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Sezione 1

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Intervista a padre Alexy Chumakov


Pubblichiamo, nella sezione "Figure dell'Ortodossia contemporanea" dei documenti, il testo russo e la traduzione italiana dell'intervista del 2008 a padre Alexy Chumakov, rettore della parrocchia della Protezione della Santa Vergine (Chiesa russa all'estero) di Los Angeles), che diversi anni fa è stato nostro corrispondente. Padre Alexy, che è l'erede e il continuatore della missione di evangelizzazione multilingue del compianto vescovo Alexander (Mileant), traccia un quadro della vita pastorale e missionaria di un sacerdote della Chiesa ortodossa russa in Occidente, con una particolare enfasi sulla pratica della santa Comunione.

 
Prefeste e postfeste

C'è molto da dire su prefeste e postfeste (così come sulle caratteristiche del commiato/apodosi), troppo da affrontare in un unico post. Farò ora una breve introduzione al concetto, e sono sicuro che il tema verrà ancora alla superficie per tutto l'anno. Quindi, ecco la rapida panoramica, più alcune cose interessanti che voglio condividere con voi circa il modo in cui questo argomento ha a che fare con la Teofania.

Prima di tutto, che cos'è una prefesta/postfesta?

Le dodici grandi feste sono eventi importanti nel corso dell'anno liturgico. A differenza di molte altre feste e giorni santi, che si celebrano solo in un giorno, ognuna di esse ha un periodo di preparazione, in cui le funzioni liturgiche contengono inni per la festa che viene, e alcuni elementi delle funzioni sono diversi rispetto a un " normale" giorno. Generalmente c'è pure un tropario cantato appositamente per la prefesta. Il periodo della festa si estende anche al di là del giorno stesso. La durata classica di una postfesta è di otto giorni, con la commiato che ha luogo l'ottavo giorno. Mentre scrivo questo, mi rendo conto di quante eccezioni ci sono a questa regola, al punto in cui non sono sicura che la maggior parte delle feste in realtà abbiano otto giorni, per varie ragioni (se un'altra festa ha luogo poco dopo, o se si è nel corso di un digiuno, o... beh, diamo un'occhiata a ogni festa così come arriva! Se comincio a parlarne ora, non arriverò mai da nessuna parte).

Così abbiamo stabilito che ogni grande festa ha una prefesta e una postfesta. Per la maggior parte delle feste, la prefesta si celebra il giorno prima della festa. Per entrambe le feste della Natività e della Teofania, è lunga diversi giorni, e si cantano a ogni funzione inni preparatori per la festa. Durante la postfesta, si cantano pure speciali inni della festa. Di solito alcuni di loro sono presi dall'effettiva funzione della festa (il Canone, per esempio, a volte le Stichire dal Signore, a te ho gridato, il Tropario e il Contacio, naturalmente, l'Esapostilario), mentre alcuni di loro sono specifici per il giorno (a volte al Signore, a te ho gridato, quasi sempre gli Apostichi, sia ai Vespri sia al Mattutino) e si trovano nel Mineo, insieme con la funzione al santo del giorno. Di solito in una parrocchia, non si servono questi offici a meno che non cadano di domenica, nel qual caso l'officio incorpora elementi della funzione risurrezionale, e non è proprio la stessa cosa.

Le differenze tra le funzioni regolari nei giorni feriali e in una prefesta/postfesta

Le funzioni regolari nei giorni feriali utilizzano materiale da un libro liturgico, l'Ottoico. Questo libro contiene il testo liturgico degli 8 toni (serie di melodie in cui si cantano gli inni della Chiesa). Si compone di materiali per ogni giorno della settimana, con una sezione separata per ogni tono. Ogni settimana ha un tono (il ciclo inizia dopo la Pasqua e la Settimana Luminosa ogni anno, e si ripete per tutto l'anno).

Molte persone hanno familiarità con il materiale per la domenica che è letto o cantato nel tono della settimana (Tropario, Contacio, Stichire, Canone, ecc). Questi testi sono combinati con quelli del Mineo, che contiene le funzioni dei santi, ed entrambi sono inseriti nelle parti fisse dei vari offici (come i Vespri e Mattutino) presenti nell'Orologio.

Le normali funzioni nei giorni feriali operano su un principio simile (anche se ci sono molte differenze, su questo scriverò un giorno qualcosa). Tuttavia, durante una prefesta o postfesta, l'Ottoico viene utilizzato solo di domenica, quando è combinato gli inni della festa stampati nel Mineo. Negli altri giorni di una prefesta o postfesta, non usiamo l'Ottoico, ma solo i testi pre-festivi o della festa e quelli del santo. Di solito, parte del materiale al Signore, a te ho gridato, tutti i Catismi poetici che seguono i Catismi del Salterio, due dei Canoni (o uno, se ci sono due santi), e tutti gli Apostichi sono presi dall'Ottoico. Ma qui, tutto questo materiale è sostituito con testi della festa presenti nel Mineo. Un paio di differenze specifiche:

- Durante sia le prefeste sia le postfeste, non si tiene la litania per i defunti, di solito servita alla Liturgia nei giorni feriali. Su una nota simile, a una semplice Liturgia feriale, (attendete un post sui diversi gradi degli offici: se un santo ha un più alto "rango" di commemorazione, l'officio non è considerato un officio "semplice"), si canta "Insieme con i santi dona riposo", ovvero il Contacio per i defunti, (dopo il Gloria al Padre, durante il canto dei tropari e contaci prima dell'Apostolo), e non si canta durante una prefesta o postfesta.

- "Più insigne dei cherubini" non si canta al Mattutino, mentre nei giorni feriali normali si canta alla fine del Canone. Durante la postfesta, non si canta neppure "Degno è davvero" alla Liturgia, ma lo si sostituisce con un inno specifico alla Theotokos per la festa (in russo, questo è chiamato Zadostoinik, cioè, un inno al posto di "Degno è davvero"). Questo inno proviene dalla nona Ode del Canone della festa.

L'effetto di queste differenze è quello di rendere i servizi più festivi, in onore della festa che si avvicina o che è in corso. Naturalmente, avere inni più festivi nell'officio consente di ottenere questo risultato, ma anche differenze quali l'omissione di "Più insigne dei cherubini" al Mattutino o di "Insieme ai santi dona riposo" alla Liturgia assomiglia alle rubriche degli offici con più alto rango festivo.

Le postfeste della Natività e della Teofania

Alcune feste, come la Natività e la Teofania, hanno una commemorazione speciale il giorno dopo, chiamata Sobor o Sinassi, che commemora un importante protagonista della festa. Il giorno dopo la Natività è la Sinassi della Madre di Dio (che ha dato i natali a Cristo), e il giorno dopo la Teofania è la Sinassi di san Giovanni Battista (che lo ha battezzato). Queste feste ripetono gran parte degli offici festivi, pur contenendo inni speciali per la persona onorata.

Gli offici di altri santi durante la postfesta sono meno strettamente legati alla festa, anche se vorrei condividere con voi qualcosa sull'officio a San Teodosio il Grande, il fondatore del monachesimo cenobitico, il cui giorno di commemorazione è stato oggi. Si tratta di un officio speciale all'interno della postfesta della Teofania, in quanto è classificato come officio di rango di polieleo. Il santo è vissuto vicino al fiume Giordano, e quindi ha una certa connessione alla festa della Teofania, in cui Cristo fu battezzato nel Giordano. In qualità di fondatore della vita monastica, egli può anche essere paragonato a san Giovanni Battista, la cui vita è spesso considerata come una prefigurazione del monachesimo, in quanto abitante del deserto, che ha vissuto la vita angelica. L'officio di san Teodosio è uno dei miei preferiti. Gli inni a lui dedicati nel Mineo fanno costantemente riferimento al Giordano, e a Cristo battezzato, e mettono in correlazione questi eventi con la vita di san Teodosio. Non credo che questo materiale sia disponibile on-line in inglese (se sapete leggere lo slavonico, lo potete trovare qui). L'officio si trova nel Mineo dell'11 gennaio, se si ha accesso a un Mineo. Forse a un certo punto lo tradurrò, e se ho tempo, cercherò di tradurre alcuni inni dallo slavonico e di pubblicarli, perché questa è davvero una festa meravigliosa e un brillante esempio delle connessioni tra le feste che si trovano spesso nella nostra innografia.

Avrei altre cose da dire, ma credo di aver scritto abbastanza per il momento. Queste cose hanno senso per voi? Trovate confuse le discussioni dei diversi gradi e tipi di offici? Se c'è interesse, spero di scrivere qualcosa sui diversi ranghi degli offici in modo più dettagliato. Molte parrocchie non hanno la possibilità di celebrare spesso queste funzioni, ma avere almeno una conoscenza generale dei concetti coinvolti può arricchire profondamente la nostra comprensione dell'anno liturgico.

 
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"I fondamenti della concezione sociale" - XI. La salute individuale e sociale.

La cura delle malattie

XI.1. La tutela della salute umana – spirituale e fisica – è sempre stata una delle preoccupazioni della Chiesa. Nella prospettiva ortodossa, tuttavia, la salute fisica separata dalla salute spirituale non è un valore assoluto. Il Signore Gesù Cristo, predicando con le parole e con le azioni, guariva le persone preoccupandosi non solo del loro corpo, ma prima di tutto dell'anima e in generale dell’integrità della persona. Il Salvatore, secondo le sue stesse parole, curava «tutto l'uomo» (Gv 7,23). Le guarigioni accompagnavano la predicazione del Vangelo come segno del potere del Signore di perdonare i peccati. Esse furono parte integrante anche della predicazione apostolica. La Chiesa di Cristo, dotata dal suo divino Fondatore, di tutti i doni dello Spirito Santo, sin dagli inizi fu una comunità di guarigione, e ancor oggi, nel sacramento della confessione, ricorda ai suoi figli che essi sono venuti come a una «infermeria» per uscirne risanati.
L'atteggiamento biblico verso la medicina è espresso in maniera chiarissima nel libro di «Gesù figlio di Sira»: «Onora il medico come si deve secondo il bisogno, anch'egli è stato creato dal Signore... Il Signore ha creato medicamenti dalla terra, l'uomo assennato non li disprezza... Dio ha dato agli uomini la scienza perché potessero gloriarsi delle sue meraviglie. Con esse il medico cura ed elimina il dolore e il farmacista prepara le miscele. Non verranno meno le sue opere! Da lui proviene il benessere sulla terra. Figlio, non avvilirti nella malattia, ma prega il Signore ed egli ti guarirà. Purìficati, lavati le mani; monda il cuore da ogni peccato... Fa' poi passare il medico – il Signore ha creato anche lui – non stia lontano da te, poiché ne hai bisogno. Ci sono casi in cui il successo è nelle loro mani. Anch'essi pregano il Signore perché li guidi felicemente ad alleviare la malattia e a risanarla, perché il malato ritorni alla vita» (Sir 38,1-2.4.6-10.12-14). I migliori rappresentanti della medicina antica, che la Chiesa ha canonizzato, hanno espresso un particolare modello di santità – si tratta dei taumaturghi che operavano in modo totalmente disinteressato. Essi furono glorificati non solo perché molto spesso coronarono la propria esistenza terrena con il martirio, ma anche perché accolsero la vocazione di medici nel senso del dovere cristiano della misericordia.
La Chiesa ortodossa ha sempre considerato con grande rispetto l'attività dei medici, fondata sul servizio dell'amore finalizzato a prevenire e a curare le sofferenze umane. La guarigione della natura umana degradata dalla malattia appare come la realizzazione del progetto di Dio sull'uomo: «Il Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione, e tutto quello che è vostro, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo» (1 Ts 5,23). Il corpo, libero dalla schiavitù delle passioni peccaminose e delle malattie che ne derivano, deve servire l'anima, mentre le energie e le facoltà spirituali, trasformate dalla grazia dello Spirito Santo, devono tendere allo scopo ultimo e alla vocazione dell'uomo, che è la divinizzazione. Ogni autentica terapia è chiamata a essere parte di questo miracolo di guarigione compiuto nella Chiesa di Cristo. Nel contempo, bisogna distinguere tra la potenza taumaturgica della grazia dello Spirito Santo, data nella fede nell'unico Signore Gesù Cristo mediante la partecipazione ai sacramenti della Chiesa e alle preghiere, e gli scongiuri, le formule magiche e altre manipolazioni magiche e superstizioni.
Molte malattie restano inguaribili e provocano sofferenze e morte. Di fronte a tali infermità, il cristiano ortodosso è chiamato ad affidarsi alla volontà benevola di Dio, ricordando che il senso della vita non si riduce alla vita terrena, che è essenzialmente una preparazione all'eternità. La sofferenza è conseguenza non solo dei peccati personali, ma anche della corruzione e dei limiti della natura umana, e come tale deve essere sopportata con pazienza e con speranza. Il Signore accetta volontariamente la sofferenza per la salvezza del genere umano: «Per le sue piaghe noi siamo stati guariti» (Is 53,5). Questo significa che a Dio è piaciuto fare della sofferenza uno strumento di salvezza e di purificazione, che può essere efficace per chiunque la sopporta con umiltà e con fiducia nella volontà salvifica di Dio. Secondo le parole di s. Giovanni Crisostomo, «chi ha imparato a ringraziare Dio per le proprie infermità, costui non è lontano dalla santità». Quanto detto non significa che il medico o il malato non debbano fare ogni sforzo per lottare contro la malattia. Tuttavia, quando le risorse umane sono esaurite, il cristiano deve ricordare che la potenza di Dio si attua nella debolezza dell'uomo e che nei più profondi abissi della sofferenza egli può incontrare Cristo, che si è addossato le nostre debolezze e le nostre infermità (Is 53,4).

 

L’attività della Chiesa nel settore della sanità

XI.2.  La Chiesa esorta sia i pastori che i fedeli a portare la loro testimonianza cristiana tra gli operatori della sanità. È molto importante che docenti e studenti di istituti e facoltà di medicina prendano conoscenza dei fondamenti della dottrina ortodossa e dell'etica biomedica ispirata alla fede ortodossa (v. XII). L'attività pastorale della Chiesa nel settore della sanità consiste sostanzialmente nella proclamazione della parola di Dio e nel dono della grazia dello Spirito Santo a coloro che soffrono e a coloro che si prendono cura di loro. Importanza centrale hanno la partecipazione ai sacramenti della salvezza, la creazione di un'atmosfera di preghiera nelle strutture sanitarie e l'offerta ai pazienti di un'assistenza totale animata dalla carità. La missione della Chiesa nell'ambito sanitario è un dovere non solo dei ministri del culto, ma anche dei laici – di coloro che operano in campo sanitario – che sono chiamati a creare tutte le condizioni idonee per il conforto religioso degli ammalati che lo chiedono in maniera diretta o indiretta. Il medico credente dovrebbe capire che una persona che ha bisogno di aiuto si aspetta da lui non solo una terapia appropriata, ma anche un sostegno spirituale, specialmente quando il medico ha una concezione del mondo che svela il mistero della sofferenza e della morte. Essere per il paziente il misericordioso samaritano della parabola evangelica è dovere di ogni operatore sanitario ortodosso.
La Chiesa benedice le confraternite religiose maschili e femminili ortodosse che svolgono la loro opera in cliniche e in altri istituti di cura, e contribuisce alla creazione di cappelle negli ospedali e di ospedali ecclesiastici e monastici, affinché l'assistenza medica sia associata alla cura pastorale in tutte le fasi della cura e della riabilitazione. La Chiesa esorta i laici a prestare tutta l'assistenza possibile agli ammalati per alleviare le sofferenze umane con un amore e una cura animata dalla carità.  

 

La concezione della medicina

XI.3. Il problema della salute dell'individuo e della popolazione non è per la Chiesa un problema esterno e puramente sociale, perché ha direttamente a che fare con la sua missione nel mondo corrotto dal peccato e dalle infermità. La Chiesa è chiamata a partecipare, in collaborazione con le strutture dello stato e con le associazioni pubbliche interessate, allo sviluppo di una concezione dell’assistenza sanitaria nazionale in cui ogni persona possa esercitare il proprio diritto alla salute spirituale, fisica e psichica e al benessere sociale, godendo di un’aspettativa di vita che sia la più elevata possibile.
I rapporti medico-paziente devono essere costruiti sul rispetto dell'integrità, della libera scelta e della dignità della persona. La manipolazione dell'uomo è inammissibile anche per le finalità più nobili. La Chiesa non può che approvare lo sviluppo del dialogo medico-paziente che la medicina contemporanea favorisce. Tale approccio è senza dubbio radicato nella tradizione cristiana, anche se vi è la tentazione di ridurlo a un livello puramente contrattuale. Nel contempo, è opportuno riconoscere che il più tradizionale modello «paternalistico» del rapporto medico-paziente, giustamente criticato per i frequenti tentativi di giustificare gli arbitrii del medico, può essere anche un approccio autenticamente paterno al malato, se dettato dalla coscienza morale del medico.
Senza dare la preferenza a un particolare modello organizzativo di assistenza medica, la Chiesa ritiene che questa assistenza debba essere il più possibile efficace e accessibile per tutti i membri della società, indipendentemente dalle risorse materiali e dalla posizione sociale, anche quando le risorse mediche siano limitate. Perché la distribuzione di queste risorse sia veramente equa, il criterio delle «necessità vitali» deve prevalere sul criterio dei «rapporti di mercato». Il medico non deve adeguare il grado della sua responsabilità di prestare l'assistenza sanitaria esclusivamente al compenso economico e alla sua entità, trasformando così la professione in una fonte di arricchimento personale. Nello stesso tempo, assicurare un'equa retribuzione per il lavoro degli operatori sanitari è un importante compito della società e dello stato.
Pur riconoscendo i possibili benefici derivanti dal fatto che la medicina si sta sempre più orientando verso la prognosi e la prevenzione, e approvando una concezione integrale di salute e malattia, la Chiesa mette in guardia dai tentativi di assolutizzare qualsiasi particolare teoria medica, richiamando l'importanza di mantenere le priorità spirituali nella vita umana. Sulla base della sua secolare esperienza, la Chiesa mette in guardia anche dal rischio di introdurre, sotto la copertura della «medicina alternativa», pratiche magico-occulte che sottomettono la volontà e la coscienza delle persone all'influenza delle potenze demoniache. Ogni persona deve avere il diritto e l'effettiva possibilità di rifiutare tali metodi di condizionamento del proprio organismo, che contrastano con le sue convinzioni religiose.
La Chiesa ricorda che la salute fisica non è fine a se stessa, essendo solo uno degli aspetti dell'essere umano integrale. Tuttavia non si può non riconoscere che per tutelare la salute dell'individuo e della popolazione sono molto importanti le misure profilattiche e la creazione di reali condizioni perché le persone possano impegnarsi nella cultura fisica e nello sport. Nello sport la competizione è naturale. Ma non se ne può approvare l'estrema commercializzazione, l'esaltazione del culto dell'orgoglio che ne consegue, le manipolazioni con sostanze dopanti nocive alla salute e tanto più quelle competizioni durante le quali vengono deliberatamente inflitti gravi traumi. 

 

La crisi demografica

XI.4. La Chiesa ortodossa russa con profonda inquietudine constata la crisi demografica in cui si trovano i popoli che essa ha tradizionalmente nutrito. Il tasso di natalità e l’aspettativa di vita media si sono drasticamente ridotti, mentre la popolazione è in continua diminuzione. La vita è minacciata da epidemie, dall'aumento delle malattie cardiovascolari, mentali, veneree e da altre patologie, dalla tossicodipendenza e dall'alcolismo. Sono in aumento le patologie infantili, tra le quali la deficienza mentale. I problemi demografici contribuiscono a snaturare la struttura della società, fanno diminuire il potenziale creativo dei popoli e sono una delle cause dell'indebolimento della famiglia. All’origine del calo demografico e della critica situazione sanitaria di questi popoli nel XX secolo vi sono state soprattutto le guerre, le rivoluzioni, la fame e le repressioni di massa, le cui conseguenze sono state aggravate dalla profonda crisi sociale alla fine del secolo.
I problemi demografici sono costantemente al centro dell'attenzione della Chiesa. Essa è chiamata a seguire da vicino i processi legislativi e amministrativi per scongiurare decisioni che aggraverebbero ulteriormente la situazione. È necessario portare avanti un dialogo continuo con l'autorità statale e con i mezzi di comunicazione di massa per chiarire le posizioni della Chiesa riguardo alla politica demografica e alla politica sanitaria. La lotta contro il calo demografico deve essere inclusa nelle iniziative di sostegno attivo alla ricerca medico-scientifica ed ai programmi sociali intesi alla tutela della maternità e dell'infanzia, dell'embrione e del neonato. Lo stato è chiamato a sostenere, con tutti i mezzi di cui dispone, la nascita e una corretta educazione dei figli.

 

La corruzione umana prodotta dal peccato e le malattie mentali

XI.5. La Chiesa considera le malattie mentali una delle manifestazioni della generale corruzione della natura umana prodotta dal peccato. I santi padri, individuando nella struttura della personalità il livello spirituale, quello mentale e quello fisico, distinguevano le malattie che si sviluppavano «dalla natura» e le infermità provocate dall'influsso diabolico o dall’asservimento alle passioni. In conformità con questa distinzione, appare egualmente inaccettabile sia ridurre tutte le malattie mentali a manifestazioni di possessione diabolica, il che comporta il compimento ingiustificato di un rito di esorcismo degli spiriti maligni, sia tentare di curare qualsiasi disordine mentale esclusivamente con metodi clinici. Nel campo della psicoterapia risulta più feconda la combinazione fra l'assistenza pastorale e medica al malato psichico e la debita delimitazione degli ambiti di competenza del medico e del sacerdote.
Nessuna malattia mentale sminuisce la dignità della persona. La Chiesa testimonia che anche una persona affetta da disturbi mentali è portatrice dell'immagine di Dio e resta un nostro fratello, bisognoso di compassione e di aiuto. Sono moralmente inammissibili gli approcci psicoterapeutici fondati sulla repressione della personalità del paziente e sull'umiliazione della sua dignità. I metodi occulti di condizionamento della psiche, talora mistificati e presentati come psicoterapia scientifica, sono considerati categoricamente inaccettabili per l'ortodossia. In casi particolari, la cura dei malati mentali può richiedere per necessità il ricorso a misure quali l'isolamento o altre forme di costrizione. Tuttavia, nella scelta delle forme di intervento medico occorre basarsi sul principio della minima limitazione della libertà del paziente.


Il vizio dell’alcolismo e la piaga della tossicodipendenza

XI, 6. Nella Bibbia è detto che «il vino allieta il cuore dell'uomo» (Sal 104,15), e che esso «è come la vita... purché tu lo beva con misura» (Sir 31,27). Tuttavia, sia nella Sacra Scrittura che nelle opere dei santi padri, troviamo ripetutamente una condanna severa del vizio dell’alcolismo che, iniziando in maniera impercettibile, trascina con sé una moltitudine di altri peccati distruttivi. Molto spesso l'alcolismo causa la disgregazione della famiglia e provoca innumerevoli sofferenze sia alla vittima di questa malattia peccaminosa sia alle persone che la circondano, specialmente ai figli.
«L'ubriachezza è avversione a Dio... L'ubriachezza è un demone attirato volontariamente ... L'ubriachezza scaccia lo Spirito Santo», scriveva s. Basilio Magno. «L'ubriachezza è la radice di tutti i mali... L'ubriacone è un morto vivente... L'ubriachezza di per sé può servire come castigo, perché riempie l'anima di confusione; riempie la mente di tenebra, rende l'ubriacone prigioniero, esponendolo a innumerevoli malattie, interiori ed esteriori... L'ubriachezza... è una bestia proteiforme e con molte teste... Qui fa nascere la fornicazione, là l'ira; qui l'ottusità dell'intelletto e del cuore, e là l'amore impuro... Nessuno si piega tanto alla maligna volontà del diavolo, quanto l'ubriacone», ammoniva s. Giovanni Crisostomo. «Un ubriaco è capace di ogni male, e cede a qualsiasi tentazione... L'ubriachezza rende le sue vittime incapaci di portare a termine qualunque cosa», testimonia s. Tichon Zadonskij.
Ancor più distruttiva è la sempre più diffusa tossicodipendenza, passione che rende coloro che ne sono schiavi estremamente vulnerabili all'impatto delle forze oscure. Ogni anno questa terribile infermità fagocita sempre più persone, portando via una moltitudine di vite umane. Il fatto che siano soprattutto i giovani a essere esposti alla tossicodipendenza rappresenta una particolare minaccia per la società. Anche gli interessi egoistici del traffico della droga influiscono sulla formazione di una particolare pseudocultura «delle sostanze stupefacenti», specialmente negli ambienti giovanili. A individui ancora immaturi vengono imposti stereotipi di comportamento nei quali l'uso degli stupefacenti è presentato come una pratica «normale» o addirittura indispensabile per le relazioni interpersonali.
La ragione principale che spinge molti nostri contemporanei a evadere nel regno delle illusioni indotte dagli alcolici o dai narcotici è il vuoto spirituale, la perdita del senso della vita e l'inconsistenza dei punti di riferimento morali. La tossicodipendenza e l'alcolismo sono manifestazioni di una malattia spirituale che affligge non solo il singolo individuo, ma tutta la società. Questa è la conseguenza dell'ideologia consumistica, del culto della prosperità materiale, della mancanza di interessi spirituali e della perdita di ideali autentici. Dedicandosi con compassione pastorale alle vittime dell'alcolismo e della tossicodipendenza, la Chiesa offre loro un sostegno spirituale per superare il vizio. Senza negare la necessità di un'assistenza medica nelle fasi acute della tossicodipendenza, la Chiesa rivolge una speciale attenzione alla prevenzione e alla riabilitazione, che sono tanto più efficaci quando coloro che soffrono partecipano consapevolmente alla vita eucaristica.

 
Quando e come dovremmo celebrare il nuovo anno?

Durante il digiuno della Natività, ci sono non pochi giorni di festa della Chiesa in cui il Typikon permette pesce e vino. L'amore e il discernimento cristiano permettono a un cristiano ortodosso di sedersi a tavola con gli amici e di bere un bicchiere di vino in modo normale. Serviamo un Moleben di ringraziamento alla vigilia del nuovo anno civile, ed è la cosa giusta da fare. Alcuni credono erroneamente che i cristiani ortodossi non dovrebbero partecipare a questo evento. "Questo non ha niente a che fare con noi", dicono. "Siamo su un altro calendario, e il giorno di Capodanno può venire solo secondo il vecchio calendario, vale a dire il 14 gennaio".

Ci fu un tempo in Russia in cui il Capodanno era celebrato il 1 settembre, e coincideva con il nuovo anno della Chiesa. Anche ora, noi iniziamo il ciclo delle nostre feste della Chiesa da quel giorno. Tuttavia, sotto lo zar Pietro I, il capodanno civile fu trasferito al 1 gennaio, come era in Europa. In generale, questa data è abbastanza relativa, e in ultima analisi potremmo scegliere qualsiasi data per iniziare il nuovo anno.

Celebrare il Capodanno è una questione di naturali rapporti umani, e possiamo parteciparvi come tutti gli altri. È altrettanto normale come chiamare una città con il suo nome attuale, e non con qualunque nome vogliamo chiamarla.

Inoltre, in questo c'è un significato particolare: è una sorta di profezia su ciò che sta accadendo tra noi oggi. Quando Dio è venuto nel tempo lo ha santificato, e ogni tempo è santificato con la sua presenza. Se la nostra società vivesse secondo il mistero che Cristo ha portato, allora avrebbe senso festeggiare il nuovo anno secondo il calendario della Chiesa - il 14 gennaio. Ma l'umanità è sempre meno coinvolta nella vita della Chiesa, e vive per conto suo, secondo le proprie regole. Questo allontanamento dalla Chiesa sta portando alla disumanizzazione della società. Tuttavia, viviamo in questa società, e la differenza di date ci ricorda la realtà in cui viviamo.

A questo proposito, osserviamo due punti molto importanti per capire ciò che ci sta accadendo oggi.

A partire da un certo tempo, la meta del tempo è cambiata, è diventata qualcosa di diverso. Come sappiamo, l'Occidente ha cambiato i calendari nel XVI secolo. Ciò ha coinciso con un periodo in cui la società umana ha cominciato a vivere in modo diverso da come ha fatto prima. Invece di una tensione verso l'eternità, che è un fatto naturale per l'uomo, la gente ha cominciato a tendere verso un futuro enigmatico. Ha smesso di vivere secondo gli obiettivi del presente, ma piuttosto in base agli obiettivi di domani. Questo, infine, ha portato alla rivoluzione in Europa, e alla devastante rivoluzione in Russia.

Oggi la gente sacrifica il presente per il futuro. Così perdono sia il futuro che il presente, sia il celeste che il terreno, perdono sia l’eternità che il tempo. Oggi, è in corso un processo di unificazione per il bene del futuro. Si cancellano frontiere, non solo politiche ed economiche, ma anche le inimitabili caratteristiche nazionali, e semplicemente umane, che appartengono a ogni essere umano unico e inimitabile. Questa unificazione si concluderà, come sappiamo, sotto il regno dell’uomo dell’iniquità, che stabilirà il presunto trionfo di tutti i tempi e di tutte le conquiste che possono avvenire nel tempo, ma con la perdita totale della grazia piena di eternità.

Per il bene di questa grazia piena di eternità, si dovrebbe aver cura di conservare il nostro "tempo sacro", i servizi della Chiesa secondo il "vecchio stile", anche se viviamo nella società secondo il calendario civile. Per il bene del mantenimento dei nostri digiuni e delle feste dei santi di tutte le età, il nostro calendario ecclesiastico dovrebbe rimanere invariato, impassibile, come l'eternità, che entra nella nostra vita attraverso questi eventi.

Un cristiano vive in due dimensioni, il tempo e l'eternità. Che Dio ci conceda in questo nuovo anno di essere cittadini degni della nostra Patria, sia quella terrena che quella celeste. Non importa quali prove ci attendono sulla terra, se siamo fedeli al Signore, egli preparerà ancora una volta consolazioni celesti per ciascuno di noi in occasione della festa della Natività di Cristo, e più tardi per la Pasqua del Signore, e per tutte la grandi feste, che ci invitano a diventare partecipi della sua gioia eterna. I santi Padri dicono che quando non c'è festa nell'anima, non si può creare alcuna vera festa esterna. Le persone spesso vivono secondo l’idea di "ammazzare" il tempo, ma il significato di una vita cristiana è di far rivivere il tempo.

In relazione a questo, contempliamo il mistero del tempo. I santi Padri hanno una spiegazione interessante del mistero del vuoto e della noia nella vita umana. Questo mistero consiste nel fatto che il tempo in cui l'umanità vive ha perso la sua connessione con l'eternità, e i giorni non hanno la benedizione di Dio. Questo accade alle persone che non conoscono Dio. Capita anche che le persone partecipino alle feste della Chiesa in un modo puramente esteriore. Succede pure a persone che hanno avuto un contatto con la vita piena di grazia, ma questa grazia non ha riempito tutto il loro essere; non ha scacciato l'inganno e la morte che è in ogni persona.

All'inizio, Adamo possedeva tutto, ma sentiva che c'era qualcosa che mancava, e si annoiava da solo. Poi Adamo ed Eva si annoiarono insieme. Poi Adamo, Eva, Abele e Caino si annoiarono come famiglia. Quando la gente ha cominciato a proliferare sulla terra, la noia non ha fatto che aumentare. Che cosa è successo come conseguenza di quella noia? In primo luogo, l'uomo è caduto nel peccato, poi, è caduto nella costruzione della torre di Babele.

La caduta è accaduta perché l'uomo cercava disperatamente una felicità falsa e una gioia falsa, non conoscendo la causa della noia che lo riempiva, ma chiaramente consapevole del fatto che nessun cura terrena, nessun lavoro, nessuno scintillio esterno, nessun successo può riempire questo vuoto dentro di lui. Fino ad oggi, l'uomo ha una scarsa comprensione di quanto è importante, e che può essere riempito solo con Dio stesso e con la vita che il Signore gli dà.

L'uomo cerca di riempire questo vuoto con alcol, narcotici, o qualche altro peccato, anche i più spregevoli. Quanto più riempie il vuoto con queste cose, tanto più terribilmente sbadiglia, e può andare avanti così fino al punto della follia. Un sacerdote mi ha parlato di una persona che si è ucciso solo perché le è diventato insopportabile fare la stessa cosa ogni giorno: alzarsi di nuovo dal letto, lavarsi di nuovo, vestirsi di nuovo. Quando l'ultimo filo che unisce il tempo con l’eternità si spezza, una persona può arrivare allo stato della più oscura disperazione.

L'uomo è per natura incline a partecipare alle celebrazioni, perché la sua vita sia festosa e gioiosa. L'uomo soffoca in uno spazio tridimensionale. La "ripetizione faticosa" dell'esistenza terrena, così come descritta nelle Sacre Scritture, è insopportabile. L'uomo è sopraffatto da una tale noia da perdere la sua mente. Deve riempire questo vuoto dentro di lui con qualcosa, perché è stato creato per la vita eterna. Che cosa non fa, quali surrogati non si permette!

Per esempio, prendiamo la domenica. Per un cristiano, questo è il giorno in cui il Signore ha vinto la morte che regnava nel tempo. È la nostra comunione con l'eternità.

Nondimeno, per la maggior parte delle persone, che vivono solo nel tempo, questo è chiamato il "fine settimana", non più di un giorno di riposo dal lavoro - tempo morto. Ma la natura umana rimane ultraterrena. Alcuni ricordi di felicità rimangono nella memoria di queste persone, e si sentono come moralmente obbligate a far festa ed essere felici. Ma questa allegria può essere pericolosa. Cercando di placare questa mancanza di gioia nella sua vita, una persona può cercare di placarla nel vino, per esempio. Non trovando consolazione nel tempo, sprofonda sempre più nella falsa dolcezza, e quanto più profondamente affonda, tanto maggiore è la sua noia. Questo a volte assume forme folli. Perché la nostra gente ora beve sempre di più, e non c'è nulla che arresta questo processo? Perché senza Dio, la gente non riesce a trovare una vera gioia in nulla, né può comprendere alcun significato nei dolori che le sono inviati. Questa è anche la ragione della diffusione attuale del peccato sessuale.

Il giorno del Capodanno civile, la Chiesa commemora i martiri Bonifacio e Aglaida. La gente prega questi santi per la liberazione dalle passioni dell’ubriachezza e della fornicazione, perché anche questi santi hanno sofferto di quei vizi per un lungo periodo. Ma il Signore rivelò loro che la vita è un tesoro, che vi è una gioia più grande preparata per l'uomo, e questi due sono stati in grado di dare la loro vita per Cristo, per il bene della vita eterna. Solo questo ci può impedire di perdere il senso della nostra esistenza. Ma fino a quando tendiamo all'eternità, siamo condannati a vivere in un tempo morto.

Che Dio ci conceda la consapevolezza della morte si avvicina sempre più – non per temerla, come fanno quelli che non conoscono Cristo, ma piuttosto per essere riempiti di gioia, perché ci stiamo avvicinando sempre di più al nostro incontro con il Signore. Possa Egli far sì che il nostro desiderio di felicità  a Capodanno non suoni falso, poiché esso implica la novità di quella vita eterna, incorruttibile, immutabile che il Signore ci dona nel tempo, che e ci rivela nella sua pienezza nell'eternità. Auguriamo a tutti vuoi un felice Anno Nuovo!

 
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Articolo del Metropolita Kallistos (Ware) sulla Bibbia

La presentazione personale del Metropolita Kallistos (Ware) di Diokleia, nella nostra sezione delle "Figure dell'Ortodossia contemporanea", finora ha riportato in calce l'articolo "Come leggere la Bibbia", un'introduzione allo spirito di lettura ortodosso delle Sacre Scritture, che ha trovato posto nella prima edizione di una Bibbia di studio ortodossa in lingua inglese. Abbiamo spostato l'articolo nella sezione "Ortoprassi" dei documenti, dove è disponibile nella nostra traduzione italiana e da oggi anche nella versione russa. Consigliamo questo testo non solo a quelli che partecipano ai nostri incontri di letture bibliche in parrocchia (dalle 18 alle 20, ogni lunedì), ma anche a tutti gli interessati alla visione biblica della Chiesa ortodossa.

 
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I ranghi delle feste

Mi dispiace, sono stata via alcuni giorni. Spero che mi stiate ancora leggendo tutti.

Penso che, prima di parlare di qualsiasi altra cosa, sia importante scrivere alcune informazioni sui ranghi dei giorni di festa. Ciò dovrebbe fornire un punto di riferimento, e rendere una gran quantità dei miei post molto più chiari.

Dunque, che cosa significano comunque questi "ranghi" degli offici? In sostanza, ogni giorno, o commemorazione, ha un "rango" nel Tipico. C'è un marchio speciale per ogni tipo di rango nel Tipico slavo. Mi limiterò a delineare i tipi di servizi, e mi auguro che questo aiuti a chiarire un sacco di problemi.

I principali ranghi sono: veglia, polieleo, dossologia, sei stichire, officio semplice (senza segni di festa). Ci sono alcune variazioni all'interno di tali categorie.

Le differenze tra questi tipi di offici sono meno evidenti nella Divina Liturgia (anche se ce ne sono alcune), e più in altre funzioni del ciclo giornaliero, specialmente il Vespro e il Mattutino. Il giorno liturgico comincia la sera, in modo che il Vespro officiato la sera prima appartiene al giorno successivo del calendario. Nella tradizione russa, Vespro (preghiera della sera) e Mattutino (preghiera del mattino) sono entrambi, il più delle volte, officiati insieme la sera prima. Quando un officio ha il rango di "Veglia" (vedi sotto), sono sempre officiati insieme, come un singolo officio senza alcun congedo dopo il Vespro né esclamazione iniziale al Mattutino.

Il rango di veglia

 

La maggior parte dei fedeli ha probabilmente familiarità soprattutto con gli offici di rango di veglia, dal momento che nella tradizione russa tutte le domeniche sono di rango di veglia, come lo sono le grandi feste, e questi sono i giorni in cui la maggioranza delle parrocchie tiene le funzioni. Un officio della Veglia (composto di Vespro, Mattutino, e Ora Prima) inizia con l'esclamazione "Gloria alla santa, consustanziale, vivifica e indivisa Trinità...", che, nei libri di servizio, viene appena prima dei 6 Salmi al Mattutino. L'uso di questa esclamazione all'inizio della Veglia crea un singolo intero officio, con un inizio, e collega Vespro e Mattutino in un tutt'uno.

Che cosa rende differente una Veglia?

Se frequentate le funzioni della domenica o delle feste, l'ordine del servizio di una Veglia vi sarà probabilmente familiare. La Veglia consiste nel Grande Vespro (servito anche negli offici a cui è assegnato il polieleo) e nel Mattutino. (Se frequentate una parrocchia greca, la maggior parte dell'ordine del servizio è ancora lo stesso, solo diviso, anche se la pratica greca moderna per il Mattutino è piuttosto diversa e non è una cosa che sono in grado di affrontare).

In una settimana normale, ci sono due ordini diversi per il Vespro, a seconda del rango della festa (oltre al Piccolo Vespro ai sabati e alle vigilie, che qui non tratteremo, così come il Vespro quaresimale). Il Grande Vespro si serve la domenica, alle Veglie e nelle feste in cui si canta l'inno del polieleo (con alcune eccezioni). Il Vespro quotidiano si serve negli altri giorni. Le principali differenze tra Vespro quotidiano e Grande Vespro sono:

1. Beato l'uomo (primo catisma) è cantato (solitamente abbreviato) al Grande Vespro (in caso contrario, si legge, e non si canta, un catisma secondo il ciclo settimanale).

2. C'è un ingresso al Grande Vespro, ma nessuno al Vespro quotidiano.

3. L'inno Luce radiosa/gioiosa / Свете тихий / Φῶς Ἱλαρόν è cantato, invece che letto, al Grande Vespro.

4. Al Vespro quotidiano, la preghiera "Rendici degni/degnati/consenti, o Signore" viene subito dopo il prochimeno, mentre al Grande Vespro, un'ectenia segue il prochimeno, poi viene "Rendici degni, o Signore", poi la seconda ectenia. In sostanza, l'ordine delle ectenie e degli apostichi è diverso.

Ci sono alcune variazioni al Grande Vespro, a seconda se il servizio è di rango di veglia o di poleleo (vedere sotto la sezione del rango di polieleo). Alle grandi feste, alle feste di santi di rango di veglia e di polieleo, ma non alle normali domeniche, si leggono tre letture dall'Antico Testamento dopo il prochimeno del Vespro. Alle feste di rango di veglia (comprese tutte le domeniche, in teoria, anche se questo non è comune nella pratica), si serve la Litia prima degli Apostichi.

Al Mattutino, l'inizio dell'officio è sempre lo stesso: i 6 Salmi (alla Veglia non si usa il pieno inizio del Mattutino, con la lettura dei Salmi 19 e 20 e l'incensazione della chiesa, e nella pratica russa comune, non si usa se Vespro e Mattutino vengono officiati insieme, anche nei giorni ordinari), la Grande Ectenia, il canto di "Dio è il Signore", e i catismi (sono assegnati due catismi, ma nelle parrocchie spesso se ne legge solo uno, e questo è talvolta abbreviato).

Dopo i catismi, seguono la Piccola Ectenia e gli inni dei catismi (o catismi poetici). Dopo di che, in una festa di rango di veglia o di polieleo, si canta l'inno del "Polieleo" (alla domenica, a volte, l'inno è sostituito dal Catisma 17 - ovvero il Salmo 118). Per "Polieleo" si intende i Salmi 134 e 135, intervallati con il canto di "Alleluia". Questo canto è di solito abbreviato un bel po'.

Dopo il Polieleo, si canta la Magnificazione (un breve inno che inizia con generalmente "Magnifichiamo te/voi" ed è rivolto al Signore, alla Madre di Dio, o al santo / ai santi) se si tratta di una grande festa o della commemorazione di un santo (ma non in una domenica ordinaria), seguita da versetti scelti di salmi, mentre il prete (o il vescovo) incensa la chiesa. Alla domenica, si cantano subito dopo i tropari della risurrezione, intervallati da "Benedetto sei, Signore, insegnami i tuoi giudizi" (in greco, questi sono chiamati gli Evloghitaria). Se guardate qui, troverete l'ordine del Mattutino domenicale, che può aiutare a capire tutto questo. Alcuni elementi elencati non saranno presenti nelle feste che non cadono alla domenica, e ancora di più mancheranno negli offici classificati con rango inferiore.

Seguono un'altra ectenia, alcuni altri brevi inni, e una lettura dal Vangelo. Dopo il Vangelo, alla domenica si canta "Contemplata la risurrezione di Cristo", e poi (in tutti i giorni) si legge il Salmo 50, seguito dal canto di brevi ritornelli e da un inno. Poi c'è una preghiera letta dal diacono (o dal sacerdote), che inizia con "Salva, o Dio, il tuo popolo" e che commemora una lista di santi. Dopo l'esclamazione del sacerdote, ha inizio il Canone. Il Canone è un elemento centrale del Mattutino, e si compone di 9 odi o canti biblici, ciascuna con un Irmo (di solito si usano solo 8 odi, dato che la seconda ode è considerata particolarmente triste o penitenziale, e viene utilizzata solo in determinati tempi, in genere durante la Grande Quaresima). Nella tradizione russa, l'irmo è cantato, e i tropari di ogni ode sono letti, con un ritornello tra di loro. Si servono Piccole Ectenie dopo la terza e la sesta ode.

Ci sono diversi canoni (a persone diverse, o a eventi diversi), e, a volte si legge più di un canone in un determinato officio. Sono sempre combinati in modo che sia cantato un irmo per ogni ode (quello dal primo canone), e poi si leggano i tropari di ogni ode, con i ritornelli, per tutti i canoni stabiliti. Per le domeniche e le feste con rango di veglia:

- Alla domenica, si leggono 3 canoni (generalmente con 2, 3 o 4 tropari assegnatio a ogni canone) dall'Ottoico, uno dedicato alla Risurrezione, uno alla Croce e alla Risurrezione, e uno alla Madre di Dio. Si assegna anche un canone dal Mineo, dedicato al santo del giorno. Se c'è una festa della Madre di Dio, un santo con un rango di festa maggiore, una prefesta o postfesta, una domenica di Quaresima, o in altre circostanze, uno o più dei canoni dell'Ottoico sono omessi per consentire di leggere più materiale dal Mineo o dal Triodio. Durante la stagione pasquale, i canoni dell'Ottoico sono sostituiti dal canone della Pasqua.

- Alle feste del Signore e della Madre di Dio, si legge solo il canone o canoni della festa (ce ne possono essere uno o due, a seconda della festa).

- Alle feste dei santi di rango di veglia, si usa un canone alla Madre di Dio (a volte uno speciale dal Mineo, a volte il canone generale di supplica, o un altro canone specificato), seguito da uno o due canoni al santo, a seconda dell'officio specifico .

Il Magnificat si canta all'inizio della nona ode, e si incensa di nuovo la chiesa. Dopo il canone, c'è un altra Piccola Ectenia, e viene letto o cantato un inno breve dedicato alla festa o al santo e chiamato Esapostilario. In seguito arriva il canto delle Lodi, con stichire intervallate da versetti di salmi, e poi la Grande Dossologia. Questa è seguita o da uno speciale tropario domenicale, o dal tropario della festa o del santo, da due litanie, e dal congedo. Al congedo segue immediatamente l'Ora Prima.

Qui ci sono alcune distinzioni tra i diversi "tipi" di Veglia:

- Le grandi feste (ovvero le 12 grandi feste) sono o feste del Signore, o feste della Madre di Dio. Una grande festa del Signore (Esaltazione della Croce, Natività, Teofania, Ingresso in Gerusalemme, Ascensione, Pentecoste, Trasfigurazione) è diversa da una festa della Madre di Dio (Natività della Theotokos, Ingresso al Tempio, Incontro del Signore, Annunciazione , Dormizione), in quanto sostituisce completamente gli elementi risurrezionali dell'officio se cade di domenica. Una festa della Madre di Dio contiene ancora elementi dall'Ottoico.

- Santi con rango di veglia. Ci sono alcune differenze tra gli offici delle grandi feste e quelli dei giorni "normali" di veglia. Una notevole differenza è che a una grande festa si omette il Magnificat e si canta la nona ode del canone con ritornelli speciali, ma in occasione della festa di un santo, il Magnificat si canta come al solito. Inoltre, alla festa di un santo, se ne canta il tropario dopo "Dio è il Signore" e alla Dossologia con Gloria..., ora..., e un teotochio, mentre alle grandi feste, non si usa un teotochio separato in nessuno dei due punti.

Il rango di polieleo

Questo rango di officio è abbastanza simile a quello della veglia. Quando Vespro e Mattutino vengono serviti insieme (come è comune nella tradizione russa), può essere difficile capire la differenza. Queste sono le differenze tra veglia e polieleo, in tale contesto :

- Gli offici di polieleo cominciano con il solito "Benedetto il nostro Dio", e "Gloria alla santa, consustanziale, vivifica e indivisa Trinità" viene prima dei 6 Salmi.

- Alla Veglia, il salmo d'inizio del Vespro è cantato, le porte regali si aprono, e c'è un'incensazione della chiesa (che in realtà appartiene all'inizio del Mattutino). In un officio di polieleo, il salmo viene letto, le porte rimangono chiuse, e non c'è incensazione .

- Non c'è mai la Litia a un officio con rango di polieleo, ma ce ne dovrebbe essere una alla Veglia .

- Dopo il "Santo Dio" alla fine del Vespro, alla Veglia si canta "Madre di Dio, Vergine, gioisci" per tre volte (senza Gloria al Padre, ecc), o il tropario della grande festa per tre volte. In un officio di rango di polieleo, si canta il tropario del santo, Gloria, E ora, e il teotochio risurrezionale appropriato.

- Alla Veglia, i tropari sono seguiti da "Sia benedetto il nome del Signore", la benedizione dal sacerdote, e i 6 Salmi. In un officio di rango di polieleo, sono seguiti da "Sapienza", "benedici", una benedizione diversa ("L'esistente è benedetto..."), e "Rinsalda, o Dio , la santa fede ortodossa dei cristiani ortodossi , nei secoli dei secoli". Poi l'esclamazione: "Gloria alla santa, consustanziale..." , che inizia il Mattutino, e i 6 Salmi .

- Penso che queste siano tutte le differenze, ma temo che sto dimenticando qualcosa!

Questo post è già divenuto abbastanza lungo, perciò state in attesa di un post sui ranghi inferiori degli offici, che in realtà "appaiono", o sembrano, molto più diversi da quelli di una "normale domenica".

 
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"I fondamenti della concezione sociale" - XII. Problemi di bioetica

La preoccupazione della Chiesa

XII.1. Il rapido sviluppo delle tecnologie biomediche, che invadono la vita dell'uomo contemporaneo dalla nascita alla morte, e l'impossibilità di dare una risposta ai conseguenti problemi morali nel contesto dell'etica medica tradizionale, suscitano una seria preoccupazione nella società. I tentativi degli esseri umani di mettersi al posto di Dio, modificando e «migliorando» a proprio piacimento la sua creazione, potranno portare all'umanità nuove pene e sofferenze. Lo sviluppo delle tecnologie biomediche supera di gran lunga la coscienza delle possibili conseguenze spirituali, morali e sociali di una loro applicazione incontrollata, e questo non può che suscitare nella Chiesa una profonda preoccupazione pastorale. Nell'esprimere il proprio atteggiamento verso i problemi della bioetica così ampiamente dibattuti nel mondo contemporaneo, in primo luogo quelli che hanno un impatto diretto sull'essere umano, la Chiesa si richiama alla concezione della vita come incommensurabile dono di Dio, fondata sulla divina Rivelazione. Nella Scrittura vengono affermate la libertà inalienabile e la dignità della persona, che fa dell'uomo una creatura simile al suo Creatore, chiamata «al premio che lassù riceveremo da Dio, in Cristo Gesù» (Fil 3,14), a raggiungere la perfezione del Padre celeste (Mt 5,48) e alla divinizzazione, cioè a partecipare della natura divina (2Pt 1,4).

