado di misurarlo? Che direzione prende e dove va quando ci lascia? Il Beato Agostino si accostò al mistero del tempo: "In te, anima mia, io misuro i tempi." Secondo il Beato Agostino, i tre stadi di un'azione che avvengono nell'anima umana - attesa, contemplazione, e ricordo (memoria) - producono la "triplicità del tempo". Tuttavia, la nostra consapevolezza percettiva (anima) non genera il tempo stesso; esso deve il suo sorgere alla Sostanza eterna, il Creatore: "Anche il tempo è opera Tua." (4)

Un millennio e mezzo or sono, il Beato Agostino disse in un linguaggio così chiaro e sublime ciò che gli uomini del ventesimo secolo hanno cercato di esprimere per mezzo di complesse formule matematiche. Riguardo al tempo, essi giungono al fatto che la nostra percezione, così come la più recente versione dell'ontologia (la funzione ondulatoria della meccanica dei quanti), si sviluppa nel tempo; ma esiste uno strato successivo (la fonte della "luce") laddove questo concetto è privo di significato. (5)

Dio è la riconciliazione delle antinomie. L'amore sovrasta il tempo, e non è questo che dice anche il Signore attraverso l'apostolo Giovanni, riguardo alla vita alla quale ci chiama: non vi sarà più tempo (Ap 10,6)?

E allora, che cos'è il tempo? "Sembra che non ci sia niente di più chiaro e ordinario," dice il Beato Agostino, "ma nel frattempo, in essenza, non c'è nulla di più incomprensibile e nascosto e provocatorio per il pensiero." (6)

L'uomo, nel contemplare la natura e se stesso, ha visto che il morire cede il posto alla vita; e poi, le forze della vita fanno posto alla disintegrazione e alla morte. La custodia della vita era un miracolo attualizzato nei rituali. Per mezzo dei rituali, la vita della creazione e dell'uomo veniva armonizzata. I ritmi naturali dell'universo hanno trovato riflesso nelle festività rituali. Il rituale è collegato con il ritmo, così come è collegato anche con la memoria. Da qui proviene il calendario come incarnazione del ritmo che unisce macrocosmo e microcosmo.

Il calendario è una delle espressioni del tempo, e, per di più, è sicuramente la più importante di queste. Il calendario è ciò che è definito "la memoria ritmica dell'umanità." (7)

Nel rimarcare il millennio del Battesimo della Russia, è impossibile sorvolare in silenzio la questione del calendario giuliano, che ha pure esso una storia millenaria in Russia. Molti si pongono la domanda: perché la Chiesa Ortodossa Russa, nonostante tutte le riforme del calendario, continua a vivere con lo stesso calendario con il quale vivevano l'antica Russia e tutto l'Occidente cristiano medioevale? Solo un'attitudine di pregiudizio potrebbe far sì che qualcuno lo veda come un fenomeno che nasce dall'idealizzazione tradizionale del passato, o dall'arretratezza, come alcuni sostengono, evitando in tal modo una risposta seria. Noi cercheremo di indagare le ragioni della sorprendente vitalità del calendario giuliano in Russia.

Come ben si sa, questo sistema di cronologia giunse in Russia da Bisanzio. Il calendario giuliano ecclesiastico rappresenta la sintesi bizantina dell'eredità astronomica e calendariale dell'antica Babilonia e dell'antico Egitto, con il contributo accademico dei Padri della Chiesa alessandrina, che accolsero la sua implementazione all'epoca del Santo Imperatore Costantino il Grande, Isoapostolo.

Questo sistema di calcolare il tempo, che combina organicamente in sé il calendario giuliano e i cicli pasquali alessandrini (Paschalia), fu chiamato la "Grande Indizione" (o Grande Proclamazione) a Bisanzio, il "Circulus Magnus" in Occidente, e il "Ciclo della Creazione" in Russia.(8)

Nel parlare del calendario, è necessario sottolineare come già da tempo immemorabile il calendario era compreso non solo come uno strumento per misurare il tempo, ma anche come qualcosa che organizza il tempo e definisce il pulsare della vita cosmica, storica e biologica. Gli antichi lo compresero; non per nulla i sacerdoti, gli astronomi, gli astrologi e i matematici erano circondati da una venerazione universale, fino ai Magi del Vangelo, che, essendo "istruiti da una stella," vennero ad adorare il divino Cristo-Bambino. Riflettendo le rivelazioni del cielo, il calendario santificava le vite dei popoli e dava un ritmo definito alla loro esistenza.

Dopo l'incarnazione di Dio il Verbo, il tempo divenne per i cristiani tempo di salvezza: esso trovò uno scopo. Il tempo venne in contatto con l'eschaton e ne fu penetrato. Avvenne la santificazione del tempo. Il calendario sacro del Medio Evo subordinava a sé non solo il tempo, ma anche l'intera struttura della vita. Iniziando dal quarto secolo dopo Cristo, tutta la vita liturgica della Chiese inizia a essere inseparabilmente legata al calendario giuliano ecclesiastico. Per oltre un millennio, questo calendario universale fu il calendario di tutta la parte occidentale del mondo conosciuto (ecumene) e rimane tuttora il calendario della Chiesa Ortodossa Russa.

Si dovrebbe notare come i calendari a noi noti - quello giuliano e, dalla fine del sedicesimo secolo, quello gregoriano - devono la loro esistenza ai calcoli che determinano il tempo della celebrazione della Pasqua. Questa circostanza è tanto più significativa per il fatto che, nel secolarizzato mondo moderno, il tempo è determinato da fattori scientifici, socio-economici, politici e di altro genere, che non hanno alcunché in comune con il lato spirituale della vita.

Nella cronologia cristiana vi è un centro del tempo. Si tratta dei giorni 14, 15 e 16 di Nisan: date che cambiarono il tempo del mondo. Queste tre date determinano tutta la teologia cristiana del tempo. "Con la crocifissione di Gesù Cristo (14 di Nisan), morì l'umanità del Vecchio Testamento; mentre con la sua risurrezione (16 di Nisan), nacque il cristianesimo." (9)

Il tempo della Chiesa Cattolica Ortodossa, essendo tempo di attesa della risurrezione, già dai primi secoli del cristianesimo è concentrato intorno alla festa principale: la Santa Pasqua. Perciò, la storia del calendario giuliano ecclesiastico è inseparabilmente collegata ai cicli pasquali.

La Santa Pasqua è storicamente legata alla festa del Passaggio dell'Antico Testamento, che veniva celebrata alla luna piena del mese di Nisan (corrispondente al nostro marzo), il primo mese dell'antico calendario lunare biblico. Durante la sua vita terrena, il nostro Salvatore Gesù Cristo visse secondo questo calendario. Alla luna piena del mese di Nisan, il Signore, insieme a tutto l'Israele dell'Antico Testamento, venne e Gerusalemme per la festa della Pasqua. Precisamente in questo tempo, egli fu pure tradito, giudicato, crocifisso e risuscitato. (10)

Nell'anno della morte del nostro Signore sulla croce, la Pasqua ebraica cadde di venerdì e di sabato. Il Salvatore fu crocifisso venerdì 14 Nisan, che, per il computo della Chiesa, [liturgicamente] inizia ora alla sera del giovedì; nel sabato fu nella tomba, e al mattino presto del primo giorno della settimana - il 16 di Nisan - egli risorse. Pertanto, gli eventi della passione, morte e risurrezione del nostro Signore Gesù Cristo sono inseparabilmente collegati con la Pasqua ebraica. Ciò fu perpetuato dai santi Apostoli, che prescrissero che la Pasqua cristiana venisse celebrata in seguito alla Pasqua ebraica, dopo l'equinozio di primavera (Canone VII dei Santi Apostoli).

Tra i primi cristiani rimanevano ancora non pochi aderenti ai riti dell'Antico Testamento. Così, le chiese dell'Asia Minore (la loro metropoli era Efeso) celebravano la Santa Pasqua insieme con gli ebrei il 14 di Nisan, che cadeva ogni anno in un giorno differente della settimana. Tuttavia, altre chiese locali (Alessandria, Antiochia, Roma, Cesarea e Gerusalemme) celebravano la Pasqua nella prima domenica che seguiva il 14 di Nisan, conservando la sequenza neotestamentaria degli eventi sacri.

Sorsero controversie riguardo al problema che tutti i cristiani celebrassero la Santa Pasqua allo stesso tempo, controversie che divennero particolarmente acute alla fine del secondo secolo, sotto il Vescovo di Roma, Vittore. Il Vescovo Vittore non considerava ammissibile celebrare la Pasqua secondo il computo delle chiese dell'Asia Minore, e chiese una sospensione della comunione con loro. Fortunatamente, la saggia ammonizione di Sant'Ireneo di Lione prevenne una rottura tra le chiese. Solo un piccolo gruppo, composto da aderenti del rito dell'Asia Minore, formò la setta dei "quattordicisti" o quartodecimani. Dall'anno 325, tutti i cristiani della Chiesa Cattolica Ortodossa iniziarono a celebrare la Pasqua solo alla domenica, anche se non ancora sempre allo stesso tempo.

A causa dell'eresia ariana, e così pure per la risoluzione delle controversie sui cicli pasquali, fu convocato il primo Concilio Ecumenico di Nicea (anno 325). Il testo degli atti di questo concilio non è stato conservato; tuttavia, sulle basi di certi documenti che ci sono pervenuti, è possibile formulare un giudizio riguardo alle decisioni in esso prese riguardo alla celebrazione della Pasqua. (11) Tra questi documenti, si possono ricordare: l'epistola del Concilio di Nicea alla Chiesa di Alessandria; l'epistola di San Costantino il Grande, Isoapostolo, ai vescovi non presenti al Concilio; e diversi passi dalle opere di Sant'Atanasio il grande, che fu egli stesso uno dei partecipanti al primo concilio ecumenico. Nella sua epistola ai vescovi africani (capitolo 2), egli scrive: "il Concilio di Nicea fu convocato riguardo alla questione della Pasqua, poiché i cristiani in Siria, Cilicia e Mesopotamia non erano d'accordo con noi, e celebravano la Pasqua al tempo stesso in cui la celebravano gli ebrei" (Migne, Patrologia Graeca XXVI 10). Il decreto del Concilio di Nicea riguardante la Pasqua è contenuto altresì nelle testimonianze dei Santi Padri (partecipanti al Concilio o a questo vicini nel tempo), in Eusebio di Cesarea, un contemporaneo e testimone oculare del Concilio, e nelle decisioni del Concilio locale di Antiochia (anno 341). Per questa ragione, le asserzioni fatte dei sostenitori dei cicli pasquali riformati, ovvero che il decreto del primo Concilio Ecumenico sulla celebrazione della Pasqua è andato irrimediabilmente perduto, sono tendenziose e storicamente non corrette.

I 318 Santi Padri del Concilio di Nicea formularono un decreto (horos) riguardo alla Pasqua, che proibiva la sua celebrazione assieme agli ebrei, e che viene indicato dalla chiara citazione del Canone I del Concilio di Antiochia: "Che tutti coloro che osano violare il decreto del santo e grande Concilio che fu in Nicea ... riguardo alla santa festa della salvifica Pasqua, siano esclusi dalla comunione (scomunicati) e scacciati dalla Chiesa, se continuano, in uno stile di amore della contesa, a contrastare i buoni decreti. E questo è detto a proposito dei laici. Ma se, dopo questo decreto, uno di coloro che presiedono nella Chiesa, un vescovo, o presbitero, o diacono, osasse esercitare il proprio giudizio e celebrare la Pasqua con gli ebrei, a sovversione del popolo e a disturbo delle Chiese, il Santo Concilio d'ora in poi condanna costui a essere alieno dalla Chiesa, essendo divenuto non solo causa di peccato per sé, ma anche causa di disordine e della perversione di molti. E il Concilio depone dal sacro ministero non solo tali persone, ma anche tutti coloro che osassero essere in comunione con loro dopo la loro espulsione dal sacerdozio. E coloro che vengono così espulsi devono anche essere privati dell'onore esterno del quale erano partecipi secondo il santo canone e il sacerdozio di Dio." (12)

E' ben noto che la decisione del Concilio di Nicea riguardo alla data della Pasqua non figura tra i venti canoni di questo Concilio che sono giunti fino a noi. Tuttavia, la decisione non figura tra i canoni proprio perché non si tratta di un canone, ma di un documento di significato più importante, vale a dire un decreto (horos). (13)

Nella sua epistola ai vescovi che non erano stati presenti al Concilio, Costantino il Grande dice che, "secondo l'opinione comune, si è riconosciuto che è meglio celebrare" il giorno della Santa Pasqua "tutti e ovunque nello stesso giorno, in quanto in una questione così importante... è molto sconveniente mostrare disaccordo. Il Salvatore ci ha lasciato un giorno [per la commemorazione] della nostra liberazione... che la sagacia delle Santità vostre rifletta su quanto sia biasimevole e indecente che negli stessi giorni alcuni facciano digiuno, mentre altri stanno celebrando feste..." (14)

La compilazione dei cicli pasquali fu affidata alla Chiesa di Alessandria, la più erudita dell'antichità. Il problema affrontato dagli studiosi dei cicli pasquali era enormemente difficile. La sua complessità stava nel fatto che, nel compilare il calendario, essi dovevano tenere conto di requisiti di natura liturgica e storica. I Santi Padri risolsero questo problema in modo brillante.

Facendo uso della "mistura di eredità calendariali e astronomiche delle culture egiziana e babilonese, che era stata raffinata dalla scuola dei rinomati astronomi greci (da Metone a Ipparco), (15) essi crearono un capolavoro di arte calendariale - il calendario giuliano ecclesiastico, del quale il noto astronomo russo, E.A. Predtechensky, disse che "era tanto bene eseguito, da rimanere tuttora insuperato. I successivi cicli pasquali romani, accettati ora dalla Chiesa occidentale sono, a paragone di quelli alessandrini, tento ponderosi e goffi, da far venire in mente una stampa a poco prezzo di fronte a una raffigurazione artistica dello stesso soggetto. Per di più, questo meccanismo terribilmente complesso e impacciato non raggiunge nemmeno il suo scopo dichiarato." (16)

Vediamo su cosa è basata la dichiarazione appena citata. Allo stesso tempo, cerchiamo una volta per tutte di essere liberi da preconcetti; nel caso in questione, cerchiamo di dare uno sguardo critico al calendario gregoriano che è accettato da tutte le nazioni moderne. Sapendo che solo gli argomenti di un certo peso sono in grado di far fronte a un'opinione preconcetta, soffermiamoci su un'analisi dei compiti (prima di tutto, quelli astronomici) che avevano di fronte a loro i compilatori cristiani, creatori del calendario giuliano ecclesiastico universale.

Come base dei cicli pasquali, i loro compilatori presero il calendario giuliano, così chiamato in onore di Giulio Cesare, che con l’aiuto del rinomato astronomo Sosigene introdusse la nuova cronologia nell’anno 46 a.C. Il grande merito di questo calendario sta nel fatto che possiede un’alternanza ritmica di tre anni semplici (ciascuno di 365 giorni) con un anno bisestile che contiene 366 giorni. Oltre a questo ritmo invariabile e così prezioso (il ritmo è la base di qualsiasi calendario), il calendario giuliano ha una particolarità: in esso, ogni 28 anni i giorni della settimana cadono nelle stesse date dei mesi (cosa importante per i cicli pasquali). Questo calendario di Giulio Cesare, orientato sul sole, fu usato per un periodo relativamente breve: dal 46 a.C. fino al Concilio di Nicea. Dopo le riforme intraprese dai compilatori dei cicli pasquali (di cui parleremo più avanti), il calendario di Giulio Cesare si trasformò nello stesso calendario ecclesiastico giuliano, che l’intero mondo cristiano usò fino alla riforma gregoriana, e dal quale fino a oggi viene determinata la vita liturgica della Chiesa Ortodossa Russa.

Gli studiosi di cicli pasquali a Nicea erano familiari con la cosiddetta “regola d’oro” della cronologia, stabilita dall’antico astronomo greco Metone, e che permetteva un allineamento preciso dei calendari lunare e solare. Nel 433 a.C., Metone calcolò che diciannove anni solari (vale a dire, 6939,75 giorni) erano equivalenti a diciannove anni lunari contenenti 6940 giorni, a condizione che nel corso dei diciannove anni lunari venga inserito per sette volte un mese lunare supplementare (embolismico). Gli astronomi sanno che il movimento della luna è piuttosto complesso, e che il computo delle sue fasi che abbraccia periodi prolungati, richiede grandi conoscenze in materia astronomica, e un’esperienza basata su osservazioni prolungate per molti secoli. Il ciclo lunare di diciannove anni, noto con il nome di “ciclo metonico”, è considerato un capolavoro dell’astronomia mondiale. E’ di grande valore per i cicli pasquali, poiché le fasi della luna attraverso ogni ciclo di diciannove anni cadono negli stessi giorni del calendario giuliano solare. (17)

E così, nella compilazione dei cicli pasquali, fu preso in considerazione il ciclo lunare di diciannove anni. Per di più, nel ciclo di Metone e Sosigene fu introdotta la cosiddetta “correzione di Callippo”, che portava la durata dell’anno solare e del mese lunare in pari al loro vero valore astronomico. La riforma che fu accettata riuscì a soddisfare immediatamente i requisiti di entrambi i computi: quello lunare e quello solare.

I compilatori dei cicli pasquali ortodossi ebbero altresì da correlare il ritmo lunare con la settimana (il ciclo di sette giorni), per preservare la sequenza degli eventi neotestamentari collegati ai giorni finali della vita terrena di Gesù Cristo, tenendo in considerazione la connessione tra la Santa Pasqua e il Passaggio dell’antico Testamento. Nella sua brillante opera dedicata alla questione del calendario giuliano ecclesiastico, A.N. Zelinsky dice a questo proposito: “Si può dire senza esagerazione che, nella sua complessità, il compito che stava di fronte ai compilatori dei cicli pasquali a Nicea eccedeva di gran lunga le difficoltà connesse alla riforma giuliana o alla ‘correzione di Callippo’. (18)

Nel produrre i principi di cicli pasquali indipendenti dalla pratica ebraica, i compilatori ortodossi cercarono una divergenza tra il ciclo di Metone e Sosigene e la luna, e, di conseguenza, con il calendario ebraico. Questa divergenza fu raggiunta grazie al fatto che all’inizio di un ciclo di Callippo, l’epatta (ovvero l’eccesso dell’anno solare su quello lunare, circa 11 giorni: il progresso della luna all’inizio di un anno di calendario) non è stata ridotta su ogni ciclo di 304 anni. Nondimeno, a causa di ragioni astronomiche, ebbero ancora luogo, talvolta, coincidenze della Santa Pasqua con il Passaggio ebraico, fino all’anno 592. Per quanto riguarda la rarissime coincidenze della Pasqua Cristiana con il Passaggio ebraico che ebbero luogo fino all’anno 783, questo si spiega con il fatto che gli ebrei trasferiscono la data della loro festività, se questa cade di lunedì, mercoledì o venerdì. Questa circostanza aveva altresì causato le coincidenze precedenti. (19)

Tuttavia, a partire dall’anno 592, “tali coincidenze divennero impossibili non solo astronomicamente, ma anche secondo gli aspetti del calendario pasquale;” (20) La Santa Pasqua divenne una festa mobile; a questo punto, tutti i requisiti per la sua celebrazione vennero osservati con esattezza.

E’ eccezionalmente importante notare che non esisto alcuna istruzione precisa riguardo al sistema del calendario o a regole tecniche per determinare il tempo della celebrazione della Pasqua in queste decisioni dei Santi Padri. Il Prof. V.V. Bolotov ha dimostrato in modo sufficientemente chiaro e convincente che “il Concilio di Nicea non aveva alcun bisogno di emanare decisioni di natura puramente tecnica: ‘i fratelli orientali’ stessi sapevano come evitare di celebrare la Pasqua assieme agli ebrei. (21)

Anche il Padre Prof. D.A. Lebedev condivide l’opinione di questo eminente studioso: “Il Concilio non deliberò la questione del giorno della Pasqua in dettaglio... la decisione che gli viene di solito attribuita, quella di celebrare la Pasqua nella domenica successiva alla prima luna piena di primavera è solo una formulazione tardiva del principio dei cicli pasquali alessandrini: la Pasqua alla prima domenica dopo il quattordicesimo giorno del mese lunare, che non cada prima del giorno dell’equinozio primaverile, il 21 marzo (di conseguenza, nei giorni 15-21 del mese lunare).” (22) Anche A.I. Geogievsky, un ricercatore all’Accademia Teologica di Mosca, richiama l’attenzione su questo punto nel suo articolo “Sul calendario ecclesiastico.” (23) Il professor Liverij Voronov, dell’Accademia teologica di Leningrado, allo stesso modo nota questa circostanza nella sua opera “Il problema del calendario.” (24)

Il Concilio di Nicea “non rese uniforme per mezzo di un decreto la pratica per la determinazione del tempo della celebrazione della Pasqua.” (25) Questa circostanza ha un enorme significato per la controversia scientifica con coloro che combattono per la “correzione” del calendario giuliano ecclesiastico, citando il fatto che, come essi presumono, il principale fattore determinante dei cicli pasquali è l’equinozio di primavera, e, infallibilmente, la “prima luna piena” che viene dopo di esso. I sostenitori del “principio dell’equinozio”, che si appoggiano principalmente sul “sermone di Anatolio”, un documento greco anonimo e poco conosciuto del quarto secolo, dovrebbero tenere presente che, nelle tabelle alessandrine dei cicli pasquali, che furono in seguito accettate da tutta la Chiesa, l’equinozio primaverile non è un valore autosufficiente, come gli aderenti al calendario gregoriano cercano di dimostrare, ma unicamente un valore secondario e derivato, che serve come limite per determinare il mese di Abib (Nisan), e insieme con questo, l’inizio del nuovo anno pasquale.

Come è ben noto, il Passaggio dell’Antico Testamento era l’antico ricordo fatto in Israele della sua liberazione dalla schiavitù egiziana. Dai tempi di Mosè questa festa cadeva nel giorno dal 14 al 15 del primo mese lunare dell’anno, Nisan (o Abib), secondo l’antico calendario ebraico, vale a dire, nel giorno della prima luna piena primaverile. Tuttavia, si deve ricordare che “il mese di Abib non è un valore definito che ha la propria estensione fissa nell’anno, come il nostro marzo.” (26) Nelle Sacre Scritture, Abib è definito come “il mese delle nuove spighe” (Esodo 13:4) (27), in cui, secondo Levitico 23:10-16 e Deuteronomio 16:9, ogni ebreo doveva offrire al Signore il primo covone del raccolto - “il covone dell’offerta” - nel secondo giorno del Passaggio, alla festa degli Azzimi.

Le parole del Prof. Bolotov relative alla determinazione del tempo della celebrazione del Passaggio nell’Antico Testamento meritano attenzione: Durante l’esistenza del Tempio e dei sacrifici, era impossibile riconoscere come mese del Passaggio, vale a dire, come Nisan, un mese nella cui luna piena l’orzo non poteva maturare nei dintorni di Gerusalemme.” (28)

Di conseguenza, il segno del mese del Passaggio di Abib, il “mese delle nuove spighe” secondo la Sacra Scrittura, è la maturazione delle nuove messi, e poiché il primo grano in Palestina, per osservazione, non matura prima dell’equinozio, non è possibile celebrare il Passaggio prima dell’equinozio di primavera. Quanto all’opinione che sia necessario celebrare la Pasqua immediatamente dopo l’equinozio, il Prof. Bolotov, citando la vera formula dei cicli pasquali, conclude che questo è “la pietra angolare della riforma gregoriana, sulla quale essa sta in piedi o cade.” (29) In aggiunta a ciò, non esistono termini per “equinozio” e “primavera” nell’antica lingua ebraica. La situazione geografica della Palestina è tale che vi sono solo due stagioni nell’anno: estate e inverno. “Così,” scrive il Prof. Bolotov nel suo rinomato rapporto, la natura stessa della Palestina offre la propria imparziale testimonianza che la riforma gregoriana altro non è che uno sbaglio grossolano, un peccato di incapacità di comprensione.” (30)

E così, che ci piaccia o no, le discussioni sul calendario giuliano ecclesiastico portano invariabilmente a polemiche con i sostenitori del calendario gregoriano. E poiché la questione del calendario, oltre a essere di interesse scientifico, lo è ancor di più dal punto di vista pratico e molto attuale, essendo strettamente legata con la vita della Chiesa e, in particolare, della Chiesa ortodossa russa, la più numerosa nel mondo ortodosso, cerchiamo di osservare i punti basilari di questo problema.

Come già indicato in precedenza, la raison d’être per la creazione del calendario giuliano ecclesiastico è collegata con la festa della Risurrezione del Signore - la Santa Pasqua. Il compito che i Santi Padri affrontavano consisteva nel designare questo giorno così “come lo designavano ai tempi di Gesù Cristo, e senza cadere in quegli errori che erano caratteristici della pratica giudaica nel terzo e nel quarto secolo.” (31)

Nostro Signore Gesù Cristo celebrò la Mistica Cena con i suoi discepoli in stretta aderenza alla tradizione ebraica. Tuttavia, l’ultima Pasqua dell’Antico Testamento celebrata da Cristo, a differenza di quella che la precedette, non fu celebrata con pane azzimo, ma con pane lievitato, in quanto il pane lievitato era permesso dalla Legge solo fino a dopo il mezzogiorno del 14 di Nisan. A quell’ora Nostro Signore era sulla Croce “nel mezzo della terra operando la salvezza di tutti coloro che con speranza invocano il suo santo nome.”

Sia la Mistica Cena che la Crocifissione di Cristo avvennero il giorno 14 di Nisan, il venerdì, secondo la suddivisione ebraica della giornata. Tuttavia, per il calendario giuliano romano, per il quale il giorno incomincia alla mezzanotte, la Cena Mistica di Cristo cade il giovedì, e la Crocifissione il venerdì. Il cristianesimo, avendo accettato il calendario giuliano dei romani, fece del Grande Giovedì il giorno della commemorazione della Mistica Cena e del Grande Venerdì il giorno della commemorazione della santa e salvifica Passione del Nostro Signore Gesù Cristo, (32) che corrisponde alla tradizione dei Vangeli sinottici [Matteo, Marco e Luca].

La Pasqua della Passione del Signore coincideva con il Passaggio dell’Antico Testamento; ma la Pasqua che annientò la potenza della morte, la Pasqua della Risurrezione, fu compiuta il terzo giorno dopo la crocifissione - il 16 di Nisan. La sequenza di questi eventi, che sono unici nella storia del mondo, non può essere alterata. Questa è una questione canonica di enorme importanza. La tradizione di osservare strettamente gli eventi sacri del Nuovo Testamento nella Chiesa ortodossa russa testimonia l’amore che essa ha per Cristo e la fedeltà alla Santa Tradizione e alle ingiunzioni dei Santi Padri.

La celebrazione cristiana della Santa Pasqua, che sostituì le prescrizioni dell’Antico Testamento, fu modificata in conformità con gli eventi del Nuovo Testamento e i decreti conciliari. Tuttavia, pur avendo conservato un legame storico con il Passaggio dell’Antico testamento, la festa della Risurrezione ne divenne totalmente indipendente.

Nel corso di un lungo periodo, oltre un millennio, i cristiani, usando un singolo calendario, furono uniti riguardo alla celebrazione della Pasqua. Ciò sosteneva l’unità della struttura originale della Chiesa, anche dopo l’anno 1054. “La riforma gregoriana del Calendario nell’anno 1582 per la prima volta violò l’unità cristiana relativa al calendario, e, in conseguenza di ciò, l’unità pasquale.” (33)

A questo proposito, citeremo le parole di San Giovanni Crisostomo: “L’esattezza nell’osservanza dei tempi non è così importante come l’offesa della divisione e dello scisma.” (34)

A questo punto è necessario far notare come il giorno dell’equinozio di primavera si sposta di uno ogni 128 anni, e le fasi della luna di un giorno ogni 310 anni. Ciò capita come risultato della processione del calendario, un fatto che era ben noto ai compilatori dei cicli pasquali. Tuttavia, a causa dell’impossibilità di unire i movimenti del sole e della luna in un sistema calendariale-astronomico, qualsiasi calendario è destinato a una maggiore o minore accuratezza. E, probabilmente, nessun astronomo è in grado di creare un calendario assolutamente accurato. Gli astronomi stessi lo confermano, con il fatto che ciascuno propone il proprio stile, distinto da quello degli altri. La disparità delle loro soluzioni, così come le loro contraddizioni, semina dubbi sulla correttezza della loro cronologia. (35) E’ ugualmente impossibile fissare qualcosa in un calendario per sempre; o altrimenti un tentativo simile sarebbe simile al progetto di tenere nello stesso posto le due lancette di un orologio in moto.

Qui ci accostiamo proprio al momento collegato con un simile tentativo di mantenere il punto dell’equinozio di primavera per un “tempo eterno” al 21 di marzo (nell’anno del Concilio di Nicea esso cadde il 21 di marzo). La riforma gregoriana fu intrapresa nell’anno 1582, anche con lo scopo di fissare l’equinozio di primavera. Papa Gregorio XIII emanò la bolla Inter gravissimas , che proclama: “E’ stata nostra intenzione non solo restaurare l’equinozio nel luogo per esso stabilito nell’antichità, dal quale ha deviato approssimativamente di dieci giorni dal tempo del Concilio di Nicea, e far tornare il quattordicesimo giorno della luna al proprio posto, dal quale diverge al presente di quattro o cinque giorni, ma anche di creare un metodo e delle regole per mezzo delle quali si ottenga che in futuro l’equinozio e il giorno 14 della luna non si muovano mai dal loro posto” [corsivo dell’autrice]. (36)

Tuttavia, tutti sanno bene che il sole e la luna sono in moto costante, e che perciò è impossibile trovare alcun “metodo e regole” in grado di fissare l’equinozio e “il giorno 14 della luna” per sempre.

Già sappiamo che il requisito principale chiesto fino dall’antichità per un calendario è il mantenimento del ritmo. Il ritmo ciclico e senza crepe del calendario giuliano è stato esaminato in precedenza. Ma ciò che è il merito di questo calendario costituisce il difetto principale di quello gregoriano. Quanto alla sua accuratezza astratta, essa “è stata ottenuta a un prezzo troppo alto.” (37) Dapprima, facendo bisestili solo alcuni secoli il numero di giorni in ogni secolo non è più identico. Nel calendario giuliano, tutti gli anni del secolo sono anni bisestili, mentre in quello gregoriano, lo è solo ogni quarto secolo; “ma se l’anno bisestile costante crea un ritmo, allora un secolo privato di un anno bisestile viola questo ritmo.” (38) In secondo luogo, nei secoli gregoriani, i segmenti di tempo che cadono allo stesso punto in secoli bisestili e ordinari non sono uguali ai segmenti di tempo corrispondenti che si trovano nei secoli non bisestili adiacenti. In terzo luogo, l’essenza di un calendario viene violata da quello gregoriano: la presenza di un periodo minimo contenente un numero intero di giorni. E, se nel calendario giuliano questo periodo equivale a quattro anni o 1.461 giorni, in quello gregoriano costituisce 400 anni, o 146.097 giorni.

Oltre a ciò, i mezzi anni, quarti di anni e mesi del calendario gregoriano contengono un numero disuguale di giorni; i giorni della settimana non si accordano con le date dei mesi, sia in anni diversi che attraverso un medesimo anno. A causa della presenza nella maggioranza dei mesi gregoriani delle cosiddette settimane “spezzate”, l’alternanza di queste ultime avviene indipendentemente dalla durata dei mesi.

In aggiunta a questo, coloro che comparano i due calendari “dimenticano spesso che, da un punto di vista puramente scientifico, il calendario gregoriano non ha presenta alcun vantaggio sul calendario giuliano semplicemente perché i due calendari sono differenti nei loro principi. Il Calendario Gregoriano è orientato sul valore dell’anno tropicale o solare, e quello giuliano sull’anno siderale o stellare. In considerazione dell’irregolarità dell’orbita della terra attorno al sole, l’anno tropicale (a differenza di quello siderale) non ha un valore strettamente costante. La sua particolarità, alla quale siamo abituati, è che esso costituisce l’anno “naturale”, vale a dire, il periodo del ritorno del sole all’equinozio o solstizio, per i processi realmente sperimentati sulla terra, mentre l’anno stellare è il periodo del ritorno del sole alla medesima stella fissa. In questo senso, il calendario gregoriano è geocentrico, mentre quello giuliano è cosmocentrico nella sua base.” (39)

Ben si sa che, a paragone con l’anno giuliano, la durata dell’anno gregoriano è più prossima al valore dell’anno tropicale (l’anno giuliano lo supera leggermente, di 11 minuti e 14 secondi). Tuttavia, anche il calendario gregoriano è inaccurato in relazione al valore dell’anno tropicale. L’errore in esso presente crescerà con il tempo, cosicché “dopo 25.765 anni tropicali sarà indietro rispetto all’anno siderale di un anno intero. Questa è la ragione per cui tutte le ricerche astronomiche, e perfino quelle storico-astronomiche, correlate con lungi periodi di tempo, vengono condotte secondo il calendario giuliano e non secondo quello gregoriano.” (40) Queste argomentazioni scientifiche meritano di essere prese in considerazione dai sostenitori del calendario gregoriano, che amano sottolineare la sua esattezza astronomica.

Quanto alla ricerca cronologica, il calendario gregoriano, secondo le parole del Prof. V.V. Bolotov, rappresenta una “vera e propria tortura per i cronologi.”

A questo proposito, è interessante notare l’attività del rinomato cronologo, Giuseppe Scaligero, un contemporaneo di Papa Gregorio XIII. Nel suo trattato, “Una nuova opera per il miglioramento del computo del tempo,” egli dimostra che soltanto il sistema calendariale-cronologico giuliano è in grado di fornire un computo ininterrotto nella cronologia mondiale. (41)

E’ possibile tenere un conto sequenziale e ininterrotto dei giorni con il Ciclo della creazione di Scaligero (i cicli pasquali niceni sono il suo prototipo) da una data di partenza convenzionale. Grazie a questa qualità unica, come pure ai suoi altri meriti, la cronologia giuliana nella redazione di Scaligero forma la base di tutti i computi astronomici e cronologici. Perciò, “rimane un fatto paradossale che lo stesso sistema, senza il quale l’astronomia e cronologia dei nostri tempi non riesce a funzionare, fu considerato da Papa Gregorio XIII come inutile per il calendario.” (42) Nella ricerca storica e cronologica, si devono fare i calcoli dapprima secondo il calendario giuliano, e quindi tradurli nelle date gregoriane. Tutto ciò mostra la mancanza di fondamento dei passi intrapresi da Roma. La riforma del 1582 ha mostrato di essere, in essenza, futile sia dal punto di vista scientifico sia riguardo alla meta che i gregoriani si erano fissati. Dopo tutto, nel calendario gregoriano, la data dell’equinozio di primavera, sebbene più lentamente che nel calendario giuliano, si sta regolarmente allontanando dal suo vero significato astronomico, mentre la luna piena astronomica di Pasqua si sta separando dall’equinozio al ritmo di un giorno ogni 210 anni.(43)

Il tentativo di Roma di fare della Pasqua una festività esclusivamente primaverile manca di alcun fondamento, poiché il cristianesimo, essendo una religione universale, celebra la risurrezione di Cristo in entrambi gli emisferi in stagioni dell’anno differenti. Dopo tutto, se il giorno della Santa Pasqua nell’emisfero settentrionale del pianeta cade in primavera, in quello meridionale cade in autunno. La Santa Pasqua non può cadere in primavera, per ragioni sia astronomiche che meteorologiche, in entrambi gli emisferi della terra allo stesso tempo. E’ una festa di primavera secondo lo spirito, e non secondo la lettera.

Quanto al calendario giuliano, di cui ci occupiamo, la sua semplicità, vitalità e praticità stanno nel fatto che i giorni ritornano alle stesse date dopo 28 anni, e le lune nuove e piene dopo 19 anni. Il ciclo pasquale, o la Grande Proclamazione, contiene 532 anni. E’ costruito per mezzo della combinazione del “ciclo della luna” di 19 anni con il “ciclo del sole” di 28 anni. Il numero 532 è il risultato della moltiplicazione dei due valori: 19 e 28. In tal modo, il ciclo pasquale consiste di ventotto “cicli della luna” di 19 anni, e diciannove “cicli del sole” di 28 anni. Questo sistema crea un ritmo matematico unico. Al termine di una Grande Proclamazione, le fasi della luna e i giorni della settimana ritornano alle stesse date. Così, la quindicesima proclamazione è stata in corso dall’anno 1941; di conseguenza, la Pasqua nell’anno 1941 fu celebrata nella stessa data dell’anno 1409 (vale a dire, 532 anni prima), mentre nell’anno 1988 è caduta nello stesso giorno dell’anno 1456, e così via. Questa ciclicità interna, che è stata posta nella natura del calendario giuliano stesso, ci dà le basi per esaminarlo ( a differenza del calendario gregoriano) come calendario veramente perpetuo). (44) E’ difficile sopravvalutare i meriti matematici e di altro genere in questo sistema.

I Santi Padri del primo Concilio Ecumenico, avendo preso in considerazione tutti i computi astronomici e matematici, non diedero però valore assoluto all’accuratezza astronomica dei calcoli. Tutte le inesattezze per le quali il calendario giuliano ecclesiastico è biasimato “sono troppo ovvie per non presumere che esse fossero permesse intenzionalmente, per la semplificazione dei cicli pasquali.” (45) Oltre a ciò, i compilatori dei cicli pasquali sapevano che l’accuratezza in sé è qualcosa di condizionato, poiché i valori iniziali vengono accettati dagli uomini in modo ipotetico. Sia la Precessione degli equinozi che l’avanzamento delle vere fasi lunari erano loro ben note. Avendo accettato il 21 marzo come limite per la celebrazione della Pasqua, essi sapevano che l’equinozio è mobile. Secondo le decisioni accettate dalla Santa Chiesa, la Pasqua è celebrata entro i limiti dal 22 marzo fino al 25 aprile incluso (secondo il calendario giuliano). Il giorno della Santa Pasqua si sposta di diversi giorni dal momento del plenilunio in virtù del fatto che è celebrato senza eccezioni di domenica.

Essendo, da una parte, in certo modo dipendenti dai dati dell’astronomia, i cicli pasquali ortodossi d’altro canto non aderiscono a un’accuratezza astronomica assoluta (che è impossibile in pratica). Nondimeno, questo sistema completo, che è servito per più di un millennio e mezzo come calendario liturgico sacro per tutti i popoli cristiani, è un modello di bellezza e sapienza. Frutto delle fatiche di creatori divinamente ispirati, il calendario giuliano ecclesiastico unisce in sé il condizionato con il non condizionato, l’assoluto con il relativo.

Prendendo in considerazione il fatto che molti dettagli dei cicli pasquali ortodossi hanno un carattere puramente simbolico e condizionato, non ci si dovrebbe preoccupare per il fatto che nel nostro tempo il momento astronomico dell’equinozio di primavera sia passato al di fuori dei confini della Pasqua secondo il ciclo alessandrino. Secondo l’equinozio tradizionalmente accettato al 21 marzo, la celebrazione della Pasqua ortodossa (ma non di quella gregoriana) è tenuta precisamente dopo la “prima luna piena.” Il giorno del “plenilunio ecclesiastico pasquale” del 21 marzo, accettato nei cicli pasquali alessandrini come il vero 14 di Nisan, “precede sempre la Pasqua del Signore, che giunge al vero 15 di Nisan; e cioè, rispetta i requisiti di Zonaras, di Balsamon, e del secondo canone di Blastaris.” (46)

E così, i rimproveri mossi ai cicli pasquali ortodossi per “arretratezza” rispetto alla scienza sono frutto di incomprensione e pregiudizio, così come dell’ignoranza di tutto l’aggregato di problemi collegati con la questione più complessa del calendario giuliano ecclesiastico. Il Prof. V.V. Bolotov ha mostrato in modo convincente che dall’astronomia nel “proprio elemento, gli studiosi della Pasqua non possono ricevere direzioni veramente valide. Solo la meteorologia può dare tali direzioni, ma solo quando raggiungerà un grado di sviluppo, che ora può essere intravisto solo in un futuro molto distante,” un grado di sviluppo che risolva problemi come questo: nell’anno N, l’orzo matura attorno a Gerusalemme nel dato tempo, mentre nell’anno N + 100 maturerà nell’altro tempo dato. (47) “Con il presente stato della scienza,” dice Bolotov, “si possono considerare i cicli pasquali alessandrini ortodossi come opera altamente perfetta, e indubbiamente superiori ai cicli pasquali gregoriani, perciò quieta non movere.

Lo sforzo di Papa Gregorio XIII di rettificare quella che gli sembrava una violazione dei canoni della Chiesa sulla celebrazione della Pasqua, finì per essere davvero una violazione di uno dei canoni fondamentali della Chiesa. Così, celebrando la Santa Pasqua prima degli ebrei o insieme a loro, i seguaci della riforma gregoriana iniziarono a violare il Canone Apostolico VII, i decreti del Concilio di Nicea e il Canone I del Concilio locale di Antiochia.

Cambiare la sequenza degli eventi di cui ci parla il Vangelo significa distorcerli. Misticamente la Pasqua del Nuovo Testamento simbolizza il rimpiazzo dell’offerta sacrificale dell’agnello nell’Antico Testamento con il sacrificio redentivo del nostro Salvatore, il Signore Gesù Cristo: l’Agnello che prende su di sé i peccati del mondo (cfr Gv 1,29). E se, per ragioni puramente astronomiche, la Pasqua cristiana nella Chiesa primitiva coincideva con il Passaggio della sinagoga, è totalmente inaccettabile che la Santa Pasqua preceda il Passaggio ebraico. “Perfino i quartodecimani, che furono condannati dalla Chiesa antica per il fatto che celebravano sempre la Pasqua insieme agli ebrei (ovvero, il 14 di Nisan), non avrebbero potuto immaginare qualcosa del genere.” (48) Nel solo periodo dal 1851 al 1950, i seguaci del calendario gregoriano hanno celebrato la Pasqua quindici volte prima degli ebrei, e più di una volta insieme a loro; per esempio, il 1 aprile 1923, il 17 aprile 1927, il 18 aprile 1954 e il 19 aprile 1981. Pertanto, il decreto del Concilio locale di Costantinopoli del 1583, che dichiarò non canonico il calendario gregoriano, rimane effettivo. Il Sigillion (lettera enciclica) di questo concilio, firmata da tre patriarchi orientali - Geremia di Costantinopoli, Silvestro di Alessandria e Sofronio di Gerusalemme - e dal resto dei gerarchi al Concilio, proclama: “Chiunque non segue i costumi della Chiesa e quanto i Sette Santi Concili Ecumenici hanno ordinato riguardo alla Santa Pasqua e al Menologio [le feste fisse] e hanno stabilito che noi seguissimo, ma desidera seguire i cicli pasquali e il Menologio gregoriano, egli, così come gli astronomi senza Dio, si oppone a tutti i decreti dei santi concili e vuole cambiarli e indebolirli; che egli sia anatema e scomunicato dalla Chiesa di Cristo e dall’assemblea dei fedeli.” (49)

Il Sigillion del Patriarca Ecumenico Cirillo V, emanato nel 1756 nell’occasione dei tentativi di Roma di cambiare il calendario ortodosso, allo stesso modo consegna i riformatori alla dannazione e alla scomunica eterna. I documenti storici qui forniti mostrano in modo esaustivo l’attitudine dei patriarchi orientali verso la riforma del calendario ecclesiastico ed esprimono una risoluzione incrollabile di conservare la purezza della fede ortodossa.

Come risultato della riforma calendariale gregoriana, il papato si separò definitivamente dall’Ortodossia. La comprovata inutilità di questa riforma ci convince che la separazione dall’Ortodossia era il suo principale, anche se inconfessato, proposito, che fu così raggiunto da Roma.

Non si deve pensare che la riforma del calendario non abbia incontrato oppositori. Sia tra i contemporanei di Papa Gregorio XIII e in seguito ve ne furono non pochi, e tra di loro delle grandi menti. Il grande Copernico si rifiutò di prendere parte alle preparazioni per questa riforma, che erano già iniziate nell’anno 1514 al Concilio Laterano. Giuseppe Scaligero rimase un risoluto oppositore della riforma del calendario fino alla fine della sua vita. Tuttavia, il papato a quel tempo rappresentava una potente forza religioso-politica a cui non era sempre possibile resistere. La Controriforma in Europa, guidata da Roma, era, come ben si sa, ben organizzata e spietata. La ricerca del potere è sempre collegata con la ricerca di potere sul tempo. La storia conosce molti esempi di “appropriazione” di un tale potere; tra gli eventi storici più vicini a noi si può menzionare la Rivoluzione francese con il suo Termidoro.

Roma incoraggiò con forza un’attitudine di pregiudizio contro il calendario giuliano. Solo pochi realizzano che, da un punto di vista scientifico formale, il calendario gregoriano non ha assolutamente alcun vantaggio su quello giuliano, in quanto i due calendari differiscono nei loro principi.
Le nazioni cattolico-romane passarono quasi immediatamente al nuovo stile. Tuttavia, i paesi protestanti non accettarono la riforma gregoriana per lungo tempo, riconoscendo che “è meglio separarsi dal sole che unirsi a Roma.” (50) Ma verso la metà del diciottesimo secolo il calendario gregoriano penetrò in tutte le nazioni d’Europa.

Roma, rafforzando il proprio primato e il proprio significato mondiale, andò “contro l’evidenza scientifica, contro la tradizione e i canoni della Chiesa. Le nostre passioni ci spingono a distorcere la ragione, la logica e la conoscenza. Questo, in tutta probabilità, accade non solo con gli individui, ma anche con un’intera società, un popolo, e perfino con un’intera Chiesa e cultura individuale (locale).” (51) Come conseguenza della riforma del calendario nel mondo occidentale, il centro della vita spirituale e liturgica iniziò gradualmente a slittare dalla Pasqua alla Natività del Signore. Riguardo a ciò che questa festa cristiana è diventata in Occidente, c’è ben poco bisogno di fare commenti. Questa “festa,” che è per la maggior parte una occasione di commercio e di intrattenimento, è blasfema nei confronti dell’evento sacro della Natività di Cristo. Che stridente contrasto tra i supermercati e i negozi affollati e le chiese vuote o semi-vuote nei giorni del Natale in Occidente! (52)

Il problema della cronologia, causato dalla riforma gregoriana, resta irrisolto persino ai nostri giorni. Ora già per più di quattro secoli, il dissenso e i disaccordi nella Chiesa riguardo alla vita liturgica non cessano. L’accettazione del “calendario giuliano corretto” da parte di diverse delle Chiese autocefale [ortodosse] non ha fatto altro che aggravare il problema.

Nel 1923, alla conferenza costantinopolitana delle Chiese ortodosse convocata dal Patriarca Melezio IV, fu approvato il “calendario giuliano corretto.” Tre patriarchi orientali condannarono severamente questo congresso, che illegalmente definì se stesso “pan-ortodosso,” e si rifiutarono di prendervi parte. Non un singolo rappresentante plenipotenziario della Chiesa russa, che ammonta a tre quarti dell’intero mondo ortodosso, era presente. Questa conferenza, che introdusse un profondo dissenso nell’unità ortodossa, può essere considerata uno degli eventi più tristi della vita della Chiesa nel ventesimo secolo. (53) Oltre all’abolizione del calendario giuliano, le altre decisioni della conferenza costantinopolitana del 1923, come il permesso di un secondo matrimonio del clero, il matrimonio dopo l’ordinazione, la richiesta di abbandonare il ciclo mobile delle feste della chiesa e persino della disposizione settimanale dei giorni, la proposta di abbreviare i servizi divini e altre dubbie innovazioni testimoniano la sua totale illegalità canonica. Molte di queste decisioni furono respinte dalla coscienza della Chiesa cattolica ortodossa; tuttavia, quella sul nuovo calendario, accettata da alcune delle Chiese, violarono la oro unità con le altre Chiese ortodosse e causarono tra loro seri dissensi interni, che continuano ancora oggi. (54)

I metodi che Melezio IV (Metaxakis) usò per introdurre il nuovo stile meritano un’attenzione speciale. Così, nella sua lettera all’Arcivescovo Seraphim di Finlandia, datata 10 Luglio 1923, Melezio IV racconta una bugia manifesta, affermando che il nuovo stile era stato accettato per richiesta popolare e per un consenso delle Chiese ortodosse. In tal modo, egli condusse in errore persino il Santissimo Tikhon, Patriarca di Mosca e di tutta la Russia. (55)

Tuttavia, in risposta all’epistola del Patriarca costantinopolitano, il 27 febbraio 1924, riguardo all’introduzione del calendario neo-giuliano nell’uso della Chiesa, il Santissimo Patriarca Tikhon lo informò che nella Chiesa russa sarebbe risultato impossibile introdurre il nuovo stile in vista della decisiva opposizione del popolo. (56)

Melezio IV fu forzato a ritirarsi dalla carica a causa dell’estrema indignazione della popolazione ortodossa di Costantinopoli; i greci devastarono l’edificio del patriarcato e “lo sottoposero ad assalto e percosse.” (57) Ciò, tuttavia, non eliminò i disturbi al calendario da lui seminati. Essendo in seguito divenuto Patriarca di Alessandria, Metaxakis impose il calendario neo-giuliano anche su questa Chiesa. Questo fatto è tanto più deplorevole proprio perché furono i Padri della Chiesa alessandrina a creare i cicli pasquali ortodossi e a custodirli con zelo per uno spazio di molti secoli.

Le Chiese ortodosse autocefale di Grecia, Alessandria, Antiochia, Romania e Bulgaria accettarono lo stile giuliano “corretto” per l’intero anno liturgico, eccettuando soltanto il periodo del Triodio quaresimale e del Pentecostario, che sono osservati secondo il calendario giuliano. Tuttavia, sotto il calendario neo-giuliano “i cicli pasquali alessandrini non possono essere usati senza manovre dubbie e artificiali.” (58) Oltre a ciò, il calendario neo-giuliano, invece del periodo giuliano di 4 anni, ha un periodo di 900 anni, cosa che fa crescere il periodo dei cicli pasquali da 532 anni a 119.700 anni, praticamente trasformando i cicli pasquali “corretti” in tempi pasquali non ciclici (questo calendario di Milankovich coincide con il calendario gregoriano fino all’anno 2800).

Di fatto, questo “calendario giuliano corretto” ha bisogno esso stesso di correzioni, in particolare, di natura canonica. Combinato artificialmente con i cicli pasquali alessandrini, porta disordine nella vita liturgica.

Così, la Kyrio-Pascha [coincidenza della domenica di Pasqua con la festa dell’Annunciazione] diventa impossibile, la festa dell’Annunciazione non può cadere nella settimana della Passione, e la sua celebrazione frequentemente non corrisponde al tempo determinato dal Tipico. Il primo e il secondo ritrovamento del Prezioso Capo del Precursore non raramente vengono dislocati dai giorni indicati dal Tipico. Ugualmente rivelatore è l’esempio del ricordo dei santi Quaranta Martiri di Sebaste. Il giorno dedicato alla loro memoria secondo il Tipico (capitolo 48 con i capitoli marcani), può cadere dal martedì della prima settimana fino al lunedì della sesta settimana della Grande Quaresima, o i Quaranta giorni santi. Le parole del servizio ai Santi Quaranta Martiri lo mostrano allo stesso modo: “O voi che avete portato la passione di Cristo, avete reso splendido l’augusto digiuno con la memoria della vostra gloriosa sofferenza; poiché essendo quaranta, voi santificate i quaranta giorni” (glorificazione alle Lodi); “il coro della radianza dei quaranta, l’intero esercito raccolto da Dio, risplendette assieme sul digiuno attraverso sofferenze onorevoli, santificando e illuminando le nostre anime” (prima stichira di “Signore, a te ho gridato”).

Sotto il calendario neo-giuliano, con il quale il giorno dei Santi Quaranta Martiri può, contrariamente al Tipico, cadere nella settimana dei latticini o persino nella settimana di carnevale, queste parole di preghiera perdono il loro significato. Non infrequentemente, anche la celebrazione del giorno della memoria del santo Grande Martire Giorgio è violata dai neo-calendaristi.

Il peggiore di tutti i casi, comunque, è quello del digiuno di Pietro, o digiuno degli apostoli. L’istituzione di questo digiuno nella Chiesa è già testimoniata nelle Costituzioni Apostoliche: “dopo Pentecoste, celebrate per una settimana, e quindi digiunate” (libro 5, capitolo 9). Secondo l’antica prescrizione, questo digiuno inizia il lunedì successivo alla domenica di Tutti i Santi, che è la prima dopo la Pentecoste. A seconda del giorno della celebrazione della Santa Pasqua, la sua durata è differente in anni differenti: il digiuno più prolungato è di sei settimane, mente il più breve è di una settimana e un giorno.

Un’intera serie di testi patristici parla dell’alto rispetto che questa festa ha goduto tra i cristiani. (59) I riferimenti si trovano nei Santi Atanasio il Grande, Ambrogio di Milano e Teodoreto di Ciro. San Leone Magno dice che il Digiuno degli Apostoli, che segue la prolungata festa di Pentecoste, è “in special modo necessario, in modo da purificare attraverso questo sforzo i nostri pensieri ed essere resi degni dei doni dello Spirito Santo (Sermone 76). In un altro dei suoi sermoni (il 74), San Leone spiega il significato di questo digiuno: “I maestri, che con il loro esempio e i loro precetti hanno illuminato tutti i figli della Chiesa, hanno delimitato l’inizio della guerra per Cristo con un santo digiuno, per avere, quando andiamo in guerra contro la depravazione spirituale, un’arma a tal fine nell’astinenza, con la quale poter mortificare i desideri peccaminosi. Questo costume dovrebbe essere tenuto con diligenza anche perché quei doni che ora sono comunicati da Dio alla Chiesa rimangano in voi.”

Nelle Chiese ortodosse autocefale che hanno accettato il “calendario giuliano corretto,” il digiuno degli apostoli è frequentemente abbreviato o sparisce completamente se cade nella settimana di Pentecoste, quando il digiuno è proibito dal Tipico. Negli anni recenti, ciò ha avuto luogo nel 1983 e nel 1986.

E’ possibile mantenere inviolata la regola liturgica di Gerusalemme (Tipico) - l’inestimabile frutto dello sforzo di preghiera dei più grandi asceti ortodossi - soltanto sotto il calendario ecclesiastico giuliano e i cicli pasquali alessandrini. Quanto al calendario neo-giuliano, sotto il suo uso in un periodo di soli venti anni (1969-1989) si possono contare decine di deviazioni dal Tipico, cosa che implica un allontanamento dalla tradizione patristica, una violazione dell’unità della preghiera tra le Chiese ortodosse, e nella vita pratica dissenso e divisione tra il popolo della Chiesa.

L’accettazione del calendario neo-giuliano nella pratica ecclesiastica di alcune Chiese autocefale, secondo le parole del Metropolita Antonio (Vadkovsky), “può in futuro avere conseguenze indesiderabili e persino perniciose per il bene della Chiesa universale e può servire come arma nelle mani dei suoi nemici, che sotto il sedicente pretesto dell’interesse dei popoli ortodossi, sono da molto tempo in armi contro l’unità universale.” (60) Queste parole, pronunciate all’inizio del ventesimo secolo, si sono sfortunatamente rivelate giustificate.

La questione del calendario ecclesiastico appartiene a una serie di questioni quanto mai importanti di significato ecclesiastico-religioso che portano perfino alla separazione delle chiese. “Che nessuno pensi che siamo in contesa a causa dei tempi, dei mesi e dei giorni, e stiamo sopportando privazioni a causa dei pleniluni e degli equinozi. Ci battiamo per la Santa Chiesa; la stiamo difendendo dai poteri dell’Ade che sono insorti contro di lei,” scrive l’Arcivescovo (in seguito Metropolita) Innokenty di Pechino nella sua lettera aperta. (61)

Dopo la conferenza inter-ortodossa di infausta memoria a Costantinopoli nel 1923, l’introduzione del nuovo calendario fu spesso effettuata frettolosamente e con forzature. I moderni riformatori del calendario ecclesiastico trattano con arroganza la tradizione e la determinazione dei 318 Santi Padri del primo Concilio Ecumenico sulla Santa Pasqua, che fu confermata dal Concilio locale di Antiochia e da tutti i seguenti Concili Ecumenici. Tuttavia, non ci si deve dimenticare che gli anatemi dei patriarchi e gerarchi orientali, proclamati negli anni 1583 e 1756, incombono pesantemente sui neo-calendaristi. Secondo l’espressione dell’epistola enciclica del 1848, firmata da quattro patriarchi, i neo-calendaristi, che violano la tradizione scritta e non scritta, “volontariamente si rivestono di maledizione come di un manto” (Salmo 108:18). (62)

Il Concilio pan-russo del 1917-1918 rifiutò decisamente il nuovo stile e stabilì che il calendario giuliano ecclesiastico fosse mantenuto per il computo ecclesiastico.

Quattro concili degli arcipastori della Chiesa Russa all’Estero, tenuti nel 1923, 1924, 1926 e 1931, presero la decisione di rifiutare il nuovo stile, in vista del fatto che gli anatemi dei patriarchi orientali del 1583 e del 1756 pesano su di esso anche in questi tempi, “poiché non sono stati revocati né sciolti da qualsivoglia concilio” (63)

Nel nostro tempo di totale secolarizzazione, sarebbe utopistico proporre un ritorno al calendario giuliano per uso civile. Ciò sarebbe, nelle parole del Metropolita Vitaly (Ustinov), equivalente come sforzo a far tornare l’intero mondo occidentale contemporaneo ai primi tempi cristiani. Tuttavia, è necessario opporsi consapevolmente a tutte le manipolazioni del calendario ortodosso. “E voi, cristiani pii e ortodossi, mantenetevi in quelle cose che avete imparato, in cui siete nati e siete stati cresciuti, e quando la necessità chiama, effondete il vostro stesso sangue per mantenere la fede e la confessione dei Padri; custodite voi stessi e siate attenti in queste cose, in modo che anche il nostro Signore Gesù Cristo vi aiuti.’ (64)

La Chiesa ortodossa russa (in Russia e all’estero), i monasteri del Santo Monte Athos, così come le Chiese Ortodosse di Gerusalemme, di Georgia e di Serbia e tutti gli zeloti dell’eredità patristica si tengono fermamente ancorati al calendario ecclesiastico giuliano, e nonostante molte pressioni si rifiutano di accettare il nuovo stile.

In un’epoca di compromessi e di inaudite deviazioni canoniche, di perdita di riverenza di fronte alle cose sante, di scandalosa abbreviazione dei servizi divini, del rifiuto del digiuno, per non parlare del “sacerdozio” femminile, questa totale rottura con la Tradizione Sacra; (65) in un’epoca in cui “l’abominio della desolazione” si impadronisce anche dei circoli ecclesiastici, bisogna definire la verità “non per mezzo della generale coscienza della Chiesa, che al presente non è sufficiente, ma per mezzo della generale Tradizione della Chiesa, in accordo con la Chiesa antica.” (66)
Come nei tempi dei monoteliti e degli iconoclasti, bisogna cercare la risposta alla dolorosa questione moderna del calendario ecclesiastico nella Tradizione Sacra, ricordando l’esempio del venerabile Massimo il Confessore, che respinse l’eresia monotelita come innovazione, e si rifiutò di essere in comunione con il patriarca monotelita, “anche se l’universo intero fosse stato in comunione con lui” (Letture dei Minei, 21 gennaio). Allo stesso modo, sia i confessori che i martiri, che soffrirono a causa delle sante icone, si batterono contro l’iconoclasmo, senza aspettare un concilio, ma facendosi guidare unicamente dalla Tradizione Sacra, criterio quanto mai affidabile nel risolvere i turbamenti ecclesiastici.

Riguardo al calendario ecclesiastico, ci si può domandare con le parole del Beato Agostino sull’eresia pelagiana: è proprio necessario radunare un concilio per denunciare una simile manifesta perdizione? E se l’eresia pelagiana fu condannata solo a un concilio locale cartaginese, e nondimeno fu respinta da tutta la Chiesa ortodossa, allora anche il nuovo stile, che fu condannato non da uno, ma da molti concili e sinodi, dovrebbe alla fine essere respinto da tutti gli ortodossi veramente credenti. (67)

Quanto alle vane argomentazioni dei patroni della riforma del calendario ecclesiastico, che hanno fatto per se stessi un idolo della scienza, “che essi sappiano che agli ortodossi non conviene essere guidati nella vita della Chiesa dalla scienza, bensì dalla Grazia.” (68)

Il movimento ecumenico contemporaneo cerca soluzioni che possano risolvere la questione del calendario. Tra le altre proposte riguardo a tale questione, due solo quelle più spesso deliberate:

1. Assegnare la festa della Santa Pasqua in un giorno fisso secondo il calendario gregoriano (la prima o la seconda domenica di aprile). Questa proposta, che è in completa rottura con la determinazione del Concilio di Nicea, fu sostenuta dal Concilio Vaticano Secondo.

2. Determinare la data della celebrazione della Pasqua impartendo un significato astronomico letterale ai concetti di “equinozio” e di “plenilunio.”

Secondo l’opinione di A.N. Zelinsky, entrambe queste proposte sono inaccettabili. La prima, in connessione con le insufficienze astronomiche e canoniche del calendario gregoriano e delle sue modifiche; la seconda, in connessione del fatto che la “accuratezza astronomica,” compresa in modo letterale, metterebbe la Chiesa in costante dipendenza dal progresso della conoscenza astronomica; inoltre, la soluzione non sarebbe canonica, poiché permetterebbe la coincidenza della Pasqua cristiana con il Passaggio ebraico, ovvero, conducendo a una totale rottura con la tradizione patristica. (69) Se le confessioni cristiane sono destinate un giorno a unirsi,” scrive Zelinsky, allora tale unione, nella sfera del calendario liturgico ecclesiastico, dovrebbe fondarsi su solide e incrollabili fondamenta. Queste fondamenta possono essere solo il sacro sistema calendariale-cosmologico del Grande Ciclo della Creazione: la brillante creazione conciliare di anonimi devoti della scienza e della fede.” (70)

La chiesa russa non ha accettato alcuna divergenza dalle prescrizioni dei Santi Padri. La cronologia giuliana rimane inviolabile nella vita della Chiesa ortodossa russa. Molti eminenti studiosi in Russia furono sostenitori del calendario giuliano, tra di loro i Proff. V.V. Bolotov ed E.A. Predtechensky, il Prof. N.G. Glubolovsky, il grande accademico e teologo russo Padre Prof. D.A. Lebedev, e tutto il pio popolo russo. “In considerazione della risoluta resistenza del popolo,” risultò impossibile introdurre “lo stile giuliano corretto” in Russia nell’anno 1923, nonostante la decisione che fu presa. Il Metropolita Innokenty di Pechino scrisse che “ogni tentativo di ‘correggere’ o sostituire i nostri cicli pasquali deve essere considerato come un tentativo di portar via dal tesoro della Chiesa uno dei suoi oggetti più preziosi, del quale essa può giustamente vantarsi di fronte agli eruditi del nostro tempo.” (71)

Nel prendere parte alla commissione sulla questione della riforma del calendario in Russia, il Prof. V.V. Bolotov parlò della questione così: “Come prima, io resto decisamente un devoto del calendario giuliano. La sua estrema semplicità costituisce il suo vantaggio scientifico su qualsiasi calendario riformato. Penso che la missione culturale della Russia nella questione presente consista nel mantenere in esistenza il calendario giuliano ancora per qualche secolo, e attraverso questo mezzo facilitare per i popoli occidentali un ritorno all’antico stile incorrotto dalla riforma gregoriana, di cui nessuno ha bisogno.” (72)

E così, la riforma gregoriana del calendario - che è realmente un “nuovo” stile - è una testimonianza del nuovo approccio razionalistico alla categoria del tempo. A partire dal Rinascimento, l’uomo vuole divenire il padrone del tempo. Il tempo perde per lui la dimensione mistica; cessa di essere il tempo dell’attesa, per divenire il tempo del progresso. Ma “il progresso... percepibile e accelerato è sempre un sintomo della fine.” (73) E forse, allora non vi sarà più tempo... per il pentimento.

Il tempo è una creazione di Dio. Il tempo, così come tutta la creazione, ha perduto la sua primitiva perfezione con la caduta dei nostri progenitori nel peccato, e ora attende la liberazione insieme a tutta la creazione. Dio compie la santificazione della creazione, che partecipa della sua vita celeste. Nello stesso modo, si compie anche la santificazione del tempo. Perciò, si può parlare del calendario ecclesiastico come di una icona di questa santificazione del tempo. E’ ovvio che esiste anche il tempo non santificato, che non posto in questa icona. Il tempo cosmico, con tutti i suoi ritmi, in sé non è ancora un soggetto di iconografia ed è santificato solo attraverso un rapporto con la storia sacra. Da qui l’incompatibilità del tempo santificato e quello non santificato, delle feste della Chiesa e di quelle secolari. La profanazione del calendario ecclesiastico è un tentativo sacrilego di contaminare ciò che è santo, un tentativo di espellere ciò che già è stato santificato dal regno dei cieli verso il mondo esteriore.

Avendo manipolato la cronologia, santificata per secoli, del calendario giuliano e dei cicli pasquali alessandrini, i compilatori del calendario gregoriano prima di tutto si sono fissati la meta di consolidare l’autorità del Papa di Roma, che stava traballando dopo la riforma protestante. La riforma gregoriana, che si era permessa di “abolire” dieci giorni realmente esistenti, rifletteva quella generale condizione dell’anima e della mente in Occidente, secondo la quale il tempo iniziava a dipendere dalla volontà umana. Il razionalismo, che aveva preso possesso delle menti, iniziò a meccanizzare il mondo e desiderò gestire le leggi della natura e del tempo. “I fiori del male,” piantati in quei tempi, diedero i loro frutti amari nella nostra era. (74)

Al termine del ventesimo secolo, la gente ha iniziato a parlare in modo un po’ più scettico delle “conquiste” del Rinascimento. Il pensiero dell’uomo di oggi, che volge uno sguardo mentale alla secolarizzazione, alla scristianizzazione, e, insieme a loro, al completo declino morale che seguì il Rinascimento, sta iniziando a interpretare il Rinascimento e ad accostarlo in modo differente. Indagando nella genealogia del degrado morale dell’uomo moderno, si può notare che esso affiora dalle sue radici precisamente all’epoca del Rinascimento, l’epoca dello sforzo senza freni che l’uomo compie per elevarsi, per stabilirsi al di sopra di tutte le cose: sulla natura, sui suoi simili, e infine, sullo stesso Signore Iddio.

Evitando la glorificazione, e solo per stabilire i fatti, è necessario dire che la Chiesa ortodossa russa mantiene fedelmente la tradizione apostolica ed ecclesiastica. Non è la sua fedeltà il pegno della sua fioritura spirituale nel nostro tempo? Non è vero che per mezzo di questa fedeltà essa instilla speranza nei moderni uomini occidentali, che sono giunti a un vicolo cieco morale e spirituale?

Nell’anno 1988, abbiamo celebrato il millennio del Battesimo della Russia. La Russia ebbe inizio dopo il suo incontro con Cristo, e nello corso di tutta la sua difficile storia, non ha mai dimenticato l’amore della sua “gioventù.” La Santa Russia è un concetto che per qualche ragione viene riferito al passato. Eppure, la Santa Russia non è mai morta: essa vive. Vive nel fervore di preghiera del popolo ortodosso, è nei cuori degli asceti che hanno intrapreso lo sforzo monastico, malgrado una crescita nell’ateismo. La Santa Russia vive nei monasteri, nelle chiese, nel suo popolo pio e timorato di Dio.

In un’era di apostasia, la Chiesa ortodossa russa porta al mondo la buona novella del suo amore fedele per Cristo. Ora che l’accelerazione escatologica del tempo è percepibile, (75) essa, conservando il calendario giuliano ecclesiastico, che è stato santificato nei secoli, è essa stessa un esempio di attitudine reverente verso il tempo donato da Dio. Il fatto che il calendario gregoriano sia divenuto in pratica il calendario di tutti i paesi del mondo, non è ancora una prova della sua infallibilità e desiderabilità. “Dio non è nella forza, ma nella giustizia,” disse il santo, rettamente credente, Grande Principe Alexander Nevsky.

Al tempo presente, si può osservare un ritorno in Occidente all’icona, che era stata dimenticata nel corso di molti secoli. Perché non presumere che ci possa essere anche un ritorno all’icona del tempo, il calendario giuliano ecclesiastico? (76)

Come sarà il tempo del futuro “ottavo giorno”? Sappiamo solo che sarà santificato, e che non sarà simile a ciò che ora è calcolato secondo il sole e la luna. Non si dovrebbe probabilmente contrapporre in modo così categorico il tempo all’eternità. Infatti, forse il tempo santificato è già eternità. (77)

La Chiesa di Cristo unisce il temporale e l’eterno. Ciò si realizza, prima di tutto, nel mistero dell’Eucaristia. Mentre rimane nel tempo, la Chiesa, attraverso la presenza reale di Cristo, trasfigura il tempo, così come trasfigura anche il mondo. Il tempo della preghiera è un’entrata nell’eternità, nel regno di Dio, dove “Cristo è tutto e in tutti.” Coloro che vivono in preghiera sanno per esperienza che durante i servizi divini o le preghiere private, alla lettura del Vangelo o del Salterio, i confini del tempo vengono come cancellati. Questo capita assieme alla sensazione di unità con Dio, quando il Signore mite e umile di cuore in qualche modo speciale ci visita. Allora il cuore risponde a questo grido divino di amore e, trovandosi al di fuori del tempo, si dimentica di tutto. Troviamo questa esperienza mistica della Chiesa nelle opere dei Santi Padri; essa viene espressa in modo particolarmente vivido San Simeone il Nuovo Teologo nei suoi sermoni e inni.

Quanto ai disaccordi e alle opinioni contraddittorie riguardo al calendario giuliano, ci sembra che un argomento in suo vantaggio sia la discesa annuale del fuoco pieno di Grazia sulla Tomba del Signore: un miracolo che avviene alla riunione di molte migliaia di pellegrini il Sabato Santo secondo il calendario giuliano. In questo evento, ci si mostra la santificazione mistica di questa bimillenaria icona del tempo.

Mi prenderò la libertà di finire questo testo con le parole di un monaco ortodosso: “Il tempo è un grande mistero, e uno può toccare un mistero solo per mezzo di simboli. Il calendario giuliano è un’icona del tempo. Se vogliamo naturalizzare il concetto del tempo, come l’icona è stata naturalizzata, trasformandola in un ritratto, allora perché dobbiamo orientarci allo stile gregoriano? Ci sono calendari ancor più accurati. Ci sono il calendario degli Incas, quello di Omar Khayyam, che possiedono brillanti metodi matematici, e forse domani apparirà qualche tipo di nuovo calendario ancor più corretto astronomicamente; Ma non dobbiamo volgerci a mani tese verso gli osservatori. Noi, la Chiesa, abbiamo quei misteri che riguardano il tempo, che sono scritti nella Bibbia e nelle opere patristiche. Siamo i portatori di questi misteri e dobbiamo rivelarli al mondo.”

 

Ludmila Perepiolkina

Natività di Cristo, 1988, New York

 

Tradotto da Daniel Olson da “Pravoslavnyi Put” (in russo), 1988

 

NOTE

1 Cfr Miti dei popoli del mondo (in russo), Mosca, 1980; Kun, N.A., Leggende e miti della Grecia antica (in russo), Mosca, 1955; Mircea Eliade, Le mythe de l’eternel retour, Parigi, Gallimard, 1969; Paul Ricoeur, La metaphore vive, Parigi, Seuil, 1975; Carl Gustav Jung, Man and his Symbols, Aldus Books Limited, London, 1964.

2 V.S. Soloviev, Opere complete (in russo), San Pietroburgo, 1897-1900, X, 231.

3 Il termine russo “vremya” (tempo) apparentemente proviene dal sanscrito “vartma”, e significa “traccia” o “strada.” V. Fasmer, Dizionario etimologico della lingua russa (in russo), Mosca, 1986, I, 361.

4 Beato Agostino, Opere (in russo), Kiev, 1914, I, 213-334.

5 Cfr V. Trostnikov, Pensieri prima dell’alba (in russo), Parigi, 1980, 247.

6 Beato Agostino, op.cit.

7 A.N. Zelinsky, “Principi costitutivi dell’antico calendario russo”, in Contesto dell’Accademia delle Scienze dell’URSS (in russo), Mosca, 1978, 62.

8 Cfr A.N. Zelinsky, “Tempo santificato” (in russo), in Herald of the Russian Western European Patriarchal Exarchate (in russo), 113, Parigi, 1983, 210.

9 Ibidem, 215.

10 Cfr. Innokenty, Arcivescovo di Pechino, “Una lettera aperta a tutti i fedeli figli della Chiesa di Cristo, che mantengono il Calendario Ortodosso e le Tradizioni della Santa Chiesa Cattolica” (in russo), nel libro L’insegnamento della Chiesa Ortodossa sulla Sacra Tradizione e la sua relazione con il nuovo stile (in russo), compilato dagli Zeloti athoniti della pietà ortodossa, Saint Job of Pochaev Press, Holy Trinity Monastery, Jordanville, NY 13361, 1959, 48.

11 V. Eusebio, Vita di Costantino, 3, 18-19; Socrate, Storia ecclesiastica, 1, 9; Teodoreto, Storia ecclesiastica, 1, 10; Atti dei Concili Ecumenici (in russo), II ed., Kazan, 1887, I, 76, documento 16; Sant’Atanasio, Sui Concili, 5; Ai Vescovi dell’Africa, 2.

12 Atti dei Concili Ecumenici, edizione in traduzione russa dell’Accademia Teologica di Kazan, II ed., Kazan, 1887, I, 76, documento 16.

13 La definizione nicena o horos sulla Pasqua non fu posta tra i canoni in quanto la discussione non verteva sul mezzo per dirimere qualche violazione che avrebbe sempre potuto apparire, ma su di una definizione, per mezzo della quale una importante questione ecclesiastica viene decisa una volta per tutte. Una simile definizione è anche il decreto del Concilio di Nicea che le persone che hanno contratto matrimonio possano anche ricevere il rango presbiterale. Neppure questa definizione figura tra i canoni del Concilio niceno. Nel rapporto della Chiesa Ortodossa Greca, pubblicato nel 1971 in connessione con le preparazioni per un “Concilio pan-ortodosso,” si dice che “entrambe queste definizioni (sulla Pasqua e sul clero sposato) sono una conferma dell’antica tradizione apostolica e un rifiuto di subordinare la Chiesa a quella premeditazione intenzionale alla quale la Chiesa romana aderì in seguito introducendo il celibato obbligatorio del clero e i nuovi cicli pasquali gregoriani.” La decisione di Nicea sulla Pasqua è confermata dal primo canone del Concilio locale di Antiochia, che ebbe luogo in seguito, soltanto sedici anni dopo il Concilio niceno. Detto primo canone del Concilio di Antiochia chiama questa decisione una definizione (horos) e assoggetta a scomunica immediata (“d’ora in poi”) chiunque celebra la Pasqua di Cristo allo stesso tempo (nello stesso giorno) della festività ebraica. Tale severa sentenza, che stipula la scomunica dalla Chiesa senza un’indagine preliminare sull’atto commesso da parte delle autorità ecclesiastiche locali, si incontra con una rarità eccezionale nei canoni. Ciò testimonia la categoricità della definizione (horos) nicena riguardo ai tempi della celebrazione della Santa Pasqua, vale a dire, mai “assieme agli ebrei.”

La stessa espressione “non celebrare la Pasqua assieme agli ebrei,” contrariamente alle affermazioni infondate di certi teologi modernisti contemporanei, non significa il modo di celebrare, ma ha un significato puramente temporale. Inoltre è ben noto che tra i cristiani la pratica di celebrare la Pasqua era già pienamente formata nel IV secolo. (Cfr Archimandrita Nikon Patrinakos in Synodica V, Edit. du Centre orthodoxe, Chambesy-Geneve, 1981, 43).

14 Eusebio, Vita di Costantino, 3, 18-19.

15 Zelinsky, “Principi costitutivi dell’antico calendario russo” (in russo), 70.

16 Prof. E.A. Predtechensky, Cronologia ecclesiastica e una rassegna critica delle esistenti regole per determinare la Pasqua (in russo), San Pietroburgo, 1892, 3-4.

17 Cfr Protopresbitero Prof. Liverij Voronov, “Il problema del calendario. Il suo studio alla luce della decisione del I Concilio Ecumenico sui cicli pasquali e la ricerca di un sentiero per la cooperazione in questa materia,” in Opere teologiche (in russo), VII, Mosca, 1971, 178; Zelinsky, “Principi costitutivi dell’antico calendario russo,” 69.

18 Zelinsky, op. cit., 70-71.

19 Voronov, op. cit., 83.

20 Zelinsky, op. cit., 83.

21 Prof. V.V. Bolotov, “Rapporto,” (in russo) in Minute delle sessioni della commissione sulla questione della riforma del calendario sotto gli auspici della Società Astronomica Russa, 31 maggio 1899, Appendice 5, 40.

22 V. la nota 2 di Padre D.A. Lebedev a p. 444 del volume del Prof. Bolotov Lezioni sulla storia dell’antica Russia (in russo), San Pietroburgo, 1910.

23 A.I. Georgievsky, Sul calendario ecclesiastico (in russo), edizione del Patriarcato di Mosca, Mosca, 1948, 11.

24 Voronov, op. cit., 182-184.

25 Ibidem, 182; cfr. Rev. Prof. Ene Braniste, “Le theme de la celebration commune de Paques”, in Synodica, cit., 23-24.

26 Georgievsky, op. cit., 6.

27 [Nota del traduttore] Nella Bibbia russa, come nella Authorized Version inglese e nella versione CEI italiana, questo passo risulta come “il mese di Abib”. Tuttavia, una nota nella Bibbia russa fornisce la versione alternativa de “il mese delle spighe”, traducendo così “abib”, che si riferisce alle spighe di grano, piuttosto che mantenerlo come nome proprio del mese. E’ questa versione alternativa che l’autore ha usato nel presente articolo.

28 Bolotov, op.cit., 45.

29 Ibidem, 46.

30 Ibidem, 46.

31 Ibidem, 44.

32 V. Zelinsky, “Principi costitutivi dell’antico calendario russo,” (in russo), 74.

33 Ene Braniste, op.cit., 25.

34 San Giovanni Crisostomo, Opere (in russo)? I 2, San Pietroburgo, 1898, 667-679.

35 Cfr. Padre Simeon Sokolov, I cicli pasquali ortodossi (in russo), Mosca 1900, 5; Ludmila Perepiolkina, “Rapporto”, in Primo Simposio Nazionale di archeo-astronomia con partecipazione internazionale (in russo), 22-24 novembre 1988, Tolbukhin, Bulgaria (in corso di stampa).

36 Cit. in N. Idelson, Storia del Calendario (in russo), Leningrado, 1925, 79.

37 Zelinsky, “Principi costitutivi dell’antico calendario russo” (in russo), 86.

38 Ibidem, 85.

39 Zelinsky, Tempo santificato (in russo), 236.

40 Ibidem, 236.

41 Zelinsky, “Principi costitutivi dell’antico calendario russo” (in russo), 106.

42 Ibidem, 107.

43 Ibidem, 90.

44 Zelinsky, Tempo santificato (in russo), 228.

45 Bolotov, op.cit., 1.

46 Voronov, op.cit., 192.

47 Bolotov, op.cit., 47.

48 Zelinsky, “Principi costitutivi dell’antico calendario russo” (in russo), 88.

49 Notizie ecclesiastiche (in russo) pubblicato dal Sinodo dei vescovi della Chiesa russa ortodossa all’estero, XV-XVI, 1924, 18.

50 Cit. in A.Zelinsky, “Principi costitutivi dell’antico calendario russo” (in russo), 92.

51 Arcivescovo (in seguito Metropolita) Vitaly (Ustinov), prefazione all’edizione canadese del libro di A. Zelinsky, Principi costitutivi dell’antico calendario russo (in russo), Montreal, 1984, 6-7.

52 Ludmila Perepiolkina, “La categoria del tempo nella Tradizione della Chiesa ortodossa” (in russo), Materiali della III conferenza scientifica internazionale, dedicata al Millennio del Battesimo della Russia, Leningrado, 31 gennaio - 5 febbraio 1988 (in corso di stampa).

53 Prof. S; Troitsky, “Insieme ci adopereremo nel pericolo” (in russo), Giornale del Patriarcato di Mosca, II, 1950, 37; 46-47.

54 Ibidem, 46-47.

55 Notizie ecclesiastiche (in russo) XIX-XX 1923.

56 Notizie ecclesiastiche (in russo) XI-XII 1924.

57 Notizie ecclesiastiche (in russo) XIX-XX 1923.

58 Voronov, op.cit., 176.

59 Cfr. Arcivescovo Averky, “I neo-calendaristi senza il digiuno di Pietro” (in russo), nel suo libro La contemporaneità alla luce della Parola di Dio (in russo), I, St. Job of Pochaev Press, Holy Trinity Monastery, Jordanville, NY, 1975, 81.

60 “L’insegnamento della Chiesa ortodossa sulla Tradizione Sacra e la sua attitudine verso il nuovo stile,” cit., 38.

61 Innokenty, Arcivescovo di Pechino, op.cit., 52.

62 “Insegnamento della Chiesa ortodossa,” 45.

63 V. Notizie ecclesiastiche (in russo) per gli anni indicati.

64 Sigillion del Concilio locale di Costantinopoli nell’anno 1583, cit. in Notizie ecclesiastiche (in russo) XV-XVI 1924, 18.

65 Secondo l’opinione del Metropolita Vitaly (Ustinov), gerarca in capo della Chiesa ortodossa russa all’estero, il “sacerdozio” femminile rappresenta una completa rottura con la Tradizione Sacra.

66 “Insegnamento della Chiesa ortodossa,” 45.

67 Ibidem, 44-45.

68 Arcivescovo Innokenty, op.cit., 50.

69 Zelinsky, Tempo santificato (in russo), 236.

70 Ibidem, 243.

71 Arcivescovo Innokenty, op.cit., 50.

72 Prof. V.V. Bolotov, Minute dell’ottava sessione della commissione sulla questione della riforma del calendario (in russo), 21 febbraio 1900.

73 V. Soloviev, “Tre dialoghi” (in russo), in Opere Complete, X, San Pietroburgo, 1897-1900, 159.

74 Cfr Ludmila Perepiolkina, “La Justification du bien en art,” in L’Analyste, Montreal, inverno 1984-1985, 56.

75 Cfr. Ludmila Perepiolkina, Clarte pour un temps d’Apocalypse,” in France Catholique, Parigi, 1987, N.2120.

76 Riguardo al ritorno all’icona in Occidente, Leonid Uspensky dice: “E’ degno di nota che precisamente il nostro moderno e terribile mondo abbia scoperto da sé l’icona”, L. Uspensky, Sulle strade dell’unità (in russo), Parigi, 1987, 35.

77 L. Perepiolkina, “L’influenza della divisione delle chiese sul cambio della cronologia nell’ecumene occidentale,” (in russo), materiale della conferenza internazionale dedicata al Millennio della Chiesa ortodossa russa, Joensuu e Heinävesi (Nuova Valaam), 22-24 Settembre 1988, Finlandia (in corso di stampa)  

 
Predica sulla "veglia in piedi di santa Maria"


La "veglia in piedi di santa Maria" - così si chiama la funzione alla vigilia della Passione di Cristo. La vita che conduciamo è insipida, senza sale. Sappiamo tutto in anticipo, progettiamo tutto, facciamo calcoli. In questa vita non c'è incontro miracoloso con Dio, non c'è pentimento di quel tipo di cui abbiamo sentito oggi leggendo la vita di Santa Maria Egiziaca. Sembra che tutto ciò sia avvenuto tanto tempo fa... Ma come può accadere questo oggi, nel nostro mondo? Come può accadere a me personalmente, quando io so tutto, capisco tutto e mi sembra che Dio sia in qualche luogo molto lontano? Ma la questione è esattamente questa: Dio è vicino, e siamo noi a essere lontani da lui! Per questo sono così importanti per noi le gocce di rugiada spirituale, che ci offre oggi la Chiesa - la lettura intera del canone penitenziale di sant'Andrea di Creta e della vita di santa Maria Egiziaca. Questa è una funzione meravigliosa, che dovrebbe rafforzarci. Ci siamo abituati a una vita commisurata con la nostra esperienza, e non abbiamo il coraggio di parlare di lotta e di vittoria sul peccato. Eppure vediamo che esiste un Dio e che la grazia dello Spirito Santo, rafforza e ripristina la persona che si pente. Sentiamo le parole di san Simeone il Nuovo Teologo, su come il vero pentimento ripristina la verginità nell'uomo. In effetti, è un miracolo quando una persona rifiuta il peccato e appartiene completamente a Dio! Questo miracolo può avere luogo nella vita di ogni persona. Ma oggi vediamo un quadro completamente diverso: rese di conti, parole dure, insulti, accuse, autocommiserazione - non c'è consapevolezza della nostra colpa davanti a Dio. Quando andiamo alla confessione, noi non vediamo Cristo, ma semplicemente un sacerdote umano, e iniziamo conversazioni umane in cui le nostre parole non hanno la bellezza di pentimento. Dopo tutto, il pentimento è cambiamento, è la nostra trasformazione da parte del Signore.

Vorrei che imparassimo a stare nel tempio, che imparassimo a prendere parte alle funzioni e ai misteri di Cristo, in cui l'anima viene rinnovata. L'anima deve continuamente ricevere un aiuto pieno di grazia per combattere la guerra con il mondo del peccato e della tentazione. Dio voglia che nel tempo che ci rimane prima di Pasqua, non perdiamo lo spirito, di cui c'è ancora una goccia in noi. Lo spirito è molto facile da perdere: una sola parola, un solo pensiero, una sola offesa, un solo giudizio può farci perdere il contatto con Dio. Questa è una condizione terribile. Abbiamo bisogno di essere svegli e attenti - a cosa guardiamo, a come parliamo, a come ci comportiamo - tutto in noi deve essere bello e spirituale. non siamo venuti in chiesa solo per guardare i volti dei santi, e per contemplare la loro bellezza. In tutti i santi splende la luce di Cristo. Ma abbiamo bisogno di diventare noi stessi come loro per avvicinarci a ciò che è santo, per essere in grado di salvaguardare questa santità nel nostro cuore e condividerla con i nostri vicini.

Quanto amore, quanta cura, quanta misericordia di Dio si riversa su tutti noi! Quante volte abbiamo toccato la fonte immortale della vita, il calice di Cristo! E perché siamo così spesso come recipienti che gocciolano, e perdono questa grazia? Affrontiamo passioni, tristezza, disperazione, mormorazione - tutto diventa un muro dietro al quale non possiamo vedere il nostro prossimo o Dio. Dobbiamo abbattere questo muro in ogni tempo. San Serafino di Sarov portava pietre sulla schiena, dicendo: "Tormento ciò che mi tormenta". Dovremmo sempre ricordare che il nemico è vicino. Non dovremmo aver fiducia in noi stessi, ma cercare l'aiuto di Dio e le sue benedizioni su ogni passo della nostra vita.

 
103

103

 
I cristiani ortodossi e la cremazione

Con l’odierna diffusione in Italia della pratica della cremazione dei defunti, la questione pone una sfida pastorale ai cristiani ortodossi. Anche se è noto che la Chiesa ortodossa si esprime contro la pratica della cremazione in termini del tutto negativi, è importante capire le ragioni di questo rifiuto.

Come prete ortodosso mi sono trovato di fronte alla scelta di alcuni cristiani ortodossi di far cremare i propri resti. Ho visto quasi sempre una totale ignoranza in materia: non solo un’ignoranza della tradizione cristiana (fino a un certo punto giustificabile, in un’età tanto “illuminata” da conoscere tutto tranne le ragioni della propria fede), ma pure una profonda ignoranza della pratica della cremazione in sé, delle idee di base di un rispetto ancestrale per se stessi, e di tutta la polemica che circonda le scelte relative alla nostra stessa morte.

Non è male, perciò, chiedersi che cosa sia veramente il fenomeno moderno della cremazione, e approfondire le ragioni che portano alcuni a scegliere la cremazione dopo la propria morte o quella dei propri cari. Vediamo anche che cosa ha da dire la Chiesa attraverso le sacre Scritture, la voce dei Padri e la pratica secolare della pietà per i defunti.

Alcuni dati di base sulla cremazione

La parola “cremazione” viene dal verbo latino cremare, che significa “bruciare”.

Anche se nell’Europa pre-cristiana si praticava ampiamente la cremazione dei defunti, la moderna pratica della cremazione nasce nella seconda metà del XIX secolo, pochi anni dopo la ripresa di una pratica altrettanto discutibile, l’imbalsamazione dei defunti (diffusa in America a partire dal caso del presidente Lincoln nel 1865). La cremazione “moderna” si sviluppa principalmente a opera di italiani: è il professor Lodovico Brunetti (1813-1899) a mostrare per la prima volta un prototipo di forno crematorio all’Esposizione mondiale di Vienna nel 1873. Quasi contemporaneamente, si sviluppa in Europa e in Nord America il movimento per la cremazione.

Come avviene oggi una cremazione? Il processo inizia con il surriscaldamento (a circa 900°) del corpo, che lo dissecca e vaporizza la carne e gli organi interni in circa due ore. Le ossa e i denti non bruciano neppure a queste temperature (contengono circa il 60% di sostanza inorganica e incombustibile), e sono quindi sottoposti a un processo di frantumazione violenta, quindi sono tritati in una sabbia fine, che viene a comporre oltre la metà dei resti di un’urna. I resti sono talvolta trattati con coloranti bianchi per dare loro un aspetto più simile alla cenere di una combustione completa.

La legge italiana, fino a tempi recenti (2001) non ha consentito che le ceneri dei defunti fossero disperse o conservate in luoghi diversi dai cimiteri. I desideri di dispersione o conservazione domestica, che hanno portato alla recente modifica della legge, accompagnano da sempre la pratica della cremazione, e la rendono ancora più radicalmente diversa dalla pratica cristiana di raccogliere i resti dei defunti in luoghi dedicati alla loro memoria.

Uno studio del trattamento dei cadaveri nell’antichità rivela come la pratica della cremazione sia cessata con l’avvento del cristianesimo. Un criterio che gli archeologi usano per determinare se un’antica necropoli sia pagana o cristiana è la presenza di urne cinerarie: nei luoghi di sepoltura pagani ci sono sia resti di inumazioni che di cremazioni; nei luoghi cristiani, invariabilmente, non si trovano resti di cremazioni. Il caso di quei martiri (come san Policarpo di Smirne) che morirono sul rogo non fa che confermare la regola, dato che quelli che erano mandati sul rogo non erano i corpi di cristiani già morti, e comunque nessun cristiano dei primi secoli manifestava il desiderio che il proprio corpo seguisse lo stesso destino.

Il fatto che il movimento per la cremazione abbia avuto il sostegno di ambienti massonici anticlericali non deve essere usato come una ragione aprioristica per escludere la cremazione. Una pratica in sé può essere moralmente neutra, o anche positiva: per esempio, l’istruzione e lo sviluppo sociale non sono certo da condannare anche se sono sostenuti dai più accaniti avversari della Chiesa. È bene perciò vedere le ragioni “secolari” (non confessionali) che sono presentate in favore della pratica della cremazione, e le risposte che si possono dare a queste ragioni. 

Le ragioni secolari per la cremazione (e le risposte da parte cristiana)

La cremazione è più economica. Il costo di base  di un’inumazione può essere di tre o quattro volte superiore a quello di una cremazione. È una ragione di buon senso, ed è facile da capire: la cremazione aiuta una famiglia a risparmiare.

Non sempre quello che è più economico è anche più giusto. Spesso le soluzioni cattive sono più economiche di quelle buone. Si deve considerare anche il rispetto: chi di noi farebbe stare un ospite in una cantina o in una stalla, solo perché è più economica di una camera da letto? Il costo di un funerale cristiano è una misura del rispetto per un defunto, e se abbiamo i mezzi per una inumazione, questa resta la soluzione da preferire. 

La cremazione è più ecologica. Salva spazio e terra, che sono risorse limitate, dall’estensione continua dei cimiteri.

Evitando il processo di putrefazione, è più igienica e aiuta a prevenire malattie e infezioni: di fatto, forme più rozze di cremazione si sono applicate attraverso i secoli anche nelle società cristiane nei casi di epidemie.

La questione dello spazio si fa più sentire nei paesi anglosassoni e in Europa orientale, dove i defunti sono sepolti in grande maggioranza in campi aperti. In Italia, e negli altri paesi dove i cimiteri seguono le regole napoleoniche (spazi compatti e raccolta delle ossa in grandi ossari) non è una ragione pressante.

Dal punto di vista degli sprechi energetici, la cremazione NON è ecologica, dato che comporta la combustione di grandi quantità di legna e carbone (talvolta insieme alle bare e ad altre parti dei corredi funebri), oltre alla fuoriuscita di residui di combustione nell’atmosfera. 

La cremazione è terapeutica. Coloro che sono in lutto non si trovano non si trovano di fronte al pensiero della lenta decomposizione dei corpi dei loro cari. Il processo più spedito e “pulito” di rendere “cenere alla cenere” [1] aiuta a esprimere il distacco finale dai legami fisici.

L’argomentazione del valore terapeutico è una spada a doppio taglio. Vedere un corpo morto è una sfida alla nostra tendenza a evitare la realtà della morte. La pratica dell’inumazione cristiana ci aiuta a riconoscere che la morte non è “una parte della vita”: è il frutto del peccato.

La cremazione è una mera questione di contesto sociale. In alcune società è una pratica normale, e quando sarà normale anche da noi, cadranno le obiezioni che ancora la circondano.

La ragione non regge all’esame della storia. Fu proprio la diffusione del cristianesimo a far cessare in tutto l’antico impero romano la pratica della cremazione, che fino a quel momento era “una mera questione di contesto sociale” e religioso.

 Le ragioni teologiche per la cremazione

Oggi può capitare di sentire anche numerose giustificazioni bibliche per le cremazione. Ne presentiamo due con le relative risposte.

Il simbolismo del fuoco. Il fuoco rappresenta spesso la presenza di Dio nelle sacre Scritture, come si vede dal roveto ardente, dalla colonna di fuoco al passaggio del Mar Rosso, e così via. Chi legge il fuoco in questa chiave simbolica può vedere la cremazione come un rito di accostamento alla presenza di Dio.

Questa immagine ha quanto meno una valenza duplice: nella Bibbia il fuoco è spesso associato al giudizio, al tormento eterno, a immagini di crimini e di sacrifici umani. Come tale, non può rivestire la cremazione di associazioni unicamente positive.

Gesù e la sepoltura. Gesù ha dato poca attenzione alla sepoltura dei morti, e praticamente le sue uniche parole a riguardo sono state “lascia che I morti seppelliscano I loro morti” (Luca 9:60). I suoi riferimenti ai farisei come “sepolcri imbiancati”  e alla corruzione all’interno (Matteo 23:27) sembrano piuttosto dare un’immagine negativa dell’inumazione. 

Luca 9:60 suona come un’accusa a chi non è disposto a seguire Cristo, ma non un’accusa alla pratica dell’inumazione in sé, normale e accettata nella società ebraica, tanto che Gesù qui parla di sepoltura e non di cremazione. Se Gesù parla poco della sepoltura degli altri, parla invece molto della sua sepoltura, che diviene un motivo dominante nell’annuncio della sua risurrezione. 

 Il simbolismo dei riti funebri

Gesù, dopo la sua morte, fu sepolto, in obbedienza alla pratica dell’antico Israele, e con tutti i gesti di pietà tipici di quella pratica. I cristiani, attraverso l’inumazione, conformano la propria vita a quella del loro Signore anche dopo la morte. Questo si vede non solo dalla continuità di pratica del rito funebre, ma anche dal significato che i cristiani attribuiscono alla sepoltura. 

Considerando le pratiche di preghiera della Chiesa ortodossa, sia al momento della morte che nelle successive commemorazioni, vediamo come i riti ortodossi proclamano la continuità ultima della persona umana, nella sua unione di corpo e di anima. 

Il simbolismo universale del grano, preparato e condiviso dai fedeli, è il segno della vita che risorge dalla morte, e non può essere compreso se non c’è un parallelo con la deposizione del corpo nella tomba. 

La cremazione e la questione delle reliquie

Un punto non secondario della teologia cristiana ortodossa è lo stretto legame tra lo Spirito santo e la persona del credente: san Paolo ci ricorda che siamo “tempio di Dio e dimora del suo Spirito” (1 Corinzi 3:16, 6:19), e la testimonianza immutabile della Chiesa parla di miracoli che avvengono attraverso i santi, anche dopo la loro morte. Tali miracoli sono testimoniati anche nell’Antico Testamento, in cui si ricorda come la vita ritornò nel corpo di un morto gettato sopra le ossa del profeta Eliseo (2 Re 13:21). I miracoli effettuati dalle reliquie dei santi cristiani (sia che i loro corpi si siano preservati incorrotti, sia che si siano ridotti a semplici ossa) sono innumerevoli, e testimoniano come lo Spirito santo sia ancora attivo attraverso i resti delle persone nelle cui vite si è profondamente manifestato.

La presenza di corpi incorrotti di santi è considerata dalla Chiesa come una prova dell’efficacia dello sforzo ascetico: riportando attraverso la pratica dell’ascesi i loro corpi allo stato di bontà precedente alla caduta, i santi sono la testimonianza che questo stato può essere davvero raggiunto, e che i suoi effetti perdurano oltre la morte fisica. Le reliquie dei santi sono la prova più tangibile che la morte non è onnipotente.

La cremazione non solo distrugge alla radice la possibilità che i resti dei santi possano operare miracoli, ma ne cancella addirittura l’idea. È un autentico atto di genocidio religioso, che porta via con sé un legame millenario tra Dio e il suo popolo. Pochi altri gesti riescono ad annullare tanto completamente la fede cristiana nella santità del corpo umano, anche dopo la sua morte, e nella continua presenza dello Spirito di Dio nei suoi santi. 

Teologia della cremazione

Alla base del rispetto per il corpo sta, naturalmente, il rispetto per tutto il creato. A differenza dei demoni, desiderosi di distruggere e sfigurare la creazione di Dio, i cristiani sono chiamati a rispettare, curare e amare tutto ciò che Dio ha creato, e anche se la creazione presenta i segni dell’imperfezione dovuti alla caduta, non la dobbiamo amare di meno. Da questo nasce la profonda avversione dei cristiani a fenomeni quali l’aborto, l’infanticidio, l’eutanasia, il suicidio: le soluzioni distruttive (quand’anche possano essere più convenienti a breve termine) sono il segno della mancanza di fede, o forse, della sostituzione della fede cristiana con un’altra fede (gnostica), per la quale i corpi sono mere “prigioni” dello spirito, che ci ostacolano dall’ottenere la vera santità.

Questa idea gnostica del corpo come tomba dell’anima è stata condannata come menzogna dall’incarnazione del Figlio di Dio. I nostri corpi sono altrettanto santi delle nostre anime: da questo dipende il nostro dovere di nutrire gli affamati e vestire gli ignudi, accanto a quello di pregare per loro. Alla separazione del corpo e dell’anima (frutto della caduta) noi non ci rifugiamo in una speranza di un  paradiso disincarnato, ma attendiamo “nuovi cieli e una terra nuova” (2 Pietro 3:13), in cui vivere in quella stessa unione di corpo e spirito che Dio ha voluto per se stesso. 

La posizione della Chiesa ortodossa

Tutte le volte in cui la questione della cremazione è stata sottoposta alla Chiesa ortodossa e al pensiero teologico ortodosso, la risposta è stata, senza eccezioni, negativa, anche se ancora non esiste una decisione diretta presa dall’intera Chiesa a proposito. 

A questo generale rifiuto vi possono essere eccezioni solo in casi estremi e di grande importanza; per esempio quando scoppiano epidemie, o anche quando si è in presenza di un motivato sospetto di contagio. C’è un caso nel mondo, il Giappone, in cui lo stato impone la cremazione dei defunti: questa può essere evitata solo comprando lotti di sepoltura a prezzi incredibilmente alti, e la Chiesa ortodossa in Giappone non obbliga i suoi fedeli a fare simili sacrifici economici. Pertanto, tra gli ortodossi del Giappone la cremazione è tollerata, ma comunque considerata negativamente. Anche in questi casi eccezionali, comunque, non si fanno funzioni religiose nei crematori, e i sacerdoti non accompagnano le salme ai luoghi di cremazione. Al contrario, ai preti è richiesto di spiegare al proprio gregge il carattere non cristiano della cremazione. 

Se un cristiano ortodosso, per ignoranza, esprime il desiderio che il suo corpo sia cremato, questo desiderio, contrario alle leggi e alle tradizioni della Chiesa, non è moralmente vincolante (neppure per i suoi cari), così come avviene per tutti i desideri peccaminosi. Possiamo ricordare come si esprime la Chiesa nella seconda Stichira del Vespro, alla festa della Decapitazione di san Giovanni Battista: “Se almeno non avessi giurato, iniquo Erode, figlio della menzogna! O se pur avendo giurato, tu non avessi mantenuto il giuramento: avresti fatto meglio a mentire per salvare una vita, piuttosto che, mantenendo la parola, recidere la testa del precursore.” Chi ha promesso di far cremare i resti di un suo caro può essere sciolto da questa promessa, attraverso la preghiera che si usa in questi casi. 

Conclusioni

Se ci viene presentata una “nuova” idea (o una rivisitazione contemporanea di un’idea vecchia e ormai abbandonata, come la cremazione che si praticava nell’antichità precristiana), come cristiani non dobbiamo rifiutarla a priori, ma esaminarla con attenzione. La pratica della cremazione e la sua crescente accettazione come valida opzione di pratica funeraria devono essere valutate alla luce della fede e della pratica della Chiesa ortodossa. Dobbiamo farci domande teologiche, e vedere se la “novità” è compatibile, o addirittura promuove, la fede a noi tramandata, o se al contrario ne sminuisce e ne degrada il valore. Finora, tali valutazioni hanno regolarmente portato a risposte negative, e di conseguenza anche le autorità ecclesiastiche hanno continuamente vietato la cremazione. Tutti i cristiani, e a maggior ragione i cristiani ortodossi, dovrebbero praticare l’inumazione cristiana a meno che non vi si oppongano circostanze straordinarie di forza maggiore.

igumeno Ambrogio - Torino, 2012 

NOTE

[1] “Cenere alla cenere e povere alla polvere” è una frase che si sente spesso in contesti di funerali. Questa frase è apparsa la prima volta nel Book of Common Prayer della Chiesa d’Inghilterra nel 1549. La frase “povere alla polvere” ha origini bibliche in Genesi 3:19 ed Ecclesiaste 3:20, ma le parole “cenere alla cenere” non si trovano in alcun punto delle Scritture, così come non vi si trova alcun incoraggiamento esplicito a praticare la cremazione.

 

 
L’uso delle croci battesimali cristiane

Nel 2012, di fronte ad alcuni casi di persone licenziate per aver portato una croce al collo sul posto di lavoro in paesi dell’Unione Europea, la Chiesa russa si è mobilitata contro queste discriminazioni. Presentiamo nella sezione “Ortoprassi” il testo di una relazione che cerca di spiegare le ragioni dell’uso della croce battesimale, e il valore giuridico di libertà di espressione di fede che un cristiano ha nell’identificarsi attraverso il proprio simbolo religioso.

