Eccomi rientrato dal pellegrinaggio, e pronto - prima di ritornare al normale corso del sito - a stendere qualche nota di riepilogo.
Il viaggio attraverso l’Albania e il mare Adriatico, in senso stretto, non farebbe più parte del pellegrinaggio in Kossovo, ma presenta alcune connessioni che vale la pena esplorare. Il viaggio del “Trasporto solidale 2.0” dell’Associazione Amici di Decani parte da Gracanica e percorre tutta l’estensione della nuova autostrada che collega Pristina a Tirana. Si tratta della seconda più costosa grande opera sul continente europeo (…subito dopo il tunnel della Manica!), e per ora è senza pedaggio, anche se le autorità europee la vorrebbero presto rendere redditizia. Per intenderci, questo comporterebbe, in Kossovo e in Albania, il pagamento di un pedaggio autostradale pari a un quinto di uno stipendio mensile medio. Sospendiamo il giudizio su quanto queste opere faraoniche siano uno schiaffo alla miseria di decine di migliaia di abitanti dei due paesi, e soffermiamoci su ciò che significa questo collegamento per i pellegrini. Prima dell’inaugurazione dell’autostrada, il “normale” percorso dal monastero di Decani a Tirana prendeva dieci ore di auto, da percorrere rigorosamente di giorno (ci vuole del fegato a guidare al buio sui tornanti delle Alpi albanesi), e il minimo intoppo assicurava la perdita dei traghetti per l’Italia. Oggi, il percorso è decorosamente percorribile in tre ore d’auto. Questo avvicina i pellegrini in modo impressionante: ci rifletto mentre, appena sbarcato a Bari, faccio una visita alla basilica di san Nicola. Di fronte alla tomba di san Nicola, il mio sguardo si sofferma sull’icona donata proprio da santo Stefano di Decani.
Sono preda di uno shock da globalizzazione: è possibile che i miei occhi, che appena un giorno prima si erano posati sul sepolcro di re Stefano a Decani, siano ora di fronte alla sua icona alla tomba di san Nicola? E dire che sono arrivato con due mezzi relativamente lenti (un camion e un traghetto). Mi immagino quanto il viaggio sia più facile con autoveicoli meno ingombranti e più veloci.
Ho un curioso incontro, nella cripta della basilica, con un sacerdote di Kemerov: è proprio vero, per far incontrare il clero ortodosso della Siberia con quello delle altre parti del mondo, bisogna andare a Mosca o a Bari… ma forse a Bari è più facile per tutti. È incuriosito di conoscermi, ma non è più di tanto stupito: sa che ci sono parrocchie della Chiesa russa rette da italiani, sa che c’è una di queste parrocchie a Torino, vorrebbe fare un pellegrinaggio anche alla Sindone… ora realizzo che lui e gli altri pellegrini potrebbero altrettanto facilmente visitare Decani. La Russia non riconosce il Kossovo indipendente, e per i cittadini russi potrebbe essere difficile (e magari umiliante) ottenere un visto specifico, ma tutti i russi possessori di visti Schengen, come i pellegrini a Bari, possono ora includere i luoghi santi del Kossovo come mete del loro pellegrinaggio, semplicemente facendo a ritroso il percorso che ha portato me da Decani a Bari. Riceverebbero un’accoglienza a dir poco regale.
Dieci anni fa, durante il mio precedente soggiorno a Decani, avevo sentito il vescovo Atanasije (Jevtic) fare un’affermazione veramente paradossale: avrebbe desiderato un tunnel che, partendo dalle terre serbe, potesse sbucare direttamente in Italia. Allora mi era sembrata un’amabile provocazione per rompere l’isolamento degli ortodossi serbi; oggi, con il senno di poi, le parole di vladika Atanasije si sono realizzate in modo profetico: c’è perfino il tunnel, sotto una mezza dozzina di chilometri di Alpi albanesi. A noi spetta la responsabilità di non lasciare che questa strada rimanga un’utopia.