 

L’aborto

XII.2.  Sin dai tempi più antichi la Chiesa considera peccato grave l'interruzione volontaria della gravidanza (aborto). Il diritto canonico equipara l'aborto procurato all'omicidio. Alla base di questo giudizio sta la convinzione che il concepimento di un essere umano è un dono di Dio: pertanto, dal momento del concepimento, ogni attentato alla vita di un futuro essere umano è un atto delittuoso.
Il salmista descrive lo sviluppo del feto nel grembo materno come un atto creativo di Dio: «Sei tu che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di mia madre... Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, intessuto nelle profondità della terra. Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi» (Sal 139,13.15-16). Della stessa esperienza rende testimonianza Giobbe nelle parole rivolte a Dio. «Le tue mani mi hanno plasmato e mi hanno fatto integro in ogni parte... Non mi hai colato forse come latte e fatto accagliare come cacio? Di pelle e di carne mi hai rivestito, d'ossa e di nervi mi hai intessuto. Vita e benevolenza tu mi hai concesso, e la tua premura ha custodito il mio spirito... Perché tu mi hai tratto dal seno materno?» (Gb 10,8-12.18). «Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato» (Ger 1,5), dice il Signore al profeta Geremia.
«Non commettere infanticidio, non procurare aborto»: questo precetto è collocato tra i più importanti comandamenti di Dio nell'Insegnamento dei dodici apostoli, uno dei testi più antichi della letteratura cristiana. «Donna, procurare l'aborto è un omicidio, e di questo dovrai render conto davanti a Dio. Infatti... un feto nel grembo materno è un essere vivente sul quale Dio ha posto il suo sigillo», scriveva Atenagora, apologista del II secolo. «Uno che sarà un uomo è già un uomo», asseriva Tertulliano tra il II e il III secolo. «Colei che di proposito distrugge il feto concepito nel grembo subirà la condanna dell'omicida... Coloro che danno medicamenti per procurare l'aborto di un feto nel grembo materno sono omicidi, così come coloro che assumono veleni che uccidono il feto», è detto nella 2a e 3a regola di s. Basilio Magno, incluse nel libro degli Statuti della Chiesa ortodossa e confermate dal 91° canone del VI Concilio ecumenico. Nello stesso tempo s. Basilio precisa che la gravità della colpa non dipende dal periodo di gestazione: «Noi non facciamo alcuna distinzione tra il feto già formato e quello non ancora formato». San Giovanni Crisostomo definiva coloro che praticano l'aborto «peggiori degli assassini».
La Chiesa considera l'ampia diffusione e giustificazione degli aborti nella società contemporanea una minaccia al futuro dell'umanità e un segno evidente del suo degrado morale. La fedeltà all'insegnamento biblico e patristico sulla santità e la preziosità inestimabile della vita umana sin dai suoi inizi è incompatibile con il riconoscimento della «libera scelta» della donna nel disporre del destino del feto. Inoltre, l'aborto rappresenta una grave minaccia per la salute fisica e spirituale della madre. La Chiesa ha sempre considerato suo dovere proteggere gli esseri umani più vulnerabili e dipendenti, quali sono i bambini non nati. La Chiesa ortodossa in nessuna circostanza può benedire l'aborto. Pur senza respingere le donne che hanno commesso un aborto, la Chiesa le invita a pentirsi e a superare le conseguenze rovinose del peccato attraverso la preghiera e la penitenza sacramentale, seguita dalla partecipazione ai sacramenti della salvezza. Nei casi in cui il proseguimento della gravidanza comporterebbe un pericolo immediato per la vita della madre, specialmente se ha altri figli, nella prassi pastorale si raccomanda di mostrare indulgenza. La donna che ha interrotto una gravidanza in queste circostanze non sarà esclusa dalla comunione eucaristica con la Chiesa, a condizione che ella abbia compiuto quanto prescritto dal canone penitenziale secondo le indicazioni del sacerdote che ha raccolto la sua confessione. La lotta contro l'aborto, cui le donne talvolta sono costrette a ricorrere per motivi di estrema indigenza economica e per incapacità e debolezza, richiede che la Chiesa e la società elaborino misure efficaci a protezione della maternità, e creino le condizioni per l'adozione dei bambini, che le madri per qualche ragione non siano in grado di allevare da sole.
La responsabilità per il peccato dell'uccisione di un bambino non nato deve ricadere, oltre che sulla madre, anche sul padre, nel caso in cui egli abbia dato il suo assenso all'esecuzione dell'aborto. Se l'aborto viene compiuto dalla donna senza il consenso del marito, ciò può essere considerato una ragione valida per lo scioglimento del matrimonio (v. X.3). Il peccato ricade anche sul medico che ha eseguito l'aborto. La Chiesa invita lo stato a riconoscere il diritto degli operatori sanitari di rifiutarsi di praticare un aborto per motivi di coscienza. Non si può considerare «normale» la condizione in cui la responsabilità giuridica del medico per la morte della madre sia considerata incomparabilmente più elevata della responsabilità per la distruzione del feto: questo induce i medici, e attraverso di essi le pazienti, a compiere aborti. Il medico deve assumersi la massima responsabilità nello stabilire la diagnosi che può indurre una donna a interrompere la gravidanza; per questo, un medico credente deve raffrontare con attenzione le indicazioni cliniche con quanto gli impone la sua coscienza cristiana.  

 

La contraccezione

XII.3. Una valutazione religioso-morale richiede anche il problema della contraccezione. Alcuni mezzi contraccettivi hanno di fatto un effetto abortivo, in quanto interrompono artificialmente la vita dell'embrione nelle sue fasi più precoci. Al loro uso si applica perciò lo stesso criterio di giudizio che si adotta per l'aborto. Altri mezzi che non implicano l'interruzione di una vita già concepita non possono invece essere equiparati in nessun modo all'aborto. Nel definire il proprio atteggiamento verso i mezzi di contraccezione non abortivi, i coniugi cristiani devono ricordare che la continuazione del genere umano è uno degli scopi fondamentali dell'unione matrimoniale voluta da Dio (v. X.4). Il rifiuto deliberato di generare figli per motivi egoistici avvilisce il matrimonio ed è senza dubbio un peccato.
Nello stesso tempo, i coniugi sono responsabili davanti a Dio per l’educazione completa dei figli. Uno dei modi per attuare una maternità e paternità responsabili è l'astinenza dai rapporti sessuali per un determinato periodo di tempo. Tuttavia, è necessario ricordare le parole che l'apostolo Paolo rivolge agli sposi cristiani: «Non astenetevi tra voi se non di comune accordo e temporaneamente per dedicarvi alla preghiera, e poi ritornate a stare insieme, perché satana non vi tenti nei momenti di passione» (1Cor 7,5). È chiaro che i coniugi devono assumere decisioni in questo campo di comune accordo, ricorrendo al consiglio di un padre spirituale. Quest'ultimo, d'altra parte, deve tener conto, con prudenza pastorale, delle concrete condizioni di vita della coppia, della loro età e salute, del grado di maturità spirituale e di molte altre circostanze, distinguendo coloro che possono «accogliere» impegnative richieste di continenza da coloro ai quali questo «non è stato concesso» (Mt 19,11), e preoccupandosi prima di tutto della salvaguardia e del consolidamento della famiglia.
Il santo Sinodo della Chiesa ortodossa russa nella sua deliberazione del 28 dicembre 1998 ha istruito i sacerdoti che esercitano il ministero di guide spirituali affermando che «è inammissibile obbligare o indurre i fedeli, contro la loro volontà, a... rinunciare ai rapporti coniugali nel matrimonio», e ha anche ricordato ai pastori la necessità «di osservare una particolare castità e una speciale prudenza pastorale nel trattare con i fedeli questioni inerenti ai vari aspetti della loro vita familiare». 

 

La riproduzione assistita

XII.4. L'uso dei nuovi metodi biomedici in molti casi rende possibile la risoluzione dei problemi di infertilità. Nello stesso tempo, la crescente ingerenza tecnologica nel processo della generazione della vita umana presenta una minaccia per l'integrità spirituale e la salute fisica della persona. Appaiono minacciate anche le relazioni interpersonali che sin dai tempi più antichi stanno alla base della società. Con lo sviluppo delle summenzionate tecnologie è connessa anche la diffusione dell'ideologia dei cosiddetti diritti riproduttivi, oggi ampiamente propagandata a livello sia nazionale che internazionale. Questo sistema ideologico sostiene la priorità dell'autorealizzazione sessuale e sociale dell'individuo rispetto alla cura del futuro bambino, alla salute spirituale e fisica della società e alla sua stabilità morale. Nel mondo si sta diffondendo sempre più una concezione della vita umana intesa come un prodotto che può essere scelto secondo le proprie inclinazioni e di cui si può disporre alla stregua di un bene materiale.
Nelle preghiere del rito del matrimonio, la Chiesa ortodossa esprime la speranza che la procreazione, benché frutto auspicabile del matrimonio legittimo, non ne sia l'unica finalità. Accanto al «frutto del ventre», la Chiesa per gli sposi chiede anche i doni dell'amore reciproco perpetuo, della castità e dell'"armonia delle anime e dei corpi». Pertanto, le vie alla procreazione non conformi con il progetto del Creatore della vita non possono essere considerate moralmente giustificate dalla Chiesa. Se il marito o la moglie è sterile e i metodi terapeutici e chirurgici di cura dell'infertilità non aiutano gli sposi, è opportuno che essi accettino con umiltà la mancanza di figli come una speciale vocazione. In casi simili i padri spirituali devono considerare la possibilità di adottare un figlio per decisione comune dei coniugi. Tra i mezzi ammissibili di assistenza medica può essere annoverata l'inseminazione artificiale con cellule seminali del marito, dal momento che questa metodica non viola l'integrità dell'unione coniugale, non si differenzia sostanzialmente dal concepimento naturale e avviene nel contesto dei rapporti coniugali.
Invece, le manipolazioni connesse con la donazione di cellule sessuali violano senz’altro l'integrità della persona e l'esclusività dei rapporti coniugali, permettendo a una terza parte di interferire nella vita della coppia. Inoltre, questa pratica incoraggia la paternità e la maternità irresponsabili, indubbiamente libere da ogni obbligo verso colui che è «carne della carne» di donatori anonimi. L'uso di materiale donato mina le fondamenta dei rapporti familiari, dal momento che presuppone che il bambino abbia, oltre ai genitori «sociali», anche i cosiddetti genitori «biologici». La «maternità surrogata», cioè l'impianto di un ovulo fecondato nel grembo di una donna che, dopo il parto restituisce il bambino ai «committenti», è innaturale e moralmente inammissibile, anche nei casi in cui la donna non chieda alcun compenso. Questa metodica comporta la violazione della profonda intimità emozionale e spirituale che si stabilisce tra madre e figlio già durante la gestazione. La «maternità surrogata» traumatizza sia la madre gestante, i cui sentimenti materni vengono calpestati, sia il bambino, che in seguito potrebbe attraversare una crisi di identità. Moralmente inammissibili dal punto di vista ortodosso sono anche tutti i vari tipi di fecondazione extracorporea, che comportano la produzione, la conservazione e la distruzione deliberata degli embrioni «eccedenti». È proprio sul riconoscimento della dignità umana anche nell'embrione che si fonda il giudizio morale di condanna dell'aborto da parte della Chiesa (v. XII.2).
L'inseminazione di donne non sposate con l'impiego di cellule seminali provenienti da un donatore, o l'esercizio dei «diritti riproduttivi» di uomini non sposati e di persone che presentano i cosiddetti orientamenti sessuali «non-standard», priva il futuro bambino del diritto di avere una madre e un padre. L'uso di metodi riproduttivi al di fuori del contesto della famiglia benedetta da Dio diventa una forma di «teomachia» condotta con il pretesto della tutela dell'autonomia dell'individuo e di una libertà individuale erroneamente intesa.

 

La medicina genetica

XII.5. Le malattie ereditarie rappresentano una parte considerevole delle patologie. Lo sviluppo di metodiche di medicina genetica per la diagnosi e la terapia può contribuire a prevenire queste malattie e alleviare le sofferenze di molte persone. Tuttavia è importante ricordare che le patologie genetiche spesso sono la conseguenza della mancata osservanza dei principi morali e di uno stile di vita vizioso, che causano sofferenze nei discendenti. La corruzione della natura umana causata dal peccato è contrastata dallo sforzo spirituale; se però il dominio del vizio cresce sempre più nella vita dei discendenti di generazione in generazione, si realizzano le parole della Sacra Scrittura: «di una stirpe iniqua è terribile il destino» (Sap 3,19). E viceversa: «Beato l'uomo che teme il Signore e trova grande gioia nei suoi comandamenti. Potente sulla terra sarà la sua stirpe, la discendenza dei giusti sarà benedetta» (Sal 112,1-2). In tal modo, la ricerca genetica non fa che confermare le leggi spirituali, rivelate molti secoli fa all'umanità nella parola di Dio.
Attirando l'attenzione delle persone sulle cause morali delle malattie, la Chiesa nello stesso tempo approva gli sforzi dei medici tesi a curare le malattie ereditarie. Tuttavia, lo scopo dell'interferenza genetica non deve essere quello di «perfezionare» artificialmente il genere umano o di intromettersi nel progetto di Dio sull'uomo. Pertanto, le metodiche di ingegneria genetica possono essere messe in atto solo con il consenso del paziente o dei suoi legittimi rappresentanti ed esclusivamente sulla base di indicazioni mediche. La terapia genetica delle cellule seminali è estremamente pericolosa, perché implica il mutamento di un genoma (corredo dei caratteri genetici) nella linea delle generazioni, cosa che può provocare conseguenze imprevedibili sotto forma di nuove mutazioni e può arrivare a destabilizzare l'equilibrio tra la comunità umana e l'ambiente.
I successi raggiunti nella decifrazione del codice genetico hanno creato reali presupposti per un testing genetico totale allo scopo di ottenere informazioni sull’unicità naturale di ciascun essere umano e sulla sua predisposizione a determinate malattie. La creazione di un «passaporto genetico» potrebbe aiutare a correggere tempestivamente lo sviluppo di malattie alle quali un particolare individuo è esposto, a condizione che le informazioni ottenute vengano utilizzate in modo ragionevole. Tuttavia sussiste il reale rischio che il cattivo uso delle informazioni genetiche possa servire a diverse forme di discriminazione. Inoltre, il possesso di informazioni sulla predisposizione genetica a gravi patologie può diventare un fardello psicologico insostenibile. Per questo le informazioni genetiche e il testing genetico sono possibili solo sulla base del rispetto della libertà della persona.
Carattere ambivalente hanno anche i metodi di diagnostica prenatale, che permettono di identificare una malattia genetica nelle fasi più precoci di sviluppo intrauterino. Alcuni di questi metodi possono costituire una minaccia per la vita e l'integrità dell'embrione o del feto sottoposto al test. L'individuazione di una malattia genetica inguaribile o gravissima spesso induce i genitori a interrompere la vita concepita; sono noti alcuni casi in cui sui genitori è stata esercitata pressione a questo scopo. La diagnostica prenatale può essere considerata moralmente giustificata, se è finalizzata alla cura di una malattia individuata nella fase più precoce possibile e se può contribuire a preparare i genitori a prendersi particolare cura del bambino malato. Ogni persona ha diritto alla vita, all'amore e alla sollecitudine, indipendentemente dalle malattie da cui possa essere affetta. Secondo la Sacra Scrittura, Dio stesso è «il Dio degli umili» (Gdt 9,11). L'apostolo Paolo insegna a «soccorrere i deboli» (At 20,35; 1Ts 5,14); paragonando la Chiesa al corpo umano, egli spiega che «quelle membra... che sembrano più deboli sono più necessarie, e quelle meno perfette hanno bisogno di «maggior onore» (1Cor 12,22.24). È assolutamente inammissibile il ricorso ai metodi di diagnostica prenatale allo scopo di scegliere il sesso del nascituro più desiderabile per i genitori.

 

La clonazione

XII.6. La clonazione (riproduzione di copie genetiche) di animali, realizzata dagli scienziati, pone il problema dell’ammissibilità e delle possibili conseguenze della clonazione dell'essere umano. La realizzazione di questa idea, che ha incontrato le proteste della maggior parte delle persone in tutto il mondo, può diventare rovinosa per la società. La clonazione apre la possibilità di manipolare il patrimonio genetico della persona a un grado ancora maggiore rispetto alle altre tecnologie riproduttive e contribuisce al suo ulteriore svilimento. L'uomo non ha il diritto di rivendicare un ruolo di creatore di esseri suoi simili o di scegliere i loro prototipi genetici, determinando a sua discrezione le loro caratteristiche personali. L'idea della clonazione è un'indubbia sfida alla natura stessa dell'uomo e all'immagine di Dio che è in lui, parte integrante della quale sono la libertà e l'unicità della persona. La «riproduzione» degli esseri umani con parametri prestabiliti può apparire desiderabile solo ai fautori di ideologie totalitarie.
La clonazione dell'essere umano può corrompere le naturali fondamenta della procreazione, della consanguineità, della maternità e della paternità. Un bambino può diventare fratello del proprio padre, una bambina sorella della propria madre, o figli del proprio nonno. Estremamente pericolose sono anche le conseguenze psicologiche della clonazione. Un essere umano che viene alla luce in seguito a questa procedura può sentirsi non una persona indipendente, ma solo una «copia» di qualcuno che è ancora vivo o che è vissuto prima di lui. È necessario anche considerare che gli esperimenti di clonazione umana creerebbero, come «sottoprodotti», un gran numero di vite incompiute e, molto probabilmente, l'emergere di una numerosa posterità priva di vitalità. D'altra parte, la clonazione di singole cellule e di tessuti isolati dell'organismo non rappresenta un attentato alla dignità della persona e in molti casi si è dimostrata utile nella pratica biologica e medica.

 

I trapianti di organi e tessuti

XII.7. La trapiantologia moderna (la teoria e la pratica del trapianto di organi e tessuti) permette di offrire un aiuto efficace a molti malati che prima sarebbero stati condannati a morte inevitabile o ad una grave disabilità. Nello stesso tempo lo sviluppo di questo campo della medicina, accrescendo il fabbisogno dei necessari organi, genera determinati problemi etici e può presentare una minaccia per la società. Così, la propaganda spregiudicata della donazione di organi e la commercializzazione della pratica dei trapianti creano i presupposti per la nascita di un mercato di parti del corpo umano, minacciando la vita e la salute delle persone. La Chiesa ritiene che gli organi umani non possano essere considerati oggetto di compravendita. Il trapianto di organi da vivente può essere fondato solo su un volontario sacrificio di sé per salvare la vita di un'altra persona. In questo caso il consenso all'espianto di un organo diventa un'espressione di amore e di compassione. Tuttavia, un potenziale donatore deve essere del tutto informato sulle possibili conseguenze dell'espianto dell'organo per la sua salute. L'espianto che presenta un rischio immediato per la vita del donatore è moralmente inammissibile. Molto diffusa è la pratica del prelievo di organi da persone appena decedute. In questi casi deve essere esclusa qualsiasi incertezza relativa al momento della morte. E' inammissibile abbreviare la vita di una persona, anche rifiutandole le terapie necessarie alla sopravvivenza, allo scopo di prolungare la vita di un altro.
Sulla base della divina Rivelazione, la Chiesa professa la fede nella risurrezione della carne dei morti (Is 26,19; Rm 8,11; 1 Cor 15,42-44.52-54; Fil 3,21). Nel rito funebre cristiano, la Chiesa esprime il rispetto dovuto al corpo di un defunto. Tuttavia, la donazione post-mortem di organi e tessuti può diventare un'espressione di amore che si estende anche oltre la morte. Tale genere di donazione o l'espressione della sua volontà testamentaria non può essere considerato un dovere per la persona. Per questo il consenso volontario di un donatore, manifestato in vita, è la condizione alla quale l'espianto può essere considerato legittimo e moralmente ammissibile. Nel caso in cui i medici non conoscano la volontà di un potenziale donatore, essi devono appurare la volontà del morente o del defunto, rivolgendosi se necessario ai suoi parenti. La cosiddetta presunzione di assenso di un potenziale donatore all'espianto di organi e tessuti dal proprio corpo, introdotta nella legislazione di alcuni paesi, è considerata dalla Chiesa una violazione inammissibile della libertà dell'uomo.
Organi e tessuti donati diventano parte della persona che li riceve (ricettore), entrando nella sfera della sua integrità personale fisico-spirituale. Per questo in nessuna circostanza può essere moralmente giustificato il trapianto che può comportare un rischio per l'identità del ricettore, andando a toccare la sua unicità come persona e come rappresentante di una specie. E' particolarmente importante ricordare questa condizione quando si tratta di risolvere problemi connessi con il trapianto di organi e tessuti animali.
La Chiesa ritiene assolutamente inammissibile l'impiego dei metodi della cosiddetta terapia fetale, alla cui base sta l'espianto e l'utilizzazione di tessuti e di organi di feti umani, abortiti a diversi stadi di sviluppo, per tentare di curare varie malattie e di «ringiovanire» un organismo. Condannando l'aborto come peccato morale, la Chiesa non può trovare per esso alcuna giustificazione, anche nel caso in cui qualcuno potesse trarre beneficio dalla distruzione di una vita umana concepita. Contribuendo inevitabilmente alla diffusione e alla commercializzazione ancor più ampia degli aborti, tale prassi (anche se la sua efficacia, attualmente ipotetica, dovesse dimostrarsi scientificamente valida) è un esempio di immoralità scandalosa ed è criminale.

 

L’eutanasia

XII. 8. La pratica dell'espianto di organi umani, utilizzabili per il trapianto, e lo sviluppo della terapia intensiva hanno posto il problema della corretta constatazione del momento della morte. Prima il criterio per il suo accertamento era considerato l'arresto irreversibile del respiro e della circolazione sanguigna. Tuttavia, grazie al miglioramento delle tecnologie di rianimazione, queste importanti funzioni vitali possono essere mantenute artificialmente per lungo tempo. L'evento della morte in tal modo si trasforma in un processo del morire che dipende dalla decisione del medico ed impone alla medicina contemporanea una responsabilità qualitativamente nuova.
Nella sacra Scrittura la morte rappresenta la separazione dell'anima dal corpo (Sal 146,4; Lc 12,20). In tal modo, si può parlare di una continuazione della vita fino a quando l'organismo funziona in tutta la sua integralità. Il prolungamento della vita con mezzi artificiali, dove di fatto solo singoli organi continuano a funzionare, non può essere considerato un compito vincolante della medicina e in nessun caso auspicabile. I tentativi di allontanare il momento della morte talora non fanno che prolungare le sofferenze del malato, privando la persona del diritto a una morte dignitosa, «non avvilente e in pace», che i cristiani ortodossi chiedono al Signore durante la liturgia. Quando la terapia intensiva diventa impossibile, dovrebbe subentrare un aiuto palliativo (anestetici, assistenza infermieristica, sostegno sociale e psicologico) e la cura pastorale. Tutto questo per assicurare una fine dell'esistenza terrena veramente umana, riscaldata dalla misericordia e dall'amore.
La concezione ortodossa di una morte dignitosa comprende la preparazione al momento terminale della vita, considerato una tappa spiritualmente importante nell'esistenza di una persona. Negli ultimi giorni della sua vita terrena un ammalato circondato dalla sollecitudine cristiana può sperimentare in sé un cambiamento operato dalla grazia di Dio, in una comprensione nuova del senso del suo viaggio ormai compiuto e nell'anticipazione penitente dell'eternità. Per i parenti di un morente e per gli operatori sanitari la paziente assistenza al malato diventa un'opportunità di servire il Signore stesso, secondo le parole del Salvatore: «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me». Il tentativo di nascondere al paziente la verità sulla gravità delle sue condizioni con il pretesto di preservare la sua tranquillità spirituale e psicologica spesso priva il morente della possibilità di prepararsi consapevolmente alla morte e di trovare una consolazione spirituale nella partecipazione ai sacramenti della Chiesa, e getta un'ombra di sfiducia sui suoi rapporti con i parenti e con i medici.
Le sofferenze fisiche che precedono la morte non sempre possono essere alleviate efficacemente con l'impiego di anestetici. Consapevole di questo, la Chiesa in tali casi rivolge a Dio la preghiera: «Libera il tuo servo da queste intollerabili sofferenze e dalle sue amare infermità e donagli conforto, o anima dei giusti» (Messale, orazione per coloro che soffrono di lunghe malattie). Solo il Signore è padrone della vita e della morte (1Sam 2,6). «Egli ha in mano l'anima di ogni vivente e il soffio d'ogni carne umana» (Gb 12,10). Per questa ragione la Chiesa, rimanendo fedele al comandamento di Dio «non uccidere» (Es 20,13), non può riconoscere come moralmente ammissibili i tentativi, ora ampiamente diffusi nella società laica, di legalizzare la cosiddetta eutanasia, cioè la deliberata uccisione di malati che non hanno alcuna speranza di guarire (anche per loro stessa volontà). La richiesta da parte di un malato di accelerare la morte è talora condizionata da uno stato di depressione, che gli impedisce di valutare in maniera corretta la propria condizione. Il riconoscimento legale dell'eutanasia porterebbe allo svilimento della dignità del medico, chiamato a preservare la vita piuttosto che a sopprimerla, e a una deviazione rispetto alla deontologia professionale. Il «diritto alla morte» può facilmente diventare una minaccia alla vita di pazienti la cura dei quali richiederebbe grandi mezzi economici.
In tal modo, l'eutanasia è una forma di assassinio o di suicidio, a seconda che il paziente vi prenda parte attiva o no. Qualora il paziente partecipi all'eutanasia, andranno applicate quelle norme canoniche secondo le quali il suicidio volontario, così come l'aiuto dato per compierlo, sono giudicati peccato grave. Ad un suicida consapevole, che «lo abbia commesso tale atto spinto da rancore umano o per qualche altro motivo dettato da pusillanimità», non sarà concessa la sepoltura cristiana e la commemorazione liturgica (Timoteo Aless., can. 14). Se un suicidio è avvenuto durante un raptus di follia, quando la persona non era nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali, la preghiera della Chiesa per il suicida è permessa dopo che il vescovo competente abbia condotto un'indagine sul caso. Nello stesso tempo è necessario ricordare che spesso la colpa del suicida ricade anche sulle persone che lo circondavano e che si sono rivelate incapaci di efficace compassione e di misericordia. Con l'apostolo Paolo la Chiesa esorta: «Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo» (Gal 6,2).

 

I rapporti omosessuali

XII.9. La sacra Scrittura e l'insegnamento della Chiesa deplorano inequivocabilmente i rapporti omosessuali, vedendo in essi un vizioso stravolgimento della natura umana creata da Dio.

«Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio» (Lv 20,13). La Bibbia narra del terribile castigo che Dio inflisse agli abitanti di Sodoma (Gn 19,1-19), secondo l'interpretazione dei santi padri, proprio per il peccato di sodomia. L'apostolo Paolo, nel descrivere la condizione morale del mondo pagano, colloca i rapporti omosessuali tra le «passioni più infami» e le «impurità» che disonorano il corpo umano: «Le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che s'addiceva al loro traviamento» (Rm 1,26-27). «Non illudetevi... né effeminati, né sodomiti... erediteranno il regno di Dio», scrive l'Apostolo agli abitanti della corrotta Corinto (1 Cor 6,9-10). La tradizione patristica in maniera altrettanto chiara e determinata condanna ogni manifestazione di omosessualità. La «Didachè», le opere di s. Basilio Magno, Giovanni Crisostomo, Gregorio di Nissa, s. Agostino, i canoni di Giovanni il Digiunatore esprimono tutti l'immutato insegnamento della Chiesa secondo il quale i rapporti omosessuali sono peccaminosi e vanno condannati. Coloro che li praticano non hanno il diritto di far parte del clero (Basilio Magno, can. 7; Gregorio Nis., can. 4; Giovanni il Digiunatore, can. 30). Rivolgendosi a coloro che si erano macchiati del peccato di sodomia, il beato Massimo il Greco fece questo appello: «Guardatevi, dannati, a quale piacere perverso vi siete abbandonati!... Cercate di abbandonare immediatamente questo vostro obbrobrioso e fetidissimo piacere, cercate di detestarlo, e chi affermasse che è un piacere innocente, su costui pronunciate un anatema eterno, in quanto è nemico del vangelo di Cristo Salvatore e corruttore del suo insegnamento. Purificatevi con un pentimento sincero, lacrime ardenti e la massima carità e la preghiera pura... Detestate con tutta l'anima questo peccato perché non vi capiti di essere figli della dannazione e della morte eterna».
I dibattiti sulla condizione delle cosiddette minoranze sessuali nella società contemporanea tendono a riconoscere l'omosessualità non come una perversione sessuale, ma solo come uno degli «orientamenti sessuali», che hanno eguale diritto alla manifestazione pubblica e al rispetto. Si sostiene inoltre che la tendenza omosessuale è determinata da una predisposizione naturale individuale. La Chiesa ortodossa muove dalla ferma ed immutata convinzione che l'unione coniugale dell'uomo e della donna stabilita da Dio non può essere paragonata alle manifestazioni pervertite della sessualità. Essa considera l'omosessualità uno stravolgimento peccaminoso della natura umana, il quale può essere superato da uno sforzo spirituale che porta alla guarigione e alla crescita personale dell'individuo. I desideri omosessuali, come pure le altre passioni che tormentano l'uomo decaduto, vengono guariti dai sacramenti, dalla preghiera, dal digiuno, dal pentimento, dalla lettura della Sacra Scrittura e delle opere patristiche, oltre che dalla comunione cristiana con persone credenti disposte ad offrire un sostegno spirituale.
Pur trattando le persone che hanno inclinazioni omosessuali con responsabilità pastorale, la Chiesa nello stesso tempo è risolutamente contraria ai tentativi di presentare questa tendenza peccaminosa come «normale» e addirittura come motivo d'orgoglio ed esempio da emulare. Questo è il motivo per cui la Chiesa condanna qualsiasi propaganda dell'omosessualità. Pur senza negare a nessuno i fondamentali diritti alla vita, al rispetto della dignità personale e alla partecipazione agli affari pubblici, la Chiesa tuttavia ritiene che coloro che propagandano uno stile di vita omosessuale non devono essere ammessi all'insegnamento, ad un'attività educativa o di altro tipo a contatto con bambini o con giovani, come pure ad occupare posti direttivi nell'esercito e negli istituti di rieducazione.
Talvolta le perversioni della sessualità umana si manifestano come un sentimento doloroso di appartenere al sesso opposto, che sfocia nel tentativo di cambiare il proprio sesso (transessualità). Il desiderio di rifiutare di appartenere al sesso che le è stato assegnato dal Creatore non può avere che conseguenze rovinose per l'ulteriore sviluppo della persona. Il «cambio di sesso» mediante terapia ormonale e chirurgica in molti casi non porta alla soluzione dei problemi psicologici, ma al loro aggravamento, provocando una profonda crisi interiore. La Chiesa non può approvare un simile genere di «ribellione contro il Creatore» e riconoscere come reale un’identità sessuale cambiata artificialmente. Se un «cambio di sesso» è avvenuto in una persona prima del battesimo, la persona può essere ammessa al sacramento, come qualsiasi altro peccatore, ma la Chiesa la battezzerà come appartenente al sesso nel quale era nata. L'ordinazione sacerdotale di una tale persona e il suo matrimonio religioso sono inammissibili.
La transessualità deve essere distinta dall’errata identificazione del sesso di una persona nella sua prima infanzia, dovuta a un errore del medico in presenza di uno sviluppo patologico dei caratteri sessuali. La correzione chirurgica in questo caso non ha il carattere di un cambiamento di sesso.

 
La benedizione delle case alla Teofania

Perché benedire una casa?

La Chiesa Ortodossa insegna che non abbiamo due vite separate, una laica e una spirituale, ma una singola vita umana, e che tutto quanto deve essere santo. Non dobbiamo essere cristiani solo per un paio d'ore al sabato e alla domenica, e passare il resto della nostra vita senza Dio. La persona unita a Cristo nel sacramento del battesimo non può essere un cristiano part-time, ma deve essere fedele a Cristo in ogni luogo e in ogni tempo, in chiesa, al lavoro, a casa, nei rapporti con gli altri cristiani, e in quelli con i non cristiani: dobbiamo essere fedeli a Cristo nella pienezza della nostra vita.

La Santa Chiesa ortodossa ci insegna che un tempio non è solo un edificio in cui adoriamo, ma che noi stessi siamo tempio dello Spirito Santo (1 Cor 3,16);ci insegna che il Corpo di Cristo non è solo quello di cui noi partecipiamo alla Divina Liturgia, ma che noi stessi siamo il corpo di Cristo (1 Cor. 12,27). E proprio come i doni dell'Eucaristia sono trattati con rispetto e conservati in vasi santificati nell'altare, così la vita di ogni cristiano dovrebbe essere piena di riverenza e di santità, non solo nel corso di una funzione in chiesa, ma allo stesso modo al di fuori delle mura del tempio. La casa di un cristiano deve diventare un piccolo tempio, il suo lavoro, un’opera per la gloria di Dio, e la sua famiglia una piccola Chiesa.

La Chiesa ortodossa aiuta i suoi figli a darsi da fare per la santità nella loro vita e porta la santificazione a ogni casa cristiana, facendo di questa un piccolo tempio. La Chiesa benedice la fondazione stessa di una casa nello stesso modo in cui benedice la fondazione di una chiesa, benedice una nuova casa cristiana nello stesso modo in cui benedice un nuovo tempio, e ogni anno, dopo la benedizione di una casa parrocchiale con l'acqua della Teofania, la Chiesa porta l'acqua santa nelle case dei fedeli. Le preghiere per la benedizione di un tempio sono diverse da quelle per la benedizione di una casa, perché la funzione di una casa è diversa da quella di un tempio, ma l'azione santificatrice dello Spirito Santo è la stessa. E proprio come nel battesimo del nostro Signore tutta la creazione è purificata e santificata, ogni anno dopo la festa del Battesimo del Signore (19 gennaio, secondo il calendario civile) i cristiani santificano se stessi e le loro case con l'acqua della Teofania.

La Chiesa ci insegna a santificare tutto: abitazioni, luoghi di lavoro, tutte le nostre attività e i frutti del nostro lavoro. E proprio come un tempio e i vasi sacri, una volta santificati e messi da parte per l'uso sacro, non si possono più usare per qualcosa di profano, allo stesso modo un cristiano lavato nelle acque battesimali, e la sua casa, e tutte le sue opere non possono più essere dimora del peccato e delle opere di satana, ma solo e sempre il tempio dello Spirito Santo e il compimento della volontà del nostro Padre celeste. È per questo che la Chiesa benedice tutto ciò che si può trovare in una famiglia cristiana, e se qualche cosa non è degna di essere benedetta, allora non dovrebbe avere un posto di tutto rispetto nella casa di un cristiano. (1)

 

Quanto costa?

La preghiera della Chiesa non ha prezzo, non può essere né venduta né acquistata. La Chiesa benedice la casa di ogni cristiano allo stesso modo, a prescindere dalla sua situazione finanziaria. Tuttavia, dobbiamo notare una cosa ovvia: non sono solo gli angeli che vengono a benedire le nostre case, ma insieme a loro vengono i ministri dell'altare, persone molto simili a tutti noi, che devono prendersi cura anche loro delle loro famiglie, e che vengono da noi consumando benzina per la quale servono soldi, così come per tutti noi. Così, si è soliti fare una donazione al clero per il loro tempo e lavoro. L'importo di questa donazione è determinato unicamente dalle circostanze specifiche e dalle considerazioni di ogni famiglia.

 

La benedizione di una casa

Per far benedire la vostra casa per la prima volta o per organizzare una benedizione annuale dopo la Teofania, è necessario contattare personalmente il rettore della chiesa parrocchiale. Storicamente, il clero poteva raggiungere a piedi ogni casa nella loro parrocchia e benedirla il giorno della Teofania. Nella nostra situazione attuale, in cui molti parrocchiani vivono a decine di chilometri dalla chiesa, è importante avvicinarsi al parroco in anticipo e organizzare per un tempo adeguato per la sua visita.

Per una benedizione annuale di una casa alla Teofania preparate un tavolino nel vostro angolo delle icone, coperto con un panno pulito, candele, e un vaso con l'acqua santa. Per la benedizione di una casa per la prima volta è anche necessario preparare una piccola quantità di olio d'oliva puro.

Anche se i parrocchiani spesso desiderano che il sacerdote rimanga a cena, dopo la benedizione della loro casa, è necessario ricordare che il sacerdote può dover benedire diverse abitazioni in un giorno e non può fisicamente mangiare diverse cene di fila. Non offendetevi se il sacerdote deve correre a benedire un'altra casa. Lunghi colloqui spirituali intorno a una tazza di tè sono cose molto importanti, ma è altrettanto importante trovare per queste cose un tempo vero e proprio in un giorno diverso, o assicurarsi in anticipo che il sacerdote abbia tempo dopo la benedizione della vostra casa.

 

(1) Di solito, il gabinetto non è benedetto, perché tradizionalmente il gabinetto non era situato all'interno di una dimora umana, ma in una casetta separata al di fuori della casa.

 
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Festa patronale alla chiesa di Santa Caterina a Roma

Presentiamo nella sezione "Figure dell'Ortodossia contemporanea" (purtoppo ci manca ancora nel sito una sezione dedicata alle cronache di eventi recenti...) il resoconto in russo, con la nostra traduzione italiana, della recente festa patronale alla chiesa di Santa Caterina a Roma. Nelle foto si vedono per la prima volta sul web i nuovi affreschi interni della chiesa, realizzati nel corso di quest'anno.

I nostri più cari auguri a padre Antoniy e alla parrocchia di Santa Caterina. Многая лета!

 
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Studio storico-liturgico sul rito matrimoniale

Il rito post-apostolico di benedizione del matrimonio è diventato "funzione del matrimonio" piuttosto tardi (rispetto ad altri riti della nostra Chiesa) e la separazione di questa funzione dal quadro eucaristico ha significato il passo decisivo nella stesura del rito di oggi, molto diverso da quello antico. Pertanto abbiamo ritenuto necessario scrivere uno studio storico di questo rito, analizzando criticamente il testo e offrendo anche alcuni suggerimenti per migliorare le future edizioni del Molitfelnic (Eucologio). Purtroppo gli studi critici sull'evoluzione del nostro culto liturgico sono considerati per la maggior parte con molte riserve, e i termini "edizione critica" e "revisione critica", con l'eccezione di un piccolo numero di ricercatori, sono percepiti negativamente. Ma ci auguriamo che grazie agli sforzi congiunti dei liturgisti in tutto il mondo, inclusi quelli romeni, i sacerdoti, gli studenti di teologia e anche i fedeli ordinari possano abituarsi all'idea che le funzioni religiose si sono evolute nel tempo, che il processo non è finito e non finirà mai, e che le differenze liturgiche tra alcune Chiese non possono essere catalogate automaticamente come "ortodosse" oppure "eretiche".

Dal momento che negli studi liturgici romeni manca uno studio o un corso sistematico sull'argomento (con riferimenti aggiornati) che possa essere utilizzato dagli studenti di teologia, ho deciso di scrivere un breve riassunto sul tema, che in futuro potrebbe essere esteso. Purtroppo, la tesi di dottorato di padre Vasile GAVRILĂ, Cununia – viaţă întru Împărăţie (Bucarest, 2004), è troppo complicata e talvolta confusa e imprecisa, e difficilmente può essere utilizzata per gli studenti di teologia al corso di "Liturgia speciale". Eppure noi ci siamo serviti di questo libro, insieme a molti altri studi e libri, i più importanti dei quali sono: Ene BRANIŞTE, Liturgica Specială, Bucarest, Ed IBMBOR, 2005; Михаил АРРАНЦ SJ, Избранные сочинения по Литургике, vol 1 - Таинства Византийского Евхология, Ed. S. Thoma, Roma-Mosca, 2003; Михаил ЖЕЛТОВ, Церковное благословение повторных браков in "Журнал Московской Патриархии", Мosca, 8/2005, pp 72-79; Idem, Вступление в брак: библейское осмысление и церковное чинопоследование, nei materiali preparatori per il convegno teologico internazionale "L'insegnamento ortodosso sui sacramenti della Chiesa", Мosca, 2007, pp 198-206; В. ЦЫПИН & Михаил ЖЕЛТОВ, Брак, in "Православная Энциклопедия", volume 6, Mosca, 2003, pp 146-181; Михаил ЖЕЛТОВ, Венчание брака in "Православная Энциклопедия", vol 7, Mosca, 2004, pp 661-668; Idem, История чинопоследования венчания в византийской традиции, relazione letta alla Conferenza Teologica Internazionale "L'insegnamento ortodosso sui sacramenti della Chiesa", Mosca (13-16 novembre 2007); Aleksej PENTKOVSKIJ, Le Ceremoniale du Mariage dans l'Euchologe Byzantin du XIe – XIIe siècle, in Le marriage, Conferences Saint-Serge, Lxe Semaine d’Etudes Liturgiques, Paris, 1993 [Ephemenides Litugicae - Subsidia], Roma, 1994, pp 259 -287.

Parole chiave: matrimonio, evhologhion (euchologion), eucaristia, fidanzamento, molitfelnic, nozze.

1. PRELIMINARI

In primo luogo, annunciamo fin dall'inizio che questo studio non riguarda il mistero del matrimonio nel suo significato dogmatico e morale-spirituale, ma la funzione liturgica, con la quale si santifica il mistero del matrimonio, ora chiamato incoronazione, o, più correttamente, funzione dell'incoronazione degli sposi. Esporremo quindi l'evoluzione liturgica della funzione dell'incoronazione, che da più di un millennio rappresenta l'atto liturgico generalizzato della Chiesa ortodossa con cui si benedice il matrimonio di due cristiani.

Non bisogna quindi confondere i due concetti – matrimonio e incoronazione – come fanno in molti, purtroppo. Quando parliamo del mistero del matrimonio, ci riferiamo all'unione corporea (fisica) e spirituale (metafisica) di un uomo e una donna, in vista della loro salvezza in Cristo, attraverso il mantenimento della purezza del corpo e della fedeltà e attraverso la generazione e l'educazione dei bambini. Nel cristianesimo questo si fa già dal I secolo con la benedizione, o almeno con l'approvazione, della Chiesa. Quando invece ci riferiamo all'incoronazione, abbiamo in mente il rito o la funzione corrente di benedizione degli sposi, attraverso l'imposizione di alcune corone speciali all'inizio della loro unione per tutta la vita. Questa funzione ha una storia più recente e non rappresenta l'atto primario di benedizione del matrimonio tra cristiani. Così è un po' inappropriato e fuorviante usare il termine "mistero dell'incoronazione", perché il "mistero" non è limitato all'atto liturgico dell'incoronazione della coppia, né l'incoronazione esprime la pienezza del sacramento del matrimonio, ma è solo la benedizione del suo inizio, mentre il mistero stesso si protrae più a lungo [1].

In secondo luogo, dobbiamo ricordare che l'esistenza di testimonianze storiche sul matrimonio/nozze che si incontrano fin dalle prime pagine della Scrittura e poi tra i primi cristiani, non significano sempre analoghe testimonianze storiche di un rito o di una funzione di benedizione della coppia e tanto meno della loro incoronazione. Per comprendere meglio queste cose dovremo ricorrere meno alla storia del "mistero", ma soprattutto a quella della "funzione". Dalla Scrittura sappiamo che fin dal principio Dio creò l'uomo maschio e femmina e che queste due persone devono vivere insieme in comunione e amore, come le persone che le hanno create: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo (Genesi 1:27). Naturalmente, abbiamo qui una distinzione importante in quanto le persone trinitarie sono "consustanziali" e indivise in eterno, mentre l'uomo e la donna si uniscono nel tempo, cioè a partire da un dato momento e solo fino alla morte di uno di loro (Mt 10:30, I Cor 7:39), e i due diventano una [sola] carne (Gen. 2,24). Cristo il Salvatore ha confermato questo insegnamento dicendo che le persone sposate "non sono più due, ma una carne sola. E quello che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi "(Matteo 19:6). Quindi questo è il "grande mistero" di cui san Paolo parla nel suo capitolo 5 della Lettera agli Efesini - il mistero dell'unione dell'uomo e della donna, secondo l'immagine dell'unione tra Cristo e la Chiesa, ovvero il mistero dell'unione di due realtà che si completano: non una accanto all'altra, ma ciascuna all'interno e attraverso l'altra. La tradizione della Chiesa ha sempre detto che se l'uomo e la donna si sposano "nel Signore" (I Cor 7:39, 11:11), Dio stesso è in mezzo a loro e benedice la loro unione [2].

San Giovanni Crisostomo, portando ancor più avanti queste idee, dice che il matrimonio ha un triplice scopo: 1) la salvezza dei due insieme attraverso l'amore di Dio, che deve essere maggiore dell'amore dell'uno per l'altro e che deve santificare l'amore corporeo; 2) la vita nella purezza del corpo, in quanto ogni uomo ha una sola donna e ogni donna ha un solo uomo, e questa fedeltà reciproca è anche una sorta di verginità [piuttosto nel senso di "sapienza integra" - come i santi Padri denominano la verginità]; 3) la procreazione di bambini che hanno bisogno di crescere ed essere educati come buoni cristiani. [3]

Menzioniamo ancora che la Chiesa chiama "matrimonio" anche altre unioni mistiche come l'unione tra Dio e Israele, il popolo eletto (Is 49, 54, 61 e 62; Osea 16), quella tra Cristo-sposo e la Chiesa-sposa (Ef 5), e fra Cristo e un monaco – che diventa sua sposa [4], e questi – lo sposo.

2. TESTIMONIANZE STORICHE DELLA BENEDIZIONE DEL MATRIMONIO DA PARTE DELLA CHIESA

A. Dal momento che la famiglia è la cellula fondamentale della società, tutte le religioni e le civiltà del mondo le hanno dedicato una particolare attenzione, anche se non tutte hanno avuto visioni corrette del mistero dell'unione tra uomo e donna. Per esempio, oltre alla monogamia (matrimonio tra un uomo e una donna) – il modello di matrimonio che si trova fin dall'inizio nel disegno di Dio  ed è il solo accettato nel cristianesimo, alcuni popoli hanno adottato la poligamia (matrimonio tra un uomo e diverse donne) [5] o, più raramente – la poliandria (il matrimonio di una donna con più uomini) [6]. Per quanto riguarda le "unioni" tra omosessuali e lesbiche, queste sono state e sono considerate illegittime e maledette nella maggior parte delle religioni e specialmente tra cristiani ed ebrei.

B. Tornando al tema del matrimonio, nelle religioni antiche esistevano ovunque certe forme di culto che sancivano il matrimonio. Non mancavano neppure tra i greco-romani. Questi ponevano alla base del matrimonio un accordo (verbale o scritto) tra i coniugi o i loro genitori, seguito da sacrifici agli dei, in presenza di un "sacerdote". Il diritto legale romano aveva altre importanti disposizioni relative a un matrimonio tra cui una, molto importante, che richiedeva la presenza di almeno 10 testimoni alla cerimonia di nozze. Naturalmente, vi erano anche alcune usanze tradizionali come vestire la sposa, legare le mani degli sposi, scambiarsi di doni tra i genitori dei coniugi (come pegno di garanzia), ecc. Un'abitudine molto importante, soprattutto i greci, era decorare la stanza nuziale con fiori e mettere sul capo degli sposi corone, anche queste di fiori, che erano rimosse solo dopo la fine del giorno delle nozze. Più tardi questo elemento è stato ripreso dai cristiani.

C. Presso gli ebrei la benedizione nuziale era un elemento indispensabile del matrimonio. Il testo dell'Antico Testamento che è più esplicito a raccontare il matrimonio ebraico, incluse le formule di benedizione, è il libro di Tobia, ai capitoli 7-8, ma alcune informazioni sono contenute in Genesi 24 e altrove. Gli elementi fondamentali del matrimonio sono: 1) il padre della sposa unisce le mani degli sposi; 2) li benedice; 3) si deve firmare l'accordo di matrimonio (Ketuva[h]), elemento importante del matrimonio giudaico [7]; 4) il pasto cerimoniale; 5) lo sposo entra nella camera nuziale della sposa; 6) la mattina del secondo giorno, le nozze riprendono e possono continuare per diversi giorni. Dai testi biblici si osserva che le preghiere di benedizione sono molto semplici e brevi. Iniziando dal secolo II d.C., i rabbini hanno sviluppato un rito più complesso con due componenti: fidanzamento e nozze. Inizialmente erano separati, ma dal sec. XI sono stati uniti assieme. Si benedice una coppa comune degli sposi, poi lo sposo mette l'anello alla destra della sposa e si procede al pasto cerimoniale.

D. È difficile dire come si faceva il matrimonio tra i primi cristiani. La mera partecipazione del Salvatore alle nozze di Cana di Galilea (Gv 2) non dice quasi nulla del matrimonio cristiano, perché il Signore non ha cambiato nulla nel rituale del matrimonio (che era quello ebraico), ma ha solo assistito, e al momento opportuno ha trasformato l'acqua in vino. Quindi la benedizione di Dio su questo matrimonio è stata fatta dalla stessa presenza del Signore al matrimonio e non alcuni riti o preghiere specificamente cristiani.

Proprio questa idea della presenza di Cristo alle nozze segnerà un ulteriore aspetto specifico del matrimonio cristiano, perché la prima testimonianza storica non parla di alcun elemento specifico del matrimonio dei cristiani, solo che deve essere fatto "nel Signore" (I Cor 7:39, 11:11). Ovvero, l'unione tra lo sposo e la sposa dovrebbe riflettere l'ideale di unione mistica tra Cristo e la Chiesa (Ef 5). Per il resto, la forma esterna del matrimonio era probabilmente come quelle in tutto l'Impero Romano, con l'eccezione dei sacrifici agli idoli – questi erano sostituiti, fin dall'inizio, dalla comunione eucaristica della coppia.

All'inizio del secondo secolo, sant'Ignazio († 107), parla nella sua Epistola agli Smirnesi (capitolo VIII) della presenza obbligatoria del vescovo all'eucaristia, al battesimo e all'agape, ma non al matrimonio. [8] Tuttavia, nella sua Epistola a san Policarpo (V, 2), sant'Ignazio dice: "Quelli che si uniscono e quelli che si sposano devono unirsi con la conoscenza (μετὰ γνώμης) del vescovo, perché il loro matrimonio sia secondo il Signore (κατὰ Κύριον), e non secondo la lussuria. Tutto questo deve essere fatto a onore di Dio". [9] Non è chiaro se la "conoscenza" (probabilmente in senso di approvazione) implica la presenza al matrimonio del vescovo o il compimento di una particolare funzione liturgica di benedizione degli sposi? Personalmente credo che questa conoscenza / approvazione del vescovo, di cui parla sant'Ignazio, significasse una benedizione, ma che questa si tenesse come procedura riservata, non pubblica, a causa delle leggi pagane allora in corso [10]. Naturalmente, anche in quel contesto, i cristiani conducevano uno stile di vita diverso da quello dei pagani sposati e, naturalmente, si comunicavano continuamente ai santi misteri, che santificano in modo particolare la vita coniugale cristiana. Incontriamo una testimonianza concreta in tal senso in Tertulliano (ca. 160-220), che dice che il matrimonio è sacro per i cristiani in quanto "viene eseguito in chiesa, confermato dall'offerta (lat: oblatio, vale a dire l'eucaristia), sigillato da una benedizione, assistito dagli angeli e accettato dal Padre" [11]. Come si può facilmente osservare, questa è la prima menzione concreta della benedizione nuziale da parte della Chiesa e della sua consacrazione con l'eucaristia. È vero che neppure una fonte liturgica dei secoli III -IV (La Tradizione Apostolica, il Sacramentario di Serapione di Tmuis, il Papiro di Barcellona, le Costituzioni Apostoliche, il Testamentum Domini e altri [12], anche se a volte queste contengono preghiere specifiche per i servizi religiosi meno importanti, menziona alcuna preghiera di benedizione del matrimonio. Neppure lo Pseudo-Dionigi l'Areopagita (fine del V secolo) elenca la benedizione nuziale tra sei principali servizi della Chiesa descritti nel suo trattato sulla gerarchia ecclesiastica. [13] Così, non è escluso che a quel tempo, nella maggior parte del mondo cristiano, non vi fosse alcun rituale liturgico concreto del matrimonio, e l'accento si concentrasse sulla comunione eucaristica della coppia - che era (e che dovrebbe essere anche ora) l'elemento più importante. Per di più, abbiamo ogni ragione per credere che la maggior parte dei cristiani rispettasse i costumi del matrimonio greco-romano (fatta eccezione per le offerte sacrificali agli idoli), per questo lo stesso Tertulliano critica il fatto che i cristiani mettano al matrimonio corone di fiori sul capo, come facevano i pagani [14].