 
104

Foto 104

 
104

Foto 104

 
Le regole del digiuno nella Chiesa Ortodossa

L'insegnamento tradizionale della Chiesa sul digiuno oggi non è ampiamente conosciuto o seguito. Per quei cristiani ortodossi che cercano di tenere un digiuno più disciplinato, le informazioni che seguono possono essere utili.

Anche se le regole possono sembrare molto strette a chi non le ha viste prima, sono state sviluppate tenendo in mente tutti i fedeli, non solo i monaci. (I monaci non mangiano carne, perciò le regole sul consumo della carne non sono state scritte per loro. In maniera simile, le regole sull’astinenza dai rapporti coniugali si applicano solo alle coppie sposate.) Anche se pochi laici sono in grado di mantenere appieno le regole, sembra meglio presentarle senza un giudizio su quale livello sia "appropriato" per i laici, dato che questo è un punto che è meglio che ogni cristiano sviluppi personalmente, sotto la guida del proprio padre spirituale.

Vi sono molte eccezioni alle regole che qui sono date in linee generali: per esempio, quando una festività importante o la festa patronale cadono in un periodo di digiuno. Consultate il vostro prete e un calendario per avere altri dettagli.

 

Periodi liberi dal digiuno

Per il cristiano, non ci sono cibi impuri. Quando non è prescritto un digiuno, non ci sono cibi proibiti.

 

Digiuni durante la settimana

Se non si è in un periodo libero dal digiuno, i cristiani ortodossi sono chiamati a tenere un digiuno stretto ogni mercoledì e venerdì. Si evitano i seguenti cibi:

Carne (incluso il pollame), e ogni prodotto a base di carne, come il lardo e I brodi di carne.

Pesce (si intende pesci con lisca; crostacei e molluschi sono permessi).

Uova e latticini (latte, burro, formaggio, etc.)

Olio d’oliva. Un’interpretazione letterale della regola vieta solo l’olio d’oliva. Soprattutto in quei paesi dove l’olio d’oliva non è una parte principale della dieta, la regola è talvolta estesa a includere tutti i tipi di olio vegetale, e talora anche i sottoprodotti dell’olio come la margarina.

Vino e altre bevande alcoliche. In molte tradizioni la birra è permessa nei giorni di digiuno.

 

Quanto?

Purtroppo, è facile tenere la lettera delle regole di digiuno e continuare a soddisfare la golosità. Quando si digiuna, si dovrebbe mangiare in modo semplice e modesto. I monaci mangiano un solo pasto completo in un giorno di digiuno. I laici non sono incoraggiati a limitare i pasti nello stesso modo: consultate il vostro prete.

 

Eccezioni

La Chiesa ha sempre esentato dal digiuno stretto i bambini piccoli, i malati, gli anziani, le donne in gravidanza e durante l’allattamento. Mentre le persone che ricadono in questi gruppi non dovrebbero limitare seriamente il loro cibo, non c’è alcun male nell’astenersi da alcuni tipi di cibo per due giorni alla settimana, mangiando semplicemente a sufficienza di tutto quanto è permesso. Le eccezioni al digiuno basate su necessità mediche (come nel caso del diabete) sono sempre permesse.

 

Digiuno eucaristico

Perché il Corpo e il Sangue del Signore siano il nostro primo cibo e bevanda nel giorno della comunione, ci asteniamo da ogni cibo e bevanda dal momento in cui andiamo a dormire alla sera precedente (o dalla mezzanotte, se questa viene prima). Le coppie sposate dovrebbero astenersi dalle relazioni coniugali nella notte prima della comunione.

Quando la comunione è alla sera, come nelle Liturgie dei Presantificati durante la Quaresima, questo digiuno dovrebbe se possibile essere esteso per tutto il giorno fino al momento della comunione. Per quelli che non possono mantenere questa disciplina, talvolta si prescrive un digiuno totale a partire da mezzogiorno.

 

La Grande Quaresima

La Grande Quaresima è la più lunga e stretta stagione di digiuno dell’anno.

Nella settimana prima della Grande Quaresima ("Settimana dei Latticini"), la carne e i suoi derivati sono proibiti, ma le uova e I latticini sono permessi anche al mercoledì e al venerdì.

Prima settimana di Quaresima: si fanno solo due pasti completi nei primi cinque giorni, al mercoledì e al venerdì dopo la Liturgia dei Presantificati. Non si mangia nulla dal lunedì mattino al mercoledì sera, il più lungo periodo senza cibo nell’anno ecclesiastico (pochi laici seguono questa regola nella sua pienezza). Per i pasti del mercoledì e del venerdì, come per tutti i giorni infrasettimanali di Quaresima, si evitano carne e derivati, uova, latticini pesce, vino e olio. Al sabato della prima settimana, inizia la consueta regola per i sabati e le domeniche di Quaresima (vedi sotto).

Giorni infrasettimanali dalla seconda alla sesta settimana di Quaresima: la regola stretta di digiuno si segue ogni giorno (si evitano carne e derivati, uova, latticini pesce, vino e olio).

Sabati e domeniche dalla seconda alla sesta settimana di Quaresima: sono permessi vino e olio; altrimenti, si tiene la regola del digiuno stretto.

Settimana Santa: Il pasto della sera del Giovedì Santo è idealmente l’ultimo pasto prima della Pasqua. In questo pasto sono permessi vino e olio; il digiuno del Santo e Grande Venerdì è il più stretto dell’anno: anche a quelli che non hanno tenuto uno stretto digiuno quaresimale è chiesto di non mangiare nulla in questo giorno. Dopo la Liturgia di San Basilio al Sabato Santo, si può prendere un po’ di vino e frutta per sostenersi. Il digiuno si conclude al sabato notte dopo il Mattutino della Risurrezione, o al più tardi dopo la Divina Liturgia di Pasqua.

Vino e olio sono permessi in diversi giorni di festa, se questi cadono in un giorno infrasettimanale di Quaresima. Consultate il vostro calendario parrocchiale. All’Annunciazione e alla Domenica delle Palme, è permesso pure il pesce.

 

Digiuno degli Apostoli

La regola per questo digiuno di lunghezza variabile è meno rigida di quella della Grande Quaresima.

Lunedì, mercoledì, venerdì: digiuno stretto.

Martedì, giovedì: permesso di olio e vino.

Sabato, domenica: permesso di olio, vino e pesce.

Questa è la regola seguita da molti monasteri durante I periodi liberi da digiuno.

 

Digiuno della Dormizione

Il digiuno durante il periodo di due settimane che precede la Dormizione è come quello della maggior parte della Grande Quaresima:

Da lunedì a venerdì: digiuno stretto.

Sabato e domenica: permesso di olio e vino.

 

Digiuno della Natività

Durante la prima parte del digiuno, la regola è identica a quella del Digiuno degli Apostoli. Durante l’ultima parte, non si mangia più il pesce il sabato e la domenica. In differenti tradizioni, questa intensificazione del digiuno avviene o nell’ultima settimana o nelle ultime due settimane.

 

Altri digiuni

La vigilia della Teofania, l’Esaltazione della Croce e la Decapitazione di Giovanni Battista sono giorni di digiuno, con permesso di vino e di olio.

 

Periodi liberi da digiuno

Come complemento delle quattro stagioni di digiuno della Chiesa vi sono quattro settimane libere da digiuno:

Dalla Natività alla vigilia della Teofania.

La settimana dopo la domenica del Pubblicano e del Fariseo.

Settimana Luminosa — la settimana dopo la Pasqua.

Settimana della Trinità — la settimana dopo Pentecoste, che termina con la Domenica di tutti i Santi.

 

Il digiuno coniugale

Alle coppie sposate è richiesto di astenersi dalle relazioni sessuali per tutte le quattro stagioni di digiuno della Chiesa, così come nei digiuni settimanali del mercoledì e del venerdì. Questo aspetto delle regole del digiuno è forse ancor più ampiamente ignorato, e per molti è più difficile di quelli relativi al cibo. In considerazione di questo, alcune fonti suggeriscono una regola più modesta e minimale: le coppie dovrebbero astenersi dalle relazioni sessuali la notte prima di ricevere la Santa Comunione e per tutta la Settimana Santa.

 

Questioni di salute

Durante le stagioni di digiuno, evitare i cibi proibiti non crea rischi per la salute fintanto che si consumano dosi adeguate degli altri cibi.

L’apporto di calcio e un adeguato regime calorico possono essere una preoccupazione per alcune persone. Gli integratori di calcio sono un modo per garantire un apporto significativo di calcio in assenza di prodotti caseari. Noci e frutta secca sono una buona fonte di calorie per chi ha bisogno di mantenere il peso in un periodo di digiuno.

Se il digiuno è per voi una novità, potete trovare stressante l’inizio di sintomi di fame. Questi sintomi non sono dannosi: sono semplicemente una parte del digiuno.

I primi giorni di un lungo periodo di digiuno sono spesso i più difficili. Non fatevi scoraggiare da mal di testa, fatica, e così via, all’inizio di una stagione di digiuno: spariranno presto, o si ridurranno di intensità. Se avete paura del torpore dell’inattività, fate esercizio fisico moderato. Una breve camminata può portare una sorprendente differenza alla vostra energia.

Nei negozi di alimentari, leggete con attenzione le etichette. Spesso si usano burro, derivati del latte, estratti di carne e lardo come additivi.

Se non sapete cosa cucinare durante il digiuno, consultate uno dei numerosi ricettari vegetariani oggi disponibili. Sono in vendita diversi buoni "ricettari quaresimali".

 

Le regole qui descritte sono naturalmente solo una parte, la più esterna, di un vero digiuno, che includerà preghiere più intense e altre discipline spirituali, e può includere l’impegno di mettere da parte altri aspetti di vita quotidiana (come la caffeina o la televisione), o di intraprendere pratiche come le visite ai malati.

Ovviamente, molti ortodossi non seguono la regola tradizionale. Se la adottate, state attenti a non inorgoglirvi, e non fate attenzione al digiuno degli altri, ma solo al vostro. Come disse un monaco, dobbiamo “tenere gli occhi fissi sul nostro piatto”.

Non sostituite la nozione di "decidere cosa abbandonare per la Quaresima" alla regola che la Chiesa ci ha dato. Prima, mantenete la regola di digiuno della Chiesa per quanto ne siete capaci, poi deciderete riguardo a discipline aggiuntive, consultandovi con il vostro prete.

Ci è sempre consigliato di digiunare secondo le nostre forze, e potete scoprire dall’esperienza che avete bisogno di modificare la regola del digiuno per adattarla alle vostre forze e alla vostra situazione. Ma non considerate dal principio che la regola è troppo difficile per voi. Il Signore è la nostra forza, e ci può sostenere in modi meravigliosi e imprevedibili.

Chi cerca di mantenere il digiuno tradizionale della Chiesa troverà che, anche se le tentazioni di orgoglio e legalismo sono reali, i benefici spirituali sono grandi. Un ritorno a un digiuno più diligente può avere una grande parte nel rinnovamento spirituale delle nostre chiese ortodosse.

 

Detti sul digiuno

San Simeone il Nuovo Teologo: 'Che ciascuno di noi tenga a mente I benefici del digiuno... Questo guaritore delle nostre anime riesce in un caso a quietare le febbri e gli impulsi della carne, in un altro a mitigare il cattivo temperamento, in un altro ancora a scacciare il sonno, in un altro a risvegliare lo zelo, e in un altro ancora a ridare purezza di mente e a liberare dai cattivi pensieri. In uno controllerà la lingua sciolta, lo custodirà con timor di Dio e lo preverrà dal pronunciare parole vane e corrotte. In un altro custodirà invisibilmente i suoi occhi e li fisserà verso l’alto, invece di permettere loro di vagare qua e là, e così lo farà guardare a se stesso, insegnandogli a essere attento alle proprie colpe e mancanze. Il digiuno disperde e scaccia gradualmente l’oscurità spirituale e il velo del peccato che è steso sull’anima, così come il sole scaccia la nebbia. Il digiuno ci mette in grado di vedere l’aria spirituale in cui Cristo, il sole che non conosce tramonto, non sorge, ma risplende senza fine. Il digiuno, aiutato dalla veglia, penetra e addolcisce la durezza del cuore. Dove un tempo c’erano i vapori dell’ubriachezza, fa sgorgare fontane di compunzione. Vi supplico, fratelli, che ognuno di noi si sforzi perché questo si realizzi in noi! Quando si realizzerà passeremo prontamente, con l’aiuto di Dio, attraverso tutto il mare delle passioni e le onde delle tentazioni inflitte dal crudele tiranno, e arriveremo così a mettere ancora nel porto dell’impassibilità’.

'Fratelli miei, non è possibile che queste cose si compiano in un giorno o in una settimana! Prenderanno molto tempo, fatica e dolore, secondo l’attitudine e la buona volontà di ciascuno, secondo la misura della fede e il proprio disprezzo per gli oggetti della vista e del pensiero. Inoltre, è anche secondo il fervore della propria incessante penitenza e il suo lavoro incessante nella camera segreta del proprio cuore che ciascuno realizzerà questo compito più velocemente o più lentamente per il dono e la grazia di Dio. Ma senza il digiuno nessuno è mai stato capace di raggiungere qualsiasi virtù, perché il digiuno è l’inizio e il fondamento di ogni attività spirituale.

— Simeone il Nuovo Teologo: I Discorsi.

La Madre Gavrilia di beata memoria passò molto tempo viaggiando al servizio di Cristo in luoghi che la separavano dalla vita liturgica quotidiana della Chiesa. Specialmente durante questi tempi, il consiglio del suo padre spirituale, l’Archimandrita Lazarus Moore, la mise su un buon cammino:

'Il digiuno è una delle nostre armi più grandi contro il maligno. Ripeterò ciò che Padre Lazarus mi disse una volta. Nel 1962, andai negli Stati Uniti. Vi rimasi per lungo tempo, viaggiando in molti stati. Le lettere di Padre Lazarus erano di grande aiuto... Era solito dire: "Vai dovunque vuoi, fai quello che vuoi, fintanto che osservi il digiuno "... Poiché non una singola freccia del maligno può raggiungerti mentre digiuni. Mai.'

Asceta dell’amore (la biografia di Madre Gavrilia).

San Serafino di Sarov sul digiuno: 'Un giorno venne da lui una madre preoccupata di come combinare il miglior matrimonio possibile per la sua giovane figlia. Quando andò da San Serafino a chiedere consiglio, egli le disse: "Prima di tutto, assicurati che colui che tua figlia sceglierà come compagno di vita tenga i digiuni. Se non lo fa, non è un cristiano, qualsiasi cosa ritenga di essere."'

— Da un sermone del Metropolita Filaret, citato ne La scala dell’ascesi divina.

Abba Daniel di Scete: 'Nella proporzione in cui il corpo si ingrassa, l’anima si assottiglia.'

 
Cum trebuie citite rugăciunile de la Liturghie (în taină sau în glas)?

Acest subiect a apărut printre preocupările liturgiştilor secolului al XX-lea, datorită unui curent de „înnoire liturgică” promovat, în mod special, de profesorul rus (din diasporă), părintele Alexandr Schmemann, care, în majoritatea cărţilor şi studiilor sale, dar mai ales în Euharistia - Taina Împărăţiei [1], vorbeşte despre revenirea la o anumită „tradiţie liturgică primară” care astăzi ar fi dispărut. Ne referim aici la problema citirii cu voce tare a rugăciunilor de la Liturghie, ceea ce i-a determinat pe mulţi adepţi, adesea „pe furiş”, să pună în practică această idee, care, spune el, ar avea un impact misionar şi pastoral foarte mare.

Citirea cu voce tare a rugăciunilor Liturghiei [2] a dinamizat viaţa multor parohii şi comunităţi ortodoxe, în special în diaspora. Totuşi, acest tip de „înnoire liturgică”, marcată de mult entuzism, dar nu şi suficientă ştiinţă istorico-liturgică, a dus la apariţia diferitor practici extrem de diferite, care depăşesc limitele libertăţii subiective de slujire.

Înainte de a merge mai departe, trebuie să mai remarcăm faptul că însuşi părintele A. Schmemann, în „Prefaţa” la cartea care a şi stârnit discuţii pe marginea acestui subiect, menţionează următoarele: Cartea acesta nu este un manual de teologie liturgică şi nici o cercetare ştiinţifică...; nu pretind că ea este nici deplină şi nici sistematică. Ea este un şir de reflecţii despre Euharistie. Aceste reflecţii nu decurg totuşi dintr-o „problematică ştiinţifică”, ci din experienţa mea... [3] Observăm deci că autorul ne dă aici mărturia unei experienţe vii, dar, în acelaşi timp, face trimitere la o anumită subiectivitate în abordarea problemelor. [4] Să vedem însă cum au tratat alţii problema.

Întrucât prea multă bibliografie ştiinţifică la această temă nu există, ne vom limita la două studii ale prof. Robert F. Taft, care tratează detaliat acest subiect [5], şi la alte câteva informaţii sumare din alte surse, făcând însă şi unele comentarii personale.

Nu ştim exact dacă în vechime toate sau anumite rugăciuni de la Liturghie [6] se citeau în glas, spre a fi auzite de toţi, dar din izvoarele istorico-liturgice deducem că în primele trei secole rugăciunea euharistică (Anaforaua) nu avea un text definitivat sau normativ pentru toţi şi putea să fie „improvizată” la moment de episcopul sau chiar de preotul slujitor. Singura normă esenţială care trebuia respectată era adevărul de credinţă. Observăm însă că unii Părinţi din vechime, Sfântul Irineu de Lyon († 202) şi Ciprian al Cartaginei († 258), condamnă ereziile pe care le mărturiseau unii eretici în Anaforalele lor. Logic, dacă ei cunoşteau aceste erezii din Anaforalele acelora, înseamnă că ele erau rostite în auzul tuturor, pentru că, dacă s-ar fi rostit în taină, ei nu ar fi avut de unde să ştie despre aceste erezii.

Se pare că în vechime nici nu se practica citirea în gând sau parcurgerea doar cu ochii a textelor, indiferent de conţinutul lor; de aceea, nici rugăciunile nu erau citite în gând. Mai mult decât atât, din unele mărturii de prin secolele al IV-lea–al V-lea, se pare că nici rugăciunile particulare ale creştinilor din biserică nu erau rostite de aceştia doar în gând, de vreme ce Sfântul Niceta de Remesiana († 414) şi alţii se văd obligaţi să interzică păstoriţilor lor de a mai zice rugăciunile în glas, mai ales atunci când în biserică se citesc Scripturile sau se predică. Tot despre obiceiul rugăciunilor particulare (nemaivorbind de cele comune) spuse în glas ne vorbeşte şi Fericitul Augustin în Confesiunile sale [7].

Totodată observăm că în secolul al VI-lea, mai întâi în Siria şi apoi în Constantinopol, tradiţia citirii în glas a rugăciunilor, inclusiv a Anaforalei, a început să dispară. Într-o omilie atribuită lui Narsai († 517), în care acesta vorbeşte despre Anaforaua siriacă, se spune: Fiind îmbrăcat în haine strălucitoare, preotul – limba Bisericii –, deschizându-şi gura, rosteşte şi în taină Îi vorbeşte lui Dumnezeu ca unui prieten. Pe la anul 600, Ioan Moshu scria în Limonariu despre un caz nefericit, când nişte copii au învăţat pe de rost Anaforaua şi o rosteau în joacă. Iată textul: ...este obiceiul în biserică ca la sfintele slujbe să stea copiii în faţa Sfântului Altar şi să se împărtăşească cu Sfintele Taine îndată după clerici. În unele locuri preoţii obişnuiesc să rostească cu glas mare rugăciunile; s-a întâmplat ca să înveţe pe de rost copiii rugăciunea Sfintei Anaforale, din faptul că a fost rostită cu glas mare necontenit. [8] Aici observăm două lucruri: 1) rostirea cu voce tare a Anaforalei devenise deja o raritate sau, cel puţin, nu era practicată de toţi; şi 2) Ioan Moshu dă o conotaţie negativă acestui obicei al „unor preoţi” de a citi rugăciunea Sfintei Jertfe în auzul tuturor şi, se pare, este adeptul practicii ca aceasta să fie citită în taină. Să vedem însă dacă toţi erau de aceeaşi părere.

Se ştie că împăratul-teolog Iustinian cel Mare încerca să impună clericilor să citească Anaforaua cu voce tare, prin Novela 137 din 25 martie 565, care hotărăşte ca toţi episcopii şi preoţii, nu în taină, ci cu voce tare, în auzul preacredinciosului popor, să facă... dumnezeiasca proaducere (τὴν θείαν προσκομιδήν) [9]. Mai ştim că acelaşi împărat ameninţa cu sancţiuni grave pe cei care refuzau să execute întocmai acest ordin.

Cu toate acestea, practica liturgică din acea vreme şi de mai târziu a preferat citirea în taină a rugăciunilor euharistice, chiar dacă în istorie întâlnim anumiţi clerici sau mireni care erau nemulţumiţi şi indignaţi de această stare. Şi totuşi, chiar şi cel mai vechi manuscris păstrat până acum – Barberini 336 –, prevede citirea celor mai multe rugăciuni în taină [10]. Acelaşi lucru îl prevăd şi toate celelalte manuscrise şi ediţii ulterioare, fără însă ca aceste prevederi (de citire în taină a rugăciunilor) să închidă definitiv subiectul. Pretenţiile celor care doresc o revenire la obiceiul de a citi rugăciunile euharistice cu voce tare, sunt totuşi îndreptăţite, dar să vedem în ce măsură.

Bineînţeles, Tradiţia Bisericii nu înseamnă numai trecut, ci şi prezent, şi viitor – ea fiind trăirea dinamică a Bisericii. Dar dacă ne-am referi chiar şi numai la trecut, în cazul dat acelaşi trecut ne prezintă argumente şi pentru citirea cu voce, şi pentru citirea în taină a rugăciunilor de la Euharistie. Deci cum să procedăm? Părintele Alexandr Schmemann, despre care am amintit chiar la început, dar şi mulţi alţii (de cele mai multe ori imitându-l) propun o reformă aproape radicală, şi anume – citirea tuturor rugăciunilor de la Sfânta Liturghie cu voce tare, deşi însuşi părintele Al. Schmemann nu insista pe acest element, ci mai degrabă pe o apropiere lăuntrică dintre cler şi credincioşi şi pe împreuna lor liturghisire [11].

Pentru a fi mai expliciţi, trebuie să facem o precizare esenţială pentru cei care sunt orbeşte pro sau contra citirii cu voce a rugăciunilor de la Liturghie. Vom încerca să facem acest lucru cât mai sistematic.

1. De fiecare dată când, în istorie, era vorba despre citirea cu voce a rugăciunilor euharistice, se avea în vedere Anaforaua, nu şi alte rugăciuni. Despre Anafora vorbesc şi împăratul Iustinian în Novela sa, şi toţi cei care au mai ridicat această problemă.

2. Rugăciunile din categoria accessus ad altare [12], prin care preotul se roagă pentru sine însuşi, se pare că niciodată nu s-au citit cu voce tare. După părerea noastră, tot în taină se rostea şi rugăciunea Ia aminte, Doamne..., care se rosteşte înainte de înălţarea şi frângerea Sfântului Trup, la: „Sfintele Sfinţilor”.

3. Se mai poate presupune că unele rugăciuni, precum: a) cele 3 de la Antifoane, b) a Intrării Mici, c) a Cântării întreit sfinte, d) a plecării capetelor celor chemaţi şi a celor credincioşi, imediat după „Tatăl nostru”, e) rugăciunea de mulţumire, ce ar trebui să fie rostită de protos înainte de ecfonisul „Că Tu eşti sfinţirea noastră” [13] şi f) ultima rugăciune de concediere, de după Amvon – deci toate acestea s-au rostit încă multă vreme cu voce tare, pentru că ele aveau un caracter special şi trebuiau să fie rostite solemn, mai ales că unele dintre ele atrăgeau după sine anumite acţiuni sau gesturi ale ascultătorilor. Dintre toate, numai Rugăciunea de după Amvon a rămas să fie citită în auzul tuturor.

Cum se poate proceda în prezent?

Unii consideră că vechea practică a citirii rugăciuilor cu voce tare trebuie restaurată în întregime, deşi o bună parte din adepţii acestei idei nu ştiu exact ce alte schimbări implică această practică. Tocmai de aceea, pe lângă tactul pastoral de implimentare, recomandăm să se ţine seama şi de următoarele elemente:

1) În categoria rugăciunilor ce trebuie citite cu voce tare nu intră dialogurile dintre preot şi diacon, dar nici rugăciunile din categoria „accessus ad altare” şi, în special, rugăciunea Nimeni din cei legaţi (din timpul Heruvicului), care obligatoriu se citeşte în taină.

2) Toate rugăciunile trebuie citite înainte de ecfonis, căci acesta reprezintă sfârşitul rugăciunii şi nu al ecteniei. Rugăciunea poate fi citită simplu (fără melodie), iar ecfonisul, aşa cum o spune şi termenul, trebuie rostit recitativ, cu voce mai puternică.

3) Anumite cântări, şi în special cele din timpul Anaforalei, trebuie cântate simplu, chiar recitativ şi preferabil de către întreaga comunitate, iar preotul să citească Anaforaua cu voce tare, dar în aşa fel încât aceasta se fie auzită doar în biserică, nu şi afară [14].

Există şi opinii mai rezervate, care pornesc de la ideea că mirenii într-atât de mult s-au obişnuit cu actuala practică, încât ei nici nu simt atât de mult nevoia de a auzi textul propriu-zis al Anaforalei, ci mai mult de a şti şi a simiţi că preotul nu stă în Altar fără rost, ci se roagă, spunând anumite rugăciuni [15], al căror sens nu se ştie în ce măsură ar fi înţeles de ei (mai ales acolo unde se folosesc în cult limbi arhaice). Bineînţeles, o astfel de rostire a rugăciunilor cu voce înceată crează un efect mai mult psiho-emoţional, decât unul cognitiv.

Se pare că şi în trecut Anaforaua nu era citită chiar atât de tare, încât să fie auzită absolut de toţi. În primul rând, acest lucru era imposibil în bisericile mari, mai ales la Sfânta Sofia [16], care avea o mulţime de balcoane şi anexe, unde stăteau diferite categorii de oameni. Faptul că acei copii de care vorbeşte Ioan Moshu au învăţat rugăciunile Anaforalei pe de rost se datorează faptului că ei stăteau lângă Altar, dar restul credincioşilor auzeau mult mai puţin decât cei din apropierea Altarului. În al doilea rând, Anaforaua nu putea fi rostită chiar atât de tare de preot sau episcop, mai ales că, încă din vechime, se obişnuia ca această rugăciune să fie însoţită de închinăciuni sau de o poziţie mai aplecată a trupului [17] – ceea ce împiedică destul de mult o rostire prea tare a unui text atât de lung şi profund.

Se ştie că problema citirii cu voce a acestor rugăciuni este îngreuiată şi de dispariţia diaconilor în majoritatea covârşitoare a parohiilor. Tocmai de aceea, pentru cei care caută o cale de mijloc în privinţa citirilor rugăciunilor Liturghiei, am putea să le sugerăm patru principii practice de slujire [18]:

1) Rugăciunile de la Liturghie să se rostească încet, cu puţină voce. Acest lucru îi încredinţează pe credincioşi despre rugăciunea preotului, dar îl ajută şi pe preot să evite trecerea prea rapidă cu ochii peste text, fără să pătrundă sensul acestuia.

2) Rostirea să nu fie atât de tare, încât să-i împiedice pe creştinii din biserică să asculte cele cântate sau citite la strană.

3) În cazul în care strana termină răspunsul (cântarea) înainte ca preotul să-şi încheie rugăciunea în taină, preotul poate citi puţin mai tare, şi nu este nevoie ca strana să repete răspunsurile, chiar şi la Liturghia Sfântului Vasile cel Mare.

4) La slujbele în sobor, citirea rugăciunilor (aşa numite „în taină”) să fie făcută astfel, încât ceilalţi slujitori care se află în Altar să nu mai fie nevoiţi să recitească fiecare rugăciunile, ci să le audă din gura protosului. În asemenea situaţii, protosul poate încredinţa şi celorlalţi coliturghisitori ai săi (mai ales celor care citesc clar şi frumos) să citească anumite rugăciuni din Liturghie, dar numai nu Anaforaua, care trebuie rostită integral de către protos.

Fără a avea pretenţia elucidării problemei, considerăm că, din cele expuse de noi, cititorul va putea singur să tragă concluzia despre cum ar trebui să se procedeze. Şi asta, până când Sinodul fiecărei Biserici locale va hotărî cum să se aplice indicaţiile de mai sus.

Note

[1] Alexandr SCHMEMANN, Euharistia - Taina Împărăţiei, traducere pr. Boris Răduleanu, Editura Anastasia.

[2] Problema citirii cu voce tare a rugăciunilor nu vizează doar Dumnezeiasca Liturghie, ci şi Vecernia şi Utrenia. În prezent, rugăciunile care în trecut însoţeau ecteniile Vecerniei şi Utreniei sunt adunate la un loc şi se citesc toate odată în timpul Psalmului 103 şi, respectiv, în timpul celor 6 Psalmi. O eventuală ediţie „înnoită” a Liturghierului ar trebui să aranjeze aceste rugăciuni ale Laudelor la locul lor iniţial, iar realizarea acestui lucru nu e chiar atât de simplă cum pare la prima vedere.

[3] Ibidem, p. 13. Consider că această menţiune, destul de importantă, se referă la aproape întreaga sa operă.

[4] În general, este bine să menţionăm şi faptul că A. Schmemann, trăind în Franţa şi apoi în Statele Unite, unde ortodocşii sunt minoritari, a trebuit să-şi scrie lucrările cu scop preponderent catehizator.

[5] R. TAFT, Was the Eucharistic Anaphora Recited Secretly or Aloud? The Ancient Tradition ant What Became of It // Crestwood, NY: St. Nerses Armenian Seminary – St. Vladimir’s Seminary Press, 2006, pp. 15-57, în RTCAR vol. 2, pp. 253-302; IDEM, Questions on the Eastern Churches 2: „Were Liturgical Prayers Once Recited Aloud?” // Eastern Churches Journal, nr. 8.2/2001, pp. 107-113, în RTCAR vol. 2, pp. 303-310.

[6] Deşi vom reveni asupra acestei probleme, menţionăm de la început că trebuie să fim atenţi la diferenţa dintre Anafora şi celelalte rugăciuni ale Liturghiei.

[7] Confessiones, IX, 4 (8), trad. rom., Bucureşti, 1994, p. 257.

[8] Cf. Limonariu, cap. 196, trad. rom. Alba Iulia, 1991, p. 192.

[9] Cf. Corpus juris civilis, apud, Petre VINTELESCU, Liturghierul Explicat, p. 238, nota 687. Textul integral al acestei Novele, în traducere românească, îl avem la K. FELMY, pp. 128-132.

[10] Unii consideră că expresia «λέγει μυστικῶς / zice în taină» se referă la caracterul tainic al rugăciunii şi nu la rostirea în taină. Ideea însă este forţată şi are intenţia de a camufla realitatea deja pervertită a secolului al VIII-lea, de când avem primul manuscris al Liturghiei. Dacă ştim că în secolul al VI-lea existau dezbateri privind rostirea în glas sau în taină a rugăciunilor, de ce să nu recunoaştem că în secolul al VIII-lea ele deja erau rostite în taină? Iar faptul că toate manuscrisele vechi menţionează rostirea în taină a rugăciunilor încă nu înseamnă nimic. Multe părţi bune ale acelor manuscrise au fost ignorate; şi atunci care ar fi problema dacă am ignora această parte mai slabă, care nu reflecta tradiţia primelor veacuri, ci o inovaţie a timpului care pe nedrept s-a perpetuat până astăzi?

[11] Cf. op. cit., pp. 92-94 ş.a. Despre acestea vezi şi scrisoarea părintelui Schmemann, adresată episcopului său, intitulată: К вопросу о литургической практикеhttp://www.liturgica.ru.

[12] În trecut, rugăciunile se refereau la vrednicia apropierii clericilor de Sfântul Altar (adică de Sfânta Masă), în vederea aducerii Sfintei Jertfe. Preluând terminologia areopagitică, liturgiştii numesc această apropiere: accessus ad altare - ἡ πρὸς τὸ θεῖον θυσιαστήριον προσαγαγή (cf. Despre ierarhia bisericească, 3.5). În prezent apropierea fizică are loc cu mult mai devreme, fără careva rugăciuni speciale, iar rugăciunile de altă dată, deşi au în continuare ideea apropierii fizice de Sfânta Masă, sunt interpretate ca referindu-se la vrednicia de a aduce Jertfa nesângeroasă. Referinţe concrete la aceste rugăciuni de pregătire, precum şi conţinutul lor le găsiţi în mai multe capitole ale cărţii de faţă, în articolul lui M. JELTOV, Accessus ad altare // ПЭ, vol. I, pp. 428-430, la R. TAFT, The Great Entrance, pp. 350-373, precum şi în alte lucrări de specialitate.

[13] Vezi varianta diortosită de noi a textului Liturghiei.

[14] Deşi staţiile de amplificare a sunetului permit difuzarea slujbelor şi în afara lăcaşelor de cult, Liturghia euharistică („a credincioşilor”) este destinată doar celor care se află în locaş, iar Anaforaua este o taină care, deşi nu are sensul de text secret, nu trebuie să fie accesibilă oricărui trecător de pe drum. „Mistagogia spaţiului liturgic” este ignorată şi prin slujirea Liturghiilor pe scenă, în aer liber. În aceste cazuri, pe lângă ignorarea vechii „disciplina arcana”, multe din cuvintele Liturghiei sunt rostite cu un formalism strigător la cer, căci îndemnurile: „Cei nebotezaţi, ieşiţi!”, „Uşile, uşile…”, „Cu pace să ieşim” ş.a., nu mai au nici un sens.

[15] În Sfântul Munte, pe alocuri, se obişnuieşte ca răspunsurile de la strană în timpul Anaforalei să fie spuse recitativ şi relativ încet şi în felul acesta rugăciunea Anaforalei este auzită aproape integral, fără a anula sau a aştepta sfârşitul cântării de la strană. Profesorul grec Ioannis Foundoulis consideră că aceasta este practica vechii Biserici, dar că ea s-a păstrat numai în Athos şi se aplică, în general, numai în zilele de rând. (Cf. Иеромонах ХРИЗОСТОМ, Святогорский Устав церковного последования, trad. rus., pp. 20 şi 35.)

[16] Catedrală construită de acelaşi Iustinian, care dă Novela din 565. Biserica are dimensiuni impunătoare: 77 X 71,70 metri, iar înălţimea turlei este de 54 metri. Deşi nava are o acustică impresionantă, simpla citire din altar nu poate fi auzită în toate colţurile bisericii.

[17] Cf. GHERMAN AL CONSTANTINOPOLULUI, apud ICLB, p. 272.

[18] Printr-o coincidenţă de idei şi păreri, aceste reguli se aseamănă (chiar dacă şi diferă puţin) cu cele din Enciclica Bisericii Eladei nr. 2784, din 31 martie 2004, intitulată: „Modul citirii rugăciunilor Dumnezeieştii Liturghii”. Traducerea în română şi rusă a acestei Enciclice se găseşte pe mai multe adrese de Internet.

 
104

Foto 104

 
I nomi di battesimo nella Chiesa ortodossa

La scelta del nome di battesimo di un cristiano ortodosso è spesso una questione delicata, e lo è già nei paesi di tradizione ortodossa, che tendono a identificare i nomi “cristiani” con quelli che appaiono nel loro calendario locale, o al massimo estendono una certa misura di tolleranza ai nomi presenti nei calendari di altri paesi tradizionalmente ortodossi.

In paesi segnati da un forte pluralismo e dalla compresenza di più usanze ortodosse (come l’Italia) si presentano molte variazioni, e l’approccio da “santi dei paesi tuoi” non funziona più. Occorre uno sforzo di approfondimento dei seguenti punti:

1) Che cos’è il nome battesimale, e da quali fonti si può ricavare.
2) Quali sono le possibili traduzioni e variazioni di un nome.
3) Quali approcci differenti all’onomastica cristiana hanno avuto le Chiese ortodosse locali.

Cerchiamo di esaminare questi punti uno a uno, per farci un’idea di come deve comportarsi il rettore di una parrocchia ortodossa di fronte a genitori ortodossi che presentano un figlio al battesimo, oppure di convertiti alla fede ortodossa che si trovano ad avere un nome (anche battesimale) in qualche modo dissonante da quelli consueti.

IL NOME BATTESIMALE

Il principio generale del nome battesimale, ancora oggi in uso nella maggior parte delle chiese ortodosse, è che ogni nuovo cristiano prende all’ingresso nella Chiesa un nome di un santo o di una santa. Se è un bambino, il nome è scelto dai genitori, mentre ai convertiti adulti è solitamente lasciata una scelta personale.

I santi, ovviamente, sono riconosciuti come tali dalla Chiesa, ma la raccolta di tutti i loro nomi non è un processo univoco. I nomi presenti nella Bibbia sono fissati nelle Scritture, ma i nomi dei santi dall’età apostolica in poi sono generalmente tramandati in base a tradizioni locali. Nella Chiesa antica l’adozione di un nuovo nome era cosa nota (basta ricordare come Gesù stesso cambiò il nome ad alcuni suoi discepoli), ma non universalmente praticata, e così si sono immessi nell’onomastica dei santi cristiani innumerevoli nomi di origine pagana, quand’anche non delle stesse divinità pagane (pensiamo a nomi di santi cristiani come Apollo, Dionisio, Bacco…)

Spesso ci sono molti santi con lo stesso nome, e un cristiano con un certo nome potrebbe non sapere neppure quale santo di quel nome sia il suo vero patrono. Se i genitori hanno seguito le più antiche tradizioni della chiesa dandogli il nome di un santo la cui ricorrenza coincide con la sua data di nascita (o comunque è una data vicina), allora si può risalire al santo patrono semplicemente guardando il calendario in prossimità del proprio compleanno. Altrimenti, un cristiano adulto ha il diritto di scegliere il santo patrono tra tutti quelli di cui condivide il nome.

Dopo il battesimo, il più diffuso e regolare uso del nome battesimale è al momento della comunione, nella quale ogni comunicante si presenta con il proprio nome.

VARIAZIONI DEI NOMI DEI SANTI

I nomi non si mantengono nella stessa forma in tutte le lingue, e da uno stesso nome possono nascere molte variazioni. Pensiamo al nome “Giovanni” e alle sue varianti in varie lingue: Ioannis, Ioann, Ioan, Ivan, Ivano, John, Jovan, Johann, Johannes, Hovhannes, Gian, Gianni, Jean, Juan, João, Ian, Iaian, Sean, Shawn, Shane, Hans, Jan, Evan, Eoin, e così via!

Bisogna tenere presente che i nomi tradotti in altre lingue spesso cambiano completamente forma (Kevin ed Eugenio/Eugenia significano “nobile”, Debora e Melissa significano “ape”, e così via).

Ci sono nomi di santi che sono in realtà numerali ordinali (“Primo”, “Secondo”, e così via), derivati dall’antico uso di chiamare i figli con il loro ordine di nascita (uso comune nell’antichità, e ancora oggi diffuso in alcune parti del mondo). Ci sono nomi derivati da feste: Natale/Natalia/Natalino/Natalina dalla Natività, Stavros/Stavroula dalla Croce, Pasquale/Pasqualino/Pasqualina, Renato/Renata e Anastasio/Anastasia dalla Pasqua. Ci sono anche nomi derivati da virtù cristiane (Speranza, Grazia, Sofia) o da simbologie cristiane (Stella/Asterio/Asteria, Colomba, Agnello).

Una regola di buon senso ci ricorda che, se un nome è ispirato a un santo, allora tutte le varianti, derivazioni e traduzioni di questo nome possono andare bene, purché non siano diminutivi usati come nomignoli (per esempio, “Nino” usato nel senso di “Giovannino”). I diminutivi non sono apprezzati perché sono soprannomi, e non veri nomi. Se invece un nome è la forma contratta di un altro, ma in uso comune come nome e non come diminutivo (in Italia, Nadia è usato al posto dello slavo Nadezhda), la forma abbreviata è accettabile.

Alcuni nomi singoli sono in realtà forme di unione di più nomi: Marianna, Annamaria, Marilena (Maria+Elena), Pierpaolo… di solito questi nomi sono accettabili se uno dei due (meglio ancora entrambi) sono riconducibili a santi ortodossi.

Ci sono forme femminili di nomi maschili di santi, e viceversa. Spesso questi nomi possono apparire in forma alterata. Un paio di esempi: Nicola – Nicole, Nicoletta; Maria – Mario, Mariano.

Ci sono nomi che a una prima impressione non “suonano ortodossi”, ma che sono in realtà forme variate di nomi di santi ortodossi. Ecco una lista di alcuni nomi femminili: Alessandra – Alice; Caterina – Catalina; Teodora/Dorotea – Dora, Dorina; Emilia/Emiliana – Amelia; Elisabetta – Bella, Elsa, Isabella; Elena – Eleonora, Nora; Giovanna – Jacqueline, Jessica; Maria/Miriam – Mariana, Moira; Margherita/Marina – Greta, Perla, Rita.

Altri nomi, similmente non trattati da ortodossi, sono semplici traduzioni di nomi che si ritrovano tra i santi ortodossi, e che vogliono dire la stessa cosa. Eccone alcuni, con le varianti “ortodosse” tra parentesi: Chiara, Clara (Fotina, Svetlana, Lucia), Domenico/Domenica (Ciriaco/Ciriaca), Federico (Ireneo), Francesco (Libero, Eleuterio, Slobodan).

Molti nomi sono invece perfettamente validi come nomi ortodossi, in quanto nomi di santi occidentali precedenti allo scisma. Per nominarne solo alcuni: Alberto, Bernardo, Corrado, Edoardo, Gilberto, Guido, Leonardo, Osvaldo, Riccardo, Roberto, Ugo, Beatrice, Orsola…

Per quanto possa sembrare strano, i due più diffusi nomi musulmani sono accettabili come nomi battesimali ortodossi. Muhammad è il nome di due santi vescovi dell’Arabia pre-musulmana, e Ahmed è il nome di un martire di Costantinopoli.

APPROCCI ORTODOSSI DIFFERENTI

La più antica tradizione cristiana richiede un solo nome di battesimo; la pratica non è più seguita in alcune chiese ortodosse locali, come quella romena.

La pratica della Chiesa russa non vede di buon occhio le assegnazioni di forme maschili di nomi femminili (o viceversa) se non nel monachesimo; nella pratica greca invece questi scambi sono possibili e piuttosto comuni anche tra i laici. Tra i greci (e altri popoli balcanici) sono comuni i nomi battesimali legati al Salvatore (Sotiris, Christos – accentato sulla prima sillaba – e Kyriakos) oppure alla Madre di Dio (Panaghia/Panaghiotis); i russi trovano queste assegnazioni inaccettabili, e solitamente le donne russe di nome Maria non hanno come patrona la santa Vergine, ma altre sante con lo stesso nome (Maria di Betania, Maria Egiziaca o altre).

Nella tradizione russa i santi dell’Antico Testamento sono quasi esclusivamente riservati ai nomi monastici, ed è raro trovare nomi veterotestamentari al di fuori dei monasteri, con qualche piccola eccezione, tra cui Elia (Ilya), nome piuttosto diffuso.

Un altro costume assolutamente singolare è quello della Slava serba: la venerazione di un santo patrono di famiglia, immutabile nei secoli. Nella tradizione serba è il santo della Slava che conta, mentre al battesimo può essere dato un nome del tutto estraneo alla tradizione cristiana (questo spiega perché gli ortodossi di tradizione serba non battano ciglio alla presentazione in chiesa di fedeli come il ministro dell’agricoltura montenegrino, Tarzan Milošević…)

Generalmente, sia che un nome “estraneo” alla tradizione cristiana ortodossa si mantenga dopo il battesimo oppure no, tale nome può diventare un nome del calendario dopo che il portatore (o la portatrice) entra a far parte dei santi con la canonizzazione da parte della Chiesa.

ALCUNE NOTE PASTORALI

Chi entra nella Chiesa ortodossa in età adulta e ha già il nome di un santo del calendario non dovrebbe prendere un nome nuovo. A maggior ragione, i preti che ammettono un convertito adulto non dovrebbero incoraggiare cambi in nomi più “esotici” che esulano dalla sua storia personale. Entrare nella Chiesa è una questione di cambiamento di vita, non di cambiamento di identità! Di contro, può esserci un fedele che ammira particolarmente un certo santo, e desidera sinceramente prenderne il nome nell’Ortodossia. Qui si deve valutare se il santo è stato davvero un fattore determinante dell’ingresso nella Chiesa, tale da essere considerato davvero “patrono della conversione”; se viceversa il santo è stato solo un esempio tra molti, il prete può suggerire altri modi di venerarlo (far dipingere la sua icona, tenere questa icona nell’angolo di preghiera, diffondere la conoscenza della sua vita…), che non comportano necessariamente prenderne il nome.

Alcuni convertiti all’Ortodossia cambiano il loro nome (o viene loro detto di cambiarlo) non per crisi di identità, ma per mera ignoranza. Se l’ignoranza di un convertito (o di una coppia di genitori disinformati) è fino a un certo punto scusabile, lo è molto di meno quella di un prete! Ricordo che nell’anno della mia ordinazione presbiterale (1997), lo ieromonaco Aidan Keller pubblicava a Austin (Texas, USA) una edizione del Saint Hilarion Calendar con oltre 12.000 nomi di santi, tra cui una lista di santi ortodossi occidentali presi dal Martirologio Romano, dal Martirologio di Sarum e da altre fonti antiche. A distanza di quindici anni da quell’opera, le ricerche si sono espanse, e oggi è possibile avere riscontri (anche in rete) di migliaia di possibili nomi di santi ortodossi. Rifiutare un nome perché “non è ortodosso” deve essere un’opzione permessa a un prete solo dopo una seria ricerca.

Chi ha un doppio nome, di cui uno riconducibile a un santo ortodosso, può mantenere quest’ultimo come nome ortodosso. Questo è uno dei casi più semplici.

Può capitare, infine, che una persona sia stata battezzata nella Chiesa ortodossa con un nome del tutto non cristiano (come può capitare nella Chiesa serba, dove il nome battesimale è del tutto secondario rispetto al nome della Slava), oppure con un nome presente negli usi dei paesi cristiani, ma adespotico (“senza patrono”), come Gelsomina, o le sue varianti Jasmina o Iasmina (si tenga presente che i veri nomi adespotici di tradizione cristiana sono estremamente rari!) In questi casi, il prete di una chiesa che ha una tradizione rigorosa nell’imporre i nomi di santi può scegliere tra insistere nella propria usanza e assegnare un nome addizionale per l’uso nella Chiesa, oppure continuare a usare il nome precedente (che è comunque un nome battesimale!) e indicare al fedele di celebrare il proprio patrono in occasione della Domenica di Tutti i Santi.

igumeno Ambrogio
Torino, 2012

 
I cestini di Pasqua nella Chiesa ortodossa

La Liturgia ortodossa della Risurrezione di Cristo si officia nella notte della Pasqua, ed è seguita dalla benedizione dei cibi. Ogni famiglia porta in chiesa un cestino pieno di cibi, selezionati per il loro valore simbolico. Dopo la benedizione (in cui i fedeli e i loro cestini sono aspersi con acqua benedetta), ogni famiglia riprende il proprio cestino per consumare i cibi a casa, oppure in un pranzo comunitario presso la chiesa, o anche per condividerli con gli amici o con le persone più bisognose.

La preparazione dei cestini di Pasqua è una occasione per una famiglia di vivere insieme (e in modo simpatico e attraente) un momento intenso in cui tutti si focalizzano sul mistero pasquale, e per conservare le tradizioni dei propri antenati e delle proprie terre di origine.

Il cibo dei cestini è il segno della chiusura della Grande Quaresima, il più lungo periodo di digiuno dell’anno: si tratta quindi di sostanze piuttosto nutrienti, che vengono rese attraenti anche alla vista mediante speciali processi di preparazione. Il risultato è quindi festivo sotto ogni aspetto, sia come rottura del digiuno, sia come occasione di incontro sociale e di fraternizzazione, sia come puro e semplice piacere dei sensi.

Pane pasquale: Con una pasta a base di uovo, e spesso arricchito da uvette e da altri frutti, il pane pasquale rappresenta Cristo come “pane di vita”. In molte tradizioni locali, prende il nome di “Pascha”, quasi come se bastasse da solo a simbolizzare la festa (non sempre il nome “Pascha” è dato al pane: gli ortodossi russi, per esempio, che chiamano il pane “kulìch”, danno il nome di Pascha al loro dolce pasquale). Talvolta nel pane vengono inglobate, prima della cottura, uova intere e decorate: così si uniscono il simbolismo del pane e quello dell’uovo.

Uova pasquali: L’uovo, come esempio di vita che si sprigiona da una roccia, ricorda la sepoltura vivifica di Cristo, ed è fin da tempi antichi il principale simbolo della risurrezione. Le uova dei cestini pasquali sono invariabilmente sode (è il modo più naturale per conservarle, proteggerle dagli effetti di una rottura imprevista, e renderle immediatamente consumabili), e quasi sempre decorate: la decorazione varia dalla semplice colorazione con una tinta unita (per lo più il rosso, che aggiunge il simbolismo del sangue di Cristo versato per la nostra salvezza), a particolari disegni (croci, emblemi pasquali, etc.), fino ai più intricati e fantasiosi modelli di decorazione geometrica, che spesso trasformano le uova in oggetti d’arte. Le sostanze coloranti devono essere naturali (per esempio, per la tintura rossa si usa la buccia polverizzata delle cipolle), o quanto meno non tossiche, per poter permettere di consumare le uova senza effetti dannosi. Talvolta si dà la forma di uovo anche ad altri cibi (è così che sono nate, per esempio, le moderne uova di cioccolato). Non si mettono invece nei cestini le forme non commestibili di uova (come i gusci d’uovo vuoti e decorati, oppure le uova di legno o di porcellana), perché il contenuto dei cestini deve poter essere mangiato!

Dolci: Anch’essi a base di pasta all’uovo, mettono insieme il simbolismo dell’uovo con quello del pane della vita. Possono essere dei tipi più diversi, dai biscotti decorati con glassa e con motivi simbolici (come le croci), fino alle ricette più elaborate. La Pascha russa, per esempio, è fatta di uova, formaggi, panna, zucchero o miele, noci e frutta candita in una composizione tanto altamente nutritiva quanto altamente decorata e simbolica.

Carne: Cibi a base di carne (come salumi e prosciutti, o vari tipi di polpette speziate) possono essere aggiunti a un cestino pasquale per simbolizzare i sacrifici fatti prima del sacrificio perfetto di Cristo (in tal caso, stanno nel cestino come un’allusione all’Antico Testamento). C’è anche un riferimento simbolico al vitello grasso offerto al figliol prodigo, come segno del nostro ritorno a Cristo. ATTENZIONE: proprio per il legame con i sacrifici cruenti dell’Antico Testamento, le regole più rigorose della Chiesa ortodossa permettono la benedizione della carne, ma chiedono che NON si porti carne all’interno della chiesa vera e propria, dove si celebra il sacrificio incruento dell’Altare: pertanto, i cestini che contengono carne si dovrebbero benedire al di fuori del tempio (per esempio, nel vestibolo, sul sagrato, in una sala parrocchiale, e così via)

Sale, spezie, erbe: In alcuni usi, spezie e condimenti hanno un particolare valore simbolico. Il sale, tradizionale mezzo di conservazione dei cibi, rappresenta la verità della Parola di Dio. La senape ricorda l’aceto e il fiele offerti a Cristo alla crocifissione. Entrambe le sostanze hanno pure un posto importante nelle parabole del Signore. In ricordo della Pasqua del Vecchio Testamento, ma anche delle sofferenze di Cristo, si includono pure erbe amare o radici aromatiche (come il rafano, talora colorato con le barbabietole a simbolizzare il sangue redentore di Cristo).

Burro: Di solito aromatizzato con le mandorle, si include nel cestino come simbolo dell’Agnello di Dio, immolato per la salvezza del mondo (esistono anche stampi per burro e per altri dolci a forma di agnello, che rendono ancora più immediato il simbolismo).

Questa è una serie approssimativa dei cibi che si possono trovare in un cestino pasquale, ma non ha alcuna pretesa di descriverli tutti. Con enfasi diverse a seconda delle tradizioni locali, anche altri cibi hanno il loro posto nei cestini. Si pensi ai tanti tipi di formaggio, usati per arricchire e decorare i pani e i dolci pasquali (i latticini ricordano la terra promessa, in cui scorrono latte e miele, e che è una figura del nuovo regno inaugurato della risurrezione), oppure al vino, intimamente legato al sangue di Cristo. Anche cibi che di per sé sono di digiuno possono arricchire un cestino pasquale: per esempio, vari tipi di frutta, fresca o secca, che ricordano il giardino dell’Eden e l’abbondanza dei doni di Dio.

Nulla vieta di integrare nel cestino i cibi tipici della cucina locale: in Italia, per esempio, panettoni e colombe sono ottimi modelli di pane pasquale, e si trovano ovunque con facilità.

I cibi preparati a casa vanno avvolti in modo leggero (in modo da potere essere facilmente aperti una volta arrivati in chiesa), e messi assieme in modo compatto in un cestino robusto (così che tutto possa essere toccato dall’acqua santa aspersa durante la benedizione). Un cestino può essere decorato da una o più candele, che tipicamente si inseriscono sulla sommità dei pani o dei dolci pasquali, e che si accendono prima della benedizione, conferendo al cibo un’immagine di sacralità.

Anche il telo con cui si copre un cestino pasquale può avere un valore simbolico, e molte donne di casa preparano un proprio telo ricamato e ornato con bande colorate, croci o icone.

Una famiglia che porta a benedire in chiesa un cestino di Pasqua scoprirà di avere ricevuto una grazia particolare, che va al di là della semplice preghiera di benedizione del cibo: per alcuni giorni, i componenti della famiglia si concentreranno sulle immagini che ci parlano del mistero della Pasqua, mantenendo le usanze dei propri avi, e dando a tutti un’occasione di partecipare: dalla cucina, alla decorazione, fino al momento di mangiare!

 

BENEDIZIONE DEI CIBI PASQUALI

Sacerdote. Benedetto il nostro Dio, in ogni tempo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli.
Coro. Amen.

Il coro canta il Tropario pasquale per tre volte:
Cristo è risorto dai morti:
con la morte ha vinto la morte,
e a chi giace nei sepolcri ha elargito la vita.

Diacono. Preghiamo il Signore.
Coro. Kyrie, eleison.
Sacerdote. Signore Gesù Cristo, nostro Dio, getta uno sguardo su questi alimenti e santificali come tu hai santificato il montone che ti recò il fedele Abramo e l’agnello che Abele ti offrì come primizia. Tu hai fatto lo stesso con il vitello grasso che hai ordinato di sacrificare per il figliol prodigo ritornato a te, e come lui meritò di rallegrarsi della tua bontà, così pure noi possiamo rallegrarci dei cibi santificati e benedetti da te. Poiché tu sei il nutrimento vero e il dispensatore delle grazie, e a te innalziamo la gloria assieme al tuo eterno Padre e al santissimo, buono e vivifico tuo Spirito, ora e sempre, e nei secoli dei secoli.
Coro. Amen.

Diacono. Preghiamo il Signore.
Coro. Kyrie, eleison.
Sacerdote. Maestro e Signore nostro Dio, creatore e autore di tutte le cose, benedici questa Pascha, queste uova e questo formaggio [oppure questi cibi e bevande], e conservaci nella tua grazia, affinché consumandoli noi ci colmiamo dei tuoi doni elargiti con abbondanza e della tua bontà ineffabile. Poiché tua è la sovranità, il regno, la potenza e la gloria, del Padre, del Figlio e del santo Spirito, ora e sempre, e nei secoli dei secoli.
Coro. Amen.

Il coro canta ancora il Tropario pasquale per tre volte, mentre il sacerdote asperge gli alimenti con l'acqua benedetta.
Cristo è risorto dai morti:
con la morte ha vinto la morte,
e a chi giace nei sepolcri ha elargito la vita.

 

 
Ricordo di padre Daniil Sysoev

Il 19 novembre di tre anni fa veniva ucciso nella sua chiesa di Mosca il prete missionario padre Daniil Sysoev, responsabile di centinaia di conversioni alla fede ortodossa. Di padre Daniil abbiamo una presentazione in italiano sul blog Santi Ortodossi, e invitiamo i nostri lettori a leggerla.

Nella sezione “Testimoni dell’Ortodossia”, presentiamo il testo in russo e in italiano del ricordo di padre Daniil, scritto dal suo confratello e amico, l’arciprete Oleg Stenjaev.

 
105

Foto 105

 
105

Foto 105

 
Pregătirea pentru Sfânta Împărtăşanie

Seminarul pastoral consacrat pregătirii pentru Sfânta Împartaşanie s-a desfăşurat la mănăstirea Sfântului Daniel din oraşul Moscova

Moscova, 29 decembrie 2006 (Blagovest-Info)

 

Masa rotundă “Pregătirea pentru Sfânta Împărtăşanie: practica istorică şi actualele accese pentru rezolvarea problemei” s-a desfaşurat la 27 decembrie 2006 în Mănăstirea Sfântului Daniel din Moscova. La discuţia unei dintre cele mai mari probleme din viaţa actuală a bisericii a luat parte cunoscuţii păstori moscoviţi: protoiereii Vladislav Sveşnicov, Vladimir Vorobiov,  Dimitrii Smirnov, Vsevolod Ciaplin, Nicolai Balaşov, Alexei Uminschii, Alexandr Marcencov.

Lucrul mesei rotunde fost preşendenţiat sub conducerea episcopului Marc (Golovcov). Discuţia a fost dusă de Egumenul Petru (Meşerinov) directorul şcolii a Serviciului Tineretului la centrul patriarhal de dezvoltare duhovnicească a copilor şi tineretului, şi preotul unei parohii de la periferiile Moscovei.

din stânga: Arhimandritul Alexei (Policarpov), episcopul Marc (Golovcov), egumenul Petru (Meşerinov).

Înainte de a începe lucrul conferinţei stareţul manăstirei Sf. Daniel, arhimandritul Alexei (Policarpov) a dat citire mesajului transmis participanţilor din partea Patriarhului Alexei al II-lea, conţinutul căruia mărturiseşte despre marea importanţă pe care o acordă Întâi Stătătorul Bisericii Ortodoxe Ruse problemelor de renaştere liturgică şi formaţiunii “condiţiilor sănătoase de pregătire pentru Sf. Împărtaşanie”.

“Preoţii, parohii bisericilor şi părinţii duhovnicesti au responsabilitate enormă: De o parte se tratează de a nu ofensa sfinţenia sfintelor taine, de altă parte de a nu îndepărta persoanele de la comunicarea cu biserica de la viaţa euharistică, de la propria mântuire din pricina unui rigorism eccesiv şi nejustificat,” spune mesajul.

Toţi partecipanţii la conferinţa unanim au observat că tema actuală este “de o importanţă vitală pentru fiecare crestin”, dar discutarea ei ”demult s-a copt” duca cuvintele episcopului Marc. A fost propusă în discuţie întrebarea destre deasa Împărtăşanie, despre strânsa legătura a acesteia cu pratica bisericească a fiecăruia, despre postul euharistic şi mărturisirea în cazul desei Împărtăşiri, despre pravila de rugăciune pentru pregătirea şi alte întrebări actuale.

La început egumenul Petru (Meşerinov) a concretizat că problematica discuţiei trebuie să fie bazată pe exemple, care se confruntă fiecare preot. După cuvintele lui, timp de 10-15 ani de renaşterea bisericii ortodoxe din Rusia s-a format o generaţie de credincioşi care permanent şi benevol iau parte la cele sfinte, însă normele pregătirii pentru sfânta Împărtăşanie stabilite în biserica noastră: Postul de 3 zile, pravila de rugăciune voluminoasa, mărturisirea individuală obligatorie, “constituie un obstacol pentru deasa împărtaşanie”.

Numeroşi părinţi duhovniceşti ar putea micşora pregătirea însă nu se hotărăsc să o facă din causa de a nu strica tradiţia. După cuvintele egumenului Petru, se duce foarte bine evidenţa procesului când omul “după o dorinţă mare” se loveşte de reguli şi norme care-l duc la melancolie, indiferenţă şi în unele cazuri chiar la îndepărtarea de la Sfânta Biserică. Întreaga îndeplinire a pravilei constituie o problemă enormă pentru studenţi, călători, pelerini. Nu e un secret pentru nimeni că “în jumătate din bisericile din Moscova nu se împărtăşesc credincioşii în perioda de după Crăciun ne mai vorbind despre săptămîna luminată de după Paşti...”

Dacă ar fi să luam  euharistia ca “cel mai mare dar”, nu trebuie admis  că pregătirea  către euharistie să fie ca “cumpărarea unui bilet pentru care trebuie să lucrezi ca să-l cumperi”.

Sunt unii preoţi care pun accentul mai mult pe pregătirea care trebuie făcută decît pe morala evanghelică. Situaţia se complică mai tare cu  manifestare aşa-zisei “forme de clericalism”: preoţii nu postesc înainte de împărtăşanie, dar de la mereni cer, ceea ce întroduce un “dublu standart în unicul Trup al lui Hristos”.

Episcopul Marc a fost de acord că ultima chestie aduce “o deprindere spre făţărnicie” şi distruge relaţiile dintre duhovnici şi creştini. Tradiţia postului de 3 zile şi a mărturisirii obligatorii înainte de împărtăşanie ne-a rămas din perioada Sinodală cînd se împărtăşeau o dată sau două ori pe an. Acum însă pe doritorii de a primi cele sfinte mai des îi condamnăm “la postul permanent, ceea ce nu toţi o pot suporta”, aducînd o influenţă negativă în viaţa duhovnicească a bisericii. Mărturisirea – este ceva foarte important a accentuat episcopul şi a amintit că în orient nu există practica permanentă mărturisirii înainte de fiecare împărtăşanie şi nici nu toţi preoţii sunt autorizaţi de a mărturisi şi a citi rugăciunea de dezlegare. Însă în Rusia s-a format o altă tradiţie, de o parte aceasta este foarte important cînd sunt mulţi oameni, “puţini cunoscători ai teologiei”, însă pe altă parte în biserica noastră există diferite accesuri, cîteodată destul de extravagante. Pentru aceasta este foarte important de examinat într-un mod consiliar practica formată, evitînd în acelaşi timp “mişcările spontane”.

O notă informativă a principalelor etape istorice care a cunoscut pregătirea euharistică a fost prezentată de Alexandru Bojenov. Colaboratorul centrului patriarhal de dezvoltare duhovnicească a copiilor şi tineretului. Cum se ştie, biserica antică cunoaşte practica împărtăşaniei săptămînale, care avea ca principala cerinţă viaţa trăită după Sfânta Evanghelie şi împăcarea cu aproapele. “Postul euharistic” trebuia ţinut numai în perioada postului cu toate că aceasta nu era obligatoriu în timpurile apostolice. În primele veacuri ale creştinismului, nu era cunoscută mărturisirea individuală, cu excepţia păcatelor de moarte, cînd omul trebuia să se pocăiască în public, şi de multe ori ca  pedeapsă era oprit de la euharistie pe un oarecare timp. Se spunea că omul apropiindu-se de Sfânta Împărtăşanie trebuie să-şi cerceteze singur conştiinţa. La întrebarea despre curăţenia trupească a celor  ce se apropie de euharistie (femeile în timpul ciclului menstrual, după naştere ş.a.) de diferiţi ierarhi era permis în mod diferit.  Începînd cu perioada constantiniană situaţia se schimbă: Sfinţii părinţi al secolului IV deja recomandă împărtăşania rară, obiceiul mănăstiresc de mărturisire a gîndurilor încetişor este trecut în rîndul mirenilor.

În Rusia în perioada veacurilor X şi XII, mărturisirea tainică o apasă pe cea publică, la începutul secolului XII în obicei întră pocăinţa obligatorie cu marele post, ascultarea obligatorie de duhovnic.

Din secolul al XIV-lea mărturisirea se face de patru ori pe an, adică în timpul posturilor: Postul Mare, Pstul Sfinţilor Apostoli Petrul şi Pavel, Postul Adormirii Maicii Domnului şi Postul Crăciunului. Începînd cu secolul al XVI-lea, în biserică se întroduce pravila de rugăciune înainte de împărtăşanie şi celelalte reguli care s-au păstrat pînă în ziua de astăzi. În perioada sinodală trebuie amintit rolul particular al Sfîntului Ioan de Cronştadt, cu mărturisirile deobşte care erau cunoscute în întreaga Rusie şi care cea mai mare importanţă o punea pe pregătirea launtrică şi curăţenia inimii, nu pe citirea rugăciunilor. A. Bojenov presupune că această practică a dat rezultatele sale în timpul prigoanelor bisericii în secolul al XX-lea.

Preoţii Vsevolod Ciaplin, Nicolai Balaşov, Alexandr Marcencov

Apoi participanţii au ascultat cu mare atenţie nota informativă pregătită de protoierei Nicolai Balaşov despre practica bisericilor locale.

E clar faptul că aceste tradiţii pot fi diferite în diferite biserici dar totodată şi într-o singură biserică. De exemplu: în biserica greacă cei care se împărtăşesc rar postesc o perioadă de timp înainte de împărtăşanie, în dependenţă de starea sănătăţii, dar pentru cei care se împărtăşesc des, se recomandă de a păzi doar cele patru posturi obşteşti. Mărturisirea nu este amestecată cu Liturghia şi nu este o condiţie obligatorie pentru împărtăşanie. Pentru mărturisire este aşezată o zi anumită din timpul săptămînii. Împărtăşania şi mărturisirea sunt separate cîteodată într-atît că pelerinii în mănăstiri pot mai întii să se împărtăşească, apoi să meargă în chilii aşteptînd mărturisirea. Ca regulă mirenii sunt admişi la euharistie dacă nu au păcate grele. Pravila de rugăciune este de a citi canonul de pocăinţă şi rugăciunile înainte de împărtăşanie. Celelalte canoane sunt datori să le citească numai călugării. Pentru femei în perioada ciclului menstrual nu se recomandă să se împărtăşească, însă nu există alte restricţii de a partecipa la Sfânta Liturghie, de a venera sfintele icoane, de a primi anafura şi agheazma, ş.a.

Tot aceasta în privinţa femeilor spune şi Patriarhul Serbiei, Pavel. În biserica serbă nu există o formă unică, totul depinde de aceea unde a învăţat preotul parohiei. Absolvenţii facultăţii teologice din Grecia acceptă tradiţiile bisericii greceşti, dar preoţii scolii ruseşti socot mărturisirea ca ceva obligatoriu înainte de împărtăşanie, dar în perioada cînd nu este post mulţi dintre ei nu recomandă Sfânta Împărtăşanie.

În Bulgaria pînă nu demult mirenii se împărtăşeau foarte rar, ca regulă, în timpul posturilor. Pe participanţii conferinţei i-au numit „tabloul simplu” descris de Părintele Nicolai: preotul zice în glas „Cu frică de Dumnezeu şi cu credinţă sa va apropiaţi”, scoţind ceaşa cu Sfintele Daruri o arată poporului şi o duce înapoi pe Sfînta Masă fiind puţini cei care primesc Sfintele Daruri.  În prezent în Bulgaria – este perioada renaşterii liturgice: numărul celor ce se împărtăşesc creşte, iar duhovnicii le ies în întimpinare.

În Biserica Ortodoxă în America pînă nu demult slujitorii bisericeşti se bazau pe recomandările „mărturisire şi împărtăşanie” raportate de protoiereul Alexandru Şmeman la Sinodul Bisericii Ortodoxe din America din anul 1972. Însă acum această recomandare de a se împărtăşi o data în lună şi chiar la dorinţa de a primi euharistia mai des se cere autorizaţie specială de la duhovnic, este o specie de anahronism şi pentru Biserica Ortodoxă din America şi pentru noi. Pe situl oficial al Bisericii Ortodoxe din America părintele Nicolai Balaşov a găsit recomandarea de a se pune de acord cu duhovnicul despre frecvenţa împărtăşeniei şi legătura dintre mărturisire şi împărtăşire. Cu binecuvântarea duhovnicului se poate de împărtăşit la fiecare liturghie. Pentru aceaste persoane care se împărtăşesc des este de ajuns doar posturile obşteşti, pentru puţini post de o săptămîna sau de trei zile.

Fiecare partecipant a povestit despre ce fel de practica s-a format în parohia sa, dar mai întii rectorul universităţii ortodoxe Sf. Tihon, protoiereul Vladimir Vorobiov, a propus să se analizeze întrebările despre aceea, cine, cum şi cu ce fel de acces poate să se împărtăşească în cadrul obştii euharistice la renaşterea căreia şi trebuie acum de îndreptat toată silinţa. Pentru aşa obşte ”unde este duhovnic care trebui să cunoască în deaproape totate probleme vieţii duhovniceşti al fiecărui reprezentant al obştii” nu sunt acceptabile accese care s-au format istoriceşte pentru o viaţă cu totul diferită cînd obştea euharistică în genere a lipsit de viaţa bisericească. Dar în acelaşi timp nu se poate mecanic de luat practica din bisericile orientale unde în primul rînd tradiţia nu s-a întrerupt şi în al doilea rînd s-a format în ţări  mici. De exemplu, Acum în Grecia, trăiesc 9,5 milioane de oameni, ei au peste o mie de mănăstiri şi un număr mare de biserici, 70 episcopii, aceasta este viaţa normală a bisericii ortodoxe în orient. Particularitatea Rusiei însă constă în aceeia că este o ţară mare, aici unui  episcop îi revin foarte multe mii de credincioşi. Această inevitabilă depărtare a episcopului de poporul bisericesc este un absolut fără sens din punctul de vederea bisericii antice, şi aceasta tot trebuie de luat în consideraţie în noile noatre condiţii. După părerea părintelui Vladimir drumul corect trebuie să-l arăte bisericii noastre – Soborul care ar aduce în regulă viaţa noastră, din păcate aşa sobor noi pînă cînd nu avem şi cred că nu poate să fie pentru că nu sîntem pregătiţi pentru aceasta. Fiecare decizie trebuie fondată pe experienţa bisericii. De aceea acum este timpul inevitabilului pluralism cînd ”fiecare duhovnic este obligat de a găsi propriul său răspuns”. Este necesar de acceptat acest pluralism pentru ca sa nu fie aceste interdicţii. Acum este timpul căutărilor, a accentuat părintele Vladimir. Rezultatele acestei căutări în diferite parohii pot să fie presentate după 2 întrebări fundamentale hotărîte în cursul acestei conferinţe.

preoţii Vladimir Vorobiov şi Dimitri Smirnov

Frecvenţa Sfintei Împărtăşanii, pregătirea pentru ea şi postul euharistic.

În comunitatea părintelui Vladimir practica desei Împărtăşanii răsare din tradiţia instaurată de preotul Vsevolod Şpiler. ”Dacă omul păzeşte poruncile lui Dumnezeu, posturile, sărbătorile, se roagă – nu este nici un obstacol pentru împărtăşirea săptămînală. La noi este o prectică uşoară de pregătire pentru aşa tip de credincioşi: ei trebuie să urmeze numai posturile obşteşti, dar sîmbăta să nu mai mănînce carne, citirea tuturor canoanelor tot nu este necesară. Obligatorie este citirea rugăciunilor înainte de împărtăşanie”, a povestit părintele Vladimir. El a subliniat necesitatea accesului individual al preotului care în obştea sa cunoaste membrii ”maturi” şi ”noi-născuţi” pentru care pregătirea pentru împărtăşire se petrece într-un mod diferit, pentru euharistia să nu devină pentru aceştea ca o formalitate sau ca un medicament. O atenţie particolară se acordă  familiilor cu mulţi copii care sunt destul de multe în parohia noastră. Să ceri îndeplinirea tuturor regulilor de la o femeie care îndeplineşte un adevărat act de eroism, ducînd pe spatele său o casa de copii, ar fi ceva fără de omenire. În aşa situaţie parohul este gata să le împărtăşească fără nici o pregătire.

p. Alexei Uminschii, Alexandr Bojenov

Părintele Alexei Uminschii a povestit: ”Eu sfătuiesc o împărtăşanie deasă dar nu impun la nimeni la aceasta ca să nu limitez duhul libertăţii, nici noii începători nu fac excepţii.” Pentru cei care urmează regulat Sfânta Biserică, posturi speciale în afară de cele obşteşti nu se recomandă nici chiar carnea de a o exclude sîmbăta nu cer – mai bine să se abţină de a privi televizorul. Pentru Sfânta Împărtăşanie spune Părintele Alexei trebuie de uşurat accesul altfel se întimplă multe obstacole nefondate pentru euharistie. Însă este un acces foarte uşor pentru botez şi cununie, unde într-adevăr ar fi nevoie de pregătire destul de serioasă. Împărtăşania familiară este necesară pentru că familia este ”mica Biserică”, neuitându-ne la cei care întârzie la Sfânta Liturghie.

Protoiereul  Dimitri Smirnov a propus următoare schemă de a posti înainte de împărtăşanie. Cine se împărtăşeşte o data pe an -  trebuie să postească o lună înainte de împărtăşanie, cine o dată pe lună -  să postească o săptămînă, cine săptămînal – ajunge posturile obşteşti, însă fără carne sămbăta, ”ţinînd contul atitudinii pentru carne a poporului – de nu a strica obiceiul”. Aceleaşi cerinţe şi în Săptămîna Luminată, în timpul căreia după canoanele bisericeşti împărtăşania este obligatorie – a subliniat părintele Dimitri. Duhovnicul este important deasemenea a şti, că primirea orcăror medicamente (nu a vitaminelor) deloc nu este un obstacol pentru primirea împărtăşaniei. Preotul opreşte temporar de la Sfînta Euharistie numai pe cei care sunt deprinşi a se împărtăşi des, însă nu pe cei care vin o data în an. Acestor oameni, dar ei sunt aproximativ 15%, trebuie să ne stăruim să le dam totul mai ales celor veniţi pentru prima oară şi cu pocăinţă sincera. Pe aceştia nu numai că se poate dar şi trebuie de împărtăşit, chiar dacă nu sunt pregătiţi şi nu ştiu nimic, trebuie de lămurit cum e necesar de pregătit de acum înainte şi de spus că prima dată biserica îi primeşte fără pregătire ca pe fiul cel pierdut. Părintele Dimitrii refusă de a împărtăşi pe cei care trăiesc în căsătorie civilă sau în concubinaj lămurindu-le cu blîndeţe importanţa cununiei religioase.

Mărturisirea

În biserica părintelui Alexei Uminschii pentru acei care ”sunt pe picioarele lor” mărturisirea înainte de fiecare împărtăşanie nu este obligatorie, este de ajuns binecuvîntarea părintelui duhovnicesc. Pe începători însă el îi binecuvîntează să se mărturisescă des, considerînd că deasa mărturisire şi îndrumările duhovnicului au o mare valoare de catehism. Mărturisirea se petrece în biserică o dată pe săptămînă după slujba de seră, după nevoia lăuntrică a credinciosului.

Părintele Dimitri Smirnov crede că este de ajuns să te mărturiseşti în timpu săptămînii, înainte de sărbătorile mari, fiind deajuns „dacă în timpu acesta nu ai ucis pe nimeni”. Este forte convenabilă forma mărturisirii în scris, mai ales pentru credincioşii care vin permanent. El nu vede nici un obstacol de a se mărturisi la un alt duhovnic, de exemplu în timpul unui pelerinaj. Însă uneori, înterzice unor dintre fii săi duhovniceşti de a se mărturisi la mănăstiri; după observările sale, întîlnirile cu oarecare ”tiner stareţ” aduc la urmări grave.

Părintele Vsevolod Ciaplin presupune că încet încet vom scoate ideile greşite despre legătura dintre mărturisire şi împărtăşanie. Însă mărturisirea nu trebuie să dispară, trebuie totuşi regulată, pentru ca să nu se întimple ca şi la catolici, unde marea majoritate a credincioşilor se mărturisesc în copilărie şi apoi înainte de moarte.

O altă extremă este abuzul de mărturisiri cînd unii doresc să se mărturisească foarte des şi detailat. Aceasta este „ un teren al iluziilor spirituale”; se poate elabora îndreptări pastorale cu privire la practica împărtăşirii diferitor credincioşi, de exemplu cei permanenţi şi conştienţi pot fi admişi după binecuvîntarea de la mărturisirea obştească şi rugăciunea de dezlegare. Însă într-un oraş mare preotului îi este greu să cunoască toţi credincioşii. Principalul – mărturisirea să nu fie formală, ci baza principală din starea duhovnicească a omului. ”Trebuie mai mult să vorbim despre mărturisire, nu numai ca despre o scrisoare dar ca o stare duhohnicească, o curăţenie a inimii, împăcare cu aproapele, conştiinţa pregătirii de cercetarea greşalelor, dar nu numai de enumerarea lor”, explică părintele Vsevolod.

Experienţa pastorală a părintelui Vladimir Vorobiov convinge, dacă s-o oblige în fiecare săptămînă de a petrece taina pocăinţei aceasta ar aduce perversiuni duhovniceşti. Niciodată şi nicicînd aşa ceva în istorie nu a fost, afirmă dânsul. Mai mult ca aceasta, fisic nu este posibil de a mărturisi toţi membrii obştii, unde sunt mai mult de o mie de persoane, de aceea cerinţa formată a mărturisirii obligatorii înainte de împărtaşanie este irealizabilă. Mărturisirea de obşte – nu este soluţia cea mai bună: acum că nimeni nu mai petrece mărturisirea de obşte ca Părintele Ioan de la Cronştadt mărturisirea de obşte se reduce în general la o formală citire a unei  liste cu păcate şi taina pocăinţei nu se petrece. Însă în acelaşi timp – nu se poate de permis ca să se apropie de ceaşă toţi fără nici un control „direct de la gară” pentru a nu se permite necinstirea Sfintelor Taine.

Părintele Vladimir propune să ne întoarcem la practica antică a binecuvîntării prealabil la euharistie: preotul parohiei ştie cine poate fi admis prin rugăciunea de dezlegare. Acei însa care vin pentru prima dată sau cu păcate grele, trebuie să-i motivăm ca să ia parte la taina pocăinţei, neamestecînd în acelaşi timp mărturisirea cu Liturghia.

Părintele Valerian Crecetov discutînd cu părintele Vladimir a remarcat că mărturisirea de obşte cîteodata poate să fie foarte eficientă. El a subliniat deasemena riscul unui scandal ce se poate întîmpla în urma unei diferenţieri între cei care trebuie să postească înainte de euharestie şi cei pentru care nu este obligator lucrul acesta. Reguli trebuie să fie, fără ele totul se va distruge, nu trebuie însă de uitat principalul: trebuie să cerem ca herul Domnului să îndrumeze pastorii pe calea cea dreaptă.

Pe Părintele Vladislav Sveşnicov îl neliniştesc desele schimbări a tainei pocăinşei cu o chestiune psihologică sau cu o mărturisire „de tip legal”.

Protoiereul Vladimir Vorobiov de asemenea a vorbit despre schimbarea tainei pocăinţe cu întălnirea cu preotul, pentru aceasta e necesar de a găsi un alt timp potrivit.

preoţii Valerian Crecetov şi Vladislav Sveşnicov

Făcînd bilanţul seminarului pastoral mulţi partecipanţi au notat binefacerea discuţiei în duhul fraternităţii. Pentru episcopul Marc este important că tema aceasta esenţială a fost discutată la forum pe care nici unul nu-l poate învinovăţi în modernism. Pe scurt, un real început al unui consiliu, considera Dumnealui.

Arhimandritul Alexei (Policarpov) a propus de formulat concluziile acestei discuţii pentru episcopat care cunosc bine această problemă. S-a decis de elaborat un proiect: ”Ghidul creştinului doritor de a se apropia de Sfînta Ceaşă pentru a se împărtăşi cu Tainele de viaţă făcătoare a Lui Iisus Hristos” şi de înmînat textul episcopilor, părintele Nicolae Balaşov propune că discutarea întrebărilor din cadrul seminarului trebuie continuată. Episcopul Marc a expus speranţa că această discuţie ar putea deveni fundamentală în viaţa bisericii noastre.

Iulia Zaiţeva

Agenţia de informaţie religioasă Blagovest-Info

29/12/06.

 
105

Foto 105

 
La benedizione delle icone è in accordo o in contraddizione con la Tradizione della Chiesa ortodossa?

La questione

I cristiani ortodossi ordinariamente fanno benedire le loro icone da un sacerdote o da un vescovo. I vescovi spesso le ungono con il Sacro Crisma. Ci sono anche servizi speciali per benedire diversi tipi di icone: di Cristo, della Madre di Dio, di feste, ecc La maggior parte delle persone non immaginerebbe mai di mettere un'icona non benedetta nelle proprie case, sarebbe una specie di sacrilegio, ma una volta che la icona è benedetta - qualunque sia il suo oggetto, il suo gusto, la sua canonicità, ecc - molti pensano che quella che era una semplice immagine prima della benedizione, diventa in seguito un'icona, a causa della benedizione. Diventa almeno un'icona "migliore". Essendo solo un'immagine "profana", prima, diventa "santa" dopo, perché è stata benedetta. Pochissimi ortodossi metterebbero in discussione questa pratica che sentono legittima, tradizionale e del tutto in accordo con la Tradizione della Chiesa. Spero di dimostrare che, nonostante la diffusa abitudine della benedizione delle icone, questa pratica non è in accordo con la Tradizione della Chiesa, e che in realtà è in contrasto con essa e si basa su una teologia delle icone che è estranea all'Ortodossia.

Un prete che benedice diverse icone

La storia

Dalla Pentecoste (33) al settimo Concilio Ecumenico (787), che ha condannato l'iconoclastia:

Durante questo periodo, c'è un silenzio totale nei documenti storici. Per quanto ne sappiamo, nessuno ha mai scritto sul tema delle benedizione delle immagini, e non c'è traccia di una preghiera per la loro benedizione.

Il tempo dell'iconoclastia, 730-843:

II Concilio di Nicea, 787 [1]. Ecco uno degli attacchi effettuati dagli iconoclasti contro gli iconoduli, letto durante il Concilio insieme con la risposta data dai Padri [2].

Gli iconoclasti: ...né vi è alcuna preghiera di consacrazione per essa [un'icona] per trasferirla dallo stato di oggetto comune allo stato di oggetto sacro. Invece, rimane comune e senza valore, come il pittore l'ha fatta.

Gli ortodossi: ...molti degli oggetti sacri che abbiamo a nostra disposizione non hanno bisogno di una preghiera di santificazione, poiché il loro nome stesso dice che sono consacrati e pieni di grazia. Di conseguenza, noi li onoriamo e li baciamo come oggetti venerabili. Così, anche senza una preghiera di santificazione, veneriamo la forma della croce vivificante. La sua stessa forma è sufficiente perché noi riceviamo santificazione. Con la venerazione che le offriamo, quando tracciamo il suo segno sulla nostra fronte, e anche quando tracciamo il suo segno in aria con il dito, come un sigillo, esprimiamo la speranza che metta in fuga i demoni. Allo stesso modo, quando indichiamo un'icona con un nome, trasferiamo l'onore al prototipo; baciandola e offrendole il culto d'onore, ne condividiamo la santificazione. Inoltre ci baciamo i diversi utensili sacri che abbiamo, ed esprimiamo la speranza di ricevere da loro una benedizione. Pertanto, o costoro [gli iconoclasti] devono dire oziosamente che la croce e gli utensili sacri sono comuni e senza valore - poiché li ha fatti un falegname, o un pittore, o un tessitore, e poiché non c'è preghiera di consacrazione per loro - o dovranno accettare anche le venerabili icone come sacre, sante, e degne di onore.

Perché, proprio come quando si dipinge un uomo, non lo si priva dell'anima, ma rimane uno che ha un'anima e l'icona è chiamata la sua a causa della sua somiglianza, così accade quando facciamo una icona del Signore. Confessiamo che la carne del Signore è divinizzata, e sappiamo che le icone non sono altro che icone, a significare l'imitazione del prototipo. È da questo che l'icona ha preso anche il nome del prototipo, che è l'unica cosa che ha in comune con il prototipo. Questo è il motivo per cui è venerabile e santa [3].

La vita di Stefano il Giovane [4]

Capitolo 55: "Richiamo dall'esilio. Conversazione con Costantino V "

Il santo [Stefano] rispose [a Costantino V]: "O Imperatore, non è la materia delle icone che i cristiani siano mai stati ordinati di adorare, ma essi si prosternano davanti al nome della persona che si vede sull'icona ... "

Quindi il santo replicò: "E chi poi se è sano di mente adora una creatura quando si prosterna davanti agli oggetti che sono nelle chiese, sia che siano di legno, pietra, oro, o argento, e che sono stati trasformati in oggetti sacri per mezzo del nome scritto su di loro?"

Niceforo di Costantinopoli, Discorsi contro gli iconoclasti [5]:

"In verità, proprio come le chiese ricevono il nome dei loro santi patroni, così anche le immagini di quei santi hanno i loro nomi scritti su di loro, perché è ciò che è scritto su di loro [il nome] che li santifica".

In questo trattato, il Patriarca attacca le affermazioni e le argomentazioni dell'Imperatore Costantino V che convocò il Concilio di Hieria nel 754 per dare l'approvazione alla sua dottrina iconoclasta. L'imperatore sosteneva che l'immagine di una persona, al fine di essere correttamente chiamata immagine, deve essere consustanziale con il prototipo. Allora l'unica immagine di Cristo che è consustanziale con lui, della sua stessa sostanza, è l'Eucaristia, i santi doni della comunione. Tutte le altre "immagini" di Cristo e dei santi sono erroneamente chiamate immagini perché la loro sostanza - legno, pietra, colori, ecc - è diversa da quella delle persone rappresentate. Per di più, perché il pane e il vino diventino l'immagine consustanziale di Cristo, ci deve essere una preghiera di consacrazione nella liturgia per cambiarli. Le "immagini" di Cristo e dei santi sono erroneamente chiamate immagini per due motivi: [le loro sostanze sono diverse, e] non c'è la preghiera di benedizione per trasformarle nella sostanza di Cristo e dei santi.

Nel rispondere all'imperatore, il patriarca Niceforo attacca la sua posizione dicendo che l'imperatore era intrappolato in un duplice errore. In primo luogo, alla tesi secondo cui l'immagine e il suo prototipo devono essere consustanziali, Niceforo risponde che il legame tra l'immagine - il tipo - e la persona rappresentata - il prototipo - non è una di consustanzialità, ma di somiglianza e di condivisione del nome della persona. L'immagine di Cristo, egli continua, essendo fatta di legno e di colori, si chiama Cristo, perché gli assomiglia nel senso che riproduce le caratteristiche fisiche della sua umanità e perché porta il suo nome. Inoltre, Costantino era di nuovo in errore, perché non distingueva due tipi di santificazione: la sacralizzazione che è prodotta dalle preghiere della Chiesa - la benedizione dell'acqua alla Teofania, per esempio - e la santificazione che avviene imitando Cristo, con la partecipazione ai suoi atti, parole, e morte - i martiri ed altri, per esempio. Nel primo caso, una preghiera di benedizione è necessaria, nel secondo, no.

L'inglese ha anche due parole, in realtà la stessa parola, ma pronunciata in modo diverso, per distinguere questi due tipi di santità: blessed, due sillabe, e blessed (pronunciato blest), una sillaba. "Il loro matrimonio è stato un evento benedetto che è stato benedetto dal vescovo e da cinque bambini sani". L'icona non appartiene alla seconda categoria, ma alla prima. Pertanto, è santa, non a causa di una preghiera di benedizione, di cui il patriarca e gli ortodossi in generale non conoscevano l'esistenza, ma a causa della sua somiglianza con il prototipo e del fatto di avere il nome del prototipo scritto su di essa.

Dal IX secolo alla metà del XVII secolo

Durante questi secoli, regna un altro silenzio nei libri di preghiere e negli scritti di autori ortodossi sul tema della benedizione delle icone.

1649, Metropolita Pietro Moghila di Kiev

Questa è la data di pubblicazione del Trebnik - Eucologio, o benedizionale - del metropolita in cui, per la prima volta in una fonte ortodossa, abbiamo brevi servizi di preghiera per la benedizione delle icone. Vediamo qui di seguito i testi e le analisi di queste preghiere.

1669-1706, Patriarca Dositeo di Gerusalemme [6]

L.H. Grondijs [7] cita un passo di Dositeo

Solo nel XVII secolo qualcuno inizia a fare domande sul tema [della benedizione delle icone], e Dositeo di Gerusalemme ne discute in un lungo testo accusatorio contro gli scismatici, ovvero i cattolici romani. Nel 4° capitolo della sua Storia dei Patriarchi di Gerusalemme, Dositeo attribuisce ai suoi avversari (i cattolici), che favorivano la venerazione delle icone, l'argomento che il Papa recita queste preghiere su di loro. Ecco cosa Dositheos ebbe a dire: "Noi rispondiamo a questo terzo argomento dicendo che la benedizione delle icone non è necessaria né indispensabile. Rimandiamo i lettori alla sesta sessione del Concilio (il VII Concilio ecumenico di Nicea), dove ci si occupa del Concilio tenuto sotto Copronimo [Costantino V, il Concilio di Hieria nel 754], che ha criticato le icone in questo modo: [Nicea II cita gli iconoclasti] 'L'icona non ha una benedizione per essere santificata e trasferita dal comune al sacro. Rimane comune e profana come il pittore che l'ha creata'. [8] Per di più, il Concilio ha risposto con la voce del diacono Epifanio, ma non ha detto che vi era una benedizione per le icone, ma che l'immagine della croce non era benedetta e che era fatta senza una benedizione.

1730, la prima preghiera benedizione per un'icona in un Eucologio greco [9]

Quando un vescovo benedice l'icona, egli unge i suoi quattro lati con il Santo Crisma, e poi dice la seguente preghiera:

Vescovo: Preghiamo il Signore.

Risposta: Kyrie, eleison.

Vescovo: O Sovrano, nostro Re Onnipotente, Padre del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, hai dato ordine al tuo servo Mosè di raffigurare l'immagine di un cherubino nella santa tenda, e da questo, abbiamo preso l'abitudine di dipingere icone come ricordo di coloro che esse rappresentano. Pertanto, noi ti preghiamo, o Signore nostro Re, di inviare la grazia del tuo Spirito santo, insieme con il tuo angelo, su questa santa icona in modo che ogni preghiera offerta a te attraverso questa icona sia accettata per la grazia, la misericordia , e la compassione del tuo Figlio unigenito, il nostro Signore, Dio e Salvatore, Gesù Cristo, amico degli uomini.

Poiché a te si addice ogni gloria, onore e adorazione, al Padre, al Figlio e al santo Spirito, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amen.

Il brano che segue è una nota inclusa nell'Eucologio dal suo editore.

Circa la preghiera che il vescovo dice sopra l'icona appena dipinta, si prega di notare che la Sacramentaria Latina contiene una benedizione simile senza unzione con il crisma, soprattutto quella utilizzata nell'Ordo Praedicatorum, così come nel Pontificale Romanum. Anche se in passato, a causa di troppa negligenza, è stato rifiutato l'uso di una benedizione di questo tipo, ora questi libri fondamentali [che abbiamo] in mano la conserva e la mantiene.

Il XIX secolo: l'opposizione di sant'Atanasio di Paros e di san Nicodemo l'Aghiorita sul Monte Athos

Uno studio condotto da Philip Meyer in materia [10]

Si sono avute alcune divergenze di minore importanza a fianco dei principali punti di contrasto. Tra di esse, questa: le immagini hanno bisogno di una benedizione per essere sante e funzionare come icone? Atanasio di Paros [2] ha negato la necessità di una benedizione e ha affermato che le immagini funzionano come immagini a causa della loro somiglianza con la persona rappresentata. Nicodemo l'Aghiorita concordava [3] e faceva riferimento a Dositheos di Gerusalemme che aveva detto che la benedizione delle icone era un affare "papista" e un'innovazione.

[2] (anche nella Ekthesis già citata)

[3] Il Timone (Pedalion), s. 261, 1887, pag. 261; Dositheos, Historia peri tôn en Hierosolymois patriarcheusantôn, Bucarest, 1715, p. 658.

Atanasio di Paros [11]

Da Dionisio Tsentikopoulos:

La necessità di affermare definitivamente la verità nel tempo e nello spazio, così come la realtà della partecipazione della creazione alla grazia divina e increata di Dio riguarda anche il più piccolo dettaglio dell’attività liturgica vivificante della Chiesa. A causa di questo, sant’Atanasio di Paros ha ritenuto adeguato correggere ogni nozione che ha falsificato la teologia e il dogma della vita liturgica. Questo è il motivo per cui si scagliò contro la preghiera di benedizione delle sante icone dell’Eucologio. Sant’Atanasio riflette sulla questione teologica e dogmatica di una tale preghiera. Vede come l'esistenza stessa della preghiera ha ribaltato l'insegnamento della Chiesa.

Le icone diffondono la loro santità nella Chiesa, perché la grazia dello Spirito Santo non si limita alle persone rappresentate [i prototipi], ma si estende alle icone stesse [i tipi]. L’icona della Chiesa rappresenta la creazione trasfigurata nella Luce increata. Sant’Atanasio affermava fortemente la distinzione teologica tra l'essenza e le energie di Dio, tra l'essenza inaccessibile e le energie alle quali la creazione può partecipare. Ecco perché crediamo nella partecipazione reale alla grazia increata e luminosa di Dio. Crediamo anche che questa grazia santifica le persone rappresentate e le loro icone. Pertanto, noi riconosciamo che "una preghiera e una benedizione esterna non sono necessarie perché le icone diventino sante, sacre, e degne di venerazione in quanto è dalla loro forma e significato che esse sono santificate." Le icone sono sante senza una preghiera di benedizione in quanto rappresentano la creazione rinnovata e santificata. Il settimo Concilio Ecumenico ha reso la teologia dell'icona molto chiara di fronte alla sfida iconoclasta. (Atanasio di Paros, Ekthesis, pag. 122) Sant’Atanasio di Paro vide tracce iconoclaste nella preghiera di benedizione delle icone, e propose la dichiarazione del Concilio Ecumenico come argomento contro quella preghiera.

San Nicodemo l'Aghiorita [12]

Non è necessario ungere le icone sacre con il Miro (o crisma), né farle santificare dal vescovo con preghiere speciali [per tre motivi]:

1) Perché noi non adoriamo [sic] le icone sante perché sono state unte o perché hanno avuto preghiere dette su di loro, ma a prescindere, appena posiamo gli occhi su una santa icona, senza fermarci a esaminare la possibilità che sia stata unta o che vi sia stata detta sopra una speciale preghiera, procediamo subito a porgere loro adorazione [sic] sia a causa del nome del Santo e in ragione della somiglianza che porta all’originale. Ecco perché nell’atto 6 del presente Concilio, il Concilio degli iconomachi nel regno di Copronimuo ha denigrato le sante icone, affermando che il nome delle immagini non ha avuto alcuna preghiera sacra che lo ha santificato, in modo che da ciò che è comune, potessero essere trasferite a ciò che è santo, ma che, al contrario, essa (vale a dire, l’immagine) rimane comune e disonorevole (cioè non ha diritto di essere onorata), proprio come il pittore l’ha fatta. Per queste accuse, il santo Settimo Concilio rispose attraverso il diacono Epifanio, affermando di non avere detto che una preghiera speciale è detta sopra le icone, ma ha detto che, come molti altri oggetti sacri, non erano in grado di ricevere (beneficio) da una preghiera speciale, ma, al contrario, per il loro stesso nome sono piene di grazia e di santità, nello stesso modo in cui la forma della Croce è vivificante, e ha il diritto alla venerazione e all’adorazione [sic] in mezzo a noi, nonostante il fatto che essa non abbia avuto alcuna speciale preghiera detta su di esso, e crediamo che con la sua sola forma acquisti la santità, e l'adorazione [sic] che le tributiamo, e il suo segno che tracciamo sulla nostra fronte: e il suo sigillo che è fatto in aria con il dito (si noti che in quel tempo il segno della croce non era fatto con tre dita, come lo è oggi, ma con un dito solo, cosa che infatti è riportata da san Giovanni Crisostomo in uno dei suoi discorsi: e si veda riguardo a questo la nota al canone XCI di Basilio), nella speranza di scacciare i demoni. Allo stesso modo in cui abbiamo molti vasi sacri, e li baciamo e li veneriamo piamente, e speriamo di ricevere da loro santità, nonostante il fatto che essi non abbiano avuto particolari preghiere dette su di loro, in modo simile, baciando e venerando e offrendo un’adorazione d’onore [sic?] a una santa icona che non ha avuto particolari preghiere dette sopra di essa riceviamo santità, e siamo analogicamente elevati e trasportati all'onore della persona originale attraverso il nome dell’icona. Ma se gli iconomachi non possono affermare che i vasi sacri sono disonorevoli e comuni a causa del fatto che non hanno avuto alcuna preghiera speciale detta su di loro allo scopo della loro santificazione, ma sono proprio come il tessitore, il pittore e l'orafo li hanno finiti, eppure li considerano sacri e preziosi, allo stesso modo essi dovrebbero considerare le venerate icone come sante e preziose e sacre, anche se non hanno avuto particolari preghiere dette su di loro per santificarle.

2) Le sante icone non hanno bisogno di preghiere speciali o di qualsiasi applicazione di Miro (o crisma) perché, secondo Dositeo (pag. 658 del Dodecabiblus), sono solo i papisti (o cattolici romani) che commettono l'iniquità di qualificare le immagini con alcune preghiere e devozioni. Essi si vantano che il Papa produce immagini con cera pura, olio santo, e acqua di santificazione, e che egli legge meravigliose preghiere su di loro, e che a causa di queste caratteristiche speciali queste immagini fanno miracoli (proprio come mentendo affermano che Leone III ha inviato una simile immagine a re Carlo di Francia, e lui l’ha riverita: e che Papa Urbano inviato un'altra immagine a Giovanni Paleologo, e questo è stato onorato con una litania nella Chiesa), vedete che la preghiera che si legge sopra le sante immagini è un affare papale, e non ortodosso: e che è un affare moderno, e non antico? Per questo motivo, nessuna preghiera di questo genere si può trovare in qualsiasi parte degli antici Eucologi manoscritti. Infatti, abbiamo notato che questa preghiera non si trova nemmeno negli Eucologi stampati appena un centinaio di anni fa!

3) È evidente che le sante icone non hanno bisogno di alcuna preghiera speciale o applicazione di Miro (cioè olio santo), perché le immagini dipinte sui muri delle chiese, e sulle loro navate e nei loro vestiboli, e, in generale, nelle strade e sulle porte, e sui vasi sacri... non sono mai unte con Miro e mai nessuna preghiera speciale è detta su di loro, eppure, nonostante questo, è tributata loro l’adorazione [sic] e sono onorate da tutti a causa della somiglianza che portano agli originali. Ecco perché l’erudito vescovo della Campania, Kyr [Signore] Teofilo il Santo non ha nascosto la verità, ma ha dichiarato nel libro che ha recentemente prodotto che le icone sacre non hanno bisogno di alcuna unzione con il crisma, né la recitazione di alcuna speciale preghiera da parte di un vescovo.

Analisi delle preghiere di benedizione

I testi slavonici [13]

Esaminiamo in primo luogo tutte le preghiere introdotte dal metropolita Pietro Moghila nel suo Eucologio / Trebnik nel 1646. Ci sono cinque servizi brevi per la benedizione delle icone:

La Santa Trinità: i tre angeli (Ospitalità di Abramo), la Teofania, la Trasfigurazione, e la discesa dello Spirito Santo;

Cristo e le feste del Salvatore;

La Madre di Dio;

I santi;

Varie icone disposte insieme.

Prima di tutto, si noti il ​​numero di categorie, cinque; perché moltiplicare il numero dei servizi separati, soprattutto quando l'ultimo servizio di benedizione unisce tutte le categorie? Ovviamente il metropolita ha pensato che fosse una buona cosa avere cinque servizi di benedizione. Anche se aveva inclinazione verso le cose latine, il cattolicesimo romano era a quel tempo il grande avversario dell'Ortodossia, e mi chiedo se non volesse impressionare i cattolici, così come gli ortodossi, con il numero di preghiere. Sentendosi in realtà inferiore ai cattolici latini, ha probabilmente voluto suonare il corno ortodosso per dimostrare la superiorità dell’Ortodossia: "Vedete, voi cattolici, che pensate di essere così superiori, noi ortodossi abbiamo cinque servizi per la benedizione delle icone" Questa, tuttavia, è solo una mia ipotesi.

La struttura di ciascun servizio è la stessa. Le differenze tra di loro si trovano nei riferimenti alla Bibbia e alla storia della Chiesa, riferimenti che cambiano con le varie categorie di icone: per esempio, il canto del tropario della Teofania per un'icona del Battesimo di Cristo, la menzione della storia del re Abgar per un'icona di Cristo, ecc. Ecco la struttura dei servizi:

Una benedizione iniziale: "Benedetto il nostro Dio ...", preghiere iniziali e un salmo adeguato alla categoria dell’icona;

Una grande preghiera di benedizione (quasi un’anafora),

La commemorazione della manifestazione nella Bibbia o nella storia della Chiesa che è alla base dell'icona,

La prima epiclesi che chiede al Signore di benedire l'icona,

Un’ecfonesi;

Una seconda epiclesi per la benedizione;

L’aspersione con l'acqua benedetta;

Il tropario o inno dell'icona o della festa;

Il congedo.

Diamo ora uno sguardo più da vicino alle parti significative della benedizione: abbiamo qui una vera e propria invocazione, un’epiclesi, perché il Signore agisca e benedica le immagini. È interessante notare che l'epiclesi è fedele alla tradizione ortodossa che vede ogni benedizione come una invocazione che chiede che la grazia di Dio, lo Spirito Santo, discenda non solo su un oggetto particolare, ma anche e prima di tutto, su di "noi", i fedeli che si accingono alla preghiera davanti all'immagine. L'esempio più evidente di tale epiclesi è quella nella liturgia eucaristica.

Nella prima epiclesi, sentiamo petizioni come la seguente:

…ti chiediamo e ti preghiamo, invia con misericordia su di noi la tua benedizione e, nel tuo nome tre volte santo, benedicila e santificala… Posa il tuo sguardo, con bontà, su di noi e su questa icona [oppure su queste icone], …invia su di essa [su di esse] la tua benedizione celeste e la grazia del santissimo Spirito, benedicila[e] e santificala[e].

La seconda epiclesi:

…ascolta, Signore Dio mio, dalla tua santa dimora e dal trono della gloria del tuo regno e manda con misericordia la tua santa benedizione su questa(e) icona(e). Nell'aspersione di quest'acqua benedicila(e) e santificala(e)…

L'aspersione con l'acqua benedetta:

Questa icona è santificata per la grazia del santissimo Spirito e per l'aspersione di quest'acqua santa, nel nome del Padre e del Figlio e del santo Spirito. Amen.

La preghiera greca

La prima cosa che notiamo è che la preghiera greca è molto più breve, solo una semplice preghiera. Ecco la sua struttura:

Istruzione al vescovo (pontifex / archiereus) per ungere l'icona sui suoi quattro lati;

Un breve riferimento e commemorazione di Mosè e dei cherubini;

Epiclesi per la grazia dello Spirito Santo, perché discenda così come un angelo sull’icona "in modo che ogni preghiera offerta a te attraverso questa icona sia accettata...";

Ecfonesi.