Passo nel monastero di Decani le ultime ore prima della partenza. Il mio viaggio nel Kossovo non si esaurisce con l’uscita dal paese, ma prosegue su un mezzo di trasporto quanto mai insolito: uno dei camion usati dall’Associazione Amici di Decani per portare gli aiuti umanitari (soprattutto generi alimentari) generosamente donati da molti benefattori italiani. La spedizione, denominata Trasporto Solidale 2.0, dovrà raggiungere Durrësi (Durazzo) in serata, per imbarcarsi sul traghetto per Bari. Non avrò verosimilmente collegamenti con Internet per tenervi aggiornati sui dettagli di questa parte del viaggio, per cui vi offro, a titolo di anticipo, la foto della cattedrale di Durrësi (Chiesa ortodossa autocefala d’Albania), dedicata ai santi Paolo e Asteio:
Sono molte le persone a cui devo essere profondamente grato per questo viaggio; alcune di queste le avete viste durante le varie tappe del viaggio, attraverso testi, collegamenti, foto e filmati; altre probabilmente non desiderano troppa pubblicità per mezzo di questi aggiornamenti di blog, ma tutti si meritano un riconoscimento speciale. E quale riconoscimento è migliore di una raccomandazione diretta a un sovrano?
Santo Re Stefano, intercedi presso Dio per i tuoi figli!
Al posto di un epilogo...
Qui finisce il viaggio di un singolo ortodosso italiano in Kossovo, ma sicuramente nascerà in molti altri il desiderio di ripercorrere questi sentieri (magari non tutti... ma confido di aver lasciato abbastanza appigli per un pellegrinaggio significativo).
Non intendo stare a dire molto altro (diverrei facilmente noioso), ma voglio almeno sgombrare il campo da una paura ricorrente e in massima parte infondata: “oggi andare in Kossovo non è pericoloso?” Sicuramente è un paese in cui covano ancora risentimenti e tensioni irrisolte, e di fronte a tali situazioni bisogna usare una certa prudenza, ma dalla mia esperienza posso dire (e sono stato nei punti più caldi...) di non essere mai stato maltrattato o minacciato, né di essermi sentito a disagio. Per la verità, dovrei pure confessare di avere subito un attentato! All’uscita dall’ambasciata italiana a Pristina, nel tratto di strada di fronte all’ambasciata della Repubblica di Macedonia, la nostra auto è stata oggetto del lancio di... una palla di neve. Probabilmente è lo stesso livello di rischio in cui un visitatore di oggi può rischiare di imbattersi, nonostante tutte le cautele: un insulto da parte di qualche ragazzotto, o cose del genere. In tutti questi casi, la cosa migliore è affidarsi all’esperienza di chi il Kossovo lo ha visto davanti ai suoi occhi per anni.
Il monastero di Decani aspetta i suoi visitatori dall’Italia con un’accoglienza che oggi nessun altro monastero ortodosso può eguagliare: la competenza nella lingua e cultura italiana che vi si respira è superiore a quella che offrono alcuni luoghi di culto ortodossi in... Italia. L’Associazione Amici di Decani è pronta a farsi in quattro per offrire viaggi significativi e ricchi di esperienza (e, non guasta dirlo, straordinariamente economici) a chiunque voglia fare un’esperienza che segnerà profondamente la sua vita e il suo cammino spirituale.
Lascio il monastero di Decani sotto una coltre di neve che nasconde (ma non risolve) tutte le strane contraddizioni di questa terra. Sono atteso a Prizren per tenere agli studenti delle tre classi del seminario una “lectio magistralis” sulla situazione della Chiesa ortodossa in Italia. Non so chi tra noi è più incuriosito dall’altro: una classe che si trova di fronte uno ieromonaco ortodosso italiano, o quest’ultimo che assiste alla rinascita della speranza nelle comunità ortodosse del Kossovo. Ma i nostri problemi, alla fin fine, sono molto simili: iniziamo a parlare di chi vede nella Chiesa solo un’identità culturale, e terminiamo notando quanto è importante che la vita della Chiesa coinvolga tutti, e non solo i sacerdoti presenti e futuri. Anche il vescovo Teodosije, che qui lavora anche come insegnante e che mi riceve con il suo abituale affetto paterno, è d’accordo nell’insistere nel coinvolgimento attivo di tutti i cristiani.
Al seminario di Prizren, con il vescovo Teodosije, padre Andrej e gli studenti
Anche le mie parole di incoraggiamento ai ragazzi devono sembrare loro un po’ paradossali: proprio da un paese come l’Italia, con circa trecento parrocchie ortodosse, ma nessun seminario, devono davvero fare uno sforzo per capire perché ci interessiamo di loro. Eppure, riportare speranza a comunità che sarebbero davvero senza speranza è una meta importante. La parrocchia di san Massimo di Torino dà il suo contributo mantenendo negli studi uno dei ragazzi: non è uno sforzo eccessivo, e forse molte parrocchie ortodosse in Italia potrebbero, se non contribuire agli studi di un seminarista, almeno dare un aiuto significativo a questo esempio di risurrezione dal vivo.