Verso la fine del IV secolo san Gregorio il Teologo registra l'abitudine di unire le mani degli sposi e il pasto cerimoniale, proponendo la sostituzione dei canti del talamo nuziale con i Salmi [15]. Allo stesso modo stabilisce l'abitudine che il padre della sposa ponga le corone sul capo degli sposi, mentre i chierici si limitano alle sole preghiere [16]. Anche san Giovanni Crisostomo accetta l'imposizione di corone di fiori agli sposi, dicendo che simboleggiano la vittoria degli sposi sui desideri carnali [17], ma non menziona che fossero imposte da un sacerdote. San Giovanni, invece, ci racconta qualcosa in più sulla preghiera del sacerdote e sul suo significato: "... chiamate i sacerdoti [ai matrimoni], affinché attraverso le loro preghiere e benedizioni si rafforzi l'unione tra i coniugi; perché l'amore del marito cresca e la prudenza della moglie aumenti". [18]

Pertanto, osserviamo che alla fine del IV secolo appaiono le prime indicazioni concrete sulle preghiere di benedizione nuziale dei cristiani [19], ma queste preghiere e benedizioni non presuppongono l'imposizione delle corone da parte del prete. Questo avverrà in seguito, attraverso l'influenza del rito d'imposizione della corona regale sul capo del monarca da parte del patriarca [20], quando l'imposizione di corone sul capo degli sposi diventerà un atto implicito di benedizione del matrimonio di tutti i cristiani d'Oriente, dando a questa funzione il nome di incoronazione.

Come argomento a favore di quanto esposto qui sopra, fa al caso nostro la descrizione della cerimonia di nozze dell'imperatore Maurizio nel 582 [21]. La cerimonia, svoltasi in una delle sale del palazzo imperiale di Costantinopoli (non in chiesa!), consisteva nell'unione da parte del patriarca delle mani degli sposi, nella loro benedizione e nella loro comunione ai santi misteri [presantificati]. Dopo questo, la sposa e lo sposo bevevano dalla coppa comune e poi iniziava il pasto cerimoniale. Teofilatto Simocatta afferma che a questa tavola alla coppia non erano state imposte le corone, in quanto erano già stati incoronati prima, come imperatori [22]. Da questo racconto, i liturgisti traggono tre conclusioni importanti:

1) nel caso della gente comune [23], l'incoronazione della coppia, cioè l'imposizione delle corone, era compiuta (di solito) dal padre della sposa e faceva parte del pasto cerimoniale, quindi non era legata ad alcun rito liturgico;

2) nel caso degli imperatori, se lo sposo era già stato incoronato (come re) [24], questo rituale non si ripeteva di nuovo al matrimonio, ma si pronunciavano solo alcune preghiere di benedizione;

3) se il matrimonio si faceva assieme all'incoronazione, cosa che si praticava soprattutto nel caso degli eredi designati al trono (cioè non necessariamente l'assunzione effettiva del trono), il rito liturgico dell'incoronazione e quello del matrimonio si sovrapponevano, e la stessa imposizione delle corone da parte del patriarca aveva un doppio significato, conforme a quello dei due eventi celebrati [25].

Così, i due riti più tardivi di incoronazione, dei re e degli sposi, entrambi con "coinvolgimento" della Chiesa, erano in origine un singolo rito, ma nel tempo si separarono per sempre, e l'abitudine di mettere corone sui capi della coppia da parte di un chierico della Chiesa si è generalizzata anche nel caso della gente comune [26], ma questo un po' più tardi e non senza il coinvolgimento diretto degli imperatori bizantini più devoti (si veda sotto).

Dobbiamo anche ricordare che a Bisanzio tutte le persone, compresi coloro che avevano uno status politico inferiore, erano obbligate per legge a rispettare le prescrizioni civili del matrimonio senza che lo Stato li obbligasse a contrarre anche il "matrimonio religioso". Notiamo che nessun "Digesto" dell'imperatore Giustiniano (527-565) o "Ecloga (Ἐκλογὴ τῶ νόμον)" di Leone III e Costantino V (anno 741), parlano di altro che di "matrimonio civile", basato su un accordo scritto (ἔγγραφος). È interessante che un' "Ecloga" ammette come eccezione un matrimonio fatto senza tale accordo scritto (ἄγραφος), se è concluso in presenza di amici o con la benedizione (εὐλογία) della Chiesa [27]. Questa benedizione della Chiesa di cui fa menzione tale "Ecloga" consiste probabilmente nel rito che abbiamo nel Codex Barberini 336 (sempre del sec. VIII), o forse di un rito simile a questo.

Dai dati che ci offre la storia, costatiamo che questa funzione ecclesiastica, relativamente complessa per quel tempo, non era ancora divenuta obbligatoria per tutti quelli che si sposavano. Fonti canoniche, omiletiche o di altra natura non ci forniscono alcuna informazione chiara in questo senso. Presupponiamo, tuttavia, che la Chiesa abbia esortato i giovani cristiani a sposarsi solo con la benedizione, ma nello stesso tempo, a causa di un gran numero di matrimoni civili fatti senza la benedizione della Chiesa, o forse anche a causa di pressioni da parte dello stato, la Chiesa riconosceva anche i matrimoni civili. Come prova, l' "Isagoge" o "Epanagoge" scritto con il contributo del patriarca Fozio nell'886, parla ancora di tre modi alternativi per compiere un matrimonio: a) con la firma di un accordo scritto (συμβόλαιον); b) con l'incoronazione (στεφάνωμα); c) con la benedizione della Chiesa (εὐλογία) [28]. Gli specialisti ritengono che questa "incoronazione" deve essere vista come un rito opzionale e più "dichiarativo", che aveva come primo scopo l'annuncio pubblico e solenne dell'atto giuridico del matrimonio – condizione molto importante del diritto romano-bizantino, e la "benedizione" della Chiesa deve essere intesa come un  rito liturgico più diffuso che, probabilmente, comprendeva anche lo scambio degli anelli [29].

Un passo decisivo nel processo di generalizzazione del rito liturgico di benedizione del matrimonio è stato fatto dall'imperatore Leone VI il Filosofo / il Saggio (886-912) [30], che con la Novella 89, obbligava tutti eccetto gli schiavi ricevere la benedizione per il "matrimonio" (συνοικέσιον). Più tardi, l'imperatore Alessio I Comneno, con la Novella 24 (anno 1084) parla già della generalizzazione di due benedizioni: una per il fidanzamento (μνηστεία) e un'altra per il matrimonio (γάμος), e nel 1092 sempre lui, con la Novella 31 estende l'obbligatorietà di queste benedizioni della Chiesa anche agli schiavi. [31]

È importante menzionare che, a partire dai secoli XI-XII, sia le fonti liturgiche sia quelle giuridiche associano sempre al termine "benedizione / εὐλογία " [de matrimonio] il termine "fidanzamento [32] / μνῆστρα o μνηστεία" e al termine "matrimonio / γάμος" il termine "incoronazione [del matrimonio, cioè degli sposi] [33] / στεφάνωμα [τοῦ γάμου] ". [34]

In slavonico si utilizza per il fidanzamento il termine обручение e per il matrimonio венчание.

3. TESTIMONIANZE LITURGICHE SULLA FUNZIONE DELLA BENEDIZIONE DEL MATRIMONIO

Le prime preghiere legate alle nozze a noi giunte sono quelle del Codex Barberini gr. 336 (fogli 186-191) - una variante italiana meridionale dell'Evhologhion bizantino, risalente alla seconda metà del secolo VIII [35]. Questo Eucologio ha un rito accorciato del fidanzamento e delle nozze con 2 preghiere al fidanzamento, 2 al matrimonio, ancora una preghiera chiamata "della coppa comune" - tutte e 5 impiegate ancor oggi, e termina con una "altra preghiera del matrimonio" che oggi non è più in uso, ma le cui idee sono state riformulate e utilizzate in altre preghiere del rito odierno. Il rito non menziona gli anelli di fidanzamento (che probabilmente si scambiavano ancora in un contesto familiare), né alcuna formula per l'imposizione delle corone, ma menziona solo l'incoronazione in senso proprio e l'unione delle mani. Il rito includeva la comunione ai doni presantificati.

Va notato che il testo di questo Eucologio non rende una tradizione costantinopolitana pura, ma una "periferica", dunque, per una migliore comprensione dei riti in Oriente, dobbiamo rivolgerci alle fonti collegate direttamente a Costantinopoli – dove è stata sviluppata la funzione del sviluppato, anche se queste fonti sono un po' più tardive.

Una di queste fonti è il Codex Coislin 213 – un Eucologio datato 1027, appartenente al sacerdote Stratèghios della "Grande chiesa" (la cattedrale di Santa Sofia a Costantinopoli) e ora conservato nella Biblioteca Nazionale di Parigi. Questo rito era per le coppie imperiali, ma nel tempo si è esteso alla gente comune. A paragone con il rito del Codex Barberini 336, qui abbiamo le seguenti differenze:

- Dopo l'imposizione delle corone da parte del vescovo / sacerdote, si canta per lo sposo e poi per la sposa (separatamente): "O Signore, Dio nostro, incoronalo/a di gloria e di onore" – formula che in seguito è divenuta una sorta di "epiclesi" della funzione del matrimonio;

- È menzionata la preghiera del "Padre Nostro";

- Si menziona chiaramente la comunione ai doni presantificati, preceduta dall'ecfonesi: "I doni santi, già santificati, ai santi", dopo la quale segue la degustazione dalla "coppa comune";

- Troviamo una preghiera per la rimozione delle corone che si trova in uso ancor oggi;

- Appare per la prima volta una speciale preghiera di benedizione per i secondi matrimoni.

Oltre a questi due manoscritti di base ce ne sono altri, di cui solo quello scoperto dal vescovo Porfirij Uspenskij e altri due dal Sinai sono più antichi (sec. IX-X), il resto è costituito da redazioni posteriori al sec. XIII, ma che già contengono un rito diverso. [36]

Facendo una sintesi del rito nei secoli VIII-XII, così come lo troviamo nei manoscritti, si osserva il seguente ordine:

A: Fidanzamento

1) [probabilmente: una benedizione e un'ectenia];

2) due preghiere: una principale e due di inchino dei capi (utilizzate ancora oggi);

3) scambio degli anelli - generalizzato in seguito;

B: Matrimonio (Incoronazione)

1) incensazione solenne (menzionata in modo particolare in Coislin 213);

2) una grande ectenia con richieste particolari per gli sposi;

3) 2 preghiere: una prima dell'incoronazione e la seconda di inchino dei capi, dopo l'incoronazione [37].

Queste sono nel rito di oggi la terza preghiera (prima dell'Apostolo) e la quarta (dopo il Vangelo);

4) imposizione delle corone, a volte senza la pronuncia di alcuna formula;

5) il "Padre nostro " – apparso forse più tardi in questo rito;

6) la preghiera di benedizione della "coppa comune" (senza bere dalla coppa in questo momento, ma un po' più tardi) [38];

C: Comunione

1) "Stiamo attenti! I doni santi, già santificati, ai santi";

2) comunione degli sposi con i doni presantificati - considerati come un elemento di unione mistica dei coniugi in Cristo;

D: "Coppa Comune"

1) La sposa e lo sposo bevono dalla "coppa comune" dopo di che la spezzano sul pavimento della chiesa (così come menzionano alcuni manoscritti);

2) agli sposi vengono tolte / disfatte le corone (al giorno stesso o all'ottavo) [39];

3) uscita solenne dalla chiesa unita a determinati canti di gioia e inizio della tavola festiva.

Come si vede, questa disposizione è molto simile a quella di oggi, ma con alcune differenze in più e altre in meno:

a) in più – abbiamo la comunione degli sposi con i doni presantificati, scomparsa dal "rito del matrimonio" nei sec. XVII-XVIII;

b) in meno – qualche preghiera, la lettura dell'Apostolo e del Vangelo e i tropari "Isaia esulta di gioia...". Tutti questi elementi hanno cominciato ad apparire un po' più tardi, intorno ai secoli XIII-XV, e infine si sono generalizzati solo nel secolo XVII.

Rito del fidanzamento e dell'incoronazione conforme all'Eucologio attuale:

A: Fidanzamento

1) benedizione e grande ectenia;

2) due preghiere: una principale e due di inchino dei capi;

3) imposizione degli anelli attraverso formule che si ripetono per 3 volte per lo sposo e per la sposa, seguite dallo scambio degli anelli [40];

4) una preghiera più lunga (riguardo agli anelli) [41];

5) [ectenia di supplica intensa e congedo – se il fidanzamento si celebra separatamente] [42].

B: Incoronazione

1) canto del Salmo 127 accompagnato da un'incensazione solenne [43];

2) grande benedizione e una grande ectenia, con richieste particolari per gli sposi;

3) 2 grandi preghiere (apparse più tardivamente) [44] + preghiera principale, la terza (denominata anche "epiclesi della funzione del matrimonio") nella quale si uniscono le mani degli sposi [45];

4) imposizione delle corone con formule che si ripetono per 3 volte per lo sposo e per la sposa + triplice benedizione degli sposi con le parole: "O Signore, Dio nostro, incoronali di gloria e di onore";

5) Apostolo (Ef 5:20-33) e Vangelo (Giovanni 2,1-11), seguiti da un'ectenia di supplica intensa [46];

6) un'altra preghiera, la quarta (che nell'antichità era una preghiera dell'inchino dei capi, dopo quella principale, oggi la terza);

7) ectenia di intercessione e "Padre nostro";

C: "Coppa Comune" e "danza simbolica"

1) preghiera di benedizione della "coppa comune";

2) lo sposo e la sposa bevono 3 volte dalla "coppa comune" [47] e il coro canta: "Il calice della salvezza prenderò e il nome del Signore chiamerò" [48];

3) il coro canta tre tropari (iniziando da "Isaia esulta di gioia") [49], e il prete con sposi e testimoni gira intorno al tavolo su cui sta l'evangeliario. [50] In alcuni luoghi, a ogni giro gli sposi baciano l'evangeliario;

4) rimozione delle corone dopo la recita di alcuni auguri speciali per lo sposo e la sposa ("Sposo, sii magnificato come Abramo... " "E tu, sposa, sii magnificata come Sara...");

5) Altre due preghiere e congedo (speciale);

D: Preghiera all'ottavo giorno dopo il matrimonio

1) 2 preghiere sugli sposi (quella principale e l'altra di inchino dei capi);

2) piccolo congedo e accompagnamento degli sposi in chiesa.

In aggiunta a questo ordine normativo per tutti gli ortodossi (con piccole differenze locali non significative), più di recente, nella Chiesa greca è iniziata la pratica di un rito dell'incoronazione inquadrato nella Liturgia di San Giovanni Crisostomo [51]. Ma dobbiamo ricordare che non abbiamo alcun riferimento storico che parla di inquadrare una funzione dell'incoronazione in una Liturgia completa (così come abbiamo menzionato nel caso del Battesimo e della Santa Unzione). Pertanto, un tale ordine apparso oggi nella Chiesa di Grecia [52], non deve necessariamente essere visto come un ritorno a un'abitudine antica, ma può essere servita lo stesso, come una cosa che rientra pienamente nello spirito della nostra tradizione liturgica. Una vera funzione dell'incoronazione dovrebbe comunque contenere anche la comunione degli sposi, e la sua stessa struttura imita comunque la struttura della Liturgia. Pertanto, l'idea di inquadrare il matrimonio nella Liturgia dovrebbe essere incoraggiata e promossa, ma non per questioni di bellezza e di esclusività, ma per il bene della comunione eucaristica e della partecipazione di tutta la comunità.

Osservazioni e conclusioni:

1. Dalla cerimonia del matrimonio è scomparso l'elemento che una volta era il più importante – la comunione della coppia. Crediamo che questo elemento possa essere reintrodotto, dietro richiesta degli sposi o suggerimento del sacerdote, esattamente come era una volta e può anche essere raccomandato a tutti coloro che non hanno impedimenti alla comunione. La comunione si può fare con i doni presantificati (custoditi nell'artoforio) o anche con i santi misteri della Liturgia celebrata ogni giorno, nel caso in cui l'incoronazione abbia luogo immediatamente dopo la Liturgia o persino nel quadro delle Liturgia, come si fa talvolta tra i greci.

2. Il rito liturgico del mistero del matrimonio si è sviluppato nel corso del tempo, e vi sono stati aggiunti: una preghiera nel fidanzamento riguardo all'anello (preghiera che nella pratica a volte si omette), due preghiere all'incoronazione e alcuni riti finali, anche questi accompagnati da preghiere.

3. Il rito odierno prevede che all'ottavo giorno dopo il matrimonio gli sposi vengano di nuovo in chiesa perché si leggano su di loro due preghiere speciali. La storia di queste preghiere è abbastanza complessa. Prima di analizzarla, dobbiamo dire che un tempo esisteva la tradizione che gli sposi andassero alla festa di nozze senza che le corone (di fiori) fossero tolte dal loro capo. Durante la prima settimana di matrimonio, queste corone restavano appese sulla porta di casa degli sposi [53], e l'ottavo giorno le mettevano di nuovo in testa e andavano con loro in chiesa dove il sacerdote le toglieva [54], benedicendo e comunicando gli sposi assieme a tutti i credenti. Con il passare del tempo, invece di semplici benedizioni di facevano preghiere speciali di rimozione delle corone che gli attuali eucologi includono nel rito stesso dell'incoronazione, e al loro posto, per l'ottavo giorno, sono apparse queste due preghiere nelle quali si dava agli sposi il permesso di entrare in chiesa e ricevere i santi misteri. Molte speculazioni sono state fatte sul significato di queste preghiere [55], ma in generale si ritiene che esse rappresentino una dispensa speciale per la coppia, perché molto probabilmente non hanno osservato il digiuno coniugale in quella settimana (al mercoledì, al venerdì e alla domenica) [56], ma hanno condotto una vita un po' rilassata. In linea di principio, l'idea di "dispensazione eucaristica" è corretta, se teniamo conto anche del fatto che, a quei tempi non si praticava la confessione prima di ogni comunione, ma solo in casi di peccati gravi [57]. Tuttavia, sembra che "la dispensazione eucaristica" non sia legata al mancato rispetto del digiuno coniugale o ad altri riti preparatori alla comunione, ma alle percezioni circa la "impurità rituale" causata, in questo caso, dal sangue della sposa che perde la sua verginità dopo matrimonio. Queste percezioni vetero-testamentarie sono apparse sporadicamente tra i cristiani nei secoli II-III, e sono state condannate e dimenticate per molto tempo (secoli IV-XII), riapparendo poi nei secoli XIII-XIV e dominando, in una certa misura, fino a oggi [58], anche se non corrispondono allo spirito del Vangelo (per non parlare del fatto che molti sposi perdono la verginità molto prima del matrimonio). Pertanto, sembra più naturale che all'ottavo giorno si leggano preghiere di deposizione delle corone, e non preghiere di "purificazione rituale", e se le corone sono state deposte il giorno stesso del matrimonio, all'ottavo giorno non si leggano altre preghiere, e la sposa e lo sposo si preparino per la comunione secondo l'ordine e la disciplina comune.

4. Il Trebnik (Eucologio) russo ha introdotto nella funzione dell'incoronazione, prima della "grande benedizione", due domande per ognuno degli sposi: la prima – se si sposano volontariamente, per amore e retto giudizio, e la seconda – se [al momento] non sono impegnati con qualcun altro. La risposta a queste domande è vista come una promessa fatta a Dio e un tentativo di responsabilizzare gli sposi di fronte al passo che fanno insieme. Un  simile tentativo di responsabilizzazione lo troviamo nel Molitfelnic romeno al momento della rimozione delle corone, non con domande e risposte, ma baciando l'evangeliario (gesto visto come una forma di giuramento) seguito da un'esortazione del sacerdote. La tempistica e la forma di questo gesto sembrano abbastanza inappropriate, anche se pure le domande del Trebnik non hanno una storia del tutto chiara. Vi possono essere arrivate: a) dal rito latino del sacramento del matrimonio [59]; b) dalla cerimonia civile del matrimonio [60]; c) dal tentativo di fare un'analogia con le domande e i voti del monachesimo [61]. La Chiesa ortodossa universale non ha generalizzato queste domande-promesse nella funzione dell'incoronazione, proprio perché ha sempre riconosciuto l'importanza e la necessità del legame civile, che la Chiesa non fa altro che sigillare per la perfezione spirituale, senza sostituirlo o trascurarlo [62]. Inoltre, sia i regolamenti della Chiesa sia quelli dello stato obbligano il celebrante della funzione dell'incoronazione a verificare il certificato di matrimonio, senza il quale non ha alcun diritto di celebrare l'incoronazione. [63]

Fino ai secoli XIX-XX, nella maggior parte dei paesi cristiani, i sacerdoti avevano anche il compito legale di completare l'atto civile del matrimonio, dopo di che celebravano l'incoronazione. In questo caso, nel quadro dei procedimenti civili per la registrazione del matrimonio (che tra gli ortodossi si facevano prima o dopo il fidanzamento), i sacerdoti affrontavano le questioni legali, e la registrazione del matrimonio, così come oggi quella del municipio / ufficio anagrafico produce effetti giuridici previsti dalla  legge [64]. Anche se i sacerdoti non hanno più questo compito legale (con l'eccezione della Grecia e di alcuni paesi cattolici romani) le domande sia in forma libera sia in forma più giuridica, possono contribuire a rafforzare la consapevolezza che la funzione di benedizione del matrimonio non è meno importante del matrimonio civile e che, come l'accordo civile di matrimonio, genera allo stesso modo alcune conseguenze: non legali, ma spirituali e canoniche. Infatti, la Chiesa non compie il matrimonio, si limita a benedirlo, ma per un cristiano, questa benedizione dovrebbe significare non solo una comunione misteriosa di grazia che la maggior parte delle persone non capisce e non apprezza, ma anche una responsabilità spirituale e canonica di fronte alla Chiesa che ha benedetto il matrimonio.

4. IL SECONDO E TERZO MATRIMONIO [65]

Il problema canonico dei divorzi e dei nuovi matrimoni è estremamente complesso e al di là della portata di questo studio. L'unica cosa che dobbiamo menzionare è che, a differenza dei cattolici romani [66], la Chiesa ortodossa ammette il divorzio [67] e, implicitamente, le seconde nozze dei laici [68] (I Corinzi 7:8-9). Anche se lo Stato non limita il numero dei matrimoni civili di una persona, la Chiesa riconosce (per economia) solo il secondo e il terzo matrimonio, non il quarto [69].

In caso di vedovanza, dopo la parola di san Paolo (I Corinzi 7:39), il coniuge rimasto vivo è libero di risposarsi senza bisogno di alcuna approvazione da parte dello Stato o della Chiesa. Di solito il matrimonio dopo la vedovanza non si fa prima di un anno dopo il decesso del coniuge. In caso di divorzio, invece, per il secondo o il terzo matrimonio, oltre ai procedimenti civili di divorzio, è necessario anche un atto di scioglimento dell'incoronazione [religiosa] da parte del vescovo del luogo [70], con l'istituzione di un'epitimia [71]. Quindi, in tali situazioni, il sacerdote non può celebrare il secondo o il terzo matrimonio, se non su presentazione di due documenti: il divorzio da parte dello Stato e lo scioglimento da parte della Chiesa.

Riferendoci inoltre all'aspetto canonico-liturgico del problema, dobbiamo menzionare che il rito per il secondo e terzo matrimonio (per entrambi si usa lo stesso contenuto) è apparso, come è anche logico, più avanti nel tempo rispetto alla funzione del primo matrimonio. Sappiamo che all'inizio la Chiesa si imitava a tollerare tali matrimoni, ma non li benediceva e vietava anche la presenza del clero a tali matrimoni, proprio per non sottintendere il loro riconoscimento [pari al valore del primo matrimonio] [72].

Il bisogno di un rito di benedizione delle seconde nozze potrebbe essere dovuto ai frequenti casi di nuovi matrimoni, in particolare tra gli imperatori di Bisanzio nel IX e X secolo, e alla "impossibilità" di celebrare in tali situazioni la funzione del primo matrimonio. Probabilmente, in questa epoca, la Chiesa si è praticamente adattata di fronte alle richieste di benedizione di nuovi matrimoni, nel contesto del processo ancora incompiuto di generalizzazione dei matrimoni consueti. Pertanto, forse, nella prima fase, i Padri della Chiesa o vietavano l'incoronazione a coloro che si risposavano (cfr. canone 2 di san Niceforo il Confessore), oppure l'accettavano, ma senza imporre le corone sulle teste della coppia, ma solo sulle spalle [73] o senza imporle per nulla [74]. Con il tempo, tuttavia, la funzione delle seconde nozze fu accettata all'unanimità e fu collocata accanto alla funzione del primo matrimonio, all'inizio con la stessa indicazione, di non imporre le corone sulle loro teste, ma solo sulle spalle o niente del tutto, e ultimamente senza più indicazioni o restrizioni in tal senso.

Attualmente, nell'Eucologio, la funzione del secondo matrimonio è simile a quella del primo, con le seguenti differenze:

- le ectenie sono abbreviate e leggermente modificate [75];

- le prime due preghiere della funzione dell'incoronazione sono diverse da quelle della prima incoronazione e più penitenziali;

- non si può fare la comunione (anche se gli sposi lo vorrebbero), perché è rinviata a causa dell'epitimia.

Oltre alla funzione del primo e del secondo matrimonio – entrambe con il rito già stabilito nella Chiesa, si è praticata in situazioni eccezionali anche una funzione speciale per l'incoronazione degli anziani (oltre i 40-45 anni) che hanno vissuto molti anni sposati civilmente, ma non sono sposati in Chiesa. In tali situazioni, anche se si parla di prima incoronazione, il sacerdote esclude dalla grande ectenia e dalle altre preghiere le petizioni che si riferiscono alla nascita di bambini. Per il resto, la funzione rimane invariata.

Va menzionato il fatto che tali funzioni sono state "imposte" principalmente a partire dall'idea che un uomo e una donna, anche se sono sposati civilmente e sono fedeli l'uno all'altro (!), ma non sono incoronati, vivono in fornicazione. Tale idea è stata accreditata, soprattutto negli ultimi secoli, a causa del Pidalion (il "Timone", della fine del secolo XVIII) e di altri libri di diritto canonico o di direzioni per la confessione. Per di più, alcuni sacerdoti invitano con grande insistenza tali coppie non incoronate a farsi incoronare, anche molto tardi, e se non lo fanno, li escludono dalla comunione e impongono loro canoni abbastanza duri di penitenza.

Beninteso, l'obbligo dell'incoronazione è e resterà un ideale generale consigliato, ma non dovrebbe essere fatto solo in virtù di una tradizione, ma deve essere realizzato con piena coscienza e liberamente sottoscritto da entrambi gli sposi, sia l'atto in sé sia le responsabilità che ne derivano. D'altra parte, come abbiamo sottolineato nella parte storica dello studio, una coppia sposata civilmente (cosa che già non è un concubinato) non può essere accusata di adulterio. Ovviamente, questo problema non si pone in paesi o regioni in cui tutte le famiglie sono tradizionalmente incoronate – che è una cosa molto buona e lodevole (soprattutto se l'incoronazione è fatta coscientemente), ma si impone in modo molto acuto laddove ci sono molte coppie non incoronate: o a causa dell'oppressione comunista che si è verificata in passato (soprattutto nello spazio ex sovietico), o perché uno dei coniugi è non credente o di un'altra religione / confessione. Proprio per questo, sulla base di queste ragioni storiche, ma soprattutto di ragioni pastorali e missionari, il Grande  Concilio dei vescovi della Chiesa russa nel documento sui fondamenti della dottrina sociale (dell'anno 2000) riconosce, per economia, la validità del matrimonio civile, anche in assenza di quello della Chiesa, se quest'ultimo non poteva essere celebrato per ragioni oggettive. Il presente documento, più un altro del 1998 destinato ai confessori, mostra chiaramente che il matrimonio civile senza incoronazione non è adulterio, e soprattutto se uno dei coniugi si oppone all'incoronazione, l'altro è autorizzato a comunicarsi, senza epitimie speciali.

Ripetiamo che questo caso si tratta di economia, non di una regola della Chiesa. Questa eccezione, particolarmente comune in Russia, ma in alcuni luoghi anche nella Repubblica di Moldova, è valida solo in condizioni speciali ben note al confessore.

Normalmente le regole canoniche della Chiesa ortodossa obbliga gli sposi ortodossi a farsi incoronare in chiesa dal sacerdote, senza che questa incoronazione sopprima la procedura civile del matrimonio, anch'essa molto importante.

5. IL TEMPO DELLA CELEBRAZIONE DELLA FUNZIONE DEL MATRIMONIO

A differenza di altri riti della Chiesa, l'incoronazione non può essere celebrata in qualsiasi giorno dell'anno, perché esistono alcuni giorni e periodi particolari dell'anno in cui la sua celebrazione è categoricamente vietata. Beninteso, celebrare il matrimonio in uno di questi giorni non lo rende invalido, ma è un disonore dei giorni di digiuno o di festa – che può comportare una punizione amministrativa del sacerdote, ma anche una punizione divina di tutti i soggetti coinvolti.

In primo luogo dobbiamo ricordare che è vietato celebrare un matrimonio di notte perché le nozze dovrebbero essere un atto pubblico, reso obbligatorio in presenza di testimoni: questo ruolo è soddisfatto principalmente dai padrini [76]. Pertanto, l'incoronazione deve essere fatta di giorno, al tempo della Liturgia, e se non è possibile, prima o dopo di essa. Beninteso, in tempo di guerra o di persecuzione, si ammette un'incoronazione di notte e anche in assenza di testimoni, con il sacerdote stesso come unico testimone (visibile).

Tornando al problema dei permessi per l'incoronazione, dobbiamo ricordare che la Chiesa ha raccomandato per questa, in modo speciale, la domenica. Ma l'incoronazione si può celebrare anche in altri giorni della settimana nel corso dell'anno, con alcune eccezioni.

I giorni in cui non si ammette la celebrazione delle incoronazioni sono:

- I quattro periodi di digiuno dell'anno;

- I giorni di digiuno durante la settimana [77];

- La Settimana Luminosa e il periodo tra Natale e l'Epifania;

- La Settimana dei Latticini;

- Le feste del Signore di tutto l'anno e le loro vigilie [78];

- La decollazione di san Giovanni Battista (29 agosto);

- La festa patronale della comunità ecclesiale.

In generale, la Chiesa non parla di casi eccezionali o di emergenza nella celebrazione dell'incoronazione, perciò non dovrebbero essere ammesse violazioni alle regole sui giorni vietati alla celebrazione della benedizione nuziale [79]. Ma se queste situazioni si verificano, la decisione finale sul tempo e sul luogo della celebrazione dell'incoronazione apparterrà al vescovo locale.

Note

[1] Questa confusione nasce dalla teologia occidentale che ha distorto il significato della parola "mistero". Questo termine aveva originariamente un significato strettamente dogmatico e pertanto non deve necessariamente essere sulle denominazioni dei riti liturgici che esprimono un certo mistero della Chiesa. In realtà, i latini non usano in questo caso la parola "mistero - mysterion ", ma "sacramento", e questo è stato un ulteriore motivo, dopo la traduzione di catechismi e manuali latini, per cui si è venuti al nome di "mistero dell'incoronazione".

[2] Cfr. Tertulliano, Gregorio di Nazianzo e Canone Trullano 13, da "Православная Энциклопедия", vol 6, p 147.

[3] Abbiamo parafrasato e riassunto da: В. ЦЫПИН & М. ЖЕЛТОВ, Брак, in "Православная Энциклопедия", volume 6, pp 148-149. Menzioniamo che la teologia cattolica romana ha sancito nel suo Catechismo, come primo scopo del matrimonio, la procreazione dei figli. Questo non è il momento per sviluppare questa idea, ma ricordiamo che questa visione non è del tutto corretta e ha dato luogo a interpretazioni errate nel corso della storia. Purtroppo, queste idee sono penetrate nella Confessione di Fede di Petru Movilă e poi anche in altri Catechismi. Anche se la nascita dei figli è un fine del matrimonio, non è il più importante, soprattutto perché i figli possono nascere anche fuori dal matrimonio (cosa che non è possibile con gli altri due principi / obiettivi di cui sopra), e alcune famiglie non possono avere figli e questo non significa che non abbiano raggiunto l'obiettivo principale, anche se uno di loro – la perpetuazione della stirpe – non è stato raggiunto, e questo pure attraverso un rito divino.

[4] Indipendentemente dal suo sesso (maschio – monaco / donna – monaca), un monaco è la sposa di Cristo, lo Sposo, e qui dalla sessualità del monaco.

[5] Noi sappiamo che Dio ha permesso la poligamia anche al popolo ebraico, ma per una ragione molto semplice: moltiplicarsi quanto più possibile, perché era in numero minore rispetto ai popoli vicini, che per la maggior parte praticavano la poligamia. Anche alcuni giusti dell'Antico Testamento (Abramo, Giacobbe, Davide, Salomone, ecc) hanno avuto diverse mogli. In generale, tuttavia, gli ebrei avevano una sola moglie, perché il diritto a molte mogli lo avevano solo quelli ricchi, in grado di mantenere più mogli e i loro figli.

[6] Questa si praticava un tempo in Oceania e in alcune tribù dell'Africa e dell'America. In casi simili, spesso i mariti della stessa donna erano fratelli tra di loro, come nel caso del "matrimonio per levirato" ebraico (Deuteronomio 25).

[7] In realtà, si poneva un accento molto importante sull' "importo" da pagare per la sposa. Pertanto, come notano specialisti, non a caso il verbo rkm in ebraico significa "vendere", ma in aramaico aveva già acquisito il senso di "sposare".

[8] Ibidem, p 222.

[9] Traduzione romena in PSB 1: Scrierile Părinţilor Apostolici, Bucarest, Ed IBMBOR, 1995, p 227.

[10] Probabilmente i cristiani concludevano il loro matrimonio civile ai sensi del diritto romano (incluso un accordo scritto o orale tra i genitori della coppia), e a questo atto pubblico non potevano partecipare i membri del clero della Chiesa.

[11] Ad uxorem, II, 9, in PL 001, coll. 97-99.

[12] Di questi scritti si veda il nostro libro: Liturghia Ortodoxă. Istorie şi actualitate, Bucureşti, Ed. Sophia, 2013, pp 27-40. Nel libro abbiamo affrontato solo il tema dell'Eucaristia, tuttavia, alcuni aggiornamenti su queste fonti possono essere utili. Un importante studio critico di queste fonti e il testo romeno di alcune di esse si trovano nel volume curato da Ioan ICĂ jr., Canonul Ortodoxiei, Ed Deisis / Stavropoleos, 2008.

[13] Cfr. Sf. DIONISIE AREOPAGITUL, nel volume: Opere complete, trans. p. Dumitru Stăniloae, Ed. Paideea, 1996, pp 71-101.

[14] De Corona 13.4, 14.2, in PL 002, coll. 1302-1304.

[15] Cfr. Lettere 193, 194, 231, 232, da "Православная Энциклопедия", vol 6, p 168.

[16] Cfr. Lettera 231: "... il padre metta le corone come desidera. Così ho deciso per noi quando abbiamo l'opportunità di assistere al matrimonio: che porre le corone spetti ai padri, e a noi spettino le preghiere".

[17] Cfr. Commento a I Timoteo, Omelia 9, da "Православная Энциклопедия", vol 6, p 168.

[18] Cfr. Omelie su Genesi 48:6, trad. Pr. D. Fecioru in PSB 22, Bucuresti, ed IBMBOR, 1989, p 166.

[19] Non si è conservato neppure un testo di una tale preghiera.

[20] Questo si vedrà da quanto riportato più sotto.

[21] Teofilatto Simocatta, Hist. I, 10, da Михаил ЖЕЛТОВ, Венчание брака, p. 662.

[22] Ibidem.

[23] Da tutti gli atti legislativi del tempo vediamo che il matrimonio, in tutti i suoi aspetti, era diverso come cerimoniale a seconda del rango politico della coppia.

[24] Il primo imperatore bizantino incoronato dal Patriarca di Costantinopoli fu Leone I nel 457. Probabilmente da questo momento, il rito dell'incoronazione è diventato "più liturgico" e in qualche modo ha influenzato anche il rito dell'incoronazione degli sposi. Solo a partire dal 1208, per l'influenza latina, gli imperatori bizantini, a partire da Teodoro Lascaris, ritirato a Nicea dopo il 1204, hanno cominciato a essere unti con il santo e grande Myron.

[25] Spesso, il matrimonio dell'imperatore-sposo e di sua moglie co-imperatrice aveva grande importanza politica (soprattutto nel caso di alleanze attraverso il matrimonio), legittimando e assicurando, per mezzo della presenza del patriarca, il potere di una data famiglia.

[26] Cfr. Михаил ЖЕЛТОВ, Венчание брака, p 662.

[27] Osserviamo che le leggi bizantine mettono un enorme accento sul carattere giuridico-formale del matrimonio civile, chiedendo la presenza di testimoni. Questo principio si estende anche al rito ecclesiastico. Ad esempio, nel Prochiron (Πρόχειρος νόμος) del 907 si vieta l'incoronazione in segreto, quindi anche il rito liturgico aveva un carattere giuridico-formale fortemente pronunciato. Sembra che ne riceva al tempo stesso anche uno più spirituale. In alcune epistole di san Teodoro Studita si parla già dell'incoronazione come una benedizione che contiene una invocazione della grazia di Dio.

[28] Cfr. Михаил АРРАНЦ SJ., Избранные сочинения по Литургике, Vol. 1, pp 591-592. È la prima distinzione tra "benedizione " e "incoronazione". Sebbene questo documento (Epanagoge o Isagoge) non avesse forza di legge, è importante per il fatto che fu l'ultimo documento bizantino secondo il quale il "matrimonio religioso" non era obbligatorio.

[29] Cfr. Alexis PENTKOVSKIJ, Le Ceremoniale du Mariage dans l’Euchologe Byzantin du XIe – XIIe siecle, Roma, 1994, pp. 259-287

[30] E proprio lui finì al centro di uno scandalo di grandi proporzioni, a causa del suo quarto matrimonio che la Chiesa non volle riconoscere.

[31] Con il passaggio del tempo, fino ai secoli XIV-XV, le regole bizantine si sono riflesse sugli altri paesi ortodossi orientali, comprese le terre romene e slave – prima sui sovrani, e poi sugli altri cristiani. (Cf. В. ЦЫПИН & Михаил ЖЕЛТОВ, Брак, pag 151). Almeno tra i romeni, ora, non si pone la questione di un matrimonio civile senza incoronazione. Al tempo stesso, non è certo prova di una totale o anche parziale consapevolezza del "mistero" e nemmeno un segno della religiosità di tutti quelli che si sposano.

[32] Anche se in varie fonti (compreso il DEX) si dice che la parola romena logodna (fidanzamento) è di origine slava (e apparentemente svaniscono le perplessità), l'etimologia e significato restano da chiarire, perché in nessuna delle lingue slave si trova una parola simile. Se traduciamo esattamente il greco, dovremmo parlare di una "preparazione al matrimonio" o di un "[primo] stare insieme", quando alla coppia era permesso di passare tempo assieme, discutere tra loro e conoscersi, naturalmente, con l'eccezione del diritto all'unione fisica. È noto che questa preparazione coinvolgeva alcuni elementi molto importanti come: la comprensione dei genitori degli sposi, lo scambio di doni (ἀρραβῶνος → arvon) e degli anelli. In passato, il fidanzamento, compreso quello religioso, durava alcuni mesi prima del matrimonio-nozze, e ora solo il "fidanzamento civile" (comprensione tra i coniugi e i loro genitori) si fa un po' di tempo prima, mentre quello religioso, che è un sigillo del fidanzamento e del matrimonio civile, di solito è fatto contemporaneamente all’incoronazione.

[33] Ho fatto queste osservazioni solo perché esiste un rito di incoronazione (încununare) dei re. In lingua romena è quasi impossibile una tale confusione, dato che per il matrimonio è utilizzato quasi esclusivamente il termine "cununie". In greco e slavonico invece, tra i due riti di incoronazione, non c'è differenza nella terminologia.

[34] A. PENTKOVSKIJ, da Михаил АРРАНЦ SJ., Избранные сочинения по Литургике, vol. 1, p.593.

[35] L'unica traduzione in romeno, anche se di non molto successo, di questo manoscritto è stata realizzata recentemente dal diacono Ioan ICĂ jr., nel libro Canonul Ortodoxiei, vol. 1. Canonul Apostolic al primelor secole, Ed. Deisis / Stavropoleos, 2008, pp. 909-1032.

[36] Per alcuni dettagli vedi V. GAVRILĂ, op. cit., pp 119-148.

[37] Come osservano gli specialisti, i 2 gruppi di 2 preghiere, del fidanzamento e del matrimonio, formano un parallelo per niente casuale. In primo luogo vediamo che in entrambi i casi la prima preghiera è la principale e la successiva è secondaria, dell'inchino dei capi. Si noti inoltre che in entrambi i casi la prima preghiera ha una tematica vetero-testamentaria, e la seconda neo-testamentaria. Nel rito di oggi, in particolare con l'interposizione dell'Apostolo e del Vangelo tra le due preghiere dell'incoronazione, questo parallelismo non è più così ovvio. Tuttavia, queste osservazioni ci fanno ricordare che queste quattro preghiere (2x2) sono le più antiche e forse le più importante di tutto il rito.

[38] In modo del tutto sbagliato, Vasile GAVRILĂ (cfr. op. Cit., P 125) ritiene che questa preghiera sia pronunciata sul calice con i doni presantificati, ma si sa molto chiaramente che si parla di due calici / "coppe", uno dell'Eucaristia e l'altro simbolico. La "coppa comune" non è mai stata vista come un sostituto per la santa comunione. Anche quando la coppia non era degna di partecipare ai Santi Misteri; in due Eucologi (secoli XV e XVI) è prevista una "comunione" con miele e uva passa, a cui seguiva la "coppa comune".

[39] Su questo vedi più sotto i commenti su "La preghiera all'ottavo giorno dopo il matrimonio".

[40] Anche se ci sono diverse tradizioni di scambio degli anelli, in generale, questo gesto avviene così: il sacerdote mette sul dito anulare dello sposo l'anello sposa e sul dito della sposa l'anello dello sposo. Poi padrino, prendendo l'anello della sposa, lo mette allo sposo, mentre la madrina, prendendo l'anello dello sposo, lo mette alla sposa. Ripetendo questo altre 2 volte (cioè in totale 3 volte), gli anelli della coppia sono rimessi alla fine sulla mano destra degli sposi. Nella Chiesa Ortodossa Romena, c'è l’uso che i padrini scambino gli anelli dalla mano destra alla sinistra, anche se questo è in contrasto con il testo della preghiera che segue, di benedizione della destra su cui è stato messo l' anello.

[41] Gli studi critici dei manoscritti e dei testi antichi mostrano che questa preghiera è composta da altre tre preghiere e che, nella forma odierna, si è generalizzata piuttosto tardi. Pertanto, quando per ragioni oggettive o soggettive si accorcia la cerimonia di incoronazione, questa preghiera è soppressa.

[42] Nella Chiesa russa (soprattutto a causa della sentenza del Sinodo russo nel 1775), e non solo, il fidanzamento si celebra sempre assieme alla funzione dell'incoronazione, e in questo caso si salta questo punto, che ha validità solo se le sue parti della funzione si celebrano separatamente. Questa pratica è talvolta usata nella Chiesa romena.

[43] La Chiesa romena mantiene questa abitudine, ma la Chiesa russa sopprime questa incensazione (non però il Salmo 127) e, quindi, il turibolo non viene mai usato nella funzione dell'incoronazione, neanche all'Apostolo.

[44] Queste preghiere, come si può osservare a una lettura più attenta, sono composte da molte parti sovrapposte, con molte ripetizioni e aggiunte, alcune anche recenti, realizzate dai curatori romeni. Provengono da tradizioni e periodi differenti, e la loro redazione in questa funzione dovrebbe essere preceduta da una loro redazione critica (ovviamente non a capriccio di ciascuno). Alcuni sacerdoti le leggono esattamente come appaiono nel Molitfelnic senza essere disturbati dalla loro eccessiva lunghezza e soprattutto dalle incongruenze il testo, mentre altri cercano di adattarle o combinarle (più che altro "sul momento") o non le leggono.

[45] Questa unione delle mani si fa durante la recitazione delle parole "... unisci il tuo servo (N) con la tua serva (N)...", e dopo la fine della preghiera le mani degli sposi sono legate con un panno o coperte (per breve tempo) con l'epitrachilio.

[46] Questa litania di supplica intensa, come quella di intercessione che segue, sono state aggiunte in seguito, copiando in una certa misura lo schema della Liturgia e creando una somiglianza con essa.

[47] In alcuni luoghi è consuetudine, oltre alla coppa comune, dare alla coppia un pezzo di pane o di dolce. Il Molitfelnic in sé parla solo di un bicchiere di vino e nient'altro.

[48] Questo è l’antico canto di comunione che si cantava alla comunione degli sposi, non alla "coppa comune". Credo che oggi sarebbe meglio rinunciare a questo versetto per la "coppa comune", perché sia più evidente la destinazione rigorosamente eucaristica del versetto.

[49] Questi tropari si cantano anche all'ordinazione a diacono e a sacerdote (mentre il candidato gira intorno alla Sacra Mensa), tranne che allora si cantano in un ordine diverso. È una questione di enfasi spirituale che si mette in un caso e nell'altro: all'ordinazione si inizia con il tropario "Santi martiri..." – facendo riferimento al ministero sacrificale del sacerdote, e al matrimonio si inizia con "Isaia esulta di gioia" – sottolineando in primo luogo la gioia del momento.

[50] A Questa azione è data una interpretazione simbolica con lo scopo di dimostrare il principio cristocentrica della vita cristiana familiare secondo i principi evangelici.

[51] Cfr. Arhieratikon, Atene, 1994, da V. GAVRILĂ, op. cit. pp 433-439.

[52] Secondo questo rito, il fidanzamento segue al Mattutino (prima della Liturgia), e l'incoronazione si combina con la Liturgia. Gli sposi infine partecipano ai santi misteri, prima di tutti gli altri laici. Vedi i dettagli in V. GAVRILĂ, op. cit. pp 433-439. Un'idea poco chiara del rito praticato nella Chiesa greca è l'utilizzo delle antifone della Liturgia in mezzo alle preghiere dell'incoronazione. Sarebbe molto meglio se, secondo il modello dell'antica Liturgia battesimale, l'unione della funzione dell'incoronazione si facesse solo dopo il piccolo ingresso, quindi seguissero le letture bibliche (del matrimonio, e se domenica o una festa – prima le letture del giorno), e poi il resto della Liturgia.

[53] Porre ghirlande di fiori sulla porta significava l'annuncio di un evento speciale nella famiglia (di gioia o di lutto), ma tra gli americani, per esempio, è diventato un costume popolare legato al Natale e ad altri eventi pubblici o privati ​​.

[54] Da qui proviene l'espressione "slegare le corone" perché togliere la corona della sposa significava a volte slegare i fiori intrecciati nei suoi capelli. Più tardi, il termine "slegare le corone" ha acquisito un certo senso di magia / stregoneria, e il suo uso dovrebbe essere evitato nel linguaggio della Chiesa.

[55] Ci sono alcuni che credono che solo queste preghiere permettano agli sposi i rapporti coniugali, e che questa settimana tra il matrimonio e la "preghiera dell'ottavo giorno" sia un periodo di "prova" del fatto che si sono sposati non solo per la copulazione carnale. L'idea è più che malsana e priva di qualsiasi fondamento teologico o logico. Non è possibile che un rito apparso così tardi abbia un valore superiore al servizio di un santo mistero, che fa riferimenti molto più chiari ai rapporti coniugali.

[56] Nella vita coniugale, tutti i giorni e periodi di digiuno, più almeno un giorno prima e uno dopo la Comunione, i coniugi dovrebbero astenersi dai rapporti carnali, e la violazione di questa regola deve essere confessata al padre spirituale. Così come per l'astensione dal mangiare cibi non di digiuno in alcuni casi specifici, il confessore può essere più clemente, dato il consiglio di san Paolo in I Cor 7:5.

[57] Per le testimonianze storico-liturgiche su questo aspetto si veda l'articolo: "Sul legame tra confessione e comunione" in (URL): www.teologie.net. La pratica della confessione (anche di "piccoli peccati") prima di ogni comunione proviene dalla tradizione monastica e si è diffusa nello spazio slavo e romeno fin dall'inizio del secondo millennio, anche per i laici, ma non era e non è praticata presso i greci. La pratica è di per sé buona, ma la sua obbligatorietà non dovrebbe essere esagerata per i cristiani che vivono una vita cristiana equilibrata e desiderano fare la comunione in modo sistematico.

[58] Per le testimonianze bibliche, storiche e canoniche riguardo a questa discussione si vedano due articoli su questo tema in (URL): www.teologie.net, in particolare lo studio di madre Vassa Larina sulla "impurità rituale" sullo stesso sito.

[59] Dato che queste domande sono apparse solo nel secolo XVII, nel Trebnik "latinizzato" di Petru Movilă, possiamo considerare che le domande siano state prese dal rito latino, dove a quanto pare sono apparse molto prima e si sono mantenute fino ad oggi.

[60] Celebrata anche questa da sacerdoti; vedere di seguito.

[61] Nel secolo XVII, quando il monachesimo non era più considerato "mistero", ma il matrimonio sì, la funzione dell'incoronazione non poteva sembrare meno seria e priva di alcune formule similari a quelle del monachesimo (indebitamente trasformato in una "semplice ierurgia"). Forse è per questo che queste domande, a volte percepite come "voti", gli sposi rispondano con il termine "reverendo padre" (come nel caso del monachesimo).

[62] Proprio nel "matrimonio civile" si s constata se uno dei coniugi non è già (o ancora) sposato, e gli stessi organi dello Stato sono quelli che (attraverso varie leggi e regolamenti) possono prevenire qualsiasi matrimonio illegale, indesiderato o forzato.

[63] Cfr. la Costituzione della Romania, all'articolo 48 (2): "Il matrimonio religioso può essere celebrato solo dopo il matrimonio civile". In Moldova, questo principio è stato fissato all'articolo 15 (7), della legge sui culti religiosi e i loro componenti.

[64] In conformità a tale antica pratica fino a oggi alcuni considerano sufficiente andare in chiesa a farsi incoronare, e ciò che accade in municipio o presso l'ufficio dell'anagrafe, come una cosa non importante. Non di rado i giovani mettono apparentemente l'incoronazione religiosa al di sopra del matrimonio civile ed evitano di far registrare il matrimonio. Di fatto, però, costoro, anticipando l'eventuale divorzio, mostrano paura per le conseguenze legali del matrimonio civile, più di quelle degli effetti canonici del matrimonio. Ecco perché la Chiesa sottolinea molto chiaramente l'importanza dell'atto civile del matrimonio e da quando ha perso il diritto di far concludere i matrimoni, richiede che prima del matrimonio, questo sia concluso da istituzioni pubbliche competenti.

[65] Si veda in particolare lo studio di p. Mihail JELTOV, Второбрачие, in "Православная Энциклопедия", vol 9, pp 725-727.

[66] Questi non riconoscono il divorzio (se non in situazioni estremamente rare) e accettano il nuovo matrimonio solo in caso di vedovanza e, naturalmente, con un coniuge che non sia mai stato sposato o sia vedovo.

[67] Naturalmente, il divorzio è consentito solo per motivi molto seri, che non hanno soluzioni di riconciliazione. Il sacerdote deve fare diversi tentativi per riconciliare i coniugi e renderli responsabili davanti a Dio e tra di loro, del passo che intendono fare con il divorzio.