È molto importante sottolineare la nota aggiunta, presumo, dal redattore greco ortodosso dell'Eucologio. (si veda il testo sopra.) Egli ammette che la pratica della benedizione delle icone è una novità, ma attribuisce la mancanza di preghiere di benedizione alla "troppa negligenza" nel passato. L'editore sembra felice di aver "eliminato" il problema aggiungendo la preghiera. Ovviamente trae parte della sua ispirazione da tre testi cattolici, e si sente - leggendo tra le righe - sollevato ora che i greci ortodossi fanno come i cattolici romani. Non solo ha preso un modello cattolico, ma giudica anche la tradizione ortodossa di non benedire le icone come una "negligenza". Ciò in cui la preghiera greca manca in lunghezza e in sviluppo in relazione ai testi slavi, essa, e la sua nota, lo compensano con la loro chiarezza circa il motivo per cui la preghiera è stata introdotta in un Eucologio greco. Ho il sospetto, però, senza una conferma diretta, che il metropolita Pietro Moghila avesse la stessa ragione. Il Grande Fratello di Roma benedice le immagini, mentre i poveri ortodossi non lo fanno. Un segno evidente che gli ortodossi devono abbandonare la propria tradizione e adottare una nuova pratica, e una teologia che la giustifica, entrambe provenienti da una fonte diversa da quella dei concili e dei padri della Chiesa.

Un confronto tra i testi slavonici e greci presenta le seguenti similitudini e differenze.

I TESTI SLAVONICI

LA PREGHIERA GRECA

1. testi molto lunghi e sviluppati, diverse categorie di icone

1. breve, semplice testo, una preghiera per tutte le icone

2. pubblicati in lingua slava, 1649, Kiev

2. pubblicata in greco, 1730, Venezia

3. un sacerdote o un vescovo benedice

3. un vescovo benedice

4. epiclesi, invocazione dello Spirito Santo, sul popolo e sull'icona

4. epiclesi, invocazione dello Spirito Santo, sulla sola icona

5. nessuna richiesta di un angelo da inviare sull'icona

5. petizione per un angelo da inviare sull'icona

6. aspersione con acqua santa

6. unzione con Myron

7. nessuna spiegazione per l'innovazione della benedizione delle icone

7. la nota del redattore spiega la ragione per la nuova pratica della benedizione delle icone

8. teologia della benedizione: trasferire un oggetto profano al dominio sacro

8. teologia della benedizione: trasferire un oggetto profano al dominio sacro

9. una teologia sviluppata della sacralizzazione; ragione per la benedizione: ottenere per i fedeli che pregano davanti all'icona a) la misericordia, la grazia, la liberazione dal male e dall’afflizione, la remissione dei peccati, b) dotare l'icona del potere di guarigione per mantenere lontano il diavolo e ogni male, e farne una fonte di guarigione, liberazione e protezione.

9. una teologia non sviluppata di sacralizzazione; ragione per la benedizione: che le preghiere dei fedeli davanti all'icona siano ascoltate

10. servizi complessi, ben strutturati

10. preghiera semplice

11. i servizi si trovano tra le altre preghiere e servizi di benedizione: per gli animali, campi giovanili, feste della madri, paramenti sacerdotali, vasi sacri, e le campane

11. la preghiera è situata tra la benedizione del diskos (patena) e un servizio di preghiera generale (Moleben)

Qual è la teologia espressa nelle preghiere di benedizione delle icone? Prima di tutto, le formule di benedizione, nonché l'aspersione con l'acqua benedetta e l'unzione con il sacro crisma sono quasi le stesse rispetto a quelle utilizzate per benedire gli altri oggetti utilizzati nella Chiesa: campane, paramenti, frutta, ecc. Le icone quindi sono poste nella categoria degli oggetti realizzati da artisti e artigiani e offerti per il servizio di Dio e la sua gloria. E per iniziare il servizio, si recita una preghiera di benedizione.

Ed ecco allora la domanda cruciale: le icone sono nella categoria generale di oggetti che usiamo nella Chiesa, o sono piuttosto in una categoria a parte perché portano la somiglianza e il nome di Cristo o dei santi, due cose che gli altri oggetti non hanno? Sembra che le preghiere stesse, l'aspersione o unzione suppongono che un’immagine di Cristo o dei santi è appunto come gli altri oggetti della Chiesa, ed è con la benedizione, aspersione o unzione, che tali immagini diventano icone degne di essere utilizzate nella Chiesa, o almeno, diventano icone "migliori". Con la preghiera e l'azione del sacerdote, un’immagine non santificata, forse profana, passa nella categoria di "icone sacre." E questo non è appunto ciò che hanno detto gli iconoclasti, in modo leggermente più negativo? "Le immagini Sacre sono falsamente chiamati sacre, perché non c'è la preghiera di benedizione per trasferirle dalla categoria del profano alla categoria del sacro."

Una nota in calce

Recentemente mi sono imbattuto in una piccola pubblicazione per la benedizione delle icone [14]. Madre Thekla non è tanto l'autrice del libretto, quanto la traduttrice, ma fa precedere il testo delle preghiere di benedizione del metropolita Pietro Moghila da un piccolo paragrafo che è degno di nota. Divido il suo testo in due sezioni: la prima, abbastanza buona e la seconda, meno. Alla luce di quanto detto finora, penso che il lettore vedrà perché dico questo.

Prefazione

Questo tentativo di traduzione delle preghiere per la benedizione delle icone dal Trebnik russo [in realtà i testi del metropolita Moghila] è destinato principalmente a rendere più generalmente conosciuto il significato teologico [15] della composizione e della venerazione delle nostre icone. Le preghiere in primo luogo situano saldamente la venerazione delle icone all'interno del culto della Chiesa perché ne formino parte integrante all'interno dell'intero tessuto dell'Ortodossia: una confessione di fede, la pienezza della riverenza data alle icone, sia nel fare che nel pregare, non può essere isolata da tutto il contesto della fede poiché, come indicano le preghiere di benedizione, [la venerazione] sorge dalla stessa fonte teologica comune al nostro culto liturgico; può essere una corrente tra le altre, ma l'acqua è comune a tutto e sgorga dalla singola fonte della Chiesa Una.

Fin qui tutto bene. Ma poi (enfasi aggiunta):

Così, fin dall'inizio, per un vero apprezzamento dell’icona, non è alla composizione che ci dobbiamo rivolgere, né all'atteggiamento di coloro che la riveriscono, né addirittura alla devozione personale, ma alle preghiere iniziali della sua benedizione che la rendono quello che è. È in queste preghiere che c’è il prologo, in effetti l'idea, della teologia: nel fatto stesso dell’istituzione di una benedizione liturgica, e nella dottrina del testo.

In altre parole, secondo Madre Thekla, per capire correttamente le icone non dovremmo essere molto preoccupati della "composizione", vale a dire, ciò che vi è effettivamente dipinto, se è canonico o no, perfino se è eretico o no, né dovremmo dare troppa attenzione all’"atteggiamento di coloro che le riveriscono", cioè, se essi stessi - laici e clero - capiscono che cosa è una icona, se in realtà hanno un atteggiamento superstizioso o, nel peggiore dei casi, idolatrico verso le icone, e infine non dobbiamo preoccuparci molto della "devozione personale" delle persone, delle loro pratiche, cioè, di come usano le icone. Ciò che è essenziale per apprezzare correttamente le icone della Chiesa è capire le preghiere di benedizione, perché esse rendono l'icona quello che è. Possiamo dedurre solo che qualunque cosa l’"icona" sia stata prima delle preghiere di benedizione non era un'icona, e attraverso la preghiera, la "non-icona" è diventata un'icona. Non è forse proprio ciò che hanno detto gli iconoclasti: un quadro comune non è santo né si può propriamente definire icona perché non c'è una preghiera di benedizione per trasformarlo in una santa icona? Sotto un tale attacco, i Padri del Concilio niceno II non si sono sentiti in alcun modo obbligati a creare tali preghiere in quanto la loro comprensione di ciò che rende l'immagine una santa icona non aveva nulla a che fare con tali preghiere. Non è strano quindi che, dal momento che le preghiere di benedizione non sono esistite per 1500 anni di storia della Chiesa, essendo state composta solo a partire dal 1649, possiamo dedurre ulteriormente, se Madre Thekla ha ragione, che i cristiani ortodossi, e la Chiesa stessa, non hanno veramente apprezzato ciò che è l'icona per tutto quel tempo, perché non solo non c'erano preghiere di benedizione, ma anche perché i padri consapevolmente si rifiutarono di crearne. Erano ovviamente "negligenti", come ha effettivamente detto l'editore dell'Eucologio greco. Spero di aver dimostrato che i Padri e la Chiesa non sono stati negligenti nel loro apprezzamento di ciò che sono davvero le icone. Sono infatti il metropolita Moghila e l'editore dell’Eucologio greco, così come quelli che condividono il loro pensiero, che non apprezzano veramente ciò che è un'icona. Pace, Madre Thekla.

Conclusione

Quindi, se la mia analisi è corretta, dobbiamo semplicemente riconoscere un fenomeno molto bizzarro: una pratica e una teologia che la giustifica, entrambe ampiamente accettate tra i cristiani ortodossi e "ufficializzate" da parte di servizi negli eucologi / trebniki, sono di fatto contrarie alla tradizione della Chiesa ortodossa come espressa dal settimo Concilio ecumenico, così come alla pratica universale della Chiesa fino al 1649. Anche se alcuni hanno protestato contro questa situazione, le loro proteste non sono stati sufficienti per riallineare la pratica e il pensiero dei fedeli e dei chierici ortodossi circa la benedizione delle icone. Questa situazione è sorprendente? Tragico sì, ma sorprendente? No.

Rispondo "no" quando prendo in considerazione il fatto che l'introduzione delle preghiere di benedizione delle icone coincide con la decadenza dell’iconografia. Dal XVII secolo, le immagini, tra gli ortodossi, hanno cominciato a discostarsi dalla tradizione canonica. Allora perché dovremmo essere sorpresi se la teologia di alcuni e le preghiere di molti hanno fatto lo stesso? Dal punto di vista dello storico dell'arte, questa situazione è solo un fenomeno in più da riconoscere e da studiare, niente di più. Ma, per i cristiani ortodossi, l’iconografia della Chiesa non deve mai essere studiata al di fuori della Tradizione che le ha dato la vita, come fanno gli storici dell'arte. Noi ortodossi dobbiamo affrontare il tema all'interno della Tradizione, come un’espressione della nostra fede - e anche meglio, come espressione della fede della Chiesa, punto. Gli storici dell'arte - anche quelli sovietici - hanno fatto notevoli studi sulle icone, e siamo enormemente in debito con loro per le loro opere. Quanto più possiamo imparare, tanto meglio, qualunque sia la fonte, ma per la storia dell'arte, come per gli studi religiosi in contrasto con la teologia, i ricercatori studiano il loro oggetto di studio come qualcosa di staccato da sé; lo esaminano "scientificamente", "oggettivamente", con "freddezza". La storia dell'arte non può mai studiare le icone come un fenomeno teologico, vale a dire, come una manifestazione, una rivelazione di Cristo nella sua Chiesa. Ma alla fine, è proprio questo il nostro punto di vista. Pertanto, può essere solo catastrofico quando la tradizione iconografica della Chiesa Ortodossa si allontana dalle proprie fonti; può essere solo un inquinamento di quella tradizione e della rivelazione stessa. Ma, come abbiamo visto, ci sono state voci che gridano nel deserto.

Se è vero che viviamo nella piena fioritura di una rinascita delle icone tradizionali e canoniche, nonostante l'opposizione stessa di alcuni ortodossi, non possiamo limitarci al solo aspetto visibile della tradizione, vale a dire, alle icone in sé, ma dobbiamo esaminare tutti gli elementi che circondano la tradizione iconografica. Questo è il motivo per cui voglio attirare l'attenzione su un fenomeno che, dal mio punto di vista, non è in accordo con la tradizione più pura della Chiesa; cerco di invitare i fedeli e il clero a una maggiore vigilanza. Se tutti gli ortodossi sono d'accordo che è sempre necessario difendere la Santa Tradizione contro le influenze corruttrici, allora dobbiamo fare in modo che ciò che noi difendiamo sia infatti parte di quella tradizione.

Quanto a una cerimonia di dedicazione per mettere un timbro di approvazione su un'icona e per iniziare la sua venerazione ufficiale e ricezione pubblica, perché non chiediamo a un liturgista di preparare un servizio di dedicazione che definirà la teologia dell'icona così come si trova nelle lunghe preghiere dei servizi slavonici? Questo servizio di dedicazione pubblica potrebbe includere una processione dell'icona al termine del quale questa si pone su un leggio al centro della chiesa. Poi, forse, una litania per tutti quelli connessi con la pittura delle icone, con una invocazione dello Spirito Santo su tutti coloro che la venereranno. Dopo di che, il clero ed i fedeli la possono venerare pubblicamente per la prima volta. Infine, il sacerdote può benedire i fedeli con l'icona, come fa con il libro del Vangelo. Tale cerimonia avrebbe il vantaggio di mostrare l'approvazione della Chiesa e la ricezione di una nuova icona, evitando il concetto enunciato dagli attuali servizi, ovvero che per mezzo di preghiere e ministeri sacerdotali, un dipinto non santificato diventa una santa icona.

Ho preparato tali servizi in inglese, sulla base di traduzioni dall’Eucologio in francese e in inglese, e ve li presento qui, in formato PDF.

Note

[1] II Concilio di Nicea, Mansi XIII, Icon and Logos: Sources in Eighth-Century Iconoclasm, Daniel Sahas, Toronto, Ontario, University of Toronto Press, 1986.

[2] Mansi XIII, 269E-272A, Sahas., P. 99.

[3] Mansi 344B, Sahas, pag. 159.

[4] La Vie d'Étienne le Jeune par Étienne Le Diacre, Marie-France Auzepy, Aldershot, Hampshire UK, Variorum Ashgate Publishing Limited, 1997, pp 253-254. Nostra traduzione.

[5] Niceforo di Costantinopoli, Discours contre les iconoclastes, Nicéphore de Constantinople, Marie-José Mondzain-Baudinet, trad., Paris, Éditions Klincksieck, III, 54, 1989, pp 259-260.

[6] Storia dei Patriarchi di Gerusalemme, Bucarest, 1715 (nove anni dopo la morte di Dositeo), pp 658-659.

[7] Actes du VIe congrès international d’études byzantines, tome II, Paris, École des Hautes études à la Sorbonne, "Images de saints d’après la théologie byzantine", L.-H. Grondijs, 1951, pp. 168-169.

[8] Il testo greco: "Hé tôn eikonôn onomasia ouk echei euchén hagiazousan autén, hin’ek toutou pros to hagion ek koinou metenechthé, alla menei koiné kai atimos hôs apértisen autén ho zôgraphos". Suggerimento di traduzione: Il fatto di dare il nome [di immagine] alle immagini non dipende da una preghiera di benedizione per trasferirle dal comune [profano] al sacro, senza la quale preghiera rimarrebbero comuni [profane] e non onorevoli [degne di onore e venerazione] come l'artista le ha fatte [create, prodotte]. Un altro suggerimento di traduzione: non è a causa di una preghiera di benedizione che l'immagine si chiama immagine, una preghiera la trasferirebbe da ciò che è comune a ciò che è sacro, e senza quella preghiera, essa rimarrebbe comune e non degna di venerazione, come l'artista l'ha creata.

[9] Euchologe selon le Rituel des Grecs 2, J. Goar, éd., Venezia, 1730, pag. 672. La presente traduzione inglese, fatta eccezione per la "Nota nell'Eucologio", che è dell'autore, viene dal Byzantine Melkite Euchologion pubblicato dall'eparchia di Newton (Nostra Signora dell'Annunciazione), Roslindale, Massachusetts. http://www.mliles.com/melkite/ikonbless.shtml

[10] Meyer Philip, "Lehrstreitigkeiten im achtzehnten Jahrhundert (VGL. Urkunde XIX)", Die Haupturkunden für die Geschichte der Athosklöster, 1894 ReprintAmsterdam, 1965, p. 79. ("Des différents savants du XVIIIe siècle (voir document XIX)", Les documents importants pour l'histoire du Mont-Athos).

[11] Atanasio di Paros, Ekthesis, eitouv homologia tés aléthous kai orthodoksou pisteôs genomené hypo tôn adikôs diabléthentôn hôs kainotomôn, (ekd. Theodôrétou hierom.) Pp, 122-123, citato in Dionisio Tsentikopoulos, "Basikes kateuthynseis Tés didaskalias tou hagiou Athanasiou tou Pariou", Agios Athanasios ho Parios, Paros, Grecia, 2000, pp 134-135.

[12] St. Nicodemos of the Holy Mountain on the blessing of icons, the Pedalion, "On the 7th Holy Ecumenical Council: Prolegoumena", The Rudder, Chicago, Illinois, The Orthodox Christian Education Society, 1957, pp 419-420 .

[13] The Great Book of Needs, vol II, A Monk of St. Tikhon’s Monastery, South Canaan, PA, St. Tikhon’s Press, 1987, pp. 210‑233.

[14] Mother Thekla, The Blessing of Ikons, Minneapolis MN, Light and Life Publishing Company, no date given, p. 1.

[15] Riteniamo che madre Thekla sia perfettamente in grado di esprimere il proprio pensiero, ma mi chiedo se non c'è qualcosa che manca in questa frase. La frase non sarebbe più chiara se si aggiungessero le parole "delle preghiere"?

 
Una domanda sulle onorificenze dei preti ortodossi

Nella sezione "Domande e risposte" dei documenti, presentiamo un'esauriente risposta del nostro confratello, l'arciprete Andrew Phillips, alla domanda sul complesso sistema di onorificenze dei preti della Chiesa ortodossa russa.

 
106

Foto 106

 
106

Foto 106

 
"I fondamenti della concezione sociale"

Documento del Concilio Giubilare dei Vescovi della Chiesa Ortodossa Russa

Mosca 13-16 agosto 2000

Il presente documento, approvato dal santo Sinodo dei vescovi della Chiesa ortodossa russa, espone i principi fondamentali della sua dottrina sulle questioni dei rapporti tra stato e Chiesa e su una serie di problemi attuali di rilevanza sociale. Questo documento, inoltre, riflette la posizione ufficiale del Patriarcato di Mosca per quanto riguarda i rapporti con lo stato e con la società civile. Oltre a ciò, esso stabilisce una serie di linee guida adottate in questo campo dall'episcopato, dal clero e dai laici.

Il carattere del documento è determinato dalle esigenze riscontrate dalla Chiesa ortodossa russa nel corso di un lungo periodo storico sia nel territorio canonico del Patriarcato di Mosca che fuori di esso. Per questo i suoi temi basilari sono le questioni teologiche fondamentali e le questioni socio-ecclesiali, così come quegli aspetti della vita dello stato e della società che sono stati e rimangono ugualmente attuali per tutta la comunità ecclesiale alla fine del XX secolo e nel futuro immediato.

I Fondamenti di dottrina sociale della Chiesa ortodossa russa intendono servire da guida per le istituzioni sinodali, le diocesi, i monasteri, le parrocchie e le altre istituzioni ecclesiastiche canoniche nei loro rapporti con il potere statale, con varie associazioni ed organizzazioni laiche e con i mass media non controllati dalla Chiesa. L'autorità ecclesiastica si avvarrà del presente documento per assumere decisioni su diversi problemi la cui attualità è circoscritta a singoli stati o ad un ristretto periodo di tempo e che costituiscono oggetto piuttosto particolare d'indagine. Il documento sarà incluso nel curriculum delle scuole teologiche del Patriarcato di Mosca. I Fondamenti di dottrina sociale della Chiesa potranno essere sviluppati e migliorati tenendo conto dei cambiamenti che interverranno nella vita pubblica e sociale e con l’emergere di nuovi problemi significativi per la Chiesa in questo campo. I risultati di questo processo saranno verificati dal santo Sinodo e dai Concili locali ed episcopali.


La versione italiana del documento è stata condotta dalla redazione della rivista Il Regno sull'originale russo e rivista sulla versione inglese diffuse dal Patriarcato di Mosca. I sottotitoli sono redazionali. E' stata pubblicata come supplemento al n. 1 de Il Regno dell'1 gennaio 2001, anche grazie al contributo della Commissione per l'ecumenismo della diocesi cattolica romana di Trento. La diffusione sul nostro sito è stata gentilmente autorizzata dal Centro Editoriale Dehoniano, editore de Il Regno.

 

Visita il sito Visita il sito

Indice - Index

I. Principi teologici fondamentali

La Chiesa comunità di credenti
La Chiesa corpo di Cristo
La Chiesa servizio a Dio e agli uomini
La predicazione e le opere buone

 

II. Chiesa e nazione

Il carattere universale della Chiesa
Il principio della patria terrena
Il patriottismo del cristiano ortodosso
Le distorsioni del sentimento nazionale

 

III. Chiesa e stato

I rapporti con lo stato
La necessità dello stato per arginare il male
Chiesa e stato, finalità diverse
La forma ideale del rapporto Chiesa-stato nella tradizione ortodossa
Mezzi diversi per finalità diverse
Il principio della libertà di coscienza
«Religiosità» delle forme di governo
La cooperazione tra Chiesa e stato
Potere legislativo, esecutivo e giudiziario
Livello nazionale, regionale e locale
Gli ecclesiastici e l’amministrazione statale

 

IV. Etica cristiana e diritto laico

Le leggi divine
Il diritto
La legge umana e i precetti divini
Origine religiosa del diritto
Il diritto canonico
La concezione dei diritti umani
I diritti dell’uomo nella secolarizzazione
L’ordinamento giuridico in Russia
Il cristiano e la legge dello stato

 

V. Chiesa e politica

La competizione democratica
La partecipazione della Chiesa alla politica
La partecipazione dei laici ortodossi alla politica
La posizione distinta di laici e gerarchia

 

VI. Il lavoro e i suoi frutti

L’uomo co-creatore
Il riposo
Le seduzioni della civiltà
Le finalità morali del lavoro
I mestieri
Equa distribuzione dei beni

 

VII. La proprietà

La Chiesa e i beni materiali
La ricchiezza
Le diverse forme di proprietà
Le proprietà della Chiesa

 

VIII. La guerra e la pace

Le guerre nel mondo
I cristiani e le azioni belliche
I limiti morali nella guerra
L’assistenza alle forze armate
La pace dono di Dio

 

IX. Criminalità, punizione, correzione

I concetti di peccato e di reato
La prevenzione della criminalità
La giusta punizione
L’apporto della Chiesa

 

X. Problemi di morale individuale, familiare e sociale

I rapporti matrimoniali
Il matrimonio nella storia e nella tradizione
L’indissolublità del matrimonio
Chiesa domestica
Dignità e vocazione della donna

 

XI. La salute individuale e sociale.

La cura delle malattie
L’attività della Chiesa nel settore della sanità
La concezione della medicina
La crisi demografica
La corruzione umana prodotta dal peccato e le malattie mentali
Il vizio dell’alcolismo e la piaga della tossicodipendenza

 

XII. Problemi di bioetica

La preoccupazione della Chiesa
L’aborto
La contraccezione
La riproduzione assistita
La medicina genetica
La clonazione
I trapianti di organi e tessuti
L’eutanasia
I rapporti omosessuali

 

XIII. La Chiesa e i problemi ecologici

La crisi ecologica
Le conseguenze del peccato
Un’etica ecologica
Il principio dell'unità e integrità della creazione
La necessaria rinascita spirituale

 

XIV. Laicità della Scienza, della cultura, dell’educazione laiche

Riannodare il legame tra sapere scientifico e valori religiosi, spirituali e morali
La cultura come compito assegnato da Dio
L’educazione laica

 

XV. La Chiesa e i mass media

Il compito dell’informazione
La collaborazione della Chiesa con i mezzi di comunicazione
I possibili conflitti

 

XVI. Relazioni internazionali - I problemi della globalizzazione e del secolarismo

I rapporti tra i popoli
Il fenomeno della globalizzazione giuridica e politica
La dimensione economica della globalizzazione
La secolarizzazione

 
106

Foto 106

 
L’Ortodossia e Halloween: come separare i fatti dalla finzione

“L’uomo non deve essere sconvolto per le bestemmie del diavolo, ma solo per i suoi peccati personali, e sperare nella misericordia infinita di Dio, perché dove la speranza in Dio è assente, è presente la coda del diavolo.”

– Anziano Paisios l’Athonita

 

 

Qui di seguito ci sono alcune citazioni di vari siti web cristiani ortodossi riguardo al “panico satanico” su Halloween, anche se tutti più o meno dicono la stessa cosa e offrono le stesse informazioni distorte:

Dal sito della Cattedrale ortodossa russa di San Giovanni Battista:

“I cristiani ortodossi non possono partecipare a questo evento, a qualsiasi livello.”

“Halloween ha le sue radici nel paganesimo, e continua come una forma di culto idolatra di Satana, l’angelo della morte.”

“Il cristiano ortodosso deve capire che la partecipazione a queste pratiche, a qualsiasi livello, è un tradimento idolatra del nostro Dio e della nostra Santa Fede. Se infatti imitiamo i morti travestendoci o vagando nel buio, o chiedendo elemosine, allora abbiamo volutamente cercato la comunione con i morti, il cui Signore non è un Samhain celtico, ma è Satana il Maligno, che si erge contro Dio. Inoltre, se ci prestiamo al dialogo di “dolcetto o scherzetto”, la nostra offerta va a bambini innocenti, ma piuttosto a Samhain, il Signore della Morte che essi sono venuti a servire come imitatori dei morti, vagando nell’oscurità.”

“La festa di Halloween è la notte appropriata per la stregoneria, la chiromanzia, la divinazione, i giochi d’azzardo, il culto di Satana e la stregoneria del tardo Medioevo.”

Dal sito OrthodoxChristian.info:

“Fate attenzione: Halloween non è ciò che sembra! Le sue manifestazioni apparentemente innocenti rappresentano il ricordo di una celebrazione antica profondamente radicata nel paganesimo e nella demonologia e continua ad essere una forma di idolatria, in cui si venera Satana, l’angelo della morte!”.

“Da un punto di vista cristiano ortodosso, la partecipazione a queste pratiche a qualsiasi livello è idolatra, ed è un vero e proprio tradimento del nostro Dio e della nostra Santa Fede. Farlo travestendosi e andando in giro equivale a cercare volontariamente la comunione con i ‘morti’ il cui Signore è anche conosciuto come Satana, il Maligno, che si erge contro Dio. Oppure, partecipare sottomettendosi al dialogo di ‘dolcetto o scherzetto’ significa fare un’offerta, non a bambini innocenti, ma al signore della morte, che inconsapevolmente servono come rappresentanti dei ‘morti’. “

“Anche se Halloween fosse un divertimento buono, pulito, innocente, quale beneficio – spirituale, intellettuale o di altro tipo – porta a un cristiano?”

Dal sito del Centro di informazione cristiana ortodossa:

“Se partecipiamo all’attività rituale di imitare i morti e vagare nel buio chiedendo dolcetti oppure offrendoli ai bambini, abbiamo cercato volontariamente la comunione con i morti, il cui Signore non è Samhain, ma piuttosto Satana. È a Satana allora che questi scherzetti sono offerti, non ai bambini.”

“Halloween mina il fondamento stesso della Chiesa, che è stata fondata sul sangue dei martiri, che si erano rifiutati, dando la loro vita, di partecipare a qualsiasi forma di idolatria.”

 “La Santa Madre Chiesa deve prendere una posizione ferma nel contrastare ogni tipo di questi eventi (pagani). Cristo ci ha insegnato che Dio è il giudice di tutte le nostre azioni e convinzioni e che siamo o PER DIO o CONTRO DIO. Non c’è un approccio neutrale o del mezzo della strada.

Dal sito AllSaintsOfAmerica.org:

“Credo che la questione di Halloween sia un esempio di una lotta più fondamentale tra l’Ortodossia e lo spirito laico del nostro tempo.”

“Questa deve essere la nostra Ortodossia, e credervi e testimoniarla significa diventare un vero e proprio ‘folle per Cristo.’ Non è mai stato più folle di quanto lo sia oggi essere un testimone ortodosso nel mondo secolare di oggi. E’ per questa testimonianza dunque che non partecipiamo a Halloween.”

“Halloween, come viene praticata, si compiace nell’irrilevanza del male spirituale.”

Dal sito FatherAlexander.org:

“È quel momento dell’anno in cui la società secolare in cui viviamo si sta preparando per la festa di Halloween. Molti non conoscono le sue radici spirituali e la sua storia, e perché essa contraddice gli insegnamenti della Chiesa.”

“I Santi Padri del primo millennio (un tempo in cui la Chiesa era unita e rigorosamente ortodossa) contrastarono questa festa pagana celtica con l’introduzione della festa di Tutti i Santi. È da questo termine che si è sviluppato il termine Halloween... Le persone che sono rimaste pagane e quindi anti-cristiane hanno reagito al tentativo della Chiesa di soppiantare la loro festa celebrando questa sera con accresciuto fervore.”

“Anche noi abbiamo bisogno di evitare qualsiasi tipo di festa o di celebrazione di Halloween e le decorazioni nelle nostre case. Se i nostri figli frequentano scuole che tengono tali feste, non importa quale sia il giorno, essi non vi devono partecipare”.

Ok, penso che avrete colto l’idea di come molti cristiani ortodossi purtroppo vedono Halloween. La cosa spiacevole è che questi fondano le loro convinzioni su un mucchio di informazioni distorte che non hanno alcun fondamento nei fatti. Se è così, sfido chiunque a presentare le prove storiche che Halloween è davvero una antica festa pagana che era celebrata con sacrifici umani a Satana (Samhain) e che onorava i demoni con ossequi. E queste sono solo alcune delle molteplici distorsioni rese popolari negli opuscoli “cristiani” dei fondamentalisti e dell’editore miliardario Jack Chick.

Questa campagna diffamatoria contro Halloween, che è divenuto un capro espiatorio tra i cristiani come manifestazione ultima di secolarismo e satanismo nella cultura contemporanea, risale solo a tempi piuttosto moderni, quando alcuni gruppi cristiani ricorsero a ogni tipo di racconto fantastico per contrastare l’emergente contro-cultura degli anni ‘60 e ‘70 che stava corrompendo la gioventù. Da allora i leader cristiani ci hanno stretto in una serie di sensi di colpa riguardo a una festa che prima di questa reazione estrema era per la maggior parte davvero innocua come qualsiasi altra festa, e non aveva alcun legame con rituali satanici. Era una festività culturale che, anche se a volte maliziosa, in realtà non rappresentava alcuna minaccia per la società fino a quando siamo stati costretti a credere che lo abbia fatto.

Il fatto è che anche io una volta ero contrario a Halloween per motivi religiosi, convinto dalla letteratura fondamentalista che fosse la “festa del diavolo”, una cospirazione di neopagani e satanisti per corrompere i nostri giovani. Più tardi, quando ho studiato a fondo la festa, sono arrivato a conclusioni diverse. Mi sono reso conto che nell’impurità e nel male del mio cuore egoista stavo scegliendo un nemico molto più facile da combattere, piuttosto che il nemico molto più difficile all’interno, il nemico del mio ego che vede facilmente lo scandalo altrove piuttosto che nell’impurità e negli scandali del mio cuore e della mia mente.

Come bambino nato e cresciuto a Boston, Halloween era una delle mie feste preferite, come per la maggior parte dei giovani americani. Era un momento divertente e innocente per guardare le trasmissioni speciali di Halloween in TV come “È il Grande Cocomero, Charlie Brown” e magari reagire con il mio ‘spaventometro’ ad alcuni film horror leggeri, intagliare le zucche e mangiare i semi tostati, ordinare una serie supplementare di libri di scuola che raccontavano storie di questa festa, travestirsi da personaggio preferito di cartone animato preferito o della cultura pop, fare una festa di Halloween a scuola con le caramelle, colorare immagini di streghe e vampiri e fantasmi che fanno parte del folklore che circonda la festa per domare i profondi timori che i bambini provano per loro, andare a chiedere dolcetti o scherzetti per il quartiere dandoci l’unica possibilità all’anno di soddisfare realmente i nostri vicini e di ricevere un dono amichevole di caramelle, e quando tornavamo ​​a casa ci mangiavamo le nostre caramelle dopo essere stati accuratamente controllati dai genitori. Ero un bambino degli anni ‘80, e primi segnali di paura della festa, che avevano avuto inizio negli anni ’60. stavano incominciando a diffondersi. Giravano voci che vicini malintenzionati mettevano lame di rasoio nelle mele e veleno nelle caramelle per farci del male. Naturalmente, di nessuna di queste voci si trovò l’origine, e questo è stato il primo mito di Halloween, senza fondamento nella realtà, a cui sono stato esposto. Quando la gente si rese conto che nessun crimine del genere era mai stato segnalato, controllavano ancora “tanto per essere sicuri”, dato che ora i media avevano dato ai pazzi un’idea di come ottenere copertura mediatica facendo del male a un bambino il giorno di Halloween. In realtà, questo è esattamente ciò che hanno provocato queste voci in alcuni casi non troppo gravi. L’innocenza e il divertimento furono lentamente ma inesorabilmente perduti.

Quando entrai negli anni della mia adolescenza continuai ad apprezzare Halloween in gran parte con le stesse modalità, ma lentamente smisi di chiedere dolcetti o scherzetti. Mi ricordo che qualche anno fui un po’ discolo a Halloween con i miei amici, ma era soprattutto all’interno della nostra cerchia, in cui facevamo battaglie a colpi di uova e panna montata per puro divertimento. Amavo ancora molto la festa e l’atmosfera che portava alla stagione autunnale, specialmente nel bel mezzo di un autunno del New England con la realtà della morte della natura che ci circondava. Come bambino con molte paure del soprannaturale, questo era un tempo in cui questi timori erano trattati in modo divertente e spiritoso e ciò mi aiutava a riflettere in modo più profondo sulle questioni soprannaturali.

Come la maggior parte della gioventù greca in America del mio tempo, il mio coinvolgimento nella Chiesa era limitato alla domenica e alle feste ecclesiastiche dove avevo servito come chierichetto fin dall’età di sette anni e, naturalmente, ho frequentato la scuola greca due volte alla settimana per sei anni. Dato che amavo le feste come Halloween (così come Natale e Pasqua), fin dalla giovane età ho voluto conoscere la storia dietro a queste feste per celebrarle a un livello più profondo. Questa sete di conoscenza mi ha portato in giovane età a contemplare questioni più profonde rispetto alla maggior parte dei miei coetanei. In effetti, la prima volta che ho aperto la mia Bibbia è stato dopo aver visto il film horror La settima profezia del 1988, interpretato da Demi Moore. Avevo dodici anni e questo era uno dei miei primi film vietati ai più piccoli, ma quando sono tornato a casa ho guardato con ansia nella Bibbia il libro dell’Apocalisse e da quel giorno difficilmente ho smesso di leggere la mia Bibbia.

La mia prima ricerca approfondita sulle origini di Halloween è venuta da un brutto voto nel corso di scienze sociali al settimo anno di scuola. Credo di avere avuto una “B” in un test e dato che volevo mantenere la mia “A” avevo chiesto al mio insegnante qualche credito in più. Dato che era un paio di settimane prima di Halloween il mio insegnante mi ha consigliato di scrivere un documento di due pagine sulle origini di Halloween. Ero di fatto entusiasta di questo incarico e ho iniziato a studiare le origini. Dopo aver letto tutti i libri sull’argomento della mia biblioteca scolastica, nonché gli articoli dell’Encyclopedia Britannica, ho scritto la mia ricerca e ricevuto la mia “A”. Ma questa è stata anche la prima l’assegnazione scolastica che abbia mai avuto, e per cui non solo mi sono emozionato, ma ho anche imparato molto.

Quando avevo circa diciotto anni sono stato coinvolto nella pastorale giovanile della mia diocesi (ora metropolia) e mi è stato chiesto di scrivere un articolo di insegnamento ai giovani su Halloween. A questo punto ero già esposto alla letteratura protestante che esponeva i “pericoli” di Halloween ed ero un po’ in conflitto sul modo di presentare tutte queste informazioni contraddittorie che, in sostanza, avevano cominciato a confondermi riguardo alla festa. Anche se mi sentivo tutto sommato positivo nei confronti della festa, mi sono sentito obbligato a reagire negativamente perché i giovani non fossero infestati dalle “lusinghe demoniache” di Halloween. Anche se ho cercato di essere un po’ moderato nel mio approccio, la mia moderazione era più sul lato negativo, e questo ha reso la maggior parte dei giovani scettici su quello che stavo insegnando, dato che non conoscevano le mie fonti letterarie e non vedevano nulla di male nella festa. Per loro, tutto quello che stavo facendo era privarli di un divertimento innocente e di un po’ di caramelle chiamandolo “demoniaco”. Se fossi stato al posto loro, sarei stato scettico anch’io, così capii pienamente il motivo per cui non riuscivano ad accettarlo.

La confusione che provai quel giorno mi ha spinto a fare ulteriori ricerche in materia, perché mi sembrava che tutte le reazioni negative nei confronti di Halloween fossero basate su miti e propaganda. Mi sembrava che Halloween, come la cultura pop, fosse utilizzata come capro espiatorio tra i cristiani per attribuire il fallimento delle nostre chiese alle “lusinghe demoniache” della società con un evento particolare o una persona, quando in realtà sono state la superficialità e l’irragionevolezza delle chiese che per molti aspetti hanno causato i veri mali che i cristiani dovrebbero temere ed evitare. E quando ho fatto la mia ricerca, ho capito quante menzogne mi erano state dette, e ho deplorato le bugie che avevo diffuso, concentrandomi su problemi che non erano affatto problemi, e coprendo invece i veri problemi.

L’iper-religiosità e Halloween

Quando sento i cristiani di oggi condannare Halloween come una festa demoniaca pieno di riti pagani e accusare tutti partecipanti alla festa di essere in combutta con Satana, di cui non c’è dubbio che fossero alleati anche nei loro anni più giovani, mi torna subito in mente l’iper-religiosità e l’immaturità degli ebrei del tempo nostro Signore Gesù. L’iper-religiosità e immaturità si basano su una paura impropria che tende a fare affidamento sulla superstizione e sulla tradizione umana per affrontare le questioni che riguardano la nostra vita quotidiana, e in cambio qualcosa di buono o addirittura divino potrebbe essere interpretato come maligno o di origine demoniaca. Questo è ciò di cui ha parlato Gesù quando ha accusato i maestri della legge di essere guide cieche che conducono i ciechi, che chiudono le porte del Regno dei Cieli su se stessi e a loro volta non permettono a nessuno di entrare.

Sembra come se fosse nella natura degli ebrei di seguire il sentiero della superstizione e della tradizione umana contro il sentiero chiaro della saggezza e dei comandamenti di Dio. Potrebbe essere questo il motivo per cui i figli di Israele fecero forgiare un vitello d’oro ai piedi del Monte Sinai? Potrebbe anche essere questo il motivo per cui il popolo di Israele abbandonò continuamente le vie di Dio cercando a modo suo di risolvere i propri problemi in tutto l’Antico Testamento? Potrebbero questi incidenti essere anche la fonte delle reazioni estreme degli ebrei e dei dottori della legge al tempo di Gesù, quando tendevano ad aggiungere leggi alla Legge e creare superstizioni per tenere la gente in linea perché Dio non punisse la loro malvagità?

Una reazione estrema comune agli insegnanti della legge iper-religiosi era quella di vedere il diavolo dove non c’era e di non vedere il diavolo dove si trovava. Questo è il motivo per cui accusarono Gesù stesso di essere un agente di Belzebù, principe dei demoni. Tali reazioni estreme iper-religiose si riflettevano sulla gente comune e ignorante, come si vede tra i discepoli di Gesù in Matteo 14, quando videro Gesù che camminava verso la loro barca sopra l’acqua, e ciò faceva si che si chiedessero se era un fantasma, e li faceva, come dice il Vangelo, urlare di paura. Paura, immaturità, iper-religiosità, estremismo e distorsione dei fatti vanno tutti di pari passo, come ci viene spesso insegnato non solo in tutta la Sacra Scrittura, ma anche negli scritti dei Padri della Chiesa.

Anche l’Occidente medievale, soprattutto dopo il Grande Scisma, è diventato una vittima di questa iper-religiosità che scaturisce da una volontaria ignoranza arrogante. Lo vediamo soprattutto durante il tempo delle Crociate e dell’Inquisizione. Le fondamenta degli Stati Uniti si basano su tale iper-religiosità portata dall’Europa, e da questa eventi come i processi alle streghe di Salem e la necessità di separare la Chiesa dallo Stato. In realtà, è l’iper-religiosità che è alla base della laicità dei nostri giorni e non la cultura pop o Halloween. La cultura pop e cose come Halloween, infatti, può essere riflessi della laicità, ma non sono la radice di tutti i mali della società come spesso sostengono certi leader cristiani.

Le origini di Halloween

Non voglio entrare in tutti i dettagli sulle origini di Halloween, per non essere accusato di diffondere io stesso menzogne ​​e propaganda satanica. Invito tutti ad intraprendere la propria onesta ricerca sull’argomento e giudicare da se stessi quali sono le vere origini della festa e separare i fatti dalla finzione. Considerate questo scritto solo come una guida per aiutarvi a pensare un po’ più a fondo sul tema.

Ad esempio, quando leggo tutta la propaganda ignorante riguardo a Halloween, il pensiero che mi viene in mente sono le varie accuse del governo romano fatte contro i primi cristiani. Questo è ciò che Plinio aveva in mente circa nel 110 d.C., quando egli chiama il cristianesimo una “superstizione portata a estremi stravaganti”. Allo stesso modo, lo storico romano Tacito lo definiva “una superstizione mortale”, e lo storico Svetonio chiamava i cristiani “una categoria di persone dedite a una nuova e maliziosa superstizione.” In questo contesto, la parola “superstizione” ha una connotazione leggermente diversa da quella che ha oggi: per i romani, designava qualcosa di estraneo e diverso - in senso negativo. Una credenza religiosa era valida solo nella misura in cui si poteva essere dimostrato che fosse antica e in linea con le antiche usanze; i nuovi insegnamenti erano guardati con diffidenza. È per questo motivo che l’accusa di “ateismo” fu mossa contro i cristiani, e quasi ogni volta che un disastro colpiva l’Impero si accusavano i cristiani di aver scontentato gli dei con il loro ateismo. A un livello più sociale e pratico, i cristiani erano visti con diffidenza in parte a causa della natura segreta e incompresa del loro culto. Parole come “festa dell’amore” e discorsi sul “mangiare la carne di Cristo” suonavano comprensibilmente sospetti ai pagani e i cristiani erano sospettati di cannibalismo, incesto, orge, e di ogni sorta di immoralità.

Sì, questi stessi pagani romani che inventavano queste menzogne ​​contro i cristiani inventavano anche menzogne ​​contro i loro avversari a nord – tra i quali gli antichi celti. Gli storici romani notarono come si fosse fatta una campagna di propaganda contro i celti, fondamentalmente per demonizzare i nemici, in modo da conquistarli in una guerra che divenne una campagna contro il “male”. Tale demonizzazione è ancora oggi comune, quindi non ci dovrebbe sorprendere che i romani l’avessero usata contro i celti. Purtroppo, la propaganda che descrive i “riti terribili” dei druidi, dei quali la propaganda contro Halloween fornisce i dettagli, fu usata solo dai Romani durante le loro campagne, e parla di riti così scandaloso che difficilmente possono essere visti come autentici. Quindi, c’è una netta mancanza di prove storiche o archeologiche che gli antichi druidi abbiano mai sacrificato qualcuno, per esempio. Anche la zucca è una pianta del nuovo mondo che non è mai cresciuta in Europa fino ai tempi moderni, e così non poteva essere usate dai druidi per fare lanterne. Ci sono zero prove che i druidi antichi o i loro fedeli si travestissero in costumi che nascondevano l’identità o che si impegnassero in forme di elemosina rituale al momento del raccolto. I collegamenti tra queste pratiche druidiche e quelle moderne di Halloween si basano su fonti romane antiche e sulla moderna propaganda fondamentalista.

Quello che sappiamo è che i morti erano onorati dai celti, non come figure temibili, ma come spiriti viventi dei propri cari e dei guardiani che detenevano le basi della sapienza della tribù. I riti dei druidi, quali che fossero, quindi, erano interessati al contatto con gli spiriti dei defunti, che erano visti come fonti di guida e di ispirazione, piuttosto che come fonti di terrore. E, naturalmente, c’erano probabilmente divinazione e altre pratiche pagane, ma queste erano comuni in tutto il mondo precedente alla diffusione del cristianesimo e in nessun modo possono spiegare l’assoluta condanna di Halloween nei nostri tempi. Prima e dopo l’arrivo del cristianesimo, l’inizio di novembre era il periodo in cui la gente in Europa occidentale e settentrionale finiva l’ultimo dei propri raccolti, macellava gli animali in eccesso (così gli animali sopravvissuti avrebbero avuto cibo a sufficienza per sopravvivere all’inverno), e teneva grandi feste. Invitavano i loro antenati a unirsi a loro, decoravano le tombe di famiglia, e raccontavano storie di fantasmi.

Per quanto riguarda l’orribile Samhain, secondo i consulenti dell’Ontario sulla tolleranza religiosa, in un saggio intitolato Il mito di Samhain: il Dio celtico dei morti, sia i neopagani che i cristiani hanno torto su questo argomento: “Ci sono alcune prove che esistesse davvero un personaggio oscuro, poco conosciuto di nome Samain o Sawan che ha svolto un ruolo molto secondario nella mitologia celtica. Era un mortale la cui principale pretesa di fama è che Balor dall’occhio malvagio gli aveva rubato la sua mucca magica. Egli è raramente menzionato nella mitologia celtica, la sua esistenza è poco conosciuti, anche tra gli storici della civiltà celtica.” Tuttavia, “...non c’è / non c’era un dio celtico dei morti.. Il grande dio Samhain sembra essere stato inventato nel XVIII secolo, come un dio dei morti, prima che gli antichi popoli celti e la loro religione siano stati studiati da storici e archeologi.” I dizionari principali di lingue celtiche non fanno menzione di alcuna divinità dal nome “Samhain”, mentre il Dizionario etimologico McBain della lingua gaelica dice che “Samhuinn” (l’ortografia gaelica scozzese) significa “marea sacra” (o ‘tempo sacro’), e che probabilmente veniva da radici che significano “fine dell’estate,” con una possibile derivazione dall’assemblea annuale a Tara ogni 1 novembre. Il Dizionario scolastico gaelico MacFarlane lo definisce semplicemente come “Hallowtide.” In altre parole, ciò che troviamo è che Samhain era semplicemente il capodanno celtico, proprio come il 1 settembre era il capodanno ortodosso/romano.

La verità sul dolcetto o scherzetto è ben lontana dalle immagini orribili “evocate” dai fondamentalisti. Piuttosto che un antico complotto satanico per uccidere o corrompere i bambini, la tradizione americana del dolcetto o scherzetto è principalmente una consuetudine moderna inventata da comuni, consigli scolastici e genitori negli anni ‘30 per mantenere i loro figli fuori dai guai. Le grandi paure dei dolcetti avvelenati tirate fuori ogni anno e sfruttate dal signor Chick sono, tuttavia, solo un’altra leggenda metropolitana, come indicato in precedenza. Quasi ogni esempio reale di dolci esplosivi di Halloween si è rivelato essere un complotto per l’omicidio di un parente, non un atto dannoso da parte di estranei.

Secondo il saggio di Tad Tuleja, “Trick or Treat: Pre-Texts and Contexts”, nell’antologia di Jack Santino, Halloween e altre festività della morte e della vita, il moderno dolcetto o scherzetto (soprattutto i bambini che vanno porta a porta, chiedendo caramelle) iniziò in un tempo piuttosto recente, come miscela di diverse influenze antiche e moderne. In vari momenti e luoghi nel Medioevo, si svilupparono usanze di mendicanti, poi di bambini, che chiedevano “dolci dell’anima” in occasione della festa cristiana del giorno dei morti il ​​2 novembre. Questo è anche noto come “souling”. Anche in epoca medievale un tale accattonaggio porta a porta ha avuto luogo durante il periodo natalizio, come si fa ancora in paesi ortodossi contemporanei come la Grecia. Shakespeare menziona la pratica nella sua commedia I due gentiluomini di Verona (1593), quando Speed accusa il suo padrone di “piagnucolare come un mendicante a Ognissanti.” Nel 1605, il tentativo abortito di Guy Fawkes di far saltare in aria il Parlamento inglese il 5 novembre, ha portato alla creazione del “Giorno di Guy Fawkes”, celebrato con la combustione di effigi di Fawkes nei falò e con bambini che si vestivano di stracci per mendicare soldi per i fuochi d’artificio. Nel corso dei decenni, questo si intrecciò completamente con le celebrazioni e i costumi di Ognissanti. Anche verso la metà del XIX secolo a New York, i bambini chiamati “straccioni” si vestivano in costumi e chiedevano monetine agli adulti nel Giorno del Ringraziamento. Anche il vandalismo iniziò a diffondersi nel XIX secolo in America durante la stagione del Ringraziamento tra i ragazzini che facevano scherzi. Con la crescente urbanizzazione e la povertà degli anni ‘30, gli adulti cominciarono a cercare modi di controllare il vandalismo precedentemente innocuo, ma ora sempre più costoso e pericoloso dei “ragazzi”. Comuni e città iniziarono a ad organizzare eventi di Halloween “sicuri” e i padroni di casa iniziarono a distribuire regalini ai bambini del vicinato in modo da distrarli dalla loro precedente anarchia. Gli straccioni scomparvero o cambiarono il loro periodo con la data di Halloween. Tuttavia, non vi è alcuna prova che il "souling" sia mai stato praticato in Nord America, dove il dolcetto o scherzetto può essersi sviluppato indipendente da qualsiasi precedente irlandese o britannico. Ruth Edna Kelley, nella sua storia della festa del 1919, Il libro di Hallowe’en, non fa alcuna menzione di elemosina rituale nel capitolo “Hallowe’en in America.” Kelley viveva a Lynn, Massachusetts, una città con circa 4.500 immigrati irlandesi, 1.900 immigrati inglesi e 700 immigrati scozzesi nel 1920. Le migliaia di cartoline di Halloween prodotti tra la fine del ventesimo secolo e gli anni ‘20 mostrano comunemente i bambini, ma non rappresentano alcun dolcetto o scherzetto. Il dolcetto o scherzetto non sembra essere diventato una pratica diffusa fino agli anni ‘30, con le prime apparizioni del termine negli Stati Uniti nel 1934. Il termine “dolcetto o scherzetto” apparve alla fine in stampa verso il 1939!

Quando spiego queste cose alla gente, mi viene spesso chiesto: “Com’è possibile che queste cose malvagie non avvengano, se tanti predicano che è così? Da dove prenderebbero i cristiani queste idee se non fossero realtà?” La risposta breve, naturalmente, è che i predicatori sono persone e (1) tutte le persone commettono errori, (2) alcune persone sono ignoranti, e (3) altri si limitano a dire bugie per paura o per altre ragioni. Naturalmente, quando dico queste cose non sto difendendo il paganesimo, ma solo la buona vecchia e semplice onestà. Per quanto ne so i druidi possono avere sacrificato bambini o fatto altre cose orribili, ma questo non è supportato da alcuna prova e anche se lo fosse non vi è ancora alcuna prova di rapporto reale tra quelle cose e tutto quello che facciamo il giorno di Halloween, e per questo motivo la propaganda contro Halloween e la ragione umana è malsana e impropria. Se alcuni decidono che Halloween non è una festa appropriata per loro, non c’è bisogno di “portare falsa testimonianza” (vale a dire, raccontare bugie) su Halloween, Neopagani, satanisti o peraltro su qualsiasi altro argomento religioso, al fine di prendere una decisione spirituale per se stessi, o per i propri figli – le uniche persone per le quali essi possono avere il diritto di prendere questa decisione.

La cristianizzazione del mito di una festa pagana

Vi è anche il mito che i cristiani abbiano condannato le feste pagane del 31 ottobre, sostituendole con la Vigilia di tutti i Santi (All Hallows Eve), il giorno prima della festa di Tutti i Santi in Occidente. Si è spesso registrato che nell’anno 601 d.C. Papa Gregorio I emanò un editto ormai famoso ai suoi missionari riguardo alle credenze indigene e ai costumi dei popoli che sperava di convertire. Piuttosto che cercare di cancellare costumi e credenze dei popoli indigeni, il papa insegnò ai suoi missionari a utilizzarli: se un gruppo di persone adoravano un albero, invece di tagliarlo, consigliava loro di consacrarlo a Cristo e permettere di continuare la sua venerazione. Anche se questo è vero, questo editto non è probabilmente il motivo per cui il 1 novembre è diventato la festa di Tutti i Santi in Occidente.

Sia la festa di Tutti i Santi e la festa di tutti i fedeli defunti si sono sviluppate nella vita della Chiesa in modo indipendente del paganesimo e da Halloween. Affrontiamo prima la festa di Tutti i Santi. Le origini esatte di questa festa sono incerte, anche se, dopo la legalizzazione del cristianesimo nel 313 d.C., una commemorazione comune dei santi, specialmente dei martiri, apparve in varie zone in tutta la Chiesa. Per esempio, in Oriente, la città di Edessa celebrava questa festa il 13 maggio, la Siria, il venerdì dopo Pasqua, e la città di Antiochia, la prima domenica dopo la Pentecoste. Entrambi Sant’Efrem. († 373) e San Giovanni Crisostomo († 407) attestano questo giorno di festa nella loro predicazione. Anche in Occidente, una commemorazione di tutti i santi era celebrata la prima domenica dopo la Pentecoste. Il motivo principale per la creazione di un giorno di festa comune era il desiderio di onorare il grande numero di martiri, in particolare durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano (284-305), la peggiore e più ampia delle persecuzioni. Molto semplicemente, non c’erano abbastanza giorni dell’anno per un giorno di festa per ogni martire e molti di loro erano morti in gruppi. Un giorno di festa comune per tutti i Santi, quindi, sembrava più appropriato.

Nel 609, l’imperatore Foca diede il Pantheon di Roma a papa Bonifacio IV, che lo riconsacrò il 13 maggio sotto il titolo di Sancta Maria ad Martyres (o Santa Maria e tutti i martiri). Che il papa abbia scelto di proposito il 13 maggio a causa della data della celebrazione popolare già stabilita in Oriente o che si sia trattato solo di una fortunata coincidenza è una questione aperta al dibattito.

La designazione del 1 novembre come Festa di Tutti i Santi ha avuto luogo nel corso del tempo. Papa Gregorio III (731-741) ha dedicato un oratorio nell’originale Basilica di San Pietro in onore di tutti i Santi il 1 novembre, e questa data poi è divenuta la data ufficiale per la celebrazione della festa di Tutti i Santi a Roma. San Beda († 735) ha registrato la celebrazione di Tutti i Santi il ​​1 novembre in Inghilterra, e tale festa esisteva anche a Salisburgo, in Austria. Ado di Vienne († 875) racconta come Papa Gregorio IV chiese a re Luigi il Pio (778-840) a proclamare il 1 novembre come festa di Ognissanti in tutto l’Impero dei Franchi. Anche i sacramentari dei secoli IX e X pongono la festa di Tutti i Santi nel calendario liturgico il 1 novembre.

Secondo uno storico della Chiesa primitiva, Giovanni Beleth († 1165), papa Gregorio IV (827-844) aveva dichiarato ufficialmente il 1 novembre Festa di Tutti i Santi, trasferendola dal 13 maggio. Tuttavia, Sicardo da Cremona († 1215) scrisse che il Papa Gregorio VII (1073-1085), soppresse infine il 13 maggio e impose il 1 novembre come data per celebrare la festa di Tutti i Santi. In definitiva vediamo la Chiesa papale che istituisce un giorno liturgico di festa in onore dei Santi indipendentemente da qualsiasi influenza pagana. Particolari gruppi etnici hanno sviluppato una loro tradizione, che si è fusa con la celebrazione. Per questo motivo, i piccoli (e alcuni grandi) si travestono ancora con una varietà di costumi e fingono per una sera di essere fantasmi, streghe, vampiri, mostri, ninja, pirati e così via, senza alcun pensiero di paganesimo. Tuttavia, Ognissanti chiaramente nasce da una genuina devozione cristiana indipendente del paganesimo.

Conclusione

Mi chiedo oggi se il mio interesse per Halloween e le cose macabre provenga dalle mie radici nel New England. Dopo tutto, il New England ci ha dato maestri della letteratura gotica americana e dell’orrore come Edgar Allan Poe, Nathaniel Hawthorn, H. P. Lovecraft e Stephen King. La nostra storia nel New England è profondamente radicata nel folklore europeo, come è evidenziato nei processi alle streghe di Salem e di Boston e nelle storie di “vere” leggende di vampiri nel Rhode Island e nel Maine. I nostri racconti del paranormale sono diversi da quelli di qualsiasi altro luogo degli Stati Uniti, e ovunque si vada si è circondati da queste leggende. Anche se queste sono tutte cose interessanti che mi hanno reso orgoglioso di essere un cittadino del New England, penso che il mio amore per Halloween nasca un po’ più in profondità. I demoni, il male, la morte, la paura, il vizio, il dolore e la sofferenza esistono e sono una parte dell’esistenza umana. Come cristiani abbiamo le armi e le risposte per superare tutte queste cose, armi che vanno di pari passo con la speranza che la nostra fede ci porta. Lontano da questa realtà, non credo che Halloween mi piacerebbe tanto. È il collegamento tra la fede e la paura che è pure dietro a tutte le grandi storie classiche di mostri di cui sentiamo parlare a Halloween, come Dracula, Frankenstein, il Dr. Jekyll e Mr. Hyde, il Cavaliere senza testa, e così via, e in queste storie gotiche romanzate il vizio è sempre osteggiato e retrocesso mentre si promuovono la virtù e l’altruismo.

Come cristiano ortodosso, non voglio presentarmi come un sostenitore di Halloween in quanto non è una festa ortodossa che sento il bisogno di difendere. Il motivo per cui sto cercando di portare un di comprensione della verità su Halloween è perché, come cristiano ortodosso, credo che sia mio dovere di dire la verità e denunciare l’errore in uno spirito di amore e di attenzione, soprattutto quando altri ortodossi stanno diffondendo queste menzogne per ignoranza. Halloween è una parte della nostra società e soprattutto della vita dei nostri figli, ed è necessaria una risposta dal punto di vista cristiano ortodosso. Non aiuta la nostra testimonianza cristiana nel mondo il fatto di distorcere le informazioni per fa sembrare migliore il nostro messaggio. In realtà, avviene esattamente il contrario, e credo che quelli che sono in grado di scoprire la verità saranno giudicati per aver diffuso menzogne infondate. Non ci è stato dato uno spirito di paura, ma di potenza e di verità per essere al di sopra della propagazione degli errori. È la proclamazione della verità che porta libertà e rispetto, ed è un cuore puro che rende tutte le cose pure.

 
Come mantenere il Tipico della Chiesa

I servizi divini e i riti della Chiesa ortodossa, che hanno per fondamento un singolo tipico e mantengono la comunanza di tutto ciò che è sostanzialmente importante, sono molto diversi gli uni dagli altri in pratica. Non solo i costumi dei vari paesi e Chiese locali sono diversi, ma anche entro i confini di una singola regione, a volte anche in una sola città, i costumi variano notevolmente tra le chiese situate vicine. Più di una volta è sorta la questione dell'introduzione di un unico Tipico abbreviato comune e obbligatorio per tutte le chiese. Tuttavia, una simile decisione teorica può essere in realtà impossibile da realizzare e anche dannosa se tentata. Le differenze nel realizzare il Tipico della Chiesa sono conseguenze della forza delle abitudini che si sono radicate. A volte queste abitudini hanno significati di senso molto profondo, ma a volte i significati sono piuttosto senza senso, quindi, rimangono a causa dello zelo e la determinazione di chi mette in pratica le abitudini. Senza dubbio, dobbiamo prendere in considerazione le parti che sono state accettate come abitudine santificata, cioè, come parti stabili fin dall’antichità e che sono entrate nella coscienza non solo del clero che lo pratica, ma pure dei laici. Tuttavia, dobbiamo dare molto meno peso a quelle che sono solo pratiche comuni, cioè, quelle che sono semplicemente abitudini di chi le compie, che non hanno un significato interiore e non sono entrate nella coscienza dei laici. Dobbiamo fissarci sulle prime, purché siano di beneficio per la nostra attività, purché non contrastino con il Tipico della Chiesa. Per quanto riguarda le ultime, si può dare solo una regola comune: più sono vicine al Tipico della Chiesa, meglio è. Il nostro Tipico ecclesiastico non è una raccolta di regole morte e non è il frutto di un lavoro astratto di scrivania: vi è stata impressa l'esperienza spirituale di santi asceti che sono arrivati a comprendere appieno le profondità dello spirito umano e le leggi della vita spirituale. Gli stessi santi Padri hanno sperimentato la battaglia con le infermità dell'anima e del corpo, così come i mezzi per la loro guarigione, sono venuti a capire molto bene il percorso del podvig orante e la potenza della preghiera. Il Tipico della Chiesa è una guida per la formazione e la scolarizzazione nella preghiera e più è rispettato, più benefici ne derivano. In caso di incapacità di adempiere tutto ciò che è disposto nel Tipico, dobbiamo compiere tutto ciò che è in nostro potere, conservando la sua struttura generale e il suo contenuto principale. È necessario, da un lato, mantenere inalterate nella sua composizione le caratteristiche principali di un determinato servizio e ciò che mantiene la sua identità separata dagli altri. D'altra parte, dobbiamo cercare il più possibile di colmare quelle parti del servizio, che, variando a seconda del giorno, esprimono il significato e la ragione della commemorazione dell’evento del giorno. I servizi divini combinano in se stessi la preghiera, innalzata a Dio da parte dei fedeli, la ricezione della grazia di Dio nella comunione con Lui, e l'istruzione dei fedeli. Quest'ultima parte è costituita dall’insegnamento attraverso la lettura nei servizi divini di inni, di catechesi e di istruzione nella vita cristiana. I servizi divini nella loro composizione contengono tutta la pienezza della dottrina dogmatica della Chiesa ed espongono la via della salvezza. Essi presentano un valore inestimabile di ricchezza spirituale. Quanto più sono compiuti in modo completo e preciso, tanto più beneficio i partecipanti ne ricevono. Coloro che li compiono con noncuranza e chi li accorcia per pigrizia rapinano il proprio gregge, privandolo dello stesso loro pane quotidiano, rubando loro un tesoro preziosissimo. L'accorciamento dei servizi che ha luogo per mancanza di forza deve essere fatto con saggezza ed eseguito con circospezione per non compromettere ciò che non deve essere manomesso.

In particolare, al Vespro il Salmo 103 deve essere letto nella sua interezza; se è cantato è ammissibile cantare solo pochi versi, ma con maestà. Preferibilmente, i versi del Salmo 140, 141, 129, e 116, che cominciano con le parole: "Signore, a te ho gridato," saranno sempre cantati in pieno, e tutti gli Stichiri, assolutamente.

Nei giorni prescritti è necessario leggere le letture dell'Antico Testamento e compiere la Litia.

Il Mattutino deve essere servito al mattino. Servire il Mattutino alla sera, tranne quando si svolge il servizio della Veglia notturna, non è ammissibile in quanto, così facendo, è essenzialmente abolito il servizio del mattino, che è molto necessario per i fedeli; anche una breve frequenza in chiesa al mattino ha sull'anima un effetto benefico, che santifica e dirige l'intera giornata. I sei salmi non sono da accorciare, inoltre, è necessario leggere i salmi delle Lodi nella loro interezza. La lettura non dovrebbe prendere il posto del canto se non quando non c'è assolutamente nessuno che sia in grado di cantare, poiché l'effetto del canto è molto più forte di quello della lettura e molto raramente la lettura è in grado di sostituire per il canto. Non presumiamo di lasciare fuori i Teotochii dopo i Tropari e gli altri inni, poiché in essi è dato il fondamento della nostra fede - la dottrina dell'incarnazione del Figlio di Dio e della divina economia.

Le Ore devono essere servite esattamente, senza omissioni, dato che sono già così brevi. Tutti e tre i salmi di ogni Ora devono essere letti, così come i tropari assegnati e le altre preghiere. Al termine di ogni Ora una particolare attenzione deve essere data alla preghiera finale, che esprime il significato dell’evento sacro commemorato all'ora indicata.

La Liturgia deve essere servita, se possibile, tutti i giorni, e per lo meno tutte le domeniche e i giorni di festa della Chiesa, senza prendere in considerazione il numero dei fedeli che sono in grado di partecipare al servizio. La Liturgia è il sacrificio incruento per tutto il mondo ed è dovere del sacerdote servirlo quando richiesto. È assolutamente vietato saltare qualsiasi parte del Libro di servizio (sluzhebnik). È anche necessario cantare gli inni indicati per la Liturgia. Vi sono inclusi i Salmi 103, 145, e 33: se il Salmo 103 si accorcia a causa della sua lunghezza (anche se è meglio non farlo), ci sono i giorni in cui i salmi sono sostituiti dalle antifone. Il Salmo 33 è sostituito solo nel corso della Settimana Luminosa dal canto del "Cristo è risorto"; quanto al resto dell'anno, è da leggere o cantare in vista della sua edificazione e non vi è alcuna giustificazione per la sua omissione. I Tropari assegnati a ogni data Liturgia devono essere cantati nel loro giusto ordine, dal momento che sono la parte festiva della Liturgia. Il Tipico Chiesa si occupa anche di preservare accuratamente l'ordine delle letture dell’Apostolo e del Vangelo. Se questo è rispettato, allora durante tutto l'anno, in quelle chiese in cui i servizi si svolgono ogni giorno, il Vangelo, così come l’Apostolo, sarà letto nella sua interezza. Tale ordine richiede che le letture cicliche siano lette necessariamente; la loro sostituzione con le letture festive succede solo nei grandi giorni di festa, ma anche allora la lettura ciclica non viene omessa, ma è letta il giorno precedente, insieme con le letture ordinarie: nei giorni di festa di rango medio si leggono insieme le letture cicliche quelle festive. La lettura delle soli letture festive, vale a dire, con l'omissione di quelle comuni, si chiama "irrazionalità" del Tipico perché quando la si fa tutto il significato della suddivisione delle letture in ordine specifico viene trasgredito e quelli che lo fanno mostrano la loro mancanza di comprensione (del significato delle suddivisioni).

Anche i restanti sacramenti, come in tutto l'ordine dei servizi nel Benedizionale (Trebnik), non devono essere ridotti se non per estrema necessità, e anche allora solo aderendo a tutto ciò che è essenziale nell'ordine del servizio, ricordando la propria responsabilità di fronte a Dio per il danno arrecato alle anime del gregge a causa della propria negligenza. Tutti, durante la celebrazione dei servizi divini, devono compierli con più precisione e con una migliore esecuzione in modo che, portando beneficio spirituale agli altri, essi stessi nel Giorno del Giudizio possano essere paragonati a quello che ha riportato i dieci talenti e ha udito: ben fatto, buono e fedele servitore, sei stato fedele nelle piccole cose.

Pubblicato al Monastero della Santa Trinità, Jordanville (NY), 1951. Tradotto dal seminarista Akim Provatakis. Originariamente pubblicato su Orthodox Life, vol. 41, n. 4 (luglio-agosto 1991), pp 42-45.

 
Halloween in una prospettiva cristiana ortodossa

Una delle feste più amate e più in crescita dell'America è Halloween, ed è anche la più demonizzata. Molte persone di tutte le età, giovani e meno giovani, la celebrano con innocenza e con un sorriso, ma altri la condannano con furore come un giorno malvagio e violento. La maggioranza vede Halloween come una festa di divertimento dei bambini in cui si vestono in costume e vanno di porta in porta a ottenere caramelle, mentre altri la vedono come un residuo di paganesimo e una sottile celebrazione del satanismo. In mezzo a questa confusione e dicotomia, cercherò di mettere in chiaro le cose in maniera breve ma concisa sulla base degli studi più aggiornati, ed esaminare se la Chiesa è chiamata a demonizzare o santificare Halloween basandosi sulla verità.

Dopo molti anni di ricerca, osservazione e partecipazione a questa festa, se dovessi dare la sintesi più semplice e precisa in una frase della storia di Halloween, sarebbe questa:

Halloween è nata come celebrazione cristiana medievale, che faceva parte del Triduo di tutti i santi (All Hallows): vigilia di Ognissanti (All Hallows Eve), giorno di Ognissanti (All Hallows Day) e giorno dei defunti (All Souls Day), che dura dal 31 ottobre al 2 Novembre, e nei secoli XIX e XX ha acquisito tradizioni culturali dell'Europa occidentale e del Nord America che l'hanno stabilita come una celebrazione annuale di queste società.

Quindi, da questa sintesi apprendiamo delle origini cristiane di Halloween e della sua evoluzione come una celebrazione culturale annuale. Ciò che non impariamo da questa sintesi è la prospettiva negativa della festa, che la demonizza e la condanna come pagana e satanica. La ragione di questo è che da un punto di vista cristiano non c'è motivo di demonizzarla, né di condannarla come una festa pagana e satanica.

Ecco perché.

Se dovessimo far risalire le origini di Halloween a uno specifico evento nella storia, quest'evento sarebbe quando Papa Gregorio III (731-741) dedicò nell'originaria basilica di San Pietro di Roma un oratorio in onore di tutti i Santi il 1 novembre: questo ha avviato l'usanza locale romana di celebrare la festa di Tutti i Santi il 1 novembre. Prima di allora la festa di Tutti i Santi, noti in inglese come All Hallows, era celebrata in aprile o maggio in tutto il mondo cristiano (inclusa l'Irlanda) fin dal IV secolo per commemorare principalmente tutti i martiri. I franchi e poi gli inglesi furono i primi a seguire Roma nel celebrare la festa di Tutti i Santi il 1 novembre, e questo divenne ufficiale sotto il pontificato di Gregorio VII nell'XI secolo. La parola Halloween (vigilia di Tutti i Santi) è un riferimento al 31 ottobre, il giorno di All Hallows Eve; anche il 2 novembre è diventato poi parte del Triduo con la commemorazione di tutti i fedeli defunti, si facevano preghiere e atti filantropici in nome dei morti, cosa che era parte della tradizione cristiana stabilita fin dai primi secoli.

Questo può essere uno shock per alcuni che ritengono che il mito che Halloween abbia le sue origini nel paganesimo e nel satanismo o che vi sia associato. La verità è che Halloween non è mai stata associata con il paganesimo o il satanismo, anche se alcuni neopagani e satanisti possono averla inclusa nel melting pot che chiamiamo America. Invece ciò che troviamo è che la Chiesa ha stabilito Ognissanti come un giorno sacro originalo, non per santificare un'antica festa pagana tra i Celti, come è stato popolarmente creduto, ma per celebrare una festa ormai consolidata dedicata a tutti i Santi.

Fino al XIX secolo, Halloween in Europa occidentale e in America era una festa di solide basi romano-cattoliche, che aveva acquisito e sviluppato diverse tradizioni culturali, come tutte le principali festività facevano in quel tempo e fanno ancora. La mitologia che Halloween ha origini pagane prima dell'epoca cristiana sorse per la prima volta nel XIX secolo, tra gli studiosi del mondo celtico, che avevano le proprie ragioni personali per falsificare la storia. Furono loro a tirare fuori l'idea che i giorni dal 31 ottobre al 2 novembre erano giorni in cui i popoli pagani celtici celebravano una festa dei morti conosciuta come Samhain, anche se non vi è alcuna traccia storica di una tale festa tra gli antichi celti. Come sono arrivati ​​a questo punto? All'epoca si credeva che i giorni cristiani di festa, come il Natale e la Pasqua, avessero origini pagane, e che la Chiesa si fosse limitata a cristianizzare consolidate celebrazioni pagane per conquistare proseliti. Il modo in cui gli studiosi hanno spiegato le origini celtiche della festa di Tutti i Santi, un modo popolare tra gli irlandesi del XIX secolo, era di ricondurlo agli antichi celti, senza precedenti storici. Anche se queste false idee sono ancora popolarmente credute oggi, ogni storico onesto può facilmente evidenziare queste falsificazioni della storia, che sono state fermamente screditate.

Che dire del collegamento con il satanismo? Questo è entrato nell'immaginario popolare americano per la prima volta negli anni '60 attraverso la mitologia urbana creata dai fondamentalisti cristiani conservatori. Questi protestanti fondamentalisti, già opposti alla festa cattolica di Tutti i Santi, hanno cercato di demonizzare la festa basando le loro ricerche sugli studiosi del mondo celtico del XIX secolo. Attraverso di loro Samhain è divenuto un dio pagano, un nome alternativo per Satana, e le pratiche come il dolcetto o scherzetto sono stati visti come mezzi originariamente istituiti per paura, per placare gli spiriti dei morti, che erano in realtà demoni. Dicevano istericamente: "Coloro che si oppongono a Cristo sono noti perché si organizzano nel giorno di Halloween per osservare riti satanici, lanciare incantesimi, opporsi a chiese e famiglie, compiere atti sacrileghi, e offrire anche sacrifici di sangue a Satana". Non ha aiutato il fatto che in quel momento, attraverso Hollywood, i mostri guadagnavano popolarità e diventavano oggetto di costumi per i bambini.

Alla fine degli anni '60 Anton LaVey, il fondatore del satanismo esistenziale e della Chiesa di Satana a San Francisco, ha approfittato di questo mito urbano tra i cristiani fondamentalisti, che non vedeva l'ora di provocare, e ha stabilito Halloween come una delle tre principali feste della Chiesa di Satana (insieme al compleanno del satanista, poiché il satanismo laveyano è ateo e basato sull'adorazione di se stessi, e la Notte di Valpurga, il 30 aprile, anche questa promossa tra i fondamentalisti come una "festa delle streghe"). Questa manovra di marketing di Anton LaVey è stata presa sul serio dai fondamentalisti, che già temevano la festa, e i fondamentalisti hanno cominciato a trarre vantaggio da questa nuova connessione creando alla fine quello che è stato chiamato il "panico satanico" degli anni '70 e '80. In questo tempo di sono diffuse leggende metropolitane su Halloween per spaventare la gente e per non farle celebrare la festa, come l'invenzione di storie di adulti impazziti che cercavano di nuocere gli innocenti visitatori piantando lame avvelenate o rasoi nelle caramelle per i bambini, o come le zucche erano scolpite per rappresentare la espressioni facciali dei dannati all'inferno. Questa letteratura fondamentalista, più comunemente identificata con persone come Jack Chick, divenne ben presto l'opinione consolidata di quasi ogni chiesa cristiana in America, perfino tra i cattolici romani che ancora celebrano Ognissanti tra il 31 ottobre e il 2 novembre.

Fin dai tempi del cosiddetto panico satanico, i cristiani hanno generalmente visto Halloween come una festa pagana e satanica. Il risultato di questo atteggiamento è stato che la festa ha assunto un carattere più pagano e satanico, di quanto non aveva in genere prima di questo tempo. Questa è una lezione sfortunata su ciò che accade quando la Chiesa demonizza piuttosto che santificare. I cristiani hanno aperto la porta al diavolo, e il diavolo ha preso ogni vantaggio.

I cristiani possono continuare ad associare Halloween al paganesimo e al satanismo, se la loro prospettiva della festa è quello di demonizzarla in questo modo, oppure se limitano le loro osservazioni ad alcuni elementi sgradevoli di cui certe persone possono servirsi nel giorno di Halloween, ma essenzialmente Halloween non è pagana o satanica a meno che uno scelga di viverla come tale. Purtroppo questo mito continua ad essere perpetuato da molti leader della Chiesa, che invece di scegliere la via stretta della ricerca della verità e della trasformazione del nostro patrimonio culturale, scelgono la via più facile della condanna egoista, che non fa altro che estendere il regno del diavolo.

Come accennato in precedenza, molti hanno cercato di paganizzare in modo simile pure il Natale e la Pasqua, creando una mitologia che vuole che le loro origini fossero pagane, e quindi anti-cristiane. In prima linea in tali movimenti ci sono sia i neopagani sia i fondamentalisti. Essi non solo basano questi miti sulle presunte origini della festa, ma fanno osservazioni sulle moderne celebrazioni secolari come se fossero essenzialmente pagane in natura, e anche questo è in gran parte un falso mito. Questo atteggiamento iconoclasta dei fondamentalisti crea una mitologia di base per la demonizzazione di qualcosa che non ha alcun bisogno di essere demonizzato, e basa questa mitologia su una condanna inapplicabile dalla Sacra Scrittura, e alcuni addirittura osano citare i Santi Padri. In passato questo veniva chiamata "isteria", comunemente associata con l'Inquisizione e la caccia alle streghe. Alcune persone non sono soddisfatte delle parole dell'Apostolo Paolo, che i nostri nemici non sono di carne e di sangue, ma nemici invisibili. I cristiani moralistici si segregano da persone o cose che essi stessi scelgono di associare con il male, invece di abbracciare tutte le persone e trasformare piuttosto che condannare. L'isteria indegna che è più facile demonizzare qualcosa che possiamo vedere e combattere, piuttosto che combattere contro le nostre tentazioni interne e le nostre passioni e trasformare noi stessi.

Mentre le feste religiose in America tendono ad essere occasioni personali o familiari, seguite al meglio da una piccola comunità specifica, Halloween è una delle poche giornate aperte a tutta la popolazione, e il suo scopo culturale laico ha lo scopo di mostrare la buona volontà tra i vicini. La ragione di questo è perché nei primi anni del XX secolo, Halloween era ancora una festa cristiana, ma era diventata anche un giorno in cui il melting pot di tradizioni culturali si riuniva per formare una festa nazionale laica della famiglia. Nel tardo Medio Evo europeo era una consuetudine per i bambini poveri di andare di porta in porta a Natale e il giorno dei morti a chiedere l'elemosina in denaro e cibo. Il tentativo fallito di Guy Fawkes di far saltare il Parlamento inglese il 5 novembre 1605 ha portato alla creazione del Guy Fawkes Day, che col tempo si è associato alla malizia e alla violenza. A metà del XIX secolo a New York i bambini poveri chiamati "ragamuffins" (straccioni) avevano combinato queste due tradizioni cominciando a vestirsi in costume e a fare accattonaggio di monetine nel giorno del Ringraziamento. Una tradizione di vandalismo tra i giovani iniziò quindi a diffondersi in tutto il paese, e con l'urbanizzazione e la povertà in aumento nei primi anni del XX secolo, le comunità si resero conto che avevano bisogno di contenere violenza e vandalismo. Si decise in questo periodo, a partire dagli anni '20 e per tutti gli anni '30, di rendere Halloween una festa familiare laica della buona volontà.

Negli anni '20 e '30, mentre Halloween diventava una festa laica, aveva poca differenza con il giorno del Ringraziamento e il quattro di luglio. La gente si riuniva nella piazza del paese e prendeva parte a una parata e a vari giochi. Halloween aveva anche alcuni elementi vittoriani che erano popolari nei decenni precedenti, come la divinazione e lo spiritismo, che a quel tempo quasi tutti in America, Europa e Russia sperimentavano, anche autorevoli cristiani ortodossi come Dostoevskij. Lentamente anche la tradizionale storia britannica di fantasmi della Vigilia di Natale, la più popolare delle quali è A Christmas Carol di Charles Dickens, si è lentamente trasferita a Halloween. Il piano sembrava funzionare per cambiare la stagione autunnale da un tempo di vandalismo e di violenza tra i giovani, a un momento di famiglia, divertimento e giochi. Alla fine degli anni '30 sono state stabilite tradizioni come il dolcetto o scherzetto per garantire che i bambini si comportassero in modo da essere dai ricompensati per vicini con dolci per essersi vestiti in costume e per aver mostrato un buon comportamento, piuttosto che per essere stati imbroglioni dispettosi che facevano danni nel quartiere. Era una distrazione intelligente. Con l'aumento della popolarità e della creatività dei fumetti e dell'horror, anche questi elementi sono diventati parte dei costumi di bambini e adulti. Questi elementi hanno contribuito ad associare Halloween in tutto il resto del XX secolo a un momento macabro, anche se molto meno dannoso di quanto non fosse alla fine del XIX e l'inizio del XX secolo ai tempi dell'aumento di violenza e di vandalismo. Solo piccoli elementi di tale malizia sono sopravvissuti ai nostri tempi.

Sulla base di tutte queste informazioni, quale dovrebbe essere la risposta della Chiesa di oggi? Continuiamo a demonizzare questa festa a causa dell'influenza di protestanti fondamentalisti e neo- pagani, o cominciamo a santificarla come cristiani ortodossi tradizionali? Come ogni festa in America, Halloween ha certamente molti elementi sgradevoli, ma questa è una giustificazione sufficiente per impedire ai bambini di vestirsi in un costume e di avere un innocente divertimento infantile? Lo lascio decidere al lettore sulla base di un parere istruito dei fatti. Tenete solo a mente il famoso detto del filosofo Friedrich Nietzsche: "Chi combatte i mostri dovrebbe fare in modo che nel processo non diventi egli stesso un mostro".

Il mio suggerimento personale è che la Chiesa in America si metta ad abbracciare Halloween. Non ci sono regole su come festeggiare Halloween, quindi ogni elemento sgradevole può essere escluso. Non c'è bisogno di andare da un sensitivo di Halloween o di partecipare a qualsiasi cerimonia pagana. Non è una regola vestirsi da personaggio maligno o eccessivamente sessualizzato, oppure vandalizzare e partecipare a feste di ubriachi per divertirsi ad Halloween. Halloween è un'occasione in cui si esprime se stessi in qualsiasi modo si sceglie, e i costumi sono giunti a riflettere questi modi. I cristiani non sono obbligati a fare ciò che non vogliono fare il giorno di Halloween, se vogliono parteciparvi. Non c'è alcun male per i  per i cristiani nell'andare a chiedere dolcetti o scherzetti e a regalare caramelle a Halloween, perché tali pratiche non hanno alcun elemento di male. Anzi, direi che è una cosa del tutto in linea con l'atteggiamento cristiano di mostrare amore per il prossimo. In tutte le loro case i cristiani dovrebbero accendere le luci e accogliere i bambini dei loro vicini a Halloween, e ancor di più dovrebbero farlo le chiese cristiane. Ho spesso pensato che l'elemento più oscuro di Halloween sono quelle case e chiese che si rifiutano di accendere le luci a chi chiede dolcetti o scherzetti. Non vi è alcuna necessità di distribuire icone e di far accendere ai bambini candele davanti alle icone per santificare la festa, perché questo non è solo cedere a un elemento di paura, ma può anche essere percepito come un comportamento maleducato da parte dei cristiani non ortodossi.

Che cosa dire dell'elemento macabro di Halloween oggi? L'elemento macabro di Halloween, come molti elementi apparentemente sgradevoli e bui di tutte le feste, è davvero solo una questione di prospettiva e atteggiamento. Prima di tutto, il macabro è un elemento naturale della stagione autunnale. Non solo le notti si allungano, ma il tempo è sempre più freddo e gli alberi sono spogliati delle loro foglie. I colori e i profumi della morte circondano l'atmosfera, e tutto ciò che noi tendiamo a vedere sono giornate nuvolose con molti colori arancioni, marroni e neri. In secondo luogo, la narrativa gotica nacque nei secoli XVIII e XIX secolo sulla base delle storie che circondano l'architettura e l'arte medievale, così come le vecchie superstizioni e racconti. Storie di orrore da quel momento in poi hanno sempre avuto un elemento atmosferico che fa appello alla propria sensibilità artistica combinati con paure fantasiose. Per le persone che amano le storie e i film dell'orrore, questo elemento artistico e suggestivo si realizza concretamente a Halloween non solo attraverso i costumi, ma nella cultura popolare e soprattutto le sempre popolari case infestate. Queste cose non sono create principalmente per spaventare la gente, ma piuttosto sono come musei della fantasia macabra basata su vecchi racconti e paure. Se queste cose vengono create solo per spaventare senza un elemento artistico, di solito poi falliscono il loro bersaglio. La moderna Halloween è sostanzialmente definita da questi due elementi naturali e immaginari.

San Fozio il Grande, nel suo Myriobiblion, fa la recensione di una storia di fantasia che ha letto, in cui conclude quanto segue riguardo alle storie di fantasia: "Nella storia, in particolare, come nelle finzioni delle favole dello stesso tipo, ci sono due considerazioni da fare. La prima è che esse mostrano che i malfattori, anche se sembrano sfuggire un migliaio di volte, trovano sempre la loro punizione, la seconda, che essi mostrano molti innocenti posti in grave pericolo e spesso salvati contro ogni speranza". Le storie di fantasia che hanno come argomento Halloween, in grande maggioranza, contengono gli stessi elementi che san Fozio loda nella sua recensione. Questo è più evidente soprattutto nei vecchi racconti gotici, come il Frankenstein di Mary Shelley, Dracula di Bram Stoker e Lo strano caso del dottor Jekyll e Mr. Hyde di Robert Louis Stevenson, e si ritrova anche abbastanza spesso nei moderni film e narrativa horror.

Per offrire una prospettiva diversa della narrativa horror, ecco di seguito alcune delle molte citazioni di noti autori dell'orrore e del macabro, sia in letteratura sia nel cinema, che dimostrano che la narrativa horror mira più a noi stessi che a creare l'elemento della paura per amor di paura:

Il famoso regista horror Guillermo del Toro dice: "I ​​mostri sono metafore viventi, che respirano". Le storie dell'orrore, come la maggior parte della narrativa, di solito sono metafore di qualcosa di più profondo che ci insegna qualcosa su noi stessi, il nostro ambiente e la nostra situazione del passato, presente o futuro. Il celebre autore dell'orrore Stephen King ha notoriamente scritto: "I mostri e i fantasmi sono reali: vivono dentro di noi, e, a volte, vincono". Robert Louis Stevenson scrisse a un amico qualcosa di simile a proposito della sua storia piena di metafore: "Jekyll è una cosa terribile, lo ammetto, ma l'unica cosa che sento terribile è questo dannata vecchia storia della guerra all'interno di noi stessi. Questa volta è venuta fuori, spero che in futuro rimarrà all'interno". George Romero, il regista dell'altamente metaforica Notte dei morti viventi e creatore del moderno fenomeno zombie, ha commentato: "Mi è sempre piaciuta l'idea del mostro all'interno di noi. Mi piacciono gli zombie che sono noi stessi. Gli zombie sono i mostri di classe operaia". Il grande attore dei film horror muti, Lon Chaney, disse una volta dei ruoli da lui interpetati: "Ho voluto ricordare alla gente che i tipi più bassi dell'umanità possono avere al loro interno la capacità del supremo sacrificio di sé. Il mendicante di strada sminuito, deforme può avere gli ideali più nobili. La maggior parte dei miei ruoli a partire da Il Gobbo di Notre Dame, come Il fantasma dell'Opera, L'uomo che prende gli schiaffi, Il trio infernale, ecc, hanno in sé il tema del sacrificio o rinuncia. Queste sono le storie che voglio fare". La tragedia spesso partorisce l'orrore, ma non si può negare che gli elementi più orribili sono ciò che ci portiamo dentro di noi come Oscar Wilde scrisse nel suo racconto Il ritratto di Dorian Gray: "I libri che il mondo chiama immorali sono i libri che mostrano al mondo la sua vergogna".

Per concludere, Halloween è ciò che noi decidiamo di farne. La nostra decisione è basata su come vogliamo percepirla e interpretarla. E questa di per sé è essenzialmente una celebrazione di Halloween.

 
Una riflessione sui matrimoni falliti

Una recente riflessione di un segretario diocesano, l'arciprete Dmitrij Karpenko di Gubkin (Belgorod), ha suscitato in Russia un dibattito sul tema poco noto del fallimento dei matrimoni nelle famiglie sacerdotali. Presentiamo le parole di padre Dmitrij in russo e in italiano nella sezione "Pastorale" dei documenti. La crisi di una famiglia sacerdotale, in particolar modo quando la colpa è del marito, può creare danni enormi alla vita della Chiesa, che resta singolarmente impreparata a gestire tali situazioni. In un paese come l'Italia, dove si può essere facilmente tentati di idealizzare il sacerdozio sposato come la soluzione di così tanti problemi nella Chiesa, è opportuno non chiudere gli occhi di fronte a questi pericoli.



 

 
107

Foto 107

 
107

Foto 107

 
"I fondamenti della concezione sociale" - I. Principi teologici fondamentali

La Chiesa comunità di credenti

I.1. La Chiesa è la comunità dei credenti in Cristo, nella quale Egli chiama tutti ad entrare. In essa «tutte le cose del cielo e della terra» devono essere ricapitolate in Cristo, poiché egli è il capo «della Chiesa, la quale è il suo corpo, la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose» (Ef 1,22-23). Nella Chiesa, per l'azione dello Spirito Santo, si attua la divinizzazione della creazione e si compie il progetto che dall'eternità Dio ha sul mondo e sull'uomo.

La Chiesa manifesta il risultato dell'opera redentrice del Figlio, mandato dal Padre, e dell'azione santificante dello Spirito Santo, disceso nel grande giorno di Pentecoste. Secondo l'espressione di s. Ireneo di Lione, Cristo si pose alla testa dell'umanità e divenne il capo dell’umanità rinnovata nella quale, come suo corpo, si trova l'accesso alla sorgente dello Spirito Santo. La Chiesa è l'unità «dell'uomo nuovo in Cristo», «la comunione della grazia di Dio, che vive nella moltitudine delle creature razionali che si assoggettano alla grazia» (A.S. Chomjakov). «Uomini, donne, bambini, profondamente divisi riguardo alla razza, al popolo, alla lingua, al modo di vivere, al lavoro, alla scienza, al ceto sociale, alla ricchezza... : tutti vengono rinnovati nello spirito dalla Chiesa... Tutti ricevono da essa un'unica natura, non soggetta alla corruzione, una natura sulla quale non influiscono le numerose e profonde diversità per le quali gli uomini si differenziano l'uno dall'altro...  In essa nessuno è in alcun modo separato dalla totalità, tutti sono come «dissolti» l'uno nell'altro dalla semplice e indivisibile forza della fede» (s. Massimo il Confessore).

 

La Chiesa corpo di Cristo

I.2. La Chiesa è un organismo divinoumano. Essendo il corpo di Cristo, essa unisce in sé due nature – divina e umana – con le azioni e le volontà che sono loro proprie. La Chiesa si rapporta al mondo secondo la propria natura umana e creaturale. E tuttavia essa interagisce con il mondo non come un organismo propriamente terreno, ma in tutta la sua comunione mistica e sacramentale. Proprio la natura divinoumana della Chiesa rende possibile la divinizzazione e la purificazione del mondo, che si attua nella storia attraverso la collaborazione creativa – la «sinergia» – fra le membra e il capo del corpo della Chiesa.

La Chiesa non è di questo mondo, allo stesso modo in cui il suo Signore, Cristo, non è di questo mondo. Ma egli è venuto in questo mondo, avendo «umiliato» se stesso fino ad adeguarsi alla condizione del mondo, il mondo che egli doveva salvare e reintegrare. La Chiesa deve passare attraverso un processo di kenosi storica, realizzando così la propria missione redentrice. Il suo fine è non solo la salvezza degli uomini in questo mondo, ma anche la salvezza e il rinnovamento del mondo stesso. La Chiesa è chiamata a operare nel mondo secondo il modello di Cristo, a rendere testimonianza a lui e al suo regno. I membri della Chiesa sono chiamati a diventare partecipi della missione di Cristo, del suo servizio al mondo, che per la Chiesa è possibile solo come servizio comunitario, «perché il mondo creda» (Gv 17,21). La Chiesa è chiamata a essere al servizio della salvezza del mondo, perché anche il Figlio dell'uomo stesso «non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45).

Il Salvatore di sé dice: «Io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,27). Il servizio per la salvezza del mondo e dell'uomo non può essere ridotto a un ambito nazionale o religioso, come afferma con chiarezza il Signore stesso nella parabola del Buon samaritano. I membri della Chiesa poi, quando accolgono gli affamati, i miseri, gli ammalati, i carcerati, incontrano Cristo come colui che si è caricato dei peccati e delle sofferenze del mondo. L'aiuto dato a coloro che soffrono è pienamente un aiuto offerto a Cristo stesso, e all'adempimento di questo comandamento è legato il destino eterno di ogni uomo (Mt 25,31-46). Cristo esorta i suoi discepoli a non disprezzare il mondo, ma a essere «il sale della terra» e «la luce del mondo».

La Chiesa, essendo il corpo di Cristo Dio-uomo, è divinoumana. Ma se Cristo è il Dio-uomo perfetto, la Chiesa invece non è ancora una divinoumanità perfetta, perché sulla terra combatte col peccato, e la sua umanità, anche se intrinsecamente unita a Dio, è ben lontana dall'essere sua piena espressione, a lui conforme in tutto.

 

La Chiesa servizio a Dio e agli uomini

I.3. La vita nella Chiesa, alla quale è chiamato ogni uomo, è un servizio incessante a Dio e agli uomini. A questo servizio è chiamato tutto il popolo di Dio. Le membra del corpo di Cristo, partecipando al servizio comune, adempiono le proprie particolari funzioni. A ciascuno è dato un particolare carisma al servizio di tutti. «Ciascuno viva secondo la grazia ricevuta, mettendola a servizio degli altri, come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio» (1Pt 4,10). «A uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza; a un altro invece, per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio di scienza; a uno la fede per mezzo dello stesso Spirito; a un altro il dono di far guarigioni per mezzo dell'unico Spirito; a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di distinguere gli spiriti; a un altro le varietà delle lingue; a un altro infine l'interpretazione delle lingue. Ma tutte queste cose è l'unico e il medesimo Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole» (1Cor 12,8-11). I doni della multiforme grazia di Dio sono dati a ciascuno singolarmente, ma a servizio di tutto il popolo di Dio (e a servizio del mondo). E questo è il comune ministero della Chiesa, compiuto sulla base non di uno solo, ma di diversi doni. La diversità dei doni crea anche la diversità dei ministeri, tuttavia «vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti» (1Cor 12,5-6).

La Chiesa chiama i suoi figli fedeli a partecipare alla vita sociale, partecipazione che deve fondarsi sui principi della morale cristiana. Nella solenne preghiera sacerdotale, Cristo chiese al Padre celeste per i suoi seguaci: «Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno... Come tu mi hai mandato nel mondo, anch'io li ho mandati nel mondo» (Gv 17,15.18). È inammissibile il disprezzo manicheo per il mondo. La partecipazione del cristiano deve fondarsi sulla consapevolezza che il mondo, la società umana e lo stato sono oggetto dell'amore di Dio, in quanto sono destinati alla trasfigurazione e alla purificazione sulla base dell'amore voluto e comandato da Dio. Il cristiano deve considerare il mondo e la società alla luce del suo destino ultimo, nella luce escatologica del regno di Dio.

La diversità dei carismi nella Chiesa si manifesta in modo particolare nel suo ministero sociale. L'indiviso organismo ecclesiale partecipa pienamente alla vita del mondo, benché il clero, i monaci e i laici possano attuare tale partecipazione in modi e gradi diversi.

 

La predicazione e le opere buone

I.4. La Chiesa adempie la sua missione di salvezza del genere umano non solo attraverso la predicazione diretta, ma anche attraverso le opere buone, volte al miglioramento della condizione spirituale, morale e materiale del mondo. Per questo essa collabora con lo stato, anche se non cristiano, e con diverse associazioni pubbliche e con singoli individui, anche se essi non si riconoscono nella fede cristiana. Senza porsi direttamente l’obiettivo di chiedere la conversione all’ortodossia come condizione per la collaborazione, la Chiesa spera che le comuni attività caritative possano condurre i suoi collaboratori e le persone che li circondano alla conoscenza della Verità, siano di aiuto nel conservare o ritrovare la fedeltà ai principi morali dati da Dio, e di ispirazione a ricercare la pace, la concordia e la prosperità, condizioni in cui la Chiesa può realizzare nel migliore dei modi la propria azione salvifica.

 
107

Foto 107

 
L'effetto liturgico dei banchi

Un principio di base, implicito nella tradizione liturgica ortodossa, e assiomatico anche nel moderno Movimento liturgico, è che ciò che facciamo e diciamo nel culto comune ha una diretta influenza sul nostro credo, sulle nostre attitudini e sul comportamento quotidiano. Tale influenza è invero uno degli effetti che ci si attende attraverso il culto liturgico. La liturgia insegna. La liturgia è strutturata per avere un effetto sulla vita. La cattiva liturgia ha pertanto cattivi effetti. Il culto eretico semina errori. Le funzioni noiose portano noia nella vita. Ma la Divina Liturgia servita nella bellezza della santità manifesta la luce della verità e ispira una vita santa.

Pochi fedeli ortodossi nel mondo occidentale di oggi negherebbero la validità del principio fondamentale sopra esposto, specialmente quando si tratta di usare la lingua del popolo nelle nostre funzioni di culto. Come può infatti la Parola avere pieno effetto, se tale Parola sacra è pronunciata esclusivamente in una lingua straniera? Siamo anche ben consapevoli che la qualità della predicazione, l’eccellenza dell’insegnamento, la bellezza dell’iconografia, l’armonia del canto, e tutto quanto contribuisce alla celebrazione liturgica, ha pure una diretta influenza sul pensiero e sulle vite di quanti partecipano alla Liturgia. Ma abbiamo mai pensato agli effetti diretti di avere banchi (o file di sedie) installati nelle nostre chiese e usati durante la Divina Liturgia e gli altri riti della Chiesa?

I banchi, copiati non molto tempo fa dai protestanti [1] e dai cattolici romani (che li presero dai protestanti) sono forse un’aggiunta liturgica priva di conseguenze? Oppure, i banchi (e le file di sedie simili a banchi) costituiscono una differenza  significativa nella vita della Chiesa? O l’idea che essi costituiscano davvero una differenza è forse solo la noiosa rimostranza di reazionari che vogliono ostruire il progresso dell’Ortodossia nel nome di un falso tradizionalismo? Facendoci queste domande, siamo giunti alle seguenti dolorose osservazioni. Esse ci portano all’ineluttabile conclusione che banchi e file di sedie costituiscono una significativa differenza, una grande differenza, nelle nostre vite di cristiani ortodossi. Questo non ha assolutamente niente a che fare con le differenze di giurisdizione o con le sfumature di opinione nella Chiesa, né con etichette come “tradizionalista” e “modernista.” Ha invece tutto a che fare con la comprensione ortodossa del Corpo di Cristo, e la natura del culto liturgico.

Sia che vogliamo crederci oppure no, i banchi (o le file di sedie) influenzano il modo in cui pensiamo alla Chiesa. I banchi modellano il modo in cui pensiamo alla Liturgia stessa. I banchi hanno un effetto sul modo in cui pensiamo a noi stessi come membri del popolo cristiano ortodosso. I banchi influenzano direttamente la nostra spiritualità e il nostro comportamento. L’uso dei banchi sta modellando il futuro dell’Ortodossia nei paesi occidentali.

Qui seguono alcuni dei notevoli cambiamenti effettuati da una “mera aggiunta” al culto ortodosso come i banchi. Alcuni dei commenti che seguono possono sembrare sarcastici. Non lo sono. Sono semplicemente un’aperta espressione di quanto possibilmente la maggioranza dei laici, e forse anche un bel po’ di membri del clero, pensano nel “cuore del proprio cuore.” Queste idee si sono radicate in noi soprattutto perché i banchi ci hanno insegnato a pensare in questo modo.

1) I banchi insegnano ai laici a stare al proprio posto, vale a dire a osservare passivamente ciò che sta accadendo di fronte a loro, mentre il clero “fa” la Liturgia per conto dei laici. I banchi predicano e insegnano che la religione e la spiritualità sono lavoro del prete, a cui paghiamo un salario perché sia religioso per conto nostro, dato che è fin troppo problematico e difficile che il resto di noi sia spirituale nel mondo reale. I banchi servono allo stesso proposito dei sedili dei teatri e dei cinematografi; noi ci sprofondiamo al nostro posto (anche durante le Litanie, che sono la specifica preghiera del popolo) a guardare i professionisti che recitano: il clero e i servitori d’altare professionalmente addestrati, mentre i coristi professionalmente addestrati cantano per il nostro intrattenimento.

2) Insegnandoci a sederci e a rilassarci, i banchi ci danno l’impressione che ogni disturbo, o tanto meno sofferenza, non importa quanto lieve, sia estraneo alla vita cristiana. Non si suppone che godiamo la chiesa e ci divertiamo come cristiani? La chiesa è uno dei pochi momenti in cui possiamo prendercela con calma ed evitare la vita reale. Non andiamo in chiesa a lavorare. (Ma la parola Liturgia non significa precisamente, “lavoro del popolo”?) Quanti ortodossi occidentali di oggi hanno le “gambe d’acciaio” dell’Ortodossia antica? I banchi ci insegnano ad essere molluschi spirituali. “Non siete stati in grado di vegliare con me neppure un’ora?” chiede il Signore. E noi, che esitiamo a stare in piedi per un’ora, saremmo pronti a soffrire per Cristo, come hanno dovuto soffrire milioni di ortodossi, nostri fratelli, sorelle, padri e madri, in questo stesso secolo?

3) I banchi distruggono il tradizionale senso di libertà nella chiesa. Con l’installazione dei banchi, non ci “preoccupiamo” più di tutto il movimento che aveva luogo attorno a noi. Sapete, le nonne che accendono le candele, i bambini che baciano le icone, e i fedeli raggruppati attorno al loro prete come una famiglia riunita attorno al proprio padre.

4) I banchi riempiono lo spazio aperto nel mezzo dei nostri templi, dove il clero e il popolo erano soliti riunirsi in una sorta di danza sacra mentre il clero, uscendo in processione a incensare, si muoveva nel mezzo della folla sempre mutevole dei laici.

Oggi tutto questo è ridotto al prete e ai servitori che marciano avanti e indietro. E come potremmo danzare con i banchi sulla pedana della sala da ballo? I banchi trasformano il nostro culto nell’affare gelido e meramente formale che costituisce la norma del cristianesimo occidentale. Quanto più freddo diventa il culto, tanto meno attenzione diamo alle richieste irreali che la religione, come i nostri progenitori ben sapevano, ci impone. Certamente non possiamo permettere alla nostra religione di diventare il nostro modo di vita, se ci aspettiamo di far strada nel mondo reale.

5) Se i bambini devono essere portati in chiesa, almeno possono giocare sotto i banchi, dove non verranno distratti dalle cerimonie che hanno luogo di fronte a loro. Tanto, che ne capiscono comunque, i bambini? Non starebbero meglio in una scuola domenicale, con figure da colorare e giocattoli, in un posto dove non danno fastidio agli adulti che se ne stanno seduti a godersi il concerto musicale liturgico?

6) Anche se dobbiamo ammettere che i banchi non sono parte della tradizione liturgica ortodossa come la conoscevano i nostri antenati, ora siamo in Occidente, e qui le cose sono differenti. Abbiamo bisogno di essere “rilevanti”. Quanto più possiamo somigliare alle grandi e importanti religioni dell’Occidente, tanta più influenza avrà il cristianesimo ortodosso. Non possiamo permetterci di perdere la nostra grande opportunità di modellare il pensiero occidentale, e la perderemo se ci attacchiamo a stupide tradizioni con la t minuscola, come templi senza banchi. E poi, non è lampante che se abbiamo un aspetto troppo differente non saremo in grado di conseguire prestigio, successo e potere nella nostra società? E questo non è quello che conta nella vita?