Strahinja, giovane musicista e cantore, è il seminarista aiutato negli studi dalla nostra parrocchia
Il mio viaggio mi porta da Prizren alla zona montuosa a nord di Gracanica, a osservare da vicino un fenomeno locale di aiuto ai poveri, che non sfigurerebbe in Italia: le cucine popolari di Prekovce, dove la presbitera Svetlana Stevic organizza la raccolta e la distribuzione di cibo agli abitanti dei villaggi più disagiati. Qui ho l’occasione di vedere quanto le attività dell’Associazione Amici di Decani sono importanti, e quanto gli aiuti dati dall’Italia (sotto qualsiasi forma) prendono corpo in una straordinaria opera di solidarietà. Ma qui è meglio che io taccia: lasciamo parlare direttamente gli attivisti dell’associazione in questa pagina sulle cucine popolari.
Non è la prima volta nella vita che mi sveglio all’annuncio della preghiera islamica, ma l’effetto dell’annuncio (registrato) diffuso dai minareti di Prizren è forte. Quando mi avvio verso la chiesa di san Giorgio per la Divina Liturgia ortodossa, immagino che vedrò la grande moschea di Sinan Pascià, se non frequentata, per lo meno aperta. Ma non è così. Questo mi porta a pensare quanto l’islam, da queste parti, possa essere visto più che altro come un mero fatto di identificazione sociale di persone e di gruppi. Ma non c’è da sottovalutare l’ingresso sempre più intenso (e intensamente finanziato) del wahabismo saudita nel paese.
Entro nella chiesa di san Giorgio, fatta saltare con il tritolo nel 2004, e oggi ricostruita più robusta di prima (a qualcosa servono pure, i finanzamenti della comunità internazionale), e concelebro alla Liturgia in greco, serbo, slavonico ecclesiastico e. . . italiano. I seminaristi mi riempiono di una certa ammirazione: questa ”cucciolata” di futuri sacerdoti non rappresenta solo la sopravvivenza di un numero di parrocchie, ma anche il tessuto connettivo di un organismo sociale che dimostra un’incredibile capacità di rigenerarsi.
Al termine della funzione, ammiro i locali del complesso del seminario: dopo essere stati ampliati – a partire dalle costruzioni del tardo XIX secolo – nel 1996, hanno subito bombardamenti, abbandono, devastazioni. Ora completamente rinato dal poco rimasto dopo gli incendi del 2004, il seminario ospita 36 seminaristi dai 13 ai 20 anni, divisi in tre classi annuali. Li rivedrò domattina, per tenere loro una lezione. Vedremo pure che cosa possono fare gli ortodossi italiani per facilitare il loro cammino.
Al rientro a Decani, trovo il monastero sotto il primo manto di neve (osservate la foto dal blog del 22 novembre...). Lo spettacolo è affascinante, se visto da un solido edificio monastico riscaldato; un pò meno se visto da un’abitazione di fortuna in un’enclave: i monaci dovranno iniziare da oggi stesso le loro visite ai più bisognosi dei dintorni.
A Decani ho anche la notizia che è finalmente disponibile su YouTube il video realizzato dagli amici italiani del monastero, a proposito della recente festa, che comprende anche una mia piccola comparsa personale:
27/11/2013
Padre Raphael Morgan: il primo prete ortodosso di colore in America
Da una delle ricerche di Matthew Namee sulle origini dell’Ortodossia in America, raccogliamo la storia del primo prete ortodosso giamaicano-americano, padre Raphael (Robert) Josias Morgan: una storia affascinante (per quanto ancora frammentaria) che ci conferma che il messaggio dell’Ortodossia non conosce limiti di etnie e di culture. Presentiamo la storia di padre Raphael Morgan nella sezione “Testimoni dell’Ortodossia” dei documenti.
Oggi ho avuto per la prima volta l'occasione di vedere il Kossovo in tutta la sua estensione geografica e sociale, dal nord al sud. Cerco di focalizzarmi su quattro punti del mio viaggio:
1 - Gracanica
In confronto alla frenetica, moderna e sfacciatamente ricca vita di Pristina, la nuova capitale, l'enclave serba di Gracanica (pron. Graciànitsa) sembra bloccata nel passato e nei ricordi, con un gioiello di monastero (patrimonio dell'umanità tutelato dall'UNESCO), una sede episcopale un po' forzata (la vera sede del vescovo del Kossovo era a Prizren, nel sud) e un conglomerato di alcune migliaia di abitanti che nel momento del maggiore bisogno non hanno trovato un punto migliore del monastero per agglomerarsi e per difendere la propria identità e i propri diritti. I lavori pubblici sono frutto degli sforzi della diocesi, che qui deve occuparsi anche di far costruire strade, di far funzionare un ospedale, di offrire speranza a decine di famiglie di profughi che hanno perso tutto e vivono in container... ci sarebbe molto da dire, troppo per una visita tanto breve.