[68] Ho fatto questa precisazione ("laici") proprio perché ai diaconi e ai preti sposati è vietato un nuovo matrimonio, anche in caso di vedovanza. Se, tuttavia, uno di loro si risposa, viene deposto automaticamente dal clero.

[69] Cfr. Canone 4 di san Basilio il Grande.

[70] Il vescovo diocesano deve esaminare egli stesso il caso o, almeno, avere una relazione scritta da parte del parroco da dove viene la domanda di scioglimento del matrimonio religioso. Lo scioglimento del matrimonio si fa solo dopo aver consumato tutti i tentativi di convincerli a continuare a vivere così come hanno promesso, soprattutto se i coniugi sull'orlo del divorzio hanno figli.

[71] In seguito alla controversia canonica sul quarto matrimonio dell'imperatore Leone VI il Filosofo, negli anni 912-913 si è tenuto un sinodo a Costantinopoli che ha emesso un Tomos (anche se solo nel 920), con disposizioni precise sui nuovi matrimoni e sulle epitimie che si danno in questi casi. La durata di queste epitimie segue regole più antiche, in particolare quelle di san Basilio il Grande. Secondo il Tomos, il secondo matrimonio è consentito solo in caso di morte o di scomparsa senza tracce di un coniuge, ma non è equivalente al primo matrimonio. Il terzo matrimonio è accettato alle seguenti condizioni: se quello che vuole sposare per la terza volta ha almeno 30 anni e non ha figli – è interdetto dalla comunione per tre anni, e se ha figli – per quattro anni, avendo in seguito il diritto di comunicarsi solo 3 volte l'anno; se invece chi si vuole sposare per la terza volta ha 40 anni e non ha figli – è interdetto dalla comunione per quattro anni, e poi potrà comunicarsi solo a Pasqua; chi ha più di 40 anni e ha figli, non si può sposare una terza volta". Purtroppo, allo stato attuale tali norme non sono rispettate, anche se allora erano viste come piuttosto liberali. (Vedi М. ЖЕЛТОВ, Второбрачие, pp 725-726.)

[72] Cfr. Canone 7 di Neocaesarea, anno 315. Questo canone oggi non è più valido, anche se non è stato ufficialmente cancellato.

[73] Cfr. san Teodoro Studita, Epistole I e II, in "Corpus Historiae Fontium Byzantinae", Series Berolinensis 31, Berlin, 1992, pp 5-11.

[74] Un antico Molitfelnic di Alba Iulia prevedeva che si ponesse la corona solo sul capo di una persona che non fosse mai stata sposata (cf. Dumitru VANCA, "«Cununia» în secolul XVII în Transilvania. Consideraţii pe marginea Molitfelnicului de la Bălgrad (1689)", in Credinţa Ortodoxă, anno IV (1998), n. 3-4, pp 82-98).

[75] Non si menziona neppure il vescovo nell'ectenia, trasformando (apparentemente) la funzione in una semplice Ierurgia.

[76] Anche se il ruolo dei padrini al matrimonio è inferiore a quello dei padrini di battesimo, tuttavia, la Chiesa raccomanda che gli sposi scelgano come padrini una buona famiglia cristiana ortodossa, più anziani di loro, che possano aiutare gli sposi non solo nei loro problemi finanziari, ma soprattutto in quelli spirituali e di famiglia senza sostituirsi in questo modo confessore. L'istituzione stessa dei "padrini di matrimonio" deriva dalla vecchia abitudine di scegliere alcuni "testimoni d'onore" (di solito da parte dello sposo), per aiutare nella loro vita i giovani insieme ai loro genitori corporali e spirituali. I russi ancora oggi chiamano i padrini di nozze свидетели, cioè testimoni. Menzioniamo anche che non è obbligatorio per i padrini di nozze diventare padrini di battesimo dei figli di quei giovani, così come praticato in Bessarabia. Inoltre, non è corretto che al matrimonio o al battesimo si prendano più padrini - anche questa un'abitudine che si ritrova comunemente in Bessarabia e Bucovina.

[77] Beninteso, qui ci riferiamo ai mercoledì e ai venerdì, solo che alcuni comprendono questa regola come i giorni stessi di digiuno, mentre altri (soprattutto i russi) le loro vigilie. La logica vorrebbe che nei giorni astronomici di mercoledì e venerdì (vale a dire dalle 00.00 alle 24.00), non si celebrino incoronazioni, perché è proprio in questo intervallo che si digiuna e la cerimonia dell'incoronazione è quasi obbligatoriamente seguita da banchetti e divertimenti – non adatti a un giorno di digiuno. I russi, tuttavia, trascurando apparentemente il problema della tavola, partono dall'idea che il rapporto carnale degli sposi avrà luogo (molto probabilmente) dopo la mezzanotte e quindi vietano l'incoronazione al martedì e al giovedì (cioè le vigilie del mercoledì e del venerdì) ma l'accettano al mercoledì e al venerdì (vale a dire alla vigilia del giovedi e del sabato). Noi crediamo che questo problema meriti un trattamento molto delicato da discutere almeno in un concilio locale in Bessarabia, dove si incontrano, e spesso si affrontano, due tradizioni teologiche (russa e romena) che differiscono su questo tema. Fino a questo punto, ognuno deve rispettare la tradizione locale e le disposizioni del proprio vescovo.

[78] Partendo dall'idea di onorare la sacralità delle feste e delle domeniche, la Chiesa vieta i matrimoni alla vigilia delle feste del Signore, così come al sabato.

[79] Nel caso di incoronazione di persone sposate civilmente da molto tempo e che non organizzano per l'incoronazione un pasto festivo, né prevedono rapporti carnali in quel giorno, si pone tuttavia la questione se è una violazione così "grave" celebrare il mistero in giorni di digiuno. Il problema sorge anche quando uno dei coniugi è malato o deve partire per un lungo periodo, e la coppia, a volte più per paura, vuole essere incoronata "d'urgenza".

 
"I fondamenti della concezione sociale" - XIII. La Chiesa e i problemi ecologici

La crisi ecologica

XIII.1. La Chiesa ortodossa, consapevole della propria responsabilità per il destino del mondo, è profondamente preoccupata per i problemi generati dalla civiltà contemporanea. I problemi ecologici occupano tra essi un posto importante. Oggi la faccia della Terra risulta alterata su scala planetaria. Sono danneggiati il sottosuolo, il suolo, l'acqua, l'aria, la fauna e la flora. La natura che ci circonda è stata di fatto completamente soggiogata per il sostentamento dell'uomo, che però non si accontenta più dei suoi molti doni, ma sfrutta in maniera sfrenata interi ecosistemi. L'attività umana, che ha raggiunto livelli paragonabili ai processi biosferici, aumenta costantemente per l'accelerato sviluppo della scienza e della tecnica. L'inquinamento globale dell'ambiente naturale causato dagli scarti industriali, una cattiva tecnologia agricola, la distruzione delle foreste e del manto vegetale - tutto questo porta al soffocamento dell'attività biologica e alla drastica riduzione delle diversità genetiche della vita. Le risorse minerali del sottosuolo si impoveriscono irrimediabilmente, le riserve d'acqua potabile si riducono. E' apparsa una grande quantità di sostanze tossiche, molte delle quali non entrano nel ciclo naturale e si accumulano nella biosfera. L'equilibrio ecologico è stato violato; l'uomo deve affrontare l'emergenza di processi perniciosi irreversibili nella natura, compreso l'indebolimento della sua naturale potenza riproduttiva.
Tutto questo accade sullo sfondo di una crescita senza precedenti e ingiustificata del consumo generalizzato nei paesi altamente sviluppati, dove la ricerca della ricchezza e del lusso è diventata regola di vita. Tale situazione impedisce una distribuzione equa delle risorse naturali, che sono un bene comune dell'umanità. Le conseguenze della crisi ecologica si sono rivelate dolorose non solo per la natura, ma anche per l'uomo, che ne costituisce una parte organicamente integrante. Di conseguenza, la terra si trova sull’orlo di una catastrofe ecologica globale.

 

Le conseguenze del peccato

XIII.2.  I rapporti tra l'uomo e la natura sono stati infranti nei tempi preistorici a causa del peccato originale dell'uomo e della sua alienazione da Dio. Il peccato, nato nell'anima dell'uomo, si rivelò pernicioso non solo per lui stesso, ma anche per tutto il mondo che lo circondava. «La creazione, scrive l'apostolo Paolo, è stata sottomessa alla caducità – non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa – e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi» (Rm 8,20-22). Nella natura come in uno specchio si è riflesso il primo delitto dell'uomo. Il seme del peccato, avendo prodotto un effetto nel cuore umano, ha generato, come testimonia la Sacra Scrittura, «spine e cardi» (Gen 3,18) sulla terra. È diventata impossibile la piena unità organica tra l'uomo e il mondo, che esisteva prima del peccato originale (Gen 2,19-20). Nei loro rapporti con la natura, che ora hanno assunto un carattere consumistico, gli uomini si sono lasciati sempre più spesso guidare da stimoli egoistici. Hanno cominciato a dimenticare che l'unico Signore dell'universo è Dio (Sal 24,1), al quale appartengono «i cieli... la terra e quanto essa contiene»(Dt 10,14), mentre l'uomo, come dice s. Giovanni Crisostomo, è solo un «amministratore», al quale sono affidate le ricchezze del mondo terreno. Queste ricchezze, e cioè, «l'aria, il sole, l'acqua, la terra, il cielo, il mare, la luce, le stelle», come lo stesso santo osserva, Dio le ha «distribuite tra tutti in parti uguali, come tra fratelli». Il «dominio» sulla natura e il «possesso» della terra (Gen 1,28), cui l'uomo è chiamato, secondo il progetto di Dio, non significano che tutto gli è lecito. Significano solo che l'uomo è portatore dell'immagine del padrone e signore celeste e, come tale, deve, secondo il pensiero di s. Gregorio di Nissa, esprimere la propria dignità regale non dominando e violentando il mondo che lo circonda, ma «coltivando» e «custodendo» (Gen 2,15) il grandioso regno della natura del quale egli è responsabile davanti a Dio.  

 

Un’etica ecologica

XIII.3. La crisi ecologica ci costringe a rivedere i nostri rapporti con l'ambiente che ci circonda. Oggi sempre più spesso vengono criticati la concezione del dominio dell'uomo sulla natura e il principio consumistico nei rapporti con essa. La consapevolezza del fatto che la società contemporanea sta pagando un prezzo troppo alto per i beni della civiltà ha provocato un'opposizione all'egoismo economico. Pertanto, si sta tentando di individuare quelle attività che danneggiano l'ambiente naturale. Nello stesso tempo si sta elaborando un sistema di protezione ambientale, si stanno rivedendo i metodi dell'economia, si fanno tentativi per creare tecnologie che favoriscano il risparmio delle risorse naturali e industrie in grado di riciclare completamente gli scarti, che nello stesso tempo possano «essere inseriti» nel ciclo naturale. Si sviluppa un'etica ecologica. La coscienza sociale che ad essa si ispira condanna il modello di vita consumistico, esige che si accresca la responsabilità morale e giuridica per il danno inflitto alla natura, propone di introdurre una formazione e un'educazione «all'ecologia» ed invita ad unire gli sforzi in difesa dell'ambiente sulla base di una larga cooperazione internazionale. 

 

Il principio dell'unità e integrità della creazione

XIII.4. La Chiesa ortodossa apprezza gli sforzi diretti al superamento della crisi ecologica e invita ogni uomo a collaborare attivamente ai progetti finalizzati a proteggere la creazione di Dio. Nel contempo, essa rileva che tali sforzi saranno più produttivi se i fondamenti sui quali si costruiscono i rapporti dell'uomo con la natura avranno un carattere non puramente umanistico, ma anche cristiano. Uno dei principi basilari della posizione della Chiesa riguardo ai problemi ecologici è il principio dell'unità ed integrità del mondo creato da Dio. L'ortodossia non considera la natura che ci circonda come una struttura isolata e chiusa. Il mondo vegetale, animale e umano sono interconnessi. Dal punto di vista cristiano la natura non è un deposito di risorse destinate ad un consumo egoistico ed irresponsabile, bensì una casa, dove l'uomo non è il padrone, ma un amministratore, e un tempio dove egli è il sacerdote, che però serve non la natura, ma l'unico Creatore. Alla base della concezione della natura come tempio sta il concetto del teocentrismo: Dio che dà «a tutti la vita e il respiro e ogni cosa» (At 17,25) è la fonte dell'essere. Di conseguenza, la vita stessa nelle sue molteplici manifestazioni è sacra, essendo un dono di Dio, e ogni sua violazione è una sfida lanciata non solo alla creazione divina, ma anche al Signore stesso.

 

La necessaria rinascita spirituale

XIII.5. I problemi ecologici hanno sostanzialmente un carattere antropologico, essendo generati dall'uomo e non dalla natura. Pertanto, le risposte a molti problemi posti dalla crisi ambientale vanno cercate nel cuore dell'uomo, e non nella sfera dell'economia, della biologia, della tecnologia o della politica. La natura si trasforma o muore non da sé, ma sotto l'impatto dell'uomo, la cui condizione spirituale gioca un ruolo determinante, in quanto si ripercuote comunque sull'ambiente, con o senza un impatto evidente. La storia della Chiesa conosce molti esempi in cui l'amore di asceti cristiani per la natura, le loro preghiere per il mondo, la loro compassione per tutte le creature hanno avuto un'influenza assolutamente benefica sugli esseri viventi.
I rapporti tra antropologia ed ecologia si manifestano con particolare chiarezza ai nostri giorni, mentre il mondo sta sperimentando contemporaneamente due crisi: la crisi spirituale e la crisi ecologica. Nella società contemporanea l'uomo spesso smarrisce la consapevolezza della vita come un dono di Dio, e talvolta persino il senso stesso dell'esistenza, riducendola talora solo alla sussistenza fisica. La natura circostante, con questo atteggiamento verso la vita, non viene più percepita come una casa, né tanto meno come un tempio, e diviene semplicemente un «habitat». La persona spiritualmente degradata provoca anche il degrado della natura, perché non è capace di esercitare un impatto trasformante sul mondo. Neppure le enormi risorse tecnologiche riescono ad aiutare l'umanità accecata dal peccato perché, essendo indifferenti al significato, al mistero ed al miracolo della vita, esse non portano un vero vantaggio, ma spesso provocano danni. In un uomo che agisce non guidato dallo Spirito, la potenza tecnologica, di solito, suscita speranze utopistiche nelle possibilità illimitate dell'intelletto umano e nella forza del progresso.
È impensabile superare completamente la crisi ecologica in una situazione di crisi spirituale. Questa affermazione non significa affatto che la Chiesa invita a ridurre l'attività di salvaguardia e preservazione della natura. Piuttosto, essa collega la speranza in un cambiamento positivo dei rapporti uomo-natura all'aspirazione della società a una rinascita spirituale. La base antropogenica dei problemi ecologici dimostra che noi tendiamo a cambiare il mondo che ci circonda in conformità con il nostro mondo interiore, e proprio per questo la trasformazione della natura deve partire da una trasformazione dell'anima. Secondo il pensiero di Massimo il Confessore, l'uomo potrà trasformare tutta la terra in un paradiso solo quando egli avrà portato il paradiso in se stesso.

 
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Funerali e commemorazioni dei defunti

Le ultime ore prima della morte

Quando si lascia alle spalle la vita terrena piena di sofferenza e si passa nell’eternità è il momento più solenne nella vita di ogni cristiano. Tuttavia, amici e parenti, a volte lontani dalla tradizione cristiana, vivono la morte di una persona cara con grande dolore. Spesso perdono il proprio orientamento e lasciano il lavoro importante dell'accompagnamento di un cristiano ortodosso nel suo viaggio finale nelle mani di un'impresa di pompe funebri.

La cosa più importante che possiamo fare per un amico o un parente prima della sua morte è invitare un sacerdote, in modo da poter accompagnare la sua partenza con i santi doni. Non bisogna preoccuparsi che il padre sia occupato o stanco, o che sia troppo presto, o troppo tardi, o troppo lontano. Si devono semplicemente assumere le proprie responsabilità di fronte alla persona amata. Non ci si deve interessare se il malato guarirà. Se questa è la volontà di Dio, allora guarirà, e se l'ora dell'incontro con l'eternità è venuta, allora nulla può ritardare questo momento, ma tutto è nelle mani di Dio. E non è affatto necessario essere in punto di morte, per fare la comunione ai santi misteri di Cristo. Mentre c'è ancora tempo, lasciate che il prete venga a dare la comunione al malato, preghi per la sua guarigione, e compia il sacramento dell'unzione degli infermi.

Quando, alla fine, è giunto per i nostri cari l'importante momento del passaggio dal temporale all'eterno, se non è ancora arrivato il sacerdote, allora possiamo e dobbiamo cominciare a leggere il servizio dell'uscita dell'anima dal corpo, che è la particolare regola di preghiera che si legge mentre una persona è ancora in vita, ma non può pregare con sue labbra. In questo servizio, il morente si unisce con il cuore e l'anima alle parole della preghiera che leggiamo, e le offre al creatore. Se non avete a disposizione questa regola, è bene leggere i salmi. Sembra sbagliato, anche se è sincero, stare semplicemente a piangere, privando i nostri cari di questo conforto finale della preghiera in questa vita, e aumentando le sue già notevoli sofferenze.

 

Il funerale e la sepoltura

Il corpo di un cristiano ortodosso defunto viene lavato, vestito di abiti puliti, coperto da un lenzuolo funebre, e una fascia speciale è posta sul suo capo per ricordarci delle corone incorruttibili di giustizia che il Signore ha preparato per coloro che lo amano (cfr 2 Tim 4:8). Una croce è posta nelle mani della persona defunta per simboleggiare che questa persona, prendendo la sua croce, ha seguito Cristo (Lc 9,23). Oltre alla croce, non c'è altro che deve essere collocato nella bara insieme con il defunto. Forse durante la sua vita, il defunto ha amato o raccolto alcuni oggetti, ma non può prendere con sé nulla di terreno sulla via della vita eterna, ma solo le ricchezze spirituali che ha costruito. Così, nulla deve essere messo nella bara con il defunto, tranne la croce di Cristo. Vi è una pratica di collocare le icone nella bara con il defunto. Questa non è molto corretta. È molto meglio dopo il funerale togliere le icone dalla bara e tenerle in casa come ricordo di preghiera dei defunti.

La sepoltura di un cristiano ortodosso può avere luogo il primo giorno dopo la morte, il secondo giorno, il terzo giorno, o più tardi, a seconda delle circostanze. La bara con il corpo del defunto viene portata alla chiesa, in cui si tiene il servizio funebre. Il giorno e l'ora del funerale in chiesa deve essere predisposto con il rettore. Un cristiano ortodosso dovrebbe essere sepolto in un cimitero ortodosso, dove questo è possibile.

 

Quaranta giorni di commemorazione

La parola russa "sorokoust" (40 commemorazioni) si riferisce alla commemorazione di un cristiano ortodosso defunto alla Liturgia ogni giorno per quaranta giorni dopo la morte, dato che nei primi quaranta giorni dopo la morte, l'anima appena liberata ha particolare bisogno delle nostre preghiere. Quaranta giorni di commemorazione sono possibili solo in quelle chiese che hanno la Liturgia ogni giorno, di solito si tratta di cattedrali, con un gran numero di sacerdoti, oppure di monasteri. Nella maggior parte delle chiese parrocchiali, in cui servono uno o due sacerdoti, la Liturgia non è servita tutti i giorni, e quindi i 40 giorni di commemorazioni non sono possibili. Per ulteriori informazioni, si prega di consultare il rettore della chiesa.

 

Pasti memoriali

Pasti e servizi memoriali si svolgono il terzo, il nono e il quarantesimo giorno dopo la morte, e anche nell'anniversario della morte. Se possibile, non dovrebbero essere invitati solo amici e parenti, ma anche i poveri, le persone sole e addolorate. Oltre a questo, è una lodevole consuetudine aiutare i poveri e donare a cause meritevoli in memoria di un defunto.

 

Funzioni di commemorazione

Una funzione di commemorazione funebre è un officio di preghiere della Chiesa per un cristiano ortodosso defunto. Le funzioni di commemorazione possono essere tenute non solo il terzo, il nono e il quarantesimo giorno e nell'anniversario della morte, ma anche il giorno dell’onomastico della persona defunta o in qualsiasi altro giorno appropriato (con l’eccezione di alcuni giorni dell'anno). Si deve contattare il parroco per organizzare un giorno e l'ora per un servizio funebre.

Si può portare il kolivo a una commemorazione funebre. Si tratta di grano bollito con l’aggiunta di miele o frutta dolce o secca. Il grano ci ricorda che siamo sepolti nel terreno, al fine di risorgere a nuova vita. Il miele e la frutta ricordano la dolcezza della vita futura con Dio.

 

Quanto costa?

Le preghiere per i defunti, come tutte le altre preghiere, non hanno prezzo. Non possono essere acquistate o vendute. Tuttavia, è consuetudine ringraziare il prete per il suo tempo e i suoi sforzi, e anche contribuire alla manutenzione della chiesa. Gli importi di queste donazioni sono determinati dai parenti del defunto in base alla loro situazione finanziaria individuale. La povertà o le difficoltà finanziarie non dovrebbero mai essere un ostacolo al compimento di un funerale o servizio funebre. Pregare per i defunti è il dovere di ogni sacerdote, e questo adempimento è di gran lunga più importante di qualsiasi somma di denaro.

 

Una lista di controllo per il funerale

Bisogna tenere a mente che un'impresa di pompe funebri è un organizzazione commerciale, il cui principale obiettivo è quello di fare soldi. Naturalmente, alcuni servizi funebri sono molto convenienti, ma spesso le agenzie funebri suggeriscono servizi che non sono affatto necessari. Chi utilizza i servizi delle agenzie funebri dovrebbe tenere a mente quanto segue:

• Secondo le indicazioni delle sacre Scritture, un cristiano non deve essere cremato, ma sepolto nella terra.

• La bara deve essere in legno, in modo che il corpo del cristiano possa ritornare naturalmente alla terra.

• I cristiani non devono essere imbalsamati, perché l’imbalsamazione ostacola il naturale processo di ritorno del corpo alla terra. Se il funerale deve essere tenuto alcuni giorni dopo la morte, quindi è sufficiente chiedere alle agenzie funebri di conservare il cadavere per mezzo della refrigerazione.

• Nella tradizione ortodossa, i funerali si svolgono in chiesa. È quindi necessario garantire che la bara contenente il corpo di un cristiano ortodosso sia portata in chiesa. Dopo il funerale, la bara viene trasportata a mano o con il carro funebre (a seconda della distanza) al cimitero per la sepoltura.

• Una croce viene posta sopra la tomba di un cristiano ortodosso. Alcuni cimiteri comunali non consentono croci sulle tombe, ma solo lapidi piatte. In questo caso, ci si deve assicurare che vi sia una croce raffigurata sulla lapide.

In allegato a questa lista di controllo, si trova una "direttiva anticipata per il funerale e la sepoltura." Questo modulo può essere compilato e conservato in un luogo accessibile e noto, in modo che i nostri parenti possano portarlo all’agenzia funebre. Avere questa "direttiva" pronta può contribuire a evitare molta confusione da parte dell’agenzia funebre, così come da parte dei nostri cari.

 
I giorni in cui (non) si possono celebrare i matrimoni

Anche se ho trattato questo argomento anche nello studio storico-liturgico sul rito matrimoniale, il problema dei giorni in cui (non) si celebrano i matrimoni rimane aperto.

Come è noto, il matrimonio non può essere celebrato nei giorni e periodi di digiuno [benché il canone 52 di Laodicea parli solo della Grande Quaresima], ma neppure quando la Chiesa si trova in giorni o periodi festivi quali: le vigilie e i giorni delle Feste del Signore, la Settimana Luminosa [cfr canone 66 di Trullo] e il periodo tra la Natività e l'Epifania (per analogia con la Settimana Luminosa).

Naturalmente, il giorno più appropriato per celebrare il matrimonio è la domenica, quando la coppia ha l'opportunità di comunicarsi al corpo e al sangue di Cristo. Per quanto riguarda gli altri giorni della settimana, ci sono approcci diversi all'interno delle Chiese autocefale e la situazione nella Repubblica di Moldova è decisamente difficile, perché sul suo territorio si incontrano due grandi tradizioni liturgiche: quella russa e quella romena. Non di rado, la critica che "i russi fanno i matrimoni al venerdì" o "i romeni fanno i matrimoni al sabato " hanno condotto alcuni giovani a dubitare della validità del matrimonio, e dell'eventuale divorzio, così a volte viene "spiegato da sacerdoti dalla parte avversa", attribuendo l'invalidità al fatto che si sono sposati "in un giorno vietato".

Qui di seguito, consideriamo la situazione classica, quando il matrimonio e la festa di nozze (con tutto ciò che essa comporta) si fanno nello stesso giorno, perché nei i casi in cui il matrimonio e la festa di nozze si fanno in date differenti o persino in anni differenti, difficilmente si possono formulare regole generali, anche se tali situazioni avvengono sempre più spesso. Inoltre, [1] l'atto civile del matrimonio, [2] il matrimonio e [3] la festa di nozze sono tre elementi che formano un insieme e il loro ordine non può essere modificato se non in casi eccezionali. Quindi, la festa di nozze dovrebbe essere l'espressione della gioia di una coppia che ha ricevuto la benedizione di Dio, dopo aver precedentemente espresso anche l'impegno civile di sposarsi. Se si fa prima la festa di nozze e poi il matrimonio, ne consegue che i giovani celebrano ciò che non hanno ancora ricevuto, e se la festa si fa un certo tempo dopo il matrimonio, allora non è più un'espressione di gioia per una benedizione celeste (di cui ci si è già dimenticati), ma una celebrazione strettamente mondana senza alcun senso spirituale, fatta solo per il cibo, le bevande, il denaro e tanto, tanto orgoglio...

Torniamo ora ai giorni in cui (non) si celebrano i matrimoni, e quindi, implicitamente, nemmeno le feste di nozze. Per esempio, i matrimoni nella Chiesa russa sono ammessi il mercoledì e il venerdì, ma non sono consentiti il martedì e il giovedì, perché questo farebbe sì che la coppia consumi il matrimonio alla vigilia di un giorno di digiuno. Bisogna ricordare che la Chiesa russa calcola il digiuno sponsale secondo il giorno liturgico (cioè a partire dai Vespri) e il digiuno alimentare secondo il giorno astronomico (cioè a partire dalla mezzanotte), una differenza sconosciuta in altre Chiese.

Per la maggior parte, le Chiese ortodosse locali, tra cui quella romena (ma anche quella georgiana, anche se questa è stata a lungo sotto l'influenza della Chiesa ortodossa russa), permettono i matrimoni al martedì e al giovedì, tuttavia non li consentono al mercoledì e al venerdì proprio perché sono giorni di digiuno, e il Canone Apostolico 69 dà al mercoledì e al venerdì la stessa importanza della Quaresima. Fare feste di nozze in questi giorni porterebbe alla violazione del digiuno da parte di tutti gli ospiti alle nozze, cosa che è peggio di un rapporto di una coppia al mercoledì o al venerdì (per esempio la consumazione delle nozze può aver già avuto luogo molto tempo prima e la coppia potrebbe non compierla alla sera della festa delle nozze, oppure la consumazione iniziale del matrimonio può essere tollerata canonicamente [cf 1 Cor 7:5], e la Chiesa non ha mai messo in discussione il diritto della coppia alla "luna di miele"). I greci sono i più liberali in materia e celebrano matrimoni quasi ogni giorno, inclusa la Settimana Luminosa, evitando soltanto i periodi più aspri di digiuno.

La maggior parte delle domande sul giorno delle nozze appare in connessione con il giorno di sabato. Non esistono regole canoniche che vietano il matrimonio al sabato, ma celebrare un matrimonio in questo giorno porta quasi inevitabilmente all'assenza di tutti gli ospiti delle nozze alle funzioni domenicali della Chiesa. E sorge spontanea la domanda: perché gli sposi vogliono la benedizione della Chiesa, se poi il giorno dopo il matrimonio violeranno una delle principali regole della Chiesa, che è quella di andare alla funzione della domenica? Alcuni però dicono che gli invitati alle nozze non sarebbero comunque andati in chiesa, in modo da poter svolgere il matrimonio. Ma in questo caso, sarebbe bene che gli sposi non dessero a nessuno un'occasione di peccato, soprattutto perché hanno appena espresso il desiderio di vivere secondo la volontà del Signore e hanno chiesto la sua benedizione. Se un ospite alle nozze non va in chiesa, si assume la responsabilità per la sua pigrizia e incredulità, ma non dovrebbe trasferire questa responsabilità agli sposi, dei quali "per rispetto" non poteva rifiutare l'invito. Un vero cristiano, non importa quanto rispetto abbia per gli altri, ha ancora più rispetto per Dio e la sua Chiesa. Anche il matrimonio non può essere una scusa per la mancanza alla Liturgia della domenica, perché ciò significherebbe considerare le nozze di Giovanni con Maria più importanti delle "nozze" di Cristo con la sua Chiesa.

Così, alla fine, un matrimonio si potrebbe fare al sabato, a condizione che la festa di nozze finisca prima di mezzanotte e tutti vadano in chiesa il giorno dopo. Ma poiché questo è altamente improbabile, la cosa migliore sarebbe celebrare tutti i matrimoni solo la domenica – prima, subito dopo o anche uniti con la Divina Liturgia – in modo da evitare ogni problema legato alla violazione del digiuno o all'assenza alla Liturgia domenicale, e per far tornare il matrimonio all'aspetto misterico che aveva un tempo, quando gli sposi si comunicavano obbligatoriamente al corpo e al sangue del Signore (se non avevano impedimenti).

Tuttavia, un'altra domanda sorge spontanea: si riuscirà a sposare tutte le coppie solo nei giorni di domenica? Penso che se la coppia si sposasse nella propria parrocchia di origine (di entrambi o di uno di loro), e i sacerdoti non incoronassero coloro che non sono pronti a ricevere questo grande mistero, la pianificazione dei matrimoni nelle parrocchie (insieme con la prima catechesi dei giovani) non sarebbe un problema, anche se si effettuassero per la maggior parte alla domenica, come da tradizione nella Chiesa ortodossa. Ma se la coppia cerca "chiese e monasteri da VIP" in cui le foto risultino più belle, certamente non si preoccuperà se alcuni sacerdoti accorciano drasticamente la funzione o non fanno catechesi e non parlano loro della comunione ai santi misteri. Talvolta si arrabbiano pure, quando si dice loro di fare le cose secondo le regole della Chiesa e non come vogliono loro. E allora perché sposarsi in chiesa? La scelta del giorno "giusto" del matrimonio è importante, ma non garantisce un "successo nel matrimonio" se i giovani non vogliono vivere tutta la vita secondo la volontà del Signore e in stretta connessione con la Chiesa. Naturalmente, conta molto il tempo e la qualità dell'inizio, ma è ancora più importante la lotta di tutta la vita e soprattutto una "fine cristiana"...

P. S. L'ideale sarebbe avere un'unità a questo proposito, ma finché non sarà raggiunta, ciascuno deve seguire le regole della Chiesa locale. Temo che nemmeno il Sinodo pan-ortodosso in programma per il 2016 affronterà questo tema e ognuno rimarrà con le proprie argomentazioni e usanze.

 
Perché andare in chiesa ogni domenica (Parte 1)

La gente spesso chiede ai sacerdoti: "Perché dovremmo andare in chiesa ogni Domenica?" E poi comincia a giustificarsi.

"Abbiamo bisogno di dormire, abbiamo bisogno di trascorrere del tempo con la famiglia, di avere cura della casa, ecc. E voi volete che ci alziamo e andiamo in chiesa. Per cosa? "

Foto: M.Rodionov

Naturalmente, per giustificare la propria pigrizia si possono trovare varie obiezioni. Ma prima dobbiamo capire il significato che sta dietro ai viaggi settimanali in chiesa e solo allora confrontarli con le nostre auto-giustificazioni. È così evidente che il requisito di frequenza settimanale in chiesa non una regola umana, ma era uno dei dieci comandamenti: ricordati del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato - giorno del riposo - in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, il tuo schiavo, né la tua serva , né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora dentro alle tue porte. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra, il mare, e tutto ciò che è in essi, e si riposò il settimo giorno: perciò il Signore ha benedetto il giorno del riposo e l'ha santificato (Esodo 20:8-11). Nell'Antico Testamento, la violazione del quarto comandamento era punibile con la morte, così come l'omicidio. Nel Nuovo Testamento, la domenica è diventata il giorno più sacro, perché Cristo, essendo risuscitato dai morti, ha santificato quel giorno. Secondo le regole della chiesa, chiunque viola questo comandamento è soggetto a scomunica. Come indicato nel canone 80 del sesto Concilio Ecumenico: "Nel caso in cui qualsiasi vescovo, o presbitero, o diacono, o chiunque altro nella lista del clero, o qualsiasi laico, senza grave necessità o particolari difficoltà che lo costringono a assentarsi dalla sua chiesa per un tempo molto lungo, non va in chiesa la domenica per tre settimane consecutive, pur vivendo in città, se è un chierico, sia deposto dalla sua carica, ma se è un laico, sia privato della comunione ".

È piuttosto improbabile che il Creatore ci abbia dato comandamenti ridicoli, o che i canoni della chiesa siano stati scritti per rendere la vita più insopportabile. Allora qual è il significato di questo comandamento?

Tutto nel cristianesimo ha la sua origine nella auto-manifestazione di Dio-Trinità, che si rivela a noi nel Signore Gesù Cristo. L’ingresso nella sua vita interiore e la partecipazione alla sua gloria divina è il fine della nostra vita. Dal momento che Dio è amore, e chi dimora nell'amore dimora in Dio e Dio in lui, secondo l’apostolo Giovanni (1 Giovanni 4:16), siamo in grado di entrare in comunione con lui solo attraverso l'amore.

Come affermato dalla parola del Signore, l'intera legge divina può essere ridotta a due comandamenti: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l'anima tua e con tutta la tua mente. Questo è il primo e il più grande comandamento. E il secondo è simile al primo: amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti (Matteo 22:37-40). Possiamo effettivamente compiere questi comandamenti senza andare in chiesa? Se amiamo qualcuno, non cerchiamo di vedere questa persona il più spesso possibile? È possibile immaginare due persone che si amano, e che evitano di vedersi l'un l'altra? Sì, possono parlarsi al telefono, ma è molto meglio parlare faccia a faccia. Lo stesso vale per la persona che ama Dio, che vuole avvicinarsi al Signore. Il re Davide può essere un esempio per noi. Come sovrano del suo popolo, che combatteva numerose guerre contro i nemici, era solito dire: Come sono amabili i tuoi tabernacoli, Signore delle schiere! Brama e si strugge l'anima mia per gli atri del Signore; il mio cuore e la mia carne hanno esultato nel Dio vivente. E infatti anche il passero si è trovato una casa e la tortora un nido dove porre le sue nidiate: i tuoi altari, Signore, Dio delle schiere, mio re e mio Dio. Beati quelli che abitano nella tua casa, nei secoli dei secoli ti loderanno. Beato l'uomo il cui soccorso viene da te, Signore, ha disposto nel suo cuore ascensioni alla valle del pianto e al luogo stabilito. E infatti colui che ha dato la legge darà anche benedizioni: andranno di potenza in potenza; si mostrerà il Dio degli dèi in Sion. Signore, Dio delle potenze, ascolta la mia preghiera, porgi l'orecchio, Dio di Giacobbe. O Dio, difensore nostro, vedi e volgi lo sguardo sul volto del tuo Cristo. Poiché un giorno solo nei tuoi atri è meglio che mille altrove, ho scelto di essere un rifiuto nella casa di Dio piuttosto che abitare nelle tende dei peccatori (Salmo 83).

Quando era in esilio, piangeva  con lacrime tutti i giorni per il fatto di non poter entrare nella casa di Dio: Questo io ricordo, e l’anima mia si strugge: avanzavo tra la folla, la precedevo fino alla casa di Dio, fra canti di gioia e di lode di una moltitudine in festa (Salmo 41:5).

È proprio questo atteggiamento che fa sorgere la necessità di andare al tempio di Dio e la rende indispensabile per la persona.

E questo non è sorprendente! Gli occhi del Signore sono sempre diretti verso il tempio di Dio, la chiesa. Nella chiesa, Egli stesso è presente nel suo corpo e sangue. Nella chiesa, Egli ci fa rinascere nel battesimo, quindi, la chiesa per noi è come una piccola patria. Nella chiesa, Dio perdona i nostri peccati nel mistero della confessione, ci dona se stesso nella santissima Comunione. Dove altro si può trovare tali sorgenti di vita incorruttibile? Secondo la parola di un asceta antico, quelli che durante la settimana combattono contro il diavolo, si affrettano in chiesa il sabato e la domenica per partecipare delle sorgenti dell'acqua viva della comunione, al fine di placare la sete dei loro cuori e di essere purificati dalla sporcizia della loro coscienza contaminata. Le Antiche leggende ci dicono che i cervi cacciano i serpenti e li mangiare, ma quando il veleno comincia a bruciare le loro viscere, corrono a una sorgente di acqua limpida. Così anche noi dobbiamo correre alla chiesa, per rinfrescare l'irritazione dei nostri cuori con la preghiera comunitaria. Come ha detto lo ieromartire Ignazio il teoforo: "Cercate di radunarvi più frequentemente per celebrare l'Eucaristia di Dio e per lodarlo. Quando vi incontrate con frequenza, infatti, i poteri di Satana sono rovesciati e la sua distruttività è annullata dall'unanimità della vostra fede. Non c'è niente di meglio che la pace, con la quale si scacciano tutti i conflitti tra gli spiriti celesti e terrestri" (ieromartire Ignazio il teoforo. Lettera agli Efesini, 13). La gente dimentica che solo la preghiera della chiesa può salvare l'uomo dagli attacchi del diavolo, perché questi trema di fronte alla potenza di Dio e non è in grado di danneggiare la persona che rimane nell'amore divino.

Re Davide cantava: Se contro di me si accampa un esercito, il mio cuore non teme; se contro di me divampa la battaglia, anche allora ho fiducia. Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per gustare la dolcezza del Signore ed ammirare il suo santuario. Egli mi offre un luogo di rifugio nel giorno della sventura. Mi nasconde nel segreto della sua dimora, mi solleva sulla rupe. E ora rialzo la testa sui nemici che mi circondano; immolerò nella sua casa sacrifici d'esultanza, inni di gioia canterò al Signore. (Salmo 26:3-6).

Oltre al fatto che nel suo tempio il Signore ci protegge e ci dà la forza, egli ci insegna anche, perché il servizio divino nella sua interezza è una vera scuola di amore divino. Nel tempio santo di Dio, ascoltiamo la Sua parola, riportiamo alla mente le sue gesta meravigliose, impariamo a conoscere il nostro futuro; di fatto, nel tempio di Dio, tutto parla della sua gloria (Salmo 28:9), come se di fronte ai nostri stessi occhi avessero luogo le gesta dei martiri, le vittorie degli asceti, il coraggio di re e sacerdoti, impariamo a conoscere la natura mistica di Dio, la salvezza che Cristo ci ha concesso; ci rallegriamo per la luminosa risurrezione di Cristo. Non è un caso che parliamo del servizio divino domenicale come di una "Pasqua minore". Spesso ci sembra che tutto intorno a noi sia terribile, spaventoso e senza speranza, ma il servizio divino della domenica ci rivela la nostra speranza ultima. Non è senza ragione che il Profeta Davide ha detto che abbiamo meditato, o Dio, la tua misericordia in mezzo al tuo tempio (Salmo 47:10). Il servizio divino domenicale è la migliore arma contro le numerose depressioni e i dolori che riempiono la nostra grigia vita di tutti i giorni. Questo servizio è un arcobaleno luminoso dell’alleanza con Dio in mezzo alla nebbia della confusione di tutti i giorni.

Foto: Y.Kostygov

Al cuore del nostro servizio divino festivo stanno la preghiera e la contemplazione della Sacra Scrittura, la cui lettura in chiesa possiede un potere unico. Un asceta vide lingue di fuoco che salivano dalla bocca del diacono alla lettura della Parola di Dio al servizio divino della domenica, purificavano le anime delle persone che pregano e salivano al cielo. Quelli che dicono che è sufficiente la lettura della Bibbia a casa e, quindi, non c’è bisogno di andare in chiesa per ascoltare la Parola di Dio, si sbagliano. Anche se di fatto aprono il libro a casa, prendere le distanze dall’assemblea dei fedeli nella chiesa impedirà loro di comprendere appieno il testo sacro. È stato confermato che coloro che non partecipano della Santa Comunione non sono praticamente in grado di comprendere la volontà di Dio. Non c'è da stupirsi! La Scrittura non è altro che un’istruzione su come ricevere la grazia celeste. Ma se ci limitiamo a leggere una serie di istruzioni e non cerchiamo di compiere l’azione descritta nelle istruzioni, per esempio assemblare il mobile di una libreria o utilizzare un programma di computer, l'insieme di istruzioni rimane teorico e sarà presto dimenticato. È ben noto che la nostra mente filtra rapidamente qualsiasi informazione non utilizzata. Pertanto, la Scrittura è inseparabile dalla comunità ecclesiale, perché è stata data solo alla Chiesa.

E viceversa, coloro che assistono alla Divina Liturgia della Domenica e in seguito leggono la Scrittura a casa ne comprenderanno il significato in un modo che essi non avrebbero mai compreso altrimenti. Spesso, è proprio nei giorni delle festa della Chiesa che le persone imparano la volontà di Dio riguardo a se stessi. Secondo le parole di san Giovanni Climaco, "Anche se Dio dona sempre qualcosa ai suoi servi, lo fa ancora di più nelle feste annuali del Signore e della Madre di Dio" (Al pastore, 3:2). Non è sorprendente che coloro che frequentano regolarmente la chiesa siano un po' diversi, sia come aspetto esteriore sia nella disposizione delle loro anime. Da un lato, per loro le virtù diventano naturali, mentre invece le confessioni frequenti impediscono loro di cadere in peccati gravi. Nella vita di un cristiano, le passioni si possono intensificare, perché Satana non vuole che noi, creati dalla polvere, possiamo ascendere al cielo da cui lui è stato scacciato. Per questo motivo Satana ci attacca come suoi nemici. Noi, tuttavia, non dovremmo temerlo, dovremmo combattere contro di lui e vincerlo, perché solo colui che sarà vincitore erediterà tutte le cose, dice il Signore (Apocalisse 21:7).

Se uno dice che è un cristiano, ma non prega con i suoi fratelli, che tipo di cristiano è? Nelle parole del più grande esperto di canoni della Chiesa, il patriarca Teodoro Balsamon di Antiochia, "Una tale persona o si dimentica del rispetto del comandamento divino della preghiera e del canto di inni a Dio, oppoure non è un credente. In caso contrario, perché non dovrebbe volere, per venti giorni, essere in chiesa con i cristiani e in comunione con il popolo fedele di Dio" (un riferimento ai canoni della Chiesa che prevedono che i cristiani assenti dalla chiesa per tre domeniche consecutive siano scomunicati - ndt).

Non è un caso che le persone che consideriamo cristiani modello - i cristiani della Chiesa apostolica di Gerusalemme - stavano insieme, e avevano tutte le cose in comune ... E loro, continuando ogni giorno e frequentare tutti insieme il tempio e a spezzare il pane di casa in casa, mangiavano il loro cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la stima di tutto il popolo (Atti 2:44-47). La loro forza interiore è il risultato del loro essere in un unico accordo. Dimoravano nella potenza vivificante dello Spirito Santo, effuso su di loro in risposta al loro amore.

Non è un caso che il Nuovo Testamento vieta direttamente uno di trascurare le riunioni in chiesa: Noi non abbandoniamo la nostra comune adunanza, come alcuni sono soliti fare, ma ci esortiamo gli uni gli altri: e tanto più quando il giorno dell’adunanza si avvicina (Ebrei 10:25).

Foto: Y.Kostygov

Tutte le cose migliori che hanno fatto santa la Russia, e che sostengono altre nazioni cristiane, sono offerte dai servizi divini. In chiesa siamo liberati dal giogo della nostra vanità e siamo in grado di spezzare le catene di crisi e guerre nella pace del Signore. E questa è l'unica decisione corretta: non maledizioni e rivoluzioni, non malizia e odio, ma la preghiera della chiesa e le virtù possono cambiare il mondo. Per quello che tu hai formato hanno distrutto, e l'uomo giusto, che cosa ha fatto? Il Signore è nel suo tempio santo (Salmo 10:3-4), e il giusto fugge verso il Signore per trovare rifugio. Questo non è codardia ma saggezza e coraggio. Solo un pazzo cercherà di stare in piedi da solo contro l'assalto del male del mondo intero, sia esso il terrorismo o un disastro naturale, rivoluzioni o guerre. Solo Iddio onnipotente può difendere la sua creazione. È per questo che una chiesa è sempre stata considerata un luogo di sicurezza.

In effetti, una chiesa è un’ambasciata del Cielo sulla terra, dove i pellegrini ,in viaggio verso la città celeste, ricevono supporto. Come hai moltiplicato le tue misericordie, o Dio! Lascia che i figli degli uomini sperino al riparo delle tue ali. Essi si inebrieranno della ricchezza della tua casa e del torrente della tua gioia che tu farai loro bere. Poiché in te è la sorgente della vita, nella tua luce vedremo la luce (Salmo 35:8-10).

Penso che sia chiaro che l'amore per Dio è la ragione per cercare di visitare spesso la casa del Signore. Ma il secondo comandamento esige lo stesso - amare il nostro prossimo. Dove altro si può dare la nostra attenzione a ciò che c'è di più bello in una persona? In un negozio, in un cinema o in un ospedale? Ovviamente no. Solo nella casa del nostro Padre comune possiamo incontrare i nostri fratelli. La nostra preghiera comune sarà ascoltata da Dio ben prima della preghiera di un solitario orgoglioso. Il nostro Signore Gesù Cristo stesso ha detto: se due di voi sulla terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove anche due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro. (Matteo 18:19-20).

In chiesa ci allontaniamo dal caos e dalla frenesia e siamo in grado di pregare sia per i nostri guai che per l'universo intero. In chiesa, preghiamo Dio chiedendogli di curare le malattie dei nostri parenti, di liberare i prigionieri, di preservare i viaggiatori, di salvare chi è in pericolo di morte. In chiesa siamo anche in comunione con quelli che hanno lasciato questo mondo, ma non hanno lasciato la Chiesa di Cristo. Ogni volta che i defunti visitano i vivi chiedono di pregare per loro nelle chiese. Si dice che ognuna di queste commemorazioni per loro è come un compleanno, ma spesso le trascuriamo. Dov’è allora il nostro amore? Cerchiamo di immaginare la loro condizione. Non hanno corpi, non possono ricevere la comunione, e non possono neppure fare qualche buona azione (elemosina). Stanno aspettando il sostegno dei loro amici e parenti, ma quello che ottengono sono solo scuse. È lo stesso che dire a tua madre quando ha fame: "Per favore, perdonami, non ti darò da mangiare da mangiare, perché ho disperatamente bisogno di fare un pisolino". Non sappiamo che la preghiera della chiesa è vero cibo per i defunti?

Inoltre, i santi i giusti, uomini e donne, degnamente glorificati, ci attendono nel tempio. Le sante icone ci permettono di vederli, le loro parole sono proclamate durante le funzioni, ed essi stessi visitano spesso la casa di Dio, in particolare nei loro giorni di festa. Pregano Dio insieme con noi, e la loro innologia potente come ali d'aquila porta le preghiere della chiesa direttamente all'altare divino. E non solo le persone, ma anche gli angeli incorporei partecipano alla nostra preghiera. Il popolo canta gli inni degli angeli (per esempio, il "Trisagio"), mentre gli angeli cantano con noi ("Degno davvero è dir di te beata, o Theotokos"). Secondo la Tradizione della Chiesa, un angelo sta sempre sopra l'altare nella chiesa consacrata, e invia la preghiera della Chiesa a Dio, mentre uno spirito benedetto si trova all'ingresso della chiesa, e veglia sui pensieri di quelli che entrano ed escono dalla chiesa. Questa presenza è piuttosto palpabile. Non è infatti senza ragione che molti peccatori impenitenti non si sentono bene nel tempio: è la potenza di Dio che respinge la loro volontà di peccato e gli angeli li puniscono per le loro iniquità. Queste persone, invece di ignorare la chiesa, devono pentirsi e ricevere il perdono nel mistero della confessione e poi ricordarsi di rendere grazie al Creatore.

Parte 2

Parte 3

 
Apertura di una nuova chiesa a Milano

Il sito della nostra parrocchia madre a Milano pubblica un annuncio dato nella Liturgia di domenica scorsa: il vescovo Nestor ha benedetto la prossima apertura di una chiesa in Milano, dedicata a San Benedetto da Norcia, in cui la Liturgia sarà celebrata in italiano. L'annuncio della nuova chiesa è stato dato l'altro ieri in ucraino e oggi in russo (piuttosto singolare, per una chiesa in cui si intende celebrare in italiano, ma le cose curiose del mondo ortodosso non smettono mai di affascinarci...). Si è anche annunciato l'acquisto di un luogo per la creazione di un piccolo monastero.

Il luogo della nuova chiesa in Milano - la casa privata nella quale si è sviluppata la parrocchia dei Santi Sergio e Serafino - è carico di cari ricordi, significativi anche per la crescita della parrocchia di San Massimo di Torino. Speriamo che in questa chiesa possa svilupparsi una nuova generazione di ortodossi di lingua italiana disposti a prendere sul serio la loro fede. Auguriamo anche ogni bene al monastero in formazione, perché possa essere prima di tutto un centro di viva santità.

 
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A proposito dell'ectenia "per i catecumeni"

Il movimento di "rinnovamento liturgico" o "risveglio eucaristico" che ha travolto gli ortodossi nel periodo della partecipazione attiva di quasi tutte le Chiese ortodosse locali al movimento ecumenico, ha avuto come conseguenza il cambiamento della tradizionale coscienza di podvig ascetico degli ortodossi. La stragrande maggioranza delle Chiese ortodosse locali è caduta sotto una forte influenza di mondanizzazione, e di fatto di estinzione reale, della vita ecclesiale. E proprio nel contesto di questa nuova direzione della vita della chiesa sono stati fatti tentativi abbastanza prevedibili di riforma del culto.

Una nuova tendenza è stata la riduzione o l'omissione dell'ectenia "per i catecumeni" e delle due ectenie della Liturgia dei fedeli. Durante i giorni della Settimana Luminosa, questa riduzione è stata giustificata dal fatto che al posto del "Trisagio" si canta invece "Quanti in Cristo siete stati battezzati", e non si deve usare l'ectenia "per i catecumeni" in connessione con la memoria storica del battesimo di tutti i catecumeni in questi giorni. Ma se questo sembra essere un argomento convincente, si dissolve in generale, se consideriamo piuttosto il fatto obiettivo che in questi giorni sono presenti alla Divina Liturgia persone caricate da penitenze sacerdotali, e anche turisti stranieri ed eterodossi. Se seguiamo la tradizione della Chiesa primitiva, dobbiamo farlo in modo coerente, logico e in tutto. In questo caso, bisogna seguire l'obbligo di far uscire dal tempio i pagani, i non ortodossi e i penitenti.