7) Grazie ai banchi, nei giorni feriali della Quaresima non dobbiamo più sopportare quelle umilianti prosternazioni. Gli altri cristiani non fanno cose di quel genere in chiesa, neppure i cattolici. E perché noi dovremmo? E durante i funerali, i banchi ci risparmiano dal doverci raccogliere attorno alla bara come era nostra usanza. La funzione di un moderno funerale non è forse quella di schermarci dal dispiacere della morte? Il modo di pensare ormai accettato in Occidente è che in realtà non moriamo mai: ci limitiamo a dileguarci.

Queste schiette osservazioni non intendono offendere, ma colpire vivamente nel segno. Il Movimento liturgico e la tradizione liturgica ortodossa hanno entrambi assolutamente ragione: ciò che facciamo nel culto liturgico modella il nostro pensiero, le nostre abitudini e il nostro comportamento. E questo è il motivo preciso per cui la questione dei banchi è così criticamente importante. Speriamo che questo richiamo al rinnovamento non sia scartato subito come “estremismo fanatico,” poiché questa non è una questione di “partito”; è una questione di vita o di morte per l’Ortodossia in Occidente. I banchi sono spiritualmente cancerogeni. Come le questioni della previdenza sociale, i banchi potrebbero essere una questione “intoccabile”, ma nonostante ciò noi ortodossi in Occidente dobbiamo iniziare a rinnovarci sotto questo aspetto.

I banchi nelle nostre chiese sono un problema ben più grande dell’uso delle lingue straniere, poiché i banchi, in silenzio, parlano più forte delle parole. I banchi coprono la voce dei più grandi predicatori e dei più efficaci insegnanti. I banchi contraddicono abilmente il più eccellente amministratore e il più disponibile dei pastori. I banchi fanno annegare le parole dei nostri più grandi studiosi. Il rettore di una parrocchia può insegnare in modo brillante al proprio gregge il posto dei laici come membri del Corpo sacerdotale di Cristo e concelebranti nella Divina Liturgia, mentre i banchi sui quali si siedono i suoi fedeli, con le sottili dinamiche del dramma liturgico, sussurrano insidiosamente proprio l’opposto. “Psst ...tutto quello che devi veramente fare è pagare il tuo dovuto, farti chiamare ortodosso, osservare la Liturgia, e lasciare la pratica a tempo pieno della religione ai professionisti pagati.” Né le lingue sconosciute, né i cori, e neppure le composizioni operistiche, potrebbero mai privare i laici della loro partecipazione attiva alla Divina Liturgia come membri del Corpo sacerdotale di Cristo. Infatti, servono in tal modo anche quanti si limitano a stare attentamente in piedi a pregare. Ma quando ai laici, come gesto sbagliato di gentilezza, vengono dati i banchi in modo che si possano sedere, rilassare e guardare lo spettacolo, è come se fossero stati deposti dal loro ministero sacro.

Non stiamo facendo un appello al “bancoclasmo” fanatico. Il rinnovamento liturgico non deve essere separato da una amorevole sollecitudine pastorale. Ma abbiamo bisogno di affrontare il problema: l’uso di banchi e di file di sedie nelle nostre chiese è una distorsione liturgica che distorce anche con forza la nostra comprensione di noi stessi come cristiani ortodossi. Abbiamo bisogno di rinnovamento nell’insegnamento ortodosso, e di sentirci dire che andiamo in chiesa non per farci intrattenere ma per lavorare, per fare assieme il Lavoro del Popolo, la Santa Liturgia. Forse potremmo iniziare questo rinnovamento rimuovendo diverse file frontali di  banchi, invitando i fedeli a stare di fronte all’iconostasi dal Grande Ingresso fino alla Comunione. E allora lasciamoci progredire, con la velocità permessa dalla consapevolezza pastorale, alla pratica tradizionale dei sedili attorno al perimetro interno della chiesa, per gli anziani, gli infermi, le madri con i bambini, i deboli e gli affaticati. Tale pratica non è “meramente tradizionale.” Essa esprime un aspetto vitale e fondamentale dell’insegnamento liturgico ortodosso.

 

Testo adattato dall’articolo The Liturgical Effectiveness of Pews: A Call for Liturgical Renewal

Dal numero di Pasqua 1995 di DOXA, pubblicazione trimestrale della St. Michael’s Skete (O.C.A.).

 

[1] Pochi sanno che i banchi sono un’innovazione piuttosto recente anche per i protestanti e per i cattolici romani! Al tempo della riforma protestante, i banchi semplicemente non esistevano, e ancora alla metà del secolo XIX, si trattava di un’usanza contestata dai cristiani occidentali.

 
DESPRE POMENIRILE LITURGICE ALE CONDUCĂTORILOR POLITICI

Înainte de a analiza aspectul liturgic al pomenirii conducătorilor politici (de rang naţional şi local) şi a armatei, amintim faptul că rugăciunea pentru aceştia constituie un îndemn biblic adresat tuturor creştinilor (I Timotei 2:1-3), iar la momentul în care Sf. Pavel a scris aceste cuvinte, împăratul şi ceilalţi conducători politici şi militari erau păgâni şi chiar persecutori ai Bisericii şi, cu toate acestea, în problemele lumeşti, creştinii trebuiau să fie supuşi acestor conducători necreştini (Romani 13:1-7). Este greu de spus dacă acest îndemn la rugăciune viza rugăciunea particulară a creştinilor sau pe cea comună, dar modul de viaţă al primilor creştini ne duce cu gândul că rugăciunea era totuşi comunitară şi, prin urmare, obligatoriu legată de Liturghie.

Începând cu secolul al IV-lea, împăratul, familia şi suita sa erau trecuţi în pomelnicul celor vii, iar în pomelnicul celor adormiţi erau trecuţi toţi împăraţii mai de seamă, care s-au remarcat prin credinţă şi evlavie. Toţi aceştia erau pomeniţi nominal de către diacon după epicleză, în cadrul citirii dipticelor1, iar în rugăciunea de mijlocire rostită de protos (înainte sau simultan cu pomenirile diaconului), cererile pentru împărat, împărăteasă şi suita de la palat apar fără nume2, accentul fiind plasat ideea euchologică de la I Timotei 2:2. În cazul în care împăratul era sau devenea eretic, numele acestuia era şters din diptice, rămânând în vigoare doar pomenirea generală (fără nume) din cadrul anaforalei. Uneori, la această pomenire generală a împăratului se adaugă şi „oastea/armata cea iubitoare de Hristos”.

În secolul al XII-lea, simultan cu răspândirea pomenirilor nominale ale împăratului la Proscomidie şi la ectenii, manuscrisele greceşti fac primele menţiuni despre pomenirea episcopului şi a împăratului la Intrarea Mare3, dar ambii erau pomeniţi numai în cazul în care erau prezenţi la slujbă. Abia prin secolul al XV-lea, în Ţările Române, în Rusia şi în alte monarhii ce formau moştenirea „Bizanţului de după Bizanţ”, se generalizează obiceiul de a pomeni pe împărat la Intrarea Mare chiar şi în absenţa lui – deşi nu avem nici o mărturie că aceasta s-ar fi întâmplat şi la Constantinopol4.

Această deplasare de accente a făcut ca în secolele următoare, regula privind nescrierea ereticilor şi necreştinilor în diptice, să nu se extindă şi asupra pomenirilor de la ectenii. Nu de puţine ori, regii romano-catolici şi protestanţi care ocupau diferite teritorii ortodoxe erau pomeniţi la Liturghie fără nici o ezitare, iar unii patriarhi orientali nu se sfiau să facă acest lucru chiar şi cu sultanii turci (musulmani)5. Toate acestea au făcut ca pomenirile suveranilor să nu mai fie percepute ca o expresie a comuniunii euharistice, aşa cum erau înţelese pomenirile de la diptice, ci ca o rugăciune pentru conducătorii politici, indiferent de convingerile lor religioase. Prin aceste pomeniri nu se cerea mântuirea suveranilor – căci aceştia poate nici nu-şi doreau aceasta – ci, în spiritul textului de la I Timotei 2:2, Biserica cerea pentru ei „paşnică ocârmuire, ca şi noi întru liniştea lor, viaţă paşnică şi netulburată să petrecem, întru toată cucernicia şi buna-cuviinţa”6. Altfel spus, chiar dacă pomenirea nominală a unor suverani eretici putea fi interpretată ca un act de obedienţă sau complezenţă, rugăciunea era de fapt pentru ca Biserica să aibă linişte din partea acestor suverani şi nimic mai mult. Iată de ce Biserica nu poate să renunţă la aceste pomeniri nici atunci când conducătorii politici prigonesc turma drept-credincioasă a lui Hristos sau adoptă legi contrare moralei creştine.

După căderea Constantinopolului şi moartea ultimului monarh bizantin (1453), ortodocşii de limbă greacă au început să-şi reformuleze cererile pentru suverani7, iar după al II-lea Război Mondial, odată cu dispariţia tuturor monarhiilor ortodoxe, Bisericile Ortodoxe Autocefale au început să formuleze diferite cereri de pomenire a conducătorilor. Multe din aceste formulări sunt marcate de nostalgii monarhice8 sau de naţionalisme puerile, dar şi mai des, de incapacitatea de a depăşi unele exprimări şablon chiar şi în cazul limbii române, nemaivorbind de limbile moarte precum greaca veche sau slavona. Cert este că nicăieri nu s-a ajuns la pomenirea nominală a conducătorilor noilor regimuri politice secularizate, iar aceasta nu pentru că respectivii ar fi fost necredincioşi (căci nici cei dinaintea lor nu excelau prin credinţă şi evlavie), ci în primul rând pentru că nu mai erau monarhi consacraţi prin ungere cu Sfântul Mir. Statutul noilor conducători de state, aleşi pentru mandate scurte şi fără consacrare divină, a impus schimbarea aproape radicală a pomenirilor conducătorilor.

Iată cum şi-au formulat cele trei mari tradiţii liturgice (greacă, rusă şi română) cererile pentru pomenirea conducerii politice şi a armatei.

La ectenia mare grecii au pus două cereri, una înainte de pomenirea ierarhului şi alta imediat după:

Ὑπὲρ τῶν εὐσεβῶν καὶ ὀρθοδόξων χριστιανῶν, τοῦ Κυρίου δεηθῶμεν (Pentru binecinstitorii şi ortodocşii creştini, Domnului să ne rugăm).

Ὑπὲρ τοῦ εὐσεβοῦς ἡμῶν ἔθνους, πάσης ἀρχῆς καὶ ἐξουσίας ἐν αὐτῷ καὶ τοῦ φιλοχρίστου στρατοῦ, τοῦ Κυρίου δεηθῶμεν (Pentru poporul nostru bine-cinstitor, [pentru] toată începătoria şi stăpânirea lui şi [pentru] armata iubitoare de Hristos, Domnului să ne rugăm).

La ectenia întreită, grecii au o singură cerere, înainte de pomenirea ierarhului:

Ἔτι δεόμεθα ὑπὲρ τῶν εὐσεβῶν καὶ Ὀρθοδόξων χριστιανῶν (Încă ne rugăm pentru binecinstitorii şi ortodocşii creştini).

În Biserica Ortodoxă Rusă, la ectenia mare se spune:

О Богохранимей стране нашей, властех и воинстве ея, Господу помолимся (Pentru de Dumnezeu păzită ţara noastră, conducerile9 şi armata ei, Domnului să ne rugăm).

Iar la ectenia întreită:

Еще молимся о Богохранимей стране нашей, властех и воинстве ея, да тихое и безмолвное житие поживем во всяком благочестии и чистоте (Încă ne rugăm pentru de Dumnezeu păzită ţara noastră, conducerile şi armata ei, ca [şi noi întru liniştea lor] viaţă paşnică şi netulburată să avem, întru toată bună credinţa şi cuviinţa).

În Biserica Ortodoxă Română s-au rânduit cereri asemănătoare cu cele folosite de ortodocşii de limbă greacă.

La ectenia mare:

Pentru binecredinciosul popor român de pretutindeni, pentru ocârmuitorii ţării noastre, pentru mai-marii oraşelor şi ai satelor şi pentru iubitoarea de Hristos oştire/armată, Domnului să ne rugăm.

Iar la ectenia întreită:

Încă ne rugăm pentru binecredinciosul popor român de pretutindeni, pentru ocârmuitorii ţării noastre, pentru mai-marii oraşelor şi ai satelor şi pentru iubitoarea de Hristos oştire/armată, pentru sănătatea şi mântuirea lor.

Din aceste formulări observăm următoarele:

- Nici una dintre ele nu pomenesc doar conducătorii politici, ci adaugă şi pomenirea poporului (la greci şi români) sau, într-un mod foarte abstract, pomenirea ţării (la ruşi). Prin aceasta însă se dublează pomenirile din alte cereri ale ecteniei mari, căci „poporul” este pomenit şi în cererea pentru episcop, iar „ţara” este pomenită alături de oraşul/satul în care se află parohia sau mănăstirea respectivă;

- BOR, singura dintre toate Bisericile Ortodoxe Autocefale, menţionează şi numele poporului („poporul român”), deşi nu-i clar dacă prin aceasta se are în vedere etnia sau cetăţenia română. Dacă se are în vedere etnia, înseamnă că BOR nu-i pomeneşte nici pe ortodocşii de alte etnii care locuiesc în România (ucraineni, rromi ş.a.). Iar dacă în cererea liturgică se are în vedere cetăţenia română, înseamnă că sunt excluşi etnicii români din diaspora care nu au cetăţenia română (basarabenii, bucovinenii din Ucraina, românii din Timoc ş.a.), deşi BOR pretinde jurisdicţie canonică asupra acestora. Deci menţiunea etniei/cetăţeniei nu numai că este contrară spiritului supranaţional al creştinismului, ci este şi discriminatorie faţă de cei care nu sunt de etnie română sau nu au cetăţenia statului român.

- La momentul când s-au formulat cererile pentru împărat, era vorba despre suveranul Imperiului Roman (Bizantin), care conducea aproape întreaga lume, iar starea Bisericii Ortodoxe Universale deseori depindea la modul cel mai direct de deciziile monarhului. În prezent însă, preşedinţii unor ţări ortodoxe precum Republica Moldova, Georgia, Macedonia sau Muntenegru, dar chiar şi a unor ţări mai mari precum România, Bulgaria sau Serbia, nu numai că n-au putere asupra Bisericii din ţările lor, dar n-au putere reală nici măcar asupra statului pe care pretind că-l conduc, depinzând în cea mai mare parte de politica marilor puteri mondiale. Şi poate că în acest caz ar trebui să depăşim graniţele propriei ţări sau a propriei Biserici locale (mai ales că naţionalismul nu face deloc bine Bisericii Ortodoxe Universale) şi să ne rugăm pentru conducătorii ţărilor din întreaga lume. Şi chiar dacă cei mai mulţi dintre aceşti conducători de state ar fi ostili Ortodoxiei, aşa cum au fost şi mulţi împăraţi de dinainte şi de după Constantin cel Mare (306-337), noi ar trebui să ne rugăm şi pentru ei, căci soarta ţărilor noastre şi implicit a Bisericii depinde de mai marii lumii şi nu de preşedinţii sau armatele unor ţări mici, mai mult sau mai puţin suverane10.

Reieşind din toate acestea, propunem ca pomenirea conducerii laice să fie una mai generală, fără a pomeni poporul şi ţara (care se pomenesc în alte cereri)11, ci numai pe conducătorii de rang naţional şi local din întreaga lume. În supunerea acestor conducători sunt armatele, poliţia, pompierii şi alte forţe de ordine, care e dificil de a fi enumerate12, dar pomenind conducătorii superiori ai acestor trupe militare şi paramilitare, ne rugăm de fapt pentru binecuvântarea activităţilor tuturor acestora.

Ar putea exista diferite formulări, dar pentru început propunem formulările de mai jos.

La ectenia mare:

Pentru toţi conducătorii de ţări, oraşe şi sate, şi pentru paşnica lor ocârmuire, Domnului să ne rugăm.

La ectenia întreită, conform textului de la I Timotei 2:2, preluat şi de anaforaua Sf. Ioan Gură de Aur:

Încă ne rugăm pentru toţi conducătorii de ţări, oraşe şi sate, ca prin ocârmuirea lor, viaţă paşnică şi netulburată să petrecem, întru toată cucernicia şi bunăcuviinţa.

Aşa cum am explicat şi mai sus, astfel de pomeniri nu exprimă comuniunea euharistică cu cei vizaţi, ci sunt cereri prin care cerem „paşnică ocârmuire” a acestor conducători, spre binele Bisericii13. Totodată considerăm că conducătorii eterodocşi sau (quasi-)atei nu pot fi pomeniţi la Proscomidie, la Intrarea Mare sau la diptice. Şi pentru a nu fi subiectivi în aprecierea ortodoxiei sau evlaviei cuiva, ne putem limita doar la pomenirile generale din ectenii şi anafora, unde sensul pomenirii este evidenţiat de textul din I Timotei 2:2, renunţând definitiv la pomenirea conducătorilor la Proscomidie şi la Intrarea Mare. Iar dacă careva din conducători sunt şi buni creştini şi-şi doresc mântuirea, Biserica se va ruga pentru ei în mod obişnuit, ca şi pentru orice alt creştin, căci funcţiile de conducere oferă responsabilităţi în plus, dar nu şi privilegii în vederea mântuirii.

Note:

1 R. TAFT, Dipticele, pp. 86, 119.

2 Cf. Codex Barberini 336 gr., în Canonul Ortodoxiei, vol. 1, p. 926. Această formulare se regăseşte şi în manuscrisele ulterioare, ajungând până în ediţiile de astăzi ale Liturghierului.

3 Aceste pomeniri au făcut ca Heruvicul să fie întrerupt în mod nefiresc, căci până atunci imnul era cântat fără întreruperi (de la „Noi care pe heruvimi” până la „Aliluia”). Există descrieri ale Intrării Mari care vorbesc despre obiceiul pomenirii împăratului şi înainte de sec. XII, dar acestea erau făcute de patriarh cu voce înceată şi numai în cele câteva catedrale şi biserici „protocolare” din Constantinopol; tocmai de aceea pomenirea nu este prevăzută în manuscrisele liturgice.

4 Despre toate acestea vezi: R. TAFT, The Great Entrance, pp. 227-234.

5 Imediat după 1453 s-a observat tendinţa de a suprima cererea pentru pomenirea conducătorilor politici, întrucât grecii nu se putea împăca cu gândul de a fi conduşi de un sultan turc, care chiar pe patriarh îl schimba ori de câte ori dorea. În scurt timp însă această criză interioară a fost depăşită şi s-au găsit diferite formule pentru a pomeni chiar şi pe aceşti conducători necreştini, iar acest compromis aparent a fost benefic Bisericii din regiuni islamizate.

6 În Biserica Ortodoxă Rusă, la Ectenia întreită, conducerea ţării este pomenită prin parafrazarea acestui text biblic şi nu cu sfârşitul specific cererilor din această ectenie: „pentru sănătatea şi mântuirea lor” – cum se face în Biserica Ortodoxă Română.

7 Subiectul este abordat de prof. I. Foundoulis în răspunsul 417 al Dialogurilor sale (vol. IV, pp. 58-61), unde se referă la adaptarea troparului „Mântuieşte, Doamne, poporul Tău…” şi a altor imne liturgice, în legătură cu dispariţia monarhiilor ortodoxe.

8 A se vedea Ieratikonul Patriarhiei Ecumenice, tipărit de Mănăstirea Simonos Petras (Athos) în anul 2008, unde la Anafora protosul se roagă pentru împărat şi suita lui, aşa cum se făcea înainte de 1453. La această ediţie au lucrat liturgişti destul de competenţi, care probabil profitând de faptul că acest text se citeşte în taină, în mod intenţionat au lăsat această exprimare vădit nostalgică.

9 Se au în vedere toate tipurile şi rangurile de conducere.

10 După felul în care se face politică în lume, cred că este necesar ca în rugăciunile noastre să-i avem în vedere şi pe conducătorii SUA, Germaniei, Chinei şi a altor supraputeri, a căror politică vizează în mod direct prezentul şi viitorul ţărilor ortodoxe şi al Bisericii. Este important să cerem ca Dumnezeu să-i înţelepţească spre o guvernare paşnică şi favorabilă unei vieţuiri creştine liniştite.

11 La aceeaşi concluzie ajunge şi prof. I. Foundoulis, propunând formularea: „Pentru binecredincioşii noştri conducători şi pentru oastea ce iubitoare de Hristos, Domnului să ne rugăm” (cf. Foundoulis, op. cit, p. 317). Considerăm însă că aceasta este o simplă adaptare a textului bizantin al cererii, dar nu şi o adaptare la realităţile politice globale în care trăim cu sau fără voia noastră.

12 În ultimele decenii Biserica Greciei a încercat să enumere mai multe forţe militare, ajungând să pomenească nu numai armata şi trupele de securitate, ci să menţioneze şi categoria forţelor armate: terestre, maritime şi aeriene. Diferiţi liturgişti, slujitori şi chiar simpli credincioşi din Grecia consideră pomenirea detaliată a acestora drept o exagerare.

13 Ceva asemănător avem într-o ectenie din Liturghia Sf. Iacov: „Pentru binecredincioşii şi de Dumnezeu încununaţii împăraţii noştri ortodocşi, pentru tot palatul şi pentru oastea lor, şi pentru ajutor din cer, pentru paza şi biruinţa lor, Domnului să ne rugăm” (cf. I. Foundoulis, Dialoguri liturgice, vol. 5, p. 315). Cel mai probabil, această formulare reflectă tradiţia pomenirii împăratului la Ierusalim în sec. IX-X.

 
Collegamento al sito dell'Università San Tichon di Mosca

Aggiunto tra i collegamenti alle istituzioni accademiche un link alla parte in italiano del sito dell'Università San Tichon, diretta dall'arciprete Vladimir Vorob'ev. L'istituto è nato nel 1992 (nello scorso mese di novembre ha celebrato i 20 anni di attività) per offrire una preparazione teologica ai laici della Chiesa ortodossa russa, e ha sviluppato una notevole rete di contatti internazionali.

 
Rugăciune pentru vrăjmaşi

Doamne binecuvântează pe vrăjmaşii mei! Şi eu îi binecuvântez şi nu-i blestem.

Vrăjmaşii m-au împins şi mai mult spre Tine, în braţele Tale, mai mult decât prietenii. Aceştia m-au legat de pământ şi mi-au răsturnat orice nădejde spre pământ.

Vrăjmaşii m-au făcut străin faţă de împărăţiile pământeşti şi un locuitor netrebnic, faţă de pământ. Precum o fiară prigonită, aşa şi eu, prigonit fiind, în faţa vrăjmaşilor, am aflat un adăpost mai sigur, ascunzându-mă sub cortul Tău, unde nici vrăjmaşii, nici prietenii, nu pot pierde sufletul meu.

Doamne, binecuvântează pe vrăjmaşii mei! Şi eu îi binecuvântez şi nu-i blestem.

• Ei au mărturisit în locul meu păcatele mele în faţa lumii.

• Ei m-au biciuit, când eu m-am cruţat de biciuire.

• Ei m-au chinuit atunci când eu am fugit de chinuri.

• Ei m-au hulit atunci când eu m-am măgulit pe mine însumi.

• Ei m-au scuipat atunci când eu m-am mândrit cu mine însumi.

Doamne binecuvântează pe vrăjmaşii mei! Şi eu îi binecuvântez şi nu-i blestem.

• Când eu m-am făcut înţelept, ei m-au numit nebun.

• Când m-am făcut puternic, ei au râs de mine ca de un pitic.

• Când am vrut să conduc pe oameni ei m-au împins înapoi.

• Când m-am grăbit să mă îmbogăţesc, ei m-au smucit înapoi cu mână de fier.

• Când m-am gândit să dorm liniştit, ei m-au trezit din somn.

• Când mi-am zidit casă pentru viaţă lungă şi liniştită, ei au răsturnat-o şi m-au izgonit afară.

Într-adevăr vrăjmaşii m-au dezlegat de lume şi mi-au prelungit mâinile până la veşmântul Tău.

Binecuvântează Doamne pe vrăjmaşii mei!

Binecuvântează-i şi-i înmulţeşte; asmute-i şi mai mult împotriva mea, ca fuga mea spre Tine să fie fără întoarcere; ca să se rupă nădejdea mea în oameni ca pânza de păianjen; ca smerenia să împărăţească deplin în inima mea; ca inima mea să devină mormântul celor rele. Ca toată comoara mea să o aduni în ceruri.

Ah, de m-aş elibera odată de autoamăgire, care m-a încâlcit într-o mreajă cumplită a vieţii înşelătoare!

Vrăjmaşii m-au învăţat să ştiu ceea ce puţini ştiu în lume: că omul nu are pe pământ vrăjmaşi afară de sine însuşi. Doar acela urăşte pe vrăjmaşi, care nu ştie că vrăjmaşii nu sunt vrăjmaşi, ci prieteni severi.

De aceea, Doamne, binecuvântează pe prietenii şi pe vrăjmaşii mei!

Sluga blesteamă pe vrăjmaşi căci nu ştie, iar Fiul îi binecuvântează căci ştie. Fiul ştie că vrăjmaşii nu pot să se atingă de viaţa lui. De aceea El păşeşte liber între ei şi se roagă lui Dumnezeu pentru aceştia.

Doamne binecuvântează pe vrăjmaşii mei! Şi eu îi binecuvântez şi nu-i blestem.

 
108

Foto 108

 
108

Foto 108

 
"I fondamenti della concezione sociale" - II. Chiesa e nazione

Il carattere universale della Chiesa

II.1. Il popolo di Israele dell'Antico Testamento è stato il prototipo del popolo di Dio, della Chiesa di Cristo nel Nuovo Testamento. L'opera redentrice di Gesù Cristo ha dato inizio all'esistenza della Chiesa come umanità nuova, discendenza spirituale del patriarca Abramo. Con il suo sangue, Cristo ha riscattato per Dio «uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione» (Ap 5,9). La Chiesa per sua stessa natura ha un carattere universale e, di conseguenza, sovranazionale. Nella Chiesa «non c'è distinzione fra Giudeo e Greco» (Rm 10,12). Come Dio non è il Dio solo dei giudei, ma anche di coloro che provengono dai popoli pagani (Rm 3,29), così anche la Chiesa non opera divisioni di nazionalità o di classe sociale fra gli uomini : in essa «non c'è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti» (Col 3,11).

Nel mondo contemporaneo il concetto di «nazione» viene utilizzato in due accezioni: come comunità etnica e come insieme di cittadini di un determinato stato. I rapporti tra Chiesa e nazione devono essere considerati nel contesto sia del primo che del secondo significato di questo termine.

Per indicare il concetto di «popolo» l’Antico Testamento si serve dei termini 'am e goy. La Bibbia ebraica attribuisce a questi due termini un significato del tutto concreto: con il primo si designava il popolo di Israele, eletto da Dio; con il secondo, al plurale (goyim), si indicavano i popoli pagani. Nella Bibbia greca (Settanta) il primo termine era tradotto con le parole laos (popolo) o demos (popolo come formazione politica), il secondo con il vocabolo ethnos (nazione; pl. ethne, i pagani).

La contrapposizione tra il popolo eletto d'Israele e gli altri popoli si ripropone in tutti i libri dell'Antico Testamento che in un modo o nell'altro raccontano la storia di Israele. Il popolo di Israele era eletto da Dio non perché fosse superiore agli altri popoli per numero o per qualche altra prerogativa , ma perché Dio l'aveva scelto e lo amava (Dt 7, 6-8). Il concetto di popolo eletto da Dio nell'Antico Testamento era un concetto religioso. Il sentimento di comunità nazionale, peculiare dei figli di Israele, era radicato nella coscienza della loro appartenenza a Dio mediante l'alleanza conclusa da Dio con i loro padri. Il popolo di Israele divenne il popolo di Dio, la cui vocazione era conservare la fede nell'unico vero Dio e testimoniare questa fede davanti agli altri popoli, affinché per mezzo di esso fosse rivelato al mondo il Salvatore di tutti gli uomini, il Dio-uomo Gesù Cristo.

L'unità del popolo di Dio era garantita, oltre che dall'appartenenza di tutti i suoi membri a una sola religione, anche dalla comunanza di razza e lingua e dal radicamento in una determinata terra, la propria patria.

L'identità razziale degli israeliti era fondata nell’origine da un unico patriarca, Abramo. «Abbiamo Abramo per padre» (Mt 3,9; Lc 3,8), affermavano gli antichi ebrei, sottolineando la propria appartenenza alla stirpe di colui che Dio aveva predestinato a diventare «padre di una moltitudine di popoli» (Gen 17,5). Un grande significato era attribuito alla preservazione della purezza del sangue: i matrimoni con persone di razza diversa non erano approvati, perché con tali matrimoni «la stirpe santa» si mescolava «con le popolazioni locali» (Esd 9,2).

Al popolo d'Israele era stata data da Dio in sorte la terra promessa. Uscendo dall'Egitto, questo popolo andò in Canaan, la terra dei suoi avi e, per ordine di Dio, la conquistò. Da questo momento la terra di Canaan divenne la terra d'Israele, e la sua capitale – Gerusalemme – divenne il principale centro spirituale e politico del popolo eletto. Il popolo di Israele parlava una sola lingua, che era la lingua non solo della vita quotidiana, ma anche della preghiera. L’ebraico era inoltre la lingua della Rivelazione, poiché in essa Dio stesso parlava con il popolo d'Israele. Nell'epoca precedente l'avvento di Cristo, quando gli abitanti della Giudea parlavano in aramaico, e il greco fu elevato al rango di lingua ufficiale, l'ebraico continuò a essere considerato la lingua sacra, nella quale si celebravano i riti religiosi nel tempio.

Essendo per sua natura universale, la Chiesa nello stesso tempo è un organismo unitario, un corpo (1Cor 12,12). Essa è la comunità dei figli di Dio, «la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato... un tempo non-popolo, ora invece il popolo di Dio» (1Pt 2,9-10). L'unità di questo nuovo popolo è data non dall'unità nazionale, culturale o linguistica, ma dalla fede in Cristo e nel Battesimo. Il nuovo popolo di Dio «non ha quaggiù una città stabile, ma cerca quella futura» (Eb 13,14). La patria spirituale di tutti i cristiani non è la Gerusalemme terrena, ma quella «di lassù» (Gal 4,26). Il vangelo di Cristo viene predicato non in una lingua sacra, comprensibile a un solo popolo, ma in tutte le lingue (At 2,3-11). Il vangelo viene proclamato perché non il solo popolo eletto custodisca la vera fede, ma perché «nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre» (Fil 2,10-11).

 

Il principio della patria terrena

II.2. Il carattere universale della Chiesa, tuttavia, non significa che i cristiani non abbiano il diritto a una propria identità nazionale e a una lingua nazionale. Anzi, la Chiesa riunisce in sé il principio universale con quello nazionale. Così, la Chiesa ortodossa, pur essendo universale, è costituita da una molteplicità di chiese locali autocefale. I cristiani ortodossi, pur avendo coscienza di essere cittadini della patria celeste, non devono dimenticare la propria patria terrena. Lo stesso divino Fondatore della Chiesa, il Signore Gesù Cristo, non aveva un rifugio terreno (Mt 8,20) e affermava che il suo insegnamento non aveva carattere né locale né nazionale: «È giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre» (Gv 4,21). Egli, d'altra parte, identificava se stesso con il popolo al quale apparteneva per generazione umana. Parlando con la donna samaritana, egli sottolinea la propria appartenenza alla nazione giudaica: «Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei» (Gv 4,22). Gesù era un suddito leale dell'Impero romano e pagava i tributi dovuti a Cesare (Mt 22,16-21). L'apostolo Paolo, pur avendo sottolineato nelle sue lettere la natura sovranazionale della Chiesa di Cristo, non dimentica che egli è per nascita «ebreo da Ebrei» (Fil 3,5), ma per cittadinanza romano (At 22,25-29).

Le differenze culturali fra i singoli popoli trovano espressione nelle forme liturgiche ed ecclesiali e nelle peculiarità dello stile di vita cristiano. Tutto questo dà vita alla cultura cristiana nazionale.

Tra i santi venerati dalla Chiesa ortodossa, molti sono stati celebrati per l'amore verso la propria patria terrena e per la loro dedizione a essa. Le fonti agiografiche russe esaltano il santo principe Michail di Tver', che «diede la sua anima per la patria», paragonando la sua impresa con il martirio del protomartire Demetrio di Tessalonica, «fervido amante della patria... così pregò per la patria sua, la città di Tessalonica: o Signore, qualora dovesse perire questa città, allora anch'io morirò con essa, qualora dovessi salvarla, allora anch'io sarò salvo».

In tutti i tempi la Chiesa ha esortato i suoi figli ad amare la patria terrena e a non risparmiare la vita per difenderla, qualora fosse minacciata da un pericolo. La Chiesa russa più volte ha benedetto il popolo che si impegnava in una guerra di liberazione. Così, nel 1380, il beato Sergio, igumeno e taumaturgo di Radonez, benedisse l'esercito russo guidato dal santo principe Dimitrij Donskoj che andava in battaglia contro i conquistatori tartaro-mongoli. Nel 1612 il santo Germogen, Patriarca di Mosca e di tutta la Russia, benedisse le milizie irregolari in lotta contro gli invasori polacchi. Nel 1813, al tempo della guerra contro gli invasori francesi, il santo Filarete di Mosca disse ai suoi fedeli: «Cercando di sfuggire alla morte per onore della fede e per la libertà della Patria, tu morirai come un criminale o uno schiavo; se morirai per la fede e per la Patria, riceverai la vita e una corona in cielo».

S. Giovanni di Kronstad così scriveva dell'amore verso la patria terrena: «Ama la patria terrena... essa ti ha allevato, formato, onorato, ti ha soddisfatto in tutto; ma soprattutto ama la patria celeste... questa patria è incomparabilmente più cara di quella, perché è santa e giusta, eterna. Questa patria è stata meritata per te dal preziosissimo sangue del Figlio di Dio. Ma per essere membro di questa patria, osserva e ama le sue leggi, come sei tenuto a osservare e osservi le leggi della patria terrena».

 

Il patriottismo del cristiano ortodosso

II.3. Il patriottismo cristiano si manifesta contemporaneamente nei confronti della nazione sia come comunità etica che come comunità di cittadini dello stato. Il cristiano ortodosso è chiamato ad amare la propria patria, che ha una dimensione territoriale, e i propri fratelli di sangue che vivono in tutto il mondo. Tale amore è uno dei modi di attuare il comando di Dio dell'amore del prossimo, che comprende l'amore per la propria famiglia, i connazionali e i concittadini.

Il patriottismo del cristiano ortodosso deve essere efficace. Esso si manifesta nella difesa della patria dal nemico, nel lavoro per il bene della patria, nella sollecitudine per l'organizzazione della vita del popolo, anche mediante la partecipazione al governo dello stato. Il cristiano è chiamato a custodire e a sviluppare la cultura nazionale e l'autocoscienza del popolo.

La nazione, civile o etnica, quando è del tutto o per la maggior parte una comunità ortodossa monoconfessionale, può essere in un certo senso considerata un'unica comunità di fede: una nazione ortodossa.

 

Le distorsioni del sentimento nazionale

II.4. Nello stesso tempo i sentimenti nazionali possono indurre a convinzioni e fenomeni peccaminosi, quali il nazionalismo aggressivo, la xenofobia, la pretesa supremazia nazionale, l'ostilità interetnica. Nella loro espressione estrema questi fenomeni spesso portano alla restrizione dei diritti di individui e di popoli, alle guerre e ad altre manifestazioni di violenza.

È contrario all'etica ortodossa operare distinzioni di carattere morale fra le nazioni e umiliare una qualsiasi nazione, etica o civile. A maggior ragione sono in contrasto con l'ortodossia gli insegnamenti che mettono la nazione al posto di Dio o degradano la fede a uno degli aspetti dell'autocoscienza nazionale.

Opponendosi a tali distorsioni peccaminose, la Chiesa ortodossa attua la missione di riconciliazione tra le nazioni ostili e i loro rappresentanti. Così, nel corso dei conflitti interetnici essa non si schiera con questa o quella parte, a eccezione dei casi in cui una delle parti abbia perpetrato un’evidente aggressione o una palese ingiustizia.

 
108

Foto 108

 
Noţiuni elementare despre stil calendaristic

O temă des abordată în publicistica moldovenească şi, din păcate, de cele mai multe ori neglijată de către autorităţile bisericeşti din partea dreaptă a Prutului, este acea a diferenţelor ce ţin de celebrarea sărbătorilor religioase. Vom încerca în continuare, pe scurt, să clarificăm unele aspecte ale acestei probleme care nu au fost, credem, elucidate îndeajuns.

Ce semnificaţie are Calendarul bisericesc?

Termenul de calendar provine de la latinescul kalendae – a chema, a convoca. În antichitate acest cuvînt desemna zilele cînd cetăţenii romani erau chemaţi la nişte adunări publice din incinta forumului, unde luau cunoştinţă de lucruri de interes public. În înţeles religios, calendarul desemnează perioadele de timp în care oamenii sînt chemaţi pentru a comunica cu Dumnezeu – Creatorul lumii. Aceste perioade de timp au fost şi sînt calculate după criterii Scripturistice şi astronomice stricte.

De ce zicem „criterii Scripturistice”? Motivul constă în stabilirea datei principalei sărbători creştine – Sfintele Paşti sau Învierea Domnului nostru Iisus Hristos. Stabilirea acestei date ţine, în cea mai mare parte, de explicaţiile date în Evangheliile sinoptice[1] şi în primele cărţi ale Vechiului Testament. Acesta este şi punctul de început pentru întregul ciclu calendaristic bisericesc. Tradiţia calculării datei Sfintelor Paşti şi după acesta a celorlalte sărbători religioase ţine, încă de la începuturile creştinismului, definitivîndu-se în secolele IV-V în şcoala alexandrină.

Calendarul bisericesc ortodox nu este o simplă şi sterilă numărătoare de zile. După Tradiţia Ortodoxă în decursul fiecărei zile se săvîrşeşte Sfînta Liturghie. În cadrul acestora se citesc pericopele[2] din Sfînta Evanghelie şi Apostolul. Totodată în fiecare zi se cîntă în bisericile ortodoxe după unul din cele opt glasuri alcătuite de Sfîntul Ioan Damaschin (în fiecare zi diferit). În dreptul fiecărei date de pe calendarul bisericesc stau înscrise numele Sfinţilor care au pătimit şi s-au proslăvit în acea zi. Întru amintirea lor se citesc în decursul anului, după cele opt glasuri, 12 cărţi, numite Minee, în care se conţin cîntări pentru fiecare zi. Se mai folosesc şi încă trei cărţi cu cîntări care elogiază şi ne amintesc despre viaţa şi activitatea Mîntuitorului pe pămînt. Acestea sînt: Triodul[3], Penticostarul[4] şi Octoihul[5]. Pentru slujbele din fiecare zi din an informaţiile se găsesc în nişte îndrumare speciale, editate pentru preoţi, corişti şi toţi cei cointeresaţi.[6]

Pentru a nu induce în eroare cititorul, ţinem să facem o precizare necesară: încă de la început calendarele astronomice erau în strînsă legătură cu concepţiile religioase ale omului. Abia în perioada renaşcentistă şi mai apoi în cea umanistă, cînd egocentrismul a luat locul teocentrismului, calendarul a devenit un atribut exclusiv al relaţiilor interumane. Legătura cu Dumnezeu a început să fie, pur şi simplu, neglijată. Aşa au apărut nişte tentative de alcătuire a unor calendare, exclusiv, civile. De pildă, în perioada Revoluţiei franceze la cele şapte zile ale săptămînii (care aminteau de cele şapte zile ale creaţiei) s-au adăugat încă trei, iar în timpul Revoluţiei ruse au fost scăzute ultimele două zile, rămînînd doar cinci. Aceste calendare au rezistat numai în perioada tulburărilor sus amintite, din cauză că au fost prost alcătuite neţinîndu-se cont de multe aspecte importante.

Principalele caracteristici ale stilului nou

Stilul nou a fost introdus, aproximativ, din aceleaşi cauze. Motivul expus în public era cel al „îndreptării” calendarului iulian. De fapt, interpretînd greşit canonul al şaptelea al primului Sobor Ecumenic de la Niceea, în care ideea principală consta în a nu admite ca Sfintele Paşti să fie serbate cu iudeii[7], Vaticanul reuşeşte să impună treptat ţărilor din Europa această nouă rătăcire în practica liturgică bisericească. În anul 1582 papa Grigorie al XIII-lea a emis o bulă[8] în care noul stil se declara infailibil[9]. Se vede că nu era deajuns Occidentului inovaţiile de tip „filioque” şi  de „infailibilitate papală” să adîncească prăpastia cu Ortodoxia, a mai trebuit ca să intervină şi diferenţele de practică liturgică. Pe parcursul timpului, acestea se vor mări, ajungîndu-se la oficierea liturghiei catolice în ritm techno sau rock, chiar în inima cetăţii pontificale, în prezenţa defunctului papă Ioan Paul al II-lea.

Decizia, prin care de pe 4 octombrie 1582 se trecea direct pe data de 15 a aceleiaşi luni, a generat mai multe neajunsuri esenţiale:

- au fost încălcate canoanele sinodale prin care se interzicea serbarea concomitentă a Învierii Domnului cu Paştile iudaice. Numai în ultimele două secole acest lucru s-a produs de vreo 40 de ori.

- a fost perturbat şirul neîntrerupt al zilelor de la Facerea Lumii. Conform Sfintelor Scripturi, de la Creaţie şi pînă la Naşterea Domnului s-au scurs 5508 ani. După stilul nou acest şir este întrerupt în data de 4 octombrie 1582. Datorită acestui lucru în 1583 astronomul francez Joseph Justus Scaliger (1540-1609) a introdus o nouă perioadă pascală ciclul căreia începe cu data de 1 ianuarie 4713 î.Hr. şi care nu are nici un coeficient biblic sau istoric.

- a fost îngreuiat calculul practic al calendarului gregorian. Dacă perioada calendarul iulian este de patru ani (3 ani obişnuiţi şi unul bisect), atunci la cel gregorian este de 400 de ani, ceea ce face ca primul să fie de 100 de ori mai simplu. În plus, calculul pentru stilul nou se efectuează mai întîi trecîndu-se, prin datele obţinute pentru calendarul iulian.

- nu s-a reuşit fixarea mersului lunii şi echinocţiului de primăvară într-o dată fixă prin încadrarea în calendarul gregorian – scopul expus iniţial prin bula papei Grigorie al XIII-lea „Inter gravissimas”. Mai mult, Vaticanul, încă din secolul XIX, nu a exclus posibilitatea trecerii la un alt calendar – „universal”.

Astăzi se încearcă în repetate rînduri să se folosească problema diferenţelor calendaristice în scopuri ce ţin de interese personale sau comunitare meschine.

În primul rînd se vehiculează ideea că noi ar trebui să ne integrăm în Europa, şi sub aspect religios calendarul fiind unul din punctele de cotitură în acest proces. De aceea sîntem, uneori, obligaţi să ne apropriem aşa zisele „valori” ale Occidentului acolo unde, poate prea puţini încă ştiu, Biserica Ortodoxă este considerată o unealtă a ambiţiilor politice – un impediment major în procesul de aşa zisă „democratizare” a ţării. În realitate, prin politica de oprimare duhovnicească a populaţiei – politică practicată şi după căderea imperiului comunist – se doreşte o înrobire benevolă a unui popor care încă de la naşterea sa a fost liber.

Se mai invocă şi argumente de natură politică, de pildă, faptul că aşa-zisul „stil vechi” ar ţine, doar, de tradiţia şi cultura vecinilor de la Răsărit. Prin acesta Rusia ar încerca să îşi păstreze în continuare influenţa asupra ţării noastre. Renunţarea la stilul vechi ar însemna, literalmente, ieşirea de sub influenţa politică exercitată de Rusia şi ar apropia mult dorita integrare în Uniunea Europeană. Nimic mai fals, pe lîngă ţările din fostul spaţiu sovietic, de calendarul corect bisericesc mai ţin Patriarhia Ierusalimului, Serbia şi Muntele Athos (leagănul şi deopotrivă fortăreaţa Ortodoxiei). Trecerea pe stil nou în ţările ortodoxe s-a produs abuziv pe timpul patriarhului mason Meletie Metaxakis care într-un aşa zis „sinod pan-ortodox”(1923) cere imperativ tuturor bisericilor orientale trecerea la calendarul gregorian. De atunci datează şi diferenţierea calendaristică interortodoxă.

Doar în ultimul rînd este adus firavul argument ştiinţific, care în mediile academice a fost de mult infirmat prin observaţii şi calcule indubitabile. Argumentul expus de ei este că stilul nou, din punct de vedere astronomic, este mai precis decît calendarul iulian.

Ce nu ştiu cei ce tratează superficial subiectul

Pentru a vorbi despre calendarul bisericesc ortodox este necesar, mai întîi, de a frecventa cît mai des Biserica. Mai apoi, este necesar de a pătrunde şi a cunoaşte, cît mai bine, din interior toate aspectele vieţii duhovniceşti ale creştinilor. Treptat, se intră în ritmul acestei trăiri, care devine indispensabilă unui creştin adevărat. Numai în prisma acestui context a putut fi alcătuit de către unii şi mai apoi păstrat de către alţii calendarul bisericesc ortodox.

În anul 1922 Dr. Constantin Chiricescu, Profesor şi Decan al Facultăţii de Teologie din Bucureşti, editează cartea intitulată „Calendar Bisericesc Ortodox pe toţi anii” în care dă cîteva indicii despre întocmirea acestuia: „Dintre feluritele metode întrebuinţate pentru aflarea datei lunare a Duminicii în care cad Paştile, în oricare an, trecut sau viitor, în nesfîrşit am ales pe următorul, care constă din combinarea ciclului lunar[10] cu ciclul solar[11] în Tabela perpetuă[12], pe care Monahul Isaac Arghirul (din veacul al XIV-lea) ne-a dat-o sub numele Sfîntului Ioan Damaschin (din veacul al VIII-lea).[13]

Toţi anii de la Hristos – aceştia ne interesează în lucrarea de faţă – coincid cu vreunul sau altul din anii ciclului lunar sau solar.

Restul operaţiunii: A-2 /  19 a) arată anul din ciclul lunar care coincide cu anul dat, de la Hristos.

Dacă nu este rămăşiţă anul ciclului lunar este 19.

De exemplu: În al cîtelea an al ciclului lunar va cădea anul 1970 după Hristos?

1970 – 2 = 1968; 1968 = 19 * 103 + 11.

Cifra 11 arată anul ciclului lunar, care coincide cu anul 1970.

Restul operaţiunii: A-8 / 28 b) arată anul din ciclul solar, care coincide cu anul dat, de la Hristos. Dacă nu este rămăşiţă, anul ciclului solar este 28.

De exemplu: În al cîtelea an al ciclului solar va cădea anul 1970 după Hristos?

1970 – 8 = 1962; 1962 = 28 * 70 + 2.

Cifra 2 arată anul ciclului solar, care coincide cu anul 1970.

Deci, anul 1970 după Hristos va coincide cu anul 11 al ciclului lunar şi cu anul 2 al ciclului solar. Căutînd aceşti doi ani (11 şi 2) în Tabela amintită, putem afla data lunară a Duminicii Paştilor, în 1970. În cazul nostru, tabela ne arată că în anul 1970, Paştile vor fi Duminică 13 Aprilie. Combinînd, astfel, ciclul lunar cu ciclul solar, conţinînd toate datele obţinute, privind data şi ziua Sfintelor Paşti, obţinem „Ciclul pascal tip” de 532 ( 19´28) de ani. După terminarea acestui ciclu, Paştile cad din nou în aceeaşi dată lunară şi în aceeaşi rînduială, în fiecare an din toate şirurile următoare de cîte 532 de ani.”

Lăsînd la o parte toate aceste calcule, după cum am zis mai sus, numai dreapta credinţă este în posesia adevărului. Acest fapt ne este dovedit de aproape 1900 de ani şi de miracolul pogorîrii Luminii Sfinte la Mormîntul Domnului din Ierusalim exact în Sîmbăta Mare înainte de Sfintele Paşti. Este de neînţeles faptul cum avînd la îndemînă acestă minunată mărturie a revelaţiei dumnezeieşti, lumea se mai încumetă să mai pună la îndoială data şi ziua serbării celei mai mari Sărbători a creştinătăţii.

Toate aceste erori se explică printr-o reavoinţă, incapacitate de a înţelege şi accepta adevărul de credinţă demonstrat pentru unii, pînă şi ştiinţific, sau cel mai plauzibil ar fi că aceste două explicaţii, la noi în ţară, merg mînă în mînă. Acestea convin celora care nu vor să depună prea mult efort în cercetarea şi rezolvarea problemelor de interes major. Astfel populaţia este indusă în eroare prin intermediul presei, care a mai rămas încă roabă concepţiilor empirismului ateu. De aceea este preferabil ca cei care nu sînt competenţi în probleme de natură teologică, să nu îşi expună concepţiile şi ideile aberante.

Mihai Dohot

 

[1] Evangheliile după Matei, Marcu şi Luca din Noul Testament.

[2] pasaj sau fragment din Sfînta Scriptură.

[3] se citeşte de la Duminica Vameşului şi a Fariseului (cu trei săptămâni înainte de începutul postului Paştilor) până la Duminica Paştilor ( în total 10 săptămâni).

[4] se citeşte de la Duminica Paştilor până la Duminica I-a după Rusalii sau a Tuturor Sfinţilor ( în total opt săptămâni).

[5] se citeşte tot restul anului între perioada Penticostarului şi a Triodului.

[6] De pildă în ziua de joi, 9 martie 2006, ar fi trebuit să fie sărbătoarea „Primei (sec IV) şi a doua (452) Aflări a Cinstitului Cap al Sfîntului Prooroc şi Înaintemergător Ioan Botezătorul”, dar pentru că am intrat deja în prima săptîmînă a Postului Mare, Liturghia va fi oficiată în prima sîmbătă a primei săptămîni de post(adică pe 11 martie). Dimineaţa, însă, la ceasul 6 se va citi pericopa din a doua carte a lui Moise – Ieşirea (din capitolul II, versetele 11-21), iar seara se va oficia pavecerniţa şi Canonul Sfîntului Andrei Criteanul. Se vor mai citi pericopele din cartea Facerii (cap. II,4-19) şi din cartea Pildelor lui Solomon (cap. III, 1-18).

[7] canonul 7 Apostolic: „Dacă vreun episcop sau presbiter sau diacon, va sărbători Sfînta Zi a Paştilor cu iudeii, înaintea echinocţiului de Primăvară, să se caterisească”, ţinînd cont de:

- canonul 70 Apostolic: „ Dacă vreun episcop sau presbiter sau diacon … ar posti cu iudeii, sau ar prăznui sărbătorile cu ei … să se caterisească, iar dacă ar fi laic să se afurisească”;

- canonul 1 din Antiohia: „ iar dacă vreunul … va îndrăzni după hotărîrea aceasta să se osebească spre zăpăcirea popoarelor şi spre tulburarea bisericilor să serbeze Paştile cu evreii … acela să fie străin de Biserică;

- canonul 37 dinLaodiceea: „ Nu se cuvine … a serba cu iudeii sau ereticii”.

Ca şi în alte cazuri de erezii şi aici s-a denaturat  înţelesul primar al canonului, prin scoaterea lui din context.

[8] act oficial emis de papă pe care se ataşa o pecete (de aur sau alte metale preţioase) de la care îşi trage şi numele.

[9] care nu poate greşi, care nu se poate înşela; perfect, desăvârşit, fără cusur.

[10] un şir de 19 de ani care se repetă neîncetat, fazele lunei ( nouă, plină, etc.) căzînd din nou, aproape la aceeaşi dată a lunii, în fiecare ciclu.

[11] se înţelege un şir de 28 de ani care se repetă neîncetat, Duminicile şi celelalte zile ale săptămînii căzînd din nou şi regulat la aceeaşi dată a lunii, în fiecare ciclu.

[12] Tabela perpetuă a Monahului Isaac Arghirul.

 

Anii ciclului solar:

Anii ciclului lunar:

 

1

7

12

18

2

13

19

24

3

8

14

25

9

15

20

26

4

10

21

27

5

11

16

22

6

17

23

28

 

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

11

12

13

14

15

16

17

18

19

 

7 Aprilie

24 Martie

14 Aprilie

31 Martie

21 Aprilie

14 Aprilie

31 Martie

21 Aprilie

7 Aprilie

31 Martie

14 Aprilie

7 Aprilie

24 Martie

14 Aprilie

31 Martie

21 Aprilie

7 Aprilie

31 Martie

14 Aprilie

 

 6 Aprilie

 23 Martie

 13 Aprilie

 6 Aprilie

 20 Aprilie

 13 Aprilie

 30 Martie

 20 Aprilie

 6 Aprilie

 30 Martie

 13 Aprilie

 6 Aprilie

 23 Martie

 13 Aprilie

 30 Martie

 20 Aprilie

 6 Aprilie

 30 Martie

 20 Aprilie

 

 5 Aprilie

 29 Martie

 12 Aprilie

 5 Aprilie

 19  Aprilie

 12 Aprilie

29 Martie

 19 Aprilie

 5 Aprilie

 29 Martie

 19 Aprilie

 5 Aprilie

 22 Martie

 12 Aprilie

 5 Aprilie

 19 Aprilie

 12 Aprilie

29 Martie

 19 Aprilie

 

 4 Aprilie

 28 Martie

 11 Aprilie

 4 Aprilie

 25 Aprilie

 11 Aprilie

 28 Martie

 18 Aprilie

 11 Aprilie

 28 Martie

 18 Aprilie

 4 Aprilie

 28 Martie

 11 Aprilie

 4 Aprilie

 18 Aprilie

 11 Aprilie

 28 Martie

 18 Aprilie

 

 3 Aprilie

 27 Martie

 17 Aprilie

 3 Aprilie

 24 Aprilie

 10 Aprilie

 3 Aprilie

 17 Aprilie

 10 Aprilie

 27 Martie

 17 Aprilie

 3 Aprilie

 27 Martie

 10 Aprilie

 3 Aprilie

 24 Aprilie

 10 Aprilie

 27 Martie

 17 Aprilie

 

 9 Aprilie

 26 Martie

 16 Aprilie

 2 Aprilie

 23 Aprilie

 9 Aprilie

 2 Aprilie

 16 Aprilie

 9 Aprilie

 26 Martie

 16 Aprilie

 2 Aprilie

 26 Martie

 16 Aprilie

 2 Aprilie

 23 Aprilie

 9 Aprilie

 26 Martie

 16 Aprilie

 

 8 Aprilie

 25 Martie

 15 Aprilie

 1 Aprilie

 22 Aprilie

 8 Aprilie

 1 Aprilie

 22Aprilie

 8 Aprilie

 25 Martie

 15 Aprilie

 8 Aprilie

 25 Martie

 15Aprilie

 1 Aprilie

 22 Aprilie

 8 Aprilie

 1 Aprilie

 15 Aprilie

 
[13] Avînd la îndemînă aceste explicaţii vă recomandăm să vă convingeţi de simpleţea şi justeţea afirmaţiilor:

a) 2 sînt anii care lipsesc din ciclul lunar (al 290-lea) de la Facerea Lumii pînă la Hristos (5508 = 19*289+17). Deci, ori formula: A+17/19, ori: A-2/19.

b) 8 sînt anii care lipsesc din ciclul solar (al 197-lea) de la Facerea Lumii pînă la Hristos (5508 = 28*196+20). Deci, ori formula: A+20/28, ori: A-8/28.

 

 
Il digiuno nella Chiesa ortodossa

Allora gli si accostarono i discepoli di Giovanni e gli dissero: “Perché, mentre noi e i farisei digiuniamo, i tuoi discepoli non digiunano?”, E Gesù disse loro: “Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto mentre lo sposo è con loro? Verranno però i giorni quando lo sposo sarà loro tolto e allora digiuneranno”, (Mt 9, 14-15)

Quasi tutti hanno sentito questo passo delle Scritture, ma generalmente non hanno la più pallida idea di come interpretarlo nella pratica. La Chiesa ortodossa è l’unica tradizione cristiana che ha conservato e che mantiene un programma specifico e rigoroso per seguire la pratica del digiuno, che porta salute e profitto spirituale. Prima di scendere nei dettagli del digiuno nella Chiesa ortodossa, dovremmo prima considerare le ragioni per cui digiuniamo. Se infatti capiamo perché digiuniamo, troveremo spesso che il digiuno è molto più facile da mettere in pratica. Prima di tutto, noi non digiuniamo per punire noi stessi. Questo approccio molto negativo è di fatto un’attitudine che veniva sostenuta un tempo dai cattolici romani, quando praticavano ancora il digiuno. C’è una distinzione delicata ma significativa tra una contrizione fondata sull’esame personale di se stessi e una colpa generica che ha ben poco rapporto con la realtà, e che spesso può rendere una persona psicologicamente invalida. La prima è essenziale alla formazione di un concetto ortodosso del peccato e del pentimento. La seconda è un’aberrazione che trova un esempio nelle nozioni occidentali del peccato originale e del corrispondente modello giuridico di salvezza che cerca di pacificare un Dio “adirato” e “offeso”. Ci si lasci sottolineare che noi ortodossi digiuniamo soprattutto per ricordare ed emulare Adamo ed Eva nel loro stato originale prima della Caduta. A quel tempo, secondo le Scritture, essi non consumavano prodotti animali di alcun tipo, e certamente non uccidevano animali per mangiarne la carne. Il digiuno ortodosso, così, restringe la gamma di cibi che possiamo mangiare, piuttosto che la loro effettiva quantità, in un tentativo di ritornare al cibo che si mangiava nel Giardino dell’Eden. Anche se esistono certi giorni nella Grande Quaresima e nella Grande Settimana in cui non si mangia alcun cibo, lo schema consueto di digiuno comporta l’astinenza da prodotti animali, pesce, vino e olio d’oliva. Perciò, è possibile mantenere il digiuno ortodosso senza sentirsi affatto puniti o sottoposti a ristrettezze. Questa emulazione dei nostri progenitori, Adamo ed Eva, porta anche a una seconda meta del digiuno, la salute del corpo. I Padri della Chiesa hanno a lungo sostenuto che il consumo di carne eccita le passioni ed è insalubre. Anche la scienza medica è giunta a mettere in questione la sicurezza dei cibi animali, provando che il colesterolo (fonte di arteriosclerosi, ipertensione e disordini cardiaci) si trova in tutti i cibi che la Chiesa ortodossa proibisce nei digiuni. Limitando la nostra assunzione di prodotti animali, diamo anche ai nostri corpi la possibilità di depurare le tossine accumulate nel nostro sistema.

La terza ragione per digiunare è forse, almeno per noi in Occidente, una delle più importanti: I’autocontrollo. Ogni giorno la nostra vista e il nostro udito sono inondati di migliaia di messaggi, che ci richiamano, ci seducono e ci incantano ad abbandonarci a una forma o un’altra di eccesso. La ricerca statistica mostra che noi ascoltiamo questi messaggi, e agiamo di conseguenza. L’occidentale medio dei nostri giorni ha un tenore di vita che un tempo era riservato all’alta aristocrazia. Il lusso e il comfort di cui godiamo tende a scacciare la vita spirituale così come le spine soffocarono il seme nella parabola raccontata dal Signore (M t 13:7). Perciò, addestrare noi stessi al rifiuto e all’autocontrollo, imparare l’arte di astenerci con garbo da un semplice pezzo di formaggio in un giorno inappropriato, è una delle lezioni di maggior valore che la Chiesa ci può offrire. Le regole di digiuno generalmente accettate nella Chiesa ortodossa sono le seguenti:

1. A meno che non sia specificato altrimenti, nei giorni di digiuno non mangiamo alcun tipo di prodotti animali. Questi includono le parti di qualsiasi mammifero (bovini, ovini, suini, etc.), pollame e uccelli, o pesci. Ciò include anche i prodotti derivati da questi animali (latte, formaggi, uova). Anche l’olio d’oliva è incluso nei prodotti da cui ci si astiene nei giorni di digiuno. Questo è per una ragione molto speciale, che rimanda indietro al tempo in cui una colomba riportò nell’Arca un ramoscello d’ulivo come segno della misericordia di Dio sul mondo dopo il diluvio. (Gen 8: Il). Perciò, durante il digiuno mettiamo da parte l’olio d’oliva in anticipazione dei segni di misericordia di Dio. Si può notare la somiglianza tra le parole greche per “olio d’oliva” (elaion) e “misericordia” (eleos).

2. Le bevande alcoliche sono permesse come segue: a. I liquori di ogni tipo (vale a dire, le bevande più forti del vino) si possono consumare solo quando sono permessi la carne o i latticini.

b. Il vino è permesso nei giorni specifici di digiuno in cui il Santo del giorno è commemorato con una Dossologia cantata, o in cui è prescritto un Polieleo. Questi giorni sono sempre specificati nel Calendario della Chiesa. Anche l’olio d’oliva è permesso in questi giorni, che vengono comunemente chiamati “giorni di vino e olio”.

c. La birra è permessa in ogni periodo, e per i fini del digiuno non è considerata una bevanda alcolica.

3. Vi sono anche giorni di digiuno in cui è permesso il pesce, in aggiunta a vino e olio. Anche questi giorni sono specificati nel Calendario della Chiesa, e sono generalmente giorni di grandi festività, come la Trasfigurazione o I’Annunciazione, che cadono all’interno di periodi di digiuno.

Talvolta si mangia pesce anche alla Festa patronale di una parrocchia o di un monastero quando questa cade in un giorno di digiuno, anche se questo costume è in violazione delle regole di digiuno più strette.

4. Crostacei e molluschi (gamberi, frutti di mare, lumache, etc.), rettili (e.g. tartarughe) e anfibi (e.g., rane) sono tutti permessi in qualsiasi giorno di digiuno.

5. Spesso si usano durante i digiuni alcuni prodotti sostitutivi di origine non animale, come le carni finte di contenuto vegetariano. Questi prodotti normalmente non violano lo spirito del digiuno, poiché gran parte della ragione di evitare i prodotti animali è quella di evitare gli ormoni e i grassi che sono poco sani e che eccitano le passioni. Inoltre, quando siamo messi nella posizione di dover cercare i prodotti sostitutivi, questa stessa situazione instilla in noi la disciplina che il digiuno intende portare nelle nostre vite. Se, tuttavia, digiuniamo sostituendo costantemente la carne e i prodotti animali con altri cibi che sono stati riempiti di sostanze poco sane per renderli gustosi ed elaborati, allora violiamo il significato e il proposito del digiuno. In questo campo si deve esercitare un onesto controllo.

6. Molti ortodossi sostituiscono oli vegetali all’olio d’oliva in un giorno di digiuno. Strettamente parlando, questa pratica è accettabile. Tuttavia, anche l’uso di questi oli dovrebbe essere ristretto quanto possibile, poiché sono insalubri, e poiché sono spesso usati per aumentare il sapore naturale dei cibi: cose poco coerenti con lo spirito del digiuno. Un digiuno stretto, in cui non è permesso alcun tipo di olio, è detto “xirofagia” (nutrimento asciutto) ed è osservato dai monasteri più stretti nei giorni di digiuno e nei vari periodi quaresimali. Quando è seguita per brevi periodi, questa è una buona pratica anche per i laici.

7. I monaci ortodossi non mangiano mai carne o pollame, neppure nei giorni liberi da digiuno. Possono, tuttavia, mangiare pesce, latticini e uova nei giorni in cui questi sono permessi.

8. Le coppie sposate dovrebbero anche astenersi dai rapporti sessuali nei giorni di digiuno. Questo include anche i giorni liberi da digiuno nei quali si stanno preparando per la Santa Comunione. Questo è chiamato “digiuno del corpo”, e può aiutare a rafforzare un matrimonio quando è praticato con il mutuo consenso del marito e della moglie.

Questi sono i tempi in cui digiuniamo nella Chiesa ortodossa:

I. Ogni mercoledì e venerdì dell’anno, tranne che in certe settimane libere dal digiuno (queste eccezioni sono le settimane che seguono la Natività, la Domenica del Pubblicano e del Fariseo, la Pasqua e la Pentecoste). Il digiuno del mercoledì ricorda il tradimento di Cristo da parte di Giuda Iscariota, e il digiuno del venerdì commemora la sua Crocifissione. Nei monasteri, per inciso, anche i lunedì generalmente sono osservati come giorni di digiuno, in onore dei Santi Angeli.

2. La Chiesa ortodossa ha quattro periodi di digiuno nell’anno liturgico. Essi sono:

a. La Grande Quaresima. Le regole di digiuno per la Grande Quaresima sono elencate nella maggior parte dei calendari ortodossi.

b. Il Digiuno degli Apostoli. Questo periodo di digiuno inizia il lunedì dopo la Domenica di Tutti i Santi. Generalmente è un digiuno meno severo, in cui è ammesso il pesce al fine settimana, e in diversi giorni di festa durante il digiuno. I martedì e i giovedì sono giorni di vino e olio. Il Digiuno degli Apostoli termina il 29 Giugno, Festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo. Se questo giorno cade di mercoledì o venerdì, vi sono permessi pesce, vino e olio.

c. Il Digiuno della Dormizione. Tenuto in onore della Dormizione della Madre di Dio, questo è il più breve periodo di digiuno, e dura solo due settimane. Inizia il I Agosto e termina il 15. Il pesce è permesso solo alla Festa della Trasfigurazione (6 Agosto). I fine settimana di questo digiuno sono giorni di vino e olio. Se la Dormizione cade di mercoledì o venerdì, in quel giorno sono permessi pesce, vino e olio.

d. Il Digiuno della Natività. Questo digiuno inizia quaranta giorni prima della Festa della Natività (Natale), il 15 Novembre. Il digiuno è meno stretto fino al 20 Dicembre. Fino a quella data al fine settimana è permesso il pesce, e in seguito solo vino e olio. I martedì e i giovedì di tutto questo digiuno sono giorni di vino e olio.

Questi periodi di digiuno furono stabiliti molti secoli or sono per permettere ai cristiani ortodossi di prepararsi adeguatamente alle varie Feste del ciclo liturgico della Chiesa. Questo ciclo, come tutta la Santa Tradizione, è divinamente ispirato. Se come cristiani ortodossi dobbiamo partecipare pienamente al Calendario festivo, dobbiamo orientarci al programma di Dio, piuttosto che al nostro. Ciò significa che gli eventi sociali e familiari che ruotano attorno alle feste civili o alle feste religiose occidentali devono essere riveduti e riconsiderati a seconda dei periodi di digiuno con cui coincidono. Dobbiamo essere anche attenti a programmare i matrimoni al di fuori di qualunque periodo di digiuno. Non ha alcun senso che una coppia si sposi in un momento in cui il matrimonio non può essere consumato con la benedizione della Chiesa.

Nessun vescovo o prete, dovremmo aggiungere qui, ha l’autorità di concedere “dispense” da alcun giorno di digiuno, eccetto che per ragioni di salute e su base personale, caso per caso. Una simile pratica tra gli ortodossi in Occidente è una violazione della Santa Tradizione, e introduce nella Chiesa uno spirito di legalismo che compromette il modo di vita ortodosso e lo sottomette a idee e pratiche dell’Occidente moderno.

Il digiuno è uno dei modi principali in cui possiamo addestraci a essere nel mondo, ma non del mondo, e costituisce una delle sfide più competitive che un cristiano ortodosso segue in Occidente. Siamo circondati da persone che accettano quei messaggi che esaltano le “virtù” e i piaceri dell’indulgenza verso se stessi.

Pochi dei nostri conterranei di oggi ci sosterranno nella nostra Fede ortodossa, anche se tutti osserveranno con interesse i nostri sforzi, aspettando di vedere se siamo davvero seri riguardo a quanto sosteniamo di credere. Ciò è vero in modo speciale per i nostri familiari e amici eterodossi. Perciò, ci sono poche testimonianze di Ortodossia in Occidente più efficaci di quell’umile anima che si occupa tranquillamente di fare il proprio dovere a mantenere il digiuno.

Riguardo ai problemi di ogni giorno nel digiuno, cerchiamo di ricordare che le recenti mode legate alla salute e ai cibi naturali sono state una manna per gli ortodossi che digiunano in Occidente. I cibi che un tempo erano pieni di lardo o di altri grassi animali oggi sono preparati con oli vegetali. L’enfasi sui consumi consapevoli ha avuto come risultato una buona etichettatura di tutti i cibi, che rende possibile sapere esattamente quel che c’è nel cibo che compriamo. Molti eccellenti sostitutivi della carne, come il tofu e la “carne di soia”, oltre a vari piatti vegetariani, sono disponibili per l’acquisto nella maggior parte dei supermercati. Tutte queste cose, sconosciute pochi decenni or sono, rendono il digiuno più facile per i cristiani ortodossi in Occidente.

Il primo passo nel digiuno, quindi, è quello di familiarizzarvi con le risorse disponibili nella vostra area. Nelle librerie si trovano ottimi ricettari vegetariani. Prendetene uno o due e studiateli. Determinate gli ingredienti di base che vi serviranno per preparare un pasto vegetariano e cercate di trovarli nel vostro supermercato. Quando avrete provato alcune ricette. Scoprirete che circa il novanta per cento dei sapori di ogni ricetta viene da spezie, aglio e cipolle. La carne è più una questione di consistenza che di altro. Ci sono modi per imitare questa consistenza, che possono essere tanto semplici come mettere nelle zuppe o nelle insalate alcuni pezzetti di prodotti vegetali sostitutivi della carne. Il tofu (formaggio di soia) può imitare molto bene la carne tritata, e non ha alcun grasso. Ci sono sul mercato molti ottimi sostituti del latte, a base di soia e a basso contenuto di zuccheri, che si possono usare anche per la colazione. Ci sono molte altre cose disponibili; è soltanto una questione di tempo per trovarle.

Alcuni consigli serviranno a rendere più facile il digiuno.

Negli acquisti. Leggete le etichette! Alcuni pensano che leggendo attentamente le etichette si sviluppa un’attitudine farisaica. Ma questo non è proprio vero. Noi siamo farisei soltanto quando leggiamo le etichette del cibo degli altri (e questa è una cosa che capita). È una cosa perfettamente ragionevole voler sapere esattamente cosa stiamo mangiando, sia che digiuniamo o no. Non date per scontato che un cibo non contenga latticini o carne. Leggete le etichette. Alcuni dolci sono ancora fatti con il lardo. La gelatina è quasi sempre fatta con prodotti animali, e si dovrebbe evitare. Crostini e salatini sono spesso mescolati con parti di formaggio. Diversi prodotti a base di polpa di granchio hanno anche parti di pesce e uova. Tutti questi cibi presentano problemi in un regolare giorno di digiuno. Bisogna osservare con attenzione. La migliore regola generale è di non dare nulla per scontato.

A casa. La chiave per mantenere un buon digiuno, soprattutto nei periodi di digiuno più lunghi, è di sviluppare un buon repertorio di piatti. La Grande Quaresima può essere un’esperienza davvero difficile se mangiamo lenticchie tutti i giorni. Le lenticchie vanno bene, ma che dire di un fritto misto vegetariano, una buona insalata di pasta, riso ai gamberetti, o una zuppa di legumi misti? La lista può allungarsi all’infinito. L’essenziale è notare come vi sia una grande varietà di cibi che possiamo mangiare durante un digiuno. Il pane fatto in casa dà sempre a un pranzo un aspetto di festa, ed è ben più nutriente del pane disponibile sul mercato. Ci sono macchine impastatrici che rendono possibile anche alla famiglia più occupata di gustare questo piacere semplice.

Digiunare come famiglia è una situazione che richiede impegno, particolarmente da parte di marito e moglie. I bambini, soprattutto quelli piccoli, seguiranno qualsiasi programma stabilito dai genitori. Se i genitori si accostano ai giorni di digiuno con un’attitudine negativa, allora i bambini impareranno che i giorni di digiuno sono qualcosa di cui avere paura. Se i genitori non vedono l’ora di poter digiunare, altrettanto faranno i bambini.

La migliore attitudine da sviluppare è quella di un’accettazione umile: “Se oggi è mercoledì, allora di gelato o pizza ai formaggi non se ne parla nemmeno. Le lasceremo ai giorni in cui ne potremo mangiare”. Tali parole di incoraggiamento insegnano ai bambini ad accettare i giorni di digiuno senza alcuna sensazione negativa. E in un tempo in cui tanta gente nutre i propri figli con cibi-spazzatura che rovinano la salute, i genitori che insegnano ai loro figli a digiunare sono genitori più responsabili.
Con parenti e amici. Se vi capita di avere ospiti a cena o se avete parenti in casa durante un digiuno, serviteli di quanto mangia la vostra famiglia. Costoro dovrebbero essere consapevoli del fatto che siete cristiani ortodossi, e dovrebbero essere tanto cortesi nell’accettare la vostra ospitalità durante un digiuno come in qualsiasi altro tempo. Non siamo affatto obbligati a servire agli altri qualcosa che noi stessi non mangeremmo. Ciò crea una situazione artificiale che inevitabilmente causa più problemi di quanti ne risolve. I convertiti sanno che le loro famiglie passano spesso attraverso a periodi di sfida ai loro digiuni. Questa è una prova spirituale che passerà con il tempo. Se assumiamo un’attitudine molto umile e trattiamo il nostro digiuno in modo piuttosto naturale, senza alcuna fanfara, alla fine gli altri lo accetteranno come una cosa importante per noi. D’altro canto, se assumiamo un’attitudine di superiorità, o ci mettiamo a giudicare e condannare quelli che non digiunano, allora gli altri inizieranno a evitarci e arriveranno a credere che i cristiani ortodossi siano persone molto altezzose e sgradevoli.

Se un cristiano ortodosso di Vecchio Calendario invita a tavola un ortodosso neo-calendarista in un periodo che coincide con un digiuno di Nuovo Calendario, allora si può tranquillamente servire cibo di digiuno, anche nel caso che l’ospite appartenga a uno di quegli ambienti modernisti dove il digiuno è poco praticato. Dovremmo sempre incoraggiare i nostri fratelli ortodossi a osservare i digiuni. Va da sé che un ortodosso di ambiente modernista dovrebbe essere servito solo con cibi di digiuno se viene in visita in un periodo di digiuno di Vecchio Calendario.

Al ristorante. Possiamo trovarci in situazioni, particolarmente al lavoro, in cui ci viene chiesto di pranzare con altre persone durante un periodo di digiuno. Questa non è una situazione impossibile. La maggior parte dei ristoranti ha qualche forma di insalata o contorno di verdura cotta. Quando si ordina un’insalata, è opportuno chiedere se ci sono uova o formaggio. Se è così, si chieda semplicemente ai camerieri di servire un’insalata senza uova e formaggio. Si tratta di una cosa perfettamente accettabile, visto che molti sono allergici a questi cibi. Talvolta i legumi cotti sono serviti con pancetta. Anche in questi casì ci si può informare. Alcuni ristoranti hanno piatti di frutti di mare. Se non sono serviti con salse a base di uova o di latte, sono un ottimo cibo da digiuno. Nessuno si offenderà se seguite in questo modo le regole di digiuno della Chiesa. In definitiva, non ci sono scuse per accantonare il digiuno di fronte al proverbiale “pranzo d’affari” o qualche altra circostanza in cui si deve mangiare fuori.

Quando si cena fuori con la famiglia, i ristoranti orientali sono di solito una buona scelta. La maggior parte avrà piatti di mare con crostacei e molluschi, e di solito anche di verdure saltate in padella. Il riso saltato è un problema, dato che è fatto di solito con l’uovo, ma molti ristoranti lasceranno da parte le uova su richiesta. Alcuni piatti e salse contengono pezzi di carne, e dovrebbero ovviamente essere evitati. I ristoranti messicani non sono di solito una buona scelta. La maggior parte cucina il riso e i fagioli, che sono la base di questa cucina, con lardo e derivati della carne, e molti cibi sono mescolati a formaggio. I ristoranti di mare, d’altro canto, sono una scelta eccellente. Oltre a vari tipi di pesce, hanno di solito diversi cibi che si possono mangiare in ogni giorno di digiuno.

Quale che sia la vostra scelta, vi sono alcuni consigli di base da seguire:

I. Quando siete in dubbio, chiedete. Ci sono molte persone che seguono diete o che hanno allergie da cibo. Quasi tutti i ristoranti sono pronti a venire incontro a tali clienti. Perciò, non esitate a chiedere cibi sostitutivi. Chi segue una dieta può chiedere di far cucinare il cibo con la margarina anziché con il burro. Potete chiedere lo stesso anche voi, e pure chiedere di usare margarina nei panini, o prodotti sostitutivi del latte nel caffè.

2. Se il cibo che avete ordinato ha qualcosa di inaspettato, come pezzi di carne, o un’insalata ricoperta di formaggio, spiegate cortesemente che non potete mangiarlo, e chiedete un sostituto. In nessun caso dovete sentirvi obbligati a mangiare consapevolmente un cibo che rompe il digiuno.

3. Quando si beve in società, dovremmo scegliere birra, bibite analcoliche o succhi di frutta (a meno che sia un giorno in cui è permesso il vino). Queste bevande sono comunque più sane degli alcolici forti.

4. Concentratevi su quanto avete ordinato senza farvi ossessionare dai dettagli. Se un panino ha un poco di maionese, non fate una scenata cercando di grattarla via. Una simile ostentazione è più di danno che di beneficio spirituale. C’è una differenza tra mangiare una piccola quantità di condimento in un panino e decidersi o no di consumare un’insalata ricoperta di salsa al formaggio. Di solito c’è una scelta di condimenti per un’insalata, ma ben pochi luoghi di ristoro avranno un sostituto vegetariano della maionese per un panino. In ogni caso dovremo sempre seguire la voce della nostra coscienza, ma non fare sciocche ostentazioni del nostro digiuno.

5. Dite sempre una breve preghiera prima di iniziare a mangiare, sia che le persone che vi circondano siano religiose o no. Potete sempre farvi il segno della Croce, che mostra il vostro impegno di cristiani, e dire una preghiera, in silenzio se necessario. Se qualcuno è offeso dal segno della Croce, probabilmente non dovreste neppure sedervi a tavola con lui. Una sfida che spesso viene posta a un cristiano ortodosso durante un digiuno è l’esperienza di rispondere alle domande della gente sulle nostre usanze di digiuno. Ciò è vero in particolare negli ambienti di lavoro. Inevitabilmente, la gente noterà che vi sono periodi nei quali evitate la carne. Molti lo trovano strano e sono naturalmente curiosi. Alcuni sono apertamente maleducati nella loro curiosità. Quando vi affrontano con domande sulle vostre scelte, limitatevi a rispondere che ci sono certi periodi in cui non mangiate carne. Se qualcuno prosegue a far domande, fate notare che è una disciplina che avete accettato come salutare e benefica, come l’esercizio fisico o la perdita di peso. Potrete anche spiegare le vostre usanze di digiuno come un esercizio spirituale di autocontrollo. State sempre attenti a fare simili dichiarazioni con un’attitudine di umiltà. Non dovremmo mai permetterci di apparire orgogliosi o superiori. Una risposta umile unita a una breve preghiera prima di mangiare è una testimonianza molto forte a favore dell’Ortodossia. E se per questo c’è chi sceglie di prendervi in giro o di mettervi in ridicolo, allora accettatelo come una prova mandata da Dio. Una simile accettazione costruisce forza spirituale. Se certa gente “vi dà sui nervi” ripetutamente, evitate semplicemente di mangiare con loro.

In viaggio. Alcuni scelgono di citare (a volte a sproposito) gli antichi Canoni che permettono di alleggerire il digiuno a una persona che viaggia, e pertanto si esentano dal digiuno quando sono in viaggio. Ma questo è davvero necessario? Questi canoni furono scritti in un tempo in cui viaggiare era un’avventura pericolosa e piena di rischi, e in ogni caso non permettono un totale abbandono del digiuno. Queste situazioni semplicemente non esistono nell’Europa di oggi. Ci sono dovunque ristoranti, e, come abbiamo detto, tutti servono cibi che possono essere mangiati anche nel più stretto periodo di digiuno. Anche il viaggio in aereo non presenta problemi. Tutte le linee aeree che servono pasti forniranno a richiesta pasti vegetariani o di mare, anche se dovrete aver cura di ordinare i pasti speciali prima di salire a bordo. Non pensate in alcun modo che ciò causi problemi alla linea aerea. Si tratta di una pratica molto comune, soprattutto nei voli internazionali. Gli ebrei, musulmani e hindu veramente devoti richiedono tutti pasti speciali. Oltre alle considerazioni religiose. molti richiedono pasti speciali per ragioni di salute. Le linee aeree sono tutte in concorrenza per questi servizi, e sono più che felici di venire incontro alle necessità dei loro passeggeri. Qui vi sono alcune regole basilari da seguire per i viaggi aerei:

I. È saggio richiedere i pasti speciali al momento in cui prenotate il volo. Ciò significa che dovreste consultare il Calendario della Chiesa e verificare se il giorno del viaggio è un giorno di digiuno, e se sono permessi, olio, vino e pesce. Richiedete un pasto completamente vegetariano, o un pasto con frutti di mare. Assicuratevi che molluschi e crostacei siano davvero tali e non, per esempio, polpa di granchio fatta con il pesce.

2. Fate un controllo alla linea aerea il giorno precedente alla partenza per assicurarvi che il vostro pasto speciale sia stato assegnato alla vostra prenotazione; se no, ordinatelo nuovamente.

3. Al check-in, prima di salire a bordo, verificate che il pasto speciale appaia sulla vostra prenotazione. La linea aerea dovrebbe avere alcuni pasti vegetariani a disposizione, anche se non apparivano sulle prenotazioni. Questi sforzi di controllo sono forse un poco frustranti, ma possiamo dirvi per esperienza che è l’unico metodo per assicurarvi di non essere serviti con una scelta di pollo e formaggi in un volo del mercoledì.

Se viaggiate in treno o in autobus, le opzioni sono più limitate. Tuttavia, abbiamo scoperto che portarsi dietro il proprio cibo, soprattutto in un viaggio breve, è una valida alternativa. Un minimo di preparazione può rendere il viaggio molto più piacevole.

A scuola. Una volta che una routine di digiuno è stata stabilita a casa, i figli sono molto meglio preparati a trattare seriamente il digiuno a scuola. I bambini alle scuole elementari sono di solito molto zelanti nel seguire le regole di digiuno a scuola. I bambini di quell’età hanno una predilezione per la struttura delle cose, e una volta che hanno una routine definita, la seguono alla lettera. Di solito, la scuola non avrà alcun cibo appropriato di digiuno per il pranzo, così il pasto deve essere portato da casa. Ma questa non è una cosa negativa, dato che i pasti scolastici sono ben noti per i loro ingredienti poco sani e per le carenze di preparazione. Quando si fanno delle feste a scuola in un giorno di digiuno. Parlate con gli insegnanti e spiegate loro la situazione dei bambini. Offrite di portare alla festa qualcosa che i bambini possono mangiare. Assicuratevi che ce ne sia abbastanza perche anche gli altri bambini ne possano condividere. Ciò accentua per un bambino i lati positivi del digiuno, piuttosto che lasciarlo sentire emarginato. Allo stesso tempo, permette al bambino di sentirsi differente in un senso positivo e di sviluppare una nozione sana di ciò che significa essere uno di quel “popolo speciale” (Tito 2:14) della Chiesa di Cristo. Nei nostri paesi, non è insolito che un bambino si trovi in classe con musulmani, ebrei, hindu, buddisti o testimoni di Geova. Ciascuna di queste fedi ha particolari restrizioni alimentari e sociali. Se noi, come cristiani ortodossi, per una falsa preoccupazione che i nostri figli non appaiano differenti dagli altri bambini, li esentiamo dal digiuno alla festa natalizia della scuola, allora non porteremo alcuna testimonianza di fronte al bambino musulmano che mantiene uno stretto digiuno del Ramadan, o del bambino buddista che rimane vegetariano in ogni momento. I nostri figli percepiranno rapidamente una simile attitudine come ipocrisia da parte nostra, e non saremo capaci di insegnar loro più nulla su come vivere la nostra Fede.
Ogni sincero cristiano ortodosso apparirà differente da quanti lo circondano. Ciò era vero ai tempi di San Paolo, quando parlava della peculiarità dei cristiani, ed è vero oggi. I bambini sanno affrontare queste differenze solo fino a quando hanno un robusto sostegno da parte dei genitori. Ma se i genitori vacillano nelle loro decisioni o sono indifferenti al digiuno, i bambini ne seguiranno decisamente i passi. Questa è una delle gravi responsabilità dell’essere genitori. I bambini imparano sempre dai loro genitori. La domanda è questa: impareranno cose pie, nobili e salutari, o cose distruttive per l’anima e per il corpo? La risposta è tutta nelle mani dei genitori.

Quando si è invitati da amici durante un digiuno. Durante un digiuno, dovremmo generalmente evitare i ritrovi sociali; tuttavia, quando questo è impossibile, vi sono alcune indicazioni utili che possiamo seguire:

I. Se l’occasione comporta una cena, dovremmo chiedere cosa si serve in tavola. Se spieghiamo ai padroni di casa la nostra situazione, essi potranno sicuramente preparare qualcosa di adeguato. Se non sono in grado di farlo, o non vogliono farlo, allora è meglio rimandare l’invito a un momento più appropriato. Questa è una cosa che si può fare educatamente, in modo da non causare offesa.

2. A una cena a buffet, se è possibile portare con se qualcosa, si possono sentire i padroni di casa, e contribuire al buffet con il proprio cibo da digiuno.

Il digiuno nelle feste civili e non ortodosse. Il nostro sistema di feste civili crea particolari sfide ai cristiani ortodossi. Le feste civili (o le feste religiose non ortodosse) talvolta cadono in periodi di digiuno. Il Natale occidentale (25 Dicembre del Nuovo Calendario, o 12 Dicembre del Calendario della Chiesa) cade sempre durante il Digiuno della Natività, il che significa che noi siamo in un periodo di preparazione per la nascita di Cristo, mentre la società attorno a noi sta iniziando il suo giro di festeggiamenti natalizi. Mentre i legami familiari e uno spirito di generosità sono qualità ammirevoli in se stesse, gli interessi commerciali si sono mossi per avvantaggiarsi dello “Spirito del Natale”, introducendo “tradizioni” relativamente nuove di doni costosi e di intrattenimenti sfarzosi. Queste cose non solo compromettono il Digiuno della Natività dei cristiani ortodossi, ma violano anche lo spirito della celebrazione occidentale del Natale. Per trattare parenti e amici con sensibilità, e mantenere allo stesso tempo un’attitudine di preparazione e di preghiera per la Natività di Cristo, dovremmo progettare accuratamente le nostre attività durante questa stagione.

Per gli incontri e le visite a familiari e amici in queste occasioni, ci sono due situazioni che possono verificarsi: o siamo noi a invitare parenti e amici, oppure siamo ospiti da loro. Se tocca a noi servire i pasti, allora la cosa migliore è servire cibi di digiuno, e rimandare i pasti più ricchi ad altri momenti. Le persone sincere che hanno affetto per noi saranno liete di venirci incontro. Altrimenti, è meglio evitare del tutto un’occasione di scontro. Molte situazioni familiari non sono del tutto sane. Le contese sul cibo sono un chiaro segno di problemi che vanno ben più a fondo del menu di una cena. Piuttosto che mettere in scena una festa di circostanza, è meglio darsi da fare per risolvere questi problemi più profondi. Ci potrebbero volere alcuni anni per risolvere tali difficoltà: con pazienza, umiltà e un’attitudine benevola, la situazione alla fine migliorerà.

Se siamo invitati a casa d’altri in uno di questi giorni di festa, dovremmo essere molto franchi sul fatto che si tratta di un giorno di digiuno per gli ortodossi, e che saremmo felici di fare una visita dopo cena. Sedersi a tavola senza mangiare causerà probabilmente più tensioni e problemi di quanti ne risolverebbe. Accordatevi per portare un dessert di digiuno o qualche bevanda dopo cena: è un’alternativa molto migliore. Se portiamo qualcosa, dovremmo mantenere un’attitudine sobria, e sottolineare che è qualcosa da condividere tra tutti. Questo tipo di testimonianza tranquilla parla più di molti libri col passare degli anni.

Il Natale occidentale. Questo giorno ha preso negli ultimi cinquant’anni una dimensione che, sfortunatamente, fa sì che la gente abbia paura del suo avvicinarsi e mandi un sospiro di sollievo quando è finito. Le statistiche di polizia mostrano che i suicidi e le violenze familiari crescono in questo periodo in modo drammatico. Quanto è triste che la nascita di Cristo sia così spesso dimenticata nel mezzo di quelli che sono diventati i Saturnali delle emozioni, con la famiglia elevata a uno stato al di sopra di Dio, e le emozioni trasformate in un sostituto delle sensazioni spirituali. La depressione associata a questa festività è il risultato di feste senza piacere, frivolezze senza gioia, e un desiderio inconscio del significato spirituale del Natale. Non dovremmo soffermarci su questi aspetti negativi, ma come cristiani ortodossi dobbiamo capire che la Tradizione ha in serbo per noi qualcosa di molto migliore. E in questa comprensione dovremmo separarci dalla festa del registratore di cassa che è diventato il Natale occidentale. Le feste e il vortice sociale che circondano questa stagione non devono causarci una preoccupazione fuori luogo. Dovremmo evitare di partecipare a molti festeggiamenti, dato che ciò sarebbe incoerente con la nostra preparazione per la Natività. Ma andare a trovare diversi familiari o amici non ortodossi è una cosa che non causa alcun problema. Dovremmo, tuttavia, evitare assiduamente gli incontri sfarzosi con tanta gente che non conosciamo, dato che queste feste spesso degenerano in occasioni di ebbrezza e mondanità. Quando rifiutiamo simili inviti, dovremmo mantenere uno spirito tranquillo e umile, e limitarci a dire che abbiamo altri progetti.

Il giorno del Natale occidentale, dovremmo visitare quei parenti e amici eterodossi (oppure ortodossi neo-calendaristi) che normalmente visitiamo, e scambiare doni con coloro con i quali normalmente siamo abituati a scambiare doni. Dovremmo mantenere i nostri doni semplici, preferibilmente cose fatte con le nostre mani, e dovremmo essere molto comprensivi e cortesi. Ancora una volta, possiamo sempre portare con noi un dessert di digiuno, se c’è di mezzo un pasto. Se ci sentiamo emarginati dalle festività natalizie, possiamo consolarci quando comprendiamo che questo giorno è per molte persone l’apice di una stagione di acquisti e spostamenti frenetici. Possiamo ricordarci che entro due settimane romperemo anche noi il digiuno, e seguirà un periodo di celebrazione spirituale libero da digiuno, mentre i nostri familiari e amici non ortodossi saranno nel mezzo dello stress che segue alle vacanze.

Capodanno. Le celebrazioni di Capodanno sono qualcosa che dovremmo restringere ai familiari e a pochi amici. Da un lato, il 1 gennaio coincide con un giorno di festa della Chiesa: la Circoncisione di Cristo, e la festa di San Basilio il Grande, e va pertanto celebrato in modo sobrio. Inoltre, l’anno della Chiesa ortodossa, attorno al quale ruota il nostro culto, inizia il 1 settembre, e non il 1 gennaio. Dovremmo evitare le ampie riunioni che segnano la celebrazione del nuovo anno secolare del Nuovo Calendario, dato che anche queste sono di solito occasioni di ebbrezza e mondanità. Il nostro digiuno termina una settimana dopo, dopo la festa della Natività, e in quel momento avremo modo di celebrare in modo retto e gioioso. Se ci prepariamo adeguatamente ed esultiamo di tutto cuore nella nostra Fede, le nostre celebrazioni della Natività di Cristo diventeranno gradualmente occasioni di gioia anche per le nostre famiglie e i nostri amici. Giungeremo a evitare i festeggiamenti secolari della stagione natalizia occidentale, invece di averne paura.

 
Il santo ieromartire Alexander Hotovitzky

Nella sezione "Santi" dei documenti, presentiamo la vita e l'icona di uno dei santi nuovi martiri che lega la Russia con gli Stati Uniti: il Protopresbitero Alexander Hotovitzky, collaboratore del santo Patriarca Tikhon sia negli sforzi missionari in America del Nord, sia nelle sofferenze sotto il giogo bolscevico. Nel giorno della festa dell'Ingresso al Tempio della Santa Mdre di Dio, la Chiesa russa commemora un altro dei suoi legami di santità tra Oriente e Occidente.

 
109

Foto 109

 
Fotocronaca di una tonsura monastica

Con la benedizione di sua grazia Nestor, vescovo di Chersoneso, la sera di lunedì 24 giugno 2013 abbiamo avuto nella nostra chiesa la tonsura del nostro confratello, il monaco Michele. Questa è stata la seconda tonsura al piccolo abito monastico officiata nella nostra chiesa, dopo quella del compianto igumeno Gregory (Woolfenden) per mano dell’igumeno Andrea (Wade), e la prima officiata dall’archimandrita Dimitri (Fantini), fondatore della nostra comunità parrocchiale. Qui di seguito presentiamo le fasi della tonsura, seguendo il testo del rito della tonsura monastica presente sul nostro sito parrocchiale. Ringraziamo di cuore lo starosta della nostra chiesa, Nicolae Plopan, per la cura nelle riprese fotografiche.

 

Il superiore attende il candidato alla tonsura

Il diacono chiede la benedizione iniziale

Il candidato, ricoperto dalla mantia di un fratello monaco, si prosterna di fronte all’altare, mentre si canta il Tropario:

“Affrettati ad aprirmi l’abbraccio paterno: ho sprecato la mia vita nella dissipazione; guardo verso la ricchezza inesauribile delle tue indulgenze, o Salvatore: non disprezzare ora il mio cuore divenuto misero. Poiché ti grido, Signore, in umiltà: ho peccato, Padre, contro il cielo e contro di te.”

“Perché sei venuto, o fratello, prosternandoti al santo altare, e a questa santa compagnia?”

“Perché desidero la vita ascetica, reverendo padre.”

“Vuoi essere degno dell’immagine angelica e annoverato nel coro di quelli che vivono la vita monastica?”

“Sì, con l’aiuto di Dio, reverendo padre.”

“Davvero hai scelto una cosa buona e beata, ma solo se la compi; le buone cose si acquistano con la fatica, e si dirigono con la sofferenza.”

“Apri le orecchie del tuo cuore, o fratello, e ascolta la voce del Signore che dice: Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo: prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, poiché io sono mite e umile di cuore, e troverete riposo per le vostre anime.”

“Sopporterai tu ogni angustia e sofferenza della vita monastica, per il regno dei cieli?”

“Sì, con il soccorso di Dio, reverendo padre.”

“Vedi, figlio, quali promesse tu fai al Sovrano, Cristo: infatti, gli angeli sono presenti invisibilmente, registrando questa tua confessione, della quale avrai anche da rendere conto alla seconda venuta del nostro Signore Gesù Cristo.”

“Iddio generosissimo e grandemente misericordioso, che apre le purissime viscere della sua ineffabile bontà a tutti quelli che vengono a lui con desiderio e caldo amore, che disse: Anche se la donna dimentica i suoi figli, io invece non ti dimenticherò, e vedendo il tuo desiderio e aggiungendo alla tua proposizione la forza che viene da lui perché tu possa compiere i suoi comandamenti, ti accetti, ti abbracci e ti protegga, e ti sia un baluardo forte in faccia al nemico.”

“O Signore Dio nostro, che hai decretato essere degni di te quelli che hanno lasciato tutte le cose della vita, e i parenti e gli amici, e ti hanno seguito: accetta anche questo tuo servo Michele, che ha rinunciato a tutto ciò, secondo i tuoi santi comandamenti, e guidalo nella tua verità.”

I fratelli: “Amen.”

“O Signore Dio nostro, speranza e rifugio di tutti quelli che sperano in te: ci hai mostrato vari cammini di salvezza per l’incarnazione del tuo Cristo, accetta il tuo servo Michele, che ha lasciato i desideri del mondo e si è offerto a te, o Sovrano, quale sacrificio vivo e accettabile: togli da lui ogni desiderio carnale e abitudine irrazionale, perché, deponendo i capelli insensibili egli possa anche deporre i pensieri e le azioni irrazionali, e sia reso degno di ricevere il tuo giogo soave e il tuo fardello leggero e di prendere la croce e seguirti, o Sovrano.”

“Ecco, Cristo è qui presente invisibilmente: vedi che nessuno ti obbliga di venire a questa immagine; vedi che tu di tua volontà vuoi il pegno della grande immagine angelica.”

“Il nostro fratello Michele riceve la tonsura dei capelli del suo capo, che raffigura la rinuncia al mondo, e a tutto ciò che è nel mondo, e il rifiuto della sua volontà e di tutti i desideri carnali, nel nome del Padre, e del Figlio, e del santo Spirito”

“Diciamo tutti per lui, Kyrie, eleison.”

“Il nostro fratello Michele è rivestito della tunica della povertà volontaria e dell’assenza di possesso, e della sopportazione di ogni miseria e angustia, nel nome del Padre, e del Figlio, e del santo Spirito.”

“Il nostro fratello Michele riceve il paramanto in pegno dell’immagine angelica, per il ricordo perpetuo del giogo soave di Cristo che ha preso su di sé, e del fardello leggero che ha portato, e per frenare e legare tutti i desideri della sua carne; riceve pure il segno della croce del Signore sul suo petto, per il ricordo perpetuo delle sofferenze, l’umiliazione, gli sputi, le offese, le piaghe, la malevolenza, la crocifissione e la morte del Signore, Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo, che egli soffrì volontariamente per noi, e perché in quanto possibile egli sia diligente nell’imitare tutto questo: nel nome del Padre, e del Figlio, e del santo Spirito.”

“Il nostro fratello Michele si riveste della veste di letizia e di gioia spirituale, per togliere e calpestare ogni tristezza e confessione provenienti dai demòni, dalla carne e dal mondo: per la sua perpetua letizia e gioia in Cristo, nel nome del Padre, e del Figlio, e del santo Spirito.”

“Il nostro fratello Michele cinge i suoi fianchi con la forza della verità, per la mortificazione del corpo e il rinnovamento dello spirito, per essere sveglio e cauto, nel nome del Padre, e del Figlio, e del santo Spirito.

“Il nostro fratello Michele è rivestito della veste della salvezza e della corazza della giustizia, perché si astenga da ogni ingiustizia e allontani diligentemente i pensieri del suo ragionamento e le considerazioni della sua volontà.

“Avendo sempre la memoria della morte nella sua mente, si consideri crocifisso al mondo e morto a ogni cattiva azione, ma si veda come vivo per sempre per ogni buona azione verso Cristo senza pigrizia, nel nome del Padre, e del Figlio, e del santo Spirito.”

“Il nostro fratello Michele riceve l’elmo della salvezza e della speranza fiduciosa, per poter contrastare ogni intrigo del diavolo, e copre il suo capo con la copertura di umiltà e obbedienza perpetua, in figura dell’ascesi spirituale, e per deviare il suo sguardo, per non vedere la vanità, nel nome del Padre, e del Figlio, e del santo Spirito.”

“Il nostro fratello, Michele calza i sandali, per preparare la proclamazione di pace, per essere rapido e diligente per ogni obbedienza e ogni opera buona, nel nome del Padre, e del Figlio, e del santo Spirito.”

“Ricevi, o fratello Michele, la spada spirituale, che è la parola di Dio, per la preghiera di Gesù in perpetuo: infatti, tu devi avere sempre il nome del Signore Gesù nella tua mente, nel tuo cuore e sulle tue labbra, dicendo sempre: Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi misericordia di me, peccatore.”

“Ricevi, o fratello Michele, lo scudo della fede, la croce di Cristo, con la quale potrai spegnere ogni freccia fiammeggiante del maligno: e ricordati sempre che il Signore disse: Colui che vuole seguirmi, rinunci a se stesso, e prenda la sua croce, e mi segua.”

“Prendi, o fratello, questa candela, e vedi che da ora in poi dovrai essere una luce per il mondo per la tua vita pura e benefica, e la tua buona moralità. Infatti, il Signore disse: Risplenda così la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre buone opere, e glorifichino il vostro Padre, che è nei cieli.”

“Il nostro fratello Michele ha ricevuto il pegno dell’immagine angelica, si è ammantato di tutte le armi di Dio, per poter vincere ogni forza e ogni battaglia dei principi e comandanti della tenebra di questo secolo, gli spiriti del male di sotto il cielo: nel nome del Padre, e del Figlio, e del santo Spirito.”

“Signore Dio nostro, fa’ entrare questo tuo servo Michele nella tua corte spirituale e arruolalo nel tuo gregge razionale: purifica il suo ragionamento dai desideri della carne e dalle vane illusioni di questa vita; e dagli di ricordare senza mai dimenticare i beni preparati per quelli che ti amano e che si sono crocifissi a questa vita, per il tuo regno. Poiché tu sei il pastore e il visitatore delle nostre anime, e a te innalziamo la gloria, al Padre, e al Figlio, e al santo Spirito, ora e sempre, e nei secoli dei secoli.”

“Per il nostro fratello Michele e perché abbia la protezione e l’aiuto di Dio, preghiamo il Signore.”

“Quanti in Cristo siete stati battezzati, di Cristo vi siete rivestiti. Alleluia.”

“Il Signore è la mia illuminazione e il mio Salvatore, di chi avrò paura?”

“Lettura dal santo Vangelo secondo Matteo.”

“Disse il Signore: Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me. Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero.”

Il congedo della tonsura

Auguri al nuovo monaco

Una catechesi sulla più importante virtù monastica: l’umiltà.

“Qual è il tuo nome, fratello?”

“Possa tu essere salvato nell’ordine angelico.”

“Per molti anni! Многая лета! La mulţi ani! Εις πολλά έτη! Ad multos annos!”

 
109

Foto 109

 
"I fondamenti della concezione sociale" - III. Chiesa e stato

I rapporti con lo stato

III.1. La Chiesa, in quanto organismo divinoumano, ha non solo una natura sacramentale, non soggetta alle forze del mondo, ma anche una natura storica che entra in contatto e in rapporto con il mondo esterno, e quindi anche con lo stato. Lo stato, che esiste per l'organizzazione della vita del mondo, entra in contatto con la Chiesa. I rapporti tra lo stato e i seguaci della vera religione hanno evidenziato un costante cambiamento nel corso della storia.

La cellula primaria della società umana fu la famiglia. La storia sacra dell'Antico Testamento testimonia che lo stato non si formò immediatamente. Fino al passaggio in Egitto dei fratelli di Giuseppe, il popolo veterotestamentario non ebbe uno stato, ma esisteva una società patriarcale legata da vincoli di sangue. Lo stato a poco a poco si forma nell'epoca dei Giudici. In seguito a una complessa evoluzione storica, guidata dalla Provvidenza di Dio, i rapporti sociali si fanno via via più articolati e si arriva alla nascita degli stati.

Nell'antico Israele fino all'epoca dei Re è esistita una vera teocrazia unica nella storia, cioè un governo di Dio. Tuttavia, man mano che la società si allontanava dall'obbedienza a Dio come criterio guida nelle vicende del mondo, gli uomini cominciarono a riflettere sulla necessità di avere un sovrano terreno. Il Signore, approvando la scelta degli uomini e ratificando la nuova forma di governo, nello stesso tempo si rammarica del fatto che essi hanno abbandonato la guida di Dio: «Il Signore rispose a Samuele: «Ascolta la voce del popolo per quanto ti ha detto, perché costoro non hanno rigettato te, ma hanno rigettato me, perché io non regni più su di essi... Ascolta pure la loro richiesta, però annunzia loro chiaramente le pretese del re che regnerà su di loro» (1Sam 8,7.9).