Voglio ricordare un momento curioso della visita all'antica chiesa... tra i cartelli di vari divieti (di abbigliamento scollato, etc.), che capita di vedere in molte chiese, ne spicca uno di divieto di ingresso con armi da fuoco. Chissà come reagirebbero, in Italia, a un simile divieto in evidenza di fronte a una chiesa).
2 - Gazimestan
Anche la torre-ricordo della battaglia di Kosovo Polje fa parte degli edifici vandalizzati nei pogrom del 2004. Qui neppure quattro mura del genere sono indenni dalla furia distruttiva. Mentre guardo l'antica zona della battaglia dalla cima della torre, mi chiedo quanto tempo dovrà ancora passare per vedere la pace dopo secoli di lotta impari, che hanno visto i cristiani sempre in minoranza, sempre costretti a battaglie già perse, sempre disposti a sacrificarsi volontariamente. Anche quando tutto sembra far sperare per il meglio... nelle foto della celebrazione del 1989, si vede un impressionante milione di persone radunato attorno alla torre di Gazimestan (il "luogo degli eroi"). Dove sarà ora, quel milione di persone? Che cosa starà pensando? Mentre osservo e rifletto, turbini di vento portano i primi fiocchi di neve di questa stagione invernale. Speriamo che la neve, che qui cade abbondante, non porti isolamento e disperazione a tanti tra i più poveri e diseredati, privati di un futuro dignitoso da giochi di potere molto più grandi di loro.
3 - Kosovska Mitrovica
Molto più che nelle enclavi nel resto del paese, la situazione del nord del Kossovo riflette i paradossi, i vicoli ciechi dell'umanità e del buon senso che hanno martoriato questa terra. Mitrovica (pron. Mìtrovitsa), come perfetto esempio di "città divisa in se stessa", vede contrapposte, sulle rive del fiume Ibar, la parte sud albanese e musulmana (con l'antico cimitero cristiano ortodosso), e la parte nord serba e cristiana ortodossa (con l'antico cimitero musulmano). La stupidità sembra equamente divisa su entrambe le rive, con bande giovanili che si affrontano quotidianamente a insulti e sassate (e raccontano tutto un mondo di mancanza di visione del futuro da parte dei giovani locali), ma le attitudini generali di rispetto non sono le stesse: il cimitero cristiano al sud subisce profanazioni su base praticamente quotidiana, esaurendo la pazienza dei carabinieri italiani che devono presidiarlo; il cimitero musulmano al nord non ha mai avuto danni.
Si potrebbe aggiungere molto sulla situazione di Mitrovica, e sull'inadeguatezza generale di ogni tentativo di soluzione. Passeggio sul "ponte della discordia", con le sue barricate di sassi e terra erette per bloccare i blindati, le sue postazioni di cecchini da entrambe le parti, il suo posto di guardia di carabinieri stanchi, che ormai intervengono solo nei casi di estrema tensione. Come prevedibile, vengo salutato da una parte e guardato con disprezzo dall'altra: chissà cosa direbbero se sapessero che non faccio parte di nessuno dei due schieramenti, ma ironicamente sono proprio un connazionale di quei carabinieri nel mezzo... o forse chi deve saperlo lo sa, e non spreca tempo e parole con uno straniero che non cambierà nulla della loro situazione. Penso a Belfast, a Gerusalemme, a Nicosia, a tante città divise in due: piuttosto che "uno spaccato di una società", qui vedo "una società spaccata". Non sono tanto cretino da pretendere di avere una soluzione in tasca, ma neppure tanto insensibile da dire che non mi compete fare qualcosa. Le impressioni di questa visita - e la ricerca di un'uscita da questo caos - mi accompagneranno a lungo.