L'ectenia "per i catecumeni" è un ricordo non solo della scomparsa istituzione dei catecumeni, che all'epoca dell'impero romano e romano-orientale sparirono in gran parte nel V-VI secolo, a causa della diffusione del battesimo dei bambini, ma è anche un ricordo di altri gradi di punizione e di penitenza che esistevano nella Chiesa. Tuttavia, le Chiese orientali, così come la Chiesa russa, di fatto hanno mantenuto nella successione della Divina Liturgia l'ectenia "per i catecumeni" anche nel Medioevo, e l'hanno mantenuta fino al nostro tempo. E per questo, a quanto pare, c'erano alcuni motivi piuttosto oggettivi, nonostante il fatto che la Chiesa non ha dogmatizzato l'ordine del rito della Divina Liturgia. Il vescovo Vissarion nel suo famoso libro "Commento alla Divina Liturgia" dà tre ragioni per compiere questa litania durante la liturgia:

a) il dovere di amore verso chi si sforza nel campo dell'irradiazione missionaria;

b) la manifestazione dell'amore verso i neonati che ancora non sono stati battezzati;

c) la manifestazione di cura verso quei battezzati che non conoscono la fede ortodossa. [1]

Il noto liturgista russo Ivan Dmitrievskij, alla domanda sul motivo per la conservazione nel rito della Divina Liturgia dell'ectenia "per i catecumeni", ha scritto : "Se non ci sono penitenti o catecumeni in un certo tempio o luogo, può essere che vi siano in altri templi e luoghi; ma il dovere di amore cristiano ci impone di pregare per loro e generalmente compiere tutto ciò che ci hanno tramandato i santi dell'antichità". [2]

Lo sviluppo attivo dell'attività missionaria nella Chiesa greca, in Grecia e soprattutto all'estero (Africa e altri paesi) negli anni '90 del secolo scorso ha portato al fatto che si è deciso di abbandonare il taglio consueto dell'ectenia "per i catecumeni" e si è raccomandato di eseguire l'ectenia nelle chiese parrocchiali. [3] Il Santo Sinodo della Chiesa ellenica, ascoltando la voce del popolo, ha restaurato la recitazione dell'ectenia "per i catecumeni" a voce alta, invece del costume recentemente adottato di leggere in segreto le ectenie e le loro tre preghiere [4]. Nello ieratico della Chiesa di Grecia per il 2004 è stato stabilito che la tradizione di recitare in segreto, dopo la lettura del Vangelo, l'ectenia "di supplica intensa", l'ectenia "per i catecumeni" e le due ectenie "dei fedeli" non è corretta. [5]

Si deve dire che il desiderio di alcuni di riforma nella vita liturgica della Chiesa russa è causato non tanto da un desiderio del bene della Chiesa, quanto da una sorta di malsana ossessione per la riforma fine a se stessa. Gli ideologi della riforma liturgica si appellano molto spesso alla pratica della Chiesa greca, ma ne traggono alcune forme, senza considerarne il contenuto. Qui vorremmo sottolineare che, per esempio, l'idea di accorciare la Divina Liturgia nel XIX secolo in Grecia fu introdotta nella vita della Chiesa esclusivamente sotto l'influenza del razionalismo occidentale. E fu un tempo di gravi allontanamenti dalla Chiesa del popolo greco e di declino della vita ecclesiale.

Sorge una domanda: che bisogno c'è, quando si dichiara la necessità di un'opera missionaria, soprattutto tra i giovani, di togliere dall'ordine della Divina Liturgia l'ectenia "per i catecumeni"? È evidente che tale necessità non esiste. Molto probabilmente, questa potrebbe rilanciare una prassi della Chiesa antica, che per qualche motivo fu abolita nel IX secolo [6]: la pratica di pronunciare omelie dopo la lettura del Vangelo. [7] Questa pratica deve essere rianimata, assieme alla lettura di brevi Sinassari dei santi del giorno e delle feste per un legame più significativo con il culto. Questo è particolarmente vero nelle funzioni monastiche, perché un monaco è chiamato a essere il portatore della coscienza della Chiesa, suo tutore e protettore, a essere un esempio di ecclesialità sia nel pensiero sia nello stile di vita.

La Chiesa di Cristo è chiamata a garantire la trasformazione della mente e della ragione umana. E questa si compie come prodezza ascetica che è sempre finalizzata alla purificazione della mente, così come l'impresa di leggere i Santi Padri della Chiesa, anche durante i momenti di culto. Questi due più importanti elementi di compimento della salvezza umana hanno caratterizzato la società prevalentemente cristiana dei primi secoli, e attraverso di essi si è riusciti a evitare la tiepidezza dell'empietà e la vita ecclesiale ha assunto un carattere cristocentrico.

[1] Толкование на Божественную литургию по чину св. Иоанна Златоустого и св. Василия Великого д-ра богословия епископа Виссариона (Commento alla Divina Liturgia di san Giovanni Crisostomo e di san Basilio nella teologia del vescovo Vissarion), San Pietroburgo, 1895, p.172 -174.

[2] Ivan Dmitrievskij, Историческое, догматическое и таинственное изъяснение Божественной литургии (Esposizione storica, dogmatica e mistica della Divina Liturgia), ristampa, Mosca, 1993, pp 243-244.

[3] Circolare dell'arcivescovo di Atene kyr Christodoulos il 16 ottobre 1998 sotto il nome di «Λειτουργική Ανανέωσις».

[4] Cfr. Ιερατικόν. Ἀθῆναι. Ἔκδ. τὴς Ἀποστολικῆς Διακονίας τῆς Ἐκκλησίας τῆς Ἐλλαδος. 2004 σελ.119 -120.

[5] Quest'omissione delle ectenie è riflessa nelle pubblicazioni dello Ieratico del 1977. Vedi V.V.Pechatnov. Божественная литургия в России и Греции (La Divina Liturgia in Russia e in Grecia), Mosca, Palomnik, 2008, p. 148.

[6] La predica dopo il Vangelo aveva in pratica un carattere catechetico. La predica chiariva il testo del vangelo appena letto, e offriva ai catecumeni e agli eretici un insegnamento su temi dottrinali, morali e didattiche. Con la progressiva scomparsa dei catecumeni in età adulta, rispettivamente, è decaduta anche la necessità della predicazione, che è stata trasferita alla liturgia dei fedeli ed è stata spinta alla fine stessa del rito.

[7] Cfr. Vescovo Vissarion. Raccolta dei decreti, p. 165.

 
"I fondamenti della concezione sociale" - XIV. Laicità della Scienza, della cultura, dell’educazione laiche

Riannodare il legame tra sapere scientifico e valori religiosi, spirituali e morali

XIV.1. Il cristianesimo, avendo superato i preconcetti pagani, ha demitologizzato la natura, contribuendo in tal modo allo sviluppo delle scienze naturali. Con il tempo, le scienze, sia naturali sia umanistiche, sono diventate una delle più importanti componenti della cultura. Alla fine del XX secolo la scienza e la tecnica hanno raggiunto risultati tanto stupefacenti e una tale incidenza su tutti gli aspetti della vita da diventare, di fatto, i fattori determinanti della vita civile. Nel contempo, nonostante l'iniziale impatto del cristianesimo sulla formazione dell'attività scientifica, lo sviluppo della scienza e della tecnica sotto l'influsso di ideologie laiche ha prodotto conseguenze che suscitano serie apprensioni. La crisi ecologica e altre crisi, che hanno colpito il mondo contemporaneo, suscitano dubbi sempre più seri riguardo al cammino intrapreso. Attualmente il livello scientifico-tecnologico della civiltà è tale che le azioni criminose di un gruppo ristretto di persone, in teoria, possono nel giro di alcune ore provocare una catastrofe mondiale, nella quale potrebbero perire irrimediabilmente tutte le forme di vita superiori.
Dal punto di vista cristiano, tali conseguenze derivano dal falso principio che sta alla base dello sviluppo tecnico-scientifico contemporaneo. Tale principio stabilisce aprioristicamente che questo sviluppo non deve essere limitato da alcuna esigenza etica, filosofica o religiosa. Con questa «libertà», tuttavia, lo sviluppo tecnico-scientifico si trova completamente in balia delle passioni umane, prima di tutto della vanità, dell'orgoglio, della sete del maggior comfort possibile, cosa che erode l'armonia spirituale della vita con tutte le conseguenze negative che ne derivano. Pertanto, per assicurare una vita umana normale oggi più che mai è necessario riannodare il legame, che è andato smarrito, tra il sapere scientifico e i valori religiosi, spirituali e morali.
La necessità di questo legame è postulata anche dal fatto che un consistente numero di persone crede ancora nell'onnipotenza della conoscenza scientifica. Deriva in parte da questa convinzione la posizione di alcuni pensatori atei del XVIII secolo, che contrapposero nettamente scienza e religione. Nel contempo però è comunemente accettato il fatto che in tutti i tempi, compreso quello presente, molti eminenti scienziati sono stati e sono persone religiose. Questo sarebbe stato impossibile se ci fossero state contraddizioni fondamentali tra la religione e la scienza. Il sapere scientifico e il sapere religioso hanno un carattere completamente diverso. Hanno premesse diverse, finalità diverse, compiti e metodi diversi. Queste sfere possono sfiorarsi, intersecarsi, ma non contrapporsi l'una all'altra. Da un lato, infatti, le scienze naturali non contengono teorie ateistiche o religiose, bensì teorie più o meno vere. Dall'altro lato, la religione non si occupa dei problemi inerenti la struttura della materia.
M.V. Lomonosov scrisse giustamente che la scienza e la religione «non possono entrare in conflitto... a meno che qualcuno per vanità o per ingenuità non voglia riversare su di esse la propria ostilità». Questo stesso pensiero ha espresso s. Filarete di Mosca: «La fede in Cristo non è in conflitto con il vero sapere, perché essa non è in unione con l'ignoranza». È opportuno rilevare anche la scorrettezza della contrapposizione tra la religione e la concezione del mondo cosiddetta scientifica.
Per loro natura solo la religione e la filosofia possono avere la funzione di esprimere una concezione del mondo, funzione che nessuna singola scienza specifica o nessun sapere scientifico concreto nel suo complesso può assumersi. Una riflessione sui progressi scientifici e sulla loro inclusione in un sistema ideologico può avere luogo in un contesto ampio, da quello religioso a quello dichiaratamente ateistico.
Benché la scienza possa essere una delle vie per conoscere Dio (Rm 1,19-20), l'ortodossia la considera anche uno strumento naturale per edificare la vita sulla terra, che deve essere usato con grande prudenza. La Chiesa mette in guardia l'uomo dalla tentazione di considerare la scienza come un ambito assolutamente indipendente dai principi morali. I progressi odierni nei diversi campi, comprese la fisica delle particelle elementari, la chimica e la microbiologia, mostrano che esse sono di fatto una spada a doppio taglio, capace non solo di recare un beneficio all'uomo, ma anche di togliergli la vita. I precetti evangelici di vita offrono la possibilità di educare una persona in modo tale che essa possa non abusare delle conoscenze e delle abilità ricevute. Questo è il motivo per cui la Chiesa e la scienza laica sono chiamate a collaborare per la salvaguardia della vita e del suo giusto ordine. La loro interazione contribuisce ad instaurare un clima di sana creatività nella sfera spirituale e intellettuale ed aiuta in tal modo ad attuare le condizioni ottimali per lo sviluppo della ricerca scientifica.
È opportuno dare particolare rilievo alle scienze sociali, in quanto per loro natura sono inevitabilmente connesse con i campi della teologia, della storia ecclesiastica e del diritto canonico. Pur approvando l'opera di studiosi laici in questo campo e riconoscendo l'importanza degli studi umanistici, la Chiesa nello stesso tempo non considera completa ed onnicomprensiva la visione razionale del mondo che talvolta deriva da questi studi. La concezione religiosa del mondo non può essere rigettata come fonte di idee sulla verità e sulla comprensione della storia, dell'etica e di molte altre scienze umanistiche che hanno ragione e diritto ad essere presenti nel sistema educativo e scolastico laico e nell'organizzazione della vita sociale. Solo la combinazione dell'esperienza spirituale con il sapere scientifico può assicurare la pienezza della conoscenza. Nessun sistema sociale può essere definito armonico, se nel momento di esprimere giudizi di rilevanza sociale esso risulta monopolizzato dalla visione secolarizzata del mondo. Purtroppo, rimane il pericolo di una scienza ideologizzata, per il quale intere nazioni nel mondo hanno pagato un prezzo molto alto nel XX secolo. Tale ideologizzazione è particolarmente pericolosa nel campo degli studi sociali, che vengono posti a fondamento di programmi di governo e di progetti politici. Pur opponendosi al tentativo di sostituire l'ideologia alla scienza, la Chiesa appoggia il dialogo particolarmente importante con gli studiosi umanisti.
L'uomo come immagine e somiglianza dell'ineffabile Creatore è libero nelle sue misteriose profondità. La Chiesa mette in guardia dai tentativi di servirsi delle conquiste della scienza e della tecnica per estendere il proprio controllo sul mondo interiore della persona, per creare una qualche tecnologia che renda possibile il plagio e la manipolazione della coscienza o dell'inconscio dell'uomo.

 

La cultura come compito assegnato da Dio

XIV.2.  Il termine latino cultura, che significa «coltivazione», «educazione», «istruzione», «sviluppo», deriva dalla parola cultus («venerazione», «culto», «adorazione»). Questo indica le radici religiose della cultura. Dopo aver creato l'uomo, Dio lo pose nel paradiso terrestre e gli ordinò di coltivare e di custodire la sua creazione (Gen 2,15). La cultura come preservazione e cura del mondo è un compito assegnato da Dio all'uomo. Dopo la cacciata dal paradiso terrestre, quando gli uomini si trovarono nella necessità di lottare per la sopravvivenza, cominciarono a produrre strumenti per lavorare, per costruire città, per svolgere l'attività agricola e per creare opere artistiche. I padri e i dottori della Chiesa hanno sottolineato la primordiale origine divina della cultura. Clemente Alessandrino, in particolare, la percepì come frutto della creatività dell'uomo sotto la guida del Logos: «La Scrittura con il nome generico di sapienza designa globalmente tutte le scienze e le arti terrene, tutto quello che l'intelletto umano ha potuto conseguire... perché ogni arte e ogni sapere viene da Dio». E s. Gregorio il Teologo scriveva: «Come in una magistrale armonia musicale ogni corda produce un suono diverso, l'una alto, l'altra basso, così anche in questo l'artista e creatore-Logos, pur avendo posto diversi inventori di diverse attività e arti, ha messo ogni cosa a disposizione di tutti quelli che lo desiderano, allo scopo di unirci con i vincoli di comunione e di amore per l'umanità e di rendere la nostra vita più civile».
La Chiesa ha assimilato molto dal patrimonio d'arte e di cultura creato dall'umanità e ha riplasmato i frutti del lavoro creativo nel crogiolo dell'esperienza religiosa, cercando di purificarli dagli elementi spiritualmente perniciosi per poi offrirli alle persone. Essa santifica diversi aspetti della cultura e offre un valido contributo al suo sviluppo. L'iconografo ortodosso, il poeta, il filosofo, il musicista, l'architetto, l'attore e lo scrittore ortodossi, tutti usano gli strumenti dell'arte per esprimere l'esperienza di rinnovamento spirituale che essi hanno trovato in se stessi e che desiderano donare agli altri. La Chiesa rende possibile comprendere in modo nuovo l'uomo, il suo mondo interiore e il senso della sua esistenza. Di conseguenza, la creatività umana, sacralizzandosi, ritorna alle sue originarie radici religiose. La Chiesa aiuta la cultura ad oltrepassare i confini di un'attività puramente terrena: offrendo una via per purificare il cuore e per unirsi con il Creatore, essa la rende capace di collaborare con Dio.
La cultura laica può essere portatrice della buona novella. Questo è particolarmente importante quando l'influenza del cristianesimo nella società si indebolisce o quando il potere civile entra in aperto conflitto con la Chiesa. Così, negli anni dell'ateismo di stato, la letteratura russa classica, la poesia, la pittura e la musica divennero per molti quasi le sole fonti della conoscenza religiosa. Le tradizioni culturali contribuiscono a preservare e ad arricchire l'eredità spirituale in un mondo in rapida trasformazione. Questo vale per i vari aspetti della creatività: la letteratura, le arti figurative, la musica, l'architettura, il teatro, il cinema. Per predicare Cristo tutti gli stili creativi sono adatti, se l'intenzione dell'artista è autenticamente devota e se egli resta fedele al Signore.
Agli uomini di cultura la Chiesa ha sempre rivolto questo appello: «Trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12,2). Nello stesso tempo la Chiesa ammonisce: «Carissimi, non prestate fede a ogni ispirazione, ma mettete alla prova le ispirazioni, per saggiare se provengono veramente da Dio» (1Gv 4,1). L'uomo non ha sempre una sufficiente perspicacia spirituale per distinguere l'autentica ispirazione divina dall'«ispirazione» estatica, dietro alla quale non di rado stanno forze oscure che hanno un impatto distruttivo sull'uomo. Quest'ultima si verifica, in particolare, quando le persone entrano in contatto con il mondo della magia e della stregoneria o quando assumono stupefacenti. L'insegnamento della Chiesa aiuta una persona a trovare la vista spirituale che le permette di distinguere il bene dal male, il divino dal demoniaco.
L'incontro tra la Chiesa e il mondo della cultura non significa affatto sempre la semplice cooperazione e l'arricchimento reciproco: «Il vero Logos, quando venne, mostrò che non ogni opinione né ogni insegnamento è buono, ma che alcuni sono buoni, mentre altri sono cattivi» (s. Giustino Filosofo). Nel riconoscere il diritto di ogni uomo a esprimere un giudizio morale sui fenomeni culturali, la Chiesa riserva anche a se stessa un analogo diritto, nel quale essa ravvisa un suo diretto compito. Pur senza insistere sul fatto che il criterio di valutazione della Chiesa dovrebbe essere l'unico accettato nella società laica e nello stato, la Chiesa è tuttavia convinta della verità ultima e della natura salvifica della via che le è stata rivelata nel Vangelo. Se un'opera creativa contribuisce alla trasformazione morale e spirituale della persona, la Chiesa la benedice. Se invece la cultura si pone in contrasto con Dio, se diventa antireligiosa o anti-umana e si trasforma in anti-cultura, la Chiesa le si oppone. Tuttavia, una simile opposizione non è una lotta contro i portatori di questa cultura, perché «la nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne», ma è una battaglia spirituale, volta alla liberazione degli uomini dall'impatto pernicioso esercitato sulle loro anime dalle forze oscure, dagli «spiriti del male» (Ef 6,12).
La tensione escatologica del cristiano non gli permette di identificare completamente la sua vita con il mondo della cultura, «perché non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura» (Eb 13,14). Il cristiano può lavorare e vivere in questo mondo, ma non deve lasciarsi completamente assorbire dall'attività terrena. La Chiesa ricorda alle persone di cultura che la loro vocazione è coltivare l'anima delle persone, compresa la propria, cercando di ricostituire l'immagine di Dio deformata dal peccato.
Predicando la verità eterna di Cristo alle persone, che vivono situazioni storiche in evoluzione, la Chiesa compie la sua missione attraverso le forme culturali proprie del tempo, della nazione e dei vari gruppi sociali in cui si trova ad operare. Quello che è stato conosciuto e sperimentato da certi popoli e generazioni a volte deve essere reinterpretato per altri soggetti, in modo che diventi a essi familiare e comprensibile. Nessuna cultura può essere considerata l'unica accettabile per esprimere il messaggio spirituale cristiano. Il linguaggio verbale e figurativo della predicazione, i suoi metodi e i suoi strumenti mutano naturalmente nel corso della storia ed assumono caratteristiche diverse a seconda del contesto nazionale e di altri fattori. Nello stesso tempo però gli umori mutevoli del mondo non costituiscono un motivo per rigettare il prezioso patrimonio dei secoli passati e, peggio ancora, per abbandonare all'oblio la tradizione della Chiesa. 

 

L’educazione laica

XIV.3. La tradizione cristiana ha sempre rispettato l'educazione laica. Molti padri della Chiesa studiarono in scuole e accademie laiche e ritennero le discipline che vi si insegnavano indispensabili per un credente. S. Basilio Magno scrisse che «le scienze esterne non sono inutili» per un cristiano, il quale deve trarre da esse tutto ciò che contribuisce al suo perfezionamento morale e alla sua crescita intellettuale. Secondo il pensiero di S. Gregorio il Teologo, «chiunque sia dotato di intelletto riconosce l'istruzione (paideusin) come un bene primario per noi. E non solo questa nostra nobile erudizione che... ha per oggetto unicamente la salvezza e la bellezza di ciò che è contemplato dalla mente, ma anche l'erudizione esterna, che molti cristiani per ignoranza disprezzano come poco affidabile, pericolosa e sviante da Dio».
Dal punto di vista ortodosso è auspicabile che l'intero sistema educativo sia costruito sui principi religiosi e fondato sui valori cristiani. Nondimeno, la Chiesa, seguendo una tradizione plurisecolare, rispetta la scuola laica ed è pronta a instaurare rapporti con essa sulla base del riconoscimento della libertà umana. Nello stesso tempo la Chiesa considera inammissibile imporre deliberatamente agli studenti idee antireligiose e anticristiane ed affermare il monopolio della visione materialistica del mondo (v. XIV.1). Non si deve riprodurre la situazione, tipica di molti paesi nel XX secolo, nella quale le scuole statali erano divenute strumenti di un'educazione ateistica militante. La Chiesa esorta a rimuovere le conseguenze del controllo ateistico sul sistema dell'istruzione pubblica.
Purtroppo, sino ad oggi, in molti programmi di storia è ancora sottovalutato il ruolo della religione nella formazione dell'autocoscienza spirituale dei popoli. La Chiesa richiama costantemente alla memoria l'apporto che il cristianesimo ha offerto al tesoro culturale nazionale e mondiale. I credenti ortodossi prendono atto con rammarico dei tentativi di accettare in maniera acritica criteri didattici, programmi e principi educativi di organizzazioni note per il loro atteggiamento negativo verso il cristianesimo in generale e l'ortodossia in particolare. Non può essere ignorato neppure il pericolo della penetrazione nella scuola laica di influenze occulte e neo-pagane e di sette distruttive, sotto il cui impatto un bambino può smarrirsi e per se stesso, e per la famiglia e per la società.
La Chiesa ritiene utile e necessario attivare corsi opzionali di religione cristiana nelle scuole statali, su richiesta dei bambini o dei loro genitori, come pure negli istituti di istruzione superiore. Le autorità ecclesiastiche dovrebbero avviare con il governo un dialogo teso a suggellare a livello legislativo e pratico il diritto internazionalmente riconosciuto delle famiglie credenti di impartire ai loro figli un'istruzione e un'educazione religiose. A questo scopo la Chiesa ha anche creato istituti di istruzione di base ortodossi, per i quali aspetta il sostegno da parte dello stato.
La scuola è un mediatore, che trasmette alle nuove generazioni i valori morali maturati nei secoli precedenti. La scuola e la Chiesa sono chiamate a collaborare a questo compito. L'istruzione, specialmente quella destinata ai bambini e agli adolescenti, non è chiamata solo a trasmettere informazioni. Accendere nei giovani cuori l'aspirazione alla verità, un autentico senso morale, l'amore verso il prossimo, verso la patria, la sua storia e la sua cultura deve essere un compito della scuola – non inferiore, ma forse anzi più nobile della trasmissione del sapere. La Chiesa è chiamata e cerca di aiutare la scuola nella sua missione educativa, perché è dalla moralità e dalla spiritualità di una persona che dipende la sua salvezza eterna, come pure il futuro delle singole nazioni e dell'intero genere umano. 

 
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Perché andare in chiesa ogni domenica (Parte 2)

"Va bene. Si deve andare in chiesa, ma perché ogni domenica? Abbiamo bisogno di essere così fanatici?

Foto: Y.Kostigov

Per dirla in breve, si deve dire che se il Creatore comanda, la sua creazione deve rispondere con obbedienza assoluta. Il Sovrano di tutti i tempi ci ha dato i giorni della nostra vita. Non gli è permesso di esigere che noi gli diamo quattro delle 168 ore della settimana? Inoltre, il tempo che passiamo in chiesa è per il nostro bene. Se un medico ci prescrive alcune procedure, non cerchiamo di seguire tutte le raccomandazioni del medico, se vogliamo guarire? Perché quindi ignorare le parole del grande medico delle anime e dei corpi?

Seguire la volontà suprema è un atto fanatico? Secondo il dizionario, "il fanatismo (dal latino fanaticus - estremo zelo) è una credenza o una visione del mondo portata alle estreme conseguenze, intollerante di altri punti di vista (per esempio, il fanatismo religioso)". Qui dobbiamo rispondere alla domanda: che cosa costituisce un grado estremo? Se si tratta di qualcosa di frenetico ed estatica, allora è molto improbabile che le persone che vanno in chiesa ogni Domenica tendano ad attaccare le persone in eccessi di gioia estatica o di ira. A volte, il buon senso è già considerato estremo da alcune persone. Se non rubare e non uccidere è fanatismo allora siamo sicuramente fanatici. Se l'insegnamento che vi è una sola vera via verso un unico vero Dio è considerato fanatico, allora siamo fanatici. Ma con una tale idea del fanatismo il Regno dei cieli sarà ereditato solo dai fanatici, perché tutto il "normale" e "logico" è destinato alle tenebre esterne, da un Dio che dice: "Io conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca". (Ap 3:1516).

Pensiamo alle parole con cui abbiamo iniziato la nostra discussione:

"Abbiamo bisogno di dormire, abbiamo bisogno di trascorrere del tempo con la famiglia, di avere cura della casa, ecc. E voi volete che ci alziamo e andiamo in chiesa."

Beh, nessuno ti costringe ad andare presto alla Liturgia, perché in città si celebrano spesso Liturgie sia di primo mattino sia più tardi. Per quanto riguarda i villaggi, nessuno dorme in ogni caso fino a tardi in campagna (si devono fare i lavori agricoli - ndt). Ma in città, nessuno ti impedisce al Sabato sera, dopo il ritorno a casa dalla Veglia, di trascorrere tempo con la tua famiglia, di leggere di un libro interessante, e, dopo le preghiere della sera, di andare a letto alle 11 o alle 12, per alzarti la domenica mattina alle 8:30 e andare in chiesa. Nove ore di sonno sono sufficienti per ripristinare le forze per la maggior parte delle persone. Se non è sufficiente, puoi fare un pisolino la domenica pomeriggio. I nostri problemi non vengono dal fatto di andare in chiesa, ma dal fatto che il ritmo della nostra vita non corrisponde alla volontà di Dio, e ci porta a uno stato di esaurimento. Solo la comunione con Dio, la sorgente di tutte le forze dell'universo, ci può ringiovanire sia fisicamente che spiritualmente. L'esperienza dimostra che se sei esaurito il sabato, i servizi divini della domenica ti riempiranno di forza interiore. Questa forza è anche fisica. Per questo motivo gli asceti, che hanno trascorso la loro vita in ambienti desertici disumani, vivevano fino a 120 o 130 anni, mentre noi riusciamo a malapena ad arrivare a 70 o 80. Dio dà la forza a coloro che sperano in lui e lo servono. Prima della rivoluzione in Russia è stato condotto uno studio, che ha dimostrato che la maggiore longevità non era raggiunta dalla nobiltà o dai mercanti, ma dai sacerdoti, che pur vivevano in condizioni di gran lunga peggiori rispetto alle prime due classi. Questa è una conferma tangibile dei benefici della frequenza settimanale nella casa del Signore.

quanto al passare il tempo con la tua famiglia, cosa ti impedisce di andare in chiesa con tutta la famiglia? Se i bambini sono troppo piccoli, allora tua moglie e i bambini possono venire in chiesa un po' più tardi, e poi potete andare tutti a fare una passeggiata, pranzare, ecc. Questo progetto ha qualcosa in comune con lo "stare insieme", quando l'intera famiglia viene assorbita nel televisore? Spesso coloro che non vengono in chiesa "a causa della famiglia" non scambiano una dozzina di parole con quella stessa famiglia per l'intera giornata.

Per quanto riguarda le faccende di casa: la Parola di Dio non ci permette di fare alla domenica ciò che è di là di quanto è strettamente necessario. Non dobbiamo pulire tutta la casa alla domenica, o dedicare il giorno al bucato, o alle conserve di frutta e verdura per tutto l'anno. Il tempo di pace e tranquillità dura dal sabato sera fino alla domenica sera. Tutti i lavori devono essere rimandati alla domenica sera. L'unico tipo di lavoro che non è solo permesso, ma prescritto alla domenica e nei giorni festivi sono gli atti di misericordia. Pulire tutta la casa di una persona anziana o malata, aiutare in chiesa, fornire cibo e vestiti a un orfano o a una grande famiglia bisognosa: questo è l'unico modo vero e gradito a Dio di santificare il giorno del Signore.

"Non possiamo vivere d'inverno senza conservare i prodotti del nostro orto, quindi dobbiamo passare la domenica in giardino".

Foto: archimandrita Tikhon (Shevkunov)

Penso che la risposta sia ovvia. Nulla ci impedisce di andare alla nostra chiesa locale, e di continuare a fare il nostro lavoro in giardino il sabato o più tardi alla domenica. In questo modo la nostra salute sarà conservata e la volontà di Dio sarà onorata. Anche se non c'è una chiesa vicina, dobbiamo dedicare il sabato sera e la domenica mattina alla preghiera e alla Sacra Scrittura. Coloro che non vogliono vivere secondo la volontà di Dio raccoglieranno punizioni. I raccolti sperati saranno divorati da cavallette, bruchi e malattie. Quando abbiamo bisogno di pioggia arriva la siccità, e quando abbiamo bisogno di tempo asciutto abbiamo un diluvio. In questo modo Dio dimostra a tutti chi è il padrone del mondo. Spesso Dio punisce coloro che trasgrediscono la sua volontà.

Al contrario, a coloro che seguono il comandamento divino Dio manda raccolti senza precedenti. Per esempio, i raccolti al monastero di Optina superano di quattro volte quelli dei suoi vicini, anche se tutti usano le stesse tecnologie agricole.

Il raccolto al monastero di Optina. Foto: Optina-pustin.ru

"Non posso andare in chiesa perché è troppo freddo o caldo, piove o nevica. Farei meglio a pregare a casa".

Ma che meraviglia! La stessa persona è pronta ad andare sotto la pioggia per vedere la sua squadra del cuore allo stadio, per lavorare nel suo giardino, per ballare tutta la notte a una festa. E trova di non avere forze per andare alla casa di Dio. Il cattivo tempo è sempre una giustificazione per la nostra mancanza di desiderio. Pensiamo davvero che Dio ascolti le preghiere di una persona che non è disposta a fare sacrifici per lui in qualcosa di così piccolo?

Foto: V.Eshtokin

Un'altra obiezione è altrettanto assurda:

"Io non vado in chiesa, perché non ci sono i banchi e fa troppo caldo/freddo. I cattolici hanno capito tutto molto meglio!"

Naturalmente, questa obiezione non può essere presa sul serio, ma per molti, la comodità è più importante della salvezza eterna. Tuttavia, Dio non desidera mettere in pericolo neanche un reietto, e Cristo non spezzerà la canna incrinata e non spegnerà il lucignolo fumante. Per quanto riguarda i banchi, non sono essenziali. Se una persona non sta bene nulla le impedisce di sedersi su uno dei sedili sul retro della chiesa. Inoltre, secondo la regola dei servizi divini, al servizio della Veglia i fedeli possano sedersi in sette occasioni. E anche se tutti i banchi sono occupati cosa vi impedisce di portarvi una sedia pieghevole? Nessuno dirà una parola. Non vi resta che alzarvi alla lettura del Vangelo, al Cherubico, durante il Canone eucaristico e negli altri momenti più importanti del servizio. Credo che questo non dovrebbe costituire un problema per nessuno. E queste regole non si applicano a coloro che non possono alzarsi a causa delle loro condizioni di salute.

Lasciatemelo ripetere: tutte queste obiezioni sono ridicole e non possono essere usate come ragioni per disobbedire al comandamento divino.

Né la seguente può essere una scusa:

"Nella vostra chiesa tutti sono così avari e scontrosi. Le donne anziane spettegolano e deridono la gente. E voi vi chiamate cristiani? Non voglio diventare come voi e per questo motivo non ho intenzione di mettere piede in chiesa".

Foto: Y.Kostigov

A nessuno è richiesto di essere avaro e scontroso. Avete mai sentito qualcuno in chiesa fare tali richieste? Ti chiedono mai all'ingresso della chiesa di mettere guantoni da boxe? Cominciate voi a non spettegolare e a non deridere la gente, e allora sarete in grado di correggere gli altri. L'apostolo Paolo dice: "Chi sei tu giudichi il servo di un altro uomo? Davanti al suo Signore, egli sta in piedi o cade" (Romani 14:4).

L’obiezione avrebbe senso se i sacerdoti ci insegnassero a combattere e litigare. Ma non è così. Né la Bibbia, né la Chiesa, né i suoi ministri lo hanno mai insegnato. Al contrario: in ogni omelia e in ogni canto religioso siamo chiamati a essere umili e misericordiosi. Pertanto, l’inimicizia degli altri non può essere una ragione perché noi non andiamo in chiesa.

Dobbiamo capire che le persone che vengono in chiesa non vengono da Marte, ma dal nostro stesso mondo. Provengono da un mondo in cui si è abituale sentire bestemmie. Ma nel tempio non si sente bestemmiare. Si potrebbe dire che la chiesa è l'unico luogo dove non si bestemmia.

Nel mondo si è soliti essere scontrosi e riversare il nostro malcontento sugli altri, definendolo una lotta per la giustizia. Non lo si fa anche nelle sale d'attesa degli studi medici, dove ci sono donne anziane che con le loro critiche fanno a pezzi tutti, dal presidente alle infermiere? Pensate che queste persone, entrando in chiesa, come per da un tocco di bacchetta magica, cambino immediatamente diventino docili come pecore? No. Dio ci ha dato il libero arbitrio, e senza il nostro sforzo nulla cambia dentro di noi.

Siamo sempre nella Chiesa solo fino ad un certo grado. Ogni volta che questo grado è grande, l'uomo è chiamato un santo. Altre volte, questo grado è piccolo. A volte una persona si aggrappa al Signore solo con il dito mignolo. Ma dobbiamo ricordare che l'unico giudice che può fare valutazioni è il Signore, non noi. Mentre c'è ancora tempo c'è speranza. Non si giudica un intero film prima che sia finito - solo certi episodi. Tali episodi sono i santi. La Chiesa deve essere giudicata per i suoi santi, non per le persone che devono ancora completare il viaggio della loro vita. Non per niente si dice che il fine corona ogni sforzo.

Se la Chiesa si definisce un ospedale (nella preghiera prima della confessione, si dice: "Sei venuto al luogo di guarigione, bada di non andartene senza essere guarito"), possiamo aspettarci che la Chiesa si riempia di persone sane? Quelli sani ci sono, ma sono in cielo. La Chiesa sarà rivelata in tutta la sua bellezza solo quando tutti quelli che desiderano la guarigione cominceranno a usare il trattamento che la Chiesa offre. I santi sono la miglior prova della potenza guaritrice di Dio che agisce nella Chiesa.

Pertanto, quando andiamo in chiesa, non dobbiamo guardare le persone intorno a noi, ma dobbiamo cercare Dio, perché non veniamo in chiesa per incontrare la gente, ma per incontrare Dio.

Parte 1

Parte 3

 
Ho avuto un aborto...

Nella sezione "Etica" dei documenti, presentiamo la nostra traduzione italiana del racconto di Daria, una donna che dopo il ricorso a un aborto (senza essere neppure incinta) nel 1989, ha vissuto gli anni successivi oppressa da una pesante depressione, da cui la confessione e la comunione hanno offerto una via d'uscita inaspettata. Il testo, tradotto dal russo da uno dei padri del monastero di Jordanville negli USA, è stato pubblicato su Orthodoxy and the World (versione inglese di Pravmir.ru) e quindi sulla collezione di testi in inglese del monastero di Lepavina in Slovenia.

 
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"I fondamenti della concezione sociale" - XV. La Chiesa e i mass media

Il compito dell’informazione

XV.1. I mass media giocano un ruolo sempre più importante nel mondo contemporaneo. La Chiesa rispetta il lavoro dei giornalisti, i quali sono chiamati a fornire alla società un'informazione tempestiva su quanto accade nel mondo, aiutando le persone a orientarsi nella complessa realtà odierna. È importante ricordare che il compito di informare lo spettatore, l'ascoltatore ed il lettore dovrebbe essere fondato non solo su un solido impegno per la verità, ma anche sulla preoccupazione per la condizione morale dell'individuo e della società, e questo comporta l'adesione a ideali positivi e la lotta contro la propagazione del male, del peccato e del vizio. Sono inammissibili la propaganda della violenza, dell'inimicizia e dell'odio, delle ostilità etniche, sociali e religiose, come pure lo sfruttamento peccaminoso degli istinti umani, compreso quello per scopi commerciali. I mass media, che hanno un'influenza enorme sul pubblico, hanno una grave responsabilità per l'educazione delle persone, specialmente delle generazioni più giovani. I giornalisti e i dirigenti dei mass media non dovrebbero mai dimenticare questa responsabilità.

 

La collaborazione della Chiesa con i mezzi di comunicazione

XV.2.  La missione educativa, didattica e pacificatrice a livello sociale della Chiesa la spinge a cooperare con i mezzi di comunicazione di massa laici, che possono trasmettere il suo messaggio agli strati più diversi della società. Il santo apostolo Pietro esorta i cristiani: «siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto» (1 Pt 3,15). Tutti, ministri del culto o laici, sono chiamati a mantenere con la dovuta attenzione i contatti con i mass media laici per realizzare la loro missione pastorale ed educativa e risvegliare l'interesse della società laica per i vari aspetti della vita ecclesiale e della cultura cristiana. Pertanto, è necessario mostrare saggezza, responsabilità e prudenza verso la posizione di un particolare organo di informazione riguardo alla fede e alla Chiesa, verso il suo orientamento morale e i suoi rapporti con le autorità ecclesiastiche. I laici ortodossi possono lavorare direttamente presso i mass-media laici, e in tale attività essi sono chiamati a essere annunciatori e testimoni degli ideali morali cristiani. I giornalisti che pubblicano materiali che portano alla corruzione delle anime umane devono essere sottoposti alle interdizioni canoniche qualora appartengano alla Chiesa ortodossa.
Per ogni specifica tipologia massmediale (stampa, radio e supporti elettronici, computer), la Chiesa – sia attraverso istituzioni ufficiali, sia per mezzo di iniziative private di sacerdoti e di laici – dispone di propri mezzi di comunicazione, che godono del beneplacito delle autorità ecclesiastiche. Nello stesso tempo, la Chiesa, attraverso le sue istituzioni e le persone incaricate, interagisce con i mass media laici. Questa interazione si attua sia mediante la creazione di particolari forme di presenza ecclesiale nei mass media laici (supplementi speciali a quotidiani e riviste, pagine speciali, serie televisive e radiofoniche, rubriche), sia mediante una partecipazione dall'esterno (singoli articoli, interventi radiofonici e televisivi, interviste, partecipazione a diverse forme di dibattiti pubblici e discussioni). La Chiesa può anche offrire consulenza ai giornalisti, diramare informazioni, relazioni o rapporti appositamente preparati per loro, predisporre materiale informativo e offrire la possibilità di ricevere materiali audio-video [filmati, registrazioni, riproduzioni]).
La cooperazione tra la Chiesa e i mass media laici presuppone una reciproca responsabilità. L'informazione passata a un giornalista per essere trasmessa al pubblico deve essere affidabile. Le opinioni dei ministri del culto o di altri rappresentanti ecclesiastici riportate attraverso i mass media devono essere conformi all’insegnamento della Chiesa ed alle sue posizioni in materia sociale. Qualora venga espressa un'opinione puramente personale, questo deve essere inequivocabilmente dichiarato sia dalla persona stessa che parla attraverso i mass media, sia dai responsabili della gestione degli organi di informazione che hanno trasmesso quell'opinione. La cooperazione tra i ministri del culto e le istituzioni ecclesiastiche da un lato, e i mass media laici dall'altro, deve aver luogo sotto la guida delle autorità ecclesiastiche – se i servizi in questione riguardano attività ecclesiali di ampia portata – e delle autorità diocesane, se la cooperazione con i mass media è a livello regionale e i temi riguardano prima di tutto la vita della diocesi. 

 

I possibili conflitti

XV.3. Nel dispiegarsi della collaborazione tra la Chiesa e i mass media laici possono sorgere complicazioni e persino gravi conflitti. I problemi possono sorgere, in particolare, a causa di un’informazione imprecisa o distorta sulla vita della Chiesa o perché tale informazione viene collocata in un contesto inappropriato o ancora perché l'opinione personale dell'autore o del reporter o di una persona citata si sovrappone e viene confusa con la posizione ufficiale della Chiesa. A volte, i rapporti tra la Chiesa e i mass media laici si compromettono anche per colpa dello stesso clero e degli stessi laici, per esempio, nei casi in cui essi rifiutino in maniera ingiustificata di dare ai giornalisti accesso all'informazione o reagiscano in maniera esagerata a una critica giusta e opportuna. Tali problemi dovrebbero essere risolti in uno spirito di pacifico dialogo con lo scopo di eliminare le incomprensioni e di continuare la collaborazione.
Nello stesso tempo possono sorgere conflitti ancora più profondi e sostanziali tra la Chiesa e i mass media laici. Questo accade qualora venga bestemmiato il nome di Dio, o vengano commessi altri atti sacrileghi, vengano date informazioni sistematicamente e deliberatamente distorte sulla vita della Chiesa e vengano calunniati la Chiesa e i suoi ministri. Qualora insorgano tali conflitti, la suprema autorità ecclesiastica (riguardo ai mass media nazionali) o il vescovo diocesano (riguardo ai mass media regionali e locali) possono, dopo un'opportuna ammonizione e dopo aver compiuto almeno un tentativo per entrare in trattative, prendere i seguenti provvedimenti: rompere i rapporti con l’organo d'informazione o con il giornalista interessato; invitare i credenti a boicottarlo; appellarsi agli organi del governo per comporre il conflitto; sottoporre a interdizione canonica le persone colpevoli di tali azioni peccaminose se sono cristiani ortodossi. Le azioni summenzionate devono essere documentate ed è opportuno che vengano rese note ai fedeli e alla società tutta 

 
Riflessioni sulla "Liturgia battesimale"

Lo scopo della pubblicazione di questo libro è stabilire nella mente del lettore l'intera procedura.

(Nikolai Gogol', "Riflessioni sulla Divina Liturgia")

1.  Un rito "insolito"

Nelle librerie ortodosse e nelle riviste online si è diffusa una pubblicazione ufficiale della chiesa: il cosiddetto "rito della liturgia battesimale" edito dall'Istituto Teologico Ortodosso San Tikhon nel 2002 con la benedizione del Patriarca Alessio II. Tuttavia, sua Santità il patriarca non ha mai celebrato questo rito, ed è poco probabile che si sia familiarizzato attentamente con esso.

Il "rito" è realizzato in slavonico ecclesiastico e, come suggerisce il nome, mette insieme due ordini – quello del Battesimo e quello della Divina Liturgia. La maggior parte del testo è di grandi dimensioni, e comprende diverse pagine ricopiate dall'Eucologio e dallo Ieratico. Tuttavia, questo non esclude dal "rito" una grande quantità di assurdità e contraddizioni.

La pubblicazione del nuovo rito è accompagnata da "riferimenti storici". In essi, scrivono gli autori, "la celebrazione della liturgia battesimale oggi a molti può sembrare in qualche modo insolita" (p. 109).

Infatti, né oggi, né nel millennio dopo il battesimo della Rus' era stata ancora compiuta una simile funzione nella Chiesa russa. Inoltre, nulla di analogo al rito proposto è mai stato composto dai santi maestri liturgisti della Chiesa universale: né da san Basilio il Grande, né da san Giovanni Crisostomo, né da san Gregorio il Dialogo.  

Nella scienza teologica, non esiste nemmeno una cosa come la "liturgia battesimale". Non è mai stata insegnata in alcun seminario teologico (forse è insegnata all'Istituto Teologico Ortodosso San Tikhon, dove è stato inventato questo rito). Questo termine è un'invenzione del XX secolo, un neologismo assurdo.

Il rito modernista in questione non sembra solo "insolito", ma completamente ignorante e analfabeta in termini di tradizione liturgica ortodossa.

Nonostante ciò, questo "rito" è già compiuto in pratica da singoli vescovi e sacerdoti (in particolare nella chiesa battesimale domestica della parrocchia di San Nicola in Kuznetsy a Mosca). Sembra che questo testo non sia mai stato sottoposto ad alcuna seria discussione critica. Può essere così perché  questo rito liturgico di nuova creazione è visto da molti come "normale", "ortodosso", "tradizionale" (oltre che, se si crede agli autori, "benedetto"!).

Purtroppo, una più approfondita conoscenza di questo "rito" dimostra che non è affatto così.

2.  Mancanza di analogie con la "liturgia battesimale" nelle sacre Scritture

Il Vangelo mostra che i sacramenti del Battesimo e dell'Eucaristia sono stati istituiti dal Signore Gesù Cristo. Allo stesso tempo, in nessun luogo del Nuovo Testamento si dice esplicitamente di ospitare assieme questi riti divini. Forse è per questo che gli autori del "rito della liturgia battesimale" in esame non cercano di dimostrare la sua legittimità con riferimenti alle sacre Scritture.

Questo non è sorprendente, dal momento che anche per il luogo in cui compiere questi sacramenti vi sono esigenze diverse. Infatti, per l'attuazione del battesimo era necessario il Giordano – un luogo dove c'era molta acqua (Gv 3,23). Per la Cena Mistica i discepoli di Cristo dovevano trovare una grande sala ammobiliata e preparata (Mc 14,15).

Questo fondamento evangelico fu previsto come prototipo nelle storie di fondazione di tutte le Chiese locali. Per il battesimo dei kievani era adatto il Dnepr, e per la comunione del popolo della Rus' appena illuminato si rese necessaria la costruzione della chiesa di Santa Sophia.

Indubbiamente, gli apostoli battezzavano e tenevano la comunione. Ma nel libro degli Atti non si parla mai della realizzazione di questi grandi misteri nello stesso tempo. Così, il carceriere di Filippi fu battezzato da Paolo e Sila, ma non ricevette la comunione subito dopo: e subito fu battezzato lui con tutti i suoi; poi li fece salire in casa, apparecchiò la tavola e fu pieno di gioia insieme a tutti i suoi per avere creduto in Dio (At 16,33-34). Vediamo che il pasto (molto probabilmente quello eucaristico!) ebbe luogo in seguito, perché dal luogo del suo battesimo, il proprietario portò gli apostoli nella propria casa, cosa che richiese un certo tempo.

Certamente non fu un battesimo liturgico quello dell'eunuco etiope da parte dell'apostolo Filippo: e discesero tutti e due nell'acqua, Filippo e l'eunuco, ed egli lo battezzò. Quando furono usciti dall'acqua, lo Spirito Santo scese sull'eunuco; un angelo del Signore rapì Filippo e l'eunuco non lo vide più e proseguì pieno di gioia il suo cammino (At 8,38-39). L'angelo di Dio non permise un proseguimento eucaristico del mistero del battesimo.

Di esempi simili se ne possono trovare molti negli Atti degli Apostoli. Invece non troviamo Prefigurazioni della "liturgia battesimale" nelle sacre Scritture.

3.  Mancanza di analogie con la "liturgia battesimale" nella storia

Gli autori del nuovo rito scrivono sul battesimo: "L'unione di questo sacramento con la Liturgia era normale, una pratica ordinaria nei tempi antichi" (p. 109). "A conferma" di questo pensiero parlano di alcune prove da antiche fonti ecclesiastiche.

Tuttavia, questa argomentazione si basa su una menzogna. Parlando l'esistenza di un antico singolo rito battesimale-liturgico, gli autori stessi di ingannano e inducono in errore il lettore. Tutte le prove citate non dicono che il battesimo nei tempi antichi si svolgeva all'interno della Divina Liturgia o nel tempo della funzione eucaristica – ma piuttosto che dopo il battesimo i nuovi membri per la prima volta partecipavano al mistero del corpo e del sangue di Cristo.

1) "Didache": "Le preghiere al tempo della mensa eucaristica sono poste immediatamente dopo la descrizione del compimento del battesimo "(p. 110).

Quindi, in primo luogo si descrive il battesimo, e "dopo" l'eucaristia.

2) Santo martire Giustino il filosofo: "Una volta lavati (cioè una volta ricevuti il santo battesimo) e quindi creduto e dato il nostro consenso, noi siamo considerati e chiamati fratelli da tutta la comunità... In seguito i fratelli portati dal celebrante partecipano del pane e del calice di acqua e vino "(p. 110).

È evidente che il battesimo non si compie nel corso di una "liturgia battesimale", ma il raduno eucaristico si organizza "dopo", "in seguito".

3) La "Tradizione apostolica", in cui la descrizione del rito del battesimo si conclude con la frase: "Quelli che compiono tutto questo (il rito battesimale), non dovrebbero pregare assieme ai fedeli. Dopo la preghiera, si può dare loro il bacio della pace. E allo stesso tempo (cioè dopo il completamento del rito battesimale) i diaconi possono portare l'offerta al vescovo, ed egli può compiere l'eucaristia "(p. 110).

Anche qui di parla chiaramente dell'inizio della funzione liturgica dopo il completamento della preghiera battesimale. 

Quello che colpisce è che letteralmente tutti gli esempi storici citati dagli autori non confermano, ma piuttosto confutano la loro tesi. Vediamo che la "Didache" e san Giustino il filosofo, e la "Tradizione Apostolica" descrivono lo svolgimento sequenziale e separato di due sacramenti, mentre nel rito della "Liturgia battesimale", gli autori li fondono insieme. Questa fusione era ignota alla Chiesa antica, e di questo parlano le prove dei primi scrittori cristiani.

Indubbiamente, molti riferimenti storici alla celebrazione dei sacramenti nella Chiesa antica parlano del rapporto tra il battesimo e la conseguente partecipazione alla prima Divina Liturgia, come è descritto nel "Corpus Areopagiticum": "In conclusione (alla fine) di tutto il rito il vescovo esorta i battezzati a partecipare alla santa eucaristia" (p. 110).

Ma gli autori della "Liturgia battesimale" non hanno potuto nominare un solo (!) esempio storico di officiature che riuniscono assieme i due grandi sacramenti. Tutte le loro citazioni dagli Eucologi confermano un'idea completamente diversa – che dopo il battesimo e la cresima i cristiani appena illuminati dovrebbero partecipare alla Divina Liturgia.  

Così, nel Grande Trebnik si trova la seguente nota: "il Santo Battesimo deve avvenire prima della Divina Liturgia, e i bambini ricevano la comunione alla Liturgia" (p. 111).

Quale logica contorta deve guidarci, per farci commentare così questa frase: "In altre parole, il compimento della Liturgia battesimale ora compie direttamente le prescrizioni dei libri liturgici esistenti!" (p. 112).

In realtà, questa conclusione degli autori contraddice direttamente le istruzioni del Grande Trebnik (Eucologio). Il Trebnik prescrive al sacerdote di compiere prima in grado di rendere il mistero del battesimo, e dopo, nell'ordine, la Divina Liturgia.

Dalla rassegna storica degli autori si deduce chiaramente la seguente conclusione: di analoghi e prototipi della "Liturgia battesimale", come sviluppata all'Istituto Teologico Ortodosso San Tikhon, la Chiesa Ortodossa nell'antichità non ne conosceva.