In tal modo, data l'origine dello stato laico, esso deve essere inteso non come una realtà stabilita da Dio da sempre, ma come la possibilità concessa da Dio agli uomini di organizzare la propria vita sociale fondandosi sulla libera espressione della loro volontà, affinché tale organizzazione, essendo la risposta alla realtà terrena deturpata dal peccato, li aiutasse a evitare un peccato ancor più grande attraverso l'opposizione a esso con i mezzi del potere temporale. Con ciò il Signore per bocca di Samuele dice chiaramente che si aspetta da questa autorità la fedeltà ai suoi comandamenti e l'attuazione di buone opere. «Ora eccovi il re che avete scelto e che avevate chiesto. Vedete che il Signore ha costituito un re sopra di voi. Dunque se temerete il Signore, se lo servirete e ascolterete la sua voce e non sarete ribelli alla parola del Signore, voi e il re che regna su di voi vivrete con il Signore vostro Dio. Se invece non ascolterete la voce del Signore e sarete ribelli alla sua parola, la mano del Signore peserà su di voi, come pesò sui vostri padri» (1Sam 12,13-15). Quando Saul trasgredì ai comandamenti del Signore, Dio lo rigettò (1Sam 16,1), avendo ordinato a Samuele di ungere re un altro suo eletto, Davide, figlio del pastore Iesse.

Il Figlio di Dio, che domina sul cielo e sulla terra (Mt 28,18), attraverso l'incarnazione, si sottomise all'ordine terreno; volle obbedire anche ai detentori del potere statale. Al suo crocifissore Pilato, procuratore romano a Gerusalemme, il Signore disse: «Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto» (Gv 19,11). In risposta alla provocatoria domanda di un fariseo se fosse lecito dare il tributo all'imperatore romano, il Salvatore disse: «Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (Mt 22,21).

Spiegando l'insegnamento di Cristo sul giusto atteggiamento da tenere verso il potere dello stato, l'apostolo Paolo scriveva: «Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c'è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all'autorità, si oppone all'ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono si attireranno addosso la condanna. I governanti infatti non sono da temere quando si fa il bene, ma quando si fa il male. Vuoi non aver da temere l'autorità? Fa' il bene e ne avrai lode, poiché essa è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora temi, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male. Perciò è necessario stare sottomessi, non solo per timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza. Per questo dunque dovete pagare i tributi, perché quelli che sono dediti a questo compito sono funzionari di Dio. Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi le tasse le tasse; a chi il timore il timore; a chi il rispetto il rispetto» (Rm 13,1-7).

La stessa idea espresse anche l'apostolo Pietro: «State sottomessi a ogni istituzione umana per amore del Signore: sia al re come sovrano, sia ai governatori come ai suoi inviati per punire i malfattori e premiare i buoni. Perché questa è la volontà di Dio: che, operando il bene, voi chiudiate la bocca all'ignoranza degli stolti. Comportatevi come uomini liberi, non servendovi della libertà come di un velo per coprire la malizia, ma come servitori di Dio» (1 Pt 2,13-16). Gli apostoli insegnavano ai cristiani a obbedire alle autorità statali indipendentemente dal rapporto di queste con la Chiesa. Nei tempi apostolici la Chiesa di Cristo era perseguitata sia dalle autorità giudaiche locali sia da quelle romane. Questo però non impedì ai martiri e agli altri cristiani di quel tempo di pregare per i loro persecutori e di riconoscerne l’autorità.

 

La necessità dello stato

Per arginare il male

III.2. La caduta di Adamo portò nel mondo peccati e vizi, che richiedevano un’opposizione da parte della collettività: il primo fu l'uccisione di Abele da parte di Caino (Gen 4,1-16). Gli uomini, divenuti consapevoli di questa disposizione al male, in tutte le società che conosciamo cominciarono a stabilire delle leggi che arginassero il male e sostenessero il bene. Per il popolo dell'Antico Testamento il legislatore fu Dio stesso, che aveva dato i precetti che regolamentavano non solo la vita religiosa individuale, ma anche quella sociale (Es 20-23).

Dio benedice lo stato in quanto elemento necessario per vivere in un mondo corrotto dal peccato, dalle cui pericolose manifestazioni l'individuo e la società hanno bisogno di essere difesi. Nello stesso tempo l'indispensabilità dello stato scaturisce non immediatamente dalla volontà di Dio sul progenitore Adamo, ma dalle conseguenze del peccato originale e dal fatto che le azioni volte ad arginare la supremazia del peccato nel mondo erano conformi alla volontà di Dio. La Sacra Scrittura ammonisce coloro che detengono il potere a usare l'autorità dello stato solo per arginare il male e per sostenere il bene, e in questo sta il significato morale dell'esistenza dello stato (Rm 13,3-4). Da ciò discende che , l'anarchia è l'assenza della necessaria organizzazione dello stato e della società – e parimenti gli appelli all'anarchia e il tentativo di una sua instaurazione contraddicono la concezione cristiana del mondo (Rm 13,2).

La Chiesa non solo impone ai propri figli di obbedire all'autorità statale, indipendentemente dalle idee e dalla religione di chi la detiene, ma anche di pregare per essa, «perché possiamo trascorrere una vita calma e tranquilla con tutta pietà e dignità» (1 Tm 2,2). Nello stesso tempo i cristiani devono evitare di assolutizzare il potere e devono guardarsi dal non riconoscere i limiti del suo valore puramente terreno, temporaneo e transitorio, condizionato dalla presenza nel mondo del peccato e dalla necessità di arginarlo. Secondo la dottrina della Chiesa, neppure il potere ha il diritto di assolutizzare se stesso, estendendo i propri limiti fino alla totale autonomia da Dio e dall'ordine da lui stabilito, cosa che può portare ad abusi di potere e addirittura alla divinizzazione dei governanti. Lo stato, così come le altre istituzioni umane, anche se dirette al bene, può tendere a trasformarsi in un'istituzione autosufficiente. Numerosi esempi storici di una simile trasformazione dimostrano che in questo caso lo stato perde la sua destinazione autentica.

 

Chiesa e stato, finalità diverse

III.3. Nei rapporti tra la Chiesa e lo stato si deve tener conto della diversità delle loro nature. La Chiesa è stata fondata direttamente da Dio stesso, il Signore nostro Gesù Cristo, mentre l'origine dell'istituzione – voluta da Dio – del potere statale appare nel processo storico in maniera mediata. La finalità della Chiesa è la salvezza eterna degli uomini, la finalità dello stato consiste nel loro benessere terreno.

«Il mio regno non è di questo mondo», dice il Salvatore (Gv 18,36). «Questo mondo» solo in parte obbedisce a Dio, ma soprattutto cerca di rendersi autonomo dal proprio Creatore e Signore. Il mondo, nella misura in cui disobbedisce a Dio, obbedisce al «padre della menzogna» e «giace sotto il potere del maligno» (Gv 8,44; 1 Gv 5,19). La Chiesa invece è «corpo di Cristo» (1 Cor 12,27), «colonna e sostegno della verità» (1 Tm 3,15): nella sua essenza mistica e sacramentale non può avere in sé alcun male, né ombra di tenebra. Lo stato, poiché fa parte «di questo mondo», non partecipa al regno di Dio, dato che dove Cristo «è tutto in tutti» (Col 3,11) non c'è posto per la coercizione, non c'è contrapposizione tra l'uomo e Dio e, di conseguenza, non c'è neppure lo stato.

Nel mondo contemporaneo lo stato solitamente è laico e non è vincolato da alcun tipo di obblighi religiosi. La sua collaborazione con la Chiesa è limitata a certi settori e si basa su un principio di non ingerenza reciproca. Tuttavia, di norma, lo stato riconosce che il benessere terreno è inconcepibile senza l'osservanza di determinate norme morali, di quelle stesse che sono indispensabili anche per la salvezza eterna dell'uomo. Per questo gli obiettivi e l'attività della Chiesa e dello stato possono coincidere non solo per quanto riguarda la ricerca di una prosperità puramente terrena, ma anche per la realizzazione della missione salvifica della Chiesa.

Non si può intendere il principio della laicità dello stato nel senso di una radicale esclusione della religione da tutti gli ambiti della vita del popolo, di un’estromissione delle associazioni religiose dalle decisioni su importanti problemi sociali e della negazione del loro diritto di giudicare le azioni dell’autorità statale. Questo principio presuppone solo una separazione ben precisa degli ambiti che sono di competenza della Chiesa da quelli che sono invece di competenza dello stato, e la non ingerenza reciproca.

La Chiesa non deve assumersi funzioni di pertinenza dello stato: l'opposizione al peccato mediante la violenza, l'uso dei pieni poteri proprio delle autorità laiche, l'assunzione di funzioni del potere statale, che comportano misure coercitive o restrittive. Nello stesso tempo la Chiesa può rivolgersi all'autorità statale con la richiesta o l'invito pressante a esercitare il potere in questo o quel caso, ma la decisione compete comunque allo stato.

Lo stato non deve intromettersi nella vita della Chiesa o nel suo governo, nella sua dottrina, nella vita liturgica e nella pratica religiosa ecc., come pure in generale nell'attività delle istituzioni ecclesiastiche canoniche, a eccezione di quegli ambiti nei quali la Chiesa deve operare come persona giuridica instaurando inevitabilmente determinati rapporti con lo stato, con i suoi organi legislativi e di governo. La Chiesa si aspetta dallo stato il rispetto delle sue leggi canoniche e delle altre disposizioni interne.

 

La forma ideale del rapporto Chiesa-stato

Nella tradizione ortodossa

III.4. Il rapporto fra la Chiesa ortodossa e lo stato ha assunto, nel corso della storia, diverse forme.

Nella tradizione ortodossa si è venuta creando una precisa concezione della forma ideale che dovrebbero avere le relazioni tra Chiesa e stato. Poiché le relazioni tra stato e Chiesa hanno carattere bilaterale, questa forma ideale storicamente ha potuto essere elaborata solo in uno stato che riconosceva nella Chiesa ortodossa la massima «realtà sacra» popolare – in altre parole, in uno stato ortodosso.

I tentativi di attuare tale forma furono intrapresi a Bisanzio, dove i princìpi dei rapporti tra stato e Chiesa trovarono espressione nei canoni e nelle leggi statali dell'impero, e si rifletterono negli scritti patristici. Nel loro insieme questi principi vennero definiti «una sinfonia di Chiesa e stato», che essenzialmente consiste nella reciproca collaborazione, nel sostegno reciproco e nella reciproca responsabilità, senza alcuna ingerenza di una parte nella sfera di competenza esclusiva dell'altra. Il vescovo si sottomette al potere statale in quanto suddito, e non perché la sua autorità episcopale provenga dal rappresentante del potere statale. Proprio nello stesso modo anche il rappresentante del potere statale obbedisce al vescovo in quanto membro della Chiesa, che cerca in essa la salvezza, e non perché il suo potere abbia origine dall'autorità del vescovo. Lo stato, in virtù dei suoi rapporti «sinfonici» con la Chiesa, cerca in essa il sostegno spirituale, richiede preghiere per sé e la benedizione divina sulla sua attività volta al raggiungimento del benessere dei cittadini, mentre la Chiesa riceve dallo stato aiuto per la creazione delle condizioni favorevoli per la predicazione e per il nutrimento spirituale dei suoi figli, che sono nello stesso tempo cittadini dello stato.

Nella VI Novella di Giustiniano viene formulato il principio che sta alla base della «sinfonia» di Chiesa e stato: «I beni più grandi che siano stati elargiti agli uomini dalla grazia di Dio sono il clero e il sovrano, dei quali il primo (il clero, l'autorità ecclesiastica) provvede alle cose divine, e il secondo (il sovrano, il potere statale) guida e provvede alle cose umane, ed entrambi, derivando da una sola e medesima sorgente, costituiscono la caratteristica più nobile dell'esistenza umana. Per questo nulla sta tanto a cuore dei sovrani quanto l'onore dei ministri del culto, i quali da parte loro li servono, pregando incessantemente Dio per loro. E se il clero sarà in tutto ben regolato e gradito a Dio, e l'autorità statale amministrerà secondo verità lo stato affidatole, allora ci sarà il pieno accordo tra di essi in tutto ciò che serve all'utilità e al bene del genere umano. Perciò facciamo il massimo sforzo la tutela dei veri dogmi divini e per l'onore del clero, sperando mediante ciò di ricevere grandi benedizioni da Dio e di conservare saldamente quelle che abbiamo». Attenendosi a questo principio, l'imperatore Giustiniano nelle sue «Novelle» riconosceva alle leggi canoniche la forza di leggi statali.

La formula bizantina classica dei rapporti tra l'autorità statale e l'autorità ecclesiastica è racchiusa nell'Epanagoge (seconda metà del IX secolo): «Il potere temporale e il clero stanno tra loro come il corpo e l'anima, e sono necessari per l'organizzazione dello stato proprio come il corpo e l'anima nell'uomo vivente. Nel loro rapporto e nella loro armonia sta il benessere dello stato».

Tuttavia, questa «sinfonia» a Bisanzio non si realizzò in una forma assolutamente pura. Nella pratica essa subì violazioni e distorsioni. La Chiesa fu non di rado oggetto di pretese cesaropapiste da parte del potere statale. In sostanza il capo dello stato, l'imperatore, rivendicava per sé il diritto di avere la parola decisiva nell'organizzazione degli affari ecclesiastici. Queste rivendicazioni derivavano, oltre che da un'ambizione umana peccaminosa, da una ragione storica. Gli imperatori cristiani di Bisanzio erano i diretti successori degli imperatori romani pagani, che tra i molti altri titoli si fregiavano anche di quello di pontifex maximus, cioè: «sommo sacerdote supremo «. La tendenza cesaropapista si manifestò, nella sua forma più patente e pericolosa per la Chiesa, nella politica degli imperatori eretici, in particolare nel periodo iconoclastico. I principi russi, a differenza degli imperatori bizantini, avevano alle spalle una tradizione diversa. Per questa e per altre ragioni storiche, in Russia i rapporti tra l'autorità ecclesiastica e quella statale nell'antichità furono più armonici. D'altra parte, si verificarono anche casi di inosservanza delle leggi canoniche (sotto il governo di Ivan il Terribile e nella contrapposizione fra lo zar Alessio Michajlovic e il patriarca Nikon).

Per quanto riguarda il periodo sinodale, un'indubbia deformazione del principio «sinfonico» nel corso di due secoli di storia ecclesiastica è connessa con la chiara influenza della dottrina protestante della territorialità e del credo religioso di stato (vedi più sotto) sulla concezione russa del diritto e della vita politica. Il Concilio locale del 1917-18 intraprese il tentativo di affermare l'ideale della «sinfonia» nella nuova situazione venutasi a creare con la caduta dell’impero. Nella dichiarazione che precedette la Risoluzione sui rapporti tra Chiesa e stato, l'esigenza della separazione fra Chiesa e stato è paragonata all’auspicio che «il sole non splenda, e il fuoco non riscaldi. La Chiesa per la legge interna della sua stessa essenza non può rifiutarsi di illuminare, di trasfigurare tutta la vita dell'uomo, di penetrarla con i suoi raggi». Nella Risoluzione del Concilio sulla posizione giuridica della Chiesa ortodossa russa, lo stato, in particolare, è invitato ad accogliere le seguenti proposizioni: «La Chiesa ortodossa russa, facendo parte dell'unica Chiesa di Cristo universale, dovrà avere uno status giuridico e pubblico superiore a quello delle altre confessioni religiose dello stato russo. Tale sovreminenza le è propria in quanto essa è la «realtà sacra suprema» per la stragrande maggioranza della popolazione oltre che una forza storica significativa nella creazione dello stato russo. (...) Le deliberazioni e le norme legittime ufficiali pubblicate per sé dalla Chiesa ortodossa nell'ordine da essa stabilito, come pure le decisioni degli organi direttivi e dei tribunali ecclesiastici, sono riconosciute dallo stato come aventi vigore e portata giuridica dal momento della loro promulgazione da parte dell’autorità ecclesiastica, purché non violino le leggi statali... Le leggi dello stato riguardanti la Chiesa ortodossa sono emanate non altrimenti che in accordo con l'autorità ecclesiastica». I successivi Concili locali si sono svolti in condizioni storiche tali da rendere impossibile il ritorno ai princìpi pre-rivoluzionari dei rapporti tra Chiesa e stato. Nondimeno la Chiesa ha ribadito il proprio ruolo tradizionale nella vita della società e ha espresso la volontà di operare nella sfera del sociale. Così, il Concilio locale del 1990 ha constatato: «Nel corso della sua storia millenaria, la Chiesa ortodossa russa ha educato i credenti nello spirito del patriottismo e dell'amore della pace. Il patriottismo si manifesta nell'atteggiamento di rispetto per l'eredità storica della Patria, in uno spirito civile operoso e attivo, che partecipa alle gioie e alle sofferenze del proprio popolo, nel lavoro zelante e coscienzioso, nella sollecitudine per lo stato morale della società e per la preservazione dell'ambiente naturale» (dal Messaggio del Concilio).

In Occidente, nel Medioevo, si venne a formulare, non senza l'influenza dell'opera di s. Agostino «La città di Dio», la dottrina delle «due spade», secondo la quale entrambi i poteri – ecclesiastico e statale – l'uno in maniera diretta, l'altro in maniera indiretta, discendono dal vescovo di Roma. I papi furono monarchi con potere assoluto su una parte dell'Italia, lo Stato pontificio, il cui residuo è l'attuale Vaticano; molti vescovi, soprattutto nella Germania feudale, erano principi che esercitavano una giurisdizione di tipo statale sul loro territorio, avevano un proprio governo e un esercito.

La Riforma rese impossibile il mantenimento del potere temporale del papa e dei vescovi cattolici sul territorio delle nazioni che erano diventate protestanti. Nei secoli XVII-XIX, le condizioni giuridiche mutarono a tal punto nei paesi cattolici che in pratica la Chiesa cattolica venne esclusa dalle funzioni di governo. Tuttavia, oltre alla presenza dello Stato del Vaticano, la dottrina delle «due spade» ha contribuito a conservare la consuetudine di stipulare trattati sotto forma di concordati fra la curia romana e gli stati nel cui territorio si trovano comunità cattoliche. A causa di ciò lo stato giuridico di queste comunità era definito in molti paesi non già dalle sole leggi interne, ma anche dal diritto che regolava le relazioni internazionali, al quale era soggetto lo stato del Vaticano.

Nei paesi in cui ha trionfato la Riforma e più tardi in alcuni paesi cattolici, le relazioni fra Chiesa e stato si sono andate configurando all’insegna del principio di territorialità, che attribuiva allo stato la piena sovranità su un territorio e sulle comunità religiose che in esso si trovavano. Questo sistema di relazioni si esprimeva nella formula cujus est regio, illius est religio (la religione del popolo è quella del sovrano). La coerente attuazione di tale sistema comportava l'espulsione dallo stato dei seguaci di una religione diversa da quella dei detentori del potere statale supremo (questo è accaduto più volte in pratica). Tuttavia in realtà si è andata affermando una forma meno rigida di questo principio, la cosiddetta «religione di stato», in base alla quale si attribuiscono privilegi di Chiesa di stato alla comunità religiosa predominante, alla quale appartiene il sovrano, che ne è ufficialmente il capo. La combinazione fra questo sistema di rapporti Chiesa-stato e le tracce della «sinfonia» tradizionale, ereditata da Bisanzio, ha determinato l'originalità dello stato giuridico della Chiesa ortodossa nella Russia del periodo sinodale.

Negli Stati Uniti d'America, che sin dall'inizio sono apparsi come una nazione pluriconfessionale, si è consolidato il principio della radicale separazione fra Chiesa e stato, che presupponeva la neutralità del sistema di potere rispetto a tutte le confessioni religiose. La neutralità assoluta tuttavia non è mai raggiungibile. Ogni stato si trova a dover fare i conti con la reale composizione religiosa della popolazione. Nessuna denominazione cristiana singolarmente costituisce la maggioranza negli Stati Uniti, tuttavia la gran parte dei cittadini statunitensi è appunto cristiana. Questa realtà si riflette, in particolare, nella cerimonia del giuramento del presidente sulla Bibbia, nell’ufficializzazione della domenica come giorno festivo e così via.

Il principio della separazione fra Chiesa e stato ha, tuttavia, anche un'altra origine. Nel continente europeo esso è stato l'esito della lotta anticlericale o apertamente antiecclesiastica, ben nota, in particolare, dalla storia della rivoluzione francese. In questi casi la Chiesa è separata dallo stato non a causa della multiconfessionalità della popolazione del paese, ma perché lo stato appoggia questa o quella ideologia anticristiana o in generale antireligiosa. A questo punto non ha più senso parlare di neutralità dello stato riguardo alla religione e neppure della sua natura puramente laica. Per la Chiesa questo solitamente comporta difficoltà, restrizioni nei diritti, discriminazione o aperte persecuzioni. La storia del XX secolo ha mostrato in diversi paesi del mondo molti esempi di un simile atteggiamento dello stato verso la religione e la Chiesa.

Esiste anche una forma di relazione tra Chiesa e stato intermedia tra la separazione radicale della Chiesa dallo stato, quando la Chiesa gode di uno status di associazione privata, e la «Chiesa di stato». Ci riferiamo allo status della Chiesa come associazione di diritto pubblico. In questo caso la Chiesa può avere una serie di privilegi e di doveri, che le vengono delegati dallo stato, senza essere Chiesa di stato nel senso proprio del termine.

Una serie di nazioni moderne – per esempio la Gran Bretagna, la Finlandia, la Norvegia, la Danimarca e la Grecia – conserva una Chiesa di stato. Altri stati, che con il tempo diventeranno sempre più numerosi (USA, Francia), fondano i propri rapporti con le comunità religiose sul principio della totale separazione. In Germania, la Chiesa cattolica, quella evangelica e alcune altre chiese hanno lo status di associazioni di diritto pubblico, mentre altre comunità religiose sono del tutto separate dallo stato e sono considerate associazioni private. In pratica, tuttavia, la reale posizione delle comunità religiose nella maggior parte di questi stati dipende minimamente dall’essere o meno separate dallo stato. In alcune nazioni dove le chiese conservano lo status di associazioni pubbliche, esso si riduce alla riscossione di tasse per il loro mantenimento attraverso enti tributari statali e al riconoscimento della validità giuridica delle registrazioni ecclesiastiche di battesimi e matrimoni al pari dei certificati di stato civile registrati dagli organi amministrativi dello stato.

Oggi la Chiesa ortodossa svolge il suo servizio a Dio e agli uomini in diversi paesi. In alcuni essa rappresenta la religione nazionale (Grecia, Romania, Bulgaria), in altri, plurinazionali, costituisce la religione della maggioranza della popolazione (Russia), in altri ancora, i membri della Chiesa ortodossa rappresentano una minoranza religiosa che convive con cristiani non ortodossi (USA, Polonia, Finlandia) oppure con credenti di altre religioni (Siria, Turchia, Giappone). In alcuni piccoli stati la Chiesa ortodossa ha la prerogativa di religione di stato (Grecia, Finlandia, Cipro), mentre in altri è separata dallo stato. Sono inoltre diverse le condizioni politiche e giuridiche concrete nelle quali vivono le chiese ortodosse locali. Tutte comunque si fondano, sia nell’organizzazione interna sia nei rapporti con l'autorità statale, sui precetti di Cristo, sulla dottrina degli apostoli, sui sacri canoni, su un'esperienza storica bimillenaria, e in qualsiasi condizione trovano la possibilità di adempiere alla missione che Dio ha loro affidato, manifestando con ciò la propria natura soprannaturale, la propria origine celeste e divina.

 

Mezzi diversi per finalità diverse

III.5. Avendo nature diverse, Chiesa e stato usano mezzi diversi per raggiungere le proprie finalità. Lo stato si basa fondamentalmente sulla forza materiale, inclusa la forza della coercizione, e sui rispettivi sistemi ideologici laici. La Chiesa invece dispone di mezzi religioso-morali per offrire una guida spirituale ai suoi fedeli e per attirare nuovi figli.

La Chiesa infallibilmente predica la verità di Cristo e insegna agli uomini i precetti morali che provengono da Dio stesso, e per questo non ha il potere di cambiare alcunché nella sua dottrina. Non ha il potere neppure di tacere, di interrompere la predicazione della verità, quali che siano gli insegnamenti imposti o diffusi dalle autorità statali. A questo riguardo la Chiesa è assolutamente libera dallo stato. A motivo della predicazione della verità senza remore e limitazioni, la Chiesa più volte nella storia ha subito persecuzioni per mano dei nemici di Cristo. Ma, anche se perseguitata, la Chiesa è chiamata a sopportare con pazienza le persecuzioni, senza rifiutare la propria lealtà allo stato che la perseguita.

La sovranità giuridica sul territorio dello stato appartiene alle sue autorità. Di conseguenza, esse stabiliscono anche lo stato giuridico della Chiesa locale o di una sua parte, concedendole la possibilità di compiere senza ostacoli la missione ecclesiale o limitando tale possibilità. L'autorità statale con il suo stesso atteggiamento di fronte alla verità eterna si giudica da sé e in definitiva si prepara il proprio destino. La Chiesa mantiene la propria lealtà allo stato, ma al di sopra dell'esigenza della lealtà sta il comando divino di perseguire la salvezza degli uomini in qualsiasi condizione e in qualsiasi circostanza.

Se il potere costringe i credenti ortodossi ad abbandonare Cristo e la sua Chiesa, come pure a commettere azioni peccaminose e dannose per l'anima, la Chiesa ha il dovere di rifiutare l’obbedienza allo stato. Il cristiano, seguendo il dettame della coscienza, può non eseguire gli ordini dell'autorità statale, ove questi lo inducessero a un peccato grave. La Chiesa e le sue autorità, qualora ravvisassero l’impossibilità di obbedire alle leggi e agli ordinamenti dello stato, dopo aver debitamente esaminato la questione, possono intraprendere le seguenti azioni: iniziare un dialogo diretto con l'autorità sul problema sorto; invitare il popolo a impiegare meccanismi democratici per cambiare le leggi o rivedere le deliberazioni dell'autorità statale; appellarsi agli organi internazionali e all'opinione pubblica mondiale; invitare i propri fedeli alla disobbedienza civile pacifica.

 

Il principio della libertà di coscienza

III.6. Il principio della libertà di coscienza, che nasce come concezione giuridica nei secc. XVIII-XIX, si trasforma in uno dei principi fondamentali dei rapporti tra gli individui solo dopo la prima guerra mondiale. Oggi esso viene affermato dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e rientra nelle costituzioni della maggior parte degli stati. La comparsa del principio della libertà di coscienza è la testimonianza di come, nel mondo contemporaneo, la religione da «fatto pubblico» si trasformi in «fatto privato» dell'individuo. Preso a sé, questo processo testimonia la disgregazione del sistema dei valori spirituali e lo smarrimento dell'aspirazione alla salvezza nella maggior parte delle persone che affermano il principio della libertà di coscienza. Se inizialmente lo stato è sorto come strumento di ratifica della legge divina nella società, la libertà di coscienza trasforma definitivamente lo stato in un'istituzione esclusivamente terrena, che non ha obblighi religiosi di alcun tipo.

L'affermazione del principio giuridico della libertà di coscienza testimonia la perdita da parte della società delle finalità e dei valori religiosi, l'apostasia di massa e l'indifferenza reale verso l'opera della Chiesa e la vittoria sul peccato. Ma questo principio si rivela uno dei mezzi di esistenza della Chiesa in un mondo areligioso, in quanto le permette di avere uno status legale in uno stato laico e di essere indipendente dai cittadini di religione diversa o dai non credenti.

La neutralità dello stato dal punto di vista religioso e ideologico non contraddice la vocazione della Chiesa a operare nella società. Tuttavia la Chiesa deve testimoniare allo stato come sia inammissibile la diffusione di idee e di azioni che portano a un controllo totale sulla vita dell'individuo, sulle sue opinioni e sui rapporti con gli altri, alla disgregazione della moralità personale, familiare o sociale, all'offesa dei sentimenti religiosi, alla compromissione dell'originalità culturale e spirituale del popolo o alla minaccia nei confronti del sacro dono della vita. Nell'attuazione dei suoi programmi sociali, assistenziali, educativi e di altri programmi socialmente significativi, la Chiesa può fare affidamento sull'aiuto e sul contributo dello stato. Essa ha anche il diritto di aspettarsi che lo stato, nell'instaurazione dei suoi rapporti con le associazioni religiose, tenga in considerazione la consistenza numerica dei loro componenti, il loro ruolo nella formazione della fisionomia storica, culturale e spirituale del popolo e la loro posizione civile.

 

«Religiosità» delle forme di governo

III.7. La forma e i metodi del governo per molti aspetti sono subordinati allo stato spirituale e morale della società. Consapevole di ciò, la Chiesa accetta la scelta operata dal popolo  o per lo meno non le si oppone.

Al tempo dei Giudici – l'ordinamento sociale descritto nel libro dei Giudici – il potere agiva non attraverso la coercizione, ma con la forza dell'autorità; nello stesso tempo questa autorità era legittimata dall'approvazione divina. Perché tale autorità si esprima con efficacia, nella società la fede deve essere assai forte. Al tempo della monarchia il potere rimane di origine divina, ma non viene ormai più esercitato facendo leva sull'autorità spirituale, quanto piuttosto sulla coercizione. Il passaggio dai Giudici alla monarchia fu la testimonianza di un rilassamento della fede, da cui scaturì anche la necessità di sostituire il Re invisibile con un re visibile. Le democrazie contemporanee, tra cui anche quelle di forma monarchica, non cercano un'approvazione divina della propria autorità. Nella società laica esse rappresentano la forma di governo che presuppone il diritto di ogni cittadino dotato di capacità giuridica di esprimere la propria volontà per mezzo di elezioni.

Ogni cambiamento della forma di governo che tenda a un maggior radicamento nella religione, senza essere accompagnato da un’elevazione spirituale della società, degenera inevitabilmente nella menzogna e nell’ipocrisia, indebolisce questa forma di governo e la svilisce agli occhi della gente. Tuttavia, non si può del tutto escludere la possibilità di una rinascita spirituale della società, tale da rendere naturale una forma di ordinamento statale più accentuatamente religiosa. In condizioni di asservimento, invece, in conformità con il consiglio dell'apostolo Paolo, «anche se puoi diventare libero, profitta piuttosto della tua condizione!» (1Cor 7,21). Nel contempo, la Chiesa deve prestare la massima attenzione non al sistema dell'organizzazione esterna dello stato, ma alla condizione interiore dei cuori dei suoi figli. Perciò la Chiesa non ritiene possibile diventare promotrice di un cambiamento della forma di governo. Sulla stessa linea, il Sinodo dei vescovi della Chiesa ortodossa russa del 1994 sottolineava la giustezza della posizione della «non preferenza da parte della Chiesa di un qualsivoglia ordinamento statale o di una qualsivoglia dottrina politica tra quelle esistenti».

 

La cooperazione tra Chiesa e stato

III.8. Lo stato, compreso quello laico, di regola ha coscienza della propria vocazione a organizzare la vita del popolo sulla base dei principi del bene e della verità, preoccupandosi del benessere materiale e spirituale della società. Per questo la Chiesa può cooperare con lo stato in opere che servono al bene della stessa Chiesa, dell'individuo e della società. Per la Chiesa tale cooperazione deve essere un riconoscimento della sua missione salvifica, che comprende una sollecitudine per la vita dell'uomo in tutti i suoi aspetti. La Chiesa è chiamata a partecipare all'organizzazione della vita umana ovunque sia possibile e a operare in sintonia con i rappresentanti del potere laico.

La cooperazione tra Chiesa e stato deve attuarsi alle seguenti condizioni: la partecipazione della Chiesa alle attività del governo dovrà corrispondere alla sua natura e alla sua vocazione; il governo non dovrà imporre diktat all'attività sociale della Chiesa; la Chiesa non dovrà interessarsi di quelle sfere dell'attività pubblica in cui la sua opera sia inammissibile per motivi canonici o per altre ragioni.

Gli ambiti di collaborazione tra Chiesa e stato nell'attuale periodo storico sono:

         a) la pacificazione a livello internazionale, interetnico e civile, il contributo alla comprensione

            reciproca e alla cooperazione tra gli uomini, i popoli e gli stati;

         b) la sollecitudine per la difesa della moralità nella società;

         c) l'educazione e la formazione spirituale, culturale, morale e patriottica;

         d) le opere di misericordia e di beneficenza, lo sviluppo di programmi sociali comuni;

         e) la tutela, la ricostituzione e lo sviluppo del patrimonio storico e culturale, compresa la difesa dei

            monumenti di valore storico e culturale;

         f) il dialogo con gli organi del potere statale di qualsiasi settore e livello su questioni importanti per

            la Chiesa e per la società, fra cui l'elaborazione di idonee leggi, di atti giuridici, di disposizioni e

            deliberazioni;

         g) la cura dei militari e delle forze dell'ordine e la loro formazione spirituale e morale;

         h) attività per la prevenzione dei reati e la cura di coloro che si trovano nei luoghi di detenzione;

         i) la scienza e la ricerca;

         j) la sanità pubblica;

         k) la cultura e l'attività artistica;

         l) l'attività dei mass media ecclesiastici e laici;

         m) l'attività per la conservazione dell'ambiente;

         n) l'attività economica a vantaggio della Chiesa, dello stato e della società;

         o) il sostegno all'istituto della famiglia, alla maternità e all'infanzia;

         p) l'opposizione all’opera di strutture pseudoreligiose che rappresentano un pericolo per l'individuo e

            la società.

La collaborazione tra Chiesa e stato appare possibile anche in una serie di altri ambiti qualora essa serva alla realizzazione degli obiettivi sopraelencati.

Nello stesso tempo esistono settori nei quali ministri del culto e strutture ecclesiastiche canoniche non possono dare aiuto allo stato e cooperare con esso. Sono:

         a) la lotta politica, la propaganda elettorale, le campagne a sostegno di questo o quel partito

            politico, di questo o quel leader in campo sociale e politico;

         b) la conduzione di una guerra civile o di una guerra di aggressione esterna;

         c) la partecipazione diretta ad attività di indagine o a qualsiasi altra attività che richieda, in

            conformità con la legge dello stato, il mantenimento di un segreto anche in confessione o nel

            riferire all'autorità ecclesiastica.

L'ambito tradizionale delle attività sociali della Chiesa ortodossa russa è la sollecitazione dell’attenzione dell'autorità statale verso i bisogni del popolo, i diritti e le preoccupazioni di singoli cittadini o di gruppi sociali. Tale cura, che è un dovere della Chiesa, si esprime mediante appelli orali o scritti indirizzati agli organi dell'autorità statale di diversi settori e livelli da parte degli organi ecclesiastici competenti.

 

Potere legislativo, esecutivo e giudiziario

III.9. Nello stato moderno, di norma, vige la separazione dei poteri in legislativo, esecutivo e giudiziario e la distinzione dell’autorità a livello nazionale, regionale e locale. Questo determina la specificità dei rapporti tra la Chiesa e le autorità dei diversi settori e livelli.

I rapporti con il potere legislativo consistono nel dialogo fra la Chiesa e i legislatori sulle possibilità di migliorare le leggi nazionali e locali attinenti la vita della Chiesa, la collaborazione tra Chiesa e stato e gli ambiti oggetto della sollecitudine sociale della Chiesa. Questo dialogo riguarda anche le deliberazioni e le decisioni del potere legislativo che non hanno conseguenze dirette sul processo di estensione delle leggi.

Nei contatti con il potere esecutivo la Chiesa deve dialogare sulle decisioni che riguardano la vita della Chiesa, la cooperazione tra Chiesa e stato e gli ambiti oggetto della sollecitudine sociale della Chiesa. A tale scopo la Chiesa tiene vivi i contatti, ai rispettivi livelli, con gli organi centrali e locali del potere esecutivo, compresi quelli a cui compete la soluzione delle questioni pratiche della vita e dell'attività delle associazioni religiose e il controllo sul rispetto delle leggi (organismi giudiziari, procure, organi degli affari interni e simili).

Le relazioni tra la Chiesa e il potere giudiziario ai diversi livelli devono limitarsi alla tutela degli interessi della Chiesa, ove necessario, dinanzi ai tribunali. La Chiesa non interferisce con l’esercizio delle funzioni e dei mandati del potere giudiziario. Gli interessi della Chiesa in una procedura giudiziaria, tranne che in caso di estrema necessità, sono tutelati da laici, delegati dall'autorità ecclesiastica ai rispettivi livelli (Calced. 9). Le vertenze interne alla Chiesa non devono essere sottoposte a un giudizio secolare (Antioc. 12). I conflitti interconfessionali, come pure i conflitti con gli scismatici, che non toccano questioni dottrinali, possono essere sottoposti a un tribunale laico (Cart. 59).

 

Livello nazionale, regionale e locale

III.10. Il diritto canonico vieta al clero di rivolgersi all'autorità statale senza l'autorizzazione del superiore ecclesiastico. Così, l'11° canone del Concilio di Sardica recita: «Qualora un vescovo o un presbitero o in generale qualsiasi appartenente al clero abbia l'ardire di rivolgersi al sovrano senza il consenso o le istruzioni del vescovo della regione, e soprattutto del vescovo della metropolia: costui sarà destituito, e privato non solo della comunione, ma anche del titolo che aveva... Qualora invece una necessità inderogabile costringa qualcuno a rivolgersi al sovrano: costui lo faccia con l'esame previo e il consenso del vescovo della metropolia e degli altri vescovi di quella regione, e sia inviato con istruzioni da loro fornite e gli auguri di un buon esito».

I contatti e la cooperazione fra la Chiesa e i massimi organi dell'autorità statale competono al Patriarca e al santo Sinodo in maniera diretta o attraverso rappresentanti che hanno un mandato confermato per iscritto. Contatti e cooperazione con gli organi regionali del potere competono ai vescovi diocesani (eparchiali) in maniera diretta o attraverso rappresentanti, che hanno pure un mandato confermato per iscritto. Contatti e cooperazione con gli organi locali del potere e dell'autogoverno competono a funzionari ecclesiastici e a persone incaricate con il benestare dei vescovi diocesani (eparchiali). I rappresentanti della suprema autorità ecclesiastica incaricati di tenere i contatti con gli organi del potere possono essere designati sia in maniera permanente sia in vista di una specifica consulenza su singoli problemi.

Qualora una questione, già esaminata a livello locale o regionale, venisse deferita ai massimi organi del potere statale, il vescovo diocesano (eparchiale) ne darà notifica al Patriarca e al santo Sinodo e chiederà loro di tenere i contatti con lo stato proseguendo l’esame della questione. Qualora un’azione giudiziaria venisse trasferita dal livello locale o regionale al massimo livello, il vescovo diocesano (eparchiale) dovrà informare per iscritto il Patriarca e il santo Sinodo dei risultati delle precedenti udienze giudiziarie. I delegati dei distretti ecclesiastici di autogoverno e coloro che sono stati nominati dalle eparchie nei singoli stati hanno un'autorizzazione speciale del Patriarca e del santo Sinodo a tenere contatti permanenti con i governanti di questi stati.

 

Gli ecclesiastici e l’amministrazione statale

III.11. Onde evitare qualsiasi commistione tra affari ecclesiastici e statali e affinché l'autorità ecclesiastica non venga ad acquisire un carattere secolare, le leggi canoniche vietano agli ecclesiastici di partecipare agli affari dell'amministrazione statale. L'81a Costituzione apostolica recita: «Non si addice a un vescovo o a un presbitero occuparsi dell'amministrazione del popolo, ma essere sollecito per le cose della Chiesa». Lo stesso argomento è oggetto della 6a Costituzione apostolica e del 10° canone del VII Concilio ecumenico. Nel contesto moderno queste regole riguardano non solo l'adempimento dei mandati delle autorità amministrative, ma anche la partecipazione agli organi rappresentativi del potere (v. V.2.).

 
109

Foto 109

 
La ce să cugetăm înainte de spovedanie?

Sîntem în primă săptămînă a Postului Crăciunului cînd credincioşii încep să-şi cerceteze conştiinţele şi să se pregătească pentru spovedanie. Poate că cineva se ruşinează să mărturisească păcatele sale preotului duhovnic, poate că cineva se fereşte să fie cunoscut de duhovnic aşa cum este într-adevăr. Protoiereul rus Rodion Puteatin îi sfătuieşte pe unii ca aceştia să chibzuiască cum se vor simţi cînd le vor fi descoperite păcatele în faţa a milioane de oameni şi îngeri.


protoiereul Rodion Puteatin (1807-1869)

Fraţilor, cînd vă puneţi în gînd să vă mărturisiţi duhovnicului vostru, să aveţi intenţia fermă de a-I povesti tot ce ştiţi rău despre voi, să aveţi hotărîrea de a vă spovedi cu sinceritate fără scuze şi justificări. Voi vreţi ca duhovnicul din numele lui Dumnezeu să vă ierte greşelile; dar cum să vi le ierte, dacă voi nu I le descoperiţi pe deplin? Doriţi să vă vindecaţi de o boală a păcatului, dar cum să va tămăduiască doctoul duhovnicesc, dacă nu-I spuneţi clar şi deschis de ce boală suferiţi?

Vă este oarecum ruşine să-I deschideţi toate lucrurile voastre duhovnicului? Să vă fie ruşine să păcătuiţi, dar să recunoaşteţi păcatul nu trebuie să vă fie ruşine.

E greu acest lucru pentru tine? N-ai ce face. Păcatul doar atunci se iartă, cînd păcătosul va cunoaşte, va simţi greutatea acestuia pe conştiinţa sa. Cu cît îţi este mai apăsător şi mai ruşine la spovedanie, cu atît îţi va fi mai uşor după. Mai bine să te chinuieşti un cias, decît să te chinui toată viaţa, sau chiar o veşnicie. Păcatul e ca un şarpe, care nu încetează să sîsîie şi să te rănească, pînă cînd nu-l arunci afară din sufletul tău, adică pînă cînd nu-l vei spovedi. Cînd eu tăceam, - cîntă împăratul David,- oasele mele îmbătrînit-au de strigătele mele...am descoperit însă Ţie păcatul meu şi vina mea n-am ascuns-o; zis-am: "Mărturisi-voi fărădelegea mea Domnului"; şi Tu ai iertat nelegiuirea păcatului meu. (Ps.31, 3-5).

Îţi este teamă ca duhovnicul să nu-şi schimbe părerea bună pe care o are despre tine, să nu se gîndească rău de tine, cînd te vei mărturisi şi vei recunoaşte toate slăbiciunile şi patimile tale? Nu-ţi fie frică, aceasta nu se va întîmpla niciodată. Duhovnicul este şi el om şi, posibil nu e mai puţin păcătos decît tine; el ştie din propria experienţă ce lucruri sînt în stare să facă oamenii. Cu cît îi vei deschide mai mult păcatele, cu atît mai rîvnitor se va ruga el Domnului pentru tine; cu cît mai sincer vei mărturisi slăbiciunile tale, cu atît mai bună va fi părerea lui despre tine pentru sinceritatea şi trezvia conştiinţei tale.

Dar, să zicem, vei ascunde păcatul tău de duhovnic, dar oare vei putea să-l ascunzi de Dumnezeu? Dumnezeu demult ştie toate păcatele tale, ştie cele mai tăinuite intenţii păcătoase. Şi atunci? În faţa duhovnicului te vei pocăi, vei apărea curat şi drept; dar în faţa lui Dumnezeu vei fi mîrşav, vei fi osîndit, vei fi condamnat şi respins de Dumnezeu şi Îngerii Lui, pentru aceia că te-ai ruşinat de un singur om – duhovnicul tău. Da, greu păcătuieşte cel care la spovedanie ascunde păcatele sale. El minte duhovnicului său. Şi în faţa unui om obişnuit este păcat să minţi, dar el îl minte pe Dumnezeu, iar a-l minţi pe Dumnezeu este o nebunie; unul ca acesta îşi acoperă păcatele cu un nou păcat.

De ce nu-i spune tot duhovnicului? Din mîndrie. Nu altceva decît mîndria îţi interzice să recunoşti, că eşti împovărat cu păcate grele, infame, josnice. Tu nu vrei, iţi este ruşine să recunoşti toate fărădelegile tale în faţa duhovnicului? Dar cum te vei simţi cînd păcatele tale vor fi descoperite, vor fi declarate la Judecata Înfricoşătoare în faţa milioanelor de oameni şi Îngeri? ...Uite atunci într-adevăr îţi va fi ruşine, atît de ruşine îţi va fi, încît vei ruga munţii şi dealurile să te ascundă de păcatele nemărturisite.

Aşadar, fraţilor, mărturisiţi-vă cu toată sinceritatea, descoperiţi tot ce ştiţi rău despre voi; arătaţi-vă aşa cum sînteţi în realitate; nu vă scuzaţi cu nimic şi nicidecum nu vă justificaţi. Amin.

 
Eterna memoria al patriarca Ignazio!

Sua Beatitudine Ignazio IV, Patriarca di Antiochia e di tutto l'Oriente (al secolo Habib Hazim, nato nel 1921 nel villaggio di Mhardeh presso Hama, in Siria), è deceduto questa mattina all'età di 91 anni nell'ospedale di San Giorgio ad Ashrafieh (Beirut), dove era stato ricoverato ieri per un infarto. Allievo dell'istituto San Sergio di Parigi (dove era stato compagno di corsi di padre Mikhail Osorgin, anch'egli deceduto la scorsa settimana), ha guidato il patriarcato di Antiochia nelle condizioni difficili delle guerre del Medio Oriente, seguendo al tempo stesso in vari paesi un vasto movimento di conversioni di cristiani occidentali alla Chiesa ortodossa. In questi momenti di persecuzione e di martirio in Siria, di ricerca di una difficile stabilità in Libano, e di sforzo per far crescere le missioni ortodosse in Occidente, ai nostri fratelli del Patriarcato di Antiochia vanno il nostro più attento sostegno e le nostre preghiere.

Facendo memoria del Patriarca Ignazio IV, la Chiesa russa ha ancora vivo il ricordo di cosa significhi perdere un patriarca che ha guidato il suo popolo in anni difficili di rinnovamento. Proprio oggi ricorrono i quattro anni dalla morte del Patriarca Alessio II. Il sito Pravoslavie.ru, offre come ricordo una galleria fotografica, della vita di Alessio II, il video della sua ultima intervista, e altre testimonianze dalla pagina di ricordo del Patriarca Alessio.

 
110

Foto 110

 
110

Foto 110

 
Evhologhiul şi Liturghierul

EVHOLOGHIUL (Εὐχολόγιον) este cartea care cuprinde rânduiala săvârşirii Sfintelor Taine (cu excepţia Hirotoniei), a Ierurgiilor bisericeşti şi a slujbelor pentru diferite trebuinţe.

Drept prototip al acestei cărţi pot fi considerate Evhologhiul lui Serapion de Tmuis (1) şi Cartea a VIII-a a Constituţiilor Apostolice. La început Evhologhiul (bizantin) cuprindea în sine, pe lângă rânduiala „Tainelor”, şi textele din Liturghier şi cele din Arhieraticon. Cu timpul, prin secolul al XIII-lea, aceste cărţi au început să se separe.

Astăzi se păstrează mai multe manuscrise ale vechiului Evhologhiu bizantin (secolele al VIII-lea–al XII-lea), care arată anumite diferenţe de text şi mai ales de formă ale unor gesturi şi acte liturgice în săvârşirea Tainelor. Deci rugăciunile şi rânduielile Evhologhiului au cunoscut şi ele o evoluţie aparte, unele rânduieli fiind modificate chiar în Evul Mediu târziu (2). Liturgistul francez André Jacob clasifică manuscrisele Evhologhiului bizantin în patru grupe, fiecare din ele reflectând redactări diferite ale unui conţinut asemănător.

Aceste grupe sunt:

a) constantinopolitană primară;

b) constantinopolitană târzie;

c) periferică primară;

d) periferică târzie.

De obicei, cele periferice au un conţinut mai bogat, întrucât cei care le-au redactat, pe lângă rugăciunile şi întreg conţinutul Evhologhiului constantinopolitan, încercau să menţină şi propria tradiţie locală, înscriind astfel mai multe rugăciuni „de alternativă”. Cu timpul, acestea (locale) au fost pur şi simplu adăugate la cele din prima şi a doua grupă de manuscrise, formând nişte rânduieli mai complexe, uneori cu repetări de idei, iar alteori fără o continuitate clară (3).

Cele mai importante codice bizantine care conţin texte ale redactărilor vechi sunt: Barberini 336 (secolul al VIII-lea) – copie sud-italiană ce se află la Vatican (4); Leningradensis gr. 226, numit şi Evhologhiul lui Porfirie Uspensky (secolul al IX-lea sau chiar al VIII-lea); Sevastianov graecus 474 (secolele al X-lea–al XI-lea); Coislinus 213 – Evhologhiu constantinopolitan din anul 1027 aparţinând preotului Stratèghios de la Sfânta Sofia; Grottaferrata (secolele al XII-lea–al XIII-lea), numit şi Evhologhiul lui Visarion (Bessarion). (5) Prima ediţie critică şi istorică a Evhologhiului bizantin o face Jacob Goar. Ediţia a II-a de la Veneţia – 1730 – este cea mai cunoscută.

LITURGHIERUL (λειτουργιάριον / ἱερατικόν / служебник) – cartea de slujbă care cuprinde în sine rânduiala pentru preoţi şi diaconi la Vecernie, Utrenie şi cele trei Liturghii ortodoxe: a Sfântului Ioan Gură de Aur, a Sfântului Vasile cel Mare şi cea a Darurilor Înaintesfinţite.

Mai cuprinde, de asemenea, rânduiala Împărtăşirii, formulele Otpusturilor de peste an şi a Ecfoniselor (Vozglasurilor), rugăciuni la diferite trebuinţe, rânduiala Liturghiei cu Arhiereu, povăţuiri pentru săvârşirea Sfintei Liturghii şi Sinaxarul (Calendarul).

Trebuie să remarcăm că în trecut, pe când Liturghierul nici nu exista ca o carte distinctă (ci era cuprinsă în Evhologhiu, alături de alte Taine şi Ierurgii), rugăciunile erau scrise una după alta, fără indicaţii tipiconale (între ele) şi fără ecteniile şi formulele diaconului. Acestea din urmă apăreau de obicei într-o carte aparte, numită Diaconikon (Διακονικόν) (6), care este şi astăzi folosită de către greci şi de unii creştini orientali necalcedonieni. Printre cărţile de cult slavoneşti şi româneşti acesta nu este cunoscut (7), întreaga slujbă fiind cuprinsă în Liturghier.

Cât priveşte apariţia indicaţiilor tipiconale şi chiar a unor formule ale diaconului, acestea au început să apară, în special, după secolul al XIV-lea, datorită Diataxisului (Διάταξις τῆς Θείας Λειτουργίας) patriarhului Filothei Kokinos (8), care descria amănunţit rânduiala Liturghiei Sfântului Ioan Gură de Aur şi a Proscomidiei.(9) Acest Diataxis a suferit şi anumite schimbări de-a lungul timpului, mai ales în secolele al XV-lea–al XVI-lea (până la răspândirea ediţiilor tipărite ale Liturghierului), iar în prezent este normativ pentru toţi ortodocşii (şi chiar greco-catolicii), cu anumite particularităţi locale neînsemnate.

Primul Liturghier tipărit în întreaga lume a fost cel slavon al ieromonahului Macarie – Târgovişte / Mănăstirea Dealu, 1508. Nu mult după aceea, au început să apară şi primele traduceri româneşti: cea a diaconului Coresi de la Braşov în 1570 – ediţie oarecum controversată (10), apoi în 1679, la Iaşi, cea a Sfântului Mitropolit Dosoftei, care este prima traducere românească folosită cu adevărat în cult. (11)

Note

1 A. ДМИТРИЕВСКИЙ, Евхологион IV-го века Серапиона, епископа Тмуитскаго, Киев 1894, 34 pag. A se vedea şi referirile în româneşte la K. FELMY, op. cit., pp. 65-69. Aici găsim şi textul în româneşte al Anaforalei.

2 М. АРРАНЦ, ИCЛ, 5 volume, Roma-Moscova, 2003-2006. În aceste volume avem editate mai multe astfel de manuscrise, din diferite perioade şi din diferite locuri. Textele sunt în greceşte şi au doar unele introduceri şi comentarii în limba rusă.

3 A. JACOB, Histoire du formulaire, p. 42 ş.a.

4 Cf. М. ЖЕЛТОВ, Барберини Евхологий // ПЭ, vol. 4, pp. 131-132. Aici găsim o descriere destul de amănunţită a conţinutului acestui Evhologhiu. Menţionăm doar că este un Evhologhiu redactat în sudul Italiei, probabil după nişte variante de la Constantinopol şi nu numai. Denumirea lui vine de la cardinalul Barberini, de unde a ajuns în Biblioteca din Vatican. Cea mai bună ediţie a acestui codex o avem din anul 1995 (Roma), aparţinând cercetătorilor Parenti şi Velkovska. Noi însă am consultat şi am citat după M. ARRANZ, SJ, op. cit., vol. III, pp. 537-585.

5 M. ARRANZ, op. cit., vol. I. Remarcăm că în această lucrare sunt analizate textele mai multor manuscrise (originale) de bază ale Liturghiei (sec. VIII-XIII) şi multe alte texte editate în diferite colecţii de manuscrise precum cele ale lui A. Dmitrevski, F.E. Brightman, C.A. Swainson, P. Trempelas şi alte Evhologhii.

6 A nu se confunda cu termenul omonim care reprezintă o anexă a Altarului (numită la fel), înlocuită astăzi cu veşmântăria.

7 М. ЖЕЛТОВ, Диаконикон // ПЭ, vol. 14, p. 580. Varianta grecească a Diaconikonului aflată astăzi în uz (ediţia 1989) a ieşit sub îndrumarea marelui liturgist I. Foundoulis. Diaconikonul reglementează în special rânduiala slujbei cu mai mulţi diaconi la Liturghiile arhiereşti şi la cele obişnuite.

8 Filothei Kokinos, patriarh de Constantinopol între 1354 şi 1376, fost monah la Sinai şi ucenic al Sfântului Grigorie Palama.

9 Cf. Н. КРАСНОСЕЛЬЦЕВ, Материалы для истории чинопоследования литургии св. Иоанна Златоустого. Вып. 2: Уставы патриарха Константинопольского Филофея и протонотария Великой церкви Димитрия Гемиста по рукописям XIV в. // Православный собеседник, Казань, 1895, pp. 30-79; С. МУРЕТОВ, Чин проскомидии в греческой Церкви с XII до половины XIV века (до патриарха Филофея) // Чтения в Обществе любителей духовного просвещения, Moscova, 1894, Февраль, pp. 192-216.;

10 Vezi ediţia critică a lui Al. MAREŞ, Bucureşti, 1969.

11 N.A. URSU, Dumnezeiasca Liturghie în traducerea Sfântului Ierarh Dosoftei, Mitropolitul Moldovei – 1679, ediţie critică, Iaşi, 1980.

 
"I fondamenti della concezione sociale" - IV. Etica cristiana e diritto laico

Le leggi divine

IV.1. Dio è perfezione, e per questo è perfetto e armonico il mondo da lui creato. La vita è l’osservanza delle leggi divine, così come Dio stesso è vita eterna e perfetta. Attraverso il peccato originale dei progenitori il male e il peccato sono entrati nel mondo. Nel contempo, l'uomo decaduto ha però conservato la libertà di scegliere con l'aiuto di Dio il giusto cammino. In questo cammino, l'osservanza dei comandamenti divini rafforza la vita, mentre il loro rifiuto conduce inevitabilmente alla rovina e alla morte, giacché tale deviazione non è altro che l'allontanamento da Dio, e di conseguenza dall'essere e dalla vita, che possono essere solo in lui: «Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male; poiché io oggi ti comando di amare il Signore tuo Dio, di camminare per le sue vie, di osservare i suoi comandi, le sue leggi e le sue norme, perché tu viva e ti moltiplichi... Ma se il tuo cuore si volge indietro e se tu non ascolti e ti lasci trascinare..., io vi dichiaro oggi che certo perirete, che non avrete vita lunga nel paese» (Dt 30,15-18). Nell'ordine terreno il peccato e il castigo spesso non si succedono immediatamente l'uno dopo l'altro, ma sono separati da molti anni e persino da generazioni: «Io il Signore tuo Dio sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione per quanti mi odiano, ma usa misericordia fino a mille generazioni verso coloro che mi amano e osservano i miei comandamenti» (Dt 5,9-10). Tale distanza tra il delitto e il castigo, da un lato, conserva all'uomo la libertà, ma dall'altro costringe gli uomini ragionevoli e fedeli a osservare con grande attenzione le leggi divine, per imparare a distinguere il giusto dall'ingiusto, il lecito dall'illecito.

Numerose raccolte di insegnamenti e di leggi rappresentano le più antiche testimonianze storiche scritte. Senza dubbio esse risalgono a una fase ancora più antica della vita dell'umanità, quando ancora non era stata inventata la scrittura, poiché «la legge» è scritta da Dio nei cuori degli uomini (Rm 2,15). Il diritto esiste nella società umana da sempre. Le prime leggi vengono date all'uomo quando ancora è nel paradiso terrestre (Gen 2,16-17). Dopo il peccato originale, che è la violazione da parte dell'uomo della legge divina, il diritto diventa un limite, il cui superamento è una minaccia di distruzione sia dell'uomo come individuo che della convivenza umana.

 

Il diritto

IV.2. Il diritto è chiamato a essere la manifestazione dell'unica legge divina dell'universo nella sfera sociale e politica. Nel contempo ogni sistema giuridico creato dalla comunità umana, essendo il prodotto dell'evoluzione storica, porta in sé il marchio della limitatezza e dell'imperfezione. Il diritto è un ambito particolare, differente dall'ambito etico a esso correlato: esso non stabilisce le condizioni interiori del cuore umano, perché colui che conosce il cuore dell'uomo è Dio solo.

Oggetto della regolamentazione giuridica, che è l’essenza del processo legislativo, sono piuttosto la condotta e le azioni degli uomini. Diverse misure coercitive sono previste per imporre l’osservanza delle leggi. Le sanzioni previste dal legislatore per il ripristino dell'ordinamento giuridico violato fanno della legge un affidabile correttivo per la vita sociale fino a che, come è accaduto più volte nella storia, non si arriva al crollo dell'intero sistema giuridico in vigore. Del resto, dal momento che nessuna comunità umana può esistere senza diritto , al posto dell’ordinamento giuridico demolito sorge sempre un sistema legislativo nuovo.

Il diritto ha un contenuto minimo di norme morali vincolanti per tutti i membri della società. L'obiettivo della legge laica non è quello di trasformare nel regno di Dio il mondo immerso nel male, ma di far sì che esso non si trasformi in un inferno. Il principio fondamentale del diritto è: «non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te». Se un uomo ha commesso un'azione ingiusta nei confronti di un altro, il danno recato all'integrità dell'ordine divino del mondo può essere riparato attraverso la punizione del criminale o attraverso il perdono, nel qual caso colui che concede il perdono (il governante, il confessore, la comunità, ecc.) assume su di sé le conseguenze morali dell'atto peccaminoso. La sofferenza guarisce l'anima ferita dal peccato, mentre la sofferenza volontaria degli innocenti per i peccati dei criminali rappresenta la forma più sublime di espiazione, culminante nell'immolazione del Signore Gesù, che ha assunto su di sé il peccato del mondo (Gv 1,29).

 

La legge umana e i precetti divini

IV.3. La valutazione del «limite dell'offesa», che allontana l'uomo dall'uomo, si è differenziata nelle diverse società e nelle diverse epoche. Quanto più una comunità umana è religiosa, tanto maggiore è in essa la coscienza dell'unità e dell'integrità del mondo. In una società fondamentalmente religiosa le persone vengono considerate su due piani, sia come individui unici, che stanno in piedi o cadono dinanzi a Dio (Rm 14,4) e non sono pertanto giudicabili dagli altri uomini, sia come membri dell'unico corpo pubblico, nel quale la malattia di un membro provoca la malattia e persino la morte dell'intero organismo. In quest'ultimo caso, ogni uomo può e deve essere giudicato dalla comunità, dal mondo, dato che le azioni di uno solo influiscono su molti. La ricerca di uno spirito di pace a opera di un solo giusto, secondo le parole di s. Serafino di Sarov, porta alla salvezza di migliaia di persone intorno a lui, e il peccato di un solo empio può comportare la rovina di molti.

Tale atteggiamento verso le manifestazioni del peccato e del crimine ha un saldo fondamento nella Sacra Scrittura e nella tradizione della Chiesa: «Con la benedizione degli uomini retti si innalza una città, la bocca degli empi la demolisce» (Pr 11,11). San Basilio Magno ammoniva gli abitanti di Cesarea di Cappadocia, che soffrivano la fame e la sete: «A causa di pochi giungono calamità su tutto il popolo, e a causa dei misfatti di uno solo, molti devono assaporarne i frutti. Acab commise un sacrilegio e fu sconfitto l'intero esercito; e ancora Zimri commise un peccato di lussuria con una madianita, e Israele cominciò a subire il castigo». Lo stesso scrive s. Cipriano di Mosca: «Non sapete che il peccato del popolo ricade sul principe e il peccato del principe ricade sul popolo?».

Per questo le antiche raccolte di leggi regolamentavano anche quegli aspetti della vita, che attualmente stanno al di fuori del sistema giuridico. Per esempio, secondo le norme giuridiche del Pentateuco l'adulterio era punito con la pena di morte (Lv 20,10), mentre nella maggior parte degli stati al giorno d'oggi esso non è più considerato reato. Una volta smarrita la concezione del mondo nella sua integrità, il campo della regolamentazione giuridica si riduce solo ai casi di danno palese, e gli ambiti del diritto si restringono con il deteriorarsi della moralità sociale e con la secolarizzazione della coscienza. Per esempio, la magia, che costituiva un grave reato nelle società antiche, oggi è considerata dalla legge come un qualcosa di immaginario, che pertiene alla fantasia, e per questo non viene punita.

L’uomo, a causa della sua natura corrotta che ne ha deformato la coscienza, non è in grado di accogliere la legge di Dio in tutta la sua pienezza. Nelle diverse epoche si è preso coscienza solo in parte di questa legge. Questo è dimostrato molto bene nel discorso del Salvatore sul divorzio. Mosè aveva permesso agli israeliti di sciogliere il matrimonio «per la durezza del loro cuore», ma «da principio» non fu così, perché nel matrimonio l'uomo diventa «una sola carne» con sua moglie, e per questo il matrimonio è indissolubile (Mt 19,3-6).

Tuttavia nei casi in cui la legge degli uomini respinge in maniera totale il precetto divino assoluto, sostituendolo con uno opposto, essa cessa di essere una legge, e diventa atto illecito, qualunque sia la veste giuridica con cui si camuffa. Per esempio, nel decalogo è detto chiaramente: «Onora tuo padre e tua madre» (Es 20,12). Qualsiasi legge laica che contrasta con questo comandamento rende criminale non tanto colui che lo vìola, ma lo stesso legislatore. In altri termini, la legge degli uomini non contiene mai la perfezione della legge divina, ma perché possa restare legge, essa è tenuta a essere conforme ai principi stabiliti da Dio, e non a sopprimerli.

 

Origine religiosa del diritto

IV.4. La legge religiosa e quella laica storicamente provengono da una sola origine e per lungo tempo sono apparse solo come due aspetti dell'unico ambito giuridico. Tale concezione del diritto è peculiare anche dell'Antico Testamento.

Il Signore Gesù Cristo, quando chiama coloro che gli sono fedeli al Regno che non è di questo mondo, separa (Lc 12,51-52) la Chiesa come suo corpo dal mondo immerso nel male. Nel cristianesimo la legge interna della Chiesa è libera dalla condizione spiritualmente decaduta del mondo e persino contrapposta a esso (Mt 5,21-47). Tuttavia questa contrapposizione non è una violazione, ma il pieno adempimento della legge della verità divina, da cui l'umanità deviò nel peccato originale. Confrontando i precetti veterotestamentari con la legge della buona novella, il Signore nel discorso della montagna invita a conformare pienamente la vita con la legge divina assoluta, cioè a «divinizzarla»: «Siate dunque perfetti, così come è perfetto il Padre vostro che è in cielo» (Mt 5,48).

 

Il diritto canonico

IV.5. Nella Chiesa, creata dal Signore Gesù, vige una legge particolare, il cui fondamento è costituito dalla Rivelazione divina. Questa legge è il diritto canonico. Se le altre leggi religiose sono state date all'umanità decaduta e allontanatasi da Dio, e per propria natura possono far parte della legislazione civile, la legge cristiana per principio appartiene a una sfera superiore. Essa non può fare direttamente parte della legislazione civile, anche se nelle società cristiane esercita su di essa un benefico influsso, come suo fondamento etico.

Gli stati cristiani di solito hanno utilizzato il diritto modificato del tempo pagano (per esempio, il diritto romano nel «Corpus» di Giustiniano), perché in esso erano contenute norme compatibili con la verità divina. Tuttavia il tentativo di creare un diritto pubblico, penale o civile fondato esclusivamente sul vangelo non può avere consistenza, perché senza la piena santificazione della vita, cioè senza la completa vittoria sul peccato, la legge della Chiesa non può diventare la legge del mondo. Ma questa vittoria è possibile solo in una prospettiva escatologica.

Il tentativo intrapreso al tempo dell'imperatore Giustiniano di cristianizzare il sistema giuridico ereditato dalla Roma pagana si rivelò comunque del tutto felice, non da ultimo appunto perché il legislatore, creando il «Corpus», si era reso pienamente conto del limite che separa l'ordine di questo mondo, che anche in epoca cristiana porta su di sé il segno della caduta e del guasto prodotto dal peccato, dalle leggi del mistico corpo di Cristo – la Chiesa – anche nel caso in cui le membra di questo corpo e i cittadini dello stato cristiano siano le stesse e medesime persone. Il «Corpus» giustinianeo per secoli fissò l'ordinamento giuridico di Bisanzio ed esercitò un importante influsso sullo sviluppo del diritto in Russia e in alcuni paesi dell'Europa occidentale in epoca medioevale e moderna.

 

La concezione dei diritti umani

IV.6. L'idea dei diritti inalienabili della persona è uno dei principi dominanti nella coscienza giuridica laica contemporanea. La concezione di tali diritti si fonda sulla dottrina biblica dell'uomo come immagine e somiglianza di Dio, come creatura ontologicamente libera. «Considera quanto ti circonda», scrive s. Antonio d'Egitto, «e sappi che signori e padroni hanno potere solo sul tuo corpo, ma non sulla tua anima, e serba sempre questo nella tua mente. Poiché, quando essi ti ordineranno, per esempio, di uccidere, o di compiere qualche altra azione disdicevole, o immorale o dannosa per l'anima, non bisogna ascoltarli, anche se essi dovessero straziarti il corpo. Dio ha creato l'anima libera e padrona di sé, ed essa è libera e capace di agire come vuole, bene o male».

L'etica sociale cristiana esigeva che l'individuo mantenesse un qualche spazio di autonomia, dove la sua coscienza fosse il signore «autocratico», perché dalla libertà in ultima analisi dipende la salvezza o la rovina, la via che conduce a Cristo o la via che allontana da Cristo. I diritti alla fede, alla vita, alla famiglia sono ciò che salvaguarda i reconditi fondamenti della libertà dell'uomo dal dominio arbitrario di forze estranee. Questi principi interiori sono integrati e garantiti dagli altri diritti esterni – per esempio, dal diritto alla libertà di movimento, al ricevere informazioni, alla creazione di un patrimonio, al suo possesso e alla sua cessione.

Dio rispetta la libertà dell'uomo, senza mai forzare la sua volontà. Al contrario, Satana tenta di impadronirsi della volontà dell'uomo, di soggiogarla. Se il diritto si conforma con la verità divina, rivelata dal Signore Gesù Cristo, allora anch'esso si pone a tutela della libertà dell'uomo: «dove c'è lo Spirito c'è la libertà» (2Cor 3,17). Di conseguenza, tutela i diritti inalienabili della persona. Quelle tradizioni, invece, alle quali non è noto il principio della libertà cristiana, a volte cercano di assoggettare la coscienza dell'uomo alla volontà esterna di un dominatore o della collettività.

 

I diritti dell’uomo nella secolarizzazione

IV.7. Con il procedere della secolarizzazione, gli alti principi dei diritti inalienabili dell'uomo si sono andati trasformando in una concezione dei diritti dell'individuo al di fuori del suo rapporto con Dio. Con questo la salvaguardia della libertà della persona si è trasformata nella difesa del libero arbitrio individuale (fino al limite in cui esso non danneggi gli altri individui) e nella richiesta che lo stato garantisca un determinato tenore di vita materiale della persona e della famiglia. Nella concezione sistematica contemporanea dei diritti civili, l'uomo è visto non come immagine di Dio, ma come un soggetto autosufficiente e avente valore in sé, assoluto. Tuttavia, al di fuori di Dio esiste solo l'uomo decaduto, lontanissimo dall'ideale di perfezione perseguito dai cristiani e rivelato in Cristo («Ecce Homo!»). Inoltre per la coscienza giuridica cristiana l'idea della libertà e dei diritti dell'uomo è indissolubilmente legata all'idea del servizio. I diritti sono necessari al cristiano prima di tutto perché, esercitandoli, egli possa rispondere nel modo migliore alla sua nobile vocazione di essere «immagine di Dio» e compiere il suo dovere davanti a Dio e alla Chiesa, davanti agli altri uomini, alla famiglia, allo stato, al popolo e alle altre comunità umane.

In seguito alla secolarizzazione dell’età moderna, prevale la teoria del diritto naturale, che nei suoi principi non considera la corruzione della natura umana. Questa teoria però non perde il legame con la tradizione cristiana, poiché nasce dalla convinzione che le nozioni del bene e del male siano innate nella natura umana, e per questo il diritto scaturisce dalla vita stessa, fondandosi nella coscienza («l'imperativo morale categorico»). Fino al XIX secolo tale teoria ha predominato nella società europea. Le sue conseguenze pratiche sono state, in primo luogo, il principio della continuità storica della sfera giuridica (il diritto non si può abolire, come non si può abolire la coscienza; lo si può solo migliorare e adattare con un procedimento legale alle nuove circostanze e alle nuove situazioni) e, in secondo luogo, il principio del precedente (un tribunale, conformandosi alla coscienza e alla consuetudine giuridica, può emettere una sentenza giudiziaria giusta, cioè conforme alla verità divina).

Nella concezione contemporanea del diritto prevalgono idee apologetiche riguardo al diritto positivo in vigore. Secondo tali idee, il diritto è un'invenzione dell'uomo, una costruzione che la società crea per la propria utilità, per la soluzione di problemi da lei stessa provocati. Di conseguenza, qualsiasi cambiamento della legge, se è deciso dalla società, è lecito. La legge scritta non ha nessun fondamento giuridico assoluto. In questa prospettiva è lecita la rivoluzione, che con la violenza respinge le leggi del «vecchio mondo», come è lecita la totale negazione del principio etico, se tale negazione viene approvata dalla società. Così, se la comunità contemporanea non considera l'aborto un omicidio, esso non è un omicidio neppure sotto il profilo giuridico. Gli apologeti del diritto positivo ritengono che la società possa introdurre le leggi più diverse, e d'altro canto, considerano legittima qualunque legge in vigore già in forza della sua stessa esistenza.

 

L’ordinamento giuridico in Russia

IV.8. L'ordinamento giuridico di un singolo paese è la variante particolare della legge che regola i rapporti umani in generale, propria di un determinato popolo. La legge nazionale esprime i principi fondamentali dei rapporti fra gli uomini, fra l'autorità e la società e fra le istituzioni in riferimento alle particolari caratteristiche di una nazione concreta che cammina nella storia. Il diritto nazionale è imperfetto perché imperfetto e peccatore è ogni popolo. Tuttavia esso crea l'ossatura della vita del popolo, se traduce le verità assolute di Dio adeguandole alla vita nazionale e storica concreta. Così, nel corso di un millennio, l'ordinamento giuridico in Russia si è andato gradualmente evolvendo e si è fatto più complesso mano a mano che la società stessa andava organizzandosi in forme sempre più articolate. Al diritto slavo consuetudinario, che aveva in parte conservato fino al X secolo le antiche forme ariane generali, furono aggiunti, con la cristianizzazione, vari elementi della legislazione bizantina attraverso il «Corpus» di Giustiniano, il quale risaliva al diritto romano classico e al diritto ecclesiastico, che allora era unito al diritto civile. A partire dal XVII secolo il diritto russo recepì attivamente i principi e la logica giuridica della legislazione dell'Europa occidentale, e nello stesso tempo questo avviene in maniera piuttosto limitata Si trattò di un processo organico, perché fin dai secc. X e XI la Rus’ mutuò da Costantinopoli, insieme al cristianesimo, elementi della tradizione giuridica romana, fondamentale per l'Europa. L'antica Russkaja Pravda ["Verità russa"], gli statuti e le istruzioni statutarie dei prìncipi, le istruzioni giudiziarie e le raccolte di sentenze giudiziarie, lo Stoglàv [Libro dei Cento capitoli – Protocollo del Consiglio provinciale della Chiesa russa – 1551] e il Codice conciliare del 1649, gli articoli e gli ukazy [decreti] di Pietro I, gli atti legislativi di Caterina la Grande e di Alessandro I, le riforme di Alessandro II e le Leggi statali fondamentali del 1906 hanno rappresentato un unico tessuto giuridico per il popolo. Alcune leggi sono diventate obsolete e sono scomparse, altre invece sono state sostituite. Alcune innovazioni giuridiche si sono rivelate fallimentari, non rispondenti al carattere della vita del popolo, e non sono più state applicate. Lo sviluppo dell'ordinamento giuridico nazionale russo, le cui origini si perdono nella storia remota, venne interrotto nel 1917. Il 22 novembre di quell'anno il Soviet dei commissari del popolo, in linea con lo spirito del diritto positivo, abrogò l'intera legislazione russa. Dopo il crollo, all'inizio degli anni novanta, dell'organizzazione statale sovietica, il sistema giuridico nella CSI e nei paesi baltici è ancora in fase di sviluppo. A fondamento di tale sistema vi sono le idee predominanti nella concezione giuridica secolarizzata contemporanea.

 

Il cristiano e la legge dello stato

IV.9. La Chiesa di Cristo, conservando il suo diritto autonomo, fondato sui sacri canoni, e mantenendosi entro i limiti propri della vita ecclesiale, può sussistere all’interno dei sistemi giuridici più diversi, che essa tratta con il dovuto rispetto. La Chiesa invariabilmente esorta i suoi fedeli a essere cittadini rispettosi della legge della loro patria terrena. Nello stesso tempo essa ribadisce sempre i limiti invalicabili che caratterizzano l’obbedienza alla legge da parte dei suoi fedeli.

In tutto quello che riguarda l'ordine esclusivamente terreno, il cristiano ortodosso è tenuto a obbedire alle leggi, indipendentemente dal loro carattere imperfetto ed erroneo. Quando invece l'adempimento della legge minaccia la salvezza eterna e presuppone un atto di apostasia o un altro peccato certo verso Dio e il prossimo, il cristiano è chiamato a un atto di professione di fede per amore della verità divina e per la salvezza della propria anima per la vita eterna. Egli deve apertamente intervenire, nei modi previsti dalla legge, contro ogni indiscutibile violazione dei precetti e dei comandamenti di Dio da parte della società e dello stato, e se tale intervento legale non è possibile o è inefficace, deve assumere una posizione di disobbedienza civile (v. III.5.).

 
110

Foto 110

 
Da una lettera del Metropolita Nicola di Mesogaia e Lavreotiki (Chiesa ortodossa di Grecia), riguardo alla trasmissione della febbre suina e riguardo ai santi Misteri della Chiesa

Cari fratelli e sorelle,

Come risultato della recente pandemia di febbre suina, è stata sollevata – senza necessità – la questione della possibile trasmissione di malattie attraverso la santa Comunione. Sfruttiamo questa opportunità per esprimere certe verità, che sono richieste per custodire in noi il tesoro senza prezzo della Fede.

La nostra Chiesa trasmette ormai da duemila anni la grazia dei suoi sacramenti, nel modo usuale e benedetto, ‘per la guarigione dell’anima e del corpo’. Non ha mai avuto bisogno di speculare con la logica contemporanea del dubbio irriverente, ma ha vissuto giorno dopo giorno con l’esperienza dell’affermazione di un miracolo supremo. Come potrebbe mai la comunione con Dio essere causa di malattia o pure del danno più lieve? Come potrebbero mai il corpo e il sangue del nostro Signore e Dio inquinare il nostro corpo e il nostro sangue? Come potrebbe mai un’esperienza quotidiana di duemila anni essere negata dal mero razionalismo e dalla fredda superficialità del nostro tempo?

I fedeli – sia sani che malati – hanno ricevuto la santa Comunione per secoli, distribuita dagli stessi cucchiai da Comunione – che non sono mai lavati né disinfettati – e mai niente di sfortunato è successo. I preti che servono negli ospedali, anche in quelli per malattie contagiose, distribuiscono tutti la santa Comunione ai fedeli, quindi consumano i resti del calice con riverenza e tutti godono di lunga vita. La Santa Comunione è tutto ciò che come Chiesa e come popolo abbiamo di sacro. È la suprema medicina per il corpo e per l’anima. Questo è pure l’insegnamento e l‘esperienza della nostra Chiesa.

Tutti quelli che non credono nel miracolo della Risurrezione del Signore, che disprezzano la sua nascita da una vergine, che negano la fragranza emanata dalle sante reliquie, che mostrano disprezzo verso tutto ciò che è santo e consacrato, che cospirano contro la nostra Chiesa e cercano di sradicare la minima traccia di fede dalle nostre anime cercheranno pure naturalmente di usare questa opportunità di insultare il santo mistero dell’Eucaristia.

Sfortunatamente, il problema non è il virus dell’influenza – come i media amano proclamare – né lo è il virus del panico mondiale – sostenuto da interessi medici. Il problema è il virus dell’empietà e della mancanza di fede. E il miglior vaccino è la nostra partecipazione frequente al mistero della santa Comunione, con una coscienza chiara e irreprensibile.

 
La nostra chiesa su un sito russo di pellegrinaggio

La nostra parrocchia è menzionata su un sito dedicato ai pellegrinaggi nella Chiesa ortodossa russa. Pur riportando un errore di fatto (la chiesa non è di proprietà della parrocchia, ma è offerta in comodato), la pagina offre una curiosa opinione:

Церковь..., пожалуй, является самой большой из всех храмов, относящихся к Корсунской епархии на территории Италии. (La chiesa..., forse, è la più grande di tutte quelle appartenenti alla Diocesi di Korsun in Italia.)

Mentre ci auguriamo che presto possano esserci nella nostra diocesi chiese anche più grandi, ricordiamo con affetto il pellegrinaggio del 2010 associato a questa pagina, che qui è descritto con un articolo e un album fotografico del pellegrinaggio.

Il pellegrinaggio era guidato dall'archimandrita Pavel (Fokin), allora rettore della parrocchia di San Nicola a Roma e oggi vescovo della diocesi di Khanty-Mansijsk in Siberia.

 
111

Foto 111

 
111

Foto 111

 
"I fondamenti della concezione sociale" - V. Chiesa e politica

La competizione democratica

V.1. Nello stato contemporaneo i cittadini partecipano al governo del paese mediante il voto. Una parte notevole di essi appartiene a partiti politici, a movimenti e associazioni, a raggruppamenti politici e ad altre organizzazioni simili basati su diverse dottrine e idee politiche. Queste organizzazioni, aspirando a organizzare la vita della società secondo le convinzioni politiche dei propri membri, hanno tra le loro finalità quella di raggiungere, mantenere o riformare il potere nello stato. Nell'attuazione del mandato ricevuto in virtù del voto popolare nelle elezioni, le organizzazioni politiche possono partecipare all'attività delle strutture del potere legislativo ed esecutivo.

L'esistenza nella società di convinzioni politiche diverse, e talvolta contrastanti e di interessi antitetici genera una lotta politica, che viene condotta sia con metodi legali e moralmente giustificati, sia a volte con metodi che contrastano con i principi del diritto pubblico e dell'etica cristiana e naturale.

 

La partecipazione della Chiesa alla politica

V.2. La Chiesa, per comando divino, ha come suo compito quello di essere sollecita per l'unità dei suoi figli, la pace e la concordia nella società, e la partecipazione di tutti i suoi membri al lavoro comune di edificazione della società. La Chiesa è chiamata a predicare e a costruire la pace con tutta la società: «Se è possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti» (Rm 12,18); «cercate di essere in pace con tutti» (Eb 12,14). Ma ancora più importante per essa è l'unità interna nella fede e nell'amore: «fratelli, in nome di Gesù Cristo nostro Signore, vi chiedo che... non vi siano contrasti e divisioni tra voi, ma siate uniti: abbiate gli stessi pensieri e le stesse convinzioni» (1Cor 1,10). Per la Chiesa il valore supremo è la sua unità come corpo mistico di Cristo (Ef 1,23), dalla cui vita incorrotta dipende la salvezza eterna dell'uomo. S. Ignazio Teoforo, rivolgendosi ai membri della Chiesa di Cristo, scrive: «Tutti voi formate di voi stessi l'unico tempio di Dio, l'unico altare, l'unico Gesù».

Di fronte alle divergenze, ai contrasti e alle lotte della vita politica, la Chiesa predica la pace e la cooperazione fra gli uomini che seguono opinioni politiche diverse. Essa inoltre ammette l'esistenza di convinzioni politiche diverse tra l’episcopato, il clero e i laici, a eccezione di quelle che portino chiaramente ad azioni contrastanti con la dottrina religiosa ortodossa e con i principi morali della tradizione della Chiesa.

È inammissibile la partecipazione della suprema autorità della Chiesa e dei ministri del culto, e di conseguenza di tutta la gerarchia ecclesiastica, ad attività di carattere politico ed elettorale, quali il sostegno pubblico alle organizzazioni politiche in lizza oppure a singoli candidati, le campagne elettorali ecc. e così via. Non è ammessa la presentazione di candidature di ministri del culto alle elezioni di qualsiasi organo del potere rappresentativo a ogni livello. Nello stesso tempo nulla deve impedire la partecipazione delle autorità ecclesiastiche, dei ministri del culto e dei laici, alla pari degli altri cittadini, all'espressione della volontà popolare mediante il voto.

Nella storia della Chiesa si ricordano non pochi casi in cui tutta quanta la Chiesa ha offerto il proprio sostegno a diverse dottrine, idee, organizzazioni e personalità politiche. In parecchi tra questi casi tale sostegno era legato alla necessità di difendere gli interessi vitali della Chiesa nelle condizioni estreme delle persecuzioni antireligiose e delle azioni distruttive o restrittive perpetrate dalle autorità non cristiane e non ortodosse. In altri casi un simile sostegno era la conseguenza della pressione del governo o delle strutture politiche, e di solito provocava separazioni e contrasti all'interno della Chiesa e l'allontanamento da essa di alcuni dei fedeli non saldi nella fede.

Nel XX secolo i ministri del culto e le autorità della Chiesa ortodossa russa sono entrati a far parte di diversi organi elettivi del potere, in particolare della Duma di stato dell'impero russo, dei soviet supremi dell'URSS e della Federazione russa, e di una serie di consigli locali e di assemblee legislative. In alcuni casi la partecipazione dei ministri del culto all'attività degli organi del potere ha recato un vantaggio alla Chiesa e alla società, tuttavia non di rado tale partecipazione ha provocato confusione e divisioni. Ciò si è verificato in particolare quando fu consentita l'adesione dei ministri del culto solamente a determinati gruppi parlamentari, e quando alcuni sacerdoti presentarono la propria candidatura ad alcune cariche elettive senza il consenso della Chiesa. In complesso questa partecipazione ha dimostrato che in pratica una tal cosa era impossibile senza che ci si assumesse la responsabilità di adottare decisioni che rispondevano agli interessi di una sola parte della popolazione ma contrastavano con gli interessi di un'altra parte. Questa situazione complica seriamente l'attività pastorale e missionaria del ministro del culto, chiamato, secondo le parole dell'apostolo Paolo, a essere «per tutti... per portare a Cristo il più gran numero possibile di persone» (1 Cor 9,19). Nello stesso tempo la storia insegna che la decisione dei ministri del culto di partecipare o meno all'attività politica è stata e deve essere assunta sulla base delle necessità di ciascuna epoca, tenendo conto della condizione interna dell'organismo ecclesiale e della sua posizione nello stato. Tuttavia, dal punto di vista canonico, la questione se il ministro del culto che occupa un posto di governo debba lavorare a livello professionale viene risolta inequivocabilmente in senso negativo.

L'8 ottobre 1919, s. Tichon si rivolse al clero della Chiesa russa con un messaggio, nel quale invitava i sacerdoti a non interferire con la lotta politica e, in particolare, affermava che i servi della Chiesa «secondo la propria dignità devono stare al di sopra e al di fuori di ogni interesse politico, devono tenere a mente le norme canoniche della santa Chiesa, con le quali essa proibisce ai suoi servi di intromettersi nella vita politica del paese, di appartenere a qualsivoglia partito politico, e a maggior ragione di trasformare riti religiosi e celebrazioni liturgiche in uno strumento di dimostrazioni politiche».

Alla vigilia delle elezioni dei deputati del popolo dell'URSS, il santo Sinodo, il 27 dicembre 1988, stabilì «di benedire i rappresentanti della nostra Chiesa, nel caso della loro affermazione e della loro elezione come deputati del popolo, per questa attività, esprimendo con questo la nostra fiducia che essa servirà al bene dei credenti e di tutta la nostra società». Oltre a essere eletti come deputati del popolo dell'URSS, una serie di alti prelati e di sacerdoti occuparono posti di deputato nei soviet repubblicani, regionali e locali.

Le nuove condizioni della vita politica stimolarono il Sinodo dei vescovi della Chiesa ortodossa russa nell'ottobre 1989 a rivolgere una grande attenzione all'esame di due problemi: «in primo luogo, fino a che punto la Chiesa possa assumersi responsabilità in ordine alle decisioni politiche senza compromettere la sua autorità pastorale, e, in secondo luogo, se sia lecito alla Chiesa rinunciare a partecipare alla creazione delle leggi e alla possibilità di esercitare la sua influenza morale sul processo politico, quando dall'assunzione di una decisione dipende la sorte del paese». In seguito a questa riflessione, il Sinodo dei vescovi riconobbe che la definizione del santo Sinodo del 27 dicembre 1988 riguardava solo le elezioni del passato. Per il futuro invece fu assunto un regolamento, secondo il quale il problema dell'opportunità della partecipazione di rappresentanti del clero alle campagne elettorali deve essere decisa preliminarmente caso per caso dalle autorità supreme della Chiesa (il santo Sinodo per l'episcopato, i vescovi per il clero subordinato).

Alcuni rappresentanti del clero, senza aver ricevuto la debita autorizzazione, parteciparono tuttavia alle elezioni. Il santo Sinodo del 20 marzo 1990 con rammarico dichiarò che «la Chiesa ortodossa russa respinge la responsabilità morale e religiosa della partecipazione di queste persone agli organi elettivi del potere». Per ragioni di oikonomia il Sinodo si astenne dall'applicare ai trasgressori della disciplina le sanzioni dovute «constatando che tale comportamento ricade sulla loro coscienza».

L'8 ottobre 1993, in vista della creazione in Russia di un parlamento di politici di professione, durante la sessione allargata del santo Sinodo fu presa la decisione di ordinare ai ministri del culto di astenersi dal partecipare alle elezioni parlamentari russe in qualità di candidati deputati. Dalla corrispondente ordinanza sinodale fu stabilito che i ministri del culto che l'avessero violata sarebbero stati destituiti dalla dignità ecclesiastica. Il Sinodo dei vescovi della Chiesa ortodossa russa del 1994 approvò questa ordinanza del santo Sinodo «come tempestiva a saggia», ed estese la sua validità «alla partecipazione anche in futuro dei ministri del culto della Chiesa ortodossa russa alle elezioni di tutti gli organi del potere elettivo dei paesi della CSI e del Baltico a livello sia nazionale che locale».

Lo stesso Sinodo dei vescovi, in fedeltà ai santi canoni, rispondendo alle sfide della realtà contemporanea, stabilì una serie di norme importantissime, riguardanti il tema in esame. Così, in una delle deliberazioni del Sinodo dei vescovi si dice: «Si conferma l'inammissibilità per tutta la gerarchia ecclesiastica di appoggiare un qualsivoglia partito politico, movimento, coalizione, associazione e organizzazione politica analoga, e anche loro singoli attivisti, in primo luogo durante le campagne elettorali... Si ritiene pure estremamente disdicevole l'appartenenza dei ministri del culto a partiti politici, movimenti, associazioni, coalizioni politiche e organizzazioni simili che conducono in primo luogo a una battaglia elettorale».

Il Sinodo dei vescovi che si tenne nel 1997 sviluppò i principi dei rapporti tra la Chiesa e le organizzazioni politiche e ribadì una delle deliberazioni del precedente Sinodo che non aveva acconsentito a che i ministri del culto entrassero a far parte di associazioni politiche. Nella definizione del Sinodo «Sulle relazioni con lo stato e la società laica», in particolare, si dice: «Si incoraggiano il dialogo e i rapporti della Chiesa con le organizzazioni politiche nel caso in cui tali rapporti non abbiano carattere di sostegno politico. Si ritiene ammissibile la collaborazione con tali organizzazioni per scopi utili alla Chiesa e al popolo, escludendo di interpretare tale collaborazione come sostegno politico... Si ritiene inammissibile la partecipazione dei dignitari ecclesiastici e dei ministri del culto a qualsivoglia campagna elettorale così come la loro appartenenza ad associazioni politiche, i cui statuti prevedano la designazione dei propri candidati a posti pubblici elettivi di tutti i livelli».

Il fatto che tutta la gerarchia ecclesiastica si astenga dal partecipare alla lotta politica, all'attività dei partiti politici e alle procedure elettorali non significa la sua rinuncia a esprimere pubblicamente le sue posizioni su questioni socialmente rilevanti e a presentare queste posizioni agli organi di potere di qualsiasi paese a qualunque livello. Tali posizioni sono espresse esclusivamente dai Sinodi della Chiesa, dalle supreme autorità ecclesiastiche e da coloro che ne hanno ricevuto l'autorizzazione. In ogni caso il loro diritto di espressione non può essere delegato a istituzioni dello stato, alle organizzazioni politiche o ad altre associazioni laiche.  

 

La partecipazione dei laici ortodossi alla politica

V.3. Nulla impedisce la partecipazione dei laici ortodossi all'attività degli organi del potere legislativo, esecutivo e giudiziario e delle organizzazioni politiche. Anzi, tale partecipazione, se si compie in conformità con la dottrina della Chiesa, con i suoi principi morali e con la sua posizione ufficiale sulle questioni sociali, è una delle forme della missione della Chiesa nella società. I laici possono anche essere chiamati, compiendo il proprio dovere civile, a partecipare ai processi connessi con le elezioni delle autorità di tutti i livelli, e a dare il proprio contributo per ogni iniziativa moralmente giusta dello stato.

La storia della Chiesa ortodossa ha conservato una grande quantità di esempi della più attiva partecipazione di laici alla gestione dello stato, all'attività delle associazioni politiche o di altre associazioni civili. Tale partecipazione è avvenuta nel contesto di diversi sistemi di ordinamento statale: autocrazia, monarchia costituzionale e varie forme del sistema repubblicano. La partecipazione dei laici ortodossi alle attività civili e politiche è stata ostacolata solo sotto il dominio delle ideologie non cristiane e sotto il regime dell'ateismo di stato.

Partecipando al governo dello stato e ai processi politici, il laico ortodosso è chiamato a fondare la propria attività sui principi della morale evangelica, sull'unità di giustizia e carità (Sal 85,11), sulla sollecitudine per il bene spirituale e materiale delle persone, sull'amore per la patria e sull'aspirazione a trasfigurare il mondo secondo la parola di Cristo.

Nello stesso tempo, il cristiano – politico o uomo di stato – deve avere chiara coscienza che nella realtà storica, e tanto più nel contesto della società odierna divisa e piena di contraddizioni, la maggior parte delle decisioni prese e delle azioni politiche compiute tende a giovare a una sola parte della società e nello stesso tempo limita o danneggia gli interessi e i desideri di altri. Molte delle menzionate decisioni e azioni sono inevitabilmente connesse col peccato o con la connivenza col peccato. Proprio per questo da un politico o un uomo di stato ortodossi si richiede la massima sensibilità spirituale e morale.

Il cristiano che lavora nel campo dell'edificazione della vita pubblica e politica è chiamato ad acquisire il dono di un particolare spirito di sacrificio e di una particolare abnegazione. A lui è assolutamente indispensabile essere attento alla propria condizione spirituale, per non consentire che la sua attività pubblica o politica si trasformi, da servizio qual è, in un'attività fine a se stessa, che alimenta la superbia, l'avidità e altri vizi. È opportuno ricordare che «Troni, Dominazioni, Principati e Potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui» (Col 1,16-17). S. Gregorio il Teologo (Nazianzeno), rivolgendosi ai governanti, scriveva: «Con Cristo tu comandi, con Cristo governi: da lui infatti hai ricevuto la spada». S. Giovanni Crisostomo dice: «Vero sovrano è colui che vince l'ira e l'invidia e la sensualità, sottomette tutto alle leggi di Dio, mantiene libera la sua mente e non permette che la passione per i piaceri abbia il sopravvento sulla sua anima. Un tale uomo desidererei vederlo governare sui popoli, sulla terra e sul mare, e sulle città e sulle regioni, e sugli eserciti; perché colui che ha sottomesso le passioni dell'anima alla ragione, costui governerebbe facilmente anche gli uomini secondo le leggi di Dio...  Colui invece che in apparenza governa gli uomini, ma è schiavo dell'ira e dell'ambizione e dei piaceri, costui... non saprà come gestire il potere».  

 

 

La posizione distinta di laici e gerarchia

V.4. La partecipazione dei laici ortodossi all'attività degli organi del potere e ai processi politici può essere sia individuale che inserita nel contesto di particolari organizzazioni politiche cristiane (ortodosse) o di settori cristiani (ortodossi) di associazioni politiche più ampie. In entrambi i casi i figli della Chiesa hanno la libertà di scegliere e di esprimere le proprie opinioni politiche, di prendere decisioni e di collaborare per attuarle. Nello stesso tempo, i laici che partecipano all'attività pubblica o politica individualmente o nel contesto di diverse organizzazioni, lo fanno in maniera autonoma, senza identificare la propria attività politica con la posizione di tutta la gerarchia ecclesiastica o di una qualsivoglia istituzione ecclesiastica canonica, e senza esprimersi pubblicamente a loro nome. Con questo, la suprema autorità della Chiesa non concede alcuna speciale autorizzazione per l'attività politica dei laici.

Il Sinodo dei vescovi della Chiesa ortodossa russa del 1994 deliberò di considerare ammissibile l'appartenenza a organizzazioni politiche «dei laici e la creazione da parte loro di tali organizzazioni, che, qualora si definiscano cristiane e ortodosse, sono chiamate a una stretta cooperazione con la suprema autorità ecclesiastica. È inoltre ammesso che i ministri del culto, compresi coloro che rappresentano strutture ecclesiastiche canoniche e la suprema autorità della Chiesa, partecipino a singole iniziative di organizzazioni politiche e che cooperino con esse in attività utili per la Chiesa e per la società, nel caso in cui questa partecipazione e questa collaborazione non abbiano il carattere di un sostegno a organizzazioni politiche e servano all'edificazione della pace e della concordia nel popolo e nella comunità ecclesiale».

In un’analoga risoluzione del Sinodo dei vescovi del 1997, in particolare, si dice: «Si ritiene ammissibile la partecipazione dei laici ad attività di organizzazioni politiche e la creazione da parte loro di tali organizzazioni nel caso in cui queste ultime non abbiano tra i propri componenti dei ministri del culto e tengano un collegamento di tipo consultivo con la suprema autorità della Chiesa. Si delibera che simili organizzazioni, come quelle che partecipano al processo politico, non possono avere l'autorizzazione della suprema autorità della Chiesa né possono parlare a nome della Chiesa. Non possono ricevere l'autorizzazione ecclesiastica, ma, ove concessa, la perdono, quelle organizzazioni di natura socio-ecclesiale interessate alla lotta politica e alla propaganda elettorale che spacciano la propria opinione per il giudizio della Chiesa, giudizio che invece viene espresso di fronte allo stato e alla società esclusivamente dai Concili ecclesiastici, da sua santità il Patriarca e dal santo Sinodo. Le medesime considerazioni valgono per i mass media ecclesiali ufficiali e per gli organi di informazione di carattere socio-ecclesiale».

L'esistenza di organizzazioni politiche cristiane (ortodosse), e di settori cristiani (ortodossi) all'interno di più ampie associazioni politiche, è accolta dalla Chiesa come un fatto positivo, che aiuta i laici a realizzare in armonia e concordia un'attività politica e pubblica sulla base dei principi spirituali e morali cristiani. Le menzionate organizzazioni, essendo libere nella propria attività, nello stesso tempo sono invitate a consigliarsi con la suprema autorità della Chiesa e a coordinare le azioni nell’attuare le direttive della Chiesa sulle questioni sociali.

Nelle relazioni tra la gerarchia ecclesiastica e le organizzazioni politiche cristiane (ortodosse), alla cui attività partecipano laici ortodossi, e particolarmente politici e uomini di stato ortodossi, possono nascere situazioni in cui le dichiarazioni o le azioni di queste organizzazioni e di queste persone divergono sostanzialmente dalla posizione di tutta la Chiesa sui problemi sociali o impediscono la realizzazione pratica di tale posizione. In casi simili la suprema autorità della Chiesa accerta la divergenza delle posizioni e la dichiara pubblicamente per evitare turbamento e malintesi tra i credenti e nella società nel suo complesso. La dichiarazione della Chiesa riguardo a tale divergenza deve indurre il laico ortodosso, che partecipa all'attività politica, a riflettere sull’opportunità di continuare ad appartenere all’organizzazione politica in questione.

Le organizzazioni dei cristiani ortodossi non devono avere il carattere di società segrete, che presuppongono l'esclusiva subordinazione ai propri leader e il rifiuto consapevole e accettato di rivelare la sostanza dell'attività dell'organizzazione nel corso di consultazioni con le autorità della Chiesa e persino in confessione. La Chiesa non può approvare la partecipazione di laici ortodossi, e a maggior ragione di ministri del culto, a società non ortodosse di tale genere, in quanto esse, per loro stessa natura, allontanano l'uomo dalla fedeltà totale alla Chiesa di Dio e al suo ordinamento canonico.

 
Pericoli sulla strada della preghiera del cuore

Nell'autunno del 2010, il blog Orthodox Way of Life ha presentato una serie di brevi articoli di cautele e accorgimenti per quelli che intraprendono la pratica della preghiera del cuore. I consigli sono basati sulle lettere dell'anziano Macario, il secondo degli startsi di Optina.

Le lettere di san Macario di Optina sono pubblicate nel libro Russian Letters of Spiritual Direction (St Vladimirs Seminary Press 1997), e sono disponibili online in inglese.

 

Il pericolo della soddisfazione nella preghiera

 

Ti capita mai di trovare che la preghiera è più soddisfacente quando sei da solo in casa piuttosto che in chiesa? Se è così, ti trovi di fronte a una grande tentazione. L'anziano Macario dice che se le nostre preghiere a casa "suscitano la dolcezza e le lacrime in cui ti diletti, Dio è scontento". La preghiera può facilmente diventare qualcosa che è fatto per la nostra soddisfazione, senza l'umiltà necessaria per la vera preghiera. L'anziano dice: "Dolcezza e lacrime, non accompagnate da un senso della più profonda umiltà, non sono altro che tentazioni."

Se abbiamo questo "piacere" nella preghiera a casa, ma non troviamo che possiamo richiamare lo stesso "piacere" in chiesa, non possiamo concluderne che non abbiamo bisogno di andare in chiesa a pregare. Questa è una delusione. Siamo tentati dal nostro piacere della preghiera a casa per evitare la nostra partecipazione in chiesa. In questo modo non troveremo la vera pace. Siamo prigionieri del nostro orgoglio.

L'anziano dice,

Prega semplicemente. Non aspettarti di trovare nel tuo cuore un notevole dono di preghiera. Considerati indegno. Allora troverai la pace. Utilizza l'asciutta, vuota freddezza della tua preghiera come cibo per la tua umiltà. Ripeti costantemente: non sono degno, Signore, non sono degno! Ma dillo con calma, senza agitazione. E questa umile preghiera, a differenza di quella dolce nella quale ti diletti, sarà gradita a Dio.

 

Condizioni per la pratica della preghiera del cuore

 

L'anziano Macario ci fornisce le condizioni per la pratica della Preghiera di Gesù.

• Accesso a un esperta guida spirituale

• Obbedienza assoluta alla guida spirituale

• Forte senso di responsabilità verso Dio, verso gli uomini, e anche verso le cose

• Vera umiltà

• Un'esecuzione dettagliata e sensibile dei comandamenti di Dio

• Un'accurata pulizia del cuore dai peccati e passioni

Tutte queste condizioni sono importanti per evitare i pericoli del nostro orgoglio e di azioni caparbie. È facile, nella nostra cultura di rimedio personale, trasformare la preghiera in un metodo. Quando questo accade, non si farà altro che amplificare il proprio ego.

L'anziano Macario dice:

Una decisione caparbia, orgogliosa di acquisire attraverso questa pratica maggiori doni spirituali, abilità, o consolazioni, è un peccato e un grande pericolo.

L'orgoglio, il più grande nemico - non solo della preghiera mentale, ma di tutta la pratica religiosa - è in agguato per noi, lungo tutta la strada.

È per un ardente desiderio di chiedere al Signore perdono per i nostri peccati che dobbiamo desiderare di praticare la preghiera di Gesù.

L'anziano dice,

Solo chi si sente sempre come il pubblicano in preghiera, e il figliol prodigo sulla strada di casa, può praticare impunemente.

  

Cautele nel leggere i Padri

 

Come cristiani ortodossi siamo incoraggiati a leggere gli scritti dei Padri, ma alcune precauzioni sono dovute. Molti degli scritti patristici sono stati scritti per monaci spiritualmente avanzati. Ciò è particolarmente vero per gli scritti contenuti nella Filocalia. Quindi dobbiamo affrontare tali scritti con grande umiltà.

L'anziano Macario consiglia quanto segue:

È ammirevole che tu legga i Padri. Tieni a mente, tuttavia, che i loro scritti sono come una fitta foresta: avventurandoci là senza protezione, senza conoscenza e senza guida, andiamo facilmente fuori strada e possiamo anche incorrere in gravi pericoli. Molti lettori hanno deviato per eccessiva sicurezza di sé; chi tenta una scorciatoia per la vita superiore, e cerca volontariamente di acquisire e di appropriarsi della visione e di altre gioie spirituali, chiama su di sé l'ira divina.

Il nostro primo compito è dominare le nostre passioni. Spesso questo è un compito lungo e arduo. Ma non si può trovare una scorciatoia.

Isacco il Siro dice:

Non immaginare mai di avere lasciato la selva delle passioni dietro di te, finché non sei ben all'interno delle mura della cittadella dell'umiltà.