4 - Prizren
Sono atteso per il vespro e per la cena al seminario di Prizren, dove padre Andrej, il monaco di Decani che da anni è noto in tutte le chiese ortodosse in Italia, ha assunto per il terzo anno il ruolo di pro-rettore del seminario recentemente restaurato e rinato a nuova vita. Domani mi riprometto di parlare più diffusamente dei miracoli che hanno circondato questa rinascita, e spero di iniziare la giornata con la Liturgia del giorno di festa di san Giovanni Crisostomo: in una concelebrazione tra preti del Kossovo, di Cipro e dell'Italia dovrei essere l'unico che non proviene da una terra divisa a metà... a tutti buona festa del santo più di tutti legato alla Divina Liturgia, e restate in ascolto!
Continuiamo il nostro viaggio alla scoperta dell'Ortodossia in tutti i paesi del mondo: presentiamo nella sezione "Pastorale" dei documenti un'intervista fatta da Miguel Palacio, collaboratore del metropolita Ilarion (Alfeev) al Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca, al fondatore della prima chiesa ortodossa in Costa Rica, Nicholas Zacharov. L'intervista, oltre che a presentare dati interessanti sullo sviluppo relativamente tardivo della Chiesa ortodossa in Costa Rica, racconta dati preziosi sulla storia dei profughi russi nel mondo, e sul loro attaccamento alla Chiesa.
È terminata la celebrazione della festa del santo re Stefano di Decani, che è anche la Slava del monastero. Il patriarca Irinej è da poco partito assieme al vescovo Teodosije, con un vero commiato di un padre dai suoi figli, lasciando la solita quantità di ricordi che ci vorrà tempo per incasellare nella nostra memoria.
Ricorderemo a lungo nella nostra parrocchia una Liturgia patriarcale nella quale il parroco ha avuto l’onore di essere il secondo prete concelebrante, come si può vedere nella seguente foto, appena caricata sulla pagina Facebook del seminario teologico di Prizren:
Il nuovo konak (edificio monastico) è stato ufficialmente inaugurato, e il regno di Norvegia, che ne ha finanziato la costruzione, ha avuto le massime onorificenze di gratitudine da parte della Chiesa ortodossa serba.
Mi accompagnano le molte impressioni raccolte (almeno per il giorno della festa, tutte positive!) tra i rappresentanti del corpo diplomatico, i militari, i pellegrini (di cui un gruppo dall’Italia) e gli amici del monastero. Spero di riuscire a raccogliere nel corso dei giorni che verranno alcune di queste testimonianze (è in preparazione un filmato in cui sono stati inclusi anche alcuni secondi di una mia intervista personale) e di metterle a vostra disposizione: restate in ascolto…
25/11/2013
Che cosa significa questo gesto della mano nelle icone?
Spesso ci troviamo di fronte a icone - soprattutto di Gesù Cristo - in cui si raffigura un particolare gesto con le mani. Per capirne il significato simbolico e le probabili origini, immergiamoci nella lettura di un articolo di spiegazione che presentiamo nella sezione "Testimoni dell'Ortodossia" (di fatto, il gesto è una testimonianza di fede cristiana ortodossa) dei documenti.
Il resoconto di oggi da Decani deve essere più breve, perché resta poco tempo prima della Veglia della festa patronale. Gli ospiti importanti stanno iniziando ad arrivare; da poco è giunto sua Santità il Patriarca Irinej, che dopo la dossologia di benvenuto nella chiesa sta visitando il nuovo konak (edificio di abitazione dei monaci), offerto in parte grazie a una generosa donazione del governo norvegese, ma frutto degli sforzi di tutti. C’è ancora un embargo sulle immagini dei nuovi quartieri monastici, che dovrebbe durare fino alla loro benedizione da parte del patriarca e all’inaugurazione ufficiale, ma credo di poter già condividere alcune delle impressioni della visita che mi hanno concesso di fare ieri ai locali. In parte la nuova costruzione monastica riesce a offrire un poco d’isolamento all’interno del complesso di Decani, ormai visitato da sempre più persone: tutto, in questo “monastero all’interno del monastero”, parla di serietà e di mentalità monastica autentica: costruzioni sobrie ma solide, fatte per durare, realizzate con cura ma senza sprecare nulla, nella consapevolezza che tutti quelli che hanno donato qualcosa per il monastero lo hanno fatto a grande costo personale. I nuovi quartieri danno anche testimonianza della devozione espressa dalla comunità, che per oltre due decenni ha dovuto vivere piuttosto allo stretto.
Le notizie non si fermano, purtroppo, al momento di gioia della festa: questa mattina ho avuto la prima occasione di fare una visita - che mi era stata impossibile dieci anni fa - alle poche enclave serbe ancora rimaste in Metohija. Le sensazioni sono troppo complesse per essere descritte in breve: in particolare, le continue notizie di violazioni di diritti umani (che farebbero inorridire chiunque in Italia) meriteranno qualche ulteriore approfondimento. Per ora, affidiamo al santo re Stefano (che da sovrano secolare era molto sensibile al grido di dolore del suo popolo) le speranze che ancora portiamo nel cuore.