4. È mai esistito un rito bizantino della "Liturgia battesimale"?

Gli autori del "rito della Liturgia battesimale" hanno estratto un brano da un Tipico del IX-X secolo. dalla chiesa di Santa Sofia (la Grande chiesa) di Costantinopoli, Dall'analisi del testo, essi concludono che "il Sabato Santo si compiono il battesimo e la cresima assieme con la Liturgia" (p. 113).

Tuttavia, questa conclusione non consegue dalla fonte estratta.

Detti misteri non erano "collegati con la Liturgia" in un solo rito, ma erano prudentemente tenuti separatamente, piuttosto in parallelo o in sincrono. Così, la tradizione bizantina ortodossa conosceva una "Liturgia battesimale", non nel senso che il battesimo si compiva nella Liturgia come parte integrante della funzione – ma nel solo senso che il Sabato Santo alla lettura dell'Epistola e del Vangelo i cristiani neobattezzati facevano il loro ingresso alla Liturgia, dove ricevevano per la prima volta la santa comunione.

Il rito procedeva come segue.

La Divina Liturgia del Sabato Santo (come previsto e applicato nel Tipico) iniziava con il rito del Vespro e continuava fino al "Signore, a te ho gridato". Successivamente, si compiva un solenne "ingresso del patriarca nel tempio, seguito dal Vangelo e dai sacerdoti, e da un grande incensiere e tre candele" (p. 114).

Quindi il servizio liturgico si svolgeva come di consueto – e in assenza dei battezzati. Iniziato senza il patriarca, continuava dopo che questi aveva lasciato temporaneamente l'incontro di preghiera.

Di fatto, il patriarca ascoltava solo la prima lettura dalla Genesi: "E poi il Patriarca scendeva dal trono alto e andava al grande battistero, e cambiava il suo sticario con uno di colore bianco, ed entrava nella stanza dove si trovava il fonte battesimale... e compiva il rito dell'illuminazione del battesimo. In questo tempo nella chiesa si leggevano le altre letture" (p. 114).

Si afferma inequivocabilmente che il battesimo si compiva non nell'assemblea liturgica, ma in una stanza completamente diversa – nel battistero. In questo senso, la liturgia del Sabato Santo non era in alcun modo "battesimale". Proprio durante il suo svolgimento, il Patriarca celebrava (altrove!) il rito del battesimo. E il battesimo stesso non era "liturgico", ma l'ordinario battesimo ortodosso (come quelli menzionati nel nostro Trebnik). Al termine di quest'ordine, i nuovi illuminati insieme al patriarca si riunivano all'assemblea liturgica.

L'apparizione nel tempio del patriarca con i cristiani appena illuminati era certamente notevole, "Quando il patriarca con  nuovi illuminati entrava dalle porte esterne, il secondo dei ceroferari esclamava: "Beati coloro le cui colpe sono rimesse"... Entrando per le porte del santuario, il patriarca si inginocchiava tre volte e faceva l'ingresso" (p. 115). Il salmo 31 si recitava per intero, mentre il patriarca entrava all'altare accompagnato da dodici vescovi.

Ma questa solenne apparizione del patriarca presso l'altare era l'unico inserto "battesimale" nel rito della liturgia del Sabato Santo. Il Tipico della chiesa di santa Sofia a Costantinopoli non menziona alcuna partecipazione speciale da parte dei neo battezzati. Né il Battesimo o né Cresima, né un particolare "ingresso nella chiesa" avevano luogo nel corso della Liturgia.

Quindi, non è mai esistito alcun rito bizantino della "Liturgia battesimale".

5.  Il rito modernista della Chiesa ellenica

Gli autori del "rito della Liturgia battesimale" hanno potuto enumerare un solo rito a questo analogo, che hanno preso come modello – un rito modernista contemporaneo, composto nel XX secolo nella Chiesa ortodossa greca.

Una motivazione caratteristica ha giustificato questo rito rinnovazionista: "A causa della necessità di ripensare il mistero del battesimo a livello comunitario di chiesa, è stata rianimata la pratica dello svolgimento dell'antico rito della liturgia battesimale" (p. 117).

Ricordiamo che stiamo parlando della "rinascita di un antico rito", che non è mai esistito (tranne che nella fantasia dei riformatori ecclesiali).

Siamo convinti che il desiderio di "ripensare" il senso di un mistero ecclesiale contenga in sé un pericolo spirituale. Notiamo inoltre che per i rinnovazionisti "ripensare" significa sempre avviare una "pratica" di nuove riforme liturgiche.

Molte caratteristiche fondamentali dei riti modernisti parlano da sole.

1. "Il santo Battesimo si può eseguire canonicamente durante la Divina Liturgia al posto e invece delle antifone" (p. 117).

A nostro parere, compiere un rito a richiesta "al posto" o "invece" delle antifone liturgiche si può fare solo anticanonicamente, ovvero in violazione dei canoni e del giuramento sacerdotale. Infatti, ogni sacerdote prima dell'ordinazione offre l'impegno, giurando davanti al trono di Dio, "di compiere i servizi divini e i misteri con zelo e devozione secondo il rituale della Chiesa, senza cambiare arbitrariamente nulla". [4]

2. "Poiché a compiere nello stesso momento entrambi questi misteri il rito è notevolmente allungato,... la Divina Liturgia deve essere effettuata secondo le regole, senza canti lunghi ..." (pp 117-118).

Vediamo che i modernisti greci hanno deciso di riunire i riti del Battesimo e della Divina Liturgia, ma si sono trovati di fronte al fatto che il rito che ne consegue "è notevolmente allungato". Questa è la loro grande preoccupazione. Tuttavia, se non avessero riunito cose estranee, non avrebbero dovuto lamentarsi dell'estensione della funzione. Parlare di servizio "secondo le regole" in questo rito modernista lo possono fare solo persone che da tempo hanno abbandonato il servizio secondo il Tipico.

3. "Poco prima della fine del Mattutino, come di consueto, il sacerdote indossa tutti i paramenti (di colore bianco) e compie la Proscomidia. Al tropario del congedo del Mattutino il sacerdote entra con il Vangelo e l'incenso nel Battesimo preparato in precedenza... L'esclamazione "Benedetto il regno" si pronuncia al battistero, con il Vangelo" (p. 118).

Notiamo che nell'uso greco l'uscita al battistero si compie "con l'incenso", che su questo punto è coerente con le istruzioni dell'Eucologio di fare un'incensazione prima dell'inizio del battesimo. Nel rito analogo compilato all'Istituto Teologico Ortodosso San Tikhon, si ricorda solo l'ingresso del Vangelo e della Croce (p. 25).

In tutti gli altri aspetti, vediamo come gli autori del rito greco si siano ritirati dalla prassi liturgica del Tipico: hanno tolto la lettura delle Ore prima della Liturgia, hanno significativamente ridotto il Mattutino, hanno proposto di compiere la Proscomidia "prima della fine del Mattutino", ecc. Per i rinnovazionisti tali distorsioni si producono "come al solito".

Propongono di iniziare la celebrazione della Liturgia davanti al "battistero" ...  (Va già bene che non sia davanti a una piscina ordinaria.)

4 "Dopo la preghiera all'ambone si compiono le preghiere della tonsura e le tonsure, le preghiere delle abluzioni e le abluzioni; esse possono essere lette dopo la funzione o in un giorno successivo, in modo da non allungare il rito, soprattutto è domenica o una festa" (p. 119).

Qui si dice di compiere riti sacerdotali, che si dovrebbe svolgere durante la Divina Liturgia... Ma li si può fare anche "dopo" la funzione... O magari "un altro giorno"... Non facciamo commenti.

A nostro parere, il rito in questione non è degno di valutazioni di lode e di imitazione, ma di aspra critica.

Gli autori del "rito della Liturgia battesimale" dell'Istituto Teologico Ortodosso San Tikhon hanno portato in modo incantato e sconsiderato queste "perle" di creatività liturgica modernista e le hanno coronate con la seguente conclusione: "il rito greco sopra citato collega con garbo l'antica tradizione bizantina e la moderna tradizione liturgica greca, e, quindi, tenendo conto delle differenze tra la pratica greca e russa, può servire come paradigma per il moderno rito russo della Liturgia battesimale "(p. 119).

Come abbiamo visto, la summenzionata "antica tradizione bizantina" è una finzione, e la "moderna tradizione liturgica greca" è un esempio di creatività del rinnovazionismo decadente. Questo è un modello indegno da imitare. Libera, o Dio, la nostra Chiesa da un simile "paradigma" e aiutaci a mantenere la tradizione della pietà dei santi Padri!

6.  Ipertrofizzazione del piccolo ingresso

Gli autori del nuovo rito liturgico nella sezione "guida agli ordinamenti" hanno scritto: "Dal rito proposto di Liturgia battesimale sono assenti le antifone (insieme con tropari e contaci al piccolo ingresso), il cui posto è tradizionalmente occupato dal Battesimo e della Cresima (si veda l'ordine della Liturgia nei giorni in cui è unita al Vespro) "(p. 119).

L'idea dell'inserimento "tradizionale" del Battesimo e della Cresima nella Liturgia è così incomprensibile e assurda che la lasciamo senza commenti.

È vero che nel rito in questione mancano i tropari e le antifone liturgiche – così come l'inno "Figlio Unigenito" e le piccole ectenie.

Di fatto, la "Liturgia battesimale" inizia con il piccolo ingresso. Tutto ciò che si trova nella Divina Liturgia, prima dell'ingresso con il Vangelo, vi è omesso.

Infatti, dopo l'esclamazione iniziale della Liturgia (nel santuario davanti alla tavola dell'altare), "Benedetto il regno..." ancor prima dell'ectenia di pace inizia l'ingresso con il Vangelo: "E subito il sacerdote, preso il santo Vangelo, lo porge al diacono e prende la Croce e il recipiente con il santo miro e si incamminano dalla parte destra della santa mensa, ed escono dalla porta settentrionale, preceduti dalle lampade, andando davanti al fonte battesimale" (p. 25-26).

Proprio in questo modo (tranne per la croce e il miro) è sempre compiuto il piccolo ingresso alla Liturgia.

Tuttavia, rimane da porre una domanda.

Se dall'altare (attraverso le porte regali aperte!) il clero esce con la Croce e il Vangelo, per procedere al rito di consacrazione delle acque all'Epifania – qui si dovrebbe uscire dalla porta laterale diaconale, o si dovrebbe fare una processione solenne dalle porte sante?

Siamo convinti che si debba procedere dalle porte sante, non da quelle laterali. Per analogia si dovrebbe scegliere la chiara prescrizione del Tipico di uscire dall'altare per la consacrazione delle acque alla Divina Liturgia alla vigilia dell'Epifania: "E dopo la preghiera all'ambone procediamo al sacro battistero nel nartece, o al fonte battesimale attraverso le porte regali"(6 gennaio) [3].

In generale, non abbiamo mai visto che alla grande o piccola benedizione delle acque il clero non uscisse dalle porte sante. Senza dubbio, la processione dalle porte laterali riduce la solennità del rito battesimale.

Perché gli estensori del "rito della Liturgia battesimale" hanno deciso di allontanarsi dalla legittima e comune abitudine ortodossa? Ovviamente per cercare di "adattare" il rito del battesimo alla struttura della Divina Liturgia, che viene ad assumere una somiglianza con un piccolo ingresso ipertrofico.

Ma questa idea era insostenibile. Ne hanno sofferto sia il rito battesimale sia il seguente rito liturgico. Quello battesimale – con un'uscita attraverso le porte laterali. Quello liturgico – con l'abolizione delle antifone, beatitudini, tropari, ecc

Di solito è proprio al piccolo ingresso che si danno tutte le onorificenze al clero – come l'elevazione al rango di arciprete, igumeno, ecc. Supponiamo che, a giudizio degli estensori del rito della "Liturgia battesimale" in questione, i catecumeni siano "elevati" al rango di cristiani. Sarebbe logico farlo esattamente al piccolo ingresso. Ma non si capisce perché per questo dovrebbe essere liquidata tutta la parte iniziale della Liturgia prima del piccolo ingresso?

7.  Come ci si può perdere al piccolo ingresso

Gli autori del "rito della Liturgia battesimale" avvertono il lettore: "Si devono notare alcune caratteristiche nell'ordine del piccolo e grande ingresso..." (p. 125).

Infatti, le "caratteristiche", o meglio le assurdità nel nuovo rito non sono poche.

Nel normale rito liturgico il piccolo ingresso è preceduto da una preghiera: "Sovrano Signore, nostro Dio", e dopo i tropari segue il "Trisagio" o "Quanti in Cristo siete stati battezzati" prima dei quali si recita la preghiera sacerdotale "O Dio santo".

Alla "Liturgia battesimale" tutto avviene al contrario. Dopo il completamento della unzione con il miro si legge prima la preghiera "O Dio santo" e si canta "Quanti in Cristo siete stati battezzati" (p. 40-41). Solo dopo il completamento di questo canto si legge la preghiera di ingresso "Sovrano Signore, nostro Dio" e si compie il piccolo ingresso. Nessun tropario è previsto dopo l'ingresso. Ma, stranamente, poi si finisce di cantare "Quanti in Cristo siete stati battezzati".

A nostro parere, una tale inversione (trasformazione) nel rito della Liturgia non è giustificata. I compilatori del rito modernista ne avevano bisogno al fine di creare l'apparenza di una sua coerenza e ragionevolezza, nel momento in cui queste sono assenti. Assicurarsi di questo non è difficile, se si presume che sia iniziata una "liturgia battesimale", ma per qualche motivo un catecumeno non possa ricevere il santo battesimo in tale occasione. In questo caso, la confusione nell'ordine delle letture delle preghiere sacerdotali "Sovrano Signore, nostro Dio" e "O Dio Santo", è ovvia. Diventa evidente l'ignoranza e l'artificiosità del rito in questione.

La distorsione si verifica non solo nella struttura della successione liturgica, ma anche in una sua concettualizzazione simbolica. In ogni modo, la tripla processione circolare dei neo battezzati è diversa da quella del piccolo ingresso con il Vangelo alla Liturgia. Nella prima la gioia pasquale ha carattere di grazia salvifica che esce dalle acque del santo battistero e in forma di processione triplice (così come si è battezzati nel nome del Padre, del Figlio e del santo Spirito) con le candele (ma senza il Vangelo!) intorno al fonte battesimale, dove sono stati lavati i peccati umani. Nella seconda si trova una processione simbolica di Cristo per la predicazione del regno dei cieli, accompagnata dall'introduzione all'altare del Vangelo attraverso le porte regali.

Il piccolo ingresso liturgico ha il suo significato simbolico anche in assenza dei battezzati. Questo è prima di tutto l'ingresso del primo celebrante (a immagine di Cristo) attraverso le porte sante dell'altare accompagnato da tutta la Chiesa visibile e invisibile – il clero e gli angeli ("Fa' che con il nostro ingresso avvenga anche l'ingresso dei santi angeli"). Il piccolo ingresso non deve essere fatto attorno al fonte battesimale.

C'è una grande differenza tra il "rito" in questione e la liturgia bizantina del Sabato Santo. Presso i greci, alla Liturgia vi erano due ingressi differenti. Il primo era il solito ingresso con il Vangelo dopo il "Signore, a te ho gridato" (p. 114), e il secondo - quando il patriarca di ritorno dal battesimo rientrava nel tempio al canto del Salmo 31. Gli autori della "Liturgia battesimale" dell'Istituto Teologico Ortodosso San Tikhon hanno combinato insieme questi due elementi diversi nel significato e nel contenuto liturgico.

Secondo il nuovo rito, il battesimo si compie al piccolo ingresso. Secondo l'antico rito bizantino, l'ingresso con il Vangelo era parte della Liturgia, e per compiere il battesimo il patriarca lasciava l'assemblea liturgica. Il ritorno del patriarca insieme ai neo-battezzati (secondo ingresso) aveva luogo senza il Vangelo, senza la croce e senza il miro. Nel nuovo rito modernista, che non distingue questi due ingressi, il percorso dal battistero è accompagnato dalle seguenti raccomandazioni: "E subito il sacerdote, preso il santo Vangelo, lo porge al diacono e prende la Croce e il recipiente con il santo miro" (p. 41).

Così, il piccolo ingresso liturgico appare sovraccarico di riti estranei al suo significato e valore simbolico.

Se al piccolo ingresso si fanno tre giri intorno al fonte battesimale, questo significa solo che i sacerdoti che lo stanno facendo si sono persi.

8.  Incongruenza del grande ingresso

In modo assurdo e strano un'istruzione del "rito della Liturgia battesimale", specifica di fare anche il grande ingresso intorno al fonte battesimale: "E se è possibile, vanno intorno al battistero" (p. 56).

Per il grande ingresso esiste la solea – un luogo appositamente attrezzato per l'ingresso davanti all'iconostasi. L'eccezione è costituita dal Sabato Santo, quando l'ingresso si compie davanti alla sindone del Signore. Ma andare con un calice pieno davanti al battistero – sembra che a questo non avesse pensato nessuno prima d'ora.

In un senso spirituale equivale a correre dal Getsemani o dal Golgota al Giordano.

Gli autori del "rito", come se fossero ossessionati dalla mania di santificare il battesimo mediante il rito liturgico, cercano di renderlo ancora più "eucaristico". Ma questo è zelo non secondo conoscenza. Il battesimo è il mistero di ingresso del cristiano nella Chiesa, corrisponde nel Vangelo all'arrivo del Salvatore al Giordano. L'eucaristia corrisponde a una storia molto diversa del Vangelo – la Cena Mistica, preparata per i riti divini del corpo e del sangue di Cristo per la sua seguente passione salvifica. Compiere il grande ingresso liturgico attraverso il fonte battesimale significa sconvolgere tutte le pagine del Vangelo e disturbare il rito snello e solenne della Divina Liturgia.

Passare al grande ingresso con il calice eucaristico intorno al fonte battesimale, in ogni caso, è una cosa che non si dovrebbe fare.

Presenta un dubbio l'esclamazione proposta nel "rito" al grande ingresso: "dei sacratissimi metropoliti, arcivescovi e vescovi, di tutto l'ordine rango sacerdotale e monastico, del clero della Chiesa, dei fratelli di questo santo tempio, dei servi di Dio appena illuminati (nomi) e dei loro padrini (nomi), e di tutti voi, cristiani ortodossi, si ricordi il Signore Dio... "(p. 56).

Fisicamente è difficile per un sacerdote che regge un calice pieno di vino, nominare tutti i nuovi battezzati che hanno terminato un ciclo di catechesi cristiana – il cui gruppo può essere composto da decine o addirittura da centinaia. Ancor più difficile è nominare tutti i loro padrini. Quando si battezzano una o due persone non è ovviamente difficile, ma bisogna pronunciare una proclamazione solenne e senza errori, e questo di fronte a una grande quantità di preghiere non è alla portata di ogni prete (e nemmeno di ogni vescovo).

Tuttavia, la questione non è solo la difficoltà di questo requisito, ma soprattutto – quanto sia opportuno spiritualmente. Perché è necessario? Chi e quando ha nominato al grande ingresso tutti i nuovi battezzati per nome, e anche con l'aggiunta dei loro padrini di battesimo? Questo onore nella Chiesa è riservato solo ai vescovi, non ai neofiti.

9.  Confusione con le abluzioni e l'ingresso nella chiesa

Abbastanza sconcertante è l'istruzione nel nuovo rito della "liturgia battesimale", per ciò che dovrebbe avvenire dopo il congedo, cioè, durante la lettura delle preghiere di ringraziamento: "In questo momento i sacerdoti possono compiere le abluzioni del santo miro"(p. 91).

Così le abluzioni del miro si dovrebbero fare dopo il congedo. Tuttavia, i sacerdoti non sono tenuti a compiere le abluzioni, ma "possono" soltanto. Di conseguenza, "i sacerdoti possono non compiere le abluzioni del miro?" Oppure queste possono essere effettuate in un altro momento? Perché non all'ottavo giorno? La perplessità rimane irrisolta (come nel rito modernista greco – p. 119).

Ancor più sconcertante nel "rito della Liturgia battesimale" è l'atteggiamento irriverente verso il rito di ingresso nella chiesa. Gli autori evidentemente non si sono stancati a considerare tale questione.

Se il sacerdote non serve da solo, ma "sono in molti", allora si invita a compiere l'ingresso in chiesa durante l'ectenia di supplica dopo il grande ingresso: "E subito uno dei sacerdoti (se sono molti) esce dalle porte meridionali e compie l'ingresso in chiesa dei neo-illuminati (vedi l'appendice)" (p. 59).

Qui abbiamo assurdità su assurdità. Può un rito ecclesiale dipendere dal numero dei sacerdoti che servono? È consentito effettuare durante la Liturgia un gesto sacerdotale associato con l'ingresso dei piccoli all'altare? Bisogna continuare il rito dell'ingresso nella chiesa oppure interrompere l'ectenia di supplica prima della sua fine, oppure cominciare a cantare il Credo, nonostante l'interferenza?

È delizioso soprattutto il riferimento bibliografico "vedi l'appendice". Stiamo parlando di un testo in lingua russa, che secondo la "Tabella dei contenuti che si trovano in questo libro" (p. 3), si estende da pagina 107 a pagina 121 nella pubblicazione in esame!

In questa "Appendice", in particolare, si afferma: "...il rito dell'ingresso in chiesa non dovrebbe seguire alla comunione ai santi misteri, che porta agli esseri umani la pienezza della comunione con Dio e non richiede supplementi, ma deve precederla. Quindi ci possono essere due opzioni: se alla Liturgia battesimale serve un solo sacerdote, egli può fare l'ingresso dei neo-battezzati dopo aver fatto egli stesso la comunione, ma prima della comunione dei laici (mentre le porte sante sono chiuse); se diversi sacerdoti servono la Liturgia, uno di loro fa l'ingresso nella chiesa subito dopo il Grande Ingresso mentre le porte sante sono chiuse" (p. 120-121).

Gli estensori del nuovo rito della "Liturgia battesimale" non si sono preoccupati di trovare un posto nel rito dell'ingresso in chiesa nel loro capolavoro liturgico. Il "rito" fa riferimento all’"Appendice" (Vedi!). L’"Appendice" dice che il rito dell'ingresso in chiesa "deve precedere" la comunione.

Se fossero esistiti in tempi antichi riti analoghi alla "Liturgia battesimale", anche la soluzione a questo problema "irrisolvibile" dovrebbe essere conosciuta. Nel "rito" in questione il rito dell'ingresso in chiesa non si adatta armoniosamente, vi appare come un corpo estraneo (non avendo nemmeno un suo posto fisso!). Ovviamente, il rito dell'ingresso in chiesa dovrebbe essere tenuto tra il battesimo e l'inizio di una Divina Liturgia (solo, ovviamente, non una "battesimale").

La proposta al sacerdote di condurre il rito dell'ingresso in chiesa "dopo la sua comunione, ma prima della comunione dei laici" può essere considerata come un nonsenso liturgico.

10.  La "liturgia battesimale" e il ciclo giornaliero delle funzioni

Nel compilare la Liturgia battesimale gli autori del "rito" hanno commesso un serio errore liturgico. Questo errore è che nell'invenzione di un nuovo rito liturgico è stata ignorata la questione della distribuzione del ciclo giornaliero dei servizi divini.

Come è noto, il ciclo giornaliero dei servizi divini è definito per ogni giorno dall'ordine della sequenza delle funzioni (in senso stretto, diseguali nei diversi giorni dell'anno ecclesiastico).

Nella pratica comune, spesso si omettono "per debolezza" alcuni servizi del ciclo giornaliero – l'officio di Mezzanotte, la Compieta, le Ore, a volte anche il Vespro e il Mattutino. Ma con questa riduzione delle funzioni un conoscitore competente può specificare quali elementi del ciclo giornaliero sono stati saltati (o sono letti "nelle celle").

Oltre alle funzioni del ciclo giornaliero si tengono altre funzioni, denominati treby (servizi su richiesta). Secondo l'arciprete Gennadij Nefedov, "alla devozione privata è assegnata tutta una serie di funzioni, a seconda delle esigenze personali di ogni cristiano ..." [2, p. 5].

La differenza principale tra i servizi su richiesta e le funzioni regolari è la seguente. I treby sono serviti in aggiunta al ciclo giornaliero delle funzioni e a seconda dei desideri possono essere accorciati o allungati liberamente o omesse senza compromettere il loro ordine. Le funzioni del ciclo giornaliero, al contrario, sono strettamente regolati dal Tipico con la sequenza dei servizi del ciclo giornaliero che non permette distorsioni o difetti.

La Liturgia è uno degli elementi del ciclo giornaliero delle funzioni, il battesimo invece fa parte dei servizi su richiesta.

In vari periodi dell'anno nel ciclo giornaliero delle funzioni la Liturgia può essere omessa o può essere eseguita in collegamento sia ai Salmi Tipici (Obednitsa) o al Vespro. In questo caso, sia i Salmi tipici sia il Vespro sono elementi irrinunciabili di un ciclo giornaliero delle funzioni.

Il Tipico fornisce le seguenti relazioni tra i Salmi Tipici, il Vespro e la Liturgia.

a) I Salmi Tipici e il Vespro in assenza della Liturgia

Ci sono giorni dell'anno eccelsiastico, in cui la sequenza dei servizi non prevede la Liturgia. Questi sono il Venerdì Santo e altri giorni della settimana prescritti dal Tipico nella Grande Quaresima, il mercoledì e il venerdì della Settimana dei Latticini, nonché ("se lo preferisce e lo vuole il rettore") nei giorni feriali dei digiuni minori, quando le funzioni sono condotta secondo l'ordine dell’"Alleluia".

In questi giorni i Salmi Tipici si servono dopo l'Ora nona, e a suo tempo (appena dopo o separatamente) il Vespro.

Condurre una "Liturgia battesimale" in quei giorni non rompe la struttura del ciclo giornaliero – e i Salmi Tipici e il Vespro si servirebbo come al solito. Ma c’è un problema – il Tipico vieta in questi giorni si servire la Liturgia (anche quella "battesimale").

b) Liturgia unita con i Salmi Tipici

Così, la Divina Liturgia si svolge nella maggior parte dei giorni dell'anno ecclesiastico – tranne le vigilie di  Natale e dell'Epifania e i giorni feriali della Grande Quaresima. La Liturgia può essere effettuata in conformità con il Tipico, secondo l'ordine di san Giovanni Crisostomo o di san Basilio il Grande.

Una caratteristica del ciclo giornaliero in questi giorni è la mancanza di una funzione separata dei Salmi Tipici (Obednitsa), e la celebrazione dei Salmi Tipici in con rito della Liturgia (dopo l'Ora Sesta). Infatti, praticamente tutti gli elementi costitutivi dei Salmi Tipici (secondo il Libro delle Ore) fanno parte del rito della Liturgia in questi giorni.

Il Vespro si officia quindi separatamente (dopo l'Ora Nona).

Il servizio della "Liturgia battesimale", in cui invece delle antifone dei Salmi Tipici si compie il rito del battesimo, abolisce dal ciclo giornaliero un suo elemento immancabile – l'Obednitsa. Il Tipico non prevede di Condurre un rito separato dell'Obednitsa (per esempio dopo le Ore Sesta o Nona) se si è servita la Liturgia.

Così, se il nuovo rito è eseguito nei giorni in cui la Liturgia deve essere collegata ai Salmi Tipici, sorge un irreparabile danno liturgico: l'eliminazione dal ciclo quotidiano di un suo elemento irrevocabile – i Salmi Tipici.

c) Liturgia unita con il Vespro

Così si svolge il culto alla vigilia di Natale e dell'Epifania (se queste non cadono il sabato e la domenica) e in tutti i giorni settimanali della Quaresima, in cui, secondo il Tipico, il Vespro è collegato alla Liturgia.

Nella Grande Quaresima questo accade alla Liturgia dei Presantificati; alla festa dell'Annunciazione con la Liturgia di san Giovanni Crisostomo; al Giovedi Santo e al Sabato Santo (come in entrambe le vigilie di Natale ed Epifania) con la Liturgia di san Basilio il Grande.

In questi giorni i Salmi Tipici sono serviti subito dopo la nona ora, cioè prima della Liturgia.

Se assumiamo che la funzione della "Liturgia battesimale" si compia uno di questi giorni, sembrerebbe che il sacramento del battesimo venga eseguito al posto del Vespro – una delle funzioni fondamentali e irrevocabili del ciclo giornaliero.

In questi giorni l'ordine delle funzioni non consente di celebrare il Vespro separato dalla Liturgia.

Oltre ai tre casi citati, il Tipico non fornisce altre possibilità per celebrare la Divina Liturgia nel ciclo giornaliero delle funzioni.

Abbiamo visto che "la liturgia battesimale" non rientra in nessuna di esse. Di conseguenza, il rito modernista di nuova creazione non può essere compiuto in uno qualsiasi dei giorni di festa della chiesa, senza che sia falsato il ciclo giornaliero delle funzioni di quel giorno.

La ragione di questo sta nel fatto che "la liturgia battesimale" non è un rito ortodosso organico, ma è un "centauro" rituale-liturgico. Questo "centauro", da un lato, non può essere considerato come una funzione completa, in accordo con la Liturgia tradizionale. D'altra parte, non è un normale servizio su richiesta slegato dal ciclo liturgico - non si può immaginare una "Liturgia slegata dal ciclo liturgico"!

11. Alcune altre incongruenze nel "rito della Liturgia battesimale"

- Quale Liturgia servire?

Gli autori del "rito" hanno combinato le pagine del Trebnik con il testo della Liturgia di san Giovanni Crisostomo. A quanto pare, non tengono conto del fatto che nel giorno principale per la celebrazione dei battesimi – il Sabato Santo – dovrebbe, secondo il Tipico, essere servita la Liturgia di san Basilio il Grande.

Così, è fondamentalmente impossibile utilizzare "il rito della liturgia battesimale", né al Sabato Santo né alla vigilia della Natività di Cristo, né alla vigilia dell'Epifania!

- Il versetto di ingresso al piccolo ingresso.

Il versetto di ingresso al piccolo ingresso è un elemento decorativo della Divina Liturgia. Si fa solo a Pasqua e ad alcune feste del Signore (compresi il Santo Incontro e il Lunedì di Pentecoste) ed è strettamente regolamentato dal Tipico.

Nel nuovo rito si offre senza alcun precedente il versetto di ingresso: "Beati coloro le cui colpe sono rimesse"(p. 42). A nostro parere, l'invenzione di nuovi versetti liturgici di ingresso è un'iniziativa rischiosa e spiritualmente senza fondamento. Supponiamo che la "Liturgia battesimale" si tenga in una delle festività, in cui il Tipico prevede un versetto di ingresso. Quale versetto si dovrebbe scegliere – quello legittimo o quello appena inventato?

Abbiamo già notato che nel rito bizantino della liturgia del Sabato Santo il Salmo 31, tratto da questo versetto di ingresso, accompagnava non il piccolo ingresso con il Vangelo, ma l'ingresso del Patriarca con i neo-battezzati.

- Gli alleluiatici.

È impossibile non riconoscere nel nuovo rito un'assegnazione molto originale degli alleluiatici prima della lettura del Vangelo, versi che coincidono in qualche modo con il Prochimeno del Mattutino della festa dell'Esaltazione della Croce: "Cantate al Signore un canto nuovo, poiché il Signore ha fatto meraviglie. Versetto: Tutti i confini della terra hanno veduto la salvezza del nostro Dio".

Non siamo riusciti a svelare questo enigma...

- La lettura dell'Apostolo e del Vangelo.

Il "rito" in questione non offre alcuna alternativa alle letture dell'Apostolo e del Vangelo alla "Liturgia battesimale" se non quelle dell'Eucologio (cioè la sezione 91 dalla Lettera ai Romani e la sezione 116 da Matteo).

Tuttavia, a ogni giorno dell'anno liturgico, in linea con la successione dei pilastri del Vangelo, è assegnata una certa serie di letture, che dovrebbero essere fatte per prime (tranne il sabato). Vi sono alcuni casi in cui la lettura ordinaria è trasferita a un altro giorno (di solito quello precedente) – ma la ragione di tale trasferimento è sempre una festa (spesso, la Veglia di un santo). Non conosciamo esempi in cui le letture di un servizio su richiesta revocano quelle ordinarie. La regolare pratica comune è di aggiungere alla lettura ordinaria (la prima) quella del servizio su richiesta (la seconda). Questo è ciò che accade ai servizi funebri, così come a tutte le altre letture supplementari, dove si trovano nelle funzioni un Apostolo e un Vangelo.

Ancor più inaccettabile dal punto di vista del Tipico, è cancellare o trasferire la lettura dell'Apostolo e del Vangelo di una festa. Se il rito in questione è eseguito nei giorni in cui alla Liturgia si canta "Quanti in Cristo siete stati battezzati" (per esempio, il Sabato di Lazzaro), omettere la lettura ordinaria significa perdere il significato centrale della festa. In questi giorni, la meno adatta a sostituire l'Apostolo e il Vangelo legittimo è una lettura del "Trebnik" – quella battesimale.

Il "rito della Liturgia battesimale" cerca in modo invalido di risolvere la questione della conciliazione delle due letture: "Se lo si desidera, si può aggiungere anche l'Apostolo e il Vangelo del giorno" (p. 48).

Questo condiscendente "Se lo si desidera" sembra completamente falso. Se qualcuno volesse veramente unire due letture in una festa, "l'aggiunta" dovrebbe essere quella del Trebnik a quella della festa, e non viceversa.

- "Quanti siamo fedeli".

È assurdo, se ci si pensa, trovare questa esclamazione dopo l'ectenia di supplica intensa (con aggiunta di petizioni dall'Eucologio). Il diacono dice: "Quanti siamo fedeli, ancora e ancora in pace preghiamo il Signore!" (p. 50). Ne consegue che i "fedeli" all'inizio della funzione hanno pregato in silenzio, e poi improvvisamente hanno sentito: "Voi che ora siete fedeli, pregate di nuovo il Signore!"Nella Liturgia tradizionale questa esclamazione ha un significato molto chiaro: in primo luogo, i catecumeni sono invitati a lasciare la riunione: "catecumeni, uscite!" e poi – i fedeli sono invitati a una fervente preghiera. Nel "rito della Liturgia battesimale" questo momento non è chiaramente pensato.

Gli autori scrivono: "Si omette l'ectenia per i catecumeni, in quanto tutti i catecumeni, che hanno partecipato alla liturgia battesimale, vi hanno ricevuto il battesimo» (p. 120). E se non l'hanno ricevuto tutti?

Negli ultimi anni è apparsa la pratica di eliminare la Litania dei catecumeni, cosa che sembra altamente discutibile e infondata – soprattutto se si considera di far rivivere l'istituto della catechizzazione. L'eliminazione di ectenie e preghiere suggerisce che non possa essere presente alcun catecumeno alla riunione di preghiera. Ma dov'è la garanzia che nessun catecumeno sarà presente alla Liturgia?

In ogni caso, ectenie e preghiere per i catecumeni sono stati risolutamente eliminate dal rito.

- Verso di comunione.

Gli scrittori del nuovo rito liturgico hanno deciso di inventare un nuovo verso di comunione (o kinonik), e nemmeno uno, ma due: "E i cori cantano il verso di comunione: "Beati coloro le cui colpe sono rimesse". Oppure: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui, dice il Signore" (p. 77-78).

Naturalmente, i versetti previsti dal Salterio e dal Vangelo sono molto "battesimali" e molto "liturgici". Tuttavia, la Chiesa ortodossa non li ha ancora mai utilizzati come versi di comunione. Il Tipico non fornisce questi testi.

È interessante notare che nel rito bizantino del Sabato Santo è scritto: "Verso di comunione vecchio: "Lodate...", nuovo: "È sorto il Signore che dorme e risorto ci ha salvati. Alleluia" (p. 116).

Vediamo che nel rito ortodosso che viene preso dai modernisti come "campione" non si propongono nuovi versi di comunione. Al contrario, del primo si afferma che era quello "vecchio" e del secondo si dice che è il verso di comunione del Grande Sabato e che è conservato nel Tipico.

- Congedo.

Non si capisce il motivo per commemorare al congedo (a meno che, ovviamente, non sia martedì) "l'insigne e glorioso profeta Precursore e Battista Giovanni" (p. 89). Eppure, noi non siamo battezzati con il battesimo di Giovanni per il pentimento, ma ci siamo rivestiti di Cristo ...

Conclusione

Il rito del battesimo esistente nella Chiesa è antico e sacro. Desiderare di renderlo "più liturgico" sembra rischioso, se non folle. I nostri riti dei servizi divini e dei servizi su richiesta sono così belli e perfetta, che ogni tentativo di "migliorarli" ne comporta inevitabilmente la mutilazione e la distorsione. Così è successo a noi con il rito in questione della "Liturgia battesimale".

Non c'è bisogno di grande intelligenza né di fantasia per inventare uffici e riti basati sull'Eucologio e sullo Ieratico e altri "riti" simili. Per esempio, un rito della " Liturgia dell'unzione" – combinazione del mistero dell'Olio Santo con la Liturgia (concelebrata da tutti i preti – e subito seguita dalla comunione!) Oppure, un rito della "Liturgia matrimoniale" (tutti gli sposi partecipano contemporaneamente della comunione!). Oppure, una "Liturgia funebre" (per seppellire i nuovi defunti direttamente durante la Liturgia!). Oppure (nei monasteri) – un rito della "Liturgia della tonsura" (voti monastici durante il rito eucaristico!). Oppure, un rito della "Liturgia dell'Acatisto" (combinazione dei canti di supplica dell'Acatisto con la Divina Liturgia!).

Queste idee stravaganti non sono in alcun modo meno assurde rispetto al ridicolo e inetto rito della "Liturgia battesimale"sconosciuto alla Chiesa ortodossa.

Cosa si deve fare? 

Si deve battezzare secondo l'Eucologio (Trebnik) e celebrare la Liturgia secondo lo Ieratico (Sluzhebnik). E, soprattutto, non comporre nuovi uffici e riti modernisti.

P.S. Il testo di questo articolo è stato pubblicato un anno fa e ha causato molta attenzione e interesse da parte dei lettori, in particolare, tra i catechisti parrocchiali, la cui attività è quella di preparare i catecumeni al santo battesimo. Per quanto ne sappiamo, il contenuto dell'articolo è stato discusso tra gli insegnanti di liturgia all'Università Umanitstica Ortodossa San Tikhon. Purtroppo, nessuna risposta da questa università è stata pubblicata. La pratica erronea delle cosiddette "liturgie battesimali", avviata dall'Università di San Tikhon, continua purtroppo a diffondersi in molte diocesi della Chiesa ortodossa russa.

Riferimenti

1. Rito della Liturgia battesimale, Mosca, Istituto Teologico Ortodosso San Tikhon 2002

2. Prot. Gennady Nefedov, Misteri e riti della Chiesa ortodossa, Mosca, "Palomnik" 2008

3. Tipico

4. Rivista del Patriarcato di Mosca 2011, № 5, p. 33

 
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Perché andare in chiesa ogni domenica (Parte 3)

"Non capisco quello che succede durante le funzioni religiose."

Foto: G.Balayants

Cerchiamo di parafrasare questa affermazione. Un bambino di prima elementare viene a scuola e ascolta per caso una lezione di algebra, poi si rifiuta di andare a scuola, dicendo: "Non ho capito niente". Coloro che si rifiutano di studiare la scienza divina, perché la trovano "incomprensibile" mostrano la stessa mancanza di buon senso.

Se tutto fosse facile allora l'educazione non avrebbe senso, perché si sa già tutto di cui parlano gli specialisti. Credetemi: la scienza di vivere con Dio non è meno difficile e raffinata della matematica; pertanto, siete pregati di permetterle di avere la propria terminologia e la propria lingua.

Penso che non dobbiamo buttar via le abitudini della chiesa, ma piuttosto capire che cosa è esattamente che non capiamo. Con questo dobbiamo tenere a mente che la Divina Liturgia non ci è data come lavoro missionario tra i non credenti, ma per l’edificazione dei fedeli. Grazie a Dio, se preghiamo con attenzione inizieremo a capire tutto nei servizi divini dopo circa un mese o un mese e mezzo di frequenza in chiesa. Ma potremo scoprire la vera profondità dei servizi divini solo dopo molti anni. Questo è davvero un meraviglioso mistero del Signore. Non è una predicazione protestante dove tutto è sul piano orizzontale, ma, se possiamo dire così, un’università che dura per tutta la vita in cui i libri di servizio della chiesa sono i libri di testo e il Signore è l’insegnante.

"Io credo in Dio, ma non mi fido dei preti. È per questo che non vado in chiesa".

Nessuno chiede ai fedeli di fidarsi del loro sacerdote. Noi abbiamo fiducia in Dio, mentre i sacerdoti non sono che i suoi servi e strumenti per compiere la sua volontà. Qualcuno ha detto: "la corrente elettrica viaggia anche attraverso un filo arrugginito". Così anche la grazia di Dio viene trasferita attraverso i suoi servi inutili. Come giustamente dice il santo ierarca Giovanni Crisostomo, "Noi stessi, che sediamo sulla cattedra (sede vescovile nella chiesa) e insegniamo, siamo impigliati nei peccati. Tuttavia, non disperiamo nell’amorevole benignità di Dio e non gli attribuiamo durezza di cuore. E questo è il motivo per cui Dio permette anche ai suoi preti di essere schiavi delle passioni, in modo che imparino dalla loro esperienza a essere indulgenti anche verso gli altri". Immaginate se in chiesa non servisse un prete peccatore, ma l'arcangelo Michele in persona. Dopo la sua prima conversazione con noi si infiammerebbe di giusta ira e ci ridurrebbe a un mucchietto di cenere.

Foto: V.Kornjushin

In generale, questa obiezione ad andare in chiesa è molto simile al rifiuto dell’assistenza medica perché i medici moderni vogliono solo i nostri soldi. Anche se l’interesse finanziario dei medici è ovvio, la gente non rifiuta l'assistenza medica. Ma ogni volta che si parla di una cosa molto più importante, la salute della propria anima, la gente tira fuori ogni tipo di sciocchezze, per non andare in chiesa.

Ecco cosa è successo una volta. Un monaco viveva nel deserto e un prete veniva a dargli la comunione. Un giorno venne a sapere che il prete che gli portava la comunione era un depravato. Pertanto, il monaco rifiutò di ricevere la comunione da quel prete. La stessa notte, ebbe una rivelazione: c'era un pozzo d'oro pieno di acqua cristallina e un lebbroso attingeva acqua dal pozzo con un secchio d'oro. La voce di Dio diceva: "Vedi come l'acqua rimane pura anche se è distribuita da un lebbroso. Così anche la grazia non dipende dalla persona grazie alla quale è stata data". Dopo questo evento l’eremita del deserto riprese a ricevere la comunione dal sacerdote, e smise di chiedersi se il prete era giusto o peccatore.

In tutta serietà, queste obiezioni sono del tutto prive di valore. Come si può ignorare la volontà diretta del Signore Dio, usando i peccati di un prete per giustificare se stessi? "Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare". (Romani 14:4).

"La Chiesa non è fatta dai muri, la Chiesa è fatta dal popolo", dicono alcuni, e si può altrettanto bene pregare a casa".

Foto: A.Pospelov

Quest’affermazione, anche se potrebbe avere senso, ha la sua origine tra i settari che si sono separati dalla Chiesa, nonostante la parola di Dio. È vero che Dio dimora anche nei corpi dei cristiani. Ma egli entra in quei corpi attraverso la santa Comunione che i fedeli ricevono nelle chiese. Inoltre, la preghiera in chiesa è più importante della preghiera a casa. San Giovanni Crisostomo dice: "Ti sbagli; naturalmente, si può pregare a casa, ma pregare lì come si pregherebbe in chiesa, dove ci sono tanti padri, in cui tutti i fedeli con un cuore solo elevano un canto a Dio, è impossibile. Non sarai ascoltato, quando preghi Dio a casa tua, più rapidamente che quando preghi con i tuoi fratelli. C'è qui qualcosa di più grande, l’unanimità e la concordia, una unione di amore e la preghiera dei sacerdoti. È per questo che i sacerdoti stanno davanti all'altare: in modo che le preghiere più deboli della gente, si uniscano alle preghiere più forti dei sacerdoti per ascendere insieme al cielo ... Se la preghiera della Chiesa ha aiutato anche Pietro, questo pilastro della Chiesa, e lo ha fatto uscire della prigione (Atti 12:5), dimmi come puoi permetterti di ignorare il suo potere e come puoi giustificarti? Ascolta Dio stesso che dice che si compiace delle preghiere riverenti di molte persone (cfr. Giona 3). In chiesa, non sono solo le persone che innalzano il loro grido a Dio, ma anche gli angeli e gli arcangeli si inginocchiano e pregano di fronte al maestro. Anche il tempo è dalla loro parte e il sacrificio li facilita. Proprio come quando la gente prende rami d'ulivo in mano e li agita davanti ai re, ricordando loro attraverso i rami i tema della misericordia e dell’amore per l'umanità, così anche gli angeli presentano invece dei rami d'ulivo, il corpo stesso del Signore, implorando il maestro a nome della razza umana, come per dire: "Stiamo pregando per quelli che tu stesso hai trovato degni del tuo amore, e per i quali tu hai dato la tua anima, stiamo riversando le nostre preghiere su coloro per i quali tu hai versato il tuo sangue; ti preghiamo per coloro per i quali tu hai offerto il tuo corpo in sacrificio" (san Giovanni Crisostomo, Terza omelia contro gli anomiani).

Pertanto, questa obiezione è del tutto priva di fondamento, perché, come la casa di Dio è più santa di casa nostra, anche la preghiera fatta in tempio è più elevata della nostra preghiera a casa.

"Vorrei andare in chiesa ogni settimana, ma mia moglie o marito, i genitori o i figli non me lo permettono".

Foto: Y.Kostygov

Qui dobbiamo ricordare le parole senza compromessi del nostro Signore, che la gente spesso dimentica: "Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me, e chi ama il figlio o la figlia più di me, non è degno di me" (Matteo 10,37). Dobbiamo fare questa scelta spaventosa - tra Dio e l'uomo, in ogni tempo. Sì, è difficile. Sì, può essere dolorosa. Ma se preferisci una persona, anche in qualcosa, Dio ti rifiuterà al Giorno del Giudizio. In quel momento, la persona sarà in grado di aiutarti? Il tuo amore per una persona ti giustificherà quando il Vangelo dice il contrario? Quando saremo al Giudizio, avrai intenzione di riportare alla mente, con tristezza e delusione amara, il giorno in cui hai rifiutato Dio per il bene di un amore immaginario?

Inoltre, la vita ha dimostrato che chi sceglie una persona invece del Creatore sarà tradito.

"Non ho intenzione di andare in questa chiesa perché ci sono energie negative. Non mi sento bene lì, soprattutto per l'incenso".

In effetti, ogni chiesa ortodossa è piena di una sola energia, la grazia di Dio. Tutte le chiese ortodosse sono santificate dallo Spirito Santo. Cristo è presente con il suo corpo e sangue in ogni chiesa. Gli angeli di Dio stanno all'ingresso di ogni chiesa ortodossa. Qui non è la chiesa, ma la persona che crea problemi. Ci può essere una spiegazione del tutto naturale per ciò che si sente. Nei giorni di festa, quando arrivano i "visitatori", i templi sono pieni oltre la capacità, e non c'è da meravigliarsi che qualcuno inizi a sentirsi male quando c'è pochissima aria da respirare. Ma a volte le persone si sentono male in un tempio quasi vuoto. I cristiani conoscono molto bene le ragioni spirituali di questo fenomeno.

Foto: Y.Kostygov

Le cattive azioni di cui una persona non vuole pentirsi tengono lontano la grazia di Dio. Quello che alcuni chiamano "energia negativa" non è altro che la resistenza della loro cattiva volontà alla potenza di Dio. Tuttavia, non è solo l'uomo che si allontana da Dio; neppure Dio può accettare un egoista, perché si dice: Dio resiste ai superbi (Giacomo 4:6). Troviamo esempi di questo nell'antichità. Santa Maria Egiziaca, che era una prostituta, cercò di entrare nella Chiesa della Resurrezione a Gerusalemme per venerare la Croce vivifica, ma un qualche potere invisibile la respinse alle porte della chiesa. È stato solo dopo che lei si pentì e promise di non commettere più il peccato di fornicazione, che Dio l’ha fatta entrare nella sua casa.

Anche ora sappiamo di casi in cui assassini e prostitute professionali non possono sopportare l'odore dell’incenso e svengono. Questo accade soprattutto spesso con coloro che praticano la magia, l’astrologia, sperimentano poteri paranormali e altri tipi di diavoleria. Qualche potere li blocca nei momenti più importanti dei servizi divini in modo che devono essere portati via in ambulanza. Tuttavia, vi è ancora un altro motivo.

Non solo la persona stessa non ha alcun desiderio di incontrare il Creatore, non lo desiderano neppure coloro che stanno dietro alle sue abitudini peccaminose. Quegli esseri sono gli spiriti ribelli, i demoni. Sono questi esseri a ostacolare l'accesso della persona nel tempio. Sono loro che sottraggono le forze a coloro che si trovano in chiesa. Alcune persone possono sollevare pesi in palestra per ore, ma non possono spendere dieci minuti alla presenza del Creatore. Solo Dio può aiutare coloro che sono posseduti dai demoni. Ma egli aiuta solo coloro che si sono pentiti e hanno il desiderio di vivere secondo la volontà del Signore onnipotente. La stessa terminologia di questa obiezione è presa in prestito dai praticanti di poteri psichici (la Chiesa sa che tutti servono il diavolo), che parlano di persone cariche di certe energie, come se stessero parlando di batterie e non dei figli di Dio.

Qui vediamo i sintomi di una malattia spirituale. Invece di amare il Creatore, le persone cercano di manipolarlo. Questo non è altro che un indizio di possessione demoniaca.

L'ultima obiezione, simile alla prima, si incontra più di frequente:

"Ho Dio nel mio cuore e non ho bisogno dei vostri servizi della chiesa. Se faccio buone azioni, pensi che Dio mi mandi a quel paese solo perché non vado in chiesa?"

Cosa intendi quando dici "Dio"? Se parli semplicemente della tua coscienza, naturalmente, questa voce di Dio si sente nel cuore di ogni uomo senza eccezione. Né Hitler né Charles Manson erano privi ​​di coscienza, e tutti i cattivi sanno cosa è bene e cosa è male. La voce di Dio ha cercato di impedire loro di commettere atti illegali. Ma il fatto di aver udito la voce di Dio li rende santi? Inoltre, la coscienza non è Dio, è solo la sua voce. Se senti la voce del presidente registrata o alla radio, vuol dire che è in casa tua? Nemmeno la presenza di una coscienza significa che Dio è nel tuo cuore.

Ma se ci pensiamo bene, chi è Dio? Egli è l’onnipotente, onnipresente, onnisciente, giusto, Spirito beato, Creatore dell'Universo, che non è contenuto nel cielo, né nel cielo dei cieli. Allora come può essere contenuto nella tua anima - colui il cui volto gli angeli non osano guardare?