Dobbiamo fare in modo che la nostra preghiera sia quella del pubblicano e non del fariseo.

 

Illusioni nella preghiera (I) - visioni

 

Le visioni in preghiera sono normalmente tentazioni del diavolo, che mira a rafforzare il nostro orgoglio.

Una volta ho avuto l'esperienza di pregare per qualcosa che volevo fare, ma che il mio consigliere spirituale mi consigliava di non fare. Un amico mi ha suggerito di andare in un certo luogo dove c'erano reliquie di una santa e di pregarla. Questo l'ho fatto ogni giorno per una settimana. Non è successo niente nei primi giorni. Ma ho continuato a visitare le reliquie cercando più ardentemente ottenere il consiglio della santa. Poi l'ultimo giorno in cui ero lì, ho visto la mano della santa muoversi e puntare verso la chiesa. Ho poi interpretato questo da solo come un permesso di fare quello che volevo fare. Non sapevo che questa era solo l'azione del mio orgoglio che era all'opera in me. Era una visione forzata.

Ecco una risposta dell'anziano Macario a una situazione simile:

Sei stato più volte visitato dall'illusione che, mentre guardavi le icone, queste cambiavano, finché un giorno anelli rosei, staccandosi dall'icona della Madonna, sono entrati nel tuo cuore portando con loro la ferma convinzione che ti era stato concesso il perdono dei tuoi peccati. Sull'autorità dei Padri, ti posso assicurare che nel momento in cui hai accettato questo come una rivelazione, e hai attribuito un valore morale all'esperienza, dei caduto nelle grinfie del diavolo.

Le visioni che abbiamo in preghiera o nei nostri sogni possono essere molto fuorvianti quando soffriamo ancora di orgoglio. Solo con il dono del discernimento, che viene con l'umiltà e con la grazia di Dio, possiamo attribuire con certezza significato spirituale alle visioni. È per questo che una guida spirituale è così importante, perché sicuramente dovremo affrontare molte illusioni volte a indurci in errore per rafforzare la nostra condizione di orgoglio.

Quanto più si avanza spiritualmente, maggiori sono le tentazioni che si dovranno affrontare.

 

Illusioni nella preghiera (II) - gioia

 

Dobbiamo anche stare attenti alla sensazione di gioia che viene con la preghiera. Spesso si dice che questo sia il test se la risposta viene da Dio. Ma può essere anche un'illusione per chi soffre di orgoglio.

Giovanni Climaco dice nel settimo gradino,

Rifiuta con la mano destra, la mano dell'umiltà, tutti i flussi di gioia. Almeno, visto che sei indegno, questa gioia non si rivelerà una tentazione, e non ti porterà a confondere il lupo con il pastore.

L'anziano Macario dice:

L'Apostolo dice che la vera gioia spirituale è uno dei frutti più rari dello spirito, che si raggiunge solo nei pressi della vetta, dopo che si superano tutte le cattive abitudini e i cattivi pensieri, si conquistano tutte le passioni, e si raggiunge la riconciliazione.

 

Illusioni nella preghiera (III) - sensazione di calore

 

Ci sono molti che dicono che quando si è in vera preghiera si prova un calore. Questa è un'esperienza comune. Anche in questo caso abbiamo bisogno di fare attenzione, come anche questa può essere un'illusione che proviene dal nostro orgoglio.

L'anziano Macario dice:

Ancora una volta mi ripeto: la tua facile ipotesi che le sensazioni di calore corporeo, provate durante la preghiera, siano sicuri segni di grazia speciale, è sbagliata. Non sono nulla del genere, e l'ipotesi che lo siano è una tentazione del diavolo. Accetta ciò che ti capita con abbandono, lascia le cose come stanno, e non saltare alle conclusioni.

 

Illusioni nella preghiera (IV) - quando non praticare la preghiera del cuore

 

Come si è detto in precedenza, possiamo facilmente essere distratti nella preghiera da visioni, sensazioni di calore e di gioia. A causa di questo, non è sempre appropriato praticare la preghiera del cuore. Prima è necessaria una preparazione.

Sant'Isacco il Siro dice:

La grazia di Dio viene da sé senza alcun ambizioso sforzo da parte nostra. Arriverà solo al cuore che è puro... Se la pupilla dei tuoi occhi sarà impura, non osare alzarla; non cercare di guardare il sole, affinché la tua temerarietà non ti privi anche della limitata vista, acquisita con semplice fede, umiltà, penitenza, e altri atti e opere umili; perché la tua temerarietà non sia punito e tu cada a capofitto nelle tenebre esterne.

L'anziano Macario scrive in una delle sue lettere quanto segue:

È stato un errore per te voler praticare la preghiera mentale e la preghiera del cuore. Tutto questo va oltre le tue forze, al di fuori della portata delle tue capacità, incompatibile con le circostanze. Tali pratiche richiedono la massima purezza di intenzione verso Dio, gli uomini, e anche le cose.

Invece, leggi o recita - sotto la direzione del tuo confessore - salmi, canoni penitenziali, litanie e così via. Vai in chiesa il più frequentemente possibile, vivi umilmente, secondo gli ammonimenti della tua coscienza, e con attenzione, secondo i comandamenti del Signore. In altre parole, conduci la vita di un normale cristiano laico timorato di Dio.

Callisto e Ignazio scrivevano,

Molti percorsi possono condurre sia alla salvezza sia alla perdizione. Ma ce n'è uno che ci conduce in modo sicuro verso il cielo: una vita vissuta secondo i comandamenti del Signore.

Il nostro compito è quello di "praticare costantemente l'umiltà, l'amore e la carità", ci ricorda l'anziano Macario.

 
111

Foto 111

 
L’uso delle croci battesimali cristiane

L’igumeno Filipp Rjabykh è il rappresentante della Chiesa ortodossa russa a Strasburgo.

Igor Ponkin è il direttore dell’Istituto per il diritto e le relazioni tra Stato e confessioni

 

Il testo, accettato dal direttore, riproduce la conclusione congiunta della Rappresentanza della Chiesa ortodossa russa presso il Consiglio d’Europa (Strasburgo, Francia) e dell’Istituto per il diritto e le relazioni tra Stato e confessioni (Mosca, Russia).

 

SOMMARIO: 1. Sul significato religioso delle croci battesimali e sui motivi del bisogno di indossarle da parte dei credenti cristiani ortodossi – 2. Sulla natura illegittima del divieto imposto dallo Stato di indossare simboli battesimali di appartenenza religiosa cristiana – 3. L’assenza di qualsiasi motivo per ritenere il rito religioso di indossare croci battesimali cristiane come una minaccia per la sicurezza pubblica, l’ordine pubblico, la salute o la morale o i diritti e le libertà altrui – 4. L’infondata emasculazione, negazione e riduzione del significato religioso e dell’importanza delle croci battesimali cristiane.

 

1 – Sul significato religioso delle croci battesimali e sui motivi del bisogno di indossarle da parte dei credenti cristiani ortodossi

Nel cristianesimo ortodosso, la necessità di indossare al collo alcuni simboli di appartenenza religiosa, come le croci cristiane (piccoli oggetti che simboleggiano il crocifisso cristiano) è determinato dal significato religioso che hanno avuto nella Chiesa ortodossa fin dai tempi antichi. Si tratta di una parte integrante della libertà di confessare la propria fede nel contesto della millenaria tradizione cristiana. È anche una regola prescritta ai cristiani ortodossi da norme regolamentari canoniche (diritto canonico, lex canonica). Attraverso il rispetto di questa regola, il significato della croce come simbolo di sacrificio cristiano sostiene l’identificazione religiosa dei credenti. In questo atto di confessione della propria fede, i cristiani ortodossi esprimono la loro unità spirituale e la loro appartenenza al cristianesimo, seguendo imperativi fondati sulla comprensione canonica del significato della croce cristiana [1].

L’obbligo per i cristiani ortodossi di indossare una croce battesimale, fondamentalmente, è una conseguenza indiretta dei Canoni 73 e 82 del Sesto Concilio Ecumenico (di Costantinopoli) e di una serie di altre disposizioni della lex canonica.

La tradizione di indossare obbligatoriamente una croce battesimale cristiana (in alcune confessioni cristiane, vi è l’uso analogo di indossare una speciale medaglia con l’immagine di Gesù Cristo, della Vergine Maria o di un santo) ha per i cristiani ortodossi un valore assoluto e ha il seguente significato morale-religioso, religioso-comunicativo e religioso-rituale:

– come una libera espressione e manifestazione della propria appartenenza religiosa e dell’identità religiosa e culturale attraverso l’uso costante del più importante simbolo cristiano come unico mezzo di espressione simile che esista nella Chiesa ortodossa. Anche se la croce rappresenta il simbolo centrale della religione cristiana, l’uso di una croce cristiana battesimale non è mai stato di natura impositiva e non ha mai avuto come obiettivo quello di essere mostrata necessariamente o in modo importuno agli altri, dal momento che nella maggior parte dei casi è portata a contatto della pelle; può non essere coperta da vestiti ed essere visibile, per esempio, in un collo basso, ma è non è mai invadente a causa delle piccole dimensioni della croce;

– come la realizzazione costante di un rito religioso che identifica una persona come cristiana ortodossa anche nella propria auto-consapevolezza. Si tratta di un impegno volontario di un cristiano ortodosso in vigore dal momento del suo battesimo e che al tempo stesso realizza la sua libertà religiosa e l’appartenenza religiosa alla Chiesa ortodossa e al cristianesimo in generale;

– come un impegno religioso volontario e consapevole a seguire i comandamenti cristiani imposti a un cristiano ortodosso da norme regolamentari canoniche.

 

2 – Sulla natura illegittima del divieto imposto dallo Stato di indossare simboli battesimali di appartenenza religiosa cristiana

La natura privata della propria confessione di una religione (che non è in conflitto con le libertà collettive religiose) implica che tutte le decisioni in merito alle modalità di confessare la fede siano una questione di scelta personale basata su regole canoniche. La sfera delle relazioni coinvolte nella libertà della fede, in virtù della loro particolare natura sociale e psicologica individuale, non può essere regolata dalla legge in linea di principio, considerate le attuali peculiarità culturali e le tradizioni nazionali, pubbliche e legali.

L’articolo 9, par. 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo stabilisce garanzie per

“Il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare la propria religione o credo, e la libertà, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, di manifestare la propria religione o il proprio credo, nel culto, nell’insegnamento, nella pratica e nell’osservanza”.

Questi diritti garantiti dalla Convenzione proteggono un altro diritto basato sulla libertà di coscienza e la libertà di fede, che appartiene a tutti dalla nascita e che è derivato da tali diritti, vale a dire, il diritto di indossare liberamente simboli religiosi per motivi religiosi, esercitato come un elemento del diritto di confessare liberamente la propria religione.

Inoltre, il regime giuridico della laicità di uno Stato non può giustificare la legittimità del suo divieto di azioni coinvolte nella manifestazione, espressione e confessione da parte dei cittadini della loro fede religiosa e delle credenze che includono la celebrazione dei riti religiosi radicati nella propria tradizione religiosa.

Nei due casi in esame, lo Stato convenuto (Regno Unito) ha adottato le sue decisioni circa la possibilità giuridica e la validità del divieto di indossare croci battesimali cristiane nella situazione perfettamente evidente di una completa assenza di qualsiasi requisito legale o sociale di imporre tale divieto nell’interesse della sicurezza pubblica, dell’ordine pubblico, della salute o della morale o della protezione dei diritti e delle libertà altrui. L’assenza di tali divieti nei paesi europei per decenni e secoli (fatta eccezione per i periodi di regimi totalitari in alcuni paesi) è una prova convincente che non vi è alcun bisogno di imporre tali divieti.

Le convenzioni internazionali dei diritti umani, con le loro norme che garantiscono la libertà di coscienza e di religione, hanno contribuito a fissare nelle legislazioni nazionali le serie di norme di legge per il riconoscimento, il rispetto, la garanzia e la protezione data dallo Stato per l’auto-organizzazione interna degli enti religiosi e per la libertà di religione. Si tratta di una diretta conseguenza della laicità dello Stato come una delle fondamentali basi costituzionali e giuridiche dei moderni Stati democratici governati dallo Stato di diritto.

Le questioni relative alla necessità di indossare sulla pelle i simboli della propria appartenenza religiosa e la misura in cui ciò è obbligatorio appartengono esclusivamente alla giurisdizione delle organizzazioni religiose stesse. Di conseguenza, uno Stato laico, a causa di esigenze imperative definite dalla laicità, non ha alcun diritto di interferire in questi processi (di dettare ai credenti se devono o non devono indossare croci battesimali) o anche di fare dichiarazioni pubbliche ufficiali relative alla natura obbligatoria o non obbligatoria di indossare sotto i vestiti tali simboli di appartenenza religiosa, o di valutare la natura di tali simboli dividendoli in religiosi e non religiosi (come decorazioni o altro).

La linea delle nostre dichiarazioni è coerente con le posizioni assunte dalla Corte europea dei diritti dell’uomo ed espresse in un certo numero di sue risoluzioni.

La Corte, nella sua risoluzione sul caso Manoussakis e altri contro la Grecia [2] ha dichiarato che

“La Corte ha sempre lasciato agli Stati contraenti un certo margine di discrezionalità nel valutare l’esistenza e la portata della necessità di un’interferenza, ma questo margine è soggetto alla supervisione europea, che abbraccia sia la legislazione che le sue decisioni di applicazione. Il compito della Corte è quello di determinare se le misure adottate a livello nazionale sono state giustificate in linea di principio e proporzionate “(§ 44).

In questa decisione la Corte ha riconosciuto come illegittima qualsiasi coercizione ad agire e a subire le conseguenze a causa delle proprie convinzioni religiose, in particolare, la trasformazione del “requisito di azione apparentemente innocente da una mera formalità in un’arma letale contro il diritto alla libertà di religione” (§ 41).

Per quanto riguarda la manifestazione (dimostrazione) della propria identità religiosa e culturale, nella risoluzione sul caso Kokkinakis contro la Grecia [3] e su alcuni altri casi, la Corte europea dei diritti dell’uomo è stata ferma nella sua posizione sostenendo che “Mentre la libertà religiosa è soprattutto una questione di coscienza individuale, essa implica, tra l’altro, la libertà di “manifestare [propria] religione”. La testimonianza in parole e opere è legata all’esistenza di convinzioni religiose “(§ 31). La formulazione “testimonianza in parole e opere” comprende chiaramente l’uso di una croce battesimale cristiana.

Nadia Eweida, sospesa dalla British Airways nel 2006 per avere indossato questa croce al lavoro

La Corte europea ha più volte sottolineato che

“L’imposizione di sanzioni amministrative o penali per la manifestazione di fede religiosa o di esercizio del diritto alla libertà di religione è stata un’interferenza con i diritti garantiti ai sensi dell’articolo 9 § 1 della Convenzione” [4].

Nella sua risoluzione sul caso Van den Dungen contro l’Olanda del 22 febbraio 1995, la CEDU ha affermato che l’articolo 9 della Convenzione

“Protegge in primo luogo la sfera delle convinzioni personali e delle credenze religiose, vale a dire l’area che è talvolta chiamata il foro interno. Inoltre, protegge gli atti che sono intimamente legati a questi atteggiamenti, come ad esempio gli atti di culto o di devozione, che sono aspetti della pratica di una religione o di credo in una forma generalmente riconosciuta “[5].

Nella sua sentenza sul caso Lautsi contro l’Italia del 18 marzo 2011, la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo ha accettato le argomentazioni delle autorità italiane che gli studenti non hanno la proibizione di indossare il velo islamico o altri simboli o indumenti di significato religioso come prova convincente che la presenza del crocifisso nelle scuole italiane non viola i diritti dei terzi garantiti dall’articolo 9 della Convenzione. Con la medesima delibera la Grande Camera della CEDU ha ribadito il significato della croce come simbolo storico, culturale e religioso (§ 71-73, ecc.)

Le denunce presentate da Nadia Eweida e Shirley Chaplin contro la Gran Bretagna in merito alla proposta, fatta dagli amministratori delle organizzazioni in cui hanno lavorato, di realizzare la propria “libertà di scelta” con la loro opzione tra il rispetto della richiesta di smettere di indossare una croce cristiana e il licenziamento, riflettono una discriminazione diretta ed evidente per motivi religiosi, in quanto questa appare un’opzione non libera, accompagnata da coercizione sotto la minaccia di conseguenze negative (licenziamento) e costituisce una copertura retorica di una vera e propria discriminazione per motivi di appartenenza e di convinzione religiosa.

Shirley Chaplin, a cui un tribunale del lavoro ha detto che indossare una croce non è un “requisito obbligatorio” della sua fede

 

3 – L’assenza di qualsiasi motivo per ritenere il rito religioso di indossare croci battesimali cristiane come una minaccia per la sicurezza pubblica, l’ordine pubblico, la salute o la morale o i diritti e le libertà altrui

La Corte europea dei diritti dell’uomo, nella sentenza sul caso Leyla Sahin contro la Turchia del 10 novembre 2005, Par. 121, e la sentenza sul caso Bruno Pichon e Marie-Line Sajous contro la Francia ha dichiarato che “l’articolo 9 non garantisce sempre il diritto di comportarsi in un modo disciplinato da un credo religioso”. Ne consegue che la libertà di mettere in pratica un credo religioso ha alcune limitazioni. Tuttavia, queste limitazioni non sono formate arbitrariamente, ma determinate da alcune restrizioni per quanto riguarda le garanzie della Convenzione su

“la libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà… isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, di manifestare la propria religione o il proprio credo, nel culto, …nella pratica e nell’osservanza”. (Convenzione, articolo 9, § 1)

e rappresentano casi eccezionali in cui tali divieti e le limitazioni sono prescritti dalla legge, e sono misure necessarie in una società democratica nell’interesse della sicurezza pubblica, per la tutela dell’ordine pubblico, della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui (Convenzione , articolo 9, § 2).

Questo elenco di motivi per la limitazione della libertà di religione è esaustivo, e le apposite limitazioni non possono essere integrate arbitrariamente e discrezionalmente o interpretate liberamente. Solo ragioni pesanti e convincenti che rientrano nel testo della Convenzione, articolo 9, § 2, possono giustificare una certa limitazione delle libertà religiose.

Sulla base della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, articolo 9, § 2, sarebbe teoricamente possibile imporre un divieto legalmente ed effettivamente giustificato contro l’uso da parte dei credenti cristiani di croci battesimali cristiane solo nel caso, tuttavia non osservabile nella realtà, in cui l’uso di una croce battesimale da parte di un cristiano costituisca una minaccia evidente e diretta per la sicurezza pubblica, l’ordine pubblico, la salute o la morale, o i diritti e delle libertà altrui. Nessuna minaccia del genere è mai stata o può essere costituita dal fatto che i cristiani portino croci battesimali. Le ipotesi contrarie sono prive di ogni fondamento fattuale.

Nella sentenza sul caso Dogru contro la Francia del 4 dicembre 2008 [6], la Corte europea ha sottolineato che

“L’uso di segni religiosi non era di per sé incompatibile con il principio di laicità nelle scuole, ma lo è diventato a seconda delle condizioni in cui sono stati indossati e delle conseguenze che l’uso di un segno potrebbe portare” (§ 70),

sottolineando come forma e misura inammissibile di manifestare le proprie convinzioni religiose nelle istituzioni pubbliche il caso in cui tale manifestazione assuma la natura di un atto di ostentazione che costituisce una fonte di pressione e di esclusione (§ 71).

L’uso di una croce cristiana battesimale non persegue tale obiettivo, né ha la natura di pressione o imposizione forzata di questa religione sugli altri. Le ipotesi contrarie non sono fondate sui fatti.

Nella sua sentenza sul caso della Filiale di Mosca dell’Esercito della Salvezza contro la Russia del 5 ottobre 2006, la CEDU ha riconosciuto che l’uso di elementi speciali di vestiario (anche un’uniforme) può essere (e può essere ragionevolmente riconosciuto) “un particolare modo di organizzare la vita interna di una comunità religiosa e di manifestare credenze religiose “(§ 92).

I divieti e punizioni, noti nella storia d’Europa, contro l’uso di croci battesimali cristiane, sono avvenuti nei paesi e nei periodi in cui gli stati totalitari hanno perseguito una politica ufficiale di lotta contro la religione o specificamente contro il cristianesimo, per consolidare la forza la propria ideologia totalitaria che non consentiva il riconoscimento dei diritti umani e la libera confessione della propria religione e fede.

Pertanto, l’uso da parte dei credenti di segni della loro affiliazione (appartenenza) religiosa è la realizzazione della regola tradizionale della loro fede, che non è in contrasto con il principio di laicità, ma è determinato dalla propria necessità e dalla libertà delle proprie convinzioni religiose, fissate nella convenzione. Allo stesso tempo, questa libertà non consente di manifestare questi segni in un modo che possa portare a oppressione, provocazione, proselitismo aggressivo e propaganda importuna oppure invadere la dignità, i diritti e le libertà altrui. L’uso di una croce battesimale cristiana non comporta affatto una tale invasione e non vi può in alcun modo condurre.

Le libertà religiose riconosciute dalla Convenzione offrono ai credenti un diritto di esprimere e manifestare la propria fede religiosa nelle istituzioni educative, nel luogo del loro impiego, ecc., in una misura che non violi i diritti degli altri.

Il rispetto, in realtà privo di conflitti, di questa tradizione cristiana nei paesi europei per un periodo di tempo molto lungo ha dimostrato in modo convincente che una croce battesimale riflette un certo tipo di comportamento socio-culturale consono con le regole di moralità pubblica e di ordine pubblico, senza che sia un segno di estremismo o di proselitismo religioso. Inoltre, la pratica di indossare croci battesimali cristiane da parte dei credenti cristiani è un elemento integrante della confessione libera della propria fede e delle proprie credenze praticate in molte Chiese e confessioni cristiane.

Ne consegue l’assoluta assenza di qualsiasi necessità sociale o legale di imporre il divieto in esame ai fini di garantire la sicurezza pubblica, l’ordine pubblico, la salute o la morale o la protezione dei diritti e delle libertà altrui.

 

4 – L’infondata emasculazione, negazione e riduzione del significato religioso e dell’importanza delle croci battesimali cristiane

Il fatto che la croce cristiana, in virtù del suo essere radicata nella cultura europea, è spesso usata come motivo nel design di gioielli e che alcune persone a volte la usano come ornamento non può essere riconosciuto come un motivo sufficiente per concludere che la piccola croce cristiana è essenzialmente una decorazione priva di ogni senso e significato religioso.

Identificare la piccola croce cristiana solo con una decorazione significa ridurre senza motivo, fino alla negazione completa, il suo valore religioso e il suo significato rituale religioso, e fare una denuncia basata esclusivamente su un pregiudizio soggettivo e sull’atteggiamento intollerante verso questo simbolo cristiano, tenuti da coloro che vedono in tal modo la religione cristiana e la tradizione in esame. In sostanza, la situazione in esame rivela un atteggiamento negativo verso i credenti, il desiderio di imporre su di loro un diktat anti-religioso e una certa idea “secolarizzata” e semplificata della croce cristiana inventata da alcuni rappresentanti della società e dello stato. Questo atteggiamento rappresenta una riduzione distorta, invadente e violenta del significato e del contenuto della tradizione cristiana e del ruolo interno dell’uso di una piccola croce cristiana, osservato dai credenti nella loro vita.

C’è una buona ragione per credere che la richiesta di vietare l’uso di piccole croci cristiane, così come dettato dalla tradizione religiosa, sia motivato da un atteggiamento negativo, ostile e intollerante verso i valori religiosi e culturali e le tradizioni incarnate da questo simbolo (segno) religioso e dalla negazione di ogni presenza religiosa e di ogni manifestazione di credenze religiose non solo nella sfera pubblica, come uno dei casi in Gran Bretagna ha dimostrato, ma anche nella sfera di eventuali relazioni pubbliche di ogni sorta, ad eccezione di quelle personali.

Pertanto non vi sono ragioni necessarie e sufficienti per un divieto pubblico di indossare piccole croci battesimali cristiane in modo visibile, anche in caso di presenza dei credenti in luoghi e istituzioni pubbliche. Perciò, l’imposizione di tale divieto non corrisponde alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e rappresenta una violazione della Convenzione da parte di un ente statale, dannosa per i diritti fondamentali e le libertà dei cittadini (Convenzione, articolo 9) .

Di fatto, un divieto pubblico di indossare piccole croci battesimali cristiane come forma “discreta” di manifestazione dell’appartenenza religiosa, che non incide sui diritti e le libertà fondamentali delle persone circostanti, rappresenta un divieto illegittimo per i cristiani di manifestare la propria religione e la propria identità religiosa e culturale e un atto di discriminazione nei confronti dei credenti per escludere i cristiani dallo spazio pubblico.

 

Note degli autori:

[1] Mt 10:38 e 23:19; Lc 9, 23; Mc 8: 34; 1 Cor 1: 23-24; Es 29, 37, 2 Tim 2: 8; Gal 6: 14, ecc.

[2] 26 novembre 1996.

[3] 25 Maggio 1993.

[4] § 61 della sentenza sul caso Nolan e K. contro la Russia, 12 febbraio 1994. Si veda anche, § 39 della sentenza della Corte sul caso di Serif contro la Grecia, § 38 della sentenza della Corte sul caso Larissis e altri contro la Grecia, 24 febbraio 1998, § 36 della sentenza della Corte sul caso Kokkinakis contro la Grecia, 25 maggio 1993.

[5] § 1 della sezione “Legge”.

[6] La versione definitiva risale al 4 marzo 2009.

 
Dio è giusto? Commenti di padre Aleksij Uminskij

Alla domanda se Dio sia veramente giusto, che tutti noi ci poniamo di fronte ai dolori e alle ingiustizie che vediamo nel mondo, cerca di rispondere con serietà e profondità l’arciprete Aleksij Uminskij, rettore della chiesa della Santa Trinità a Khokhly (Mosca), autore di molti articoli sulla dottrina ortodossa, che cerca di divulgare anche sui canali televisivi russi. Gli lasciamo la parola con un articolo in italiano e in russo nella nostra sezione "Domande e Risposte" dei documenti.

 
112

Foto 112

 
112

Foto 112

 
"I fondamenti della concezione sociale" - VI. Il lavoro e i suoi frutti

L’uomo co-creatore

VI.1. Il lavoro è un elemento strutturale della vita dell'uomo. Nel libro della Genesi si dice che in principio «nessuno lavorava il suolo» (Gen 2,5); dopo aver creato il paradiso terrestre, Dio vi pose l'uomo «perché lo coltivasse e lo custodisse» (Gen 2,15). Il lavoro è un atto creativo dell'uomo, al quale, in virtù della sua originaria somiglianza con Dio, è concesso di essere co-creatore e collaboratore del Signore. Tuttavia, dopo la caduta dell'uomo nel peccato, il Creatore mutò la natura del lavoro umano: «Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai» (Gen 3,19). La componente creativa del lavoro si attenuò; per l'uomo decaduto esso divenne prevalentemente un mezzo per procacciarsi i mezzi di sostentamento.

 

Il riposo

VI.2. La parola di Dio non solo orienta l'attenzione degli uomini sulla necessità del lavoro quotidiano, ma stabilisce anche il suo ritmo particolare. Il quarto comandamento recita: «Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te» (Es 20,8-10). Con questo comando del Creatore il processo del lavoro umano viene paragonato all'opera creatrice di Dio, che ha dato inizio all'universo. Anzi il comandamento di santificare il sabato è giustificato dal fatto che nella creazione del mondo «Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto» (Gn 2,3). Questo giorno deve essere dedicato al Signore, perché le preoccupazioni quotidiane non possano distogliere l'uomo dal Creatore. Nel contempo, le espressioni attive di misericordia e di aiuto disinteressato al prossimo non costituiscono una violazione del comandamento: «Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato!» (Mc 2,27). Nella tradizione cristiana sin dai tempi apostolici il primo giorno della settimana, il giorno della Risurrezione di Cristo, la domenica, è il giorno di riposo.  

 

Le seduzioni della civiltà

VI.3. Il perfezionamento degli strumenti e dei metodi di lavoro, la differenziazione professionale e il passaggio da forme semplici a forme più complesse contribuiscono al miglioramento delle condizioni materiali della vita dell'uomo. Tuttavia, le seduzioni costituite dalle conquiste della civiltà allontanano gli uomini dal Creatore, conducono a un’illusoria creatività umana, che tenta di organizzare la vita terrena senza Dio. L'attuazione di simili tentativi nella storia dell'umanità si è sempre conclusa in maniera tragica.

Nella Sacra Scrittura si dice che i primi edificatori della civiltà terrena furono i discendenti di Caino: Lamech e i suoi figli inventarono e fabbricarono i primi strumenti di rame e di ferro, le tende portatili e diversi strumenti musicali e furono i fondatori di molti mestieri e arti (Gen 4,20-22). Tuttavia essi insieme ad altri uomini non sfuggirono alle tentazioni: «ogni uomo aveva pervertito la sua condotta sulla terra» (Gen 6,12). Così, per volontà del Creatore, la civiltà dei cainiti viene cancellata dal diluvio. L'immagine biblica più icastica dell'infruttuoso tentativo dell'umanità decaduta di «farsi un nome» è la costruzione della torre di Babele la cui cima avrebbe dovuto «toccare il cielo». La confusione delle lingue appare come il simbolo della fusione degli sforzi degli uomini di raggiungere il loro scopo in contrapposizione a Dio. Il Signore punisce i superbi: confondendone le lingue, egli li priva della possibilità di comprendersi l'un l'altro e li disperde per tutta la terra.  

 

Le finalità morali del lavoro

VI.4. Da un punto di vista cristiano il lavoro in sé non è un valore assoluto. Esso è benedetto quando si manifesta come una collaborazione con il Signore e contribuisce alla realizzazione del suo progetto sul mondo e sull'uomo. Il lavoro non è invece cosa buona se è diretto al servizio degli interessi egoistici dell'individuo o di singole comunità , come pure al soddisfacimento dei desideri peccaminosi dello spirito e della carne.

La sacra Scrittura indica due finalità morali del lavoro: mantenere se stessi, senza gravare su nessuno, e sostentare il bisognoso. L'Apostolo scrive: «Ci si dia da fare, lavorando onestamente con le proprie mani, per farne parte a chi si trova in necessità» (Ef 4,28). Tale lavoro educa l'anima e rafforza il corpo dell'uomo, offre al cristiano la possibilità di manifestare la propria fede in buone azioni di misericordia e di amore per il prossimo (Mt 5,16; Gc 2,17) gradite a Dio. Tutti devono ricordare le parole dell'apostolo Paolo: «chi non vuol lavorare neppure mangi» (2Ts 3,10).

Il significato etico del lavoro è stato costantemente sottolineato dai padri e dai dottori della Chiesa. Così, Clemente Alessandrino definisce il lavoro «scuola di giustizia sociale». San Basilio Magno affermava che «il motivo della devozione non deve servire da pretesto per la pigrizia e la fuga dal lavoro, ma da stimolo per un lavoro ancora maggiore». E san Giovanni Crisostomo esortava a considerare «disonorevole non il lavoro, bensì l'ozio». Un esempio di ascetismo del lavoro l'hanno offerto i monaci di molti monasteri. La loro attività economica per molti aspetti fu un modello da imitare, e i fondatori delle più importanti comunità monastiche ebbero, oltre a un'altissima autorevolezza spirituale, anche la fama di grandi lavoratori. Sono molto celebri gli esempi del lavoro zelante dei santi Teodosio Pecerskij, Sergio di Radonez, Kirill Belozerskij, Iosif Volockij, Nil Sorskij e altri asceti russi.

 

I mestieri

VI.5. La Chiesa benedice ogni lavoro teso al bene delle persone; con questo non viene privilegiato nessuno degli aspetti dell'attività umana, se tale attività è conforme ai principi morali cristiani. Nelle parabole il signore nostro Gesù Cristo menziona continuamente diversi mestieri, senza metterne in rilievo nessuno in particolare. egli parla del lavoro del seminatore (Mc 4,3-9), dei servi e dell'amministratore (Lc 12,42-48), del mercante e dei pescatori (Mt 13,45-48), di colui che assume i lavoratori e degli operai nella vigna (Mt 20,1-16). Tuttavia i tempi moderni hanno dato sviluppo a un'intera industria, diretta espressamente alla propaganda del vizio e del peccato, al soddisfacimento di perniciose passioni e abitudini quali l'abuso di alcol, di sostanze stupefacenti, la lussuria e l'adulterio. La Chiesa conferma la peccaminosità della partecipazione a tale attività, poiché essa rende depravato non solo il singolo individuo che ne è implicato, ma tutta la società nel suo insieme.

 

Equa distribuzione dei beni

VI.6. Coloro che lavorano hanno il diritto di godere dei frutti del proprio lavoro: «Chi pianta una vigna senza mangiarne il frutto? O chi fa pascolare un gregge senza cibarsi del latte del gregge?... Poiché colui che ara deve arare nella speranza di avere la sua parte, come il trebbiatore trebbiare nella stessa speranza» (1Cor 9,7.10). La Chiesa insegna che negare la retribuzione del lavoro onesto è non solo un crimine contro l'uomo, ma anche un peccato di fronte a Dio.

La sacra Scrittura dice: «Non defrauderai il salariato... gli darai il suo salario il giorno stesso... perché non gridi contro di te al Signore e tu non sia in peccato» (Dt 24,14-15); «Guai a chi... fa lavorare il suo prossimo per nulla, senza dargli la paga» (Ger 22,13); «Ecco, il salario da voi defraudato ai lavoratori che hanno mietuto le vostre terre grida; e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore degli eserciti» (Gc 5,4).

Nel contempo il comando di Dio impone a coloro che lavorano di provvedere a coloro che per diverse ragioni non possono guadagnarsi da vivere: i deboli, gli ammalati, i forestieri (i profughi), gli orfani e le vedove, e di spartire con essi i frutti del lavoro, «perché il Signore tuo Dio ti benedica in ogni lavoro delle tue mani» (Dt 24,19-22).
Continuando sulla terra il servizio di Cristo, il quale identificò se stesso proprio con i diseredati, la Chiesa leva la sua voce in difesa di coloro che non hanno voce né forza. Per questo essa chiama la società a un’equa distribuzione dei frutti del lavoro, con cui il ricco sostiene il povero, il sano il malato, colui che è in grado di lavorare l'anziano. La prosperità spirituale e la sopravvivenza della società sono possibili solo se la sicurezza delle condizioni di vita, della salute e del benessere minimo di tutti i cittadini venga considerata una priorità assoluta nella distribuzione dei mezzi materiali.

 
San Teofane il Recluso sulla preghiera del cuore

Avete letto della preghiera del cuore, non è vero? E sapete che cosa è dall'esperienza pratica. Solo con l'aiuto di questa preghiera l'ordine necessario dell'anima è mantenuto saldamente; solo attraverso questa preghiera possiamo preservare il nostro ordine interiore indisturbato anche quando è distratto dalle preoccupazioni domestiche. Questa sola preghiera rende possibile adempiere l'ingiunzione dei Padri: le mani al lavoro, la mente e il cuore con Dio. Quando questa preghiera si innesta nel nostro cuore, allora non ci sono interruzioni interne ed essa continua a fluire sempre nello stesso modo uniforme.

Il cammino verso la realizzazione di un sistematico ordine interiore è molto difficile, ma è possibile conservare questo stato d'animo (o uno simile) durante i vari e inevitabili compiti che dovete eseguire, e ciò che lo rende possibile è la preghiera di Gesù, quando si innesta nel cuore. Come può innestarsi così? Chi lo sa? Ma succede. Chi lotta è sempre più consapevole di questo innesto, senza sapere come è stato raggiunto. Per lottare per questo ordine interiore, dobbiamo camminare sempre alla presenza di Dio, ripetendo la preghiera di Gesù il più frequentemente possibile. Non appena vi è un momento libero, iniziate di nuovo ancora una volta, e l'innesto sarà raggiunto ...

La preghiera del cuore, e il calore che l'accompagna

Pregare significa stare spiritualmente davanti a Dio nel nostro cuore in glorificazione, ringraziamento, supplica, e penitenza contrita. Tutto deve essere spirituale. La radice di ogni preghiera è il timore devoto di Dio, da questo deriva la fiducia Dio e la fede in Lui, la presentazione di se stessi a Dio, la speranza in Dio, e la capacità di tenerci uniti a lui con sentimento d'amore, nell'oblio di tutto il creato. Quando la preghiera è potente, tutti questi sentimenti e movimenti spirituali sono presenti nel cuore con corrispondente vigore.

In che modo la preghiera del cuore ci aiuta in questo? Attraverso la sensazione di calore che si sviluppa dentro e intorno al cuore come effetto di questa preghiera ...

Quando preghiamo dobbiamo stare nella nostra mente di fronte a Dio, e pensare a lui solo. Eppure vari pensieri continuano a forzare la propria strada nella mente, e trascinandola la allontanano da Dio. Al fine di insegnare la mente a fissarsi su una cosa, i santi Padri utilizzavano brevi preghiere e hanno preso l'abitudine di recitarle incessantemente. Quest'incessante ripetizione di una breve preghiera manteneva la mente sul pensiero di Dio e disperdeva tutti i pensieri irrilevanti. I Padri hanno adottato varie brevi preghiere, ma è la preghiera di Gesù che tra di noi si è radicata in modo particolare ed è più comunemente impiegata: 'Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi misericordia di me peccatore'

Quindi ecco che cos'è la preghiera di Gesù. Si tratta di una tra varie brevi formule di preghiera, recitata come tutte le altre. Il suo scopo è di mantenere la mente sul pensiero unico di Dio. Chi si è abituato a questa preghiera e la usa in modo corretto, in realtà ricorda Dio incessantemente.

Poiché il ricordo di Dio in un cuore sinceramente credente è naturalmente accompagnato da un senso di pietà, di speranza, di ringraziamento, di devozione alla volontà di Dio, e da altri sentimenti spirituali, la preghiera del cuore, che produce e conserva questo ricordo di Dio, è chiamata preghiera spirituale. È giusto che sia chiamata così solo quando è accompagnata da questi sentimenti spirituali. Ma se non accompagnata da tali sentimenti rimane orale come qualsiasi altra preghiera dello stesso tipo.

Qual è il significato di questo calore che accompagna la pratica della preghiera? Al fine di mantenere la mente su un oggetto con l'utilizzo di una breve preghiera, è necessario conservare l'attenzione e quindi portarla nel cuore: fintanto che la mente rimane nella testa, dove i pensieri si scontrano l'uno con l'altro, non ha tempo per concentrarsi su una cosa. Ma quando l'attenzione scende nel cuore, vi attira tutte le forze dell'anima e del corpo in un punto. Questa concentrazione di tutta la vita umana in un unico luogo si riflette immediatamente nel cuore con una sensazione speciale che è l'inizio del futuro calore. Questa sensazione, debole all'inizio, diventa col tempo più forte, più solida, più profonda. In un primo momento è solo un tepore, si sviluppa in una sensazione di calore e concentra l'attenzione su di sé. Così avviene che, mentre nelle fasi iniziali l'attenzione è conservata nel cuore con uno sforzo di volontà, a tempo debito questa attenzione, per propria forza, fa nascere il calore nel cuore. Questo calore poi mantiene l'attenzione senza sforzo particolare. Da questo punto, i due si sostengono l'un l'altro, e devono rimanere inseparabili, perché la dispersione dell'attenzione raffredda il calore, e la diminuendo del calore indebolisce l'attenzione.

Da questo segue una regola di vita spirituale: se manteniamo il cuore vivo verso Dio, saremo sempre nel ricordo di Dio. Questa regola è stabilita da san Giovanni Climaco.

Si pone ora la questione se questo calore è spirituale. No, non è spirituale. È normale calore fisico. Ma dal momento che mantiene l'attenzione della mente nel cuore, e, quindi vi aiuta lo sviluppo dei movimenti spirituali descritti in precedenza, è chiamato spirituale, a condizione, tuttavia, che esso non sia accompagnato da piacere sensuale, per quanto lieve, ma mantenga anima e corpo in modo sobrio.

Da ciò ne consegue che, quando il calore che accompagna la preghiera del cuore non include sentimenti spirituali, non dovrebbe essere chiamato calore spirituale, ma semplicemente sangue caldo. Non vi è in sé nulla di negativa in questa sensazione di sangue caldo, a meno che non sia collegata con il piacere sensuale, per quanto lieve. Se è così collegata, è dannosa e deve essere soppressa.

Le cose cominciano ad andare male quando il calore si muove in parti del corpo più basse rispetto al cuore. E va ancora peggio quando, nel godimento di questo calore, immaginiamo che questo sia tutto ciò che conta, senza preoccuparci dei sentimenti spirituali o anche del ricordo di Dio, e fissiamo il nostro cuore solo allo scopo di avere questo calore. Questo corso sbagliato è di tanto in tanto è possibile, anche se non per tutti, né in ogni momento. Deve essere notato e corretto, altrimenti rimane solo il calore fisico, che non dobbiamo considerare come calore spirituale o frutto della grazia. Questo calore è spirituale solo quando è accompagnato dall'impeto spirituale della preghiera. Chiunque lo chiama spirituale senza questo movimento si sbaglia. E chiunque immagina che sia frutto di grazia è ancora più in errore.

Il calore pieno di grazia è di natura particolare ed è solo questo che è veramente spirituale. È distinto dal calore della carne, e non produce alcun cambiamento notevole nel corpo, ma si manifesta con una sottile sensazione di dolcezza.

Ognuno può facilmente identificare e distinguere il calore spirituale da questa sensazione particolare. Ognuno deve farlo da se stesso: questo non è un affare degli altri.

 

Il modo più semplice per acquisire la preghiera incessante

Acquisire l'abitudine della preghiera del cuore, in modo che essa si radichi in noi stessi, è il modo più semplice per ascendere alla regione della preghiera incessante. Gli uomini di maggior esperienza hanno scoperto, attraverso l'illuminazione di Dio, che questa forma di preghiera è un mezzo semplice ma molto efficace per stabilire e rafforzare l'intera vita spirituale e ascetica, e nelle loro regole di preghiera hanno lasciato riguardo a questo metodo istruzioni dettagliate.

In tutti i nostri sforzi e lotte ascetiche, cerchiamo la purificazione del cuore e la restaurazione dello spirito. Ci sono due modi per arrivarci: la via attiva, la pratica delle fatiche ascetiche, e la via contemplativa, il ritorno della mente a Dio. Con il primo modo l'anima si purifica e così riceve Dio; con il secondo modo il Dio di cui l'anima diventa consapevole scaccia egli stesso ogni impurità e quindi viene a dimorare nell'anima purificata. L'insieme di questo secondo modo si riassume nella singola preghiera del cuore, come dice san Gregorio il Sinaita: 'Dio si acquisisce o mediante l'attività e il lavoro, o con l'arte di invocare il nome di Gesù'. Egli aggiunge che il primo modo è più lungo del secondo, che a sua volta è più rapido ed efficace. Per questo motivo alcuni dei santi Padri hanno dato primaria importanza, tra tutti i diversi tipi di esercizio spirituale, alla preghiera del cuore. Essa illumina, fortifica, e anima; sconfigge tutti i nemici visibili ed invisibili, e conduce direttamente a Dio. Guardate quanto è potente ed efficace! Il Nome del Signore Gesù è il tesoro di tutte le cose buone, il tesoro della forza e della vita nello Spirito.

Ne consegue che dobbiamo fin dall'inizio dare istruzioni complete sulla pratica della preghiera del cuore a tutti coloro che si pentono e cominciano a cercare il Signore. Solo in seguito dobbiamo introdurre il principiante ad altre pratiche, perché in questo modo egli può trovare stabilità e consapevolezza spirituale più rapidamente, e raggiungere la pace interiore. Molte persone, non sapendolo, possono sprecare il loro tempo e fatica senza andare oltre le attività formali ed esterne dell'anima e del corpo.

La pratica della preghiera è chiamata 'arte', ed è molto semplice. Stando con coscienza e attenzione nel cuore, grida incessantemente: 'Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi misericordia di me', 
 senza tenere nella mente alcun concetto visivo o immagine, credendo che il Signore ti vede e ti ascolta.

È importante mantenere la consapevolezza nel cuore, e così facendo si controlla leggermente il respiro in modo da tenere il tempo con le parole della preghiera. Ma la cosa più importante è credere che Dio è vicino e sente. La preghiera si dice per l'orecchio di Dio solo.

All'inizio questa preghiera rimane per lungo tempo soltanto un'attività come un'altra, ma con il tempo passa nella mente e infine mette radici nel cuore.

Ci sono deviazioni da questo giusto modo di pregare, perciò dobbiamo impararlo da qualcuno che sa tutto su di esso. Gli errori si verificano di preferenza quando l'attenzione è nella testa e non nel cuore. Chi mantiene la sua attenzione nel cuore è al sicuro. Ancor più al sicuro è chi in ogni momento si aggrappa a Dio nella contrizione, e prega di essere liberato dall'illusione.

'Tecniche' e 'metodi' non hanno importanza: una cosa sola è essenziale

La preghiera: 'Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi misericordia di me' è una preghiera orale come le altre. Non ha niente di speciale in sé, ma riceve tutto il suo potere dallo stato d'animo in cui è fatta.

I vari metodi descritti dai Padri (seduti, facendo prosternazioni, e utilizzando altre tecniche durante l'esecuzione di questa preghiera) non sono adatti a tutti: infatti, senza una guida personale, sono in realtà pericolosi. È meglio non provarli. C'è solo un metodo che è obbligatorio per tutti: stare con l'attenzione nel cuore. Tutte le altre cose sono superflue, e non conducono al nocciolo della questione.

Si dice del frutto di questa preghiera, che non c'è nulla di più elevato al mondo. Questo è sbagliato. Come se si trattasse di qualche talismano! Niente nelle parole della preghiera e nella loro pronuncia può da solo portare il suo frutto. Il risultato può essere ricevuto senza questa preghiera, e anche senza la preghiera orale, ma semplicemente dirigendo la mente e il cuore verso Dio.

L'essenza di tutta la cosa è stabilisi nel ricordo di Dio, e camminare alla sua presenza. Si può dire a qualcuno: 'Segui qualsiasi metodo desideri - recita la preghiera di Gesù, esegui inchini e prosternazioni, vai in chiesa: fai ciò che desideri, cerca solo di essere sempre in costante ricordo di Dio'. Ricordo di aver incontrato un uomo a Kiev che diceva: 'Non ho usato alcun metodo, non conoscevo la preghiera di Gesù, ma per misericordia di Dio, io cammino sempre alla sua presenza. Ma come questo è avvenuto, io stesso non lo so, Dio me lo ha dato!'

È molto importante comprendere che la preghiera è sempre data da Dio: altrimenti possiamo confondere il dono della grazia con un certo successo personale.

La gente dice: raggiungete la preghiera di Gesù, perché è la preghiera interiore. Questo non è corretto. La preghiera di Gesù è un buon mezzo per arrivare alla preghiera interiore, ma di per sé non è preghiera interiore, ma esterna. Coloro che raggiungono l'abitudine della preghiera di Gesù fanno molto bene. Ma se si fermano solo a questo e non vanno oltre, si fermano a metà strada.

Anche se stiamo recitando la Preghiera di Gesù, ci è ancora necessario mantenere il pensiero di Dio: altrimenti la preghiera è cibo secco. È bene che il nome di Gesù si unisca alla vostra lingua. Ma con questo è ancora possibile non ricordarsi per  nulla di Dio a tutti e anche accogliere pensieri opposti a lui. Di conseguenza, tutto dipende da una cosciente e libera attenzione a Dio, e da uno sforzo equilibrato per mantenere se stessi in questo stato.

Perché la Preghiera di Gesù è più forte di altre preghiere

La preghiera di Gesù è come qualsiasi altra preghiera. È più forte di tutte le altre preghiere solo in virtù del nome onnipotente di Gesù, nostro Signore e Salvatore. Ma è necessario invocare il suo nome con una piena e incrollabile fede, con una profonda certezza che egli è vicino, ci vede e ci sente, presta attenzione di tutto cuore alla nostra richiesta, ed è pronto ad adempierla e a concedere ciò che cerchiamo. Non c'è nulla di cui vergognarsi in una tale speranza. Se l'adempimento avviene a volte in ritardo, questo può essere perché chi ha fatto la richiesta non è ancora pronto a ricevere quello che chiede.

Non è un talismano

La preghiera del cuore non è un talismano (un anello o una pietra dai poteri magici). Il suo potere viene dalla fede nel Signore, e da una profonda unione della mente e del cuore con lui. Con tale disposizione, l'invocazione del nome del Signore diventa molto efficace in molti modi. Ma una semplice ripetizione delle parole non significa nulla.

La ripetizione meccanica non porta a nulla

Non dimenticate che non dovete limitarvi a una ripetizione meccanica delle parole della preghiera del cuore. Questo non porterà a nulla se non all'abitudine di ripetere la preghiera automaticamente con la lingua, senza nemmeno pensarci. Non vi è, naturalmente, nulla di sbagliato in questo, ma costituisce solo l'estremo limite esterno dell'opera.

La cosa essenziale è stare coscientemente alla presenza del Signore, con timore, fede e amore.

Preghiera orale e interiore

Si può recitare la preghiera di Gesù con la mente nel cuore senza movimento della lingua. Questo è meglio della preghiera orale. Utilizzate la preghiera orale come supporto alla preghiera interiore. A volte è necessaria al fine di rafforzare la preghiera interiore.

Evitare i concetti visivi

Non tenete alcuna immagine intermedia tra la mente e il Signore quando praticate la preghiera di Gesù. Le parole pronunciate sono solo un aiuto, e non sono essenziali. La cosa principale è stare davanti al Signore con la mente nel cuore. Questo, e non le parole, è la preghiera spirituale interiore. Le parole qui sono la parte essenziale della preghiera più o meno come le parole di ogni altra preghiera. La parte essenziale è dimorare in Dio, e questo camminare davanti a Dio significa che si vive con la convinzione della coscienza che Dio è in noi, come è in ogni cosa: si vive nella ferma certezza che egli vede tutto ciò che è all'interno di noi, e lo conosce meglio di quanto noi conosciamo noi stessi. Questa consapevolezza dell'occhio di Dio che guarda il nostro essere interiore non deve essere accompagnata da alcun concetto visivo, ma deve limitarsi a una semplice convinzione o sentimento. Un uomo in una stanza calda sente come il calore avvolge e lo penetra. Lo stesso deve essere sulla nostra natura spirituale l'effetto della presenza onnicomprensiva di Dio, che è come il fuoco nella stanza del nostro essere.

Le parole 'Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi misericordia di me' sono solo lo strumento e non l'essenza del lavoro, ma sono uno strumento molto forte ed efficace, perché il nome del Signore Gesù è una fonte di paura per i nemici della nostra salvezza e di benedizione per tutti coloro che lo cercano. Non dimenticate che questa pratica è semplice, e non deve avere nulla di fantasioso a riguardo. Pregate per ogni cosa il Signore, la sua purissima Madre, il vostro angelo custode, ed essi vi insegneranno ogni cosa, direttamente o tramite altri.

Immagini e illusioni

Per non cadere in illusioni, praticando la preghiera interiore, non permettevi alcun concetto, immagine o visione. Infatti le fantasie vivaci, che guizzano avanti e indietro, e i voli di fantasia non cessano neanche quando la mente si trova nel cuore e recita la preghiera: e nessuno è in grado di governare le fantasie, tranne coloro che hanno raggiunto la perfezione per la grazia del santo Spirito, e hanno acquisito la stabilità della mente per mezzo di Gesù Cristo.

Dissipare tutte le immagini dalla mente

Mi chiedete della preghiera. Trovo negli scritti dei santi Padri, che quando pregate dovete dissipare tutte le immagini dalla vostra mente. Questo è ciò che anch'io cerco di fare, sforzandomi di capire che Dio è ovunque, e quindi (tra l'altro) anche qui, dove si trovano i miei pensieri e sentimenti. Io non posso riuscire a liberarmi completamente dalle immagini, ma a poco a poco esse evaporano sempre di più. Arriva un punto in cui scompaiono completamente.

 
112

Foto 112

 
Stihul “Preasfântă Născătoare de Dumnezeu, mântuieşte-ne pe noi” în ecteniile liturgice

Întrebare: Părinte Petru, majoritatea ecteniilor din slujbele noastre se termină cu o cerere adresată Maicii Domnului, după care strana cântă „Preasfântă Născătoare de Dumnezeu, miluieşte-ne/mântuieşte-ne pe noi”. Care variantă este corectă şi de ce se cântă acest stih?

Răspuns: După cum aţi remarcat şi dumneavoastră, ecteniile liturgice (afară de cele "întreite") se termină cu această cerere:

Pe preasfânta, curata, preabinecuvântata, slăvita Stăpâna noastră, de Dumnezeu Născătoarea şi pururea Fecioara Maria, cu toţi sfinţii pomeninduo, pe noi înşine şi unii pe/cu alţii, şi toată viaţa noastră lui Hristos Dumnezeu să o dăm. 

1. Cred că ar fi de folos să explicăm mai întâi cuvintele subliniate:

a) în greceşte avem termenul ενδόξου, care s-ar traduce mai corect prin înslăvita, adică cea care a intrat în slava lui Dumnezeu (neavând slava prin ea însăşi), tocmai de aceea avem construcţia εν + δόξου. Înlocuirea acestui cuvântul cu „mărit[a]” (de la „mărire”) nu este corectă nici filologic şi nici teologic, de aceea am preferat termenul mai vechi şi mai exact.

b) verbul „a (o) pomeni” – „pomenindu‑o” – este la gerunziu (μνημονεύσαντες) şi nu la conjunctiv („să o pomenim”), aşa cum apare în Liturghierele româneşti mai noi. Această modificare a formei verbului s‑a făcut atunci când cererea a fost împărţită în două cereri distincte, pentru a cânta stihul: Preasfântă Născătoare de Dumnezeu, mântuieştene pe noi. Însuşi locul împărţirii acestei cereri în Biserica Ortodoxă Română nu este cel mai potrivit. De exemplu, în „Biserica Ortodoxă a Macedoniei”, pauza se face după cuvântul „Maria”, când se cântă stihul respectiv, după care continuă cererea, iar verbul „pomenindu-o” face înţeles sensul restului cererii: „pe noi înşine…”.

2. Stihul „Preasfântă Născătoare de Dumnezeu, mântuieştene pe noi” a apărut în ultimele două-trei secole în tradiţia monahală athonită ca o îngânare recitativă în timpul cererii diaconale, dar fără să întrerupă textul ecteniei şi fără ca stihul să fie consemnat în scris. Athoniţii practică rostirea unor stihuri asemănătoare şi în timpul altor rugăciuni. De exemplu, când diaconul/preotul rosteşte rugăciunea Litiei „Mântuieşte, Dumnezeule, poporul Tău…”, la care se pomeneşte Maica Domnului şi mai mulţi sfinţi, strana îngână concomitent cu pomenirile: „Cu ale ei/lui sfinte rugăciuni, Hristoase Dumnezeule, miluieşte-ne şi ne mântuieşte pe noi” (de mai multe ori). Însă toate aceste stihuri sunt de fapt nişte improvizaţii care nu se scriu în cărţi şi nici nu pot deveni obligatorii. Iată de ce, şi în cazul ecteniei, originalul grecesc şi toate traducerile existente nu au cererea împărţită şi nici stihul indicat. Nici vechile traduceri româneşti nu conţin acest stih, ci doar cele din secolul XX (cu câteva excepţii). Deci, mai corect ar fi ca această cerere a ecteniei să fie rostită unitar, fără împărţiri, iar pe fonul rostirii ei, poporul/strana, cu voce foarte înceată, să cânte stihul sus‑numit. Dar şi mai corect ar fi ca BOR să revină la vechea tradiţie de a nu cânta nimic în timpul acestei cereri pentru a-i sublinia unitatea şi sensul.

3. Redactarea românească actuală a stihului: miluieştene în loc de mântuieştene, este greşită. Cererea de mântuire adresată Maicii Domnului nu trebuie înţeleasă în sens juridic sau aşa cum afirmă o teologumenă romano‑catolică, că Maica Domnului ar fi „împreună‑mântuitoare” cu Hristos. Mântuirea, aşa cum a învăţat Biserica Ortodoxă dintotdeauna şi după cum reiese şi din ter­menul grecesc σωτηρία, trebuie înţeleasă ca izbăvire, apărare, ajutor, vindecare etc. – ceea ce nu este deloc impropriu de a cere şi de la Născătoarea de Dumnezeu. Tocmai de aceea cântările Bisericii Ortodoxe sunt pline de astfel de expresii în care Maica Domnului este chemată în ajutor pentru a ne "mântui din nevoi/primejdii". Şi dincontra, e greşit să cerem milă de la Născătoarea de Dumnezeu, singurul izvor al milei fiind Dumnezeu. Însăşi Maica Domnului a „beneficiat” de mila lui Dumnezeu, mila fiind aici aproape sinonimă cu harul (şi nu cu "îndurarea" pe care cineva o are faţă de altcineva, aşa cum se înţelege în limbajul curent). Anumiţi teologi din BOR, înţelegând juridic şi scolastic termenul de „mântuire”, au schimbat (în secolul al XX‑lea): Preasfântă Născătoare de Dumne­zeu, mântuieştene pe noi cu… miluieştene pe noi. Toţi ceilalţi ortodocşi au păstrat prima variantă a stihului, numai că majoritatea îl folosesc numai la Canoane şi Paraclise, nu şi în timpul ecteniei.

Pentru a depăşi interpretările tendenţioase asupra acestor termeni, poate că ar fi mai indicat să spunem de acum înainte: "Preasfântă Născătoare de Dumnezeu, izbăveşte-ne/ajută-ne pe noi" sau să folosim varianta cu care ne adresăm şi sfinţilor: "Preasfântă Născătoare de Dumnezeu, roagă-te pentru noi". Aceasta din urmă este cel mai uşor înţeleasă şi nu lasă loc interpretărilor tendenţioase sau eretice.

4. Sensul cel mai direct şi mai simplu al acestei cereri poate fi formulat în următoarea parafrazare: Amintindu-ne de Fecioara Maria şi de toţi sfinţii, şi având exemplul lor, fiecare dintre noi şi toţi laolaltă să oferim viaţa noastră lui Hristos Dumnezeu. Deci, după cum vedem, ectenia nu conţine o cerere adresată Maicii Domnului, ci suntem chemaţi ca, având pe Născătoarea de Dumnezeu şi pe toţi sfinţii ca exemplu, să ne dăm viaţa lui Hristos. Această interpretare confirmă o dată în plus inutilitatea vreunui stih adresat Maicii Domnului în acest moment. Biserica are suficiente rugăciuni şi cântări adresate ei, şi fiecare dintre ele au locul lor bine determinat. Exagerările în acest sens nu înseamnă mai multă evlavie sau preacinstire adusă Maicii lui Dumnezeu.

5. Atâta timp cât BOR declară în Statutul său unitatea liturgică cu celelalte Biserici Ortodoxe (articolul 2.1), nici un cleric al BOR nu ar trebui să se teamă de a rosti această cerere a ecteniei (şi, eventual, traducerea corectă a stihului) aşa cum se face în toate Bisericile Ortodoxe, şi nu cum indică Liturghierul românesc, care încă e plin de greşeli. Problema acestei cereri există şi în Basarabia (tot din cauza Liturghierului românesc), dar ea poate fi mai uşor rezolvată, având în vedere apartenenţa canonică la Biserica Rusă, care nici n-a auzit de astfel de inovaţii.

P.S.  Sper, din toată inima, ca cele scrise mai sus să nu fie percepute ca un atac la BOR sau ca o lipsă de evlavie faţă de Maica Domnului, ci ca o abordare ştiinţifică a unui text liturgic ce a devenit pentru noi problematic.

 
Il Centro di Aiuto alla Vita "Filoteia" compie 4 anni

Da anni è attivo a Torino un Centro di Aiuto alla Vita gestito da cristiani ortodossi: ieri c'è stato il quarto anniversario dell'inaugurazione della sede in Corso Matteotti 11. Nella sezione "Etica" dei documenti, offriamo alcuni dettagli sul centro "Filoteia", assieme a un video che spiega il valore di queste iniziative.

 
Come leggere la Bibbia

Tutta la Scrittura è ispirata da Dio (2 Tim 3:16)

"Se un re terreno, il nostro imperatore," scriveva San Tikhon di Zadonsk (1724-83), "ti scrivesse una lettera, non la leggeresti con gioia? Certamente, con grande esultanza, cura e attenzione." Ma qual'è, egli chiede, la nostra attitudine verso la lettera che ci è stata spedita niente meno che da Dio stesso? "Ti è stata spedita una lettera, non da qualche imperatore terreno, ma dal Re dei Cieli. Eppure quasi disprezzi un tale dono, un tesoro senza prezzo." Aprire e leggere questa lettera, dice San Tikhon, vuol dire entrare in una conversazione personale faccia a faccia con il Dio vivente. "Tutte le volte che leggi il Vangelo, Cristo stesso ti sta parlando. E mentre leggi, tu sei in preghiera e in conversazione con lui."

Esattamente questa è la nostra attitudine ortodossa verso la lettura delle Scritture. Devo vedere la Bibbia come la lettera personale di Dio inviata in modo specifico a me. Le parole non sono intese solo per altri, vissuti lontano e molto tempo fa, ma sono scritte particolarmente e direttamente a me, qui e ora. Ogni volta che apriamo la nostra Bibbia, entriamo in un dialogo creativo con il Salvatore. Mentre ascoltiamo, rispondiamo. "Parla, perché il tuo servo ti ascolta," rispondiamo a Dio (1 Samuele 3:10); "Eccomi" (Isaia 6:8).

Due secoli dopo San Tikhon, alla Conferenza tenuta a Mosca nel 1976 tra gli ortodossi e gli anglicani, la vera attitudine verso le Scritture è stata espressa in modo differente ma in termini ugualmente validi. Questa dichiarazione congiunta, firmata da delegati di entrambe le tradizioni, forma un eccellente riassunto del punto di vista ortodosso: "Le Scritture costituiscono un insieme coerente. Esse sono allo stesso tempo divinamente ispirate e umanamente espresse. Portano testimonianza autorevole a Dio che si rivela - nella creazione, nell'Incarnazione del Verbo, e nell'intera storia della salvezza. E come tali esprimono la parola di Dio in linguaggio umano. Noi conosciamo, riceviamo e interpretiamo le Scritture attraverso la Chiesa e nella Chiesa. Il nostro approccio alla Bibbia è un approccio di obbedienza."

Combinando le parole di San Tikhon e la dichiarazione di Mosca, si possono distinguere le quattro caratteristiche chiave che contrassegnano la "mente scritturale" ortodossa. Primo, la nostra lettura delle scritture è obbediente. Secondo, è ecclesiale, in unione alla Chiesa. Terzo, è cristocentrica. Quarto, è personale

Leggere la Bibbia con obbedienza

Prima di tutto, vediamo le Scritture come ispirate da Dio, e ci accostiamo a loro in spirito di obbedienza. L'ispirazione divina della Bibbia è sottolineata allo stesso modo da San Tikhon e dalla Conferenza di Mosca del 1976: Le Scritture sono una "lettera" che viene dal "Re dei Cieli," scrive San Tikhon; "Cristo stesso ti sta parlando." La Bibbia, dice la Conferenza, è la "testimonianza autorevole" che Dio dà di Se stesso, che esprime "la parola di Dio in linguaggio umano." La nostra risposta a questa parola divina è, giustamente, una risposta di obbediente ricettività. Mentre leggiamo, siamo al servizio dello Spirito.

Poiché è divinamente ispirata, la Bibbia possiede un'unità fondamentale, una coerenza totale, poiché lo stesso Spirito parla in ogni pagina. Non ci riferiamo ad essa al plurale come "i libri," ta biblia. La chiamiamo "la Bibbia," "il libro," al singolare. Si tratta di un libro, una Sacra Scrittura, con lo stesso messaggio generale - una storia composita e allo stesso tempo singola dalla Genesi all'Apocalisse.

Allo stesso tempo, tuttavia, la Bibbia è anche umanamente espressa. È un'intera biblioteca di scritti distinti, composti in vari tempi, da persone differenti, in situazioni ampiamente diverse. Troviamo qui Dio che parla "in molti tempi e in molti modi" (Ebrei 1:1). Ogni libro della Bibbia riflette il carattere dell'epoca in cui fu scritto e il particolare punto di vista dell'autore. Dio infatti non abolisce la nostra individualità ma la esalta. La grazia divina coopera con la libertà umana: noi siamo "collaboratori," cooperatori di Dio (1 Corinzi 3:9). Nelle parole della Lettera a Diogneto del secondo secolo, "Dio persuade, non obbliga; la violenza è infatti contraria alla natura divina." Precisamente così avviene nella composizione delle Scritture ispirate. L'autore di ogni libro non era solo uno strumento passivo, un flauto suonato dallo Spirito, un dittafono che registra un messaggio. Ogni autore delle Scritture vi contribuisce con i propri particolari doni umani. A fianco dell'aspetto divino, c'è anche un aspetto umano nelle Scritture, e noi dobbiamo dare valore a entrambi.

Ciascuno dei quattro evangelisti, per esempio, ha il suo punto di vista particolare. Matteo è il più "ecclesiastico" e il più ebraico dei quattro, con il suo speciale interesse alla relazione tra il vangelo e la legge ebraica, e la sua comprensione del cristianesimo come "nuova legge." Marco scrive in un greco meno forbito, vicino al linguaggio della vita quotidiana, e include vividi dettagli narrativi che non si trovano negli altri Vangeli. Luca insiste sull'universalità dell'amore di Cristo, sulla sua onnicomprensiva compassione che si estende in pari misura all'ebreo e al gentile. Il quarto vangelo esprime un approccio più interiore e mistico, e fu ben definito da San Clemente di Alessandria "un vangelo spirituale." Esploriamo anche noi e godiamo pienamente questa vivifica varietà nella Bibbia.

Dato che le Scritture sono in questo modo la parola di Dio espressa in linguaggio umano, c'è spazio per un'onesta ed esigente ricerca critica quando si studia la Bibbia. Il nostro cervello e la sua facoltà di ragionamento sono un dono di Dio, e non dobbiamo avere paura di usarli pienamente quando leggiamo le Scritture. Come cristiani ortodossi, trascuriamo a nostro rischio e pericolo i risultati della ricerca accademica indipendente sulle origini, le datazioni e gli autori della Bibbia, anche se vorremo sempre mettere alla prova questi risultati alla luce della Santa Tradizione.

A fianco di questo elemento umano, tuttavia, dobbiamo sempre vedere l'aspetto divino. Questi testi non sono semplicemente opera degli autori individuali. Ciò che ascoltiamo nelle Scritture non sono semplici parole umane, caratterizzate da una maggiore o minore abilità e percezione, ma l'eterna, increata Parola di Dio stesso - il Verbo del Padre che "esce dal silenzio," per usare la frase di Sant'Ignazio di Antiochia - il Verbo divino della salvezza. Accostandoci alla Bibbia, dunque, non proveniamo da una posizione di mera curiosità, o per ottenere informazioni storiche. Veniamo con una domanda specifica: "Come posso essere salvato?"

La ricettività obbediente alla parola di Dio significa soprattutto due cose: un senso di meraviglia e un'attitudine di ascolto.

(1) La meraviglia si estingue facilmente. Non proviamo anche troppo spesso, leggendo la Bibbia, che essa è divenuta troppo familiare, perfino noiosa? Non abbiamo forse perso la nostra vigilanza, il nostro senso di aspettativa?

Dobbiamo continuamente ripulire le porte della nostra percezione e guardare con occhi nuovi, con timore reverenziale e stupore, il miracolo che ci viene proposto - il miracolo sempre presente della parola divina di salvezza espressa in linguaggio umano. Come faceva notare Platone, "l'inizio della verità è la meraviglia di fronte alle cose."

Alcuni anni fa ho fatto un sogno che ancora ricordo chiaramente. Ero di nuovo nella casa dove da bambino, per tre anni, avevo vissuto in convitto. Un amico mi portava attraverso le camere che mi erano familiari dai ricordi di vita cosciente della mia infanzia. Poi, nel sogno, entravamo in altre camere che non avevo mai visto prima - spaziose, eleganti, piene di luce. Infine, arrivammo in una cappella piccola e scura, con mosaici dorati che brillavano alla luce di candele. "Che strano," dissi al mio compagno, "che io sia vissuto qui per tanti anni, e senza mai sapere dell'esistenza di tutte queste camere." Ed egli replicò: "Ma è sempre così." Mi svegliai, e mi accorsi che era un sogno.

Non dovremmo forse reagire in presenza della Bibbia esattamente con la stessa sorpresa, con lo stesso senso di gioia e di scoperta che avevo sperimentato nel mio sogno? Ci sono così tante stanze nelle Scritture nelle quali ancora non siamo neppure entrati. C'è ancora così tanto da esplorare.

(2) Se l'obbedienza significa meraviglia, significa anche ascolto. Tale è per la verità il significato della parola "obbedire" in greco e in latino: ascoltare. Il problema è che per la maggior parte noi siamo più capaci di parlare che di ascoltare. Lo dimostra fin troppo bene un episodio del Goon Show, che io ascoltavo regolarmente alla radio nei miei giorni di studente. Suona il telefono, e uno dei personaggi alza il ricevitore. "Pronto," esclama, "pronto, pronto." Il volume della sua voce cresce. "Chi parla? Non riesco a sentire. Pronto, chi parla?" Una voce all'altro capo dice: "Ma sei tu che parli." "Ah," risponde il protagonista "ecco perché la voce mi sembrava familiare." e riappende il ricevitore.

Uno dei requisiti primari, se vogliamo acquisire una "mente scritturale," è quello di smettere di parlare e iniziare ad ascoltare. Quando entriamo in una chiesa ortodossa decorata nel modo tradizionale, e guardiamo in alto verso il santuario, vediamo nell'abside la figura della Madre di Dio con le mani levate al cielo - l'antico modo scritturale di pregare che molti usano ancora oggi. Tale deve essere la nostra attitudine verso le Scritture - un'attitudine di apertura e di attenta ricettività, con le nostre mani invisibilmente protese verso il cielo.

Leggendo la Bibbia, dunque, dobbiamo conformarci in tal modo al modello della Beata Vergine Maria, come a colei che ascolta in modo supremo. All'Annunciazione, ascoltando l'angelo, risponde con obbedienza: "Sia fatto di me secondo la tua parola" (Luca 1:38). Se non avesse prima ascoltato la parola di Dio ricevendola spiritualmente nel suo cuore, non avrebbe mai portato corporalmente la Parola di Dio nel suo grembo. L'ascolto ricettivo continua a essere la sua attitudine lungo tutta la storia dei Vangeli. Alla natività di Cristo, dopo l'adorazione da parte dei pastori, "Maria custodiva tutte queste cose meditandole nel suo cuore" (Luca 2:19). Dopo la visita a Gerusalemme quando Gesù aveva dodici anni, "Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore" (Luca 2:51). L'importanza vitale dell'ascolto è pure indicata nelle ultime parole attribuite alla Theotokos nelle Sacre Scritture, alla festa di nozze a Cana di Galilea: "Fate tutto quello che vi dirà" (Giovanni 2:5), ella dice ai servitori - e a tutti noi.

In tutto ciò la Vergine serve come uno specchio e un'icona vivente del cristiano biblico. Ascoltando la parola di Dio, dobbiamo essere come lei: meditare, custodire tutte queste cose nel nostro cuore, fare tutto ciò che Egli ci dice. Dobbiamo ascoltare in obbedienza mentre Dio parla. 

Comprendere la Bibbia attraverso la Chiesa

Come afferma la Conferenza di Mosca, "Noi conosciamo, riceviamo e interpretiamo le Scritture attraverso la Chiesa e nella Chiesa." Il nostro approccio alla Bibbia non è solo obbediente ma ecclesiale. Le parole della Scritture, che ci sono rivolte a titolo personale, ci sono rivolte allo stesso tempo in quanto membri di una comunità. Libro e Chiesa non vanno separati.

L'interdipendenza tra Chiesa e Bibbia è evidente almeno in due modi. Dapprima, noi riceviamo le Scritture attraverso la Chiesa e nella Chiesa. È la Chiesa a dirci che cosa fa parte delle Scritture. Nei primi tre secoli di storia cristiana, fu necessario un lungo processo per passare al setaccio, mettere alla prova e distinguere ciò che era autenticamente parte delle Scritture "canoniche," e che portava un messaggio autorevole della persona e del messaggio di Cristo, e di ciò che era "apocrifo," forse utile per l'insegnamento, ma non una fonte normativa di dottrina. Perciò, è la Chiesa che ha deciso quali libri formano il Canone del Nuovo Testamento. Un libro non è parte delle Sacre Scritture a causa di qualche particolare teoria sulla sua datazione e autorevolezza, ma poiché è la chiesa che lo tratta come canonico. Supponiamo, per esempio, che potesse essere provato che il Quarto Vangelo non sia stato scritto di fatto da San Giovanni, il discepolo amato da Cristo - a mio parere, ci sono invece forti ragioni per continuare ad accettare l'attribuzione a Giovanni - e tuttavia, anche in tal caso, ciò non altererebbe il fatto che noi consideriamo il Quarto Vangelo come parte delle Scritture. Come mai? Perché il Quarto Vangelo, chiunque sia il suo autore, è accettato dalla Chiesa e nella Chiesa.

In secondo luogo, noi interpretiamo le Scritture attraverso la Chiesa e nella Chiesa. Se è la Chiesa che ci dice che cosa fa parte delle Scritture, allo stesso modo è la Chiesa che ci dice come le Scritture vanno comprese. Giungendo dall'Etiope mentre questi leggeva l'Antico Testamento nel suo carro, l'Apostolo Filippo gli chiese, "Comprendi ciò che stai leggendo?"

"E come potrei," rispose l'Etiope, "se qualcuno non mi guida?" (Atti 8:30-31).

La sua difficoltà è pure la nostra. Le parole delle Scritture non si spiegano sempre da sole. La Bibbia ha un filo conduttore di meravigliosa semplicità, ma quando è studiata in dettaglio può risultare un libro difficile. Invero, Dio parla direttamente al cuore di ciascuno di noi mentre leggiamo la nostra Bibbia - come dice San Tikhon, la nostra lettura è un dialogo personale tra ciascuno di noi e Cristo stesso - ma noi abbiamo bisogno anche di una guida. E la nostra guida è la Chiesa. Possiamo usare pienamente la nostra comprensione personale, assistita dallo Spirito. Possiamo usare pienamente i commentari biblici le scoperte della moderna ricerca. Ma sottomettiamo le opinioni individuali - siano esse le nostre o quelle degli studiosi - al giudizio della Chiesa.

Leggiamo la Bibbia in modo personale, ma non come individui isolati. Non diciamo "io", ma "noi." Leggiamo come membri di una famiglia, la famiglia della Chiesa Cattolica Ortodossa. Leggiamo in comunione con tutti gli altri membri del Corpo di Cristo in ogni parte del mondo e in tutte le generazioni. Questo approccio comunitario o cattolico è riassunto in una delle domande poste a un convertito nell'ufficio di ricezione usato nella Chiesa Russa: "Riconosci che le Sacre Scritture devono essere accettate e interpretate in accordo con la fede che è stata tramandata dai Santi Padri, fede che la Santa Chiesa Ortodossa, nostra madre, ha sempre mantenuto e tuttora mantiene?" Il criterio decisivo per la nostra comprensione del significato delle Scritture è la mente della Chiesa.

Per scoprire questa "mente della Chiesa," da dove dobbiamo incominciare? Un primo passo consiste nel vedere come le Scritture sono utilizzate nel culto. Come, in particolare, si scelgono i passi biblici da leggere nelle diverse feste? Un secondo passo consiste nel consultare gli scritti dei Padri della Chiesa, soprattutto San Giovanni Crisostomo. Com'è che essi analizzano e applicano il testo delle Scritture? Un modo ecclesiale di leggere la Bibbia è in tal modo sia liturgico che patristico.

Per illustrare che cosa significhi interpretare le Scritture in modo liturgico, consideriamo le letture dall'Antico Testamento al Vespro della Festa dell'Annunciazione (25 Marzo), e al Vespro del Sabato Santo, la prima parte dell'antica Vigilia Pasquale. All'Annunciazione ci sono cinque letture:

(1) Genesi 28:10-17: Il sogno di Giacobbe di una scala che si eleva dalla terra al cielo.

(2) Ezechiele 43:27-44:4: la visione che il profeta ha del tempio di Gerusalemme, con la porta chiusa attraverso la quale nessuno può passare, se non il Principe.

(3) Proverbi 9:1-11: uno dei grandi passi sofianici dell'Antico Testamento, che inizia con le parole "La sapienza si è costruita la casa."

(4) Esodo 3:1-8: Mosè al roveto ardente.

(5) Proverbi 8:22-30: Un altro passo sofianico, che descrive il posto della Sapienza nell'eterna provvidenza di Dio: "Dall'eternità sono stata costituita, fin dal principio, dagli inizi della terra."

In questi passi dall'Antico Testamento, abbiamo una serie di potenti immagini per indicare il ruolo della Theotokos nello sviluppo del piano di salvezza di Dio. Ella è la scala di Giacobbe, poiché per mezzo suo, Dio discende ed entra nel nostro mondo, assumendo la carne da lei fornita. Ella è sia Madre che Sempre-Vergine; Cristo è nato da lei, eppure ella rimane ancora inviolata, e la porta della sua verginità sigillata. Ella fornisce l'umanità, o la casa che Cristo la Sapienza di Dio (1 Corinzi 1:24) si prende come propria dimora; in alternativa, ella stessa va considerata come Sapienza di Dio. Ella è il roveto ardente, che contiene nel suo grembo il fuoco increato della Divinità, eppure non è consumata. Da tutta l'eternità, "dagli inizi della terra," ella fu prescelta da Dio per essere sua Madre.

Leggendo questi passi nel loro contesto originale nell'Antico Testamento, potremmo non accorgerci subito che essi prefigurano l'Incarnazione del Salvatore dalla Vergine. Ma esplorando l'uso che il lezionario della Chiesa fa dell'Antico Testamento, possiamo scoprire molteplici strati di significati che sono tutt'altro che ovvi a una prima lettura.

La stessa cosa accade quando consideriamo l'uso delle Scritture al Sabato Santo. Qui non vi sono meno di quindici letture dall'Antico Testamento. Purtroppo, in molte delle nostre parrocchie la maggioranza di queste letture viene omessa, così il popolo di Dio viene privato del suo appropriato nutrimento biblico. Questa lunga sequenza di letture ci mette di fronte il significato più profondo del "passaggio" di Cristo attraverso la morte verso la risurrezione. La prima delle letture è il resoconto della creazione (Genesi 1:1-13): la Risurrezione di Cristo è una nuova creazione (2 Corinzi 5:17; Apocalisse 21:5), l'inaugurazione di una nuova età, l'età ventura. La terza lettura descrive il rituale ebraico del pasto pasquale: Cristo crocifisso e risorto è la nuova Pasqua, l'Agnello pasquale che solo può prendere su di sé il peccato del mondo (1 Corinzi 5:7; Giovanni 1:29). La quarta lettura comprende tutto il libro di Giona: i tre giorni del profeta nel ventre del pesce prefigurano la risurrezione di Cristo dopo tre giorni nella tomba (Matteo 12:40). La sesta lettura racconta il passaggio del Mar Rosso da parte degli israeliti (Esodo 13:20-15:19), Cristo ci guida dalla schiavitù dell'Egitto (il peccato), attraverso il Mar Rosso (il battesimo), nella terra promessa (la Chiesa). La lettura finale è la storia dei tre Santi Fanciulli nella fornace infuocata (Daniele 3), ancora una volta un "tipo" o prefigurazione della risurrezione di Cristo dalla tomba.

Come possiamo sviluppare questo modo ecclesiale e liturgico di leggere le Scritture nei gruppi di studio biblico all'interno delle nostre parrocchie? A una persona si può dare il compito di notare quando un passo particolare è usato per una festività o per il giorno di un santo, e il gruppo può quindi discutere assieme le ragioni per cui è stato scelto così. Ad altri nel gruppo possono essere assegnati i compiti di ricerca tra i Padri, riferendosi soprattutto alle omelie di San Giovanni Crisostomo. All'inizio possiamo essere delusi: il modo di pensare e di parlare che hanno i Padri è spesso nettamente differente dal nostro di oggi. Ma c'è molto oro nei testi patristici, se solo abbiamo sufficiente pazienza e immaginazione per scoprirlo. 

Cristo, il cuore della Bibbia

Il terzo requisito per la nostra lettura delle Scritture è che essa sia cristocentrica. Se siamo d'accordo con la Conferenza di Mosca del 1976, che dice che "le Scritture costituiscono un insieme coerente," dove dobbiamo situare la loro completezza e coerenza? Nella persona di Cristo. Egli è il motivo unificante che passa attraverso l'intera Bibbia, dalla prima all'ultima frase. Gesù si incontra con noi in ogni pagina. Tutto ha un senso a causa sua. "Tutte le cose sussistono in lui" (Colossesi 1:17).

Molto dello studio delle Scritture da parte degli studiosi occidentali moderni ha adottato un approccio analitico, scomponendo ogni libro in quelle che vengono viste come le sue fonti originarie. I legami di connessione vengono sciolti, e la Bibbia è ridotta a una serie di unità isolate. Recentemente vi è stata una reazione a questo approccio, e i critici biblici in occidente hanno dato maggiore attenzione al modo in cui queste unità primarie sono state unite assieme. A ciò, come ortodossi, possiamo sicuramente essere favorevoli. Dobbiamo vedere l'unità delle Scritture tanto quanto la diversità, la coesione globale della fine così come le dispersioni degli inizi. L'Ortodossia preferisce per la maggior parte uno stile di ermeneutica "sintetico" a uno analitico, dato che vede la Bibbia come un insieme integrato, e Cristo, ovunque, come il suo legame d'unione.

Precisamente questo, come abbiamo appena visto, è l'effetto della lettura delle Scritture nel contesto del culto della Chiesa. Come è reso chiaro dalle letture dell'Annunciazione e del Sabato Santo, ovunque nell'Antico Testamento troviamo segnali e indicazioni stradali che fanno riferimento al mistero di Cristo e di Maria sua Madre. Interpretando l'Antico Testamento alla luce del Nuovo, e il Nuovo alla luce dell'Antico - come il lezionario della Chiesa ci incoraggia a fare - scopriamo come tutta la Scrittura trovi il suo punto di convergenza nel Salvatore.

L'Ortodossia fa un uso esteso di questo metodo "tipologico" di interpretazione, in cui i "tipi" di Cristo, i segni e i simboli della Sua opera, vanno scoperti attraverso tutto l'Antico Testamento. Per esempio Melchisedek, il re-sacerdote di Salem, che offrì pane e vino ad Abramo (Genesi 14:18), è considerato un "tipo" di Cristo non solo dai Padri ma anche nel Nuovo Testamento stesso (Ebrei 5:6; 7:1). La roccia da cui fluì acqua nel deserto del Sinai (Esodo 17:6; Numeri 30:7-11) è allo stesso modo un simbolo di Cristo (1 Corinzi 10:4). La tipologia spiega la scelta delle letture, non solo al Sabato Santo, ma in tutta la seconda parte della Quaresima. Perché le letture della Genesi nella sesta settimana sono dominate dalla figura di Giuseppe? Perché si legge dal libro di Giobbe nella Settimana Santa? Perché Giuseppe e Giobbe, che soffrirono entrambi da innocenti, prefigurano la sofferenza redentiva di Cristo sulla Croce.

Possiamo scoprire molte altre corrispondenze tra l'Antico e il Nuovo Testamento usando una concordanza biblica. Spesso il miglior commentario è semplicemente una concordanza, o un'edizione della Bibbia che abbia a margine una scelta ben fatta di riferimenti incrociati. Limitandosi a connettere, tutto si lega assieme. Nelle parole di Padre Alexander Schmemann, "Un cristiano è colui che, ovunque guarda, trova Cristo e si rallegra in Lui." Ciò è vero in particolare del cristiano biblico. Dovunque guarda, in ogni pagina, dappertutto trova Cristo. 

La Bibbia come lettura personale

Secondo San Marco il Monaco ("Marco l'Asceta", del quinto/sesto secolo): "Colui che è umile nei suoi pensieri e attivo nel lavoro spirituale, quando legge le Sacre Scritture, applicherà tutto a se stesso e non al suo prossimo." Dobbiamo guardare a tutte le Scritture per un'applicazione personale. La nostra domanda non è semplicemente "Che cosa significa?" ma "Che cosa significa per me?" Come insiste San Tikhon, Cristo stesso sta parlando a te. Le Scritture sono un dialogo diretto, intimo tra il Salvatore e me stesso - Cristo che si rivolge a me, e il mio cuore che risponde. Questo è il quarto criterio nella nostra lettura della Bibbia.

Devo vedere tutte le narrazioni delle Scritture come parte della mia storia personale. la descrizione della caduta di Adamo, allo stesso modo , è un resoconto di qualcosa che rientra nella mia stessa esperienza. Chi è Adamo? Il suo nome vuol dire semplicemente "uomo," "umano": Adamo sono io. E a me che Dio chiede, "Dove sei?" (Genesi 3:9). Noi spesso chiediamo "Dov'è Dio?" Ma la vera domanda è quella che Dio pone all'Adamo che è in ognuno di noi: "Dove sei tu?"

Chi è Caino, l'assassino del proprio fratello? Sono io. La sfida di Dio, "Dov'è Abele, tuo fratello?" (Genesi 4:9), è rivolta al Caino in ognuno di noi. La via a Dio passa per l'amore alle altre persone, è non c'è altra via. Rinnegando la mia sorella o il mio fratello, sostituisco l'immagine di Dio con il marchio di Caino, e nego la mia umanità essenziale.

La stessa applicazione personale è evidente negli offici quaresimali, e soprattutto nel Grande Canone di Sant'Andrea di Creta. "Io sono l'uomo caduto tra i briganti," diciamo (v. Luca 10:30) "Ero il tuo figlio più giovane, e ho sperperato le ricchezze che mi hai dato... e ora sono vuoto e affamato" (v. Luca 15:11-14). "Chi sono le pecore, e chi sono i capri?" erano soliti chiedere i Padri del Deserto d'Egitto (v. Matteo 25:31-46) "Le pecore sono note a Dio," rispondevano. "Quanto ai capri - significano me."

Ci sono tre passi da fare nella lettura delle Sacre Scritture. Per prima cosa, riflettiamo sul fatto che ciò che abbiamo nelle Scritture è storia sacra: la storia del mondo dalla Creazione, la storia del popolo eletto di Dio, la storia di Dio stesso incarnato in Palestina, la storia delle "grandi opere" (Atti 2:11) dopo Pentecoste. Non dobbiamo mai dimenticare che ciò che troviamo nella Bibbia non è un'ideologia, né una teoria filosofica, ma una fede storica.

Quindi, osserviamo la particolarità, la specificità di questa storia sacra. Nella Bibbia troviamo che Dio interviene in tempi specifici e in luoghi particolari, entrando in dialogo con esseri umani individuali. Vediamo davanti a noi le distinte chiamate fatte da Dio a ciascuna persona differente, ad Abramo, Mosè e Davide, a Rebecca e a Rut, a Isaia e ai profeti. Vediamo Dio che si incarna una sola volta, in un particolare angolo della terra, in un momento particolare e da una Madre particolare. Non dobbiamo considerare questa particolarità come uno scandalo, ma come una benedizione. L'amore divino è universale nel suo scopo, ma sempre personale nella sua espressione.

Questo senso di specificità della Bibbia è un elemento vitale nella "mente scritturale" ortodossa. Se amiamo davvero la Bibbia, ameremo le genealogie e i dettagli nella datazione e nella geografia. Uno dei migliori modi per ravvivare lo studio delle Scritture è quello di andare in pellegrinaggio in Terra Santa. Camminate dove ha camminato Cristo. Scendete presso il Mar Morto, salite sul monte delle Tentazioni, osservate le terre desolate, provate ciò che deve avere provato Cristo durante i suoi quaranta giorni di solitudine nel deserto. Bevete dal pozzo presso il quale Gesù parlò con la donna samaritana. Prendete una barca e uscite sul Mare di Galilea, chiedete ai pescatori di fermare il motore, e guardate in silenzio attraverso le acque. Andate di notte al Giardino del Getsemani, sedetevi al buio sotto gli antichi ulivi, e guardate attraverso la valle le luci della città. Gustate appieno il "sapore" caratteristico dell'ambientazione storica, e riportate quell'esperienza nella lettura quotidiana delle Scritture.

Dobbiamo quindi fare un terzo passo. Dopo avere vissuto nuovamente la storia biblica in tutta la sua particolarità, dobbiamo applicarla direttamente a noi stessi. Dobbiamo dire a noi stessi, "questi non sono solo luoghi distanti, eventi di un remoto passato. Appartengono al mio incontro con il Signore. Le storie includono me."

Il tradimento, per esempio, è parte della storia personale di ciascuno. Non abbiamo forse tradito tutti qualcuno in qualche momento della nostra vita, e non abbiamo conosciuto tutti che cosa significhi essere traditi? La memoria di questi momenti non ci lascia forse profonde e continue cicatrici sulla nostra psiche? Leggendo, pertanto, il racconto del tradimento di Cristo da parte di San Pietro, e della sua reintegrazione dopo la Risurrezione, possiamo vedere ciascuno di noi come un attore nella storia. Immaginando ciò che provarono sia Pietro che Cristo nel momento immediatamente successivo al tradimento, facciamo nostre le loro percezioni. Io sono Pietro; nella situazione del tradimento, posso anche essere Cristo? Riflettendo allo stesso modo sul processo di riconciliazione - vedendo come il Salvatore risorto, con un amore totalmente privo di sentimentalismo, reintegra dopo la sua caduta Pietro alla comunione, e vedendo come Pietro dal canto suo abbia il coraggio di accettare tale reintegrazione - chiediamoci: quanto simile a Cristo sono io, con coloro che mi hanno tradito? E, dopo i miei stessi tradimenti, quanto sono in grado di accettare il perdono degli altri: sono capace di perdonare me stesso?

Prendiamo, come un altro esempio, la "donna peccatrice," che versò il vaso d'olio sui piedi di Cristo (Luca 7:36-50), e che alcuni identificano con Santa Maria Maddalena, anche se questa non è l'interpretazione ortodossa consueta. Posso vederla rispecchiata in me stesso? Condivido la sua generosità, la sua spontaneità e la sua amorevole impulsività? "I suoi peccati, che sono molti, le sono perdonati, poiché molto ha amato." Oppure sono calcolatore, meschino, reticente, mai pronto a impegnarmi in alcunché di buono o di cattivo? Come dicono i Padri del Deserto, "Meglio qualcuno che ha peccato, se sa di avere peccato e si pente, piuttosto che una persona che non ha peccato, e pensa di essere giusta."

Un approccio personale di questo tipo significa che nel leggere la Bibbia noi non siamo semplicemente osservatori distaccati e obiettivi, che assorbono informazioni e prendono nota di fatti. La Bibbia non è meramente un'opera letteraria o una collezione di documenti storici, anche se ci si può certamente accostare ad essa a questo livello. Si tratta di qualcosa di molto più fondamentale, di un libro sacro, rivolto a credenti, da leggere con fede e amore. Non avremo un pieno profitto dalla lettura dei Vangeli se in noi non c'è amore per Cristo. "Il cuore parla al cuore:" io entro nella verità viva delle Scritture solo quando il mio cuore risponde con amore al cuore di Dio.

Leggendo le Scritture in questo modo - in obbedienza, come membri della Chiesa, trovando ovunque Cristo, e vedendo ogni cosa come parte della nostra storia personale - percepiremo qualcosa della forza e della guarigione che si trovano nella Bibbia. Eppure nel nostro viaggio biblico di esplorazione siamo sempre al principio. Siamo come persone che si lanciano in una piccola barca su un oceano senza limiti. Ma per quanto grande sia in viaggio, possiamo imbarcarci oggi, in questa stessa ora, in questo stesso momento.

Al culmine della sua crisi spirituale, mentre era in lotta con se stesso in un giardino, Sant'Agostino udì la voce di un bambino che diceva "Prendi e leggi, prendi e leggi." Egli prese la sua Bibbia e lesse, e ciò che lesse cambiò tutta la sua vita. Facciamo anche noi lo stesso: prendiamo e leggiamo.

"Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino" (Salmo 118 [119]:105).

 
113

Foto 113

 
113

Foto 113

 
"I fondamenti della concezione sociale" - VII. La proprietà

La Chiesa e i beni materiali

VII.1. Con il termine «proprietà» si intende la forma socialmente riconosciuta del rapporto degli uomini con i frutti del lavoro e con le risorse naturali. Fra i diritti riconosciuti a chi è proprietario vi sono il diritto di possesso e di uso, il diritto di amministrare e di ricevere un profitto, il diritto di alienare, sfruttare o eliminare oggetti di proprietà.
La Chiesa non definisce i diritti delle persone alla proprietà. Tuttavia il lato materiale della vita dell'uomo non rimane al di fuori della sua visuale. Esortando a cercare prima di tutto il «regno di Dio e la sua giustizia» (Mt 6,33), la Chiesa ricorda anche la necessità del «pane quotidiano» (Mt 6,11), ritenendo che ogni persona debba avere mezzi sufficienti per un'esistenza dignitosa. Nel contempo la Chiesa mette in guardia contro l'attaccamento eccessivo ai beni materiali, condannando coloro che si lasciano sopraffare «dalle preoccupazioni, dalla ricchezza e dai piaceri della vita» (Lc 8,14). Nella posizione della Chiesa ortodossa riguardo alla proprietà non c'è né un atteggiamento di scarsa considerazione dei bisogni materiali, né l'estremo opposto che enfatizza l'inclinazione degli uomini al conseguimento dei beni materiali come scopo e valore supremo dell'esistenza. La condizione patrimoniale dell'uomo di per sé non può essere considerata una prova di quanto egli sia gradito o meno a Dio.
Il rapporto del cristiano ortodosso con la proprietà deve fondarsi sul principio evangelico dell'amore verso il prossimo, espresso con le parole del Salvatore: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 13,34). Questo comandamento è la base della condotta morale dei cristiani. Per loro e, dal punto di vista della Chiesa, anche per gli altri uomini, questo comandamento deve essere un imperativo nelle relazioni interpersonali, comprese quelle di natura patrimoniale.
Secondo l'insegnamento della Chiesa, gli uomini ricevono tutti i beni terreni da Dio, al quale appartiene il diritto assoluto di possederli. La relatività del diritto di proprietà per l'uomo è indicata più volte dal Salvatore nelle parabole: si tratta o di una vigna, data in uso (Mc 12,1-9), o di talenti distribuiti tra gli uomini (Mt 25,14-30), o di un podere affidato in amministrazione temporanea (Lc 16,1-13). Esprimendo il pensiero proprio della Chiesa sulla sovranità assoluta di Dio, san Basilio Magno chiede: «Dimmi: quali cose ti appartengono? Da dove le hai tratte per immetterle nella vita?». Il rapporto peccaminoso con la proprietà, che si manifesta nella trascuratezza o nel rifiuto consapevole di questo principio spirituale, provoca divisione e alienazione tra gli uomini.

 

La ricchezza

VII.2. I beni materiali non possono rendere l'uomo felice. Il Signore Gesù Cristo ammonisce: «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché la vita dell'uomo non dipende dai suoi beni» (Lc 12,15). La corsa alla ricchezza si riflette in maniera perniciosa sullo stato spirituale dell'uomo ed è capace di portare a una totale degradazione della persona. L'apostolo Paolo testimonia che «coloro che vogliono arricchire, cadono nella tentazione, nel laccio e in molte bramosie insensate e funeste, che fanno affogare gli uomini in rovina e perdizione. L'attaccamento al denaro infatti è la radice di tutti i mali; per il suo sfrenato desiderio alcuni hanno deviato dalla fede e si sono da se stessi tormentati con molti dolori. Ma tu, uomo di Dio, fuggi queste cose» (1Tm 6,9-11). Nel dialogo con il giovane ricco il Signore disse: «Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi» (Mt 19,21). Quindi Cristo spiegò queste parole ai discepoli: «Difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli... è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli» (Mt 19,23-24). L'evangelista Marco precisa che nel regno di Dio è difficile entrare proprio per colui che ripone la sua fiducia non in Dio, ma nei beni materiali: «quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio» (Mc 10,23). Solo «chi confida nel Signore è come il monte Sion: non vacilla, è stabile per sempre» (Sal 125,1).

Eppure, anche un ricco si può salvare, perché «ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio» (Lc 18,27). Nella Sacra Scrittura non è contenuta la condanna della ricchezza come tale. Uomini agiati furono Abramo e i patriarchi veterotestamentari, il pio Giobbe, Nicodemo e Giuseppe d'Arimatea. Chi possiede un considerevole patrimonio non commette peccato se lo usa in conformità con la volontà di Dio, al quale appartiene tutto ciò che esiste, e secondo la legge dell'amore, poiché la gioia e la pienezza di vita non stanno nell'acquistare e nel possedere, ma nel donare e nel rinunciare. L'apostolo Paolo esorta a ricordarsi «delle parole del Signore Gesù, che disse: Vi è più gioia nel dare che nel ricevere!» (At 20,35). San Basilio Magno considera ladro colui che non dona una parte dei suoi beni in elemosina per aiutare il prossimo. Questa stessa idea sottolinea san Giovanni Crisostomo: «Non dare ai poveri una parte delle proprie ricchezze equivale a un furto». La Chiesa esorta il cristiano a considerare i beni come un dono di Dio, dato per essere usato per il bene proprio e del prossimo.

Nello stesso tempo la Sacra Scrittura riconosce il diritto dell'uomo alla proprietà e condanna l'attentato ad appropriarsene illecitamente. In due dei dieci comandamenti del decalogo si parla in maniera diretta di questo: «Non rubare... Non desiderare la casa del tuo prossimo. Non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo» (Es 20,15.17). Nel Nuovo Testamento tale atteggiamento verso la proprietà è stato mantenuto e ha assunto una giustificazione morale più profonda. Nel vangelo a questo proposito si dice che: «Il precetto... non rubare, non desiderare e qualsiasi altro comandamento, si riassume in queste parole: Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Rm 13,9).  

 

Le diverse forme di proprietà

VII.3. La Chiesa riconosce l'esistenza di molteplici forme di proprietà. Le forme di proprietà pubblica, societaria, privata e mista si sono variamente radicate in diversi paesi nel corso della storia. La Chiesa non dà preferenza ad alcuna di queste forme. Con ciascuna di esse sono possibili sia atti peccaminosi – furto, bramosia di denaro, ingiusta ripartizione dei frutti del lavoro – sia un uso giusto e moralmente giustificato dei beni materiali.

Un'importanza sempre maggiore acquista la proprietà intellettuale, che ha per oggetto le attività scientifiche e le invenzioni, le tecnologie informatiche, le opere d'arte e altre acquisizioni del pensiero creativo. La Chiesa approva il lavoro creativo volto al bene della società e condanna la violazione dei diritti d'autore contro la proprietà intellettuale.

In generale l'esproprio e la spartizione della proprietà con la violazione dei diritti dei suoi legittimi proprietari non possono essere approvati dalla Chiesa. Un'eccezione può essere l'esproprio della proprietà a norma di legge, determinato dagli interessi della maggior parte delle persone e accompagnato da un equo indennizzo. L'esperienza della storia nazionale dimostra che la violazione di questi principi provoca inevitabilmente sconvolgimenti sociali e sofferenze fra la popolazione.

Nella storia del cristianesimo la comunione dei beni e la rinuncia alla proprietà privata furono caratteristiche di molte comunità. Tale carattere dei rapporti patrimoniali facilitò il consolidamento dell'unità spirituale dei credenti e in molti casi fu economicamente efficace, come nel caso dei monasteri ortodossi. Tuttavia la rinuncia alla proprietà privata nella comunità dei primi apostoli (At 4,32) e più tardi nei monasteri cenobitici ebbe un carattere esclusivamente volontario e fu connessa con una scelta spirituale personale.  

 

Le proprietà della Chiesa

VII.4. Una forma particolare di proprietà è rappresentata dal patrimonio delle organizzazioni religiose. Essa viene acquisita attraverso modalità diverse, tuttavia la componente fondamentale della sua formazione è l'offerta spontanea da parte dei credenti. Secondo la sacra Scrittura, l'offerta è santa, cioè appartiene direttamente al Signore; colui che fa un'offerta, la offre a Dio, e non al sacerdote (Lv 27,30; Esd 8,28). L'offerta è un atto volontario, compiuto da credenti per scopi religiosi (Ne 10,32). L'offerta è destinata a sostentare non solo i servi della Chiesa, ma anche tutto il popolo di Dio (Fil 4,14-18). L'offerta, in quanto dedicata a Dio, è inviolabile, e chiunque la sottragga deve restituire più di quello che ha rubato (Lv 5,14-15). La donazione è annoverata tra i precetti fondamentali, dati all'uomo da Dio (Sir 7,30-34). In tal modo le donazioni sono un caso particolare di rapporti economico-sociali, e per questo non devono automaticamente essere assoggettate alle leggi che regolano le finanze e l'economia dello stato, e in particolare l'imposizione fiscale. La Chiesa dichiara che i redditi derivanti da un’attività di carattere imprenditoriale possono essere soggetti a tassazione, ma qualsiasi attentato alle donazioni dei credenti è un delitto di fronte agli uomini e di fronte a Dio.

 
113

Foto 113

 
I santi ortodossi dell’Estonia

All’inizio di dicembre, la Chiesa ortodossa estone del Patriarcato di Mosca ha glorificato i suoi santi con una nuova icona, che riserva molte sorprese sul tema del cosmopolitismo della Chiesa russa. Siamo lieti di presentare un altro ponte tra la Santa Rus’ e la Comunità Europea, inserendo l’icona con il suo articolo descrittivo in russo
 e in italiano nella sezione “Santi” dei documenti.

 
114

Foto 114

 
114

114

 
Suor Vassa Larina e padre Sergej Sveshnikov: un confonto sull’impurità rituale

L’impurità rituale

di suor Vassa Larina

2 luglio 2009

 

Che cosa è l’ “impurità rituale” e perché esiste? [1]

Quando sono entrata in un convento della Chiesa Ortodossa Russa all’Estero, in Francia, sono stata introdotta alle restrizioni imposte a una monaca nel suo periodo mestruale [mensile]. Anche se le era permesso di andare in chiesa a pregare, non doveva andare alla comunione, non poteva baciare le icone o toccare l’antidoro, non poteva aiutare a cuocere o a manipolare le prosfore, né poteva aiutare a pulire la chiesa; non poteva nemmeno accendere la lampada che pendeva davanti alle icone nella sua cella: l’ultima regola mi è stata spiegata quando ho notato una lampada spenta nell’angolo delle icone di un’altra sorella. Non ricordo che qualcuna abbia tentato di mettere in discussione né di giustificare tali restrizioni, presumevamo semplicemente che le mestruazioni fossero una forma di “impurità”, che dovessimo dovuto stare lontane dalle cose sante, per non contaminarle in qualche modo.

Oggi nella Chiesa ortodossa russa ci sono regole diverse basate sul concetto di “impurità rituale”, che variano da parrocchia a parrocchia, di solito a seconda del prete locale. La popolare Nastol’naja Kniga di S. Bulgakov indica a un sacerdote di non permettere alle donne mestruate di venire in chiesa. [2] In Russia, tuttavia, alle donne è generalmente permesso di venire in chiesa durante i periodi mestruali, ma non possono ricevere la santa comunione, baciare icone, reliquie o croci, o toccare la prosfora o l’antidoro, o bere acqua santa. [3] Nelle parrocchie al di fuori della Russia, per quanto ne so, le donne di solito si astengono soltanto dal ricevere la comunione.