PS. Un ringraziamento a tutti i lettori del sito, che da questa mattina ci hanno fatto superare il numero di 50.000 visite totali! Da parte nostra, continuiamo a darci da fare per offrire a tutti un servizio utile e di qualità.
Lo ieromonaco Petru (Pruteanu) ci accompagna in un'altra serie di considerazioni sul tema - che abbiamo già trattato in alcune occasioni, anche in saggi tradotti dal suo blog - della frequenza della comunione eucaristica e del rapporto tra confessione e comunione. Padre Petru ci avvisa di fare attenzione alle facili generalizzazioni (tanto più quelle che vorrebbero dividere artificialmente gli ortodossi fra "tradizionalisti" e "liberali"), e analizza quattro di versi tipi di approccio pastorale, delineando quello che a suo avviso è il più indicato. Riportiamo il testo romeno e la traduzione italiana del saggio di padre Petru nella sezione "Ortoprassi" dei documenti.
Presentiamo nella sezione "Geopolitica ortodossa" dei documenti un commento dell'arciprete Andrew Phillips sulla recente decisione dell'Ucraina di fermare il processo del suo inglobamento nella Comunità Europea. Le considerazioni di padre Andrew, benché note nel cuore della cosiddetta "ortosfera", sono probabilmente ignorate (quando non deliberatamente travisate) dai media dell'Europa occidentale: vale la pena di riflettere sul perché un paese gande e popoloso all'incirca quanto l'Italia non ha alcun interesse di entrare a condividere la nostra condizione.
Di ritorno in Kossovo e al monastero di Decani dopo dieci anni, ho molto lavoro da fare per metabolizzare i cambiamenti di questa terra, con la quale mi sono tenuto peraltro in stretto contatto in tutto questo periodo. Il monastero sfida il passaggio dei tempi e dei regimi politici ed economici, continuando a essere un faro d’ispirazione spirituale; il santo re Stefano continua a proteggere il suo popolo, e sotto molti aspetti il monastero è ancora quello che ho visto per la prima volta, arrivando sotto scorta militare una notte di fine novembre di dieci anni fa.
Non immaginavo, invece, di vedere un altro aspetto sostanzialmente immutato: la precarietà.
C’è una preoccupante mancanza di visione per quanto riguarda il futuro dei cristiani ortodossi marginalizzati e sofferenti. Questa mancanza di visione è ben visibile nel risultato delle recenti elezioni. I serbi del Kossovo hanno appena perso la possibilità di esprimere candidati propri a livello amministrativo locale (l’unico campo in cui la loro voce può contare qualcosa in questo paese), suddivisi tra l’oltranzismo nazionalista dei boicottaggi (e della deplorevole demonizzazione di quanti hanno voluto comunque esprimere un voto), e la polverizzazione dei voti validi tra diversi candidati in concorrenza tra loro. Non ho potuto far altro che annuire (amaramente) quando mi è stato detto che la sopravvivenza dell’Ortodossia serba in Kossovo, in queste circostanze autolesioniste, è la più evidente prova dell’esistenza di Dio.
Ora fervono i preparativi per la celebrazione della festa patronale del monastero, con l’attesa di ospiti davvero importanti. Restate in ascolto… intanto, ecco alcune foto dalla recente Liturgia della festa dei santi Arcangeli al monastero:
Anche in lingua italiana, come in inglese, si legge talvolta la terminologia "scrittura di icone" per tradurre il greco "iconografia". Questa terminologia strana e convoluta ha fatto nascere teorie altrettanto strane sul fatto che le icone "non si dipingono, ma si scrivono". Cerchiamo di fare chiarezza in questo equivoco esclusivamente linguistico con un articolo tratto dal sito Orthodox History, che presentiamo in traduzione italiana nella sezione "Ortoprassi" dei documenti.
Da domani, per circa una settimana, gli aggiornamenti del sito saranno fatti non da Torino, bensì dal Kossovo, dove una nostra visita era da lungo tempo attesa. Da una parte potrebbero esserci alcuni ritardi nelle novità quotidiane, e ce ne scusiamo in anticipo con i nostri lettori; d’altra parte speriamo che le novità possano acquistare ulteriore profondità con un apporto da parte della prospettiva della Chiesa ortodossa serba.