Gesù Cristo Pantocratore (particolare dal mosaico della Deisis) dalla basilica di Santa Sofia

Chi dice che Dio è nel suo cuore pensa sinceramente che questa smisurata potenza dimori dentro di lui? Permetteteci di essere scettici, oppure mostrateci manifestazioni della sua forza e potere. Frasi come "Dio è nel mio cuore" sono più potenti di un tentativo di mantenere una esplosione nucleare all'interno di se stessi. Puoi tenere segreta l'esplosione di una bomba nucleare o di un’eruzione vulcanica? Pertanto, chiediamo al "contenitore di Dio" una prova: facciamogli fare un miracolo (per esempio, una resurrezione dai morti) o manifestare l'amore divino, offrendo la guancia sinistra a colui che lo ha colpito sulla destra. Riesce ad avere un centesimo di amore per i suoi nemici, di quello che ha avuto il Signore quando ha pregato per loro prima della sua crocifissione? Infatti, solo i santi possono dire che Dio è nel loro cuore. Pertanto, pretendiamo la santità da chi fa una simile affermazione; in caso contrario, sarà una bugia, il cui padre è diavolo.

Dicono: "Io faccio buone azioni. Come può Dio mandarmi all'inferno?" Permettimi di mettere in dubbio la tua giustizia. Che cosa dobbiamo considerare come criterio del bene e del male, secondo cui potremmo determinare se stiamo facendo il bene o il male? Se la persona stessa è il criterio (come spesso si dice: "io decido da me stesso ciò che è bene e ciò che è male"), allora i concetti di bene e male perdono ogni validità e significato. Se Beria, e Goebbels, e Pol Pot pensavano di fare le cose giuste, perché tu pensi che le loro azioni fossero riprovevoli? Se noi stessi abbiamo il diritto di determinare la misura del bene e del male, allora questo diritto non può essere negato a tutti gli assassini, pervertiti, e stupratori. Sì, seguendo la tua logica, permetti a Dio di essere in disaccordo con i tuoi criteri e di giudicare non con i tuoi, standard ma con i suoi. In caso contrario, non è giusto: noi rivendichiamo il diritto di scegliere lo standard, ma non consentiamo al Dio onnipotente e libero di fare lo stesso e a giudicare secondo le sue leggi; e secondo le sue leggi, la persona che non si pente e che non ricevere la santa Comunione punta dritto all'inferno.

Siamo onesti: che cosa valgono tutti i nostri standard del bene e del male? Il nostro corpo, anima, mente, volontà, sensi non sono creati da noi. Tutto quello che abbiamo è un dono (o neppure un dono, ma qualcosa che appartiene a qualcun altro, e ci è stato affidato in custodia), ma noi, tuttavia, abbiamo deciso che possiamo disporne con impunità, come ci pare. Facendo questo neghiamo a colui che ci ha creati il diritto di chiederci come abbiamo usato il suo dono. Non trovate questa domanda un po' insolente? Perché pensi che il Signore dell'Universo dovrebbe fare la tua volontà, corrotta dal peccato? Abbiamo trasgredito il quarto comandamento e crediamo fermamente che egli ci debba qualcosa?

Guarda, invece di dedicare le domeniche a Dio le dedichiamo al diavolo. In questo giorno, la gente spesso si ubriaca, bestemmia, commette atti osceni; se non lo fa, si intrattiene in vari modi senza Dio, a guardare programmi TV e film discutibili in cui abbondano i peccati e le passioni. È solo il Creatore che sembra essere fuori posto nel giorno a lui dedicato. Dio, che ci ha dato tutto, compreso il tempo, non ha il diritto di esigere da noi solo poche brevi ore?

Pertanto, l'inferno attende coloro che ignorano con disprezzo la volontà di Dio. E la ragione di ciò non è la crudeltà di Dio, ma il fatto che queste persone, dopo aver abbandonato l'acqua della vita, stanno cercando di scavare i pozzi delle loro vuote giustificazioni. Si sono rifiutati di ricevere il santo calice della comunione, si sono privati della Parola di Dio, e ora stanno vagando nel buio di questa epoca malvagia. Dopo aver camminato lontano dalla luce, trovano le tenebre, dopo aver camminato lontano dall’amore, ottengono l'odio, avendo abbandonato la vita, si precipitano nelle braccia della morte eterna. Come potremmo non lamentarci della loro ostinazione e desiderare il loro ritorno nella casa del nostro Padre celeste?

Quanto a noi, diremo insieme con il re Davide: Quanto a me, nella moltitudine della tue misericordie entrerò nella tua casa, ti adorerò nel tuo tempio santo nel tuo timore (Salmo 5:8). Poiché siamo passati attraverso il fuoco e l'acqua, e tu hai ci tratto fuori verso il ristoro. Andrò nella tua casa con un olocausto; a te ripagherò i voti che le mie labbra hanno pronunciato e che la mia bocca ha detto durante la mia afflizione (Salmo 65:12-14).

Parte 1

Parte 2

 
UN CONFRONTO SULLA SINDONE

L’11 novembre 2012, il nostro confratello ieromonaco Marco (Spallone) ha riportato sul suo blog L’arpa di Davide un articolo tratto dalla rivista francese La Lumière du Thabor che contiene apprezzamenti pesanti (e a nostro avviso infondati) sulla Sindone di Torino. Abbiamo preparato una risposta di confronto, che tuttavia è più lunga dell’articolo stesso, e non ci sembra giusto postarla come un semplice commento a quell’articolo. La presentiamo pertanto nella sezione “Domande e risposte” dei nostri documenti.

 
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"I fondamenti della concezione sociale" - XVI. Relazioni internazionali - I problemi della globalizzazione e del secolarismo

I rapporti tra i popoli

XVI.1. Popoli e nazioni entrano in rapporti economici, politici, militari e di altro genere fra di loro. Di conseguenza, vi sono stati che nascono o che scompaiono, che modificano i loro confini, che si uniscono o si separano, creano o sciolgono varie alleanze. Nella sacra Scrittura sono contenute numerose testimonianze storiche sulla costituzione delle relazioni internazionali.
Uno dei primi esempi di trattato inter-tribale, concluso tra il proprietario della terra, Abimelech, e uno straniero, Abramo, è presentato nel libro della Genesi: «Abimelech... disse ad Abramo: “... giurami qui per Dio che tu non ingannerai né me né i miei figli né i miei discendenti: come io ho agito amichevolmente con te, così tu agirai con me e con il paese nel quale sei forestiero”. Rispose Abramo: “Io lo giuro”... tra loro due conclusero un'alleanza» (Gen 21,22-24.27). I trattati riducevano il pericolo di guerre e di conflitti (Gen 26,26-31; Gs 9,3-27). Talvolta i negoziati e le dimostrazioni di buona volontà riuscivano ad evitare lo spargimento di sangue (1Sam 25,18-35; 2Sam 21,15-22). Le guerre si concludevano con la stipulazione di trattati (1 Re 20,26-34). La Bibbia menziona delle alleanze militari (Gen 14,13; Gdc 3,12-13; 1 Re 22,2-29; Ger 37,5-7). Talvolta l'aiuto militare veniva procurato in cambio di denaro e di altri beni materiali (2 Re 16,7-9; 1 Re 15,17-20). L'accordo tra Chiram e Salomone di fatto ebbe il carattere di un'alleanza economica: «I miei servi saranno con i tuoi servi; io ti darò come salario per i tuoi servi quanto fisserai. Tu sai bene, infatti, che fra di noi nessuno è capace di tagliare il legname come sanno fare quelli di Sidone... Fra Chiram e Salomone regnò la pace e i due conclusero un'alleanza» (1Re 5,6.12). Durante le trattative per mezzo di emissari si discutevano questioni quali la possibilità di lasciar passare uomini armati attraverso un territorio altrui (Nm 20,14-17; 21,21-22) o problemi di territorio (Gdc 11,12-28). I trattati potevano includere il passaggio di territori da un popolo ad un altro (1 Re 9,10-12; 1 Re 20,34).
Nella Bibbia sono contenute anche le descrizioni di astuzie diplomatiche, connesse con la necessità di proteggersi da un avversario potente (Gs 9,3-27; 2 Sam 15,32-37; 16,16-19; 17,1-16). A volte la pace veniva comprata (2 Re 12,18) o pagata con un tributo. Certamente, uno dei mezzi per comporre liti e conflitti era la guerra, e nei libri dell'Antico Testamento i riferimenti alle guerre abbondano. Tuttavia, nella sacra Scrittura vi sono anche esempi di negoziati, finalizzati a evitare la guerra non appena si profili il rischio che possa cominciare (2Re 14,9-10). La pratica di raggiungere accordi in epoca veterotestamentaria era fondata su principi religiosi e morali. Così, persino un trattato con gli abitanti di Gabaon, che ricorsero all’inganno per concluderlo, fu riconosciuto valido in virtù della sua formula sacra: «Noi abbiamo loro giurato per il Signore, Dio di Israele, e ora non possiamo colpirli» (Gs 9,19). La Bibbia contiene il divieto di concludere alleanze con tribù pagane viziose (Es 34,15). Tuttavia, gli israeliti di tanto in tanto non rispettarono questo comandamento. Anche vari trattati e alleanze spesso vennero infranti.
L'ideale cristiano che deve guidare il comportamento di un popolo e di un governo nel campo delle relazioni internazionali è racchiuso nella «regola aurea»: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro» (Mt 7,12). Applicando questo principio non solo nella vita individuale, ma anche nella vita sociale, i cristiani ortodossi dovrebbero ricordare che «Dio non è nella forza, ma nella giustizia». Nel contempo, se qualcuno agisce contro giustizia, spesso per ristabilire la giustizia sono necessarie azioni restrittive e persino violente verso altri stati e popoli. Si sa che, per la corruzione della natura umana prodotta dal peccato, è inevitabile che le nazioni e gli stati abbiano interessi praticamente divergenti, connessi, in particolare, con il desiderio di possedere la terra, di dominare politicamente e militarmente e di trarre il massimo profitto possibile dalla produzione e dal commercio. Sorgendo per questa ragione, il bisogno di difendere i connazionali pone certe limitazioni alla buona volontà dell'individuo di sacrificare i propri interessi per il bene di un altro popolo. Nondimeno, i cristiani ortodossi e le loro comunità sono chiamati a tendere all'instaurazione di quelle relazioni internazionali che potrebbero promuovere nel massimo grado possibile il bene e il soddisfacimento degli interessi legittimi del proprio popolo, delle nazioni confinanti e dell'intera famiglia umana.
I rapporti tra popoli e governi devono essere orientati alla pace, all'aiuto reciproco e alla cooperazione. L'apostolo Paolo esorta i cristiani: «Se possibile, per quanto questo dipende da voi, vivete in pace con tutti» (Rm 12,18). S. Filarete di Mosca, nel suo discorso in occasione della firma del trattato di pace del 1856, dice: «Ricordiamo la legge, e compiamo la volontà del divino Principe della pace – cerchiamo di non ricordare il male, di perdonare le offese, di essere in pace anche «con chi detesta la pace» (Sal 119,6), e ancor più con coloro che propongono di porre fine all'inimicizia e che tendono una mano amichevole». Pur nella consapevolezza che in questo mondo decaduto i conflitti internazionali e le contraddizioni sono inevitabili, la Chiesa chiama le potenze ad adoperarsi per comporre tutti i conflitti attraverso la ricerca di risoluzioni reciprocamente accettabili. Essa si pone dalla parte delle vittime delle aggressioni e di quanti sono oggetto di pressione politica esterna illegittima e moralmente ingiustificata. L'uso della forza militare è considerato dalla Chiesa lo strumento estremo di difesa contro un'aggressione armata da parte di altri stati. Tale difesa può anche essere messa in atto da parte di uno stato che non è oggetto diretto di un attacco, per portare aiuto ad un altro stato, oggetto di aggressione, su richiesta di quest'ultimo.
Gli stati fondano le loro relazioni con il mondo esterno sui principi della sovranità e dell'integrità territoriale. Questi principi sono considerati dalla Chiesa essenziali per la difesa dei propri interessi legittimi da parte di un popolo e rappresentano una pietra angolare dei negoziati internazionali e, quindi, dell'intero diritto internazionale. Nello stesso tempo, per la coscienza cristiana è evidente che qualsiasi ordinamento umano, compreso il potere sovrano di uno stato, è relativo di fronte a Dio onnipotente. La storia dimostra che la vita, i confini e la forma dei governi sono mutevoli, essendo fondati non solo su una base territoriale ed etnica, ma anche su principi economici, politici, militari e simili. Pur senza negare l'importanza storica dello stato monoetnico, la Chiesa ortodossa nello stesso tempo approva l'unificazione volontaria di nazioni in un unico organismo e la creazione di stati multinazionali, se in essi non vengono violati i diritti di nessun popolo. Nel contempo, non si può non riconoscere che nel mondo odierno sussiste una certa contraddizione tra i principi universalmente accettati della sovranità e dell'integrità territoriale di uno stato, da un lato, e l'aspirazione da parte di un popolo o di una parte di esso all'indipendenza nazionale, dall'altro. Dissidi e conflitti che scaturiscono da questa contraddizione andrebbero composti con mezzi pacifici, sulla base del dialogo, cercando di raggiungere l'accordo più ampio possibile tra le parti. Ricordando che l'unità è un bene e la disunione un male, la Chiesa approva le tendenze all'unificazione di paesi e nazioni, specialmente di quelli che hanno una storia e una cultura comuni, a condizione che queste unificazioni non siano volte contro una terza parte. La Chiesa si rammarica quando con la divisione di uno stato multietnico si distrugge anche l'unità storica dei suoi popoli, vengono violati i loro diritti e la vita di molti è colpita da grandi sofferenze. La divisione di uno stato multinazionale si può ritenere giustificata solo nel caso in cui uno dei popoli si trovi in una situazione di evidente oppressione o se la maggioranza dei cittadini di un paese non esprime la precisa volontà di mantenere l'unità.
La storia recente ha mostrato che la divisione di diversi stati eurasiatici ha determinato una frattura artificiale tra popoli, famiglie e comunità economiche ed ha provocato il forzato reinsediamento e l'espulsione di vari gruppi etnici, religiosi e sociali, che in questi avvenimenti hanno perso anche i loro oggetti di culto. Il tentativo di creare stati mononazionali sulle rovine di precedenti unioni è stata la ragione fondamentale dei sanguinosi conflitti inter-etnici che hanno scosso l'Europa Orientale.
Alla luce di quanto detto sopra, è necessario riconoscere l'utilità di creare unioni interstatali che abbiano lo scopo di unire gli sforzi nel campo politico ed economico, creare una difesa comune contro le minacce esterne ed aiutare le vittime di aggressioni. Alla collaborazione economica e commerciale tra gli stati devono essere applicate le stesse norme morali che in genere devono regolare l'attività economica e imprenditoriale individuale. L'interazione fra le nazioni e gli stati in questo campo deve necessariamente essere fondata sull'onestà, sulla giustizia e sul desiderio di far sì che i frutti del lavoro comune siano accettabili per tutti i suoi partecipanti (v. XVI.3). Si approva la cooperazione internazionale nel campo culturale e in quello scientifico, nell’educazione e nel settore delle comunicazioni, se essa è costruita sulla base della priorità di diritti e del rispetto reciproco, ed è diretta ad arricchire l'esperienza, la conoscenza e la creatività di ogni nazione che vi partecipa.

 

Il fenomeno della globalizzazione giuridica e politica

XVI.2.  Nel corso del XX secolo accordi interstatali multilaterali hanno portato alla creazione di un sistema giuridico internazionale ramificato, vincolante per i paesi firmatari. I governi hanno anche dato vita a organizzazioni internazionali, le cui risoluzioni sono vincolanti per gli stati membri. Gli esecutivi hanno altresì delegato ad alcune di queste organizzazioni una serie di poteri, che esse possono esercitare in campo economico, politico e militare e che si applicano non solo ai rapporti internazionali, ma anche alla vita interna delle nazioni. Il fenomeno della regionalizzazione e della globalizzazione giuridica e politica sta diventando una realtà.
Da un lato, tale sviluppo delle relazioni interstatali contribuisce a intensificare la cooperazione commerciale, industriale, militare, politica e di altro genere – necessità imposta dalla naturale intensificazione delle relazioni internazionali e dall'esigenza di fornire una risposta comune alle sfide globali del tempo presente. Nella storia dell'ortodossia vi sono esempi di influenza positiva esercitata dalla Chiesa sullo sviluppo dei rapporti interstatali su scala regionale. Le organizzazioni internazionali contribuiscono alla composizione di vertenze e conflitti. D'altra parte, non va però sottovalutato il pericolo di possibili contrasti tra la volontà di una nazione e le risoluzioni delle organizzazioni internazionali. Queste organizzazioni possono diventare strumenti di dominio ingiusto dei paesi forti sui paesi deboli, dei paesi ricchi su quelli poveri, dei paesi più sviluppati sul piano tecnologico e delle comunicazioni sugli altri. Esse inoltre possono seguire criteri di valutazione diversi nell'applicazione del diritto internazionale a vantaggio degli interessi degli stati più influenti.
Tutto questo induce la Chiesa ortodossa ad assumere un approccio critico e prudente nei confronti del processo di internazionalizzazione giuridico-politica, richiamando alla massima responsabilità coloro che detengono il potere, sia a livello nazionale che a livello internazionale. Qualsiasi decisione relativa alla conclusione di trattati internazionali determinanti per il futuro destino delle nazioni interessate e alla definizione della posizione dei paesi all'interno dell'attività delle organizzazioni internazionali, deve essere assunta solo in accordo con la volontà popolare, fondata su un'informazione completa e obiettiva riguardo alla natura e alle conseguenze delle decisioni progettate. Nell'attuazione di una politica vincolata ad accordi internazionali ed alle azioni di organizzazioni internazionali, i governi dovrebbero salvaguardare l'identità spirituale e culturale del proprio paese e della propria nazione e tutelare gli interessi legittimi del proprio stato. In seno alle organizzazioni internazionali stesse è necessario assicurare l'eguaglianza degli stati sovrani nell'accesso ai meccanismi decisionali e nel diritto al voto deliberativo, specialmente nella definizione degli standard internazionali di base. Le situazioni conflittuali e controverse dovrebbero essere risolte solo con la partecipazione e il consenso di tutte le parti, i cui interessi vitali siano coinvolti in ciascun caso concreto. L'adozione di deliberazioni obbligatorie senza il consenso dello stato sul quale tali deliberazioni hanno un'influenza diretta appare possibile solo nel caso in cui nel territorio di tale paese siano stati perpetrati un massacro o un’aggressione.
Ricordando la necessità di esercitare un'influenza spirituale e morale sulle azioni dei leader politici, di collaborare con essi, di dimostrare interesse e preoccupazione per i bisogni del popolo e dei singoli individui, la Chiesa partecipa al dialogo ed alla cooperazione con le organizzazioni internazionali. All'interno di questo processo essa testimonia invariabilmente la propria convinzione nell'importanza assoluta della fede e della spiritualità per le attività, le decisioni e le leggi degli uomini. 

 

La dimensione economica della globalizzazione

XVI.3. La globalizzazione ha una dimensione non solo politica e giuridica, ma anche economica, culturale e massmediale. In economia essa si manifesta nella nascita di società transnazionali, nelle quali si concentrano notevoli risorse materiali e finanziarie e lavora un numero enorme di cittadini di diversi paesi. Coloro che stanno a capo delle strutture economiche e finanziarie internazionali hanno concentrato nelle proprie mani un ampio potere, che sfugge al controllo delle nazioni e persino dei governi e non conosce limiti – sia che si tratti di confini statali, di identità etnico-culturali o della necessità di mantenere una stabilità ecologica e demografica. Talvolta essi rifiutano di tener conto delle tradizioni e dei principi religiosi dei popoli coinvolti nella realizzazione dei loro progetti. La Chiesa non può che essere preoccupata anche per la pratica delle speculazioni finanziarie, che cancellano il rapporto di dipendenza fra reddito e lavoro. Tra le varie forme di queste speculazioni vi sono le «piramidi finanziarie», il cui collasso può provocare uno sconvolgimento su larga scala. In generale, questi cambiamenti nell'economia fanno dimenticare la priorità del lavoro e dell'uomo rispetto al capitale e ai mezzi di produzione.
Nel campo della cultura e dell'informazione, la globalizzazione è stata condizionata dallo sviluppo delle tecnologie che facilitano la circolazione di persone e di beni e la diffusione e l'acquisizione dell'informazione. Le società, che prima erano separate da distanze e confini e per questo erano prevalentemente omogenee, oggi entrano in contatto facilmente l’una con l’altra e diventano multiculturali. Tuttavia, questo processo è stato accompagnato dal tentativo di stabilire il dominio dell'élite ricca sul resto della popolazione e di alcune culture e ideologie sulle altre, cosa che è particolarmente intollerabile nella sfera della religione. Di conseguenza si osserva la tendenza a presentare come l'unica possibile una cultura universale caratterizzata dall'assenza di interessi spirituali e fondata sulla libertà illimitata dell'uomo decaduto quale assoluto valore e criterio di verità. Tale sviluppo della globalizzazione è paragonato da molti nel mondo cristiano alla costruzione della torre di Babele.
Pur riconoscendo che il processo della globalizzazione è inevitabile e naturale e che per molti versi facilita la comunicazione fra le persone, la diffusione delle informazioni e un’efficace attività produttiva e imprenditoriale, la Chiesa nello stesso tempo rivolge la sua attenzione alle contraddizioni interne di questi processi e ai pericoli che esse comportano. In primo luogo, la globalizzazione comincia a mutare, insieme ai modi tradizionali di organizzare i processi produttivi, anche le modalità tradizionali di organizzare la società e di esercitare il potere. In secondo luogo, molti frutti positivi della globalizzazione sono accessibili solo a nazioni che rappresentano una piccola parte dell'umanità, ma hanno sistemi economici e politici affini. Altre nazioni, invece, alle quali appartengono i 5/6 della popolazione mondiale, si trovano sospinte ai margini del mondo civile. Si trovano stritolate nella morsa della dipendenza dai debiti contratti coi finanzieri di alcuni paesi industrializzati e non riescono quindi a creare condizioni dignitose di vita. Tra queste popolazioni stanno crescendo un profondo malcontento e un'amara disillusione.
La Chiesa pone il problema circa la necessità di istituire un controllo globale sulle società transnazionali e sui processi finanziari. Questo controllo, il cui fine deve essere quello di subordinare ogni attività imprenditoriale e finanziaria agli interessi della persona e dei popoli, deve essere esercitato mediante tutti i meccanismi disponibili nella società e nello stato.
L'espansione spirituale e culturale è esposta al rischio di una totale uniformazione e in quanto tale dovrebbe essere contrastata mediante gli sforzi congiunti della Chiesa, delle strutture statali, della società civile e delle organizzazioni internazionali, per instaurare nel mondo uno scambio di cultura ed informazione veramente equo e reciprocamente arricchente, e per proteggere l'identità delle nazioni e delle altre comunità umane. Una delle vie da percorrere può essere quella di garantire ai paesi ed alle nazioni l'accesso alle risorse tecnologiche fondamentali, che daranno loro la possibilità di diffondere e ricevere informazioni su scala mondiale. La Chiesa ricorda che molte culture nazionali hanno radici cristiane e che i seguaci di Cristo sono chiamati a promuovere e intensificare i legami reciproci tra la fede e il patrimonio culturale delle nazioni, opponendosi risolutamente a qualsiasi manifestazione di anti-cultura e di commercializzazione dello spazio destinato all'informazione e alle arti.
In generale, la sfida della globalizzazione esige dalla società contemporanea una risposta adeguata, fondata sulla sollecitudine per il mantenimento di una vita pacifica e dignitosa per tutti gli uomini e sulla promozione del loro perfezionamento spirituale. Inoltre, è necessario cercare di creare un ordine mondiale costruito sui principi della giustizia e dell'uguaglianza degli uomini davanti a Dio, che escluda la soppressione della loro volontà da parte dei centri internazionali di influenza politica, economica e di informazione. 

 

La secolarizzazione

XVI.4. Il sistema giuridico internazionale contemporaneo si fonda su una concezione che attribuisce priorità agli interessi della vita terrena dell'uomo e delle società umane rispetto ai valori religiosi (specialmente nei casi in cui i primi e i secondi entrino in conflitto). Questa priorità è ratificata nella legislazione nazionale di molti paesi e spesso è fra i principi che regolano le diverse forme di attività degli organi di potere, dell'organizzazione del sistema di istruzione statale ecc. Molti influenti meccanismi pubblici fanno riferimento a questo principio nel loro aperto confronto con la fede e con la Chiesa, puntando a escludere queste ultime dalla vita sociale. Queste manifestazioni creano un quadro generale di secolarizzazione della vita dello stato e della società.
Pur rispettando la scelta ideologica delle persone non religiose e il loro diritto di influire sui processi sociali, la Chiesa nello stesso tempo non può accogliere in maniera positiva un ordine mondiale che ponga al centro di tutto la personalità umana oscurata dal peccato. Questo è il motivo per cui, mantenendo costantemente aperta la possibilità di cooperare con persone di convinzioni non religiose, la Chiesa cerca di affermare i valori cristiani nei processi decisionali relativi ai problemi sociali più importanti sia a livello nazionale che internazionale. Essa cerca di ottenere il riconoscimento della legittimità della visione del mondo religiosa quale fondamento per azioni socialmente significative (comprese quelle intraprese dallo stato) e quale fattore essenziale che deve incidere sull'evoluzione del diritto internazionale e l'attività delle organizzazioni internazionali. 

 
Il defunto Grande Tipico

Tra la trentina di libri liturgici che sono necessari per eseguire correttamente i servizi della Chiesa ortodossa, il Tipico occupa un posto speciale. Questo è il libro che contiene la "chiave" per come i servizi devono essere composti insieme – come si combinano le letture da Ottoico, Mineo, Triodio, Salterio, Orologio, Ieratico, Apostolo e Vangelo, ecc.

Il Tipico slavo è un libro enorme, che contiene centinaia di capitoli. In esso troviamo il modo di officiare ciascuno dei servizi – come servire il Vespro e il Mattutino quotidiano, come farli se vi è un giorno di festa, o come farli durante la Grande Quaresima. Ci sono capitoli che ci istruiscono su come il coro deve cantare insieme (e contro le "grida disordinate", che non hanno posto nel canto di chiesa). Ci sono capitoli che danno istruzioni chiare su come e quando incensare, tabelle con le letture da Apostolo, Vangelo e Salterio. Poi c'è una ricca sezione sul calendario, con una spiegazione dei servizi per ogni giorno del calendario civile fisso, e una sezione separata per come compiere i servizi in tutti i giorni in cui vengono utilizzati il Triodio quaresimale e il Pentecostario.

Le sezioni più sorprendenti sono quelle che spiegano come correlare e combinare i servizi dei calendari fissi e mobili. È considerata ogni possibile combinazione. Le rubriche sui servizi della festa dell'Annunciazione, per esempio, sono lunghe più di trenta pagine – spiegano in dettaglio come comporre insieme il servizio per l'Annunciazione, quando essa coincide con ogni possibile giorno della Grande Quaresima e della Settimana Luminosa.

Guardando queste rubriche dettagliate, si impara a comporre il servizio se l'Annunciazione coincide con il Sabato dell'Acatisto, il Sabato di Lazzaro, la Domenica delle Palme, o anche la Pasqua stessa. Si impara come comporre un servizio a un santo con "Polieleo" (come san Giorgio), se cade nella Settimana Luminosa, ecc.

Le sezioni finali del Tipico sono le sezioni del calendario pasquale (Paschalion). Qui ci sono tabelle che riflettono il ciclo di 532 anni dei servizi della Chiesa (che consiste di cicli solari di 19 anni, moltiplicati per i cicli lunari di 28 giorni). C'è una tabella che si compone di 19 colonne per 28 righe, che fornisce il numero (per la verità una lettera) della chiave pasquale per ciascuno degli anni del ciclo di 532 anni. Una volta che si conosce la chiave pasquale, si guardano i dettagli nella sezione seguente, che consiste in 35 brevi sinossi di calendario (uno per ogni possibile giorno in cui può cadere la Pasqua). Ognuna di queste sinossi in realtà consiste di due parti – una per gli anni regolari, e una per gli anni bisestili.

Per esempio, guardiamo il 1996.

Il ciclo di 532 anni viene calcolato a partire dalla creazione di Adamo, che, come sappiamo, ha avuto luogo venerdì 1 marzo, 5508 a. C. (Sì, questa è la data su cui si basa l'intero sistema del calendario della Chiesa ortodossa – carino, eh?)

Così, si aggiunge 5508 a 1996 per ottenere 7504, l'anno dalla creazione di Adamo. Dividendo questo numero per 532, si ottiene 14, con il resto di 56 (questo ci dice che dalla creazione di Adamo, siamo solo nel 15° ciclo - non è poi un tempo così lungo)... Dividendo 56 per 19, otteniamo 2, con il resto di 18. Guardando alla nostra tabella delle chiavi pasquali, nella terza riga nella colonna 18, troviamo la chiave pasquale della lettera slavonica "I" (che è la chiave pasquale numero 11). È in rosso, il che significa che l'anno è un anno bisestile. Guardando la sinossi per la lettera "I" troviamo quanto segue:

"Se è un anno bisestile: la Natività di Cristo cade di domenica Il periodo dopo la Natività in cui è permesso mangiare carne è di sei settimane e un giorno. Il Triodio inizia il 22 gennaio. La Domenica di Carnevale è il 5 febbraio. La Domenica dei Latticini è 12 febbraio. la "Chiave dell'anno" è 7. Sant'Eudochia è il giovedì della terza settimana di Quaresima. I 40 martiri sono il venerdì della quarta settimana di Quaresima. Sant'Alessio è il sabato della quinta settimana di Quaresima. L'Annunciazione è la Domenica delle Palme. La Pasqua di Cristo è il 1 aprile. San Giorgio è il lunedi della quarta settimana dopo la Pasqua. La Mezza Pentecoste è il 25 aprile. San Giovanni il Teologo è il martedì della sesta settimana dopo Pasqua. L'Ascensione è il 10 maggio. La Pentecoste è il 20 maggio. Il digiuno degli apostoli inizia il giorno dopo il 27 maggio, e d è lungo quattro settimane e quattro giorni. I santi Pietro e Paolo sono al venerdì".

Ed è possibile utilizzare queste tabelle e le sinossi per ogni data che si desidera – sempre. Se mi si chiede, quando sarà la Pasqua nel 2007, tutto quello che devo fare è aggiungere 5508 (ottenendo 7515) e dividere per 532, ottenendo un resto di 67. Dividendo questo per 19, ottengo 3, con il resto di 10. Guardando la tabella, trovo nella quarta riga e nella colonna 10 la chiave pasquale della lettera slavonica "D" – che è la quinta chiave pasquale. Passando alla sinossi, trovo che la Pasqua cadrà il 26 marzo, e tutte le altre informazioni sulla congruenza delle feste di cui sopra.

Quando cadranno l'Ascensione e l'Annunciazione nell'anno 35762? (So ​​che è piuttosto lontano nel futuro, ma voglio dimostrare che funziona per qualsiasi anno). 35762 + 5508 = 41270. Dividendo per 532, otteniamo un resto di 306. Diviso anche questo per 19, otteniamo 16, con un resto di 2. Guardando la tabella nella riga 17, seconda colonna, troviamo la chiave pasquale della lettera (russa) "Zh" – che è la settima chiave pasquale. Nella sinossi, troviamo che l'Ascensione quell'anno cadrà il 6 maggio – l'Annunciazione cadrà il Giovedì Santo.

Il punto chiave qui è che il ciclo è perpetuo. Nella parte inferiore della tabella si dice: "La chiave alfabetica dura 532 anni e poi ritorna alle sue origini, perché questa chiave sarà applicabile fino alla fine dei secoli".

In realtà, la cosa più importante per il Tipico è che è senza tempo e perpetuo. Va bene per quest'anno, per un migliaio di anni fa e per il futuro, per sempre.

Ebbene, ecco la brutta notizia. I geni che ci hanno portato la riforma del calendario nel 1923 hanno cestinato il Tipico. Questo non è più applicabile per determinare come devono essere composti i servizi, e non è più perpetuo.

Perché? Perché il Tipico prende in considerazione solo le possibili combinazioni dei calendari fissi e mobili che si verificano con la Pasqua legata tra il 22 marzo e il 25 aprile. Pertanto, l'Annunciazione può cadere solo tra il giovedì della terza settimana di Quaresima e il Mercoledì Luminoso. Secondo il "calendario giuliano riformato", ora l'Annunciazione può cadere tra il venerdì della prima settimana della Grande Quaresima e il giovedì della sesta settimana di Quaresima. Indovinate un po'? Il Tipico non ha rubriche su come combinare l'Annunciazione con i servizi della prima settimana di Quaresima, o la Domenica dell'Ortodossia. Tali combinazioni sono impossibili sotto il calendario tradizionale utilizzato dal Tipico per combinare i servizi.

Così, il meraviglioso capolavoro fatiche dei santi Padri, il Tipico, è da buttare nella spazzatura - è inutile sotto il nuovo calendario.

Ora, qualcuno potrebbe chiedere, beh, non si può semplicemente fare un nuovo Tipico che prenda in considerazione le nuove combinazioni rese possibili dal "nuovo calendario"?

Purtroppo, no. Il "calendario giuliano riformato", a differenza del calendario tradizionale della Chiesa, non è perpetuo. In tre secoli su quattro, avanza di un giorno. Ciò significa che, nel 2100, la Pasqua non sarà vincolata tra il 4 aprile e l'8 maggio (nuovo stile), ma tra il 5 aprile e il 9 maggio. Nel 2200 sarà vincolata tra il 6 aprile e il 10 maggio, e così via. Naturalmente, questo causerà una nuova serie di possibili combinazioni di feste fisse e mobili di cui il Tipico non ha alcuna conoscenza.

Così, il "calendario giuliano riformato" richiede una revisione del Tipico da fare ogni tre secoli su quattro – eliminando quindi in modo molto efficiente uno degli attributi più importanti del Tipico – la sua perpetuità.

Ora dovrebbe essere chiaro perché è così incredibilmente stupido aver fatto un tentativo di "risolvere" il problema della "deriva" del 21 marzo (vecchio stile) dall'equinozio astronomico di primavera con l'introduzione di una ulteriore"deriva" delle feste mobili nell'anno della Chiesa, così che alla fine, la Pasqua coinciderà con la Natività! Si tratta di "precisione"? No, si tratta di una sciocchezza.

E così lo scarto del bello, magnifico e perpetuo Tipico nella spazzatura non è che un altro triste effetto del cambio del calendario.

Con amore in Cristo,

padre Alexander Lebedeff

(da un gruppo di discussione in Internet, settembre 1996)

 
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Un Centro di Aiuto alla Vita tra gli ortodossi di Torino

Purtroppo molti a Torino ignorano che da anni esiste un Centro di Aiuto alla Vita formato e gestito da ortodossi! Si tratta del centro "Filoteia", attivo dal 7 dicembre 2008. Di fronte alle difficoltà familiari legate all'immigrazione, a tanta precarietà di vita e di lavoro, e a una mentalità di scarso rispetto della vita prenatale, i cristiani ortodossi dovrebbero moltiplicare i loro sforzi per sostenere i Centri di Aiuto alla Vita.

Per gli ortodossi che abitano a Torino, questo significa offrire la massima diffusione alle informazioni sull'esistenza e sulle iniziative del centro Filoteia, sostenerlo economicamente e attivare linee di sostegno per persone bisognose dell'aiuto del centro.

Per chi abita fuori Torino... non sarebbe male aiutare a fondare centri simili in molte altre località!

Il centro Filoteia prende il nome da Santa Filoteia (o Filofteia), una martire bambina del XIII secolo di Veliko Trnovo (Bulgaria), le cui reliquie sono venerate nella cattedrale di Curtea de Argeș (Romania).

Ecco la pagina del C.A.V. Filoteia con tutte le informazioni per mettersi in contatto con il centro.

 
Visita dei pellegrini da Milano

Il 7 dicembre 2012, giorno di Santa Caterina d'Alessandria, la nostra parrocchia madre dei santi Sergio, Serafino e Vincenzo a Milano ha organizzato un pellegrinaggio in Francia, nei luoghi dove ha servito il santo arciprete Alessio (Medvekov) di Ugine. Al ritorno, i pellegrini si sono fermati nella nostra chiesa, ed è sempre un piacere per noi rivedere padre Dimitri, il nostro primo parroco, e i fratelli e sorelle con cui siamo cresciuti insieme per tanti anni. Grazie di cuore a tutti, e speriamo di incontrarci più spesso!

 
Abbigliamento adeguato per il clero ortodosso

Nel n. 6 di The Russian Pastor, è apparso un articolo dell’arciprete Boris Kizenko, "Non ti associare a quest’era". L’articolo tocca la questione se i sacerdoti debbano indossare o meno la tonaca o la rjasa. Vorrei condividere alcune riflessioni su questo tema.

Molto spesso nella sfera delle leggi e delle tradizioni della Chiesa, per un motivo o per un altro, ci permettiamo di compromettere queste leggi. Nella nostra società di oggi, le ragioni e le circostanze di tali compromessi possono sembrare molto giustificabili. Tuttavia, il pericolo sta nel fatto che ogni compromesso può diventare abituale, e il comportamento di compromesso diventa la norma, dando luogo a ulteriori compromessi e a un degrado generale degli ideali. Padre Boris descrive molto precisamente questa progressione nel suo articolo. Nel momento in cui siamo forse a rischio di perdere completamente l'ideale nel campo dell’abbigliamento sacerdotale, è opportuno passare in rassegna le norme della Chiesa e le direttive in materia di abbigliamento sacerdotale, oltre  a vedere alcuni esempi tratti dalla vita contemporanea che gettano luce sulla questione.

1) Il canone 27 del 6° Concilio Ecumenico afferma: «Nessuno dei membri del clero dovrebbe vestirsi in modo inappropriato, né quando è in città, né quando è in viaggio. Ciascuno dovrebbe usare l'abbigliamento prescritto per i membri del clero. Se qualcuno infrange questa regola, che sia sospeso dal servizio per una settimana.

Qui tutto è chiaro. Se non desideri indossare l’abbigliamento di un sacerdote, non osare stare davanti all'altare di Dio.

2) Il grande interprete dei Canoni della Chiesa, Balsamone, nella sua interpretazione del canone 14 del Consiglio Ecumenico 7, che parla della ordinazione dei lettori, osserva: "Colui che ha indossato l’abito nero con lo scopo di entrare a far parte del clero, non può smettere di portarlo, perché ha dichiarato la sua intenzione di servire Dio e quindi non può rompere la sua promessa a Dio e ridicolizzare questa immagine sacra, come fanno gli altri schernitori".

Se indossare di continuo un "abito nero" è previsto per il primo grado del sacerdozio, il lettore, tanto più lo sarà per quelli che sono pienamente nel sacerdozio.

3) Nella procedura di domande prima dell'ordinazione, il candidato al sacerdozio, alla presenza del suo padre spirituale, fa la seguente promessa: "Prometto di indossare l'abbigliamento adeguato al mio rango sacerdotale, di non tagliarmi i capelli, né la barba... perché con un comportamento così disdicevole rischierei di sminuire il mio grado e di tentare i credenti" (promessa numero 5).

È importante notare che, a conferma della sua promessa, il candidato bacia il ​​vangelo e la croce e mette la sua firma.

4) La regola 16 per i sacerdoti della Chiesa ortodossa russa all'estero dice: "Un prete che riceve un pieno sostegno economico dalla sua parrocchia, e a cui viene data la possibilità di non fare un lavoro secolare, dovrebbe avere l'aspetto di un sacerdote ortodosso, cioè, dovrebbe avere i capelli lunghi, la barba, una rjasa, indossare una croce di stile appropriato, e non una di sua invenzione, e nel suo aspetto esteriore dovrebbe offrire l’esempio completo di un vero pastore".

Dobbiamo ricordarci che, se i canoni e i regolamenti della Chiesa non fossero importanti, la Chiesa non li avrebbe scritti.

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La moglie di un sacerdote, che serve in una grande città americana, dove i culti pagani e satanici sono dilaganti, mi riferito questo episodio: batjushka portava sempre la tonaca o la rjasa con la sua croce. Dopo il suo arrivo in città, si abituò al fatto che, quando camminava lungo una strada, o nei negozi, alcune persone reagivano a lui con odio. Alcuni addirittura gli sibilavano apertamente contro mentre camminavano vicino, altri in realtà gli sputavano addosso. Tutte queste cose batjushka le interpretava come attacchi di servitori di Satana a un sacerdote di Cristo. Una volta è successo che lui e matushka stavano camminando lungo il marciapiede nel principale quartiere commerciale della città. Improvvisamente, una donna che sembrava una strega saltò fuori di fronte a lui. Iniziò a gridare verso di lui con la voce spaventosa di un gatto malato, e fece un gesto minaccioso con le braccia, come se volesse graffiargli gli occhi. Poi subito sparì tra la folla. Il prete e la moglie si fecero il segno della croce e continuarono sulla loro strada, essendosi abituati a questi eventi. Ma poi matushka notò una cosa. Questa volta, per qualche motivo, batjushka era in abbigliamento secolare. Nulla nel suo aspetto esterno dimostrava che fosse un prete ortodosso. Anche i suoi capelli lunghi e la barba non erano nulla di eccezionale in quelle circostanze.

È chiaro che un sacerdote su un piano spirituale è sempre un sacerdote, anche quando non è vestito in modo appropriato. Le forze del male lo sentono e molto probabilmente sono soddisfatte dei nostri "compromessi".

Un certo sacerdote decise di farsi fare una fotografia. Si mise il cappotto e il cappello. Per qualche ragione era imbarazzato di farsi fotografare con una croce sul petto. Si tolse la croce e la mise nella tasca sinistra della giacca. La fotografia fu scattata, sviluppata e stampata. Con lo stupore sia del fotografo che del prete, sulla fotografia c'era un raggio enorme (dalle ombre si poteva vedere che non era un raggio di sole), che indicava la tasca, dove stava nascosta la croce. Il prete chiese di far pubblicare questa foto dopo la sua morte.

In una piccola parrocchia della Chiesa russa all'estero, a causa delle dimensioni della congregazione, il rettore fa un lavoro secolare. Lavora come infermiere in un ospedale locale. Ero certo che si togliesse la tonaca quando va a lavorare. Ma con mia grande sorpresa, ho scoperto che questo prete lavora in tonaca, mettendoci sopra un camice da laboratorio. Questo è considerato con rispetto sia dal personale medico che dai pazienti. Spesso molti pazienti richiedono proprio che sia il "prete-infermiere" a prendersi cura di loro.

Preoccupato per la questione, "un sacerdote dovrebbe e potrebbe indossare sempre una tonaca?", ho cominciato a chiedere ai figli adulti di pastori anziani o deceduti, se i loro padri indossavano sempre un abito talare. Quasi tutti hanno risposto in senso affermativo, ricordando che raramente avevano visto il loro padre-prete senza tonaca. Ci sono anche casi in cui i figli hanno detto di non avere mai visto il loro padre senza tonaca. Ciò significa che è possibile realizzare il requisito della Chiesa con l'aiuto di Dio. C’è solo bisogno di provare.

L’aspetto tradizionale di un prete ortodosso, l'abbigliamento e la capigliatura che egli dovrebbe mantenere in ogni momento, sia in pubblico che privato, sono una questione di normativa canonica. I sacri canoni della Chiesa riflettono il buon funzionamento e la vita del Corpo di Cristo, non sono semplicemente leggi e regole, ma guide alla vita in Cristo e modelli con cui accogliere l'azione dello Spirito Santo nelle nostre attività quotidiane. Sono ispirate e vincolanti per tutti coloro che vivono in sobrietà spirituale e rettitudine. E sebbene siano applicate da uomini (uno dei chiari doveri del clero, specialmente dei vescovi, è, infatti, assicurare l'ordine canonico), sono comunque divinamente ispirate. I sacri canoni sono anche parte integrante della santa Tradizione, che, insieme con la Scrittura, costituisce la base dell’autorità amministrativa su cui si fonda la nostra fede.

Le tonache interne ed esterne tradizionalmente indossate dai sacerdoti ortodossi sono, per i pii, oggetti di grande rispetto e venerazione. Chiunque li considera "strani" non è illuminato. Né qualcosa che è stato stabilito dalla Chiesa, e avvolto nella grazia, può ostacolare la nostra testimonianza di cristiani ortodossi. L'ignoranza o il semplice bigottismo spiegano i casi in cui vengono ridicolizzati gli ecclesiastici che vestono in modo tradizionale, e la cura per l'ignoranza e il fanatismo non è l'abbandono dei nostri costumi, ma, ancora una volta, l'illuminazione di chi ci mette in ridicolo. Inoltre, i nostri abiti clericali ortodossi tradizionali testimoniano apertamente la grazia del sacerdozio. Molte volte il nostro clero, che mantiene tale abito, è visto da bambini che, ancora non contaminati dalla vanità del mondo, si rivolgono ai loro genitori e dicono loro: "Guarda, c’è Gesù!"

Tali incidenti parlano da soli e testimoniano l'importanza e la natura dell’abbigliamento sacerdotale ortodosso. L'idea che l'abito tradizionale di un sacerdote ortodosso abbia le sue radici in una veste turca o religiosa laica è un artificio di fantasia storica che è stato spesso usato per giustificare le innovazioni contemporanee nell’abito talare.

Sotto il giogo turco, possono essere osservati alcuni cambiamenti nel taglio e nello stile dell’abito monastico e sacerdotale, ma questi sono insignificanti. I nostri stili clericali sono anteriori al giogo musulmano, e per la verità è dai Padri del deserto, che abitavano molte delle aree in cui è fiorito il primo islam, che il clero islamico ha preso molti dei propri costumi come le vesti che indossano sui minareti (sono modellati sulle strutture in cui hanno vissuto e pregato gli antichi stiliti, cioè "pilastri" con un piccolo cubicolo in alto).

Il collare bianco rotondo, il bavaglio, e il vestito di affari che si chiamano abito clericale "cattolico romano" non è cattolico in origine, né è molto più di un normale abito da strada con uno speciale collare. I sacerdoti cattolici, così come il clero ortodosso, si vestivano tutti di tonaca e di un copricapo speciale fino a pochi decenni or sono. Solo negli ultimi decenni hanno adottato quello che in realtà è un abbigliamento clericale protestante o semplici abiti civili.

Per quanto riguarda la questione della deposizione, si noti, in primo luogo, che di fatto ci sono stati membri del clero ortodosso sospesi e anche deposti per aver abbandonato il tradizionale abito clericale. Sant’Evalalio, un predecessore di San Basilio il Grande nella sede di Cappadocia, depose il proprio figlio perché questi aveva abbandonato le tradizionali vesti sacerdotali per un abbigliamento "non idoneo".

 
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San Massimo di Torino: il patrono della nostra chiesa

San Massimo (venerato nell'Occidente cristiano come Padre della Chiesa) è il primo vescovo di Torino di cui si conosca il nome. Le notizie sulla sua vita sono scarse e incerte. Una fonte storica primaria è il Catalogo degli uomini illustri del presbitero Gennadio, che menziona che Massimo morì (moruit) attorno al 423. Altre fonti menzionano un la presenza di un "Maximus episcopus Taurinensis", firmatario a due concili locali (a Milano nel 451 e a Roma nel 465). Alcuni storici ne hanno dedotto l'esistenza di due vescovi di Torino dallo stesso nome. Altri tendono a vedere un errore nella testimonianza di Gennadio, e ritengono di leggere nel testo originale che Massimo fiorì (floruit) attorno al 423. Accettando le parole di Gennadio e la datazione anteriore, si può supporre che Massimo (o in ogni caso il primo vescovo con questo nome) abbia convocato il Concilio di Torino nell'anno 398.

A San Massimo è attribuita una notevole produzione letteraria di omelie (la prima edizione critica fu stesa a Roma nel 1784): alcune di queste omelie sono di dubbia attribuzione, ma si considera come sicuramente suo più di un centinaio di omelie e sermoni. Questi scritti sono di stile efficace e avvincente, e di grande interesse dal punto di vista storico (per il quadro di vita dell'Italia settentrionale nel sec. V) e teologico (per gli spunti dottrinali di ecclesiologia, cristologia, venerazione di santi e reliquie, prassi battesimale e così via). Le omelie rivelano la profonda dedizione di questo pastore per il bene del suo popolo. 

Il culto di San Massimo è sempre stato vivo a Torino (anche se non sempre con alta intensità), e la sua memoria è legata alle più antiche chiese e luoghi di culto della città. Secondo la tradizione locale le sue reliquie furono nascoste, per sottrarle alle invasioni barbariche (o forse per proteggerle dagli iconoclasti, attivi a Torino agli inizi del IX secolo); alcuni piccoli frammenti di reliquie a lui attribuite sono stati scoperti nel XVII secolo. 

La festa di San Massimo è il 25 Giugno (8 Luglio del calendario civile), giorno successivo alla Natività di San Giovanni Battista, per cui San Massimo aveva una particolare venerazione, e che elesse santo patrono di Torino. 

 

Dai Sermoni di San Massimo di Torino 

A tutti risulta palese come noi predichiamo volentieri e come adempiamo con gioia il servizio divino; eppure quando constatiamo che tra i fratelli parecchi si recano in Chiesa con indolenza e non si curano di partecipare per nulla ai misteri celesti soprattutto di domenica, allora predichiamo malvolentieri, e non già perché ci spiaccia parlare, ma perché la nostra predicazione non emenda, ma piuttosto rende più colpevoli i più negligenti. 

Per questo parliamo malvolentieri, e tuttavia non possiamo tacere. Infatti la nostra predicazione tra il popolo produce o la beatitudine o il castigo; la beatitudine ai credenti, il castigo agli increduli. 

In realtà ogni fratello che non prende parte ai misteri domenicali, dinanzi a Dio appare come un disertore dei divini accampamenti. Infatti come può giustificarsi chi nel giorno dei sacramenti, preparandosi un pranzo in casa propria, non si cura del pranzo celeste e preoccupandosi del ventre trascura la medicina della sua anima? 

(Sermone 23 secondo l'edizione critica)

 
Le preghiere ai santi e le preghiere per i defunti

L'idea di pregare per i santi defunti (o di chiedere le loro preghiere) per molti oggi è piuttosto controversa, e senza dubbio tiene lontane molte persone dal prendere sul serio sia la Chiesa cattolica romana o la Chiesa ortodossa. Dal momento che questo sembra essere un ostacolo importante, ho pensato che sarebbe stato utile per me, e forse per altri, delineare semplicemente cosa vuol dire rivolgersi ai "morti". È biblico? È storicamente radicato nella vita della Chiesa? È cosa buona per la Chiesa e il suo popolo? Guardiamo un po' più da vicino. (Devo avvertire che questo post è più lungo rispetto ai miei soliti).

Mentre ho forse dimostrato altrove che il canone protestante delle Scritture è sia impreciso sia storicamente insostenibile, questo non è lo scopo principale del testo presente. Così, per il bene di questa discussione, cercherò di concentrarmi principalmente sui passi delle Scritture che si trovano all'interno del loro canone (ma includerò in seguito anche alcuni degli altri, per una prospettiva più ampia).

Uno dei passaggi più suggestivi relativi a questo argomento si trova nella seconda epistola di Paolo a Timoteo, dove Paolo scrive (1:16-18):

"Il Signore conceda misericordia alla famiglia di Onesiforo, perché egli mi ha più volte confortato e non s'è vergognato delle mie catene; anzi, venuto a Roma, mi ha cercato con premura, finché mi ha trovato. Gli conceda il Signore di trovare misericordia presso Dio in quel giorno.