Foto: Alexei Alexseenko, http://photo.orthodoxy.ru

Un articolo scritto da sua Santità il Patriarca Pavle di Serbia, dal titolo “Una donna può andare sempre in chiesa?” [4] è spesso citato come un parere moderato che permette alle donne mestruate di partecipare a tutto tranne la Comunione e che denuncia il concetto di “impurità rituale”. Eppure il Patriarca Pavle difende un’altra restrizione tradizionale che proibisce a una donna di entrare in una chiesa o di partecipare a qualsiasi sacramento per quaranta giorni dopo aver dato alla luce un bambino. [5] Questa restrizione, anche sulla base del concetto di “impurità rituale”, si osserva nelle parrocchie della ROCOR che conosco sia in Germania che negli Stati Uniti. Tuttavia, si possono trovare prove sui siti web del Patriarcato di Mosca che l’uso non è accolto in tutto il mondo ed è messo in discussione in alcune parrocchie dipendenti da Mosca. [6] Oggi, alla luce della teologia “femminista” [7] e delle reazioni tradizionaliste a questa teologia, [8] si è tentati di affrontare la questione dell’ “impurità rituale” in chiave politica o sociale. Infatti, le implicazioni quotidiane piuttosto degradanti delle suddette restrizioni possono essere pesanti per una donna abituata alla cultura socio-politica dell’Occidente. Tuttavia, la Chiesa ortodossa tradizionalmente non ha un ordine del giorno socio-politico, [9], cosa che rende un’argomentazione da questo punto di vista in gran parte irrilevante per la Chiesa. Inoltre, la preoccupazione che qualcosa possa essere “degradante” per una donna è estranea alla spiritualità ortodossa, che si concentra sull’umiltà: quando sperimentiamo inconvenienti, limitazioni, dolore, ecc, impariamo a riconoscere il nostro peccato e a crescere nella nostra fede e nella dipendenza dalla misericordia salvifica di Dio. Per questo vorrei prescindere dalle preoccupazioni egualitarie e richiamare l’attenzione sulle implicazioni teologiche e antropologiche dell’ “impurità rituale.” La nostra vita di chiesa non si preoccupa in definitiva di aderire a certe regole, leggere alcune preghiere, fare le prosternazioni adeguate, o anche dell’umiltà di per sé, ma si occupa del significato teologico e antropologico di tutte queste cose. Facendo queste cose, noi professiamo un certo significato, un certo dettame della nostra fede. Così oggi chiederò: Qual è il significato di astenersi dalla comunione durante le mestruazioni? Che cosa dice questo riguardo al corpo femminile? Qual è il significato di non mettere piede in chiesa dopo il parto di un bambino? Che cosa dichiara questo fatto riguardo al parto? E, cosa più importante, il concetto di “impurità rituale” è congruente con la nostra fede in Gesù Cristo? Da dove ha origine e che cosa significa per noi oggi? Diamo uno sguardo alle fonti bibliche, canoniche, e liturgiche nel tentativo di rispondere a queste domande. [10]

L’Antico Testamento

La prima prova biblica di restrizioni rituali per le donne durante le mestruazioni si trova nell’Antico Testamento, in Levitico 15:19-33. Secondo il Levitico, non solo la donna mestruata era “impuro”, ma qualsiasi persona che la toccava diventava allo stesso modo “impura” (Lev 15:24), con una sorta di impurità per contatto. Negli ultimi capitoli del Levitico (17-26, la “Legge di santità”), i rapporti sessuali con la propria moglie in questo momento erano severamente proibiti. Il parto, come le mestruazioni, era ritenuto fonte di profanazione e sottoponeva la donna che aveva partorito a restrizioni simili (Lev 12). Gli ebrei non erano certamente gli unici nel mondo antico a imporre tali norme. Anche i culti pagani avevano restrizioni sulla base di una preoccupazione per la “purezza rituale”: il ciclo mestruale era considerato profanatore e rendeva le sacerdotesse pagane incapaci di svolgere le loro funzioni di culto nei templi [11]; sacerdoti dovevano evitare le donne mestruate a tutti i costi per timore di contaminazione [12], la nascita di un bambino era ritenuta fonte di profanazione [13] Tuttavia gli ebrei erano un caso sui generis. Oltre alla loro singolare avversione per il sangue (Lev 15:1-18), [14] gli antichi ebrei avevano anche, riguardo ai pericoli del flusso di sangue femminile, una credenza che era cresciuta a poco a poco, ed era diventato ancora più forte nel giudaismo successivo [15]: Mishna , Tosefa e Talmud sono ancora più concisi rispetto alla Bibbia su questo argomento. [16]

Foto: Alexei Alexseenko, http://photo.orthodoxy.ru

Il Protovangelo di Giacomo e il Nuovo Testamento

Agli albori del Nuovo Testamento la tutta santa Vergine Maria stessa è soggetta alle esigenze della “purezza rituale.” Secondo il Protovangelo di Giacomo, un testo apocrifo del II secolo che ha ispirato molte delle feste mariane della Chiesa, la tutta santa Vergine vive nel tempio dall’età di due anni fino ai dodici anni, quando è promessa sposa a Giuseppe e inviata a risiedere nella sua casa “per non inquinare il santuario del Signore” (VIII. 2). [17]

Quando Gesù Cristo cominciò a predicare, un messaggio molto nuovo risuonò nei villaggi della Giudea - un messaggio che sfidava le profonde presunzioni della pietà farisaica e del mondo antico in generale. Egli annunciava che solo le cattive intenzioni che vengono dal nostro cuore ci contaminano (Mc 7:15ss). Il nostro Salvatore moneva così le categorie di “purezza” e “impurità” totalmente all’interno della sfera della coscienza [18] - nella sfera del libero arbitrio verso la virtù e il peccato - liberando i fedeli dall’antica paura della contaminazione attraverso fenomeni incontrollabili del mondo materiale. Egli stesso non esita a parlare con una donna samaritana, qualcosa che gli ebrei consideravano una profanazione su più livelli [19] Più vicino al nostro tema, il Signore non rimprovera l’emorroissa per avere toccato i suoi abiti, nella speranza di guarire: egli la guarisce e poi loda la sua fede (Mt 9, 20-22). Perché Cristo rivela la donna alla folla? San Giovanni Crisostomo risponde che il Signore “rivela la sua fede a tutti, in modo che altri siano incoraggiati a imitarla”. [20]

Anche l’apostolo Paolo abbandona pure un approccio tradizionale ebraico alla normativa del Vecchio Testamento in materia di “purezza” e “impurità”, consentendola solo nell’interesse della carità cristiana (Rm 14). È ben noto che Paolo generalmente preferisce la parola.

La Chiesa delle origini e i primi Padri

L’attitudine della Chiesa primitiva verso l’Antico Testamento non era semplice e non può essere completamente esposta nel corso di questo documento. Né il giudaismo né il cristianesimo erano identità chiaramente distinte sviluppate nei primi secoli: condividevano un approccio comune a certe cose [21] La Chiesa riconosceva chiaramente l’Antico Testamento come Scrittura, divinamente ispirata, mentre allo stesso tempo, fin dal Concilio degli Apostoli (Atti 15) prendeva le distanze dalle prescrizioni della legge mosaica. Mentre i Padri Apostolici, la prima generazione di scrittori della Chiesa dopo gli Apostoli, toccano a malapena le leggi in materia di “impurità rituale” mosaica, queste restrizioni sono ampiamente discusse un po’ più tardi, a partire dalla metà del II secolo. A quel punto è chiaro che la lettera della legge mosaica era diventato estranea al pensiero cristiano, dato che gli scrittori della Chiesa cercano di interpretarla simbolicamente. Metodio d’Olimpo (+ ca. 300), Giustino Martire (+ ca. 165) e Origene (+ ca. 253) interpretano le categorie levitiche di “purezza” e “impurità” allegoricamente, vale a dire, come simboli di virtù e di peccato [22]; insistono anche sul battesimo e sull’eucaristia come fonti sufficienti di “purificazione” per i cristiani. [23] Nel suo trattato Sui cibi ebraici, Metodio d’Olimpo scrive: “È chiaro che chi è stato una volta purificato attraverso la nuova nascita [il battesimo], non può più essere macchiato da ciò di cui si parla nella legge ... “[24] Allo stesso modo, Clemente d’Alessandria scrive che i coniugi non hanno più bisogno di fare il bagno dopo un rapporto sessuale, come previsto secondo la legge mosaica “perché”, insiste Clemente, “ attraverso il battesimo il Signore ha purificato i fedeli per tutti i rapporti coniugali”. [25]

Eppure l’atteggiamento apparentemente aperto di Clemente verso i rapporti sessuali coniugali in questo passaggio non è tipico degli scrittori ecclesiastici del momento, [26] neppure di Clemente stesso. [27] Era più caratteristico per questi scrittori vedere tutti i divieti della legge mosaica in modo puramente simbolico, ad eccezione di quelli riguardanti il ​​sesso e la sessualità. In realtà, gli scrittori della Chiesa primitiva avevano una tendenza a considerare ogni manifestazione della sessualità, tra cui le mestruazioni, rapporti coniugali, e il parto come “impura” e quindi incompatibile con la partecipazione alla vita liturgica della Chiesa. Le ragioni di questo sono molteplici. In un’epoca prima che l’insegnamento della Chiesa si cristallizzasse in un definito sistema dogmatico, c’erano molte idee, filosofie e eresie vere e proprie che fluttuavano nell’aria, alcune delle quali trovarono la loro strada nelle opere dei primi scrittori cristiani. Pionieri della teologia cristiana, come Tertulliano, Clemente, Origene, Dionigi di Alessandria e altri, uomini altamente qualificati del loro tempo, erano in parte sotto l’influenza dei sistemi filosofici e religiosi pre-cristiani che dominavano la cultura classica del loro tempo. Ad esempio, il cosiddetto “assioma stoico”, o la visione stoica che il rapporto sessuale sia giustificabile solo come un mezzo per la procreazione, [28] è ripetuto da Tertulliano, [29] Lattanzio, [30] e Clemente di Alessandria. [ 31] Il divieto mosaico in Levitico 18:19 dei rapporti sessuali durante le mestruazioni acquistò così una nuova motivazione: non solo era “profanazione”; se non poteva portare alla procreazione era un peccato anche all’interno del matrimonio. Notiamo in questo contesto che Cristo parla di rapporti sessuali solo una volta nel Vangelo, “... ei due saranno una carne sola” (Mt 9:5), senza menzionare la procreazione [32] Tertulliano, che abbracciò l’eresia ultra-ascetica del montanismo nei suoi ultimi anni, andava oltre ai più e considerava anche impossibile la preghiera dopo il rapporto sessuale. [33] Il celebre Origene fu notoriamente influenzato dal contemporaneo medio platonismo eclettico, con la sua caratteristica di disprezzo di tutte le cose fisiche, e anzi del mondo materiale in generale. La sua dottrina ascetica e morale, anche se è in primo luogo biblica, si può trovare anche nello stoicismo, nel platonismo, e, in misura minore, nell’aristotelismo. [34] Non sorprende, quindi, che Origene veda le mestruazioni come “impure” in sé e per sé. [35] Egli è anche il primo scrittore cristiano ad accettare la concezione veterotestamentaria in Lev 12 del parto come qualcosa di “impuro”. [36] È forse significativo che i teologi citati vengano dall’Egitto, dove la spiritualità giudaica conviveva pacificamente con lo sviluppo di una teologia cristiana: la popolazione ebraica, in costante diminuzione a partire dall’inizio del II secolo nella città capitale di Alessandria, esercitò un’influenza spesso impercettibile ma forte sui cristiani locali, in gran parte essi stessi ebrei convertiti. [37]

La Didaskalia siriaca

La situazione era diversa nella capitale siriana di Antiochia, dove una forte presenza ebraica rappresentava una minaccia tangibile per l’identità cristiana. [38] La Didaskalia siriaca, testimonianza del III secolo delle polemiche cristiane contro le tradizioni giudaiche, vieta ai cristiani di osservare le leggi del Levitico, incluse quelle riguardanti le mestruazioni. L’autore ammonisce le donne che si astengono dalla preghiera, dalle letture bibliche e dall’eucaristia per sette giorni durante le mestruazioni: “Se pensi, o donna, di essere priva dello Spirito Santo durante i sette giorni del tuo ciclo mestruale, allora se muori in quel periodo, te ne andrai da questa vita vuota e senza speranza.” La Didaskalia continua a garantire alla donna la presenza in lei dello Spirito Santo, che le permette di partecipare alla preghiera, alle letture e all’eucaristia: Ora pensa e riconosci che la preghiera è stata esaudita per mezzo dello Spirito Santo, l’eucaristia è ricevuta e consacrata per mezzo dello Spirito Santo, le Scritture sono parole dello Spirito Santo e sono sante esse stesse. Pertanto, se lo Spirito Santo è dentro di te, perché isoli la tua anima e non ti avvicini alle opere dello Spirito Santo? [39] Essa istruisce gli altri membri della comunità come segue: “...non si deve separare quelle che hanno il loro periodo, perché anche la donna emorroissa non fu rimproverata quando aveva toccato il bordo della veste del nostro Salvatore; fu invece ritenuta degna di ricevere il perdono di tutti i suoi peccati”. [40] È interessante notare che questo testo ammonisce le donne mestruate di ricevere la Comunione, e impone il suo ammonimento con l’esempio della donna con il flusso di sangue in Mt 9:20-22.

Il Concilio di Gangra

Circa un secolo più tardi, verso la metà del IV secolo, troviamo prove canoniche contro il concetto di “impurità rituale” tra la legislazione del Consiglio locale convocato intorno al 341 [41] in Gangra (105 km a nord-est di Ankara), sulla costa settentrionale dell’Asia Minore, che ha condannato l’ascetismo estremo dei seguaci di Eustazio di Sebaste (+dopo il 377). [42] I monaci eustaziani, ispirati da insegnamenti dualisti e spiritualisti diffusi in Siria e in Asia Minore in quel momento, denigravano il matrimonio e il clero sposato. Contro di loro il primo Canone del Concilio dice: “Se qualcuno denigra il matrimonio, o detesta o scredita una donna che dorme con il marito nonostante il fatto che lei è fedele e riverente, come se lei non poteva entrare nel regno, sia anatema”. [43 ] Gli eustaziani rifiutavano di ricevere l’eucaristia dal clero sposato per una preoccupazione per “la purezza rituale,” [44] una pratica altrettanto condannata dal Concilio, nel suo quarto canone: “Se qualcuno discrimina un presbitero sposato, dicendo che egli non deve partecipare all’offerta quando il presbitero sta conducendo la Liturgia, sia anatema”. [45]

È interessante notare che l’eustazianismo era un movimento egualitario, che promuoveva un livellamento completo dei sessi. [46] Le donne seguaci di Eustazio erano quindi invitate a tagliarsi i capelli e a vestirsi come gli uomini per superare ogni parvenza di femminilità, che, come tutti gli aspetti della sessualità umana , era considerata “profana.” Il Concilio condanna questa pratica nel suo canone 13: “Se per un presunto esercizio ascetico una donna cambia aspetto, e invece del consueto e abituale abbigliamento femminile e consuetudine, indossa abbigliamento maschile, lasciarla essere anatema.” [47] Nel respingere il monachesimo eustaziano, la Chiesa ha respinto la visione della sessualità come “profana”, difendendo sia la santità del matrimonio e del fenomeno creato da Dio chiamato donna.

Foto: Alexei Alexseenko, http://photo.orthodoxy.ru

I canoni dei Padri egiziani

Alla luce di questi canoni antichi pienamente ortodossi, come può la Chiesa avere oggi canoni in pieno vigore che sostengono in modo inequivocabile il concetto di “impurità rituale”? [48] Come indicato in precedenza, la letteratura della Chiesa, compresi i testi canonici, non si è concretizzata nel vuoto, ma all’interno della realtà socio-culturale, storica del mondo antico, che credeva molto nella “purezza rituale” e la esigeva. [49] Il primo canone che limita le donne in stato di “impurità” è il Canone 2 di Dionigi di Alessandria (+ 264), scritto nel 262: “Per quanto riguarda le donne mestruate, se dovessero entrare nel tempio di Dio mentre sono in quello stato, penso che sia superfluo persino porre la domanda. Credo, infatti, che nemmeno loro, essendo fedeli e pie, oserebbero mentre sono in questo stato avvicinarsi alla sacra mensa o toccare il corpo e il sangue di Cristo. Anche la donna con un flusso di dodici anni non volle venire in effettivo contatto con lui, ma solo con il bordo della sua veste, per essere curata. Non vi sono obiezioni alla preghiera, non importa in quali condizioni sia, o al ricordo del Signore in qualunque momento e in qualunque stato, o alle petizioni per ricevere assistenza, ma se non è del tutto pura, sia nell’anima che nel corpo, non le deve essere permesso di venire al Santo dei Santi”. [50]

Si noti che Dionisio, come la Didaskalia siriaca, si riferisce alla donna con il flusso di sangue in Mt 9:20-22, ma viene a concludere esattamente l’opposto: che una donna non può ricevere la comunione. È stato suggerito che Dionisio in realtà vietasse alle donne di entrare nel santuario (‘altare’) e non nella Chiesa in sé. [51] Questa ipotesi non solo contraddice il testo del canone citato; presume anche erroneamente che i laici un tempo ricevessero la comunione nel santuario. Recenti studi liturgici hanno scartato l’idea che i laici abbiano mai ricevuto i misteri nel santuario [52] Così Dionisio voleva dire esattamente quello che ha scritto, e precisamente come molte generazioni di cristiani orientali lo hanno capito [53]: Una donna mestruata non deve entrare nel “tempio di Dio”, perché “non è del tutto pura sia nell’anima che nel corpo.” Ci si chiede se questo suggerisca che tutti gli altri cristiani siano del tutto “puri”, o katharoi. Speriamo di no, poiché la Chiesa ha denunciato “coloro che si dicono katharoi” o “i puri,” un’antica setta dei novaziani, al primo Concilio Ecumenico di Nicea nel 325 d.C. [54] I commentatori ortodossi del passato e del presente hanno anche spiegato il canone di Dionisio come una norma in qualche modo collegata alla preoccupazione per la generazione dei figli: Zonaras, commentatore del XII secolo (post-1159 d.C.), pur respingendo il concetto di “impurità rituale”, giunge alla conclusione sconcertante che la vera ragione di tali restrizioni contro le donne è quella di “impedire agli uomini di dormire con loro... in modo da permettere la generazione dei bambini negli altri tempi”. [55] Così, le donne sono stigmatizzate come “impure”, bandite dalla chiesa e dalla Santa Comunione per impedire agli uomini di dormire con loro? Lasciando da parte l’argomentazione “sesso-solo-per-procreazione”, ciò solleva alcune altre questioni più ovvie: gli uomini in qualche modo avrebbero più probabilità di andare a letto con una donna che è andata in chiesa e ha ricevuto i sacramenti? Perché, allora, la donna deve astenersi dalla comunione? Alcuni sacerdoti in Russia offrono un’altra spiegazione: le donne sono troppo stanche in questo stato per ascoltare con attenzione le preghiere della liturgia e quindi non possono prepararsi adeguatamente per la santa comunione [56] Lo stesso ragionamento si propone alle donne che hanno partorito: hanno bisogno di riposare per quaranta giorni. [57] Così dovrebbero essere esclusi dalla comunione tutti gli uomini stanchi, malati, anziani, o altrimenti deboli? Che dire dei non udenti? Sia quel che sia, ci sono diversi altri testi canonici che limitano le donne come “impure”: i Canoni 6-7 di Timoteo di Alessandria (381 d.C.), che estende la limitazione al battesimo [58] e il Canone 18 dei cosiddetti Canoni di Ippolito, per quanto riguarda le donne che hanno partorito e le levatrici. [59] Entrambi questi canoni, come il Canone 2 di Dionisio, sono in particolare di provenienza egiziana.

San Gregorio Magno

Le cose non erano molto diverse in Occidente, dove la pratica della Chiesa in generale ha visto le donne mestruate come “impure” fino alla fine dei secoli VI/VII. [60] In questo momento san Gregorio Magno, Papa di Roma (590-604 annuncio ), il Padre della Chiesa a cui la tradizione attribuisce (erroneamente) la composizione della Liturgia dei Doni Presantificati, ha espresso un parere diverso sulla questione. Nel 601, sant’Agostino di Canterbury, “l’apostolo dell’Inghilterra” (+604) scrisse a san Gregorio e gli chiese se alle donne mestruate dovrebbe essere permesso di andare in chiesa e ricevere la comunione. Citerò per esteso la risposta di san Gregorio:

A una donna non dovrebbe essere vietato di andare in chiesa. Dopo tutto, lei soffre queste cose involontariamente. Non può essere biasimata per questa materia superflua che la natura espelle... Inoltre, non le deve essere proibito di ricevere la santa comunione in questo momento. Tuttavia, se una donna non ha il coraggio di comunicarsi, per grande trepidazione, dovrebbe essere lodata. Ma se si comunica non dovrebbe essere giudicata. Ci sono persone pie che vedono il peccato, anche là dove non c’è nessun peccato. Ora si fa spesso in modo innocente ciò che proviene da un peccato: quando proviamo fame, questo si verifica innocentemente. Eppure il fatto che noi sperimentiamo la fame è colpa del primo uomo. Il periodo mestruale non è un peccato, è, di fatto, un processo puramente naturale. Ma il fatto che la natura in questo modo è turbata, che appare macchiata anche contro la volontà umana - questo è il risultato di un peccato... Quindi, se una pia donna riflette su queste cose e desidera non avvicinarsi alla comunione, è da lodare. Ma ancora una volta, se vuole vivere religiosamente e ricevere la comunione per amore, non si dovrebbe fermarla. [61]

Nel primo medioevo la politica tracciata da san Gregorio cadde in disuso e le donne mestruate erano furono escluse dalla comunione e spesso fu loro indicato di stare davanti all’ingresso della chiesa. [62] Queste pratiche erano ancora comuni in Occidente fino al XVII secolo. [63]

“Impurità rituale” in Russia

Per quanto riguarda la storia di tali pratiche in Russia, il concetto di “impurità rituale” era noto agli slavi pagani molto prima della loro cristianizzazione. Gli slavi pagani, come gli antichi pagani in generale, ritenevano che ogni manifestazione della sessualità portasse profanazione rituale. [64]

Questa convinzione è rimasta sostanzialmente invariata nell’antica Rus’ dopo il suo battesimo. La Chiesa russa ha norme particolarmente rigorose in materia di “impurità” femminile. Nell’“Inchiesta di Kyrik” del XII secolo, il vescovo Nifont di Novgorod (1130-1156 d.C.) spiega che se a una donna capita di dare alla luce un bambino all’interno di una chiesa, la chiesa deve essere sigillata per tre giorni, poi ri-consacrata con una speciale preghiera. [65] Perfino la moglie dello tsar, la tsaritsa, partoriva al di fuori della sua abitazione, nel bagno o “myl’nja” (banja) in modo da non contaminare un edificio abitato. Dopo che il bambino era nato, nessuno poteva entrare o uscire dal bagno fino a quando il prete era arrivato a leggere la preghiera di “purificazione” dal Trebnik. Solo dopo che questa preghiera era stato letta il padre poteva entrare e vedere suo figlio. [66] Se il periodo di una donna iniziava quando costei era in piedi in chiesa, doveva uscire immediatamente. In caso contrario, incorreva in una penitenza di sei mesi di digiuno, con cinquanta prosternazioni al giorno. [67] Anche quando le donne non erano in uno stato di “impurità”, non ricevevano la comunione alle porte “regali” con i laici di sesso maschile, ma separatamente, alle porte settentrionali. [68]

Le preghiere del Trebnik

La preghiera speciale del Trebnik o Libro delle benedizioni della Chiesa ortodossa russa, letta ancora oggi al primo giorno dopo la nascita di un figlio, chiede a Dio di “purificare la madre da ogni contaminazione” (ot skverny ochisti) e continua : “... e perdona la tua serva [nome della madre] e tutta la casa in cui il bambino è nato, e tutti coloro che l’hanno toccata, e tutti coloro che si trovano qui ...” [69] Ci si potrebbe chiedere, perché dobbiamo chiedere perdono per tutta la casa, per la madre, e per tutti quelli “che l’hanno toccata” (prikosnuvshimsja ej)? Ebbene, so che le leggi del Levitico contenevano il concetto di impurità per contatto. Quindi so perché i fedeli dell’Antico Testamento avrebbero considerato un peccato toccare gli “impuri.” E so che i pagani temevano il flusso di sangue, sia al momento del parto sia nelle mestruazioni, in quanto credevano che attirasse i demoni. Tuttavia, non posso dirvi perché i fedeli chiedano perdono per avere toccato o per essere una donna che ha dato alla luce un figlio, perché non lo so. Un altro gruppo di preghiere viene letto quaranta giorni dopo, quando alla madre è permesso di venire in chiesa per il rito dell’“ingresso in chiesa” (votserkovlenie). In questa occasione il sacerdote prega per la madre come segue:

Purificala da ogni peccato e ogni contaminazione (ot vsjakija skverny) ... che possa essere degna di partecipare senza condanna  ai santi misteri ... Lavala dalla contaminazione corporale (omyj eja skvernu telesnuju) e dalla contaminazione spirituale (i skvernu dushevnuju) al completamento dei quaranta giorni, facendola degna della comunione del tuo prezioso corpo e sangue... [70]

Oggi si dice spesso che una donna rimane fuori dalla chiesa per quaranta giorni dopo il parto a causa della stanchezza fisica. Tuttavia, il testo citato non parla della sua capacità di partecipare alla vita liturgica, ma della sua dignità. La nascita (non concepimento) del suo bambino, secondo queste preghiere, ha portato in lei una contaminazione (skverna) fisica e spirituale. Ciò è simile al ragionamento di Dionigi di Alessandria sulle mestruazioni: rende una donna “non del tutto pura sia nell’anima che nel corpo.”

Recenti sviluppi in altre Chiese ortodosse

Non sorprende che alcune Chiese ortodosse si stiano già muovendo per modificare o rimuovere testi eucologici basati su concetti dogmaticamente indifendibili del parto, del matrimonio e dell’“impurità”. Cito la decisione del Santo Sinodo di Antiochia che si è tenuto in Siria il 26 maggio 1997 sotto la guida di sua Beatitudine il Patriarca Ignazio IV: “Si è deciso di dare al Patriarca l’autorizzazione di modificare i testi del piccolo eucologio circa il matrimonio e la sua sacralità; le preghiere connesse con le donne che partoriscono ed entrano in chiesa per la prima volta, e i testi connessi con il servizio del funerale”. [71]

Una conferenza teologica convocata a Creta nel 2000 è giunta a conclusioni analoghe: i teologi dovrebbero... scrivere spiegazioni semplici e appropriate del servizio dell’ingresso in chiesa e adattare il linguaggio del rito stesso per riflettere la teologia della Chiesa. Questo sarebbe utile per gli uomini e le donne che hanno bisogno di capire il vero significato del rito: che esso esiste come atto di offerta e di benedizione per la nascita di un bambino, e che deve essere eseguito non appena la madre è pronta a riprendere la normale attività fuori dalla sua casa... Esortiamo la Chiesa a rassicurare le donne che sono invitate a ricevere la Santa Comunione a ogni liturgia, quando sono preparate spiritualmente e sacramentalmente, indipendentemente dal tempo del mese in cui si possono trovare. [72]

Uno studio precedente della Chiesa ortodossa in America ha anche offerto una nuova prospettiva ortodossa dell’“impurità rituale”: “...le idee che le donne nei loro periodi mestruali non devono ricevere la santa comunione o baciare la croce e le icone, o cuocere il pane per l’eucaristia, o anche entrare nella navata della chiesa, per non parlare della zona dell’altare, sono idee e pratiche moralmente e dogmaticamente indifendibili secondo un severo cristianesimo ortodosso [...] San Giovanni Crisostomo condanna coloro che diffondono tale attitudine come persone indegno della fede cristiana. Egli li chiama superstiziosi e sostenitori di miti”. [73]

Conclusione

Concludo brevemente, dal momento che i testi hanno parlato da se stessi. Uno sguardo da vicino alle origini e al carattere del concetto di “impurità rituale” rivela un fenomeno piuttosto sconcertante, fondamentalmente non cristiano nascosto sotto le spoglie della pietà ortodossa. Indipendentemente dal fatto che il concetto sia entrato nella pratica della Chiesa sotto influenze dirette giudaiche e/o pagane, non trova alcuna giustificazione nell’antropologia e nella soteriologia cristiana. I cristiani ortodossi, maschi e femmine, sono stati purificati nelle acque del battesimo, sono stati sepolti e sono risorti con Cristo, che si è fatto nostra carne e nostra umanità, ha calpestato la morte con la morte, e ci ha liberati dalla paura. Eppure abbiamo mantenuto una pratica che riflette le paure pagane e vetero-testamentarie del mondo materiale. È per questo che la fede nell’“impurità rituale” non è in primo luogo una questione sociale, ne in primo luogo una questione di disprezzo delle donne. Si tratta piuttosto di una questione di disprezzo dell’Incarnazione del nostro Signore Gesù Cristo e delle sue conseguenze salvifiche.

Note

[1] Articolo apparso in 52:3-4 St Vladimir’s Theological Quarterly (2008) 275-92.

[2] Nastol’naja kniga svjashchenno-tserkovnosluzhitelja (Khar’kov 1913), 1144

[3] Cfr. le domande-risposte di padre Maxim Kozlov sul sito web della chiesa di santa Tatiana a Mosca: www.st-tatiana.ru/index.html?did=389

(15 gennaio 2005). Cfr. A. Klutschewsky, “Frauenrollen und Frauenrechte in der Russischen Orthodoxen Kirche,” Kanon 17 (2005) 140-209.

[4] Dapprima pubblicato in russo e tedesco nel trimestrale della Diocesi della ROCOR di Berlino e Germania: “Mozhet li zhenshina vsegda poseschat’ khram?” Vestnik Germanskoj Eparkhii 2 (2002) 24-26 e poi on-line: http://www.rocor.de/Vestnik/20022/.

[5] Questa restrizione ufficialmente viene dal Trebnik o “Libro delle benedizioni” della Chiesa ortodossa russa. Si veda la traduzione inglese: Book of Needs of the Holy Orthodox Church, trad. di G. Shann, (Londra 1894), 4-8.

[6] Cfr. il sito delle parrocchie del Patriarcato di Mosca negli Stati Uniti: www.russianchurchusa.org/SNCathedral/forum/D.asp?n=1097, e  anche www.ortho-rus.ru/cgi-bin/ns.

[7] Cfr. la conclusione della consultazione inter-ortodossa sul ruolo della donna nella Chiesa ortodossa e la questione dell’ordinazione delle donne (Rodi, Grecia 1988).

[8] Ad esempio, K. Anstall, “Male and Female He Created Them”: An Examination of the Mystery of Human Gender in St. Maximos the Confessor Canadian Orthodox Seminary Studies in Gender and Human Sexuality 2 (Dewdney 1995), esp . 24-25.

[9] Cfr.. G. Mantzaridis, Soziologie des Christentums (Berlino 1981), 129ff; id., Grundlinien Christlicher Ethik (St. Ottilien 1998), 73.

[10] Il seguente eccellente studio sulle fonti storiche e contemporanee canoniche riguardanti l’“im/purità rituale” è sfuggito alla mia attenzione quando ho scritto questo articolo: E. Synek, “Wer aber nicht völlig rein ist an Seele und Leib...” Reinheitstabus im Orthodoxen Kirchenrecht, Kanon Sonderheft 1, (München-Egling a. d. Paar 2006).

[11] E. Fehrle, Die kultische Keuschheit im Altertum in religionsgeschichtliche Versuche und Vorarbeiten 6 (Gießen 1910), 95.

[12] Ibid., 29.

[13] Ibid., 37.

[14] Cfr.. R. Taft, “Donne in chiesa a Bisanzio: dove, quando - e perché?” Dumbarton Oaks Papers 52 (1998) 47.

[15] I. Be’er, “Blood Discharge: On Female Im/Purity in the Priestly Code and in Biblical Literature,” in A. Brenner (a cura di), A Feminist Companion from Exodus to Deuteronomy (Sheffield 1994), 152-164.

[16] J. Neusner, The Idea of Purity in Ancient Judaism (Leida 1973).

[17] M. James, The Apocryphal New Testament (Oxford 1926), 42. Cf. Taft, “Women” 47.

[18] D. Wendebourg, “Die alttestamentli chen Reinheitsgesetze in der Kirche Fruhen,” Zeitschrift für Kirchengeschichte 95/2 (1984) 149-170.

[19] Cfr.. “Samariter,” Pauly-Wissowa II, 1, 2108.

[20] In Matthaeum Homil. XXXI al. XXXII, PG 57, col. 371. 5 “santo” al posto della parola “puro” per esprimere la vicinanza di un cristiano a Dio, evitando così i preconcetti vetero-testamentari (Rm 1, 7, 8: 27; 1 Cor 6: 1, 7: 14; 2 Cor 1: 1 ecc)

[21] E. Synek, “Zur Rezeption Alttestamentlicher Reinheitsvorschriften ins Orthodoxe Kirchenrecht,” Kanon 16 (2001) 29.

[22] Cfr. i riferimenti a Wendebourg, “Reinheitsgesetze” 153-155.

[23] Justin, Dialog. 13, Origene, Contr. Cels. VIII 29.

[24] V, 3. Cf. Wendebourg, “Reinheitsgesetze” 154.

[25] Stromata III / XII 82, 6.6

[26] Con la notevole eccezione di sant’Ireneo, che non vedeva la sessualità come risultato della caduta. Vedi Adv. Haer. 3. 22. 4. Cf. J. Behr “Matrimonio e ascesi,”, contributo non pubblicato alla V Conferenza Teologica Internazionale della Chiesa ortodossa russa (Mosca novembre 2007), 7.

[27] J. Behr, Ascetismo e antropologia in Ireneo e Clemente (Oxford 2000), 171-184.

[28] S. Stelzenberger, Die Beziehungen der frühchristlichen Sittenlehre zur Ethik der Stoa. Eine moralgeschichtliche Studie (München 1933), 405ss.

[29] De monogamia VII 7, 9 (CCL 2, 1238, 48ff).

[30] Div. Institutiones VI 23 (CSEL 567, 4 ss).

[31] Paed. II / X 92, 1s (SC 108, 176F).

[32] Cfr. Behr “Matrimonio e ascesi”, 7.

[33] De exhortatione castitatis X 2-4 (CCL 15/2, 1029, 13FF). Cf. Wendebourg, “Reinheitsgesetze” 159.7

[34] Innumerevoli studi sono stati scritti sul rapporto di Origene con le correnti filosofiche del suo tempo. Per un riepilogo degli studi recenti sul tema si veda D.I. Rankin, From Clement to Origen. The Social and Historical Context of the Church Fathers, (Aldershot-Burlington 2006), 113-140.

[35] Cat. in Ep. ad Cor. XXXIV 124: C. Jenkins (a cura di), “Origen on 1 Corinthians,” Journal of Theological Studies 9 (1908) 502, 28-30.

[36] Hom. in Lev. VIII 3f (GCS 29, 397, 12-15).

[37] Cfr. LW Barnard, “The Background of Early Egyptian Christianity,” Church Quarterly Rev. 164 (1963) 434; anche M. Grant, The Jews in the Roman World (London 1953), 117, 265. Cf. references in Wendebourg, “Reinheitsgesetze” 167.

[38] Cfr. M. Simon, Recherches d’Histoire giudeo-Chrétenne (Paris 1962), 140ff., E M. Grant, “ Jewish Christianity at Antioch in the Second Century,” Judéo-Christianisme (Paris 1972) 97-108. Cf. references in Wendebourg, “Reinheitsgesetze” 167.8

[39] Didaskalia XXVI. H. Achelis-J. Fleming (a cura di), Die Quellen des ältesten orientalischen Kirchenrechts 2 (Leipzig 1904), 139.

[40] Ibid. 143.

[41] Per la data vedi: T. Tenšek, L’ascetismo nel Concilio di Gangra: Eustazio di Sebaste nell’ambiente ascetico siriaco dell’Asia Minore Nel IV ° Secolo, Excerpta ex dissertatione annuncio Doctoratum in Facultate Theologiae Pontificiae Universitatis Gregorianae, (Roma 1991), 23-24.

[42] J. Gribomont, “Le monachisme au IVe s. en Asie Mineure: de Gangres au messalianisme,” Studia Patristica 2 (Berlin 1957), 400-415.

[43] P. Joannou, Fonti. Discipline générale antique (IVe-IXes.), Fasc. IX, (Grottaferrata-Roma 1962), t. I, 2, 89. Trad. inglese in The Rudder (Pedalion), trad. di D. Cummings (Chicago 1957), 523.

[44] Cfr. Tenšek, L’ascetismo 17-28,9

[45] Joannou, Discipline 91, The Rudder 524.

[46] Tenšek, L’ascetismo 28.

[47] Joannou, Discipline 94; The Rudder 527.

[48] Sul successivo sviluppo a Bisanzio vedi P. Viscuso, “Purity and Sexual Defilement in Late Byzantine Theology,” Orientalia Christiana Periodica 57 (1991) 399-408.

[49] Cfr. H. Hunger, “Christliches und Nichtchristliches im byzantinischen Eherecht,” Österreichisches Archiv für Kirchenrecht 3 (1967) 305-325. 10

[50] C.L. Feltoe (a cura di), The Letters and Other Remains of Dionysius of Alexandria (Cambridge 1904), 102-103. Per la data e l’autenticità vedi P. Joannou, Discipline générale antique (IVe-IXes.) 1-2 (Grottaferratta-Rom 1962), 2, 12. Traduzione adattata da The Rudder 718.

[51] Patriarca Pavle, “Mozhet li zhenshina” 24.

[52] R. F. Taft, The Communion, Thanksgiving, and Concluding Rites (Rome 2008), 205-207 (in corso di stampa).

[53] Cfr. il commento di Teodoro Balsamon (ca. 1130/40-post 1195) su questo canone: In Epist. S. Dionysii Alexandrini ad Basilidem episcopum, can. 2, PG 138: 465C-468a.

[54] Can. 8, Rallis-Potlis II, 133.

[55] Traduzione inglese in The Rudder 719. Zonaras è ripetuto parola per parola dal Patriarca Pavle, “Mozhet li zhenshina” 25,11

[56] Klutschewsky, “Frauenrollen” 174.

[57] Cfr. le domande-risposte di p. Maxim Kozlov sul sito web della Chiesa di santa Tatiana a Mosca: www.st-tatiana.ru/index.html?did=389.

[58] CPG 244; Joannou, Discipline II, 243-244, 264.

[59] W. Riedel, Die Kirchenrechtsquellen des Patriarchats Alexandrien (Leipzig 1900), 209. Vedi traduzione inglese in P. Bradshaw (a cura di), The Canons of Hippolytus, English trans. di C. Bebawi (Bramcote 1987), 20.

[60] P. Browe, Beiträge zur Sexualethik des Mittelalters, Studien zur Breslauer historischen Theologie XXIII (Breslau 1932). Sullo sviluppo del concetto di “im/purità rituale” in Occidente in relazione al celibato sacerdotale vedi H. Brodersen, Der Spender der Kommunion im Altertum und Mittelalter. Ein Beitrag zur Geschichte der Frömmigkeitshaltung, UMI Dissertation Services, (Ann Arbor 1994), 23-25, 132,12

[61] PL 77, 1183. Sulla autenticità vedere Browe, Beiträge 10, riferimento 67.

[62] Sul dibattito in Occidente se le donne mestruate potevano partecipare alla vita liturgica si veda: J. Flandrin, Un Temps pour embrasser: Aux origines de la morale sexuelle occidentale (VIE-XIe s.) (Parigi 1983), 11, 73-82.

[63] Ibid., 14.

[64] E. Levin, Sex and Society in the World of the Orthodox Slavs 900-1700 (Ithaca-London 1989), 46.

[65] Voprosy Kirika, in Russkaja Istoricheskaja Biblioteka VI (San Pietroburgo 1908), 34, art. 46. 13

[66] I. Zabelin, Domashnij byt russkikh tsarej v XVI I XVII stoletijakh (Mosca 2000), vol. II, 2-3.

[67] Trebnik (Kiev 1606), ff. 674v-675R. Citato da Levin, Sex and Society 170.

[68] B. Uspenskij, Tsar’ i Patriarkh (Mosca 1998), 145-146, note 3 e 5.

[69] “Molitva v pervyj den’, po vnegda roditi zhene otrocha,” Trebnik (Mosca 1906), 4v-5v.

[70] “Molitvy zhene rodil’nice po 40-ti dnekh”, ibid., 8 -9,14

[71] Synek, “Wer aber nicht,” 152.

[72] Eadem, 148.

[73] Dipartimento di Educazione Religiosa della Chiesa Ortodossa in America (a cura di), Women and Men in the Church. A Study on the Community of Women and Men in the Church (Syosset, New York 1980), 42-43.

 

Sull’“impurità rituale”: In risposta a suor Vassa (Larina)

Padre Sergei Sveshnikov

6 luglio 2009

 

Di recente ho letto un interessante articolo della dr. suor Vassa (Larina), riguardante la questione dell’impurità rituale nella Chiesa ortodossa. [i] Questo argomento è estremamente importante sia perché le funzioni corporee che danno origine a questo problema sono state con noi presumibilmente fin dalla caduta di Adamo ed Eva, sia perché non è probabile che se ne vadano via presto, tranne nel caso di un imminente parusia. Vale a dire, suor Vassa esplora le attitudini della Chiesa verso le mestruazioni, anche se il problema dell’impurità rituale è molto più ampio di questo, e ritornerò su questo punto.

In una sorta di decostruzione della tradizione ortodossa riguardo alla partecipazione delle donne mestruate alla vita liturgica della Chiesa, sorella Vassa esamina brevemente le prove di questa tradizione e le opinioni contrastanti provenienti da varie fonti - l’Antico Testamento, il Protovangelo di Giacomo, gli scritti dei Padri della Chiesa - e nota alcuni dei recenti sviluppi che indicano l’instabilità della tradizione. La conclusione a cui arriva suor Vassa è che l’impurità rituale “non trova alcuna giustificazione nell’antropologia e nella soteriologia cristiana”. Ma è davvero così? Io credo che un paio di osservazioni fatte da suor Vassa meritino un esame più approfondito.

Femminismo

Suor Vassa, ben consapevole che ogni menzione di una liberazione delle donne dalle restrizioni tradizionali sarà vista nel contesto del dibattito femminista, cerca di convincere i suoi lettori che l’ordine del giorno femminista non sta guidando la sua ricerca. Lo afferma quando dice che “la Chiesa ortodossa tradizionalmente non ha un ordine del giorno socio-politico, cosa che rende un’argomentazione da questo punto di vista [ovvero del dibattito femminista] in gran parte irrilevante per la Chiesa.” Questo, naturalmente, nella migliore delle ipotesi è discutibile, se si considera che uno dei fondamentali documenti della Chiesa Ortodossa Russa si intitola “I fondamenti della concezione sociale della Chiesa ortodossa russa” (2000), e il suo contenuto ben riflette il suo titolo. Questo fatto, tuttavia, è forse meno importante del quadro più completo delle interazioni tra le moderne ideologie femministe e la Chiesa.

Può essere un errore pensare che il dibattito femminista è “in gran parte irrilevante per la Chiesa”. La Chiesa non è ancora pienamente nella Gerusalemme celeste, né i suoi membri sono completamente al di fuori della vita socio-politica e socio-religiosa delle comunità sia cristiane che secolari. Negare l’influenza della contemporanea atmosfera intellettuale, filosofica e socio-ideologica sulle menti dei fedeli, tra cui attivisti laici, gerarchi e teologi, significherebbe negare l’evidenza.

D’altra parte, se il femminismo può essere genericamente definito come un discorso intellettuale e filosofico volto alla parità di diritti per le donne, allora forse c’è spazio per esso all’interno della tradizione ortodossa, dato che le chiese, tra le quali quella ortodossa, sono note per aver “raccolto eredità” lungo la loro millenaria strada. Un discorso femminista nella Chiesa ortodossa è inevitabile e noi possiamo essere testimoni delle sue origini ai nostri giorni - sia nei giornali riguardo alle mestruazioni o nei commenti del Metropolita Jonah (OCA) circa il sacerdozio femminile [ii] Potenzialmente, questo discorso può essere vantaggioso per tutti i cristiani, uomini e donne, in quanto può aiutare a chiarire la comprensione del genere maschile e femminile alla luce della verità di Cristo e della rivelazione del Vangelo dato alla Chiesa.

Storia

Un aspetto importante della discussione delle mestruazioni e delle norme ecclesiastiche ad esso associate che sembra mancare nel saggio di suor Vassa è la prospettiva di base socio-fisiologica della questione, vale a dire, il flusso di sangue. Per la maggior parte delle donne moderne che godono i benefici di avanzati prodotti per l’igiene questo non è più un problema di per sé, ma per gran parte della storia umana tali prodotti semplicemente non erano disponibili. Sono state utilizzate varie forme di protezione mestruale in culture diverse in tempi diversi, ma ci sono indicazioni che, almeno nel XVIII e XIX secolo in Europa molte donne non indossavano assolutamente niente - nessun tampone o addirittura biancheria intima - e sanguinavano liberamente, lasciando una scia ovunque camminavano. [iii] Un’osservazione molto rilevante fu fatta da Silina Cooper (1864-1946), una suffragetta inglese, quando visitò i cotonifici intorno al 1900. Vi trovò i pavimenti dei locali di lavoro coperti di paglia per assorbire il sangue mestruale delle donne che vi lavoravano. [iv] Forse una situazione simile può essere osservata quando Rachele nascose gli idoli di suo padre sedendosi su di loro: “Non si offenda il mio signore se io non posso alzarmi davanti a te, perché ho quello che avviene di regola alle donne” (Genesi 31:35). Ora, sembra che non vi sia alcuna ragione di non alzarsi per una donna moderna mestruata. In effetti, alcune sono anche in grado di fare visite alle piscine pubbliche, grazie ad aziende leader come la Tampax. Per Rachele, invece, c’era una ragione valida per non alzarsi dal sedile, tanto valida che suo padre non la mise in discussione. Queste considerazioni possono rivelarsi la chiave per comprendere perché l’usanza dell’astensione delle donne mestruate dalla vita liturgica della Chiesa ha persistito nonostante il parere incoraggiante espresso dal papa san Gregorio Magno, citato da Suor Vassa.

Contrariamente all’affermazione di suor Vassa che l’usanza dell’astensione delle donne mestruate dalla vita liturgica della Chiesa è un “fenomeno fondamentalmente non cristiano nascosto sotto le spoglie della pietà ortodossa” e che “riflette le paure pagane e vetero-testamentarie del mondo materiale”, io sostengo che questa usanza sia nata dalla base dell’esperienza umana che è comune a pagani, ebrei e cristiani. Sembra un po’ ingiustificato respingere tutto ciò che non cristiana, sia perché pagano, sia perché vetero-testamentario, perché questo includerebbe necessariamente cose come il matrimonio, il sacerdozio, la fede in un Dio ipostatico, l’uso stoico della parola logos, la parola gnostica homoousios, e l’idea neo-platonica di una trinità, tra le altre cose. Il percorso dei Padri sembra essere un po’ diverso, in quanto hanno preso alcuni concetti e costumi pagani ed ebrei, hanno dato loro un significato più profondo alla luce della gnosi cristiana, e li hanno rielaborati per riflettere la verità di Cristo. Naturalmente, questo non significa affatto che l’evidente aspetto socio-fisiologico delle mestruazioni continui a svolgere un ruolo così importante nella vita contemporanea della Chiesa, come faceva solo uno o due secoli fa. Tuttavia, tenere presente che i moderni prodotti per l’igiene femminile sono proprio tali - moderni [v] - può aiutare a mettere alcune delle regole della Chiesa in una prospettiva storica.

Impurità rituale

Ben pochi sarebbero d’accordo che lasciare tracce di sangue mestruale nei nostri santuari sia una buona cosa, ma non sarebbe corretto concentrarsi solo sulle donne come soggette delle norme di “impurità rituale”. A un maschio che sanguina dovrebbe essere chiesto di astenersi dall’entrare in una chiesa, a meno che il flusso di sangue sia fermato. In effetti, nella mia memoria c’è stato un caso in cui un prete si è fatto un taglio sul pollice mentre serviva il rito della Preparazione (Protesi), e ha dovuto lasciare la chiesa perché non era in grado di fermare il flusso di sangue. La nozione di impurità rituale nella Chiesa ortodossa è molto più ampia delle mestruazioni delle donne e vale anche per alcuni aspetti della fisiologia maschile, così come per alcune situazioni non determinate in base al genere.

Si consideri, ad esempio, il nome della regola di preghiera di solito inteso per gli uomini dopo una emissione notturna involontaria – “Regola contro la contaminazione” Naturalmente, si potrebbe argomentare (cosa che è evidente anche nelle preghiere attribuite a san Basilio il Grande) che gli uomini stessi sono da biasimare perché soccombono alla passione della carne, ma potrebbe non essere sempre così, visto che anche i grandi santi hanno apparentemente avuto queste esperienze ed è stata composta una regola di preghiera standardizzata. Le implicazioni ecclesiastiche delle polluzioni notturne sono un po’ diverse da quelle delle mestruazioni, ma un uomo in genere non continua ad avere dette emissioni in chiesa, mentre le mestruazioni continuano per diversi giorni.

Un documento della Chiesa russa del XVII secolo dal titolo “Istruzioni educative” elenca diverse cose che possono precludere un sacerdote dal servire una liturgia e ogni fedele dal partecipare alla santa comunione (anche se, non si dice nulla degli altri aspetti della vita liturgica): tra queste, mangiare e bere senza limiti, i rapporti sessuali e le emissioni notturne. [vi] In altre parole, si può comprendere che tutti questi ostacoli sono visti come contaminazioni per un uomo. Le “Istruzioni educative” vanno ancora oltre nel dichiarare che non solo le persone, ma anche gli edifici e gli oggetti sacri possono essere contaminati. Esse impongono, per esempio, che la vita liturgica di una chiesa si fermi se la chiesa è “contaminata dallo spargimento accidentale di sangue umano durante qualche incidente, sia per il colpo di un’arma o di mano o di altro tipo, o per qualche impurità carnale sul pavimento”. [vii] Questo ultimo punto potrebbe fare riferimento al sangue mestruale? Forse, ma l’istruzione non è specifica e potrebbe potenzialmente coprire un gran numero di cose non inerenti alla fisiologia femminile.

La distinzione tra sacro e profano - nello spazio o nel tempo o nei periodi della vita umana - è fondamentalmente compatibile con la visione ortodossa del mondo: dalle regole di purezza (per uomini e donne) legate alla vita liturgica alla cura particolare per gli oggetti liturgici, e dalla gioia burrosa della Maslenitsa (settimana di Carnevale) alla pura gioia della Settimana Luminosa - tutto nell’Ortodossia parla di questa dicotomia. Questo non significa che il profano sia in qualche modo innaturale o necessariamente contaminato, ma neppure dovremmo ridurre le norme in materia di donne mestruate a un residuo di pratiche pagane, senza cercare di possibili motivi, unicamente cristiani, di tali regole.

Dimensione teologica

Una tale interpretazione delle norme di purezza rituale è state offerte da padre Vladimir Vorobiov nel corso di conferenze sulla tradizione liturgica all’Università Teologica Ortodossa San Tikhon a Mosca, in Russia. [viii] Vorobiov fa notare che a seguito della caduta, Dio disse alla donna: “Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli” (Genesi 3:16). Vorobiov conclude che le questioni connesse con il parto, come le mestruazioni e la naturale purificazione dopo la nascita, possono essere intese come un’epitimia o una sorta di penitenza, durante la quale, come in qualsiasi altra penitenza, ci si astiene dalla comunione. Se questa sia una valida esegesi della Scrittura e se rifletta il pensiero della Chiesa è materia di discussione, ma l’esistenza di pareri come quello offerto da Vorobiov indica che ci può essere una valida dimensione teologica in norme di purezza apparentemente obsolete.

Si potrebbe sostenere che come cristiani non siamo più sotto la maledizione, perché «Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge» (Gal 3:13). Vero, ma questo e versi simili non si prestano facilmente a interpretazioni letterali: gli uomini continuano a mangiare il pane con il sudore della fronte fino al loro ritorno alla terra (Gen 3,19), e le donne continuano a partorire bambini con dolore (16). Cristo ha vinto la morte e ci ha donato la vita eterna (Rom 6:23), ma nessuno propone l’abolizione dei riti di sepoltura come obsoleti. Suor Vassa scrive che

“i cristiani ortodossi, maschi e femmine, sono stati purificati nelle acque del battesimo, sono stati sepolti e sono risorti con Cristo, che si è fatto nostra carne e nostra umanità, ha calpestato la morte con la morte, e ci ha liberati dalla paura”. Anche questo è vero. In Cristo, “non c’è né giudeo né greco, né uomo né donna” (Gal 3,28), ma questo non ha ancora provocato la dissoluzione del Patriarcato di Gerusalemme e di quello di Costantinopoli, e la Chiesa ortodossa insiste sul matrimonio come una cosa specifica tra un maschio e una femmina. La Chiesa è al tempo stesso la rivelazione del secolo futuro, e anche l’arca di salvezza per coloro che non hanno ancora subito la completa theosis.

Il desiderio di lasciare da parte il profano, di morire al mondo e di vivere solo per ciò che è spirituale è un tema riconoscibile del monachesimo cristiano. Chi è sul cammino monastico aspira a santificare tutta la sua vita e il suo essere [ix]; ma, nel caso di donne in età fertile, non è in grado di farlo in modo pieno nella tradizione ortodossa, quando si trova di fronte a norme rituali di purezza apparentemente indipendenti dalla sua volontà. Una reazione naturale a tale enigma è quello di decostruire le regole come obsolete e incompatibili con gli ideali cristiani. Questa tendenza può essere osservata non solo tra le suore ortodosse, ma anche tra quelle cattoliche. Sorella Bernard Mncube lamenta, per esempio: «Io sono una suora cattolica romana e ne sono orgogliosa. Posso parlare della mia mano, del volto e di ogni parte del mio corpo, ma quando si tratta della mia vagina, non oso nemmeno sussurrare la parola . Come se Dio avesse creato qualcosa di così malvagio che non c’è nemmeno permesso di dire una parola in proposito. »[X]

Mentre non sono a conoscenza dell’esistenza o della natura di eventuali regole di purezza cattolica romana in materia di donne mestruate, le obiezioni di una suora ortodossa sono ben pertinenti. Per una monaca (presumibilmente, anche per suor Vassa), la vita liturgica della Chiesa è una parte estremamente importante della sua vita spirituale. Mentre i laici possono partecipare alle funzioni una o due volte alla settimana, un monaco può sforzarsi di riunirsi con la sua comunità in preghiera comune, una o due volte al giorno. A causa della rilevanza delle funzioni religiose nella vita di una monaca, deve essere molto frustrante e piuttosto difficile  accettare che “non deve andare alla comunione, non può baciare le icone o toccare l’antidoro, non può aiutare a cuocere o a manipolare le prosfore, né può aiutare a pulire la chiesa; non può nemmeno accendere la lampada che pende davanti alle icone nella sua cella” (Larina) - non solo una o due volte nella sua vita, ma per una settimana intera ogni mese! Punti ben rilevanti. Chiaramente, il discorso deve continuare, come ha fatto, e si devono cercare forme accettabili di prassi ortodossa. Ma non affrettiamoci a smantellare tradizioni millenarie della Chiesa, senza dare un completo trattamento teologico e analitico sia al punto in questione sia ai testi elevati citati nell’eccellente saggio di sorella Vassa.

Note

[i] Sorella Vassa (Larina). “Ritual Impurity”. Orthodoxy and the World, www.pravmir.com, 2 luglio 2009. Originariamente pubblicato in St Vladimir’s Theological Quarterly 52:3-4 (2008) 275-92.

[ii] Metropolita Giona (Paffhausen). Discorso all’Assemblea dell’A.N.C.A. Saint Vincent’s Cathedral, Bedford, Texas, 24 giugno 2009.

[iii] Zur Geschichte der Unterwäsche 1700-1960. 1988. Historisches Museum Frankfurt, p. 336.

[iv] Liddington, Jill. The Life and Times of a Respectable Rebel: Selina Cooper, 1864-1946. Londra: Vigaro Press, 1984.

[v] I primi assorbenti commerciali furono disponibili nel 1888 in Europa e nel 1896 negli Stati Uniti.

[vi] “Instructional Information”. Service Book: The Divine Liturgy of St. John Chrysostom. Jordanville: Holy Trinity Monastery, 1999, pp. 11-3.

[vii] Ibid., 32.

[viii] Una registrazione audio delle lezioni in formato mp3 è disponibile all’indirizzo http://www.predanie.ru/mp3/protoierej_Vladimir_Vorobjov/

[ix] Ci si aspetta lo stesso, naturalmente, da tutti i cristiani.

[x] citato in Johnson, Elizabeth. Truly Our Sister. A Theology of Mary in the Communion of Saints. New York: Continuum, 2005, pp 30-31.

 
"I fondamenti della concezione sociale" - VIII. La guerra e la pace

Le guerre nel mondo

VIII.1. La guerra è una manifestazione fisica di un male spirituale occulto dell'umanità, l'odio fratricida (Gen 4,3-12). Le guerre hanno accompagnato tutta la storia dell'umanità dopo il peccato originale e, secondo le parole del vangelo, la accompagneranno ancora: «E quando sentirete parlare di guerre, non allarmatevi; bisogna infatti che ciò avvenga» (Mc 13,7). Di questo rende testimonianza anche l'Apocalisse, narrando dell'ultima battaglia fra le forze del bene e quelle del male presso la montagna di Armaghedon (Ap 16,16). Le guerre terrene sono il riflesso delle battaglie celesti, essendo prodotte dalla superbia e dalla disobbedienza alla volontà di Dio. L'uomo corrotto dal peccato fu come afferrato e trascinato nelle forze di queste battaglie cosmiche. La guerra è male. Essa è causata, come il male nell'uomo in generale, dall'abuso peccaminoso della libertà data da Dio; «dal cuore, infatti, provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie» (Mt 15,19).

L'omicidio, che nelle guerre è inevitabile, venne considerato un grave delitto davanti a Dio già all'alba della storia sacra: «Non uccidere», recita la legge di Mosè (Es 20,13). Nell'Antico Testamento, come in tutte le religioni antiche, il sangue ha carattere sacro, perché il sangue è la vita (Lv 17,11-14). «Il sangue contamina la terra», dice la Sacra Scrittura. Ma lo stesso testo biblico ammonisce coloro che usano la violenza: «Non si potrà fare per il paese alcuna espiazione del sangue che vi sarà stato sparso, se non mediante il sangue di chi l'avrà sparso» (Nm 35,33).

 

I cristiani e le azioni belliche

VIII.2. Recando agli uomini il lieto annuncio della riconciliazione (Rm 10,15), ma trovandosi «in questo mondo», che è sotto il potere del maligno (1 Gv 5,19) e pieno di violenza, i cristiani si scontrano senza volerlo con la necessità reale di partecipare a diverse battaglie. Pur riconoscendo la guerra come un male, la Chiesa tuttavia non proibisce ai suoi figli di partecipare ad azioni belliche, se si tratta della difesa del prossimo e del ristabilimento della giustizia calpestata. La guerra è allora considerata come un mezzo obbligato, anche se odioso. L'ortodossia in tutti i tempi ha avuto un atteggiamento di profondissimo rispetto per i soldati che hanno sacrificato la propria vita per difendere la vita e la sicurezza del prossimo. La santa Chiesa ha canonizzato numerosi soldati, tenendo in considerazione le loro virtù cristiane e applicando a loro le parole di Cristo: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13).

Quando san Cirillo fu inviato dal patriarca di Costantinopoli a predicare il vangelo e giunse nella capitale dei saraceni, si misero a discutere con lui sulla fede alcuni grandi maestri di teologia, seguaci di Maometto. Tra le altre domande gli posero questa: «Cristo è il vostro Dio. egli vi ha comandato di pregare per i vostri nemici, di fare del bene a coloro che vi odiano e vi perseguitano, e a chi vi percuote su una guancia, di porgere anche l'altra, e voi cosa fate? Se qualcuno vi offende, affilate le armi, andate in battaglia e uccidete. Perché non ascoltate il vostro Cristo?». Dopo aver sentito ciò, san Cirillo chiese ai suoi interlocutori: «Se in qualche legge saranno scritti due comandi, quale uomo sarà il perfetto esecutore di quella legge: colui che obbedisce a un comando, o colui che esegue entrambi i comandi?». Quando i discendenti di Agar risposero che obbedisce alla legge in maniera più perfetta quello che osserva entrambi i comandi, allora il santo predicatore continuò: «Cristo Dio nostro, che ci ha comandato di pregare per coloro che ci offendono e di far loro del bene, ha detto anche che nessuno di noi in questa vita può dimostrare un amore più grande di colui che dà la sua anima – la sua vita – per i suoi amici (Gv 15,13). Ecco perché noi sopportiamo con magnanimità le offese causateci come persone singole, ma nella comunità ci difendiamo l'un l'altro e siamo disposti a dare la nostra vita in battaglia per il nostro prossimo, affinché voi, dopo aver fatto prigionieri i nostri concittadini, insieme con i corpi non facciate prigioniere anche le loro anime, costringendoli a rinnegare la loro fede e a compiere atti contro Dio. I nostri soldati cristiani con le armi in pugno proteggono la santa Chiesa, proteggono il sovrano, nella cui santa persona venerano l'immagine del potere del Re del cielo, proteggono la patria, con la cui distruzione inevitabilmente cadrà l'autorità nazionale e vacillerà la fede evangelica. Ecco i preziosi doveri per i quali fino all'ultima goccia di sangue i soldati devono combattere, e se essi moriranno sul campo di battaglia, la Chiesa li canonizzerà tra i santi martiri e i loro nomi saranno ricordati e invocati nelle preghiere davanti a Dio».  

 

I limiti morali nella guerra

VIII.3. «Tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada» (Mt 26,52): in queste parole del Salvatore trova fondamento l'idea della guerra giusta. Da un punto di vista cristiano, il concetto della giustizia morale nei rapporti internazionali deve basarsi sui seguenti principi fondamentali: l'amore per il prossimo, per il proprio popolo e per la patria; la comprensione dei bisogni delle altre nazioni; la consapevolezza che il bene del proprio popolo non può essere perseguito con mezzi immorali. Questi tre principi hanno fissato i limiti morali della guerra, espressi dal mondo cristiano nel Medioevo, quando, adattandosi alla realtà, gli uomini cercarono di mettere un freno alle forze della violenza bellica. Già allora era nata la convinzione che la guerra deve essere condotta secondo determinate regole e che colui che combatte non deve perdere la sua fisionomia morale, dimenticando che il suo avversario è un uomo come lui.

L'elaborazione di alti principi giuridici nei rapporti internazionali non sarebbe stata possibile senza l'influsso morale che esercitò il cristianesimo sulla mente e sul cuore degli uomini. Le esigenze della giustizia nella guerra in pratica ben di rado furono rispettate, ma il fatto stesso di porre tale problema a volte trattenne i belligeranti da eccessive crudeltà.
Nella tradizione cristiana occidentale, che risale a sant'Agostino, per stabilire quando una guerra è giusta di solito si considera una serie di fattori che giustificano l'ammissibilità di una guerra nel proprio o altrui territorio.

Tra essi si possono annoverare i seguenti:
– è opportuno dichiarare guerra per ristabilire condizioni di giustizia;
– ha il diritto di dichiarare guerra solo l'autorità legittima;
– il diritto di usare la violenza appartiene non a singoli individui o a singoli gruppi, ma ai rappresentanti delle autorità civili costituite;
– una guerra può essere dichiarata solo dopo che si siano esauriti tutti i mezzi pacifici per condurre negoziati con la parte avversaria e per ristabilire la situazione iniziale;
– è opportuno dichiarare guerra solo nel caso in cui vi siano speranze del tutto fondate di raggiungere gli scopi prefissati;
– le perdite umane e le distruzioni previste devono corrispondere alla situazione e alle finalità della guerra (principio della proporzionalità dei mezzi);
– durante la guerra è necessario assicurare la protezione della popolazione civile dalle azioni belliche dirette;
– la guerra può essere giustificata solo dall'aspirazione a ristabilire la pace e l'ordine.

Nel sistema attuale delle relazioni internazionali a volte risulta difficile distinguere una guerra di aggressione da una guerra di difesa. Il confine tra la prima e la seconda è particolarmente sottile nei casi in cui uno o più stati oppure la comunità internazionale intraprendano azioni belliche, motivandole con la necessità di difendere il popolo che è vittima di un'aggressione (v. XV.1). A questo proposito, il problema del sostegno o della condanna da parte della Chiesa delle azioni belliche richiede un attento esame caso per caso ogni volta che tali azioni hanno inizio o che si profila un tale pericolo.

Uno dei criteri evidenti, secondo cui si può valutare la giustizia o l'ingiustizia dei belligeranti, è costituito dai metodi con cui la guerra viene condotta e dall'atteggiamento verso chi viene fatto prigioniero e verso la popolazione civile della parte avversaria, specialmente verso i bambini, le donne e gli anziani. Anche difendendosi da un'aggressione, si può nello stesso tempo commettere ogni genere di male, così da rendere la propria condizione spirituale e morale non migliore di quella dell’aggressore. La guerra deve essere condotta con «giusta indignazione», ma non con astio, avidità e concupiscenza (1Gv 2,16) e con altri frutti dell'inferno. Il giudizio sulla guerra – se cioè sia da considerare impresa eroica o atto di brigantaggio – si può esprimere solo dopo un'analisi della condizione morale dei combattenti: «Non gioire per la morte di qualcuno [anche se fosse il tuo peggior nemico]; ricordati che tutti moriremo», dice la Sacra Scrittura (Sir 8,8). Per i cristiani l’atteggiamento umano verso i feriti e i prigionieri si fonda sulle parole dell'apostolo Paolo: «Se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere: facendo questo, infatti, ammasserai carboni ardenti sopra il suo capo. Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male» (Rm 12,20-21). 

 

L’assistenza alle forze armate

VIII.4. Nell'iconografia di san Giorgio, un serpente nero viene schiacciato dagli zoccoli del cavallo, che è sempre raffigurato di colore bianco luminoso. Con questo si vuole mostrare in maniera evidente che il male e la lotta contro di esso devono essere assolutamente distinti e separati perché, lottando contro il peccato, è importante non diventarne partecipi. In tutte le situazioni della vita, in cui si presenta la necessità di usare la forza, il cuore dell'uomo non deve cadere sotto il potere di sentimenti malvagi, che lo accomunano agli spiriti immondi e lo rendono simile a essi. Solo la vittoria sul male nella sua anima dischiude all'uomo la possibilità di usare la forza in maniera giusta e corretta. Tale prospettiva, affermando nei rapporti tra gli uomini la supremazia dell'amore, respinge recisamente l'idea dell'ammissibilità della forza per contrastare il male. La legge morale cristiana condanna non la lotta contro il male, non l'uso della forza verso chi è portatore del male, e neppure addirittura l'omicidio quando questo appaia una misura estrema, bensì la malvagità del cuore umano, il desiderio di umiliare e di uccidere.

Sotto questo aspetto, la Chiesa ha una cura particolare per l'esercito, che cerca di educare in uno spirito di fedeltà agli alti ideali morali. Gli accordi di cooperazione conclusi dalla Chiesa ortodossa russa con le forze armate e con le forze dell'ordine aprono grandi possibilità in vista del superamento di barriere artificiosamente create, affinché l'esercito torni alle tradizioni ortodosse di servizio della patria, ratificate dai secoli. Il clero ortodosso – sia quello che svolge il suo particolare ministero nell'esercito, sia quello che opera nei monasteri o nelle parrocchie – è chiamato ad assistere con zelo i militari, preoccupandosi della loro condizione morale.

 

La pace dono di Dio

VIII.5. Alla base della visione cristiana della pace stanno le promesse di Dio, attestate nella sacra Scrittura, nell’Antico e nel Nuovo Testamento. Queste promesse, che rivelano il senso autentico della storia, hanno cominciato a realizzarsi in Gesù Cristo. Per i suoi discepoli, la pace è un dono della misericordia di Dio, per il quale preghiamo e che chiediamo al Signore per noi stessi e per tutti gli uomini. La visione biblica della pace è molto più ampia di quella politica. Il santo apostolo Paolo afferma che «la pace di Dio... sorpassa ogni intelligenza» (Fil 4,7). Essa è incomparabilmente più elevata di quella pace che gli uomini sono capaci di creare con i propri sforzi. La pace dell'uomo con Dio, la pace con se stesso e la pace con gli altri uomini sono inscindibili l'una dall'altra.
Nei profeti veterotestamentari la pace è rappresentata come una condizione che conclude e perfeziona la storia: «Il lupo dimorerà insieme con l'agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto... Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno in tutto il mio santo monte, perché la saggezza del Signore riempirà il paese come le acque ricoprono il mare» (Is 11,6-9). Questo ideale escatologico è connesso con la rivelazione del Messia, il cui nome è «Principe della pace» (Is 9,5). La guerra e la violenza spariranno dalla terra: «Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell'arte della guerra» (Is 2,4). D'altra parte, la pace è non solo un dono del Signore, ma anche un compito dell'umanità. La Bibbia ci dà la speranza della realizzazione della pace con l'aiuto di Dio già entro i confini di questa esistenza terrena.
Secondo la testimonianza del santo profeta Isaia, la pace è frutto della giustizia (Is 32,17). La Sacra Scrittura parla anche della giustizia di Dio e della giustizia umana. Entrambe hanno un nesso vitale con l'alleanza che Dio ha concluso con il popolo eletto (Ger 31,35). In questo contesto la giustizia viene prevalentemente intesa come fedeltà ai rapporti di alleanza. In quanto gli uomini infrangono l'alleanza con Dio, cioè in quanto essi non sono «giusti» – sono immorali – in tanto essi restano privi del frutto della giustizia, la pace. Nello stesso tempo uno degli elementi fondamentali delle leggi sinaitiche fu l'esigenza di un atteggiamento giusto – morale – verso il prossimo. I precetti della legge avevano lo scopo non di limitare in maniera gravosa la libertà dell'individuo, ma di edificare la vita della società sul principio della giustizia per acquisire una condizione relativa di pace, ordine e tranquillità. Per Israele questo significava che la pace nella vita sociale non si attua da sé, in virtù di una qualche legge naturale, ma che essa è possibile, in primo luogo, come dono della giustizia divina, e, in secondo luogo, come frutto degli sforzi religiosi dell'uomo, cioè della sua fedeltà a Dio. Laddove gli uomini rispondono con gratitudine e fedeltà alla giustizia di Dio, là «misericordia e verità s'incontreranno, giustizia e pace si baceranno» (Sal 85,11). D'altro canto, la storia dell'Antico Testamento offre una moltitudine di esempi di infedeltà e di peccaminosa ingratitudine del popolo eletto. Questo dà motivo al profeta Geremia di indicare la causa della mancanza della pace in Israele, dove continuamente si ode il grido: «Pace! Pace! ma pace non c'è» (Ger 6,14). Il monito del profeta alla penitenza e alla conversione risuona come un canto di fedeltà alla giustizia di Dio. Nonostante i peccati del popolo, Dio promette di concludere con esso «un'alleanza nuova» (Ger 31,31).
La pace nel Nuovo Testamento, così come nell'Antico, è considerata un dono dell'amore di Dio. Essa si identifica con la salvezza escatologica. La natura sovratemporale della pace, annunciata dai profeti, risulta in maniera particolarmente chiara nel vangelo di Giovanni. Nella storia continua a dominare il dolore, ma in Cristo i credenti trovano la pace (Gv 14,27; 16,33). La pace nel Nuovo Testamento è una condizione di grazia dell'anima umana, liberata dalla schiavitù del peccato. Proprio questo esprimono gli auguri di «grazia e pace» con cui il santo apostolo Paolo inizia le sue lettere. Questa pace è dono dello Spirito Santo (Rm 15,13; Gal 5,22). Lo stato di riconciliazione con Dio è lo stato positivo della creatura, «perché Dio non è un Dio di disordine, ma di pace» (1 Cor 14,33). Da un punto di vista psicologico questa condizione si esprime nell'armonia interiore dell'anima, quando gioia e pace nella fede (Rm 15,13) diventano quasi sinonimi.
La pace, per la grazia di Dio, caratterizza la vita della Chiesa sia nell'aspetto interiore che in quello esteriore. Ma, s'intende, il dono divino della pace dipende anche dagli sforzi umani. I doni dello Spirito Santo si manifestano solo là dove c'è il movimento dinamico del cuore umano che va incontro a Dio e con atteggiamento di umiltà e di pentimento aspira alla giustizia di Dio. Il dono della pace si manifesta quando i cristiani anelano a perseguirlo, «continuamente memori... del [loro] impegno nella fede, della [loro] operosità nella carità e della [loro] costante speranza nel signore nostro Gesù Cristo « (1 Ts 1,3). Le aspirazioni alla pace di ogni singolo membro del corpo di Cristo devono essere indipendenti dal tempo e dalle condizioni di vita. Graditi al Signore (Mt 5,9), tali sforzi porteranno i loro frutti dovunque e in qualsiasi tempo saranno compiuti. La pace, in quanto dono di Dio che trasfigura radicalmente l'uomo interiore, deve manifestarsi anche esteriormente. Esso va custodito e ravvivato (2 Tm 1,6), e per questo l'edificazione della pace diventa uno dei compiti della Chiesa di Cristo: «Se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti» (Rm 12,18); cercate «di conservare l'unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace» (Ef 4,3). L'invito neotestamentario a costruire la pace si fonda sull'esempio personale del Salvatore e sul suo insegnamento. E se i comandamenti della non resistenza al male (Mt 5,39), dell'amore verso i nemici (Mt 5,44) e del perdono (Mt 6,14-15) sono rivolti prima di tutto al singolo individuo, il comandamento sull'edificazione della pace – «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9) – ha un rapporto diretto con la morale sociale.

La Chiesa ortodossa russa aspira a realizzare il suo servizio di edificazione della pace sia a livello nazionale che a livello internazionale, cercando di comporre le diverse contraddizioni e di indurre alla concordia popoli, gruppi etnici, governi e forze politiche. Per questo essa rivolge la sua parola a coloro che detengono il potere e agli altri strati influenti della società, e compie ogni sforzo per organizzare negoziati tra le parti avversarie e per portare aiuto a coloro che soffrono. La Chiesa inoltre si oppone alla propaganda della guerra e della violenza, come pure alle varie manifestazioni di odio, capaci di provocare conflitti fratricidi.

 
Guida di un servitore alla Divina Liturgia

 La struttura della Liturgia

Questo manuale descrive i ruoli e le azioni dei chierichetti come si eseguono in tutto il corso della Divina Liturgia, e facendo riferimento alle varie parti. Ecco uno schema sequenziale dell'ordine della Liturgia per facilità di consultazione.

Riti preliminari

Grande litania

Prima antifona

Piccola litania

Seconda antifona

Figlio unigenito...

Piccola litania

Terza antifona

Liturgia dei catecumeni

Piccolo ingresso

Inni d'ingresso (tropari e contaci)

Trisagio (sostituito da altri inni in alcuni periodi dell'anno)

Prochimeno

Lettura (e) dall'Apostolo

Alleluia

Lettura (e) dal Vangelo

Sermone

Litania di supplica fervente

Litania per i defunti (omessa la domenica e in alcune feste)

Litania per il licenziamento dei catecumeni

Liturgia dei fedeli

Prima e seconda litania dei fedeli

Inno cherubico e grande ingresso

Litania di offerta

Bacio della pace

Credo (Simbolo della fede)

Anafora

Litania prima del Padre Nostro

Padre Nostro

Preghiera a capo chino e frazione

Comunione del clero

Comunione del popolo

Inni dopo la comunione (Abbiamo visto la vera luce, ecc.)

Litania di ringraziamento

Preghiera all'ambone e triplice Sia benedetto il nome del Signore

Sermone (se non ha avuto luogo in precedenza)

Salmo 33

Congedo e Molti anni

Principi generali di servizio

Il principio più importante dei consigli pratici per i chierichetti è semplicemente questo: conoscere i servizi. Questa guida dovrebbe diventare inutile dopo un po', per un servitore che conosce l'ordine e la struttura dei servizi ed è in grado di anticipare il movimento successivo e prepararsi di conseguenza. Se sta per arrivare presto una processione, sapete che avete bisogno di accendere le candele, se qualche oggetto particolare deve essere benedetto, sapete che è necessario preparare l'acqua santa e forse l'incenso, e così via. Abbastanza rapidamente, questa diventa una seconda natura.

Tuttavia, anche il più esperto dei servitori dimentica le cose e tutti abbiamo bisogno di imparare tutto il tempo. Pertanto, il secondo principio più importante è questo: essere attenti (la Chiesa ha bisogno di più persone attente). Servire all'altare è un'offerta comune di servizio a Dio, e osservando il clero e gli altri servitori, diventa possibile per i servitori di operare come un'unità e di compiere quasi tutto il servizio senza problemi e con dignità.

Infine, e soprattutto, dobbiamo ricordare che tutto ciò che facciamo è al servizio di Dio. Pertanto, cerchiamo di mantenere un clima di preghiera e di riverenza in tutto ciò che facciamo, per il bene delle nostre preghiere e anche al fine di essere un aiuto e non un ostacolo al culto della congregazione. I nostri servizi richiedono movimenti rapidi, ma questi dovrebbero essere dignitosi e non dovrebbero apparire precipitosi. Se c'è un incidente, deve essere rettificato con calma e senza alcun problema. Se viene fatto un errore, bisogna porvi rimedio discretamente, se necessario, per tornare poi al servizio. Spesso, avrete bisogno di comunicare qualcosa agli altri servitori d'altare. Anche se questo di solito può essere fatto con il contatto visivo discreto e con segni delle mani, ci sono momenti in cui questo semplicemente non funziona. Anche se non è ideale parlare ad alta voce per dare un messaggio, a volte è meno irriverente e fastidioso del caos confuso che può derivare da una mimica poco chiara e dal sussurrare.

Movimento e postura

La postura cristiana tradizionale per la preghiera è stare in piedi. Quando stiamo in piedi in chiesa, dovremmo farlo con le nostre braccia lungo i fianchi, con le nostre mani libere per prendere parte ai gesti fisici del nostro culto. Questo è ancora più importante per i servitori, che devono essere pronti ad assistere manualmente al servizio divino. Non incrociamo le braccia o teniamo le mani congiunte, ma le teniamo libere e pronte a servire.

Ci sono momenti in cui può essere necessario fare una prosternazione. Questa si fa protendendosi in avanti e cadendo sulle mani, e solo successivamente abbassando la testa e inginocchiandosi a terra, quindi utilizzando le mani per rialzare il corpo in posizione verticale. Se prima ci si inginocchia e poi ci si protende in avanti, è probabile che si troverà abbastanza impegnativo rialzarsi. Coloro che hanno ricevuto la comunione hanno in loro il corpo e il sangue del Salvatore. In questa condizione non fanno mai prosternazioni, ma invece si inchinano.

Prima e dopo ogni azione cerimoniale che richiede di lasciare l'altare, i servitori si radunano al trono alto, fanno un inchino verso est, poi si girano (verso destra), e si inchinano al sacerdote.

Il piccolo e il grande ingresso sono processioni. Pertanto, i servitori formano una processione e tutti vanno fuori dalla porta nord a passo "di chiesa": senza fretta e in modo dignitoso, fino a raggiungere i propri luoghi stabiliti. Per le azioni che non sono processioni (come ad esempio prendere le luci e i ventagli al Vangelo), è meglio mantenere la simmetria, per cui i servitori lasciano l'altare da entrambe le porte.

In generale, i movimenti non cerimoniali devono essere i più discreti possibili e mantenuti al minimo necessario per il compimento dei propri doveri. Se si passa da un lato dell'altare verso l'altro, i servitori passano sempre dal lato est della sacra mensa (ovvero, tra il tavolo dell’altare e la parete di fondo della chiesa), facendosi il segno della croce quando passano al trono alto.

Incenso

Si diriga la mia preghiera come incenso al tuo cospetto, e l'elevazione delle mie mani sia il sacrificio vesperale.

- Salmo 140:2

Nei nostri servizi, l'incensazione di oggetti o persone è appannaggio dei vescovi, dei preti e in particolare dei diaconi. Tuttavia, i servitori sono tenuti a mantenere il turibolo e l'incenso pronti per quando si devono utilizzare. È indispensabile, quindi, sapere quando sarà necessario l'incenso e anticipare questi momenti.

Nella nostra parrocchia, usiamo carboncini imbevuti di salnitro, che è un ingrediente chiave nella polvere da sparo ed è utilizzato in molti fuochi d'artificio. Questo li rende molto facili da accendere tenendoli con pinze su una fiamma per alcuni secondi. Il carbone deve essere acceso un minuto o due prima che sia necessario l'incenso. Una compressa è più che sufficiente, e nulla fa più fumo che il carbone eccessivo, con cui l'incensiere diventa troppo caldo, (cosa che può far fondere l' incenso fino al punto di ebollizione, mescolandolo con la cenere, e poi solidificandolo all'interno del turibolo. Questo è molto difficile da pulire). Le uniche eccezioni sono le occasioni in cui il turibolo viene utilizzato all'aperto o quando il carboncino precedente sta per finire e non c'è abbastanza tempo per pulire il turibolo prima di mettere quello nuovo. In questi casi, può essere utilizzato una secondo carboncino.

Qualche grano di incenso (3-4) è sufficiente per una grande incensazione della chiesa. Un minor numero di grani può essere necessario in altre occasioni. La combustione dell'incenso è in primo luogo per il "profumo di fragranza spirituale" offerto al Signore. L'obiettivo non è quello di produrre quanto più fumo possibile, quindi dovremmo cercare di evitare la tentazione di versare l'incenso su tutto il carboncino.

Quando non è in uso, il turibolo dovrebbe essere appeso con il coperchio aperto, per consentire all'aria di fluire sul carbone. Chiudere il turibolo o aggiungere di incenso inutilmente serve solo a soffocare il carbone, facendolo spegnere prematuramente. È anche importante mantenere l'incensiere più libero possibile da vecchio carbone, cenere, e incenso bruciato, che aggiungono fumo e possono produrre un odore acre.

Un glossario di base

Navata - l'area della chiesa dove stanno i laici

Solea - la zona rialzata di fonte all'iconostasi in cui il clero compie determinate funzioni nel corso dei servizi della Chiesa.

Iconostasi - schermo parete con le icone che si trova sulla solea. Ci sono tre porte nell'iconostasi: le porte sante, attraverso il quale può passare solo l'alto clero, e le porte diaconali, che sono a nord e sud dell'iconostasi, e sono utilizzati dai servitori laici così come dal clero negli ordini minori.

Altare - Noto anche come santuario, questa è la zona dietro l'iconostasi, dove viene offerta la santa oblazione. Ospita la santa mensa e la tavola dell'offertorio.

Trono alto - la parte più orientale dell'altare si chiama trono alto. Simboleggia il trono di Dio ed è il luogo dove è collocata la cattedra vescovile. Ogni volta che si passa da un lato all'altro dell'altare verso l'altro, i servitori fanno una riverenza al trono alto. Inoltre, prima e dopo aver lasciato l'altare per eseguire qualsiasi azione cerimoniale, i servitori si riuniscono presso il trono alto, fanno una riverenza verso di esso, e poi si girano per inchinarsi al sacerdote. In alcuni punti durante la Liturgia, i servitori sono diretti a stare al trono alto, rivolti a ovest. Devono farlo in due gruppi, leggermente ai lati. Nessuno dovrebbe stare al centro, con la schiena direttamente rivolta al trono alto.

Zapivka - vino mescolato con acqua calda per la purificazione della bocca di chi si è comunicato. Il termine è talvolta dato il pane che accompagna questo vino.

Panno da comunione - panno usato alla comunione per raccogliere eventuali frammenti dei santi doni che possono cadere, e per pulire le labbra dei comunicandi.

Sticario - la veste lunga indossata dai servitori, chiamata anche tunica / dalmatica.

Preparazione

I servitori dovrebbero essere sicuri di arrivare in chiesa in tempo per prepararsi per la Liturgia. All'arrivo in chiesa, dovreste fare le solite riverenze e venerare le icone, quindi entrare all'altare da una delle porte diaconali, venerando l'angelo raffigurato su di essa. Entrando nell'altare, fate tre prosternazioni alla santa mensa e avvicinatevi al rettore per la benedizione. Attendete che l'alto clero si vesta e solo allora avvicinatevi con il vostro sticario (e la stola, se si ha il privilegio di indossarla), piegato nel modo consueto. Il rettore vi darà una benedizione per vestirvi e poi metterà la mano sullo sticario. Baciategli la mano, poi la Croce sui paramenti, poi andate su uno dei lati dell'altare, e indossate con riverenza i paramenti, assicurandovi che siano in posizione corretta prima di iniziare i vostri doveri.

Ecco una lista di cose da preparare prima dell'inizio della Liturgia. Questi lavori devono essere condivisi tra i suddiaconi e i servitori:

- Un suddiacono rimuove il telo di copertura dalla santa mensa.

- Assicuratevi che le lampade nell'altare, sull’iconostasi, e intorno alla navata siano accese. Se ci sono candele o un candelabro sulla stessa santa mensa, chiedete a un suddiacono o a uno del clero di accenderle per voi. A nessuno al di sotto del rango di suddiacono è concesso di toccare la sacra mensa o ciò che vi sta sopra.

- Assicurarsi che le candele dei servitori siano a posto, sicure, e abbastanza lunghe per durare per tutta la durata della Liturgia.

- Preparare una ciotola, un asciugamano pulito, e una brocca di acqua pulita perché il clero possa lavarsi le mani.

- Far bollire acqua sufficiente in un bollitore, versarla in un thermos vuoto, sigillarlo e portato all'altare. Se non c'è un thermos, riempire il bollitore con acqua, pronta per essere bollita verso la fine dell'Anafora.

- Accendete una candela in sacrestia o in un altro luogo accanto all'altare, da cui il carbone e le candele possono essere accese. Questa rimarrà accesa per tutta la Liturgia.

- Accendete il carbone e posizionatelo nel turibolo pronto per l'uso da parte del sacerdote e del diacono quando iniziano la Proscomidia. Se non c'è il diacono, può essere utile per il prete se si pone il supporto per l'incensiere, con un po' di incenso, accanto al tavolo delle offerte in modo che possa raggiungerlo facilmente quando necessario.

- Quando il sacerdote è pronto per iniziare la Proscomidia, raccogliere i pani offerti dal popolo con le liste dei nomi di persone da commemorare, e metterli vicino al tavolo delle offerte. Se non c'è nessun posto dove metterli diverso dalla tavola stessa, chiedere a un suddiacono o uno del clero di fare questo per voi. In nessun caso qualcuno al di sotto del rango di suddiacono deve toccare o porre qualcosa sul tavolo delle offerte. Assicuratevi di rimettere il cestello o ciotola al proprio posto in modo che i laici che vengono in ritardo possano offrire i loro pani.

- Quando il sacerdote ha terminato la Proscomidia, tagliare il pane restante in piccole porzioni per la zapivka e l'antidoro. Ricordate che alcune persone prendono più di un pezzo di pane per consumarlo durante la settimana o ne prendono per amici malati o parenti, quindi tagliate più pezzi di quanto sembri necessario. Se non c'è abbastanza tempo per farlo prima dell'inizio della Liturgia, si può finire durante le antifone.

- Preparare la zapivka. Per ciascun membro del clero, preparare una tazzina piena a metà di vino e posizionarla su una patena con due pezzi di pane. Per i laici, mettere un certo numero di tazze su un vassoio, insieme con una brocca di vino - in quantità sufficiente perché chi si è comunicato possa purificarsi la bocca. L'acqua calda sarà aggiunta al vino in caraffa più tardi nella Liturgia, appena prima che sia necessario.

Le Ore

Alla fine dell'Ora Terza, un servitore sta pronto ad aprire la tenda delle porte sante in tempo per l'inizio dell'Ora Sesta. Le porte stesse rimangono chiuse.

Allo stesso tempo, un servitore prepara l'incenso e dà il turibolo al diacono (o al sacerdote, se non c'è il diacono), che compie una grande incensazione della chiesa e dei fedeli. Sta pronto a ricevere di nuovo da lui il turibolo una volta che l'incensazione è completa. Due servitori dovrebbero essere pronti ad aprire e chiudere le porte laterali per consentire al diacono di passare attraverso di loro senza ostacoli.

I servitori poi stanno in preghiera nei loro luoghi abituali.

Le piccole litanie e le beatitudini (terza antifona)

Durante l'inno Figlio Unigenito, un servitore accende le candele in preparazione per il piccolo ingresso.

All'Amen della seconda piccola Litania, due servitori aprono le porte sante.

Alle beatitudini, o terza antifona, due servitori portano i ventagli, mentre tutti i rimanenti servitori portano candele. Si dividono in due gruppi al trono alto, rivolti verso il centro.

Il piccolo ingresso

Quando il sacerdote e il diacono cominciano a fare i loro inchini alla sacra mensa, i servitore girano verso est, si firmano con la Croce, e l'arco all'alto luogo, poi girare per il diritto e la prua al sacerdote. Formano poi una processione fuori della porta nord (a sinistra) nel seguente ordine:

Portatori di candele

Primo portatore di ventaglio

(Secondo diacono, se presente, che porta il turibolo)

Primo diacono, che porta il Vangelo

Secondo portatore di ventaglio

Sacerdoti, in ordine di anzianità

I portatori di candele scendono dalla solea, formando una fila lungo la base dell'ambone, tutti rivolti a est. Se ci sono sacerdoti concelebranti, i portatori di candele stanno un po' più a ovest (più lontani dall'ambone) per lasciare spazio sufficiente ai sacerdoti per stare di fronte a loro. I portatori di ventaglio rimangono sulla solea, accompagnando il Vangelo in processione: uno prima e uno dopo. Quando il primo diacono, portando il Vangelo, si ferma sull'ambone, i portatori di ventaglio stanno ai suoi lati, rivolti verso est. Dopo che il sacerdote ha venerato il Vangelo, estendono su di esso i ventagli.

Il primo diacono esclama: 'Sapienza! In piedi!' e il coro canta l'inno d'ingresso, mentre il clero entra nell'altare. I portatori di ventagli li tengono in posizione verticale. Assieme ai portatori di candele rimangono dove sono, rivolti a est, fino a quando il sacerdote li benedice loro per entrare all'altare. Si girano l'uno in direzione dell'altro, si inchinano l'uno all'altro, e quindi entrano nuovamente l'altare dalle porte laterali alternandosi in modo incrociato. Il rientro dei servitori non è fine a se stesso e deve essere fatto con un certo livello di fretta dignitosa. Ci si muove vivacemente per allinearsi al trono alto. Una volta che tutti i servitore sono a posto, si segnano e si inchinano al trono alto, si voltano e si inchinano al rettore, e solo allora chiudono le porte laterali e rimettono a posto le loro candele e i ventagli.

Note d'improvvisazione

- Se non c'è il secondo diacono, il turibolo non serve a nulla e non viene portato in processione.

- Se non c'è un diacono, il rettore porta il Vangelo e i ventagli escono prima e dopo di lui.

Il Trisagio, il Prochimeno, e la lettura dall'Apostolo

Verso la fine del Trisagio o del suo equivalente, un servitore prepara l'incenso e dà il turibolo al diacono. Il diacono lo presenta al sacerdote per la benedizione, compie un'incensazione minore, e quindi restituisce il turibolo a un servitore, che lo mette via. Durante la lettura l'Apostolo, un servitore accende due candele in preparazione al Vangelo.

Nota d'improvvisazione

- Se non c'è il diacono, il servitore stesso prende il turibolo direttamente dal sacerdote al termine del Trisagio o del suo equivalente stagionale. Dopo che il sacerdote ha benedetto l'incenso, il servitore gli passa il turibolo, baciandogli al tempo stesso la mano destra come d'uso. Il servitore bacia nuovamente la mano del prete quando riprende il turibolo.

L'Alleluia e il Vangelo

Per il Vangelo, sono necessari i due ventagli e due sole candele. Qualsiasi servitore in eccedenza rimane semplicemente all'altare, dove può assistere aprendo e chiudendo le porte laterali al momento opportuno, per consentire agli altri di passarvi attraverso senza ostacoli.

Non appena il secondo diacono/lettore comincia a intonare l'Alleluia, un servitore pone un leggio, rivolto a est, sull'ambone, lasciando abbastanza spazio perché il diacono possa passare. I due portatori candele portatori e i due portatori di ventaglio (uno per ciascun oggetto su entrambi i lati), vanno di nuovo al trono alto, dove immediatamente si segnano e si inchinano a est, si girano e si inchinano al sacerdote, e poi escono dalle porte laterali per stare sulla solea: un ventaglio e una candela escono da ogni porta.

Tutti e quattro i servitori stanno a fianco del leggio - un portatore di ventaglio e un portatore di candela su entrambi i lati, rivolti a est. I portatori di ventagli stanno un po' più a ovest dei portatori di candele (possono scendere dalla solea se non c'è abbastanza spazio), anch'essi rivolti a est. Tengono i ventagli in posizione verticale. Dopo che il sacerdote dà la benedizione, 'Pace a tutti', tutti e quattro i servitori si girano a faccia al centro, mentre i portatori di ventagli estendono i ventagli sul Vangelo.

Alla fine del Vangelo, durante il "Gloria a te, o Signore...", i quattro servitori tornano immediatamente all'altare attraverso le stesse porte laterali da cui sono venuti, e vanno ad allinearsi al trono alto. Si segnano e si inchinano verso est, si girano e si inchinano al sacerdote anziano, quindi chiudono le porte laterali prima di mettere a posto le loro candele e i ventagli. Un servitore porta via il leggio.

Il diacono oppure due servitori chiudono le porte sante. Se si fa qui un sermone, aspettano fino a dopo il sermone per chiudere le porte. I servitori possono stare sulla solea per ascoltare il sermone.

Note d'improvvisazione

- Se non ci sono abbastanza servitori per trasportare i ventagli e le candele, si possono portare o due candele o due ventagli presso il Vangelo, in base alle preferenze. Come prima, se vi è solo un servitore, porta una candela, perché i ventagli sono utilizzati sempre e solo in coppia.

- Se non c'è il diacono, il sacerdote legge il Vangelo. In questo caso, il servitore che sistema il leggio deve assicurarsi che sia rivolto verso ovest.

La litania di supplica fervente

Questo è un momento tranquillo durante il quale i servitori non hanno particolari doveri cerimoniali e dovrebbero stare in preghiera ai loro posti. Questo è spesso un momento conveniente per smaltire la cenere dal turibolo e accendere un nuovo carboncino. Un recipiente (una lattina di metallo con un coperchio o un piccolo recipiente di acqua) dovrebbe essere a portata di mano nella sacrestia o in una stanza laterale per raccogliere il carbone usato per gettarlo via con riverenza dopo la Liturgia. Alle ceneri di carboncino non dovrebbe mai essere consentito di accumularsi nel turibolo. Questo può essere anche un buon momento per controllare per l'ultima volta se ci sono altri pani offerti dai fedeli.

La litania per i defunti

All'Amen della litania di supplica fervente, due servitori aprono le porte sante. Poco prima di questo, un servitore prepara il turibolo con l'incenso, lo offre al sacerdote per la benedizione, poi va fuori sulla solea e lo passa al diacono, prima di tornare all'altare. Al termine della litania, il servitore riprende del turibolo al diacono e lo mette via. Dopo l'ecfonesi del sacerdote, i servitori chiudono di nuovo le porte sante.

La litania per i defunti non si fa la domenica, durante il periodo pasquale, o in certi altri periodi di festa. In caso di dubbio, il servitore deve verificare in anticipo con il diacono se si fa questa litania. Se ciò non è possibile, è meglio sbagliare per eccesso di cautela e avere il turibolo pronto. Se si scopre che non è necessario, dopo tutto, non sarà un gran male.

Nota d'improvvisazione

- Se non c'è il diacono, il servitore stesso porta il turibolo direttamente al sacerdote. Dopo che il sacerdote ha benedetto l'incenso, il servitore gli passa il turibolo, baciandogli nel contempo la mano destra. Di nuovo gli bacia la mano destra quando riprende il turibolo.

Le litanie dei fedeli

Durante la seconda litania dei fedeli, un servitore prepara l'incenso e si prepara a consegnare il turibolo al diacono per l'incensazione minore prima del grande ingresso. Al lungo Amen di questa litania, due servitori aprono le porte sante.

Il grande ingresso

All'inizio dell'inno cherubico, un servitore prepara l'incenso e dà il turibolo al diacono (se non l'ha già fatto), che compie la piccola incensazione della chiesa, dopo di che il turibolo viene restituito al servitore, che va fino alla tavola delle offerte. Dopo aver detto l'inno cherubico, il sacerdote e il diacono si dirigono verso la tavola delle offerte. Anche in questo caso, il servitore passa il turibolo al diacono, poi si unisce agli altri servitori.

Nel frattempo, un altro servitore accende abbastanza candele per tutti i servitori. Due servitori prendono i ventagli. Tutti gli altri servitore portano candele. Come al piccolo ingresso, i servitori si dispongono al trono alto in due gruppi, rivolti verso il centro. Quando il sacerdote e il diacono sono pronti con i doni, i servitori si girano verso est, si segnano e si inchinano al trono alto, e quindi formano una processione nel seguente ordine:

Portatori di candele

Primo portatore di ventaglio

(Secondo diacono, se presente, che porta in alto il turibolo)

Primo diacono, che porta il disco, (con il turibolo drappeggiato sul suo braccio, se non c'è un secondo diacono)

Rettore, che porta il calice.

Secondo portatore di ventaglio

Altri sacerdoti, in ordine di anzianità

I portatori di candele scendono dalla solea, formando una fila lungo la base dell’ambone, tutti rivolti a est. Se vi è un secondo diacono o un maggior numero di sacerdoti concelebranti, i servitori stanno un po' più a ovest (più lontani dall'ambone) per consentire spazio sufficiente al clero di stare di fronte a loro.

I portatori di ventaglio rimangono sulla solea, accompagnando i santi doni: uno prima e uno dopo. Quando il diacono e il sacerdote sono al centro della ambone, rivolti al popolo, il portatori di ventaglio si voltano verso il centro ed estendono i ventagli sulle offerte.

Al termine della commemorazione finale (dei presenti), i servitori e i fedeli ricordano il sacerdote, dicendo: 'Il Signore Dio si ricordi del tuo sacerdozio nel suo regno, sempre, ora e sempre, e nei secoli dei secoli'.

Dopo che il rettore ha completato le commemorazioni, i ventagli si tengono in posizione verticale. Una volta che tutti i preti sono tornati nell'altare, i portatori di ventagli e di e candele si rivolgono gli uni agli altri, si inchinano a vicenda, quindi rientrano nell'altare dalle porte laterali alternandosi in modo incrociato. Procedono direttamente al trono alto, si segnano e si inchinano ad est, si girano e si inchinano al rettore, quindi chiudono le porte laterali e rimettono a posto le loro candele e i ventagli.

Se vi è un secondo diacono che porta il turibolo, il primo diacono chiude le porte sante nel momento preciso in cui il sacerdote pone l'aer sui santi doni. Poi chiude la tenda. Un servitore sta pronto a riprendere il turibolo al diacono.

Note d'improvvisazione:

- Se non c'è il diacono, all'inizio dell'inno cherubico, un servitore attende che il sacerdote finisca la preghiera. Poi, dopo che il sacerdote ha benedetto l'incenso, il servitore passa il turibolo direttamente a lui, baciandogli la mano destra. Di nuovo bacia la mano destra del sacerdote quando riprende il turibolo, e va fino alla tavola delle offerte. Lì, porge il turibolo al sacerdote con il bacio consueto e, dopo averlo ricevuto indietro, lo tiene alto in modo che il sacerdote possa tenere l'aer nel fumo dell'incenso. Poi il servitore mette subito via il turibolo, prende la sua candela o ventaglio, e si unisce agli altri servitori presso il trono alto. Se non è pratico per lui mettere via l'incensiere, può portarlo con discrezione davanti ai doni nella processione. In tal caso, non cammina all'indietro e certamente non incensa i doni. In nessun caso qualcuno al di sotto del rango di diacono deve mai incensare qualcuno o qualcosa con il turibolo.

- Se non c'è il diacono, dopo che i servitori hanno messo a posto le loro candele, un servitore ricupera immediatamente il turibolo ed è pronta a tenerlo in alto in modo che il sacerdote possa ancora tenere l'aer nel fumo dell'incenso. Il servitore quindi porge il turibolo al sacerdote, e più tardi lo riprende, baciandogli la mano destra come al solito. Poi mette a posto il turibolo e riprende il suo posto tra gli altri servitori.

- Se non c'è il diacono, due servitori chiudono le porte sante nel momento in cui il sacerdote pone l'aer sui Doni. Una volta che il turibolo è stato consegnato al sacerdote, un servitore chiude la tenda.

La litania di oblazione, il bacio di pace, e il Simbolo della fede

Dopo l'esclamazione del diacono, Amiamoci gli uni gli altri... e, dopo che i sacerdoti si sono scambiati il bacio della pace, i servitori si mettono in fila al trono alto, rivolti a ovest, assicurandosi che nessuno di loro si trovi al centro con le spalle verso il trono. Si uniscono nel canto del Credo.

Alla esclamazione del diacono, Le porte! Le porte!, un servitore apre la tenda, poi prende il suo posto al trono alto con gli altri.

l'Anafora

Durante l'Anafora, i servitori rimangono al trono alto, stando in piedi con riverenza in preghiera. All'esortazione del diacono Stiamo devoti, stiamo con timore, i servitori si volgono a est, e si segnano, prima di voltarsi di nuovo verso ovest. Per il resto dell'anafora, fanno le stesse riverenze consuete dei fedeli:

- Fanno una prosternazione a Degno e giusto è adorare...

- Fanno un inchino dopo le parole del Salvatore, ogni volta, a... per la remissione dei peccati.

- Si inchinano fino alla vita e rimangono in questa posizione per tutta l'epiclesi, dalle parole del prete, manda il tuo Spirito Santo su di noi e su questi doni fino al triplice Amen del diacono, quando tutti fanno una prosternazione completa.

- Allo stesso modo, fanno una prosternazione completa le parole alla fine del Megalinario (Degno davvero...), o del suo equivalente stagionale o festivo, in onore della Madre di Dio.

Dopo l'epiclesi, un servitore prepara velocemente l'incenso e si prepara a passare il turibolo al diacono in tempo per il Megalinario alla Madre di Dio (Zadostoinik). Una volta che l'incensazione della santa mensa e dell'altare è completata, il servitore sta al trono alto a destra del diacono, e con lui si inchina a est, poi al sacerdote, prima di riprendere il turibolo al diacono.

Nota d'improvvisazione

- Se non c'è il diacono, il servitore passa il turibolo direttamente al sacerdote, baciandogli la mano come al solito. Il sacerdote non incensa l'altare dopo la santa mensa, quindi il servitore dovrà essere pronto a riprendergli il turibolo prima che nelle occasioni in cui serve un diacono.

Il "Padre nostro" e i riti prima della comunione

All'inizio del "Padre nostro", tutti all'interno dell'altare fanno una prosternazione completa. Nei giorni feriali non festivi, rimaniamo prosternati fino a ...ma liberaci dal maligno.

Il diacono dirige il popolo a inchinare il capo, mentre il sacerdote prega. Durante il lungo Amen alla fine di questa preghiera, un diacono o un servitore chiude la tenda.

Un servitore accende una candela e, quando il sacerdote esclama I doni santi ai santi, il servitore porta la candela fuori dalla porta nord (a sinistra), la sistema sull'ambone direttamente davanti alle Porte Sante, e rientra nell'altare dalla porta sud (a destra).

Un altro servitore prepara l'acqua calda in un recipiente e aspetta, pronto a darlo al diacono e a riprendere poi da lui il recipiente vuoto.

Un altro servitore o un certo numero di servitori preparano un cestino/ciotola di pane e aggiungono acqua calda alla brocca della zapivka. Il pane, il vino, e un certo numero di tazze sono posizionati sul tavolo zapivka sul lato nord (a sinistra) della navata; il tavolo è posto un po' lontano dalla parete. Durante la comunione del popolo, uno dei servitori sta al tavolo, al fine di riempire le tazze per ogni comunicante. La zapivka ha lo scopo di pulire la bocca dei fedeli da qualsiasi traccia residua dei santi doni. Pertanto, il servitore dovrebbe incoraggiarli a bere liberamente e non semplicemente a prendere un piccolo sorso per bagnare le labbra.

Se ci sono sacerdoti concelebranti, si preparano una tazza di vino caldo e due pezzi di pane per ogni concelebrante. Un servitore li presenta a ciascuno singolarmente per purificare la bocca dopo aver ricevuto la comunione.

I servitori che non sono almeno ordinati lettori e che intendono ricevere la comunione ora dovrebbero rimuovere i loro paramenti per ricevere la comunione come laici. Se dovranno assistere con il panno della comunione o al tavolo della zapivka, possono ricevere la comunione in prima posizione davanti ai laici per poter riprendere le loro funzioni.

La comunione dei fedeli

Dopo che il clero ha ricevuto la santa comunione, e il prete ha dato il segnale, due servitori tirano la tenda e aprono le porte sante. Un servitore rimuove la candela, che rimane accesa, di fronte all'icona del Salvatore sulla solea. Un suddiacono o un servitore poi scende dalla solea dal lato nord(a sinistra). Fa una prosternazione al momento in cui il diacono dice Con timor di Dio... e sta in piedi con riverenza, mentre il sacerdote dice la preghiera prima della Comunione.

Mentre ogni comunicando si accosta, il diacono e suddiacono/servitore tengono la il panno della comunione, completamente aperto, come un'amaca, immediatamente davanti al calice e sotto il mento di ogni comunicando, in modo che eventuali particelle che cadono possono essere catturate con riverenza. Dopo che ogni persona ha ricevuto la comunione, il diacono le asciuga le labbra e lui e il suddiacono/servitore abbassano il tessuto, permettendo a chi si è comunicato di baciare la base del calice. Nel caso dei bambini, è spesso più facile chiedere ai genitori di tenere il bambino sulla schiena, poi il diacono/suddiacono passare il panno sopra il bambino come una coperta. I bambini sembrano gradirlo, e un bambino felice è un buon comunicando.

Dopo che tutti si sono comunicati, il diacono e suddiacono ripiegano il panno della comunione e lo restituiscono al sacerdote, che lo riporta con il calice nell'altare.

Nota d'improvvisazione

- Se non c'è il diacono, due suddiaconi/servitori escono dall'altare e assistono con il panno della comunione. Quello a sinistra del sacerdote di solito pulisce le labbra di chi si comunica. Può anche aiutare il sacerdote ricordandogli di nomi dei comunicandi, assistendo a prevenire eventuali incidenti, e istruendo con discrezione comunicandi incerti sull'etichetta del comportamento.

Dopo la comunione

Un servitore prende la candela dalla solea, la riporta attraverso la porta sud (a destra), e la pone a sud della santa mensa, mentre un altro servitore prepara l'incenso e dà il turibolo al diacono.

Dopo che il sacerdote ha benedetto il popolo e ha esclamato: "Salva, Signore, il tuo popolo...", un servitore porta subito la candela al tavolo delle offerte e attende il sacerdote con il calice, che contiene il resto dei santi doni, alla tavola delle offerte. Dopo che il sacerdote ha incensato i doni santi le cose sante, il servitore mette la candela di fronte alla tavola delle offerte, dove rimane accesa fino a quando i doni sono stati consumati. Poi prende il turibolo al diacono e lo mette via.

Nel frattempo, gli altri servitori portano via il cestino/ciotola, la brocca del vino e i bicchieri dal tavolo della zapivka e li mettono via nell'altare.

I riti di conclusione

Se una benedizione stagionale, una processione, o qualche altro atto liturgico deve essere eseguito all'interno della Liturgia, i servitori preparano tutto il necessario durante gli inni dopo la Comunione. Se una benedizione (come quella della frutta alla Trasfigurazione o delle erbe alla Dormizione) deve aver luogo, sistemano un tavolo al centro della navata centrale e pongono su di esso tutto ciò che deve essere benedetto. Può essere conveniente usare per questo la tavola della zapivka.

Dopo la comunione, i servitori tornano a stare con riverenza ai loro posti per le litanie di ringraziamento dopo la comunione e la preghiera all'ambone.

Se un'azione liturgica viene eseguita all'interno della Liturgia, i servitori (in quantità necessaria) prendono l'acqua santa, i libri con le preghiere necessarie, la croce processionale, o qualsiasi altra cosa che può essere richiesta, ed escono dall'altare con il sacerdote per la preghiera all'ambone. L'azione si svolge dopo la preghiera. Alla sua conclusione, il sacerdote e i servitori tornano all'altare durante il triplice canto del "Sia benedetto il nome del Signore, da ora e in eterno".

Dopo Sia benedetto il nome..., i libri di servizio richiedono che si canti il salmo 33 mentre viene distribuito l'antidoro. Se questa usanza è seguita, due servitori prendono subito il paniere/ciotola del pane e un altro contenente i pani offerti dai fedeli, ed escono dall'altare dalla porta nord (a sinistra) e stanno sul lato nord della navata, a una certa distanza dal sacerdote per evitare congestioni.

Tuttavia, il salmo 33 è spesso omesso e l'antidoro è distribuito dopo la Liturgia, nel qual caso i servitori escono poco prima del congedo, e prendono i loro posti, come descritto sopra.

Un lettore legge le preghiere di ringraziamento dopo la comunione.

Quando il sacerdote e i servitori tornano all'altare, il diacono o i suddiaconi chiudono le porte sante e la tenda per l'ultima volta. I suddiaconi e i servitore ricevono una benedizione per rimuovere i loro paramenti.

Dopo la Liturgia

Il lavoro dei servitori continua anche dopo il congedo. Ecco una lista di cose da fare, alla fine della Liturgia:

- Assicuratevi che i vostri paramenti siano o piegati ordinatamente o rimessi alle loro grucce, e portati via.

- Brocche, ciotole e tazze devono essere svuotate con riverenza su un terreno pulito. I loro contenuti sono stati utilizzati per uno scopo sacro e non devono essere versati nel lavandino. I vasi devono essere lavati con acqua calda per evitare la corrosione da parte di tracce di vino residuo.

- Le luci sulla santa mensa devono essere spente una volta che tutte le preghiere sono state concluse. I suddiaconi dovrebbero lasciare che le eventuali candele si raffreddino e la cera si solidifichi prima di rimettere il telo di protezione dalla polvere sulla santa mensa.

- Il turibolo deve essere svuotato di tutti i residui di carbone nella latta o in un altro recipiente fornito.

- I suddiaconi o i servitori che hanno usato i ventagli durante la Liturgia li dovrebbero riportare ai loro sostegni presso il trono alto.

- Una volta che tutto quanto sopra è stato completato, i suddiaconi e i servitori devono assicurarsi che l' altare sia lasciato in uno stato pulito e ordinato.

- Ogni servitore fa tre inchini alla santa mensa prima di lasciare l'altare per l'ultima volta.

 
114

Foto 114

 
La sfida dell’Ortodossia russa

Lasciamo ancora la parola all'arciprete Andrew Phillips con la traduzione italiana di un suo articolo del 2012 sulla costituzione di Chiese locali nella diaspora, un tema che ci tocca molto da vicino. L'autore, senza mezze misure, identifica la Chiesa ortodossa russa come l'unica che abbia sia i mezzi che la volontà di creare nel mondo autonomie locali autentiche. Pur nella consapevolezza che altri ortodossi possono avere pareri piuttosto divergenti, offriamo le considerazioni di padre Andrew nella sezione "Pastorale" dei documenti.

 
115

Foto 115

 
115

Foto 115

 
"I fondamenti della concezione sociale" - IX. Criminalità, punizione, correzione

I concetti di peccato e di reato

IX.1. I cristiani sono chiamati a essere cittadini rispettosi delle leggi della patria terrena, secondo il principio per cui ciascuno deve essere «sottomesso alle autorità costituite» (Rm 13,1), e ricordando nello stesso tempo il comando di Cristo di rendere «a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio» (Lc 20,25). Ma l'inclinazione al peccato insita nell'uomo genera il delitto, ovvero la violazione dei limiti posti dalla legge. Nel contempo, la nozione di peccato, definita dai principi morali ortodossi, è di gran lunga più ampia del concetto di reato nel diritto laico.
La causa principale del delitto è lo stato di ottenebramento dell'anima dell'uomo: «Dal cuore, infatti, provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie» (Mt 15,19). È necessario anche riconoscere che a volte la criminalità è favorita dalle circostanze sociali ed economiche, dalla debolezza dell'autorità pubblica e dall'assenza di un ordine legittimo. Le organizzazioni criminali possono penetrare nelle istituzioni dello stato e servirsene per i propri scopi. Infine, il potere stesso, compiendo azioni illegali, può rendersi responsabile di un crimine. Particolarmente pericoloso è il crimine coperto da ragioni politiche e pseudoreligiose, come il terrorismo e manifestazioni simili.
Per tenere sotto controllo i fenomeni di illegalità lo stato crea corpi di pubblica sicurezza, il cui scopo è la prevenzione del crimine, lo svolgimento delle indagini nonché la punizione e la rieducazione delle persone che li hanno commessi. Tuttavia lo sradicamento della criminalità e la correzione di coloro che hanno sbagliato sono compiti non solo delle istituzioni, e nemmeno solo dello stato, ma di tutto il popolo, il che significa anche della Chiesa.

 

La prevenzione della criminalità

IX.2. La prevenzione della criminalità è possibile prima di tutto attraverso l'educazione e l'istruzione, dirette all'affermazione dei valori spirituali e morali autentici nella società. In questo compito la Chiesa ortodossa è chiamata a una cooperazione attiva con la scuola, con i mezzi di comunicazione di massa e con i corpi di pubblica sicurezza. Qualora nel popolo manchi un ideale morale positivo, nessuna misura di coercizione, di intimidazione o di punizione potrà fermare la cattiva volontà. Proprio per questo la forma migliore di prevenzione del crimine è l'educazione a uno stile di vita onesto e retto, specialmente nel mondo dei bambini e dei giovani. Grande attenzione a questo proposito bisogna rivolgere a quelle persone che appartengono ai cosiddetti gruppi «a rischio» o che hanno già commesso i primi reati. A tali persone deve essere rivolta una particolare cura pastorale ed educativa. I ministri del culto e i laici ortodossi sono chiamati a cooperare sia per eliminare le cause sociali della criminalità, mostrandosi solleciti per l’attuazione di un giusto ordine nella società e nell'economia e perché ogni membro della società si possa realizzare nella sua vita personale e professionale.
Nel contempo, la Chiesa insiste sulla necessità di mantenere un atteggiamento umano verso coloro che sono sospettati, che si trovano sotto inchiesta e dei quali si è scoperta l'intenzione di violare la legge. Un trattamento crudele e degradante di queste persone può anche confermarle sulla strada sbagliata o spingervele. Ecco perché coloro che non sono stati condannati con una sentenza legale, trovandosi anche agli arresti, non devono essere privati dei loro diritti fondamentali. È necessario assicurare loro la difesa e un processo equo e imparziale. La Chiesa condanna la tortura e le diverse forme di umiliazione inflitte alle persone inquisite. Neppure allo scopo di aiutare le forze dell'ordine, un ministro del culto può violare il segreto della confessione o un altro segreto mantenuto per legge (per esempio, il segreto di adozione). Nella cura spirituale di coloro che hanno smarrito la retta via e sono stati condannati, i pastori che fossero venuti a conoscenza in confessione di quanto tenuto nascosto nell'istruttoria e all'organo giudiziario, si atterranno al segreto della confessione.
La norma che prevede la difesa del segreto della confessione è contenuta nella legislazione di molti stati, compresa la Costituzione della Federazione russa e la legge russa «Sulla libertà di coscienza e sulle associazioni religiose».
Il ministro del culto è chiamato a manifestare una particolare attenzione pastorale nei casi in cui in confessione gli vengano resi noti progetti di natura criminosa. Mantenendo senza eccezione e in qualsiasi circostanza il segreto della confessione, il pastore nello stesso tempo è tenuto a intraprendere tutti gli sforzi possibili perché quell’intento criminoso non si realizzi. In primo luogo questo riguarda il pericolo di un omicidio, specialmente le potenziali vittime di una strage, nel caso in cui venga compiuta un'azione terroristica o venga eseguito un ordine criminoso in tempo di guerra. Tenendo presente che l'anima di un potenziale criminale e quella della vittima designata hanno identico valore, il ministro del culto deve richiamare colui che si confessa a un sincero pentimento, cioè a rinunciare al suo proposito malvagio. Se questo richiamo non raggiungerà il suo scopo, il pastore, preoccupandosi di mantenere segreto il nome di colui che si è confessato e altre circostanze che possono rivelare la sua identità, può avvertire coloro la cui vita è in pericolo. Nei casi difficili il ministro del culto dovrà rivolgersi ai suoi superiori eparchiali.  

 

La giusta punizione

IX.3. Il reato commesso e condannato secondo la legge presuppone una giusta punizione, il cui significato è quello di correggere la persona che ha violato la legge, proteggere la società dal criminale e reprimerne le attività illegali. La Chiesa, pur senza ergersi a giudice di colui che ha violato la legge, è chiamata a preoccuparsi della cura della sua anima. Proprio per questo essa intende la pena non come una vendetta, ma come un mezzo di purificazione interiore di colui che ha peccato.
Il Creatore, stabilendo una punizione per i rei, dice a Israele: «Estirperai da te il male» (Dt 21,21). La punizione di colui che ha infranto la legge serve da insegnamento agli uomini. Così, infliggendo una punizione per la falsa profezia, Dio dice a Mosè: «Tutto Israele lo verrà a sapere, ne avrà timore e non commetterà in mezzo a te una tale azione malvagia» (Dt 13,12). Nel libro dei Proverbi di Salomone leggiamo: «Percuoti il beffardo e l'ingenuo diventerà accorto, rimprovera l'intelligente e imparerà la lezione» (Pr 19,25). La tradizione veterotestamentaria conosce alcune forme di punizione: la pena di morte, l'esilio, la limitazione della libertà, le pene corporali, la pena pecuniaria o la prescrizione di portare un'offerta a scopo religioso.
La detenzione, l'esilio (il confino), il lavoro correzionale e le sanzioni pecuniarie si conservano come punizione anche nel mondo contemporaneo. Tutti questi tipi di punizione giudiziaria non solo hanno senso dal punto di vista della difesa della società dalla volontà malvagia del reo, ma sono anche finalizzati alla sua rieducazione. Così, la privazione o la restrizione della libertà offre all'uomo che si è posto al di fuori della società la possibilità di trasformare la propria vita, per ritornare in libertà interiormente purificato. Il lavoro rende possibile l'educazione della persona in uno spirito costruttivo e permette di acquisire esperienze utili. Nel processo del lavoro correzionale le forze peccaminose negli abissi dell'anima devono lasciare il posto all’edificazione creativa, all'ordine, alla pace dell'anima. Nel contempo, è importante che quanti si trovano nei luoghi di detenzione non sperimentino un trattamento disumano, perché le condizioni di vita siano tali da non compromettere la loro vita e la loro salute, e sulla loro condizione morale non influisca l'esempio pernicioso di altri detenuti. Per questo lo stato ha il dovere di preoccuparsi dei carcerati, e in questa cura lo devono aiutare la società e la Chiesa.
Nel cristianesimo l’atteggiamento benevolo verso i detenuti finalizzato alla loro rieducazione ha radici profonde. Il Signore Gesù paragona il bene fatto ai carcerati a un servizio prestato a lui stesso: «ero carcerato e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,36). La storia ha conservato moltissimi esempi di aiuto portato da santi a persone che si trovavano in carcere. La tradizione ortodossa russa ha sempre raccomandato la misericordia verso i traviati. Sant'Innokentij, arcivescovo di Cherson, nella cappella della prigione di Vologda si rivolgeva ai prigionieri con queste parole: «Siamo venuti qui non per accusarvi, ma per darvi conforto e consolazione. Vedete voi stessi come la santa Chiesa con tutti i suoi sacramenti si sia avvicinata a voi, ora non allontanatevi voi da lei, avvicinatevi a lei con fede, con pentimento e con desiderio di conversione... Il Salvatore anche in questo momento tende dalla croce le braccia verso tutti quelli che si pentono; pentitevi anche voi, e passerete dalla morte alla vita!».
Compiendo il suo ministero nei penitenziari, la Chiesa deve predisporvi templi e sale di preghiera, celebrare i sacramenti e gli uffici divini, condurre colloqui pastorali con i detenuti e diffondere la letteratura religiosa. Per questo è particolarmente importante il contatto personale con i detenuti, compresa la visita a essi nelle loro celle. Merita ogni incoraggiamento la corrispondenza con i condannati, la raccolta e l'invio di abiti, medicinali e di altri beni necessari. Tale attività deve essere diretta non solo al sollievo della penosa sorte dei detenuti, ma anche alla guarigione spirituale dell’anima di chi ha sbagliato. La loro malattia è il male di tutta la madre Chiesa, che gioisce della gioia celeste anche «per un solo peccatore che si converte» (Lc 15,10). La rinnovata attenzione alla cura spirituale dei detenuti è un importante orientamento dell'opera pastorale e missionaria, che ha bisogno di sostegno e di sviluppo.
Quale speciale misura punitiva, la pena di morte era ammessa nell'Antico Testamento. Indicazioni sulla necessità della sua abrogazione non si trovano né nella Sacra Scrittura del Nuovo Testamento, né nella tradizione né nell'eredità storica della Chiesa ortodossa. Nel contempo, la Chiesa si è spesso assunta il dovere di intercedere presso l'autorità civile a favore dei condannati a morte, chiedendo per essi clemenza e una commutazione della pena. Inoltre, l'influenza morale cristiana ha coltivato nella coscienza delle persone un atteggiamento negativo verso la pena capitale. Così, in Russia, dalla metà del XVIII secolo alla rivoluzione del 1905, essa è stata applicata molto raramente. Per la coscienza ortodossa la vita umana non finisce con la morte del corpo – proprio per questo la Chiesa continua a occuparsi di quanti sono stati condannati alla pena capitale.
L'abolizione della pena di morte offrirebbe maggiori opportunità per il lavoro pastorale con colui che ha sbagliato e per la sua conversione personale. Per giunta è evidente che la pena di morte non può avere valore rieducativo, rende altresì irrimediabile l'errore giudiziario e risveglia sentimenti eterogenei e confusi nel popolo. Oggi molti stati hanno abolito la pena capitale per legge o non la applicano nella pratica. Ricordando che la misericordia verso colui che ha smarrito la retta via è sempre da preferire alla vendetta, la Chiesa incoraggia simili passi compiuti dai poteri dello stato. Nel contempo essa riconosce che la questione dell'abolizione o dell'inapplicabilità della pena di morte deve essere risolta dalla società in maniera libera, tenendo conto del tasso di criminalità, dell’organizzazione delle forze dell’ordine e del sistema giudiziario, ma prima di tutto della necessità di salvaguardare la vita dei membri di buona volontà della società

 

L’apporto della Chiesa

IX.4. Desiderando contribuire all’eliminazione della criminalità, la Chiesa coopera con le forze dell’ordine. Nel rispetto della loro opera volta alla difesa dei cittadini e della patria dai progetti criminosi e alla rieducazione di coloro che hanno sbagliato, la Chiesa tende loro una mano per aiutarle. Tale aiuto può realizzarsi in molteplici opere educative e correttive comuni per la prevenzione e la riduzione della criminalità, in un'attività scientifica e culturale e nella cura pastorale degli stessi operatori della pubblica sicurezza. La cooperazione tra la Chiesa e le forze dell’ordine si basa sul diritto ecclesiastico e su particolari intese con i responsabili dei ministeri competenti.
Tuttavia, il ministero pastorale della Chiesa, specialmente offerto nel sacramento della riconciliazione, è chiamato a essere il mezzo più efficace per eliminare la criminalità. A chiunque confessa un reato commesso e si pente il sacerdote deve assolutamente imporre, quale condizione indispensabile di assoluzione dal peccato, la rinuncia, dinanzi a Dio, a continuare l'attività criminosa. Solo in questo modo la persona sarà indotta ad abbandonare la via dell'illegalità e a ritornare a una vita virtuosa.

 
Intervista sul matrimonio a padre Maksim Kozlov

Nella nuova sezione "Famiglia" della nostra rivista, stiamo pubblicando interviste a sacerdoti sul difficile tema delle relazioni familiari. In questo numero, Vinograd intervista il rettore della chiesa di santa Tatiana presso l'Università Statale di Mosca (MGU) e professore all'Accademia teologica di Mosca (MDA), l’arciprete Maksim Kozlov.

Padre Maksim ha scritto i libri 400 вопросов и ответов о вере, церкви и христианской жизни (400 Domande e risposte sulla fede, la Chiesa, e la vita cristiana), 200 детских вопросов и недетских ответов о вере, церкви и христианской жизни (200 domande di bambini e risposte ai bambini sulla fede, la Chiesa, e la vita cristiana), Последняя крепость: Беседы о семейной жизни (L’ultima fortezza: conversazioni sulla vita familiare), e Клир и мир: Книга о жизни современного прихода (Il clero e il mondo: un libro sulla vita della parrocchia contemporanea). È autore di oltre 100 articoli e traduzioni (patristica, studi biblici, storia della Chiesa e giornalismo).

 

Aleksandra Vigiljanskaja:

Padre Maksim, purtroppo, oggi, l'attitudine verso il matrimonio sta perdendo il suo significato spirituale e metafisico. Crescono gli appuntamenti online, ci sono tutta una serie di show televisivi come Давай Поженимся (Davaj Pozhenimsja: Sposiamoci). Così, la scelta di un futuro partner è severamente limitata a specifici parametri quali altezza, peso e stato finanziario. La creazione di una famiglia diventa un compito puramente pragmatico, spesso, per raggiungere un certo status sociale, perché si deve compilare la casella dello "stato coniugale", che completa l'immagine di un prospero uomo moderno "civilizzato". Perché sta succedendo questo?

 

Padre Maksim Kozlov:

Non c'è da meravigliarsi che queste cose erodano la comprensione della famiglia come l’istituzione fondamentale senza la quale la normale vita sociale è impossibile. Se ritiriamo dalla nostra vita la base della visione religiosa del mondo, il valore del matrimonio esisterà solo per inerzia e solo per un tempo molto breve. Oggi, i processi di cui parla stanno diventando un problema a livello mondiale. Almeno, si tratta di una gran parte della civiltà umana, nei luoghi in cui le basi religiose si sono perdute. Ci sono stati risultati simili nei paesi ex socialisti, in cui lo stato ha mantenuto la religione fuori della società, ma c'è stato un risultato più distruttivo e terribile, molto più rapido, nei cosiddetti paesi occidentali "civili", in cui la distruzione delle basi religiose ha avuto luogo volontariamente.

In effetti, come si può giustificare la famiglia, se non su principi religiosi? A parte la norma sulla famiglia stabilita da Dio, se non date per scontato che la fedeltà tra i coniugi e l’auto-sacrificio per i propri cari in famiglia hanno una certa priorità per l'eternità, a che pro, davvero, lottare per una famiglia forte e sana? Perché, mentre io sono ancora giovane, non dovrei vivere solo per il piacere, sfruttando l'unica vita che ho per estrarre da esso le massime sensazioni fisiche ed emotive? Perché non dovrei scegliere un "partner" attraverso tentativi ed errori, su una base di "appropriato o non appropriato": questo ha più soldi, ma questo ha una posizione migliore e il suo futuro sembra più promettente, questo sembra più bello, perché non dovrei cercare qualcuno più giovane e più fresco? E i bambini? Bene, bene, non avere figli forse non è giusto, il prestigio e la posizione sociale ci obbligano a dare alla luce alcuni bambini, ma non dobbiamo caricarci, e se il nostro status sociale lo permette, possiamo affidarli agli operatori sanitari, come si addice a una famiglia "civilizzata"... Questa logica è molto chiara. Non è saggio aspettarsi un altro atteggiamento in una società non religiosa. In questo senso, le richieste di ripristino dei valori della famiglia senza il mantenimento dei fondamenti della ideologia religiosa sono destinate a fallire.

E 'abbastanza naturale che lo sfondo di questo atteggiamento verso la famiglia attira metodi che facilitano la ricerca di un partner, da un partner per una notte (non sto parlando di servizi per denaro o dei numerosi forum su Internet su cui è possibile trovare facilmente un partner che soddisfa tutti i requisiti) a un partner con cui rimanere per un periodo più lungo. Questa ricerca è ristretta ai suoi elementi di base, i parametri più specifici utilizzati sono l'altezza, il peso, lo status sociale, la ricchezza, il colore degli occhi, l’istruzione, la proprietà di beni immobili... la scelta di un coniuge di oggi è come l’acquisto di un cavallo al mercato o la ricerca di una macchina su internet ... non c'è alcuna differenza. Inoltre, lo ripeto, questa applicazione del sentimento dei consumatori alla famiglia non è necessaria. Il problema è come salvare quelle persone che continuano ad aderire ai tradizionali valori spirituali in questo mondo secolare, per dare loro la possibilità di nuotare contro il flusso della marea. Come si fa a sopravvivere in un ambiente ostile, come possiamo proteggere i nostri figli dai suoi effetti dannosi? Non ci sono risposte pronte e chiare a queste domande, ma almeno dovremmo essere consapevoli del fatto che si deve andare contro il flusso generale, che sono richiesti alcuni sforzi spirituali.

 

Aleksandra Vigiljanskaja:

Ci sono situazioni, dopo tutto, che ricordano proverbi popolari come "il cuore non si apre da solo"... Inoltre, per quanto cinici siano i requisiti per la vita futura sui siti di incontri, è chiaro che dovrebbero essere presenti alcune opzioni nella scelta di un coniuge. Sto parlando di quelli che aderiscono ai tradizionali valori spirituali e arrivano al matrimonio in termini cristiani. Quali dovrebbero essere i nostri criteri nella ricerca di un compagno di vita per i credenti? In generale, ci sono modi razionali per intraprendere una tale ricerca?

 

Padre Maksim:

Per fortuna, non ce n'è nessuno. Dico "per fortuna", perché se potessimo programmarli in modo così preciso, allora saremmo diversi dagli utenti dei siti di incontri solo per i parametri che utilizziamo. Invece di criteri quali "altezza, peso, ricchezza, colore degli occhi", saremmo interessati a cose come, per esempio, "religione, istruzione, famiglia, tradizione e nazionalità". È lo stesso tipo di parametri esterni, perché in realtà non conosciamo le qualità che permetteranno anche all'uomo ortodosso più decente, garbato e istruito di diventare un buon marito per una particolare ragazza. Beh, le sue qualità non gli conquisteranno da sole il suo cuore. In questo, esistono leggi molto diverse. Questo non significa che non possiamo impostare in precedenza alcuni segnali interni sulla strada, del genere "strada pericolosa", "svolta a gomito", e "strada senza uscita". È chiaro che ci sono situazioni in cui vi è un pericolo maggiore. Dobbiamo segnalare le più evidenti.

Il matrimonio con le persone di altre fedi è infinitamente rischioso. Direi che un tale matrimonio si può affrontare solo in casi assolutamente eccezionali. È ovvio che la coppia inevitabilmente affronterà non solo il problema delle differenze culturali, ma anche una questione seria, ovvero, in quale religione si educano i figli? Quale delle due? Il primo bambino sarà un cristiano ortodosso, e il secondo un buddista? Oppure la scelta si dovrà basare sul sesso del bambino? Le ragazze saranno cristiane, e i ragazzi musulmani? In alternativa, in generale, si potrebbero allevare al di fuori di ogni tradizione religiosa, con il rischio che i figli crescano atei? Tutte queste minacce saranno presenti sin dal primo istante in un tale matrimonio. Qui, se si dispone di un profondo senso di indiscussa dignità morale e umana, una dignità più forte delle differenze di tradizioni e di fede, sarebbe più saggio, anche prima del matrimonio cercare di trovare un’unità nella fede, se possibile. Se non lo si fa, poi, i rischi sono troppo alti per il futuro di una famiglia del genere. È arrogante di procedere con la presunzione che i sentimenti reciproci col tempo si appianeranno, si riconcilieranno, e tutte le differenze supereranno, perché una tale situazione spesso porta al disastro, soprattutto per i bambini.

Il matrimonio con un non credente è una cosa pericolosa. Non è una minaccia così evidente come il matrimonio con una persona fermamente eterodossa, ma tutti sanno che tali matrimoni sono intrinsecamente rischiosi. Purtroppo, oggi, ci sono molti matrimoni di questo tipo. Anche secondo le statistiche, le donne ortodosse sono una quota sproporzionata dei giovani in chiesa, basta guardare la composizione della congregazione di ogni parrocchia. Per ragioni oggettive, molte ragazze ortodosse sono costrette a sposare uomini molto lontani dalla Chiesa, e non abbiamo il diritto di condannarle, dopo tutto, una famiglia e la maternità sono il desiderio naturale di ogni donna. Cosa possiamo consigliare in questi casi? Se sono uomini onesti, se non sono pronti a professare la fede ortodossa, ma sono pronti a prendere le loro compagne così come sono, se sono a conoscenza delle restrizioni di comportamento insite nel vivere la propria vita secondo i precetti cristiani, allora c'è speranza per il futuro di questo matrimonio. Tuttavia, se c'è qualcosa che li irrita entrambi, che disturba la simpatia reciproca nel loro rapporto, un tale matrimonio è destinato a fallire. Se si riceve un sorriso scontento quando si va alla Veglia al posto della discoteca al sabato sera, se la regola quaresimale che impedisce far visita a un locale diventa un oggetto di scherno o di risentimento, o, se parlare di Dio e della vita spirituale porta a scontri violenti o a esasperazione reciproca, in tal caso aspettatevi che queste differenze persistano durante gli anni della vita di famiglia. Questo è il risultato di irresponsabilità e miopia. Se provate un tale matrimonio, è necessario essere pronti a grandi dolori e prove. Inoltre, dovreste pensarci non sette volte, ma settecento volte sette, prima di creare una famiglia.

Non dobbiamo incoraggiare i non credenti alle cerimonie di matrimonio religioso. Molto sobriamente, sappiamo che le basi della concezione sociale della nostra Chiesa affermano che, nella presente situazione storica, non consideriamo un matrimonio civile come una convivenza lasciva, non è un peccato che impedisce a una persona di ricevere i sacramenti della Chiesa. Naturalmente, non stiamo parlando di unioni non registrate, ma dei "matrimoni civili" e di famiglie riconosciute dalla legge civile che derivano da tali matrimoni. La Chiesa rispetta una tale famiglia. Naturalmente, in un matrimonio in cui uno dei coniugi è credente e l'altro no, è molto più onesto davanti a Dio alla coscienza limitarsi al diritto civile. Anche se il coniuge non credente è pronto a sposarsi in Chiesa per il bene di un altro, non lo si dovrebbe fare. Il matrimonio Chiesa stabilisce una famiglia come una piccola chiesa. Questo richiede un minimo di due persone che desiderano organizzare la loro esistenza successiva per dare le loro vite per Dio, per conformarsi agli ideali di servizio cristiano. È meglio crescere aspettando il momento in cui una famiglia come piccola chiesa diventerà una necessità interna, piuttosto che sposarsi e continuare una vita al di fuori della Chiesa. Vi è un particolare tipo di matrimonio che benedice una coppia che ha vissuto insieme per molti anni.

 

Aleksandra Vigiljanskaja:

Dal momento che stiamo parlando di matrimoni, potrebbe dirci qualcosa di più sul significato di questo sacramento? Che cosa succede esattamente durante la cerimonia di nozze?

 

Padre Maksim:

Ciascuno dei sette sacramenti non è solo una preghiera per qualcosa. Un sacramento è un incontro con Dio, quando Dio con la sua grazia, con la sua azione, entra veramente nella nostra vita. L'unione di due persone che intendono costruire una vita insieme, di amarsi, di aiutarsi a vicenda, rimanere fedeli l’un l’altro, e acquisire tolleranza, dà a un matrimonio una grazia divina. La grazia è sempre qualcosa di più rispetto alle persone, è una forza che ci dà molto più di quanto può dare anche la persona più bella e virtuosa. Nel battesimo, riceviamo ciò che non possiamo ottenere con le nostre forze, il perdono dei peccati da parte di Dio. Nell'Eucaristia, siamo uniti con Dio in un modo impossibile a qualsiasi forza spirituale, speculativa, filosofica o morale. In un matrimonio, il Signore, in un modo misterioso, assimila l'unione a quella tra Cristo e la sua Chiesa; fa della nostra famiglia una parte di un corpo più grande, la Chiesa di Cristo. Ci dà la speranza che quest’unione terrena continuerà in eterno, quindi, possiamo concludere che il matrimonio non è qualcosa di effimero, destinato a durare per circa 10, 20, 50, o 70 anni qui in questa vita terrena, ma vuole essere eterno. Ci rendiamo conto che nessuno può farlo con le proprie forze. La sua grazia è un dono dall’alto. Nel matrimonio, abbiamo un'occasione unica per promuovere il trionfo dell'amore di Dio nelle nostre vite, a dispetto di quelle naturali caratteristiche umane come la crescita reciproca dell’irritazione, del rifiuto, della dipendenza, di sentimenti offuscati, e di perdita di interesse per l'altro.

 

Aleksandra Vigiljanskaja:

I partner devono avere una benedizione per il matrimonio da parte dei genitori o dal loro confessore?

 

Padre Maksim:

Io inizierei con la benedizione dei genitori. La sua importanza è giustificata, ma si presume che ci sia stata una corretta educazione, il che implica una relazione tra genitori e figli che esistevano, per esempio, in una buona famiglia dell'epoca del Domostroj, come la descriveva l’arciprete Silvestr. Da un lato, i bambini devono mostrare volontà di obbedienza, che presuppone una fiducia infinita nei genitori e una piena accettazione della loro volontà. D'altra parte, i genitori devono essere disposti a portare una tale responsabilità per i loro figli. Devono effettuare per il loro bambino scelte che non si basano tanto sulle loro preferenze e priorità, anzi, devono considerare il bene finale dell'anima e la vita terrena dei loro figli. Quante volte vediamo simili relazioni esaltate tra genitori e figli nelle famiglie contemporanee, anche quelle ortodosse? Se siamo onesti, le vediamo raramente. Nell'odierna situazione della vita reale, il ruolo dei genitori è più un ruolo di saggi consigli, suggerimenti, e di correzione del comportamento dei loro figli nella scelta di un compagno di vita, e, a volte, essi cercano di proteggere i loro figli da un passo palesemente sbagliato e disastroso. Ci può essere una grande felicità, se la scelta dei figli coincide con il parere dei genitori, e i bambini ricevono sostegno e approvazione. Già nel 19° secolo, ricordiamo che i genitori non potevano vietare un matrimonio con cui erano in disaccordo. In una decisione, san Filarete disse che l'opposizione dei genitori non è una base per proibire un matrimonio. Pertanto, oggi, avere la benedizione dei genitori per il matrimonio è più un obiettivo e un bene morale, un ideale da raggiungere, ma non è un requisito canonico necessario.

Per quanto riguarda il proprio confessore, la sua partecipazione a una decisione così importante e significativa, ovviamente, tornerà solo a beneficio delle parti coinvolte. Non sto parlando di quei casi eccezionali anziani colmi di spirito, la cui santità è indiscutibile, e che possono guardare nelle nostre vite, nelle nostre anime, e nel nostro destino ben più di quanto può fare la gente comune. Naturalmente, i giovani che intendono sposarsi farebbero bene a cercare consiglio spirituale da un sacerdote, e fare ogni sforzo per far abbinare le proprie decisioni e azioni con i suoi commenti e avvertimenti. Tuttavia, non credo che un prete sarebbe saggio, se, in base alle sue osservazioni, preferenze, gusti, o valutazioni morali, esprimesse un severo divieto per impedire il matrimonio. I suoi consigli o avvertimenti dovrebbero dare un maggiore aiuto spirituale alla coppia. Anche se il sacerdote vede una catastrofe evidente nel matrimonio che viene, la cosa migliore che potrebbe fare sarebbe quella di cercare di ritardare il matrimonio per il tempo più lungo possibile, di allungare il tempo di conoscenza prematrimoniale dei giovani coinvolti. Questo li aiuterà ad adottare una soluzione più sobria, forse per volontà di Dio, come spesso è possibile vedere attraverso le circostanze della vita. Sappiamo quanto tempo distrugga i castelli in aria, e come realizzi il vero bene, a volte, a dispetto di tutta la nostra logica razionale e di tutta l'evidenza empirica.

 

Aleksandra Vigiljanskaja:

Si potrebbe avere un matrimonio prospero e felice senza amore? Per esempio, cosa ne pensa di un’alleanza tra persone che la pensano allo stesso modo, basata sul rispetto reciproco?

 

Padre Maksim:

Che cosa triste sarebbe un matrimonio del genere! Il tuo coniuge... solo un compagno di partito? Un collega? Tali matrimoni spesso si verificano quando una persona ha paura di non avere più tempo per creare una famiglia e ha fretta di trovare almeno qualcuno che le è più o meno vicino, per lo meno, nelle opinioni e credenze. Anche questo, in un certo senso, è un matrimonio di convenienza, l'unico vantaggio reciproco è la prosperità calcolata e gli interessi comuni. Se è così, allora, ci sono pochissime possibilità di una vera felicità. Certo, "i medici sono impotenti di fronte alla grazia di Dio, che offre quello che manca", e può accadere che da un matrimonio fondato su un amore vuoto basato sulle passioni (страстной) possa germinare un vero amore sacrificale l’uno per l'altro. Quindi, anche da questo campo quasi sterile delle intenzioni cerebrali può crescere qualcosa di buono se costruiscono una vita insieme. Tuttavia, abbiamo bisogno di capire che le condizioni originali e iniziali sono il minimo indispensabile per consentire l'azione della grazia per realizzare un’unione. Una moglie non è solo una compagna di lavoro, e un marito non è solo un amichevole compagno di viaggio, con il quale si fa una piacevole chiacchierata sul treno.

 

Aleksandra Vigiljanskaja:

Alle donne si pensa, in primo luogo, come mogli e madri. È comprensibile che la maggior parte delle ragazze ortodosse desideri formare una famiglia. Allo stesso tempo, nell’ambiente ortodosso, c'è un problema evidente, ci sono nella maggior parte delle nostre parrocchie donne che provano solitudine e si sentono inutili. A causa di ragioni obiettive indipendenti dalla loro volontà, si scopre che queste donne non hanno posto per realizzare il proprio potenziale, per realizzare la loro vocazione alla cura della famiglia e all'educazione dei bambini. Cosa ne pensa, come e in quali settori le donne ortodosse possono mettere a buon frutto il proprio talento? La loro vera vocazione si trova solo nella maternità?

 

Padre Maksim:

Oggi, non direi che "Kinder, Küche und Kirche" (bambini, cucina e chiesa) sia l'unico modo possibile con cui le donne possono trovare compimento nel cristianesimo. Infatti, sappiamo di fatto che non lo è. Molte donne che hanno famiglie forti e crescono i figli con successo sono spesso attive nelle attività pubbliche, nelle arti creative, e anche nel mondo degli affari. Non sono inclini ad abbandonare queste attività, limitandosi solo alle cure domestiche. Si tratta di ben altra cosa, quando la famiglia cessa di essere una priorità importante per le donne. Se fanno una carriera a scapito della educazione dei loro figli e dei valori della famiglia, è chiaro che difficilmente possiamo chiamare questa una scelta cristiana. Fortunatamente, possiamo facilmente evitare tali dure alternative, e, ripeto, ci sono molti esempi in cui una donna è una moglie e madre in alcuni contesti, e in altri settori ha un ruolo professionale e pubblico.

Per quanto riguarda le donne single, che non riescono a creare una famiglia, vi è davvero un grosso problema nel trovare una nicchia che può contenere queste donne. Non tutte le donne sentono una vocazione al monachesimo, e di mandare qualcuno in un monastero con la forza, o fuggivi a causa di fallimenti personali ... non è affatto utile. Se una donna non sente una vocazione al monachesimo, se non si impegna in quel tipo di vita, se non sente la chiamata di Dio a essere una sposa di Cristo, che tipo di tipo di monaca sarebbe? Tuttavia, allo stesso tempo, nella moderna pratica ecclesiastica, le donne trovano possibilità limitate di esercitare i propri talenti, e così questo problema non è ancora risolto. Naturalmente, possono realizzarsi nella sfera professionale. Per chi vuole esprimere i suoi sentimenti materni, una donna ontologicamente coerente ha cura dei propri figliocci o aiuta altre famiglie con i loro bambini. Può dare il proprio cuore a un bambino che non ha partorito. In generale, il percorso della singola donna nel cristianesimo è un problema che dobbiamo affrontare a tutti i livelli nella Chiesa. Dobbiamo trovare modi che possano aiutare queste donne a realizzare il loro potenziale; è una necessità. Cosa può offrire la Chiesa a queste donne se non il monachesimo? Potremmo creare nuove istituzioni nelle parrocchie, dove le donne potrebbero trarre beneficio e sentire il calore della cerchia familiare, dove possono sentirsi amate e comprese. Nella vecchia Russia, c’erano bambinaie, donne che assistevano le madri, e anche se non avevano ancora creato la propria famiglia, davano il loro amore e calore in un circolo familiare. A questa domanda non ho una risposta pronta, ma è chiaro che il posto di una donna sola nella Chiesa è un problema che ci sta davanti e richiede una risposta.

 
I ventagli liturgici

 

La mia parrocchia ha acquistato durante l'estate un paio di ventagli liturgici, che abbiamo iniziato a utilizzare regolarmente solo un mese fa, (quando sono finalmente arrivati abbastanza servitori d'altare per essere in grado di usarli). Li avevo visti usare prima in altri luoghi e io stesso avevo portato ventagli durante il servizio alla cattedrale. Tuttavia, erano nuovi per la maggior parte dei nostri fedeli e, anche se ero in grado di spiegare il loro uso e scopo, mi è venuto in mente che sapevo molto poco della loro storia e sviluppo. Così ho deciso di fare un po' di ricerche e di letture in rete. Questo, naturalmente, ha fatto sì che un articolo sui ventagli liturgici fosse destinato a comparire, prima o poi, su questo blog, e devo confessare di aver apprezzato molto la sua preparazione. È stato un lavoro educativo e piuttosto divertente.

Prima di tutto, la nomenclatura è interessante. Non vi è alcun dubbio circa lo scopo di questi strumenti: erano sicuramente ventagli funzionali a un certo punto, e i nomi con cui vengono chiamati oggi riflettono semplicemente questa funzione. In Occidente, il ventaglio liturgico va sotto il nome di flabellum, che è semplicemente la parola latina per 'ventaglio'. Nella chiesa russa, si chiamano ripìda, dalla parola greca ripìdion, che significa, di nuovo, ventaglio. Tuttavia, nella Chiesa greca, i ventagli non sono più in genere conosciuti come ripidia ma piuttosto come hexapteryga, che significa sei ali, riflesso degli antichi serafini a sei ali che sono spesso raffigurati su di loro. Curiosamente, sembra che questo nome sia applicato anche agli esempi di ventagli che non riportano immagini di serafini (molti ne sono privi). Per noi è meglio, credo, mantenere il termine ventagli. Mi piacciono molto i nostri ventagli. Sono una coppia di legno, e formano un insieme completo con la nostra croce e icona processionale, che teniamo al trono alto quando non sono in uso:

 

Sembra che l'uso di tali attrezzi risalga al tempo degli antichi egizi, che probabilmente li usavano per fare aria al faraone, per mantenerlo fresco, offrirgli riparo dal sole, e allontanare gli insetti volanti. Il più antico esempio superstite risale al 14° secolo a.C., ed è stato scoperto nel 1922 nella tomba di Tutankhamon.

 

Quanto a come si è giunti a usare questi ventagli nel culto cristiano in vari luoghi e tempi, non sono sicuro. In generale, penso che sia abbastanza sicuro supporre che fossero stati pensati come un segno di onore dovuto a una figura sovrana divina, e che questo sia stato semplicemente trasferito agli oggetti sacri utilizzati nel culto cristiano in onore di Cristo. Con quale percorso questo ha avuto luogo, non lo so e sarei grato di avere contributi da chiunque ne abbia conoscenza. Furono usati, per esempio, nelle cerimonie imperiali romane/bizantine? O forse, a causa del collegamento egiziano, si è iniziato a usarli a nei riti alessandrini/copti e si sono diffusi da lì ad altre chiese locali?

La prima testimonianza che abbiamo l'uso di ventagli nel culto cristiano è nelle Costituzioni dei santi apostoli. Le Costituzioni apostoliche sono una raccolta di istruzioni liturgiche e di altro genere, tratte e ampliate da varie fonti, e oggi sono datate generalmente dalla metà alla fine del IV secolo. Il libro 8, da cui prendiamo una citazione, è di per sé un ampliamento di un precedente documento (la Tradizione apostolica), scoperto nel XIX secolo e ora ampiamente ritenuto alessandrino o forse siriano in origine, a causa della natura della prassi liturgica descritta in esso. (Questo testo era stato precedentemente identificato come la perduta Tradizione apostolica di Ippolito di Roma, un'attribuzione che è ormai largamente screditata, oltre ai dubbi sul fatto che una tale opera sia mai esistita). Nel XII capitolo del libro 8, troviamo una descrizione di quello che sembra essere la parte del rito eucaristico subito dopo quello che oggi chiameremmo il Grande Ingresso:

...i diaconi portino i doni al vescovo all'altare; e i presbiteri stiano alla sua destra, e alla sua sinistra, come i discepoli stanno davanti al loro maestro. Ma due dei diaconi, ai lati dell'altare, tengno ventagli, fatti di sottili membrane, o di piume di pavone, o di panno fine, e scaccino via in silenzio i piccoli insetti che volano, in modo che essi non possano avvicinarsi alle coppe.

- Costituzioni apostoliche

L'uso dei ventagli qui prescritti è più o meno esattamente quello che compare oggi nelle rubriche della Divina Liturgia bizantina, in cui, dopo il Grande Ingresso e la litania di oblazione, il diacono è diretto a passare il ventaglio sui santi doni durante e dopo l'anafora, posa il ventaglio solo temporaneamente per eseguire altre sue funzioni prima di continuare ad agitarlo. Oggi, questo si fa generalmente solo in occasione dell'ordinazione di un diacono, ma trovo sconcertante che, dopo 1700 anni, i nostri libri di servizio contengano ancora questa istruzione.

Nella mia esperienza, quando qualcuno su internet dice con certezza assoluta che particolari pratiche liturgiche non hanno più luogo, di solito si sbaglia, e questo video dalla chiesa madre del Sinodo di Milano, con sacerdoti concelebranti con i ventagli durante l'Anafora, suggerisce che questa pratica, anche se non più comune, non è certo dimenticata. (Qui inoltre sembrano avere quegli impressionanti, anche se piuttosto rumorosi, ventagli con i campanelli attaccati, che sembrano comuni tra gli armeni, i siri, e certe altre chiese).

Ecco un video che mostra l'utilizzo dei ventagli da parte dai diaconi della parrocchia cattolica ucraina di sant'Elia in Canada.

Un'altra cosa che mi ha incuriosito è stata la specificazione delle piume di pavone. Perché questi a differenza delle piume di altri uccelli? Qui non sono sicuro del significato del pavone, se ve n'è uno. Potrebbe semplicemente essere che le piume di pavone erano utilizzate in epoca pre-cristiana, e che, per associazione, il loro uso, come quella del ventaglio stesso, venne ad assumere un significato onorifico. In alternativa, potrebbe essere che le altre tradizioni culturali che circondano il pavone sono state ereditate e cristianizzate. Il pavone sembra essere abbastanza diffuso nell'immaginario paleocristiano, in particolare nelle catacombe di Priscilla e Sebastiano. Anche quando erano utilizzati altri materiali, sembra esservi talvolta ancora un riconoscimento delle piume di pavone, come si può vedere nell'esempio qui sotto. Questo è il più antico ventaglio liturgico conosciuto, risalente al VI secolo. E' stato scoperto in Siria con numerosi altri reperti nel XX secolo. Questo dimostra anche quanto sia antica la raffigurazione dei serafini, e dimostra che lo scopo del ventaglio molto presto è divenuto più onorifico che funzionale.

La forma occidentale del ventaglio sembra aver mantenuto le piume molto più a lungo che in Oriente - in effetti, non ha mai perso quella forma, come si può vedere da queste foto di processioni. La prima è di papa Pio XI alla festa del Corpus Domini nei primi anni del XX secolo e la seconda è della parrocchia anglicana di St Timothy, Fort Worth, pochi anni fa:

 

L'uso dei ventagli papali è stato interrotto nella seconda metà del XX secolo, anche se penso che sarebbe molto divertente vederne un paio utilizzati a fianco della papamobile.

Secondo l'articolo di Wikipedia sui ventagli (almeno così com'è al momento in cui scrivo), questi sono caduti in disuso generale dalla Messa in Occidente intorno al XIV secolo. Sono incuriosito di imparare proprio come erano utilizzati e come si situavano nel servizio divino cerimoniale. Se qualcuno lo sa o ha qualche idea di dove posso scoprirlo, e sarebbe disposto a condividerla, sarebbe splendido.

Qui di seguito c'è una fotografia di un ventaglio copto, risalente al secolo VIII o IX, attualmente conservato nel Museo di Brooklyn. Anche questo reca l'immagine di due serafini a sei ali, mostrati non come facce ma come cerchi con le ali, cosa che non è di per sé rara. Tuttavia, ciò che è interessante è che, all'interno di questi cerchi, sembrano esserci teste di animali. Ho il sospetto che queste siano le creature davanti al trono di Dio nella visione del profeta Ezechiele. Questi sembrano essere il bue e il leone. Presumibilmente, l'aquila e l'uomo sarebbero stati raffigurati sull'altro ventaglio della coppia, che presumo non sia sopravvissuto.

Tutti questi simboli - il serafino con sei ali, i quattro esseri viventi di fronte al trono di Dio, e molto probabilmente anche il pavone se qualcuno riesce a capire quale sia il suo significato - punto si riferiscono al nostro ingresso terreno nel culto del cielo. Nel rito bizantino oggi, i ventagli sono utilizzati durante la Divina Liturgia al piccolo e al grande ingresso e alla proclamazione del Vangelo, dove vanno in processione prima e dopo il libro dei Vangeli e ai santi doni, con quelle creature che davvero sono di fronte al Re dei re e Signore dei signori in quei simboli mistici del libro dei Vangeli e del suo corpo e sangue, mentre si tengono sopra di loro i ventagli. Essi si tengono anche sul Vangelo in altri servizi e anche su icone particolari quando sono portate solennemente in processione o poste per la venerazione dei fedeli. Sono così contento che siamo finalmente in grado di utilizzare i ventagli nella mia parrocchia. Essi certamente aggiungono qualcosa di maestoso al nostro culto, anche nel più umile dei luoghi.

Non riesco a pensare ad un modo migliore per chiudere che condividere con voi questa maestosa raffigurazione dell'uso dei ventagli al Piccolo Ingresso della Liturgia vesperale dei Doni Presantificati.

 

Suddiacono con ventaglio; bassorilievo in bronzo sulla facciata della cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca

L'autore

Michael Astley, suddiacono della diocesi delle Isole Britanniche della ROCOR (qui nella foto, alla sua ordinazione da parte dell'arcivescovo Mark di Berlino), è il curatore del blog All of Creation Rejoices (dalle parole del Megalinario della Madre di Dio nella Divina Liturgia di san Basilio, "[in te] gioisce tutto il creato"), ricco di considerazioni sulla vita liturgica.

 

 
115

Foto 115

 
Il cristianesimo ortodosso di lingua ebraica a Gerusalemme

Presentiamo, nella sezione “Figure dell’Ortodossia contemporanea”, l’arciprete Aleksandr (Avraham) Winogradsky Frenkel, che serve la comunità cristiana ortodossa di lingua ebraica e yiddish con la benedizione del Patriarcato di Gerusalemme. Dal suo blog, abbiamo tradotto in italiano l’articolo sull’uso liturgico della lingua ebraica, e lo riportiamo assieme a un paio di video delle celebrazioni di padre Aleksandr, che offre con la sua vita e insegnamento una preziosa testimonianza di radicamento nella cultura ebraica e nel cristianesimo ortodosso, compito tanto difficile quanto importante nel contesto della Terra Santa.

 
Perché la Teofania era strana quest'anno

Perché mai la Teofania è stata così strana quest'anno? Potete vedere il mio ultimo post per alcune informazioni di base sulla festa della Teofania, sulle sue funzioni, e qualcosa sulle sue relazioni con le altre feste. Ora parliamo di quello che è successo quest'anno. Le informazioni contenute nell'ultimo post si applicano agli anni in cui la vigilia della Teofania non cade al sabato o alla domenica. Quindi, se la Teofania (o la Natività) cade di domenica (come la Teofania di vecchio calendario di quest'anno) o un lunedì (come la Teofania di nuovo calendario di quest'anno), l'ordine cambia un po'. Parlerò di come le funzioni sono diverse, e anche del perché.

Quali sono le differenze ?

Secondo il Tipico, né le Ore Regali né una Liturgia vesperale possono essere servite in un fine settimana. Ciò è dovuto al fatto che queste funzioni si servono in giorni di digiuno rigoroso e completo, e quando il sabato e la domenica sono giorni di digiuno, il digiuno non è mai un digiuno rigoroso e completo. Di fatto, quando il Mineo fornisce istruzioni per la vigilia della Teofania, si dice in diversi punti "se c'è un digiuno" (nel senso di un giorno della settimana) oppure "se non c'è un digiuno" (nel senso di un fine settimana). Digiuniamo sempre alla vigilia della Teofania, nel senso che ci asteniamo da carne, latticini e pesce (e nello stesso Tipico, si danno istruzioni in tal senso). Tuttavia, questa istruzione dal Mineo dimostra il diverso significato del giorno di digiuno quando questo cade in un fine settimana.

Vino e olio sono ammessi in ogni domenica che cade in un giorno di digiuno, e in ogni sabato tranne uno, il Sabato Santo, che è un giorno di digiuno rigoroso (è consentito il vino in questo giorno, ma non l'olio). A causa di questo, e anche a causa del significato specifico del sabato, il "Sabbath benedetto nel quale Cristo si è addormentato", il Sabato Santo è l'eccezione alla regola, e una Liturgia vesperale è sempre servita in questo giorno. C'è molto di più da dire sulla Settimana Santa, ma questo dovrà aspettare un'altra volta.

Per tornare alle feste della Natività e della Teofania, le principali funzioni delle vigilie della Natività e Teofania (Ore Regali e Liturgia vesperale), non possono essere servite se la festa cade di sabato o di domenica. Pertanto, il Tipico stabilisce il seguente ordine:

Le Ore Regali si servono al venerdì precedente (e non si serve la Liturgia in quel giorno). Forse vi stavate chiedendo perché le Ore Regali non possono essere semplicemente servite prima della Liturgia al sabato o alla domenica, anche se la liturgia non è vesperale. La ragione di questo è che il servizio delle Ore Regali combina le Ore 1a, 3a, 6a e 9a in una singola funzione, seguita dall'Officio dei Salmi Tipici, che contiene certi salmi e inni della Divina Liturgia, soprattutto la parte iniziale. Una regolare Liturgia non vesperale ha luogo dopo l'ora 6a, nel programma del giorno liturgico (tecnicamente, l'ora 3° corrisponde alle 9 del mattino, e la 6a a mezzogiorno, ma secondo la prassi liturgica comune consolidata, queste vengono di solito servite insieme prima della Liturgia al mattino – potrò scriverne più in dettaglio in futuro). Inoltre, l'Officio dei Salmi Tipici non è servito prima di una Liturgia non vesperale. Poiché le Ore Regali sono un servizio composito, che scorre senza interruzione da un'ora all'altra, e sono seguite dall'Officio dei Salmi Tipici, non è possibile servire una Liturgia non vesperale in combinazione con esse. Poiché le Ore Regali sono una parte importante dei servizi preparatori per il Natale e la Teofania, sono spostate al venerdì precedente, e non saltate o modificate, se la vigilia della festa cade in un fine settimana.

In questa situazione, alla vigilia si serve una regolare Liturgia non vesperale, con le regolari Ore lette prima di essa. Le Liturgie vesperali sono sempre Liturgie di san Basilio, ma la Liturgia servita alla vigilia di un fine settimana è la Liturgia di san Giovanni Crisostomo, ancora una volta per sottolineare la diversa natura di un giorno del fine settimana. La Liturgia di san Basilio è ancora servita, ma è spostata al giorno della festa stessa.

Quando la vigilia della Teofania cade di sabato o di domenica, la funzione del Vespro è servita a conclusione della Liturgia di quella mattina. Dopo l'ingresso, il prochimeno e le letture, sarebbe cominciata la Liturgia, se fosse un giorno feriale (con stabilita una Liturgia vesperale). Tuttavia, in questo caso, dopo le letture dell'Antico Testamento, l'Apostolo e il Vangelo, si servono le ectenie regolari dei Vespri, e quindi la funzione passa immediatamente alla benedizione dell'acqua, normalmente servita dopo la Liturgia sia alla vigilia della Teofania sia alla festa stessa. La Litia, la benedizione del pane e gli Apostichi, che normalmente compongono la seconda parte dei Vespri della festa, sono serviti alla Compieta, la sera, come si è soliti fare per queste feste.

Ma perché ?

Molte persone sanno che le domeniche commemorano sempre la risurrezione di Cristo. Le funzioni domenicali contengono sempre inni della risurrezione, e la maggior parte delle commemorazioni e feste che cadono di domenica incorporano almeno una parte di quel materiale. L'unica eccezione a questa regola è quando una delle grandi feste del Signore cade di domenica (come è stato nel caso della Teofania quest'anno), nel qual caso vengono utilizzati solo i testi della festa.

Nel calendario ebraico, il sabato, come giorno di riposo, l'ultimo giorno della creazione, è il centro della settimana. Nella Chiesa, la domenica ha preso il suo posto come osservanza principale, ma, almeno nella Chiesa ortodossa, il sabato non ha perso il suo significato come settimo giorno. Il Sabato Santo, Cristo è disceso nell'ade e ha vinto la morte, mentre "riposava" nella tomba, rispecchiando così il riposo di Dio al settimo giorno della creazione. I sabati, come già detto, non sono mai giorni rigidi di digiuno, e le funzioni della Chiesa hanno alcune caratteristiche particolari (sulle quali forse posterò in futuro). Durante la Grande Quaresima questo è particolarmente marcato, poiché l'ordine quaresimale dei servizi è effettuato dal lunedì al venerdì, un periodo durante il quale la Liturgia non può essere servita, e in Quaresima la Divina Liturgia si celebra al sabato e alla domenica.

Dal momento che sia il sabato sia la domenica hanno un significato speciale, ed entrambi hanno una certa natura intrinseca di festa, i servizi della Chiesa sono stati adeguati a riconoscere questo fatto. Da questo possiamo imparare due cose importanti sulla struttura liturgica. In primo luogo, vediamo che Natività e Teofania hanno un'importanza unica, dimostrata dal fatto che entrambi sono commemorati in un modo insolito (la vigilia viene celebrata come un giorno di digiuno rigoroso, con Ore Regali e Liturgia vesperale). Quando guardiamo la struttura di queste funzioni (come nel mio ultimo post), veniamo a sapere che le funzioni hanno molto in comune con il Venerdì Santo e il Sabato Santo (la "vigilia" di Pasqua). In secondo luogo, si conferma l'importanza sia del sabato sia della domenica nel ciclo liturgico settimanale. Questi giorni sono trattati in modo diverso dai giorni feriali a causa del loro significato teologico, e il fatto che l'ordine di preparazione delle funzioni per feste importanti come la Natività e la Teofania è significativamente alterato in ossequio a queste feste, rende chiara la profondità di questo significato.

 
116

Foto 116

 
116

Foto 116

 
"I fondamenti della concezione sociale" - X. Problemi di morale individuale, familiare e sociale

I rapporti matrimoniali

X.1. La differenza tra i sessi è un dono speciale del Creatore, da lui dato agli esseri umani. «Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (Gen 1,27). Essendo in pari grado portatori dell'immagine di Dio e della dignità umana, l'uomo e la donna sono creati per un’unione totale e reciproca nell'amore: «Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne» (Gen 2,24). Attuando la volontà primordiale del Signore sulla creazione, l'unione coniugale da lui benedetta diventa un mezzo per continuare a moltiplicare il genere umano: «E Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela”» (Gen 1,28). Le peculiarità dei sessi non si riducono alle diversità della struttura corporea. L'uomo e la donna sono due modalità diverse dell'esistenza nell'unica umanità. Essi hanno bisogno del dialogo e del reciproco completamento. Tuttavia nel mondo corrotto dal peccato i rapporti tra i sessi possono pervertirsi, cessando di essere un'espressione dell'amore divino e degenerando nella manifestazione di una peccaminosa e insana passione dell'uomo decaduto per il proprio «io».
Pur attribuendo un grande valore al celibato ed alla castità volontari, assunti per amore di Cristo e del Vangelo, e pur riconoscendo il ruolo particolare del monachesimo nella propria storia e nella vita contemporanea, la Chiesa non ha mai avuto verso il matrimonio un atteggiamento di disprezzo e ha anzi biasimato coloro che per un’aspirazione erroneamente intesa alla purezza hanno umiliato i rapporti matrimoniali.
L'apostolo Paolo, pur avendo scelto per sé personalmente la verginità e pur avendo esortato altri a imitarlo in questo (1Cor 7,8), nondimeno condanna «l'ipocrisia di impostori, già bollati a fuoco nella loro coscienza. Costoro vieteranno il matrimonio» (1Tm 4,2-3). La 51a Costituzione apostolica recita: «Se qualcuno... rinuncia al matrimonio... non per amore della continenza religiosa, ma per un motivo di disprezzo, avendo dimenticato... che Dio, creando l'uomo, li ha fatti maschio e femmina, e così facendo disprezza la creazione, o si correggerà, oppure sarà destituito dalla dignità sacerdotale ed escluso dalla Chiesa». Questo principio viene sviluppato dai canoni 1°, 9° e 10° del Concilio di Gangra: «Se qualcuno condannerà il matrimonio e disprezzerà la moglie fedele e devota, che desidera congiungersi con il proprio marito, o la biasimerà affermando che lei non potrà entrare nel Regno [di Dio], su costui sarà anatema. Se qualcuno rimarrà vergine o si asterrà dai rapporti sessuali, rinunciando al matrimonio, perché lo disprezza, e non per amore della bellezza e della santità della verginità stessa, su costui sarà anatema. Se qualcuno di coloro che hanno scelto la verginità per amore del Signore si insuperbirà nei confronti di coloro che si sono uniti in matrimonio, su costui sarà anatema». Il santo Sinodo della Chiesa ortodossa russa nella deliberazione del 28 dicembre 1998, richiamandosi a questi canoni, ha indicato la «inammissibilità dell'atteggiamento negativo o sprezzante verso il matrimonio».

 

Il matrimonio nella storia e nella tradizione

X.2. Secondo il diritto romano, che ha costituito il fondamento dei codici civili della maggior parte degli stati contemporanei, il matrimonio è un contratto tra due parti libere nella propria scelta. La Chiesa ha fatto propria questa definizione del matrimonio, interpretandola sulla base delle testimonianze della sacra Scrittura.
Il giurista romano Modestino (III sec.) ha dato la seguente definizione del matrimonio: «Il matrimonio è l'unione di un uomo e di una donna, la comunanza di tutta la vita, la compartecipazione alla legge divina e umana». Questa definizione è entrata praticamente invariata nei codici canonici della Chiesa ortodossa, in particolare nel «Nomocanon» del patriarca Fozio (IX sec.), nel «Syntagma» di Matteo Vlastar (XIV sec.) e nel «Procheron» di Basilio il Macedone (IX sec.), inserito nella slava «Kormchaja Kniga». Anche i padri e i maestri della Chiesa del cristianesimo primitivo si basarono sulla concezione romana del matrimonio. Così, Atenagora nella sua «Supplica intorno ai cristiani» indirizzata all'imperatore Marco Aurelio (II sec.), scrive: «Ciascuno di noi considera sua moglie quella che ha sposato secondo le leggi». Gli «Insegnamenti degli Apostoli», un testo del IV secolo, esortano i cristiani a «contrarre matrimonio secondo la legge».
Il cristianesimo integra le concezioni pagane e veterotestamentarie del matrimonio con l'immagine sublime dell'unità di Cristo e della Chiesa. «Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto. E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola. Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa! Quindi anche voi, ciascuno da parte sua, ami la propria moglie come se stesso, e la donna sia rispettosa verso il marito» (Ef 5,22-33).
Per i cristiani il matrimonio è diventato non semplicemente un contratto giuridico, un mezzo per continuare il genere umano e per soddisfare bisogni naturali temporanei, ma, secondo le parole di s. Giovanni Crisostomo, è l'«amore mistico», l'unione eterna dei coniugi in Cristo. Da sempre i cristiani hanno impresso sul matrimonio il sigillo della benedizione della Chiesa e della partecipazione comune all'eucaristia, che è la forma più antica della celebrazione del sacramento del matrimonio.
«È dovere degli sposi e delle spose di stringere la loro unione con l'approvazione del vescovo, affinché il matrimonio sia secondo il Signore e non secondo la concupiscenza», scriveva il santo martire Ignazio Teoforo (di Antiochia). Secondo Tertulliano, il matrimonio deve essere «celebrato davanti alla Chiesa, confermato dal sacrificio eucaristico [eucaristia] e sigillato dalla benedizione, e a esso assistono gli angeli nei cieli». «È necessario invitare i sacerdoti e con preghiere e benedizioni confermare i coniugi nella vita in comune, affinché... i coniugi trascorrano la loro vita nella gioia, uniti con l'aiuto di Dio», diceva s. Giovanni Crisostomo. S. Ambrogio di Milano prescriveva che «il matrimonio deve essere consacrato dall'intercessione e dalla benedizione del sacerdote».
Nel periodo della cristianizzazione dell'Impero romano la legittimità del matrimonio era riconosciuta, come prima, da una registrazione pubblica ufficiale. Consacrando le unioni matrimoniali con la preghiera e la benedizione, la Chiesa riconosceva nondimeno la validità del matrimonio civile, nei casi in cui il matrimonio religioso non era possibile, e non sottoponeva i coniugi ai precetti canonici. La Chiesa ortodossa russa attualmente si attiene alla stessa prassi. Con questo essa non può approvare e benedire le unioni coniugali concluse sia pure in conformità con la legislazione civile in vigore, ma in violazione delle prescrizioni canoniche (per esempio, il quarto e successivi matrimoni, matrimoni illeciti a causa di vincoli di sangue o di parentela spirituale).
Secondo la 74a Novella di Giustiniano (538), il matrimonio legittimo è concluso sia da un ecdicus (notaio ecclesiastico) che da un sacerdote. Tale norma fu inclusa nell'ecloga dell'imperatore Leone III e di suo figlio Costantino V (740), come pure nella legislazione di Basilio I (879). La condizione essenziale del matrimonio rimase il consenso reciproco dell'uomo e della donna, dichiarato davanti a testimoni. La Chiesa non espresse nessuna protesta contro questa pratica. Solo a partire dall'893, secondo l'89a Novella dell'imperatore Leone VI, alle persone libere fu fatto obbligo di celebrare il matrimonio con un rito religioso, e nel 1095 l'imperatore Alessio Comneno estese questa legge anche agli schiavi. L'introduzione del matrimonio religioso obbligatorio (IX-XI secc.) significava che per deliberazione dell'autorità civile tutta la regolamentazione giuridica dei rapporti matrimoniali era demandata esclusivamente alla giurisdizione della Chiesa. Inoltre, l'introduzione universale di questa pratica non deve essere intesa come l'istituzione del sacramento del matrimonio, che da sempre esisteva nella Chiesa.
L'ordinamento stabilito da Bisanzio fu adottato anche in Russia nei riguardi dei cittadini di religione ortodossa. Tuttavia, con l'adozione del decreto sulla separazione della Chiesa dallo stato (1918), il matrimonio celebrato con il rito ecclesiastico perse validità giuridica; formalmente ai credenti fu concesso il diritto di ricevere la benedizione della Chiesa dopo la registrazione del matrimonio presso gli organi statali. Tuttavia, nel corso del lungo periodo della persecuzione della Chiesa da parte dello stato, la celebrazione di un matrimonio solenne in chiesa di fatto rimase estremamente difficoltosa e rischiosa.
Il santo Sinodo della Chiesa ortodossa russa del 28 dicembre 1998 notava con rammarico che «alcuni confessori dichiarano illegale il matrimonio civile o richiedono lo scioglimento del matrimonio tra coniugi che convivono da molti anni senza essere sposati con rito religioso, per una qualche ragione ... Alcuni confessori non ammettono alla comunione le persone che vivono in una unione matrimoniale “non benedetta”, identificando tale matrimonio con la fornicazione». Nella decisione adottata dal Sinodo è spiegato: «Pur insistendo sulla necessità del matrimonio religioso, si ricorda ai pastori che la Chiesa ortodossa considera con rispetto il matrimonio civile».
La comunanza della fede fra i coniugi che sono membri del corpo di Cristo costituisce una condizione essenziale del matrimonio religioso e autenticamente cristiano. Solo una famiglia unita nella fede può diventare una «Chiesa domestica» (Rm 16,5; Fm 1,2), nella quale il marito e la moglie insieme con i figli crescono nella perfezione spirituale e nella conoscenza di Dio. L'assenza di unità di vedute rappresenta una seria minaccia all'integrità dell'unione coniugale. Proprio per questo la Chiesa considera suo dovere richiamare i credenti a sposarsi «solo nel Signore» (1Cor 7,39), cioè con colui o colei che condivide le proprie convinzioni cristiane.
La risoluzione sopra ricordata del santo Sinodo parla anche del rispetto che la Chiesa ha «per quel matrimonio nel quale una sola delle parti appartiene alla fede ortodossa, in conformità con le parole del santo apostolo Paolo: “il marito non credente viene reso santo dalla moglie credente e la moglie non credente viene resa santa dal marito credente” (1 Cor 7,14)». A questo testo della Sacra Scrittura si sono riferiti anche i padri del Concilio trullano, che riconobbero come valida l'unione tra due persone che «pur essendo ancora non credenti e senza appartenere al popolo ortodosso, si sono uniti tra loro con un matrimonio civile», se in seguito uno dei coniugi ha abbracciato la fede (canone 72). Tuttavia nello stesso canone e in altri decreti canonici (IV Conc. Ecum. 14; Laod. 10,31), come pure in alcuni testi di scrittori cristiani antichi e di padri della Chiesa (Tertulliano, s. Cipriano di Cartagine, s. Teodoreto e s. Agostino), si proibisce di celebrare matrimoni tra ortodossi e seguaci di altre tradizioni religiose.
In conformità con le antiche prescrizioni canoniche, la Chiesa anche oggi non concede la sua benedizione ai matrimoni contratti fra ortodossi e non cristiani, però riconosce nello stesso tempo tali matrimoni come legittimi e non ritiene che coloro che costituiscono tali unioni matrimoniali vivano in un peccaminoso concubinato. Fondandosi su considerazioni di oikonomia pastorale, la Chiesa ortodossa russa, come nel passato, anche oggi considera ammissibile la celebrazione di matrimoni di cristiani ortodossi con cattolici, con membri delle Chiese orientali e con protestanti che professano la fede nel Dio unitrino, a condizione che la celebrazione del matrimonio avvenga nella Chiesa ortodossa e che i figli vengano educati alla fede ortodossa. Nel corso degli ultimi secoli la maggior parte delle chiese ortodosse ha seguito questa stessa prassi.
Con il decreto del 23 giugno 1721, il santo Sinodo ammise, alle condizioni sopraindicate, la celebrazione dei matrimoni di prigionieri svedesi che si trovavano in Siberia con spose ortodosse. Il 18 agosto di quello stesso anno tale decisione del Sinodo ricevette una dettagliata giustificazione biblica e teologica in una speciale lettera sinodale. Su questa lettera si è fondato il santo Sinodo anche in seguito per risolvere le questioni dei matrimoni misti nei governatorati, annessi dalla Polonia e dalla Finlandia (decreti del santo Sinodo del 1803 e del 1811). In queste province, d'altra parte, era permesso scegliere più liberamente l'appartenenza confessionale dei figli (temporaneamente questa prassi talvolta fu estesa anche alle province baltiche). Infine, le norme sui matrimoni misti per tutto l'impero russo vennero fissate definitivamente nello statuto dei Concistori religiosi (1883). Esempi di matrimoni misti furono le molte unioni matrimoniali dinastiche, per la cui celebrazione non venne imposta la conversione all'ortodossia della parte non ortodossa (a eccezione del matrimonio dell'erede al trono russo). Così la protomartire principessa Elisabetta si unì in matrimonio con il gran principe Sergej Aleksandrovic, rimanendo membro della Chiesa luterana evangelica, e solamente più tardi, di sua spontanea volontà e in tutta libertà, abbracciò l'ortodossia.  

 

L’indissolublità del matrimonio

X.3. La Chiesa esige la fedeltà dei coniugi per tutta la vita e l'indissolubilità del matrimonio ortodosso, fondandosi sulle parole del Signore Gesù Cristo: «Quello che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi... Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un'altra, commette adulterio» (Mt 19,6.9). Il divorzio è condannato dalla Chiesa come peccato, perché esso reca gravi sofferenze spirituali ai coniugi (o per lo meno a uno di essi) e soprattutto ai figli. È fonte di estrema preoccupazione la situazione contemporanea, nella quale si assiste allo scioglimento di un numero assai elevato di matrimoni, specialmente tra i giovani. Ciò che sta accadendo sta diventando un'autentica tragedia per l'individuo e per la società.
Il Signore ha indicato come unica ragione ammissibile del divorzio l'adulterio che profana la santità del matrimonio e spezza il vincolo della fedeltà coniugale. Nei casi in cui vi siano vari conflitti tra i coniugi, la Chiesa considera suo compito pastorale ricorrere a tutti gli strumenti e i mezzi che le sono propri (insegnamento, preghiera, partecipazione ai sacramenti) per preservare l'integrità del matrimonio ed evitare il divorzio. Anche i ministri del culto sono chiamati a dialogare con coloro che desiderano sposarsi, spiegando loro l'importanza e la serietà del passo che stanno per compiere.
Purtroppo, a volte, a causa dell'imperfezione che deriva dal peccato, i coniugi possono mostrarsi incapaci di custodire il dono della grazia, ricevuto nel sacramento del matrimonio, e di preservare l'integrità della famiglia. Desiderando la salvezza dei peccatori, la Chiesa dà loro la possibilità di ravvedersi ed è pronta, dopo il pentimento, a riammetterli di nuovo ai sacramenti.
Le leggi di Bisanzio, introdotte dagli imperatori cristiani senza incontrare la condanna della Chiesa, ammettevano diverse motivazioni per il divorzio. Nell'impero russo lo scioglimento del matrimonio in base alle leggi in vigore avveniva in un tribunale ecclesiastico.
Nel 1918, nella sua «Risoluzione sui motivi validi per lo scioglimento dell'unione matrimoniale consacrata dalla Chiesa», il santo Sinodo della Chiesa ortodossa russa riconosceva come validi motivi, oltre all'adulterio e alla contrazione di un nuovo matrimonio da parte di uno dei coniugi, anche l'apostasia del marito o della moglie dall'ortodossia, la perversione, l'impotenza sessuale iniziata prima del matrimonio o comparsa in seguito a un'automutilazione intenzionale, la malattia della lebbra o della sifilide, la prolungata assenza di un coniuge senza dare notizie di sé, la condanna a una pena connessa con la privazione di tutti i diritti civili, l'attentato alla vita o alla salute del coniuge o dei figli, la relazione extraconiugale con una cognata, la ruffianeria, lo sfruttamento della prostituzione della moglie, una grave malattia mentale incurabile e il malevolo abbandono di un coniuge da parte dell'altro. Al giorno d'oggi questo elenco di motivazioni per lo scioglimento del matrimonio è integrato da ragioni quali l'alcolismo cronico o la tossicodipendenza accertati da un medico e l'esecuzione da parte della donna di un aborto senza il consenso del marito.
Per la formazione spirituale di coloro che intendono sposarsi e per contribuire al consolidamento dei vincoli coniugali, i sacerdoti sono chiamati, nel colloquio che precede la celebrazione del sacramento del matrimonio, a chiarire in maniera particolareggiata al fidanzato e alla fidanzata che l'unione matrimoniale religiosa è indissolubile, specificando che il divorzio come extrema ratio può aver luogo solo nel caso in cui i coniugi abbiano commesso azioni definite dalla Chiesa come ragioni valide per il divorzio. Il consenso allo scioglimento del matrimonio religioso non può essere dato per soddisfare un capriccio o per «confermare» il divorzio civile. Del resto, se la disgregazione del matrimonio è un fatto compiuto – in particolare nel caso in cui i coniugi vivano separatamente – e la ricostituzione della famiglia sia considerata impossibile, può essere concesso anche il divorzio ecclesiastico qualora il pastore lo ritenga opportuno. La Chiesa non incoraggia affatto le seconde nozze. Nondimeno dopo un divorzio ecclesiastico legittimo, in conformità con il diritto canonico, un secondo matrimonio è permesso al coniuge incolpevole. A coloro che portino la responsabilità della disgregazione e dello scioglimento del loro primo matrimonio è permesso contrarre un secondo matrimonio solo a condizione che si siano pentiti e abbiano adempiuto la penitenza sacramentale, imposta in conformità con le leggi canoniche. Nei casi eccezionali in cui venga permesso il terzo matrimonio, viene prolungato il periodo della penitenza sacramentale, secondo le norme di Basilio Magno.
Nella sua «Risoluzione» del 28 dicembre 1998, il santo Sinodo della Chiesa ortodossa russa ha condannato le azioni di quei confessori che «proibiscono ai loro figli spirituali di contrarre un secondo matrimonio in base al fatto che il secondo matrimonio sarebbe condannato dalla Chiesa; e proibiscono alle coppie di coniugi il divorzio nel caso in cui, per una qualche circostanza, la vita familiare sia diventata per i coniugi insostenibile». A questo proposito il santo Sinodo ha deliberato che «i pastori dovrebbero ricordare che riguardo al secondo matrimonio la Chiesa ortodossa si attiene alle parole dell'apostolo Paolo: «Ti trovi legato a una donna? Non cercare di scioglierti. Sei sciolto da donna? Non andare a cercarla. Però se ti sposi non fai peccato; e se la giovane prende marito, non fa peccato... La moglie è vincolata per tutto il tempo in cui vive il marito; ma se il marito muore è libera di sposare chi vuole, purché ciò avvenga nel Signore» (1 Cor 7,27-28.39)». 

 

 

Chiesa domestica

X.4. La particolare intimità esistente tra la famiglia e la Chiesa è già evidente dal fatto che nella Sacra Scrittura Cristo parla di sé come dello sposo (Mt 9,15; 25,1-13; Lc 12,35-36), mentre la Chiesa è rappresentata come sua sposa o promessa sposa (Ef 5,24; Ap 21,9). Clemente Alessandrino definisce la famiglia – come pure la Chiesa – casa del Signore, e s. Giovanni Crisostomo definisce la famiglia «piccola Chiesa». «Vi dico ancora, scrive il padre santo, che il matrimonio è l'immagine mistica della Chiesa». Questa «Chiesa domestica» è formata dall'uomo e dalla donna che si amano reciprocamente, uniti in matrimonio, orientati a Cristo e da lui guidati. Frutto del loro amore e della loro unione sono i figli, la nascita ed educazione dei quali, secondo la dottrina ortodossa, costituiscono uno dei fini più importanti del matrimonio.
«Ecco, dono del Signore sono i figli, è sua grazia il frutto del grembo», esclama il salmista (Sal 127,3). Della natura salvifica propria della procreazione ha parlato l'apostolo Paolo (1 Tm 2,13). Ancora Paolo ha esortato i padri: «Non inasprite i vostri figli, ma allevateli nell'educazione e nella disciplina del Signore» (Ef 6,4). «I figli non sono un acquisto casuale, noi siamo responsabili della loro salvezza... Trascurare i figli è il più grande di tutti i peccati perché porta all'estrema empietà... Non abbiamo scuse se i nostri figli sono depravati», insiste s. Giovanni Crisostomo. Sant’Efrem il Siro insegna: «Beato colui [colei] che educa i figli nella pietà». «Vero padre non è colui che ha generato dei figli, ma colui che li ha educati e istruiti bene», scrive s. Tichon Zadonskij. Principalmente i genitori sono responsabili dell'educazione dei propri figli e non possono attribuire la colpa di una cattiva educazione a altri che a se stessi», predicava il santo martire Vladimir, metropolita di Kiev. «Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore, tuo Dio», recita il quinto comandamento (Es 20,12). Nell'Antico Testamento la mancanza di rispetto nei confronti dei genitori era considerata la più grave trasgressione (Es 21,15.17; Pr 20,20; 30,17). Anche il Nuovo Testamento insegna ai figli ad obbedire con amore ai genitori: «Voi, figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò è gradito al Signore» (Col 3,20).
La famiglia come chiesa domestica è un unico organismo, le cui membra vivono e costruiscono le proprie relazioni sulla legge dell'amore. L'esperienza dei rapporti familiari insegna alla persona a vincere l'egoismo frutto del peccato e getta le basi di un sano spirito civico. Proprio nella famiglia, come in una scuola di devozione, si forma e si rafforza un giusto atteggiamento verso il prossimo, e quindi verso il proprio popolo e la società nel suo complesso. La viva continuità delle generazioni, cominciando nella famiglia, si prolunga nell'amore per gli avi e per la patria, in un sentimento di compartecipazione alla storia. Ecco perché è tanto pericoloso deteriorare i legami tradizionali tra genitori e figli, cui purtroppo per molti aspetti contribuisce il modo di vivere della società contemporanea. La perdita di valenza sociale della maternità e della paternità rispetto ai successi ottenuti dagli uomini e dalle donne in campo professionale fa sì che i figli siano considerati un fardello inutile e contribuisce anche all'alienazione e allo sviluppo di un antagonismo tra le generazioni. Il ruolo della famiglia nella formazione della personalità è esclusivo e straordinario; nessun'altra istituzione sociale la può sostituire. L'erosione dei rapporti familiari comporta inevitabilmente la deformazione del normale sviluppo dei figli e lascia in loro una lunga, e in certa misura indelebile, traccia per tutta la vita.
Gravissima e scandalosa piaga della società contemporanea è diventato l'abbandono dei figli da parte dei genitori. Migliaia di bambini abbandonati, che riempiono gli orfanotrofi, e a volte vivono sulla strada, sono la testimonianza di un profondo malessere della società. Offrendo a questi bambini e ragazzi un aiuto spirituale e materiale, e preoccupandosi che siano coinvolti nella vita religiosa e sociale, la Chiesa nello stesso tempo considera suo dovere essenziale cercare di consolidare l'istituzione della famiglia e di suscitare nei genitori la coscienza della propria vocazione, cosa che eliminerebbe la tragedia dell’abbandono dei minori.

 

Dignità e vocazione della donna

X.5. Nel mondo precristiano era cosa comune considerare la donna un essere di ordine inferiore rispetto all'uomo. La Chiesa di Cristo ha rivelato pienamente la dignità e la vocazione della donna, dandovi un solido fondamento religioso, al cui vertice sta la venerazione della santissima Madre di Dio. Secondo la dottrina ortodossa, la beatissima Maria, benedetta fra tutte le donne (Lc 1,28), ha rivelato fino a quale altissimo grado di purezza morale, di perfezione spirituale e di santità l'umanità ha potuto elevarsi, superando anche la virtù delle schiere angeliche. In lei la maternità è resa sacra e si afferma l'importanza del principio femminile. Grazie all'assenso della Madre di Dio si compie il mistero dell'incarnazione, per mezzo del quale Maria diviene compartecipe dell'evento della salvezza e della rigenerazione dell'umanità. La Chiesa ha una profonda venerazione per le donne mirofore del Vangelo e per le numerose figure di donne cristiane, glorificate dal martirio, dalla professione della fede e dalla santità delle virtù. Sin dagli inizi dell'esistenza della comunità cristiana, la donna prende parte attiva alla sua edificazione, alla vita liturgica, all’attività missionaria, alla predicazione, alla catechesi e alla carità.
Pur apprezzando molto il ruolo sociale della donna e approvandone la parità politica, culturale e sociale con l’uomo, la Chiesa nello stesso tempo si oppone alla tendenza a sminuire il ruolo della donna come sposa e madre. La parità fondamentale della dignità dei sessi non sopprime la differenza naturale che c'è tra essi, né implica l'identità delle loro vocazioni nell’ambito della famiglia e della società. In particolare, la Chiesa non può contraddire le parole dell'apostolo Paolo sulla peculiare responsabilità del marito, che è chiamato a essere «il capo della moglie», amandola come Cristo ama la sua Chiesa, e sulla vocazione della moglie a obbedire al marito, come la Chiesa obbedisce a Cristo (Ef 5,22-23; Col 3,18). In queste parole, ovviamente, non ci si riferisce al dispotismo del marito o all'asservimento della moglie, ma alla supremazia nella responsabilità, nella sollecitudine e nell'amore; non bisogna però dimenticare che tutti i cristiani sono chiamati a essere «sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo» (Ef 5,21). Per questo «nel Signore, né la donna è senza l'uomo, né l'uomo è senza la donna; come infatti la donna deriva dall'uomo, così l'uomo ha vita dalla donna; tutto poi proviene da Dio» (1Cor 11,11-12).
I rappresentanti di alcuni movimenti sociali tendono a sminuire, e talora anche a negare del tutto, l'importanza del matrimonio e dell'istituto familiare, rivolgendo l'attenzione soprattutto alle attività socialmente significative delle donne, comprese quelle incompatibili o poco compatibili con la natura femminile (per esempio, un lavoro manuale pesante). Non di rado si fa appello a un’artificiosa equiparazione fra uomo e donna in tutti i campi dell'attività umana. La Chiesa invece vede la vocazione della donna non nella semplice emulazione dell'uomo o nella competizione con lui, ma nello sviluppo di tutte le capacità e le abilità di cui l'ha dotata il Signore, comprese quelle che sono peculiari solo alla sua natura. Evitando di porre l'accento esclusivamente sulla distribuzione delle funzioni sociali, l'antropologia cristiana attribuisce alla donna un posto molto più alto di quello che le è assegnato nelle concezioni areligiose contemporanee. La tendenza a eliminare o a minimizzare le differenze naturali nel campo sociale è estranea al pensiero della Chiesa. Le differenze sessuali, come le differenze sociali ed etiche, non impediscono di accedere alla salvezza, portata da Cristo a tutti gli esseri umani: «non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28). Tuttavia questa affermazione soteriologica non implica un artificioso impoverimento della varietà che c'è tra gli esseri umani e non deve essere estesa meccanicamente a tutte le relazioni sociali.

 

La virtù della castità

X.6. La virtù della castità, predicata dalla Chiesa, è il fondamento dell'unità interiore della personalità umana, che dovrebbe sempre trovarsi in una condizione di armonia tra le energie spirituali e fisiche. La fornicazione distrugge inevitabilmente l'armonia e l'integrità della vita dell'uomo, danneggiandone la salute spirituale. La dissolutezza offusca la visione spirituale e indurisce il cuore, rendendolo incapace di amore autentico. La felicità di una vita familiare piena diventa irraggiungibile per il dissoluto. In tal modo, il peccato contro la castità trascina con sé anche conseguenze sociali negative. Nella condizione di una crisi spirituale della società umana, i mass media e i prodotti della cosiddetta cultura di massa spesso diventano strumenti di corruzione morale, esaltando il lassismo sessuale, ogni genere di perversione sessuale e altre passioni peccaminose. La pornografia, che è lo sfruttamento dell'istinto sessuale per scopi commerciali, politici o ideologici, contribuisce al soffocamento dei principi spirituali e morali, riducendo in tal modo l'uomo al livello dell'animale, che è guidato dal solo istinto.

La propaganda del vizio è particolarmente dannosa per le anime non ancora ben formate dei bambini e dei giovani. Attraverso libri, film e video, attraverso i mezzi di comunicazione di massa e persino attraverso alcuni programmi «educativi» agli adolescenti viene spesso inculcata una visione dei rapporti sessuali che è estremamente umiliante per la dignità umana, perché non lascia spazio a concetti quali la castità, la fedeltà coniugale e l'amore capace di abnegazione. I rapporti intimi tra l'uomo e la donna non solo vengono esibiti ed esposti in maniera ostentata, offendendo il naturale senso del pudore, ma sono anche presentati come un atto di soddisfacimento puramente fisico, privo di qualsiasi connessione con una profonda comunione interiore e con qualsiasi genere di impegno morale. La Chiesa invita i credenti a lottare, in collaborazione con tutte le forze moralmente sane, contro la propagazione di questa tentazione diabolica che, contribuendo alla disgregazione della famiglia, mina le fondamenta della società.
«Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore», dice il Signore Gesù nel discorso della montagna (Mt 5,28). «La concupiscenza concepisce e genera il peccato, quand'è consumata produce la morte», ammonisce l'apostolo Giacomo (Gc 1,15). «... Né adulteri... erediteranno il regno di Dio», afferma l'apostolo Paolo (1Cor 6,9-10). Queste parole possono essere pienamente attribuite sia ai fruitori sia, ancor più, a coloro che producono materiale pornografico. A questi ultimi si applicano anche le parole di Cristo: «Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da un asino, e fosse gettato negli abissi del mare... Guai all'uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!» (Mt 18,6-7). «La fornicazione è un veleno che uccide l'anima... Chi fornica rinnega Cristo», insegnava s. Tichon Zadonskij. San Dimitrij di Rostov scriveva: «Il corpo di ogni cristiano non appartiene a lui, ma a Cristo, secondo le parole della Scrittura: 'Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte' (1Cor 12,27). Ed è sconveniente per te profanare il corpo di Cristo con azioni carnali, lussuriose, al di fuori del matrimonio legittimo. Tu infatti sei la casa di Dio, secondo le parole dell'Apostolo: 'Santo è il tempio di Dio, che siete voi' (1Cor 3,17)». La Chiesa antica negli scritti dei suoi padri e maestri (come Clemente Alessandrino, s. Gregorio di Nissa e s. Giovanni Crisostomo) ha invariabilmente condannato le rappresentazioni teatrali e le immagini oscene. Sotto la minaccia dell'esclusione dalla Chiesa, il 100° canone del Concilio trullano proibisce di produrre «immagini... che corrompono la mente e suscitano l'eccitamento dei piaceri impuri».
Il corpo umano è una stupenda creazione di Dio ed è destinata a diventare tempio dello Spirito Santo (1Cor 6,19-20). Condannando la pornografia e la fornicazione, la Chiesa non invita affatto a disprezzare il corpo o l'intimità sessuale come tali, perché i rapporti fisici tra l'uomo e la donna sono benedetti da Dio nel matrimonio, dove essi diventano la fonte della continuazione del genere umano ed esprimono l'amore casto, la piena comunione e l'«armonia delle anime e dei corpi» dei coniugi, per cui la Chiesa prega nella celebrazione del sacramento del matrimonio. Al contrario, ciò che di fatto va condannato è la tendenza a trasformare questi rapporti puri e degni secondo il progetto di Dio e lo stesso corpo umano in un oggetto di umiliante sfruttamento e di commercio, per trarre un soddisfacimento egoistico, impersonale, privo di amore e pervertito. Per questa ragione la Chiesa condanna invariabilmente la prostituzione e la predicazione del cosiddetto amore libero, che separa radicalmente l'intimità fisica dalla comunione personale e spirituale, dall'abnegazione e dalla totale responsabilità reciproca, che sono possibili solo nella fedeltà coniugale per tutta la vita.
Consapevole che la scuola, insieme alla famiglia, deve offrire ai bambini e agli adolescenti le nozioni sulla sessualità e sulla natura fisica dell'essere umano, la Chiesa non può approvare quei programmi di «educazione sessuale», che riconoscono come normali i rapporti prematrimoniali e, tanto più, le diverse perversioni. È assolutamente inaccettabile imporre tali programmi agli studenti. La scuola è chiamata a contrastare il vizio, che disgrega l'integrità della persona, a educare i giovani alla castità e a prepararli a creare una famiglia solida fondata sulla fedeltà e la purezza.

 
La formazione dell'anima - spirito, anima e corpo

Nella foto: padre Seraphim con il vescovo Nektary dopo la sua ordinazione sacerdotale, 11/24 Aprile 1977

 

L'anima che viene oggi all’Ortodossia si ritrova spesso in uno stato di svantaggio o addirittura paralizzata. Spesso si sente dire da convertiti, dopo alcuni anni di lotte apparentemente infruttuose, "non sapevo quello in cui stavo entrando quando sono diventato ortodosso". Alcuni percepiscono queste cose alla loro prima esposizione alla fede ortodossa, e questo può far rinviare il loro incontro con l'Ortodossia o anche farli fuggire del tutto da essa. Una cosa simile accade spesso a quelli che sono stati battezzati nell'infanzia quando raggiungono la maturità e devono scegliere se impegnarsi per la loro fede dell’infanzia.

Da un certo punto di vista, questo è il risultato del profondo impegno richiesto a coloro che prendono sul serio la fede ortodossa - un impegno che è molto diverso in natura da quello di coloro che si limitano a partecipare a una nuova denominazione o setta. Ci sono molte denominazioni con le loro diverse interpretazioni della vita cristiana, ma una sola Chiesa di Cristo, che vive la vera vita in Cristo e l'insegnamento e la pratica immutata degli Apostoli e dei Padri della Chiesa.

Ma da un punto di vista più pratico, il problema sta nella povertà della nostra anima moderna, che non è stata preparata o addestrata a ricevere le profondità della vera esperienza cristiana. Ci sono un aspetto culturale e uno psicologico di questa nostra povertà: l'educazione dei giovani di oggi, soprattutto in America, è notoriamente carente nello sviluppo di una risposta alle migliori espressioni dell'arte, letteratura e musica umana, e a seguito di questa carenza i giovani vengono formati a caso sotto l'influenza della televisione, della musica rock, e si altre manifestazioni della cultura (o meglio, anti-cultura) di oggi e, sia come causa che come risultato di questo - ma soprattutto per l'assenza da parte dei genitori e degli insegnanti di qualsiasi idea consapevole di ciò che è la vita cristiana e di come un giovane dovrebbe essere allevato in essa - l'anima di una persona che è sopravvissuta gli anni della giovinezza è spesso un deserto emotivo, e nella migliore delle ipotesi rivela carenze in quegli atteggiamenti di fondo nei confronti della vita che una volta erano considerati normali e indispensabili.

Pochi sono coloro che oggi possono esprimere chiaramente le loro emozioni e idee e affrontarle in modo maturo, molti non sanno nemmeno cosa sta succedendo dentro di loro. La vita è suddivisa artificialmente in lavoro (e ben pochi ci possono mettere la parte migliore di se stessi, il loro cuore, perché è "solo per i soldi"), gioco (in cui molti vedono il vero significato della loro vita), religione (di solito non più di una o due ore alla settimana), e simili, senza una unità di fondo che dà senso a tutta la propria vita. Molti, trovando la vita quotidiana insoddisfacente, provano a vivere in un mondo fantastico di propria creazione (nel quale provano a far stare anche la religione). E alla base di tutta la cultura moderna c’è il denominatore comune del culto di se stessi e della propria comodità, cosa mortale per qualsiasi idea di vita spirituale.

Ecco qualcosa sullo sfondo, sul "bagaglio culturale", che una persona porta con sé oggi quando diventa ortodossa. Molti, naturalmente, sopravvivono come ortodossi, nonostante il loro background, alcuni a causa di tale background sperimentano qualche disastro spirituale, ma per un buon numero rimangono storpi o per lo meno spiritualmente sottosviluppati, perché sono semplicemente impreparati e ignari delle reali esigenze della vita spirituale.

Per iniziare a considerare questo problema (e, si spera, per aiutare alcuni di quelli che ne sono turfati), vediamo qui brevemente la dottrina ortodossa sulla natura umana come esposta da un profondo scrittore ortodosso del XIX secolo, un vero Santo Padre di questi ultimi tempi - il vescovo Teofane il Recluso (+1892). Nel suo Libro, La vita spirituale (ristampato a Jordanville nel 1962), egli scrive:

"La vita umana è complessa e multiforme. In essa vi è un lato del corpo, un altro dell'anima, e un altro dello spirito. Ognuno di questi ha le sue facoltà e le sue esigenze, i suoi metodi e il loro esercizio e soddisfazione. Solo quando tutte le nostre facoltà sono in moto e tutti i nostri bisogni sono soddisfatti un uomo vive davvero. Ma quando solo una piccola parte di queste facoltà è in moto e solo una piccola parte dei nostri bisogni è soddisfatta, una vita non è una vita... Un uomo non vive in modo umano se tutto, in lui, non è in moto... Bisogna vivere come Dio ci ha creati, e quando non si vive così si può dire con fiducia che non si vive per niente" (p. 7).

La distinzione fatta qui tra "anima" e "spirito" non vuol dire che si tratta di entità separate all'interno della natura umana, ma piuttosto lo "spirito" è la parte più alta, e l'"anima" la parte inferiore, di una sola parte invisibile dell'uomo (che nel suo insieme è di solito chiamata "l'anima"). All'"anima" in questo senso appartengono quelle idee e sentimenti che non sono occupati direttamente con la vita spirituale, la maggior parte dell'arte umana, della conoscenza e della cultura, mentre allo "spirito" appartengono gli sforzi dell'uomo verso Dio attraverso la preghiera, l'arte sacra, e l'obbedienza alla legge di Dio.

Da queste parole del vescovo Teofane si può già individuare un difetto comune delle persone che oggi sono in cerca di vita spirituale: non tutte le parti della loro natura sono in moto, stanno cercando di soddisfare le esigenze religiose (le esigenze dello spirito) senza aver fatto i conti con alcune delle loro altre esigenze (in particolare, quelle psicologiche ed emotive), o peggio: usano la religione illegittimamente per soddisfare queste esigenze psicologiche. Per tali persone la religione è una cosa artificiale che non ha ancora toccato la loro parte più profonda, e spesso un evento sconvolgente della loro vita, o semplicemente l'attrazione naturale del mondo, è sufficiente a distruggere il loro universo di plastica, allontanandoli dalla religione. A volte queste persone, dopo esperienze amare della vita, ritornano alla religione: ma troppo spesso si perdono, o nel migliore dei cari rimangono paralizzati e senza frutto.

Il vescovo Teofane prosegue nel suo insegnamento: "Un uomo ha tre livelli di vita: dello spirito, dell'anima e del corpo. Ognuno di questi ha la sua somma di bisogni, naturali e appropriati a un uomo. Queste esigenze non sono tutte di uguale valore, ma alcune sono più alte e altre più basse, e la loro soddisfazione equilibrata dà all’uomo la pace. I bisogni spirituali sono i più alti di tutti, e quando sono soddisfatti, allora c'è la pace anche se gli altri non sono soddisfatti, ma quando i bisogni spirituali non sono soddisfatti, allora anche se gli altri sono soddisfatti in abbondanza, non c'è pace. Di conseguenza, la soddisfazione delle esigenze spirituali si chiama la cosa necessaria".

"Quando i bisogni spirituali sono soddisfatti, essi istruiscono un essere umano a mettere in armonia con loro anche la soddisfazione dei propri altri bisogni, in modo che né ciò che soddisfa l'anima, né ciò che soddisfa il corpo contraddica la vita spirituale, ma l’aiuti, e ci sia quindi una piena armonia in un uomo di tutti i movimenti e le rivelazioni della sua vita, un'armonia di pensieri, sentimenti, desideri, realizzazioni, relazioni, piaceri. E questo è il paradiso! "

Ai nostri giorni, l'ingrediente principale che manca in questa armonia ideale della vita umana è qualcosa che si potrebbe chiamare lo sviluppo emotivo dell'anima. È qualcosa di non direttamente spirituale, ma che molto spesso ostacola lo sviluppo spirituale. È lo stato di chi, mentre può pensare che ha sete di lotte spirituali e di una vita elevata di preghiera, è scarsamente in grado di rispondere alla normalità dell'amore e dell'amicizia umana, perché se uno dice: Io amo Dio, e odia il suo fratello, è un mentitore, poiché colui che non ama suo fratello che vede, non può amare Dio che non vede" (1 Giovanni 4:20).

In alcune persone questo difetto esiste in una forma estrema; ma come tendenza è presente in qualche misura in tutti noi che siamo stati cresciuti nel deserto emotivo e spirituale dei nostri tempi.

Stando così le cose, è spesso necessario per noi umiliare i nostri impulsi e sforzi apparentemente spirituali, e mettere alla prova la nostra disponibilità umana ed emotiva. A volte un padre spirituale potrà negare al suo figlio spirituale la lettura di qualche libro spirituale e dargli invece un romanzo di Dostoevskij o di Dickens, o lo incoraggerà a prendere confidenza con un certo tipo di musica classica, non con uno scopo "estetico" in mente, perché si può essere un "esperto" in materia e anche essere "emotivamente ben sviluppati" senza il minimo interesse per la lotta spirituale (e anche questo è uno stato sbilanciato) ma solo per affinare e formare la sua anima e renderla meglio disponibile a capire i genuini testi spirituali.

Il vescovo Teofane, nel suo consiglio a una giovane donna che si stava preparando nel mondo alla vita monastica, le permetteva di leggere (oltre ad altri libri non spirituali) certi romanzi "consigliati da persone ben intenzionate che li hanno letti": Con questo in mente, la rubrica "Orthodox America" ​​consiglia e introduce alcune opere della letteratura e dell'arte (non escludendo la forma d'arte moderna del film) che possono essere utilizzate nella formazione delle anime, in particolare dei giovani, verso atteggiamenti umani ed emozioni che possono metterli in grado di comprendere e perseguire le mete più alte della vita spirituale.

 
116

Foto 116

 
FotosSez.php?locale=ro&fotossezPage=1 FotosSez.php?locale=ro&fotossezPage=18   15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 di 103  FotosSez.php?locale=ro&fotossezPage=20 FotosSez.php?locale=ro&fotossezPage=103  
Pagina principală  >  GALLERIE FOTOGRAFICHE