Se si guarda a questo passo con attenzione, si può notare che San Paolo sta di fatto pregando che il Signore abbia misericordia di Onesiforo nel giorno del giudizio, con l'implicazione che egli è già morto. Questo è in genere sostenuto dal punto di vista che san Paolo prega per la famiglia di Onesiforo separatamente dall'uomo stesso, e più avanti in questa stessa epistola durante i suoi commenti di "addio", scrive: "Salutate Prisca e Aquila e la famiglia di Onesiforo" (4,19). Alcuni commentatori, come il pastore riformato Matthew Henry, hanno sostenuto che questo significa semplicemente che Onesiforo era con san Paolo in quel momento, e così lui stava salutando tutta la loro famiglia in sua assenza. Tuttavia, san Paolo dice in questo stesso capitolo: "Solo Luca è con me" (4,11), e poi chiede che gli sia inviato anche Marco. Non viene fatta menzione di Onesiforo individualmente se non nel contesto di pregare per la sua salvezza "in quel giorno."

Non sorprende che ci siano molti modi in cui gli studiosi evangelici cercano di evitare di venire alla conclusione che san Paolo sta pregando per la salvezza di una persona morta. In effetti, alcuni ammetteranno che Onesiforo è morto, ma poi diranno che san Paolo sta semplicemente esprimendo un "bel pensiero" su di lui, e non sta formalmente "pregando per" lui. Questo, però, dimostra una visione un po' strana della preghiera. Come cristiani dobbiamo essere sempre in uno stato di preghiera (Filippesi 4:6; 1 Tessalonicesi 5:16-17), e la preghiera è poco diversa da un dialogo con Cristo, come se fosse proprio qui in mezzo a noi; un bel pensiero per Cristo è una bella preghiera a Cristo.

D'altra parte, ho scoperto che molti studiosi evangelici – con una certa riluttanza, nella maggior parte dei casi – concedono che san Paolo di fatto sta pregando per la "salvezza" di una persona morta in quest'epistola. La maggior parte di loro preferirà sottovalutare questa realtà, ma ammetteranno che è la più probabile spiegazione a noi disponibile.

Per esempio, Alfred Plummer dice di questo passaggio:

"Certamente il saldo delle probabilità è decisamente a favore del parere che Onesiforo era già morto quando san Paolo scrisse queste parole [...] egli qui parla della "casa di Onesiforo" in connessione con il presente, e di Onesiforo stesso solo in connessione con il passato [...] non è facile spiegare questo duplice riferimento alla famiglia di Onesiforo, se egli stesso era ancora vivo. In tutti gli altri casi è menzionato l'individuo e non la famiglia [...] C'è anche il carattere della preghiera dell'Apostolo. Perché limita suoi i desideri aspettando il ricambio della gentilezza di Onesiforo 'al giorno del giudizio? [...] Anche questo è del tutto comprensibile, se Onesiforo è già morto.

The Expositor’s Bible (ed. W. Robertson Nicoll), "The Pastoral Epistles", pp 324-326

Più tardi, nella stessa sezione, Plummer conclude che, poiché "secondo l'opinione più probabile e ragionevole, il passo davanti a noi contiene una preghiera offerta dall'Apostolo a nome di un morto, ci sembra di aver ottenuto la sua sanzione, e quindi la sanzione della Scrittura, per l'utilizzo di simili preghiere noi stessi. "

Un altro evangelico, lo studioso anglicano J. N. D. Kelly, scrive di questo passaggio:

"Partendo dal presupposto, che deve essere corretto, che Onesiforo era morto quando furono scritte queste parole, abbiamo qui un esempio, unico nel Nuovo Testamento, di preghiera cristiana per i defunti [...] l'affidamento di un morto alla divina misericordia. Non c'è nulla di sorprendente nell'uso da parte di Paolo di questa preghiera, perché l'intercessione per i defunti era stata sanzionata nei circoli farisaici almeno da quando fu scritto 2 Macc 12:43-45 [...] Le iscrizioni nelle catacombe romane e altrove dimostrano che la prassi si è affermata tra i cristiani sin dai tempi remoti.

A Commentary on the Pastoral Epistles, p. 171

E, infine, Philip Schaff (un evangelico presbiteriano) scrive:

"Partendo dal presupposto già menzionato come probabile, questa, ovviamente, dovrebbe essere una preghiera per i defunti. Il riferimento al grande giorno del giudizio rientra in questa ipotesi [...] Da un punto di vista delle controversie, ciò sembra favorire la dottrina e la prassi della Chiesa di Roma.

The International Illustrated Commentary on the New Testament, Vol. 4: “The Catholic Epistles and Revelation,” p. 587.

Ci sono alcuni altri commenti che condividono lo stesso punto di vista (ad esempio Henry Alford, The Greek Testament, Vol. 3, p. 376 ; J. E. Huther, Critical and Exegetical Handbook to Timothy and Titus, p. 263; ecc), ma non è necessario qui fare riferimento a tutti. È sufficiente a dire che questa non è una "nuova" o "strana" interpretazione di questo passo, e trova il suo posto non solo nell'antichità della Chiesa apostolica e nei padri della Chiesa primitiva, ma anche tra i recenti studiosi evangelici.

Un altro argomento da prendere in considerazione è quello della "consapevolezza" dei santi e dei martiri defunti in cielo (cioè in presenza di Dio o in Paradiso, e non nell'Ade in attesa del giudizio finale con la maggior parte dell'umanità defunta). In altre parole, essi sono consapevoli di ciò che sta succedendo qui sulla terra, mentre sono in cielo? Dopo tutto, se non sono in grado di osservare ciò che accade qui sulla terra, come potrebbero non solo unirsi a noi nel culto ma anche pregare per noi o essere consapevoli del fatto che stiamo chiedendo loro di pregare per noi, in primo luogo? La Scrittura, a quanto pare, non tace nemmeno su questa particolare questione.

Per esempio, nel Vangelo secondo Luca, è riportato che Gesù dice: "Io vi dico che ci sarà più gioia in cielo per un peccatore che si converte, che non per novantanove giusti che non hanno bisogno di pentimento" (15: 7), e ancora: "Allo stesso modo, vi dico, c'è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte" (15:10). Sembra che Gesù crede che sia le persone sia gli angeli in cielo siano consapevoli di ciò che avviene sulla terra, e non sono radicalmente separati da ciò che accade.

Altrove, la lettera agli Ebrei sembra sostenere sia la presenza sia la consapevolezza dei santi in cielo rispetto ai santi che sono in formazione sulla terra. Dopo un resoconto della fede dei molti israeliti e profeti che ci hanno preceduto nel Capitolo 11 (quasi identico ai resoconti che si trovano nella Sapienza di Salomone, cap. 10, e nella Sapienza di Siracide, cap. 44-50, per non parlare dei riferimenti fatti all'assunzione di Mosè), l'apostolo Paolo scrive: "Anche noi dunque, circondati da un così gran nugolo di testimoni, deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede"- (12,1-2). Qui la descrizione di una corsa e dell'essere circondati da tali testimoni (letteralmente "martiri" in greco) è simile a quella di un ippodromo greco-romano o di una gara olimpica. In questo caso, gli spettatori sono i santi che hanno già "finito la gara," e sono con noi, sostenendoci fino alla fine (e senza dubbio, attraverso le loro preghiere).

Il culto della Chiesa come descritto in Ebrei è il culto dei santi di tutte le età, insieme con gli angeli in cielo. Non siamo in alcun modo sconnessi o separati l'uno dall'altro – e soprattutto nel contesto della preghiera o del culto liturgico. "Voi vi siete invece accostati al monte di Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, all'adunanza festosa e all'assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti portati alla perfezione, al Mediatore della Nuova Alleanza e al sangue dell'aspersione dalla voce più eloquente di quello di Abele" (12:22-24). È nel culto liturgico e nella preghiera che noi siamo più presenti con i santi e gli angeli che rendono culto in cielo, e la cui unione con Cristo è anche maggiore di quella della nostra (allo stato attuale), dopo aver "finito la corsa" e con i loro "spiriti ... resi perfetti".

Il corpo di Cristo è unico, e non ha molto senso credere che non possiamo pienamente comunicare e interagire in modo significativo – soprattutto nel contesto del culto – con i santi e i martiri dipartiti da questa vita e accolti con Cristo in cielo. In realtà, essi devono essere considerati soprattutto come esempi di fede da seguire, sapendo che hanno finito la gara e non svaniscono alla fine. Ancora una volta, san Paolo scrive: "Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunziato la parola di Dio; considerando attentamente l'esito del loro tenore di vita, imitatene la fede" (13:7). Se guardiamo solo a quelli che sono ancora in vita sulla terra come esempio di fede, questa potrebbe certamente essere la rovina delle nostre anime, poiché le persone in questa vita potranno sempre deluderci e molti tragicamente si allontaneranno anche dalla fede stessa. Tuttavia, con i santi fedelmente defunti, sappiamo che hanno finito la gara, perseverato sino alla fine, e sono salvati; imitare la loro fede e santità è certamente una "scommessa sicura".

Ciò non significa, tuttavia, sottovalutare l'importanza che i cristiani ortodossi devono dare all'obbedienza ai nostri padri spirituali qui sulla terra, in particolare a coloro ai quali sono affidate le nostre anime e i nostri corpi (Ebrei 13:17). Ci deve essere un giusto equilibrio tra la nostra venerazione dei dipartiti da questa vita e al sottomissione a coloro a cui cristo ha affidato il compito di vegliare sulla nostra vita spirituale mentre compiamo ancora la nostra corsa.

Tuttavia, anche in contesti diversi da quelli del culto o della preghiera, i santi in cielo sono consapevoli di ciò che avviene sulla terra.

Per esempio, al suo ritorno sulla terra, Samuele rimprovera Saul per la sua condotta mentre egli era morto e sepolto, dicendo: "Non hai ascoltato la voce del Signore, né hai compiuto la sua ira contro Amalek. Questo è il motivo per cui il Signore ti ha fatto questo oggi "(1 Re 28:18 LXX). Inoltre continua a prevedere per Saul quello che sta per accadere il giorno dopo, avendone già conoscenza (forse perché il cielo – e Dio – sono al di fuori del tempo). In modo simile, durante la Trasfigurazione del Signore Gesù Cristo, i santi profeti Mosè ed Elia parlano con Cristo della sua imminente crocifissione, intimamente consapevoli di ciò che sta accadendo sulla terra, al momento in cui appaiono a lui e agli apostoli con lui (Lc 9:31).

Anche in questo caso, dal momento che il Corpo di Cristo è unico, è ragionevole che siamo intimamente e unicamente "collegati" tra di noi in un modo che spesso è indescrivibile. Soffriamo l'uno con l'altro (Eb 13:3), preghiamo gli uni per gli altri (Eb 13:18), e rendiamo culto uno accanto all'altro (Eb 12:22-23,28) – sia quelli che stanno sulla terra sia quelli nei cieli.

Infine, su questo punto, leggiamo nell'Apocalisse dell'apostolo Giovanni che i martiri sono consapevoli del passare del tempo sulla terra e di ciò che vi è o non vi è trapelato, poiché si lamentano "Fino a quando, o Sovrano, tu che sei santo e veritiero, non farai giustizia e non vendicherai il nostro sangue contro gli abitanti della terra? "(Ap 6:10). E più tardi, è scritto: "E vidi i sette angeli che stanno davanti a Dio, e furono date loro sette trombe. Poi un altro angelo, reggendo un turibolo d'oro, venne e si fermò presso l'altare. Gli fu dato molto incenso, perché l'offrisse insieme alle preghiere di tutti i santi sull'altare d'oro posto davanti al trono. E il fumo dell'incenso, insieme con le preghiere dei santi, salì davanti a Dio dalla mano dell'angelo" (8:2-4).

Oltre ad essere una vivida descrizione della liturgia tardo-apostolica, questo passo significa che le preghiere dei santi sono presentate a Dio. Affinché questo non includa le preghiere dei "morti", dovremmo anche dire che i morti non sono santi. Chi, sano di mente, parlerebbe di un cristiano in cielo come di qualcosa di diverso da un santo? Sono i santi di Cristo che abitano nella presenza del Signore e lo adorano e lo pregano continuamente, a nome del mondo intero.

Consapevole del fatto che i protestanti rifiutano il "canone" ortodosso-cattolico della Scrittura, voglio comunque condividere pochi passi dagli altri libri che sembrano presupporre una visione simile dei santi defunti, così come si trova nei passi precedenti.

Nel meraviglioso libro di Tobia, l'arcangelo Raffaele dice (cap. 12):

"Quando tu e Sara eravate in preghiera, io presentavo l'attestato della vostra preghiera davanti alla gloria del Signore. Così anche quando tu seppellivi i morti. Quando poi tu non hai esitato ad alzarti e ad abbandonare il tuo pranzo e sei andato a curare la sepoltura di quel morto, allora io sono stato inviato per provare la tua fede, ma Dio mi ha inviato nel medesimo tempo per guarire te e Sara tua nuora. Io sono Raffaele, uno dei sette angeli che sono sempre pronti ad entrare alla presenza della maestà del Signore.

Ci sono alcune cose importanti da notare da questa breve rivelazione.

In primo luogo, i "sette santi angeli" (i sette arcangeli, come elencati anche da 1 Enoc) che portano le "preghiere dei santi" di fronte al "Santo" – di fronte a Cristo stesso – sono menzionati solo qui e nell'Apocalisse. In secondo luogo, la cura adeguata per i morti è lodate come qualcosa di buono e degno di lode, comprese presumibilmente le preghiere per i defunti (Raffaele era lì presente alla cerimonia per i defunti). In terzo luogo, se solo i santi ancora in vita possono portare le preghiere davanti a Cristo attraverso il ministero di questi sette angeli, allora coloro che sono già in cielo non sono santi, il che non ha alcun senso. Sono gli "spiriti resi perfetti", secondo l'apostolo Paolo, già alla presenza di Dio. Se siamo "un solo corpo", allora sono certamente coinvolti in preghiera e adorazione insieme a noi qui sulla terra, come a quanto pare insegnano le Scritture; ciò che troviamo in Tobia lo troviamo anche nelle scritture citate in precedenza.

Un altro passo relativo a questo argomento, al di fuori del canone dei protestanti, si trova in 2 Maccabei. In questo esempio, Giuda e il suo esercito stanno recuperando i corpi caduti di uomini morti in battaglia. Vengono a scoprire che gli uomini morti in battaglia indossavano sotto le loro tuniche oggetti sacri agli idoli di Iamnia, cosa ovviamente vietata dalla loro Legge, come equivalente dell'idolatria. E così, "la ragione per cui questi uomini erano morti in battaglia divenne chiara a tutti" (12:40). In risposta a questo, gli uomini di Giuda "rivolsero una supplica e pregarono che il peccato che avevano commesso fosse completamente cancellato" (12,42). Giuda ordinò ai suoi uomini di non ripetere gli errori di questi soldati caduti e di rimanere devoti a Dio, e poi fece una raccolta di duemila dracme d'argento "e la inviò a Gerusalemme da presentare come offerta per il peccato" (12:43), mostrando misericordia verso i compagni traviati e caduti.

Quello che viene dopo, è quanto mai significativo (vv. 43-45):

"agì così in modo molto buono e nobile, suggerito dal pensiero della risurrezione. Perché se non avesse avuto ferma fiducia che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti. Ma se egli considerava la magnifica ricompensa riservata a coloro che si addormentano nella morte con sentimenti di pietà, la sua considerazione era santa e devota. Perciò egli fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato.

Ciò che possiamo imparare da questa storia è che la ragione per pregare per un "morto", è a causa della speranza della risurrezione e della necessità che tutti gli uomini hanno di continua santificazione e perfezionamento dello spirito, anche nell'aldilà. La storia ci insegna anche a fidarci della misericordia di Dio – anche per coloro che sono morti – sapendo che concedere misericordia è solo nelle sue mani. Apprendiamo anche che l'espiazione non richiede che abbia luogo una "punizione" (come l'Antico Testamento insegna in numerosi luoghi, per esempio la storia di Fineas in Num 24:1-9), ma questo è un altro argomento. I più fedeli degli ebrei non vedevano le preghiere per i defunti come qualcosa di blasfemo, superstizioso, o vietato, ma anzi come una cosa "santa e devota".

Infine, c'è anche un precedente fissato per le preghiere per i morti – insieme con le richieste ai santi defunti di pregare Cristo per nostro conto – nella storia della Chiesa primitiva. Le catacombe romane del I e II secolo, per esempio, sono piene di scritte, che chiedono ai cristiani sulla terra di pregare per coloro che sono in cielo, e viceversa. Non è un problema trovare numerose citazioni dei primi Padri della Chiesa su questo tema. Fornirò solo alcuni esempi di questo, ma ce ne sono troppi da elencare in un unico luogo. Per esempio, le Costituzioni apostoliche (Libro 8, sez. 4 e 41):

"Preghiamo per i nostri fratelli che riposano in Cristo, affinché Dio, l'amante del genere umano, che ha ricevuto la loro anima, possa perdonare loro ogni peccato, volontario e involontario, e possa essere misericordioso e compassionevole verso di loro e concedere loro una parte nella terra dei giusti, nel seno di Abramo, Isacco e Giacobbe, con tutti coloro che lo hanno compiaciuto e compiono la sua volontà fin dal principio del mondo, laddove sono banditi ogni dolore, tristezza e gemito.

San Cirillo di Gerusalemme, scrivendo nel 350 d.C., afferma:

"Poi facciamo menzione anche di coloro che si sono già addormentati: in primo luogo, i patriarchi, profeti, apostoli e martiri, affinché attraverso le loro preghiere e suppliche Dio riceva la nostra petizione; quindi, facciamo menzione anche dei santi padri e vescovi che si sono già addormentati, e, per dirla semplicemente, di tutti quelli tra noi che si sono già addormentati; perché crediamo che sarà di grande beneficio per le anime di coloro per i quali la preghiera viene effettuata, mentre questo sacrificio santo e solenne è preparato.

Io so che ci sono molti che dicono: 'Se un'anima si diparte da questo mondo di peccati, che cosa le giova di essere ricordata nella preghiera' [...] [Noi] concediamo una remissione delle loro sanzioni [...] anche noi offriamo preghiere a lui per coloro che si sono addormentati, anche se sono peccatori. Non intrecciamo una corona, ma offriamo Cristo che è stato sacrificato per i nostri peccati; e in tal modo propiziamo Dio benevolo per loro così come per noi stessi.

23 [Mistagogie 5], 8, 9, 10

Nel suo Testamento, sant'Efrem il Siro (A.D. 373) richiede:

"Non mi seppellite con spezie dolci: questo onore non mi avvale; né con incensi e profumi: quest'onore non mi porta benefici. Bruciate spezie dolci nel luogo santo: e quanto a me, conducetemi alla tomba con la preghiera. Offrite incenso a Dio: e su di me inviate inni. Invece di profumi e spezie, fate memoria di me nella preghiera.

Questa offerta di incenso e preghiere per i defunti è esattamente ciò che la Chiesa ortodossa fa fino a oggi con il Trisaghion per i morti.

Sant'Epifanio di Salamina dice dei defunti:

"È utile anche l'orazione fatta per loro, anche se non cancella tutto l'onere delle loro colpe. Ed è anche utile, perché in questo mondo spesso cadiamo volontariamente o involontariamente, e quindi è un ricordo per agire meglio noi stessi.

Panarion, 75:8

E, infine, san Giovanni "Crisostomo", scrive (A.D. 392):

"Aiutiamoli e commemoriamoli. Se i figli di Giobbe erano purificati dal sacrificio del loro padre (Giobbe 1:5), perché dovremmo dubitare che le nostre offerte per i morti portino loro qualche consolazione? Non esitiamo ad aiutare coloro che sono morti e a offrire le nostre preghiere per loro.

Omelie sulla prima lettera ai Corinzi, 41:5

Così si può vedere, quindi, che le preghiere per i defunti non sono qualcosa di nuovo e di tardivo, inventato da una Chiesa corrotta, ma sono state tra il popolo di Dio fin da prima ancora dei tempi di Cristo, proseguendo senza interruzione nella nuova era della Chiesa della risurrezione. Dopo tutto, come disse Giuda Maccabeo, è a causa della "speranza della risurrezione" che si cerca di offrire queste preghiere.

In conclusione, è importante notare ciò che tutto questo non significa, dal momento che ci possono essere abusi di questa pratica.

In primo luogo, non dobbiamo pregare i santi nel senso di chiedere loro di compiere miracoli "a buon mercato" separati da Cristo. Qualcuno che esita ad accettare le preghiere ai santi e agli angeli potrebbe pensare a un amico che prega un santo solo per aiutarlo a trovare le chiavi perdute dell'auto o per qualche altra circostanza relativamente banale. A mio modesto parere, questo è un abuso superstizioso. Il punto delle preghiere ai santi è di chiedere la loro intercessione presso Cristo per conto proprio, e per il bene della propria guarigione, salvezza, o santificazione. I santi non sono incantesimi magici; sono i giusti defunti del corpo di Cristo.

In secondo luogo, tutto ciò che riguarda le nostre petizioni alla beata sempre vergine e Madre di Dio Maria, pure riguarda tutti i santi. La vergine Maria non è una "divinità" che invochiamo per salvarci senza Cristo, né è lei la nostra redentrice. È colei che umilmente ha aperto la strada perché attraverso l'Incarnazione entrasse in questo mondo il Redentore, e in lui la successiva redenzione del genere umano – ma non è lei stessa il Redentore in alcun senso. È stata la prima santa e cristiana a essere ripiena di Spirito Santo e a servire come tempio di Dio, prima della formazione e della crescita della Chiesa. Non dovremmo mai sminuire il ruolo di Maria nella storia della redenzione, né erroneamente sopravvalutare il suo ruolo di santa che ha partorito Dio (Theotokos). Chiediamo a Maria di "salvarci" attraverso le sue intercessioni a Cristo per nostro conto, e niente di più (ma anche, niente di meno). Proprio come l'apostolo Paolo ha pregato per la salvezza di Onesiforo, chiediamo alla vergine Maria e a tutti i santi in cielo di pregare anche per la nostra salvezza, sapendo che hanno finito la gara posta di fronte a loro e sono in un'unione più intima e realizzata con Cristo in cielo – in presenza dell'Agnello (Apocalisse 14:4-5) – rispetto a quella che abbiamo, al momento, qui sulla terra.

In terzo luogo, la dottrina della comunione dei santi e la retta pratica di intercedere e di chiedere l'intercessione dei santi defunti non è un avallo della dottrina del Purgatorio, né dipende da questa dottrina. Io non credo nel Purgatorio, né lo fa la Chiesa ortodossa; infatti, è stata una grande divisione dottrinale tra le Chiese ortodosse e la sede di Roma nel XV secolo e in quelli precedenti. Mentre esiste sicuramente un tempo per la tentazione e il pentimento nell'ora della propria morte (cioè le stazioni di pedaggio dell'aria, che sono chiaramente una parte della tradizione ortodossa), questa non è la stessa cosa del Purgatorio, né è stata in alcun senso sviluppata in modo critico come dottrina.

Alla fine, mi auguro che questa esplorazione sia servito per aiutare chi si preoccupa per l'intercessione dei / ai santi, e che faccia più bene che male a tutti coloro che la leggono. C'è molto di più che può essere detto, e io non sono attrezzato per andare davvero molto più in profondità in questo argomento di quanto ho fatto ora, quindi perdonatemi per tutto ciò che manca. Tuttavia, spero che abbia dato a tutti almeno qualcosa su cui pensare, riflettere e meditare, sapendo che questa è stata una pratica accettata della Chiesa per oltre 2.000 anni (e anche al tempo degli antichi giudei).

Come tale, questo argomento deve essere affrontato con riverenza e cura, con amore per Cristo e per la sua santa Chiesa.

"Con il santo profeta, precursore e battista Giovanni; con i santi gloriosi apostoli degni di ogni lode; con il santo ... (del giorno) di cui pure compiamo memoria, e con tutti i tuoi santi: per le loro suppliche visitaci, o Dio. E ricordati di tutti quelli che già dormono nella speranza di risurrezione a vita eterna, e dona loro il riposo dove veglia la luce del tuo volto."

Divina Liturgia di san Basilio il Grande

 
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Ho avuto un aborto...

Quando avevo 24 anni, ero incredibilmente dipendente da mia madre. Probabilmente non c’è motivo di parlare dell’ambiente della nostra famiglia. Mi limito a dire che praticamente per tutta la mia vita di mia madre è stata gravemente malata, e la sua malattia fisica influiva sulla sua psiche. L’atmosfera in casa era sempre opprimente - c’era un’incredibile meschinità mentale, sospettosità, ostinazione e isterismo. I miei più piccoli tentativi di disobbedire ai comandi di mia madre finivano in scandali, accuse gravi e le frasi più spaventose, su come la mia disobbedienza avrebbe inevitabile fatto deteriorare e morire mia madre.

È così difficile vivere un’infanzia gravata dalla sensazione che uno dei tuoi errori può costare la vita a qualcuno, qualcuno che ami più di tutto il mondo. In generale, nonostante tutta la mia paura prima di mia madre, ho fatto cose stupide. Dopo un po’ di tempo mi sono preparata a sposare un perfetto sconosciuto che non amavo. Questa era la mia unica possibilità di scappare almeno lontano dal caos della mia famiglia. Ho cercato di non pensare a come stessi cadendo da una trappola in un’altra.

La diffidenza di mia madre si era ancora di più acuita in quel momento, e si era messa a controllare i miei periodi mensili. I miei tentativi di fuggire in qualche modo da quella gretta supervisione mi ha portato solo nuovi scandali e accuse di tutto ciò che poteva entrarle in testa.

E così in quel tipo di ambiente mi è capitato di avere un ritardo. È passato un giorno, due... Non ero semplicemente in preda al panico, ero terrorizzata. Parlare apertamente a mia madre era del tutto impensabile dato che ero assolutamente certa che un simile shock l’avrebbe fatta morire rapidamente, e non potevo a vivere con la sua morte sulla coscienza. Nel frattempo ho dovuto fingere di avere avuto i periodi e cercare una via d’uscita. Seguendo il consiglio di alcuni amici, ho fatto bagni di senape, ho preso manciate di Redoxon, ma non è servito a niente.

Dopo altri due giorni mi sono forzata a parlare a due colleghe, che erano abbastanza grandi da essere mia madre, del mio problema.

“Di cosa ti lamenti, Daria? Di quante settimane è stato il ritardo?”

“Quattro giorni”.

“Ascolta, non lontano da qui una clinica aperta che fa i raschiamenti, se il ritardo non è stato più lungo di una settimana. Farne uno è un gioco da ragazzi, non è come un aborto normale. Vieni, tutto si fa presto e sei a casa in un’ora. E costa anche poco. Hai i soldi? “

Avevo un po’ di soldi. Mi avevano dato, non molto tempo prima, 300 rubli dal bilancio familiare per le spese di matrimonio, e così ho potuto provare a rubricare i costi dell’aborto alla voce “altre spese”. Il mio fidanzato era abbastanza indifferente alla notizia, e ha lasciato decidere tutto a me. Non mi ha dato soldi, ma ha accettato di accompagnarmi in clinica.

Ho chiamato la clinica, ho preso un appuntamento, e mi sono trascinata lentamente dalla casa, come da richiesta, con una coperta e una camicia da notte. All’ingresso della clinica le mie ginocchia stavano già tremando, ho avuto la nausea, e ho camminato in stato confusionale.

Nella sala d’attesa stavano decine di ragazze, per lo più molto più giovani di me, e c’erano poche adulte tra loro. Ci hanno portato l’una dopo l’altra per poco più dell’esame necessario, l’analisi, e poi nello spogliatoio prima della sala operatoria. Nessuno ha cercato di parlarci, e l’atteggiamento verso di noi era sdegnoso e degradante.

Quando non era rimasta più nessuna davanti a me, ho avuto un forte desiderio di abbandonare tutto, sputare sui miei soldi e scappare. Poi mi sono ricordata il volto di mia madre, e sono rimasta. Dalla sala operatoria è uscita una ragazza a capo chino, bianca come la carta, ed è arrivato il mio turno. Mi hanno dato compresse anti-spasmo da bere, per indebolire un po’ i muscoli. Ho accuratamente chiesto anestetici, e l’infermiera mi ha richiamato scortesemente e ha detto che per le persone come me non ci sono anestetici, e che non eravamo signore da pretenderli.

Mi hanno stesa su un tavolo alto, agganciata a una sorta di tubo, e hanno avviato una macchina... Ho provato un dolore che non ho mai sentito prima o dopo. Dolore e terrore...

L’infermiera poi mi ha detto di scendere e andare in un’altra stanza dove sono rimasta sdraiata per mezz’ora con un impacco di ghiaccio sulla pancia. Mi sembrava di essere caduta in deliquio, ma a tutti gli effetti la mia coscienza si era decisamente spenta, e sono letteralmente caduta in una sorta di luogo buio. Dopo qualche tempo mi hanno risvegliata e mi hanno detto di andare a casa. Un brivido nervoso mi ha scosso fino a casa, ma a casa ho dovuto forzare un sorriso sul volto, raccontare qualche storia fittizia di una romantica passeggiata sotto gli alberi di ciliegio, e sono andata a dormire. Questo è avvenuto a metà di maggio del 1989.

Poi c’è stato il matrimonio, che si è concluso dopo un anno e mezzo con un divorzio, poi il battesimo e i  tentativi falliti di diventare una fedele regolare della Chiesa, un secondo matrimonio, due figli, e la morte di mia madre. Ho avuto una grave depressione, e non riuscivo a trovarne la ragione.

Da allora, sono giunta a capire meglio alcune cose. La cosa più importante, non ero in realtà incinta la prima volta. Ci sono stati alcuni problemi anche prima di quel momento, la probabilità di una gravidanza dai nostri “esperimenti” con il mio primo fidanzato era estremamente bassa, e anche lui stesso, come si è scoperto in seguito, era praticamente sterile. Mandavano tutte a questa operazione con la macchina “in modo che servisse di lezione”, anche se il denaro che si sono presi non era poco nell’89.

Ho cercato di far sentire la mia mente a proprio agio con questo, ma la depressione non è andata via. A volte la depressione è diventata più forte, e qualche volta rimanevo semplicemente seduta e intontita dal dolore. Sono andata fuori di testa per questa sensazione e non sapevo come avrei più potuto convivere con essa. Dopo qualche tempo sono infine entrata in Chiesa.

Lentamente l’idea di quello che avevo fatto mi si è presentata per davvero. Che si trattasse di un bambino o no non è importante. Molti anni fa avevo deciso dentro di me di fare un aborto, e questo era tutto ciò che era necessario per farmi sentire un’assassina.

Il pentimento reale mi è venuto in quel momento, fino alle lacrime. Più volte ho cercato di raccontare tutto questo in confessione, ma ogni volta iniziavo a spiegare che un peccato commesso prima del battesimo mi stava tormentando, e a questo punto il sacerdote mi interrompeva dicendo, come può essere, sembra che non credi che il sacramento del battesimo lava via tutti i peccati commessi in precedenza. Non ho avuto la possibilità di spiegare che ero stata battezzata in modo praticamente casuale, senza capire il senso di tutto ciò, non ero preparata... Non c’era stato, al momento del battesimo, un momento di pentimento e una rinuncia alla mia vita precedente...

Durante la Grande Quaresima di quest’anno il ricordo di quello che ho fatto è diventato ancora più intenso. Ogni volta che mi sono preparata per la confessione (mi sono confessata ogni settimana) ho involontariamente ricordato prima di tutto l’aborto, e ho cercato di convincermi che una volta che il prete ha detto quelle parole, significa che non vi era alcun motivo per ritornarvi. Purtroppo, è tornato esso stesso con sempre più dolore spirituale.

Finalmente è venuto un giorno in cui sono letteralmente caduta sul supporto del vangelo, e non c’era il prete “buono” (dal quale mi volevo confessare), ma il prete “severo”. Ho sbottato “Non posso andare oltre ... in gioventù a causa della paura dei miei genitori ho avuto un aborto...”

Non mi ricordo quello che ho detto dopo, o quello che ha detto il sacerdote. Mi ricordo come mi ha impressionato la sua reazione. Mi aspettavo che mi rimproverasse, che mi trattasse severamente, ma invece ho visto compassione e dolore per me... Quella volta non mi ero preparata per la comunione dato che il mio conflitto spirituale mi tormentava così tanto che non riuscivo a forzarmi a portare con me il mio libro di preghiere, e due giorni prima della confessione, ho avuto semplicemente un esaurimento (c’era qualcos’altro accanto alle mie sofferenze per l’aborto ).

Tuttavia, mi ha benedetto per prendere la comunione. “Va’, fa’ la comunione, queste ferite hanno bisogno di essere guarite...”

Da allora, a poco a poco ho iniziato a guarire...

 

Tradotto dal russo da padre Savatii Lewis (Jordanville)

 
Intervista al Metropolita Hilarion della Chiesa Russa all'Estero

Il Metropolita Hilarion (al secolo Igor' Alekseevich Kapral, nato a Spirit River, Alberta, Canada nel 1948) è dal maggio 2008 il primo ierarca della Chiesa Russa all'Estero con il titolo di Metropolita di New York e dell'America orientale; dato che la sua figura è poco conosciuta in Italia, anche negli ambienti ortodossi, ci sembra opportuno familiarizzarci con lui attraverso l'intervista da lui concessa alla Komsomolskaja Pravda al momento della sua elezione a capo del Sinodo della ROCOR. Il testo, in russo e in Italiano, è nella sezione "Figure dell'Ortodossia contemporanea" dei documenti.

 
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La coliva - il suo significato e la sua preparazione

La coliva (talvolta scritto "Koliva", e alternativamente pronunciato "cóliva" oppure "colíva", a seconda delle derivazioni linguistiche e geografiche) è un dolce a base di grano bollito e di miele, usato nella tradizione cristiana ortodossa come pasto simbolico nelle commemorazioni dei defunti.

Il nome ha una quantità di varianti a seconda delle lingue (in greco κόλλυβα, kólliva; in serbo кољиво, koljivo; in romeno colivă; in bulgaro коливо, kolivo; in ucraino коливо, kolyvo)

Anche le ricette hanno un gran numero di varianti. L'ingrediente primario sono chicchi di grano bolliti fino al punto da renderli soffici, e quindi addolciti (tradizionamente con miele, ma oggi anche con zucchero). Mescolati al grano, secondo le varie ricette, possono esserci: semi di sesamo, mandorle e noci tritate, cannella, semi di melograno, uva passa, anice, prezzemolo e menta. Per decorazione, si usa ricoprire la coliva con polvere di zucchero o polvere di cacao (spesso con motivi ornamentali di croci), pezzi di cioccolata, mandorle glassate o caramelle di varie forme e colori.

Così come le ricette, anche le presentazioni della coliva da offrire in chiesa hanno diverse varianti. La coliva si offre in ciotole, oppure in vassoi dove è sistemata con un rialzo centrale, in modo da somigliare a una tomba (in questo caso il colore scuro del grano sottolinea la somiglianza con la terra della sepoltura). Spesso nel centro della coliva, o della croce della decorazione in superficie, si pianta una candela, che si accende durante la funzione funebre.

Tutti gli ingredienti sono scelti per il loro valore simbolico collegato alla morte e alla risurrezione: il grano ricorda la vita che per risorgere deve essere sepolta nella terra (il riferimento evangelico è Giovanni 12:24, "se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto"); il miele ricorda la terra promessa e la dolcezza della vita eterna, che è espressa anche da tutta la ricchezza di semi e frutti mescolati al grano.

L'usanza di preparare la coliva con riso o con orzo al posto del grano nasce da una risposta pratica nei tempi di carestia in Unione Sovietica, in cui i fedeli non avevano grano a disposizione (la pratica è poi continuata in alcune comunità fino a oggi), oppure da paesi orientali (come il Giappone e l'Indonesia) in cui il grano è raro da trovare.

La coliva si usa in diverse occasioni di commemorazione dei defunti: le funzioni memoriali private per una persona o per una famiglia, oppure le funzioni officiate nei giorni di commemorazione generale, tra cui il Sabato di san Teodoro (vedi sotto). Nella tradizione serba si offre anche alla Slava, la festa patronale di una famiglia o di un'associazione di persone.

La Slava serba contiene una preghiera di benedizione della coliva, recitata dal sacerdote:

O Signore, tu hai creato tutto con la tua parola, e hai ordinato alla terra di produrre vari frutti per la nostra gioia e il nostro nutrimento; tu hai disposto affinché i tre fanciulli e Daniele, nutriti di semi in Babilonia avessero volti più radiosi di coloro che erano cresciuti in mezzo al lusso; tu stesso, Re abbondante di misericordie, benedici questo frumento, a cui sono stati aggiunti vari frutti e santifica i fedeli che ne gusteranno, e che i tuoi servitori ti hanno offerto, per la tua gloria e in onore di ... (nome del santo o dei santi commemorati), e in memoria di quanti si sono dipartiti da questa vita nella vera fede. Ascolta, o Signore misericordioso, tutte le preghiere per la salvezza di quanti lo hanno preparato e che mantengono questa tradizione, e concedi loro di godere dei tuoi beni eterni, attraverso l'intercessione della nostra tuttasanta, purissima, più che benedetta e gloriosa Sovrana, Madre di Dio e semprevergine Maria, e di ... (nome del santo o dei santi commemorati), di cui stiamo onorando ora la memoria, e di tutti i tuoi santi. Poiché tu sei colui che benedice e santifica ogni cosa, e a te innalziamo la gloria, Dio eterno, assieme al tuo unigenito Figlio e al santissimo e vivifico tuo spirito, ora e sempre, e nei secoli dei secoli.

In generale, dopo le consuete commemorazioni funebri, non si usa leggere preghiere particolari di benedizione per la coliva, ma talvolta la si asperge con acqua benedetta (oppure, in alcune tradizioni locali, vi si versa un poco di vino). La coliva è solitamente portata alla mensa dopo le funzioni, ma non è vietato consumarla anche in chiesa (o attorno alla tomba dei defunti commemorati). I partecipanti condividono la coliva ricordando i defunti e dicendo "Che Dio li perdoni".

Il Sabato di san Teodoro

La tradizione di benedire e mangiare la coliva alla fine della prima settimana della Grande Quaresima è commessa a un evento del regno di Giuliano l'Apostata. La tradizione dice che l'imperatore sapeva che i cristiani sarebbero stati affamati dopo la prima settimana di stretto digiuno, e al sabato sarebbero andati ai mercati di Costantinopoli a comprare cibo. Così ordinò che fosse asperso sangue da sacrifici pagani su tutti i cibi venduti nei mercati. Questo rese i cibi inadatti per la Quaresima (in cui i cristiani non mangiavano carne) e in generale come cibo per i cristiani, che non mangiavano cibi offerti agli dei pagani. Tuttavia, il grande martire san Teodoro Tirone (morto circa sessant'anni prima) apparve in sogno all'arcivescovo Eudossio gli suggerì di non dare in quel giorno al popolo cibo dai mercati, ma solo grano bollito misto a miele. Come risultato, il primo sabato della Grande Quaresima è divenuto noto come Sabato di san Teodoro.

Come preparare la coliva

coliva greca con una decorazione molto elaborata sulla superficie

La principale preoccupazione nella preparazione della coliva deve essere quella di far ammorbidire il grano tanto da renderlo facile da mangiare, possibilmente senza portarlo al punto da far scoppiare i chicchi. A seconda dei tipi di grano, è sufficiente una bollitura di un'ora o poco più in acqua (il grano richiede una quantità d'acqua superiore a quella del riso); il grano mondato cuoce più in fretta. E' meglio cuocere il grano il giorno prima della funzione, e scolarlo dopo la cottura (eventualmente passandolo sotto l'acqua fredda, per fermare la cottura se i chicchi rischiano di scoppiare).

Una notte di riposo garantisce che il grano sia sufficientemente asciutto per poterlo mescolare con il miele e i vari ingredienti aggiuntivi. Alcuni di questi ingredienti (per esempio l'uva passa) possono richiedere un periodo di ammollo. Nonostante il processo di drenaggio del grano, l'umidità può essere ancora sufficiente a rovinare le decorazioni superficiali fatte con zucchero a velo o polvere di cacao. In tal caso, si può frapporre uno strato intermedio, fatto per esempio di fette biscottate tritate.

L'unico vero problema per la salute collegato alla coliva può essere dato da una fermentazione improvvisa del grano dopo la bollitura. Se il grano viene lasciato riposare a lungo (per esempio una notte) basta non tenerlo a una temperatura ambiente troppo elevata: se necessario, può stare in frigorifero. Dopo la funzione, è opportuno consumare la coliva in giornata, e comunque non lasciarla al caldo.

 
La preghiera di Gesù in molte lingue

• In arabo: أيها الرب يسوع المسيح ابن الله, إرحمني أنا الخاطئ

• In armeno: Տէր Յիսուս Քրիստոս Որդի Աստուծոյ ողորմեա ինձ մեղաւորիս

• In bielorusso: Пане Езу Хрысце, Сыне Божы, змілуйся нада мною грэшным (грэшнай).

• In bulgaro: Господи Иисусе Христе, Сине Божий, помилуй мене грешния (грешната).

• In ceco: Pane Ježíši Kriste, Syne Boží, smiluj se nade mnou hříšným.

• In cinese: 主耶穌基督,上帝之子,憐憫我罪人。

• In coreano: 주 예수 그리스도, 하느님의 아들이시여, 죄인인 저를 불쌍히 여기소서.

• In croato: Gospodine Isuse Kriste, Sine Božji, smiluj se meni grešnome.

• In ebraico: אֲדֹונָי יַשׁוּעַ הַמַשִיחַ, בֵּן אֱלֹהִים, חָנְנֵנִי חוֹטֵא.

• In esperanto: Sinjoro Jesuo Kristo, Filo de Dio, kompatu min pekan.

• In estone: Issand Jeesus Kristus, Poeg Jumal, halasta mind patune (testo approssimativo).

• In filippino: Panginoong Hesukristo, Anak ng Diyos, kaawaan mo kaming makasalanan!

• In finlandese: Herra Jeesus Kristus, Jumalan Poika, armahda minua syntistä.

• In francese: Seigneur, Jésus Christ, Fils de Dieu, aie pitié de moi, pécheur.

• In georgiano: უფალო იესო ქრისტე, ძეო ღმრთისაო, შემიწყალე მე ცოდვილი.

• In giapponese: 主イイスス・ハリストス、神の子よ、我、罪人を憐れみ給え。

• In greco: Κύριε Ἰησοῦ Χριστέ, Υἱέ τοῦ Θεοῦ, ἐλέησόν με τὸν ἁμαρτωλόν

• In indonesiano: Tuan Yesus Kristus, Putera Allah, Kasihanilah aku, orang berdosa.

• In inglese: Lord Jesus Christ, Son of God, have mercy on me, a sinner.

• In italiano: Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi misericordia di me peccatore.

• In latino: Domine Iesu Christe, Fili Dei, miserere mei, peccatoris.

• In lettone: Kungs Jēzu Kristu, Dieva Dēls, apžēlojies par mani, grēcinieku.

• In lituano: Viešpatie Jėzau Kristau, Dievo Sūnau, pasigailėk manęs, nusidėjėlio.

• In macedone: Господи Исусе Христе, Сине Божји, помилуј ме грешниот.

• In malese: Wahai Isa-al-Masih, Putra Allah, kasihanilah aku, sesungguhnya aku ini berdosa.

• In maltese: Mulej Ġesù Kristu, Iben ta’ Alla l-ħaj, ikollok ħniena minni, midneb.

• In norvegese: Herre Jesus Krist, Guds son, miskunna deg over meg, ein syndar!

• In olandese: Heer Jezus (Christus), Zoon van God, ontferm U over mij, zondaar.

• In osseto: Хицау Йесо Чырысти, Хуцауы Фырт, таригъæд мын бакæн.

• In polacco: Panie Jezu Chryste, Synu Boży, zmiłuj się nade mną, grzesznikiem.

• In portoghese: Senhor Jesus Cristo, Filho de Deus, tende piedade de mim, pecador.

• In romeno: Doamne Iisuse Hristoase, Fiul lui Dumnezeu, miluieşte-mă pe mine păcătosul.

• In russo (ortografia antica) Господи Іисусе Христе, Сыне Божій, помилуй мя грѣшнаго (грѣшную)

• In russo (ortografia moderna) Господи Иисусе Христе, Сыне Божий, помилуй мя грешнаго (грешную)

• In serbo: Господе Исусе Христе, Сине Божји, помилуј ме грешног.

• In slavonico ecclesiastico (pre-nikoniano) Го́споди Ісу́се Христѐ Сы́не Бо́жїй поми́луй мѧ грѣш(ь)наго (грѣшную)

• In slavonico ecclesiastico (post-nikoniano) Го́споди Іису́се Христѐ Сы́не Бо́жїй поми́луй мѧ грѣшнаго (грѣшную)

• In slovacco: Pane Ježišu Kriste, Synu Boží, zmiluj sa nado mnou hriešnym.

• In svedese: Herre Jesus Kristus, Guds son, förbarma dig över mig (senza la parola «peccatore»).

• In spagnolo: Señor Jesucristo, Hijo de Dios, ten piedad de mí, pecador.

• In tataro: Әфәнде Гәйсә Мәсих, Алланың Улы! Гөнаһлы мине кызган!

• In tedesco: Herr Jesus Christus, (du) Sohn Gottes, hab Erbarmen mit mir (Sünder).

• In turco: Rab İsa Mesih, Tanrı’nın Oğlu, beni bir günahkar merhamet var.

• In ucraino: Господи Ісусе Христе, Сину Божий, помилуй мене грішного.

• In ungherese: Uram Jézus Krisztus, Isten Fia, könyörülj rajtam bűnösön!

 
Santa Anastasia di Sirmio (281-304 d.C.)

Icona: Santa Anastasia - per gentile concessione del Monastero della santa Trasfigurazione, Boston

La Santa Martire Anastasia di Sirmio nacque nel 281 a Roma, da una famiglia patrizia. Sotto le persecuzioni di Diocleziano (302-305) svolse un'intensa attività di carità e di soccorso a favore dei cristiani incarcerati. Fu martirizzata nel 304 a Sirmio, la capitale della provincia romana dell'Illirico orientale (oggi Sremska Mitròvitza, nella Serbia occidentale). La sua canonizzazione ebbe luogo nel 467 a Costantinopoli. Dal V al XV secolo, conobbe una straordinaria devozione in tutta l'Europa mediterranea, subalpina e danubiana: in particolare, nell'XI secolo i monaci benedettini le dedicarono molte chiese e cappelle in Italia, Francia e Germania. In Russia la sua devozione arrivò nel X secolo da Costantinopoli assieme alla fede cristiana. Nei Balcani, gli antenati degli attuali Serbi, Croati e Bosniaci la veneravano come patrona comune. Fu chiamata in greco Farmacolìtria (Guaritrice dai veleni), e in russo Uzoreshìtel'nitza (Colei che libera dai vincoli), un simbolismo che unisce le immagini della guarigione dalle malattie e dello scioglimento dagli inganni demoniaci. Era anche considerata quale simbolo della Risurrezione (che è il significato del suo nome, dal greco Anàstasis). La sua festa cade il 22 dicembre, riunendo la simbologia della Natività di Cristo a quella della sua Risurrezione. Elevata al rango di Megalomartire, o Grande Martire, è una dei quindici martiri nominati nel Canone eucaristico. Dopo la separazione tra Oriente e Occidente cristiano, la sua figura di legame tra i due mondi perse di importanza, e fu gradualmente dimenticata. All'inizio del terzo millennio, tuttavia, la sua dimensione umana e spirituale (una figura ante litteram di "medico senza frontiere", simbolo di carità e soccorso ai perseguitati) unisce la storia e la cultura dell'Ovest e dell'Est europeo, come personaggio proto-europeo per eccellenza, riferimento ideale per il ritrovamento delle comuni radici e per l'edificazione culturale e morale di un'Europa concorde e pacifica. La sua figura antitetica alla guerra assume un immenso valore in una terra lacerata da un lungo conflitto civile, e la martire di un conflitto balcanico del V secolo può essere simbolo di riconciliazione per i popoli dell'ex-Yugoslavia e dell'intera Europa.

 
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Intervista a padre Gabriel (Bunge)

È sempre un piacere e una buona edificazione spirituale sentir parlare il nostro confratello ed esperto di patristica, lo schema-archimandrita Gabriel (Bunge), che nella sua recente visita a Mosca ha rilasciato una interessante intervista, apparsa su Pravmir.com (in inglese) e su Pravmir.ru (in russo), e inoltre registrata e diffusa su YouTube. Presentiamo la trascrizione dell’intervista nella versione russa e nella nostra traduzione italiana, nella sezione “Figure dell’Ortodossia contemporanea” dei documenti, con il titolo: “non si può essere qualcosa di più di un cristiano”.

 
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Una formula per risultati magici

“Se vuoi essere perfetto va’, vendi tutto ciò che possiedi…”

Il Vangelo contiene tutte le indicazioni necessarie per la santità, e se la gente volesse seguire passo dopo passo le direttive date da Gesù Cristo stesso, vedremmo compiersi progressi spirituali come per magia. Le formule di Gesù sono davvero magiche, in un certo senso, dobbiamo soltanto seguirle alla lettera. Spesso desideriamo una maggiore perfezione, un’unione intima con Dio, ma ci rifiutiamo di iniziare dall’inizio, di gettare solide fondamenta per l’edificio spirituale.

Qual è l’inizio? Il nostro Signore risponde Egli stesso a questa domanda: “Se vuoi essere perfetto,” dice, “va’, vendi tutto ciò che possiedi e dallo ai poveri, poi vieni e seguimi”. Il primo passo per chi vuole seriamente impegnarsi sulla strada della perfezione è perciò l’effettivo distacco materiale, come dice il nostro Signore.

Praticamente nessuno parla mai di questo tipo di distacco. I cristiani, e gli stessi preti, diranno: “Ebbene, è una questione di distacco del proprio cuore dalle cose della terra”. Certamente, il cristianesimo non vieta il possesso. Chi vuole avere proprietà deve almeno essere distaccato nel proprio cuore. Ma se vogliamo la santità, al posto di una ordinaria piccola virtù, è necessario un effettivo distacco dai beni materiali, dato che il Vangelo dice che “è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, piuttosto che un ricco entri nel regno dei cieli”.

Sia noi che il mondo abbiamo bisogno che ci sia ricordata questa realtà. Nel darci la ricetta per arrivare alla perfezione, il nostro Signore non ha detto “inizia a distaccarti dalle persone che ami”, oppure “inizia dal digiuno”. No. Egli ha detto “va’ e vendi tutto ciò che possiedi”. Questo significa “la tua casa, la tua auto, i tuoi mobili, ogni cosa”. Egli non ha detto “va’ e affitta la tua casa nel caso che cambi idea.” E non ha detto neppure: “va’ a mettere il tuo denaro in fondi di investimento, banche o compagnie di assicurazioni”.

Quanta gente oggi mette la propria fiducia nei beni di questo mondo! Non hanno fede in Dio, ma hanno fede nel piccolo mucchio di soldi che tengono come grande sicurezza per il futuro. Vogliono assicurazioni per la terra, ma quali assicurazioni hanno per il cielo? Tra breve vi presenterò alcuni fatti per illustrare come, se mettessimo tutta la nostra fede in Dio, Egli stesso farebbe miracoli per conto nostro. Dio non si lascia superare in generosità.

Notate come il nostro Signore abbia detto: “va’, vendi tutto ciò che possiedi e dallo ai poveri”. Non ha detto “dallo ai tuoi figli, ai tuoi amici, perché possano vivere una vita più confortevole e mondana”. Noi infatti siamo spesso tentati ad ascoltare i nostri desideri, a dare a quelli che amiamo anche se essi hanno già il necessario, e più del necessario. Questo è ciò che dobbiamo fare se vogliamo vivere secondo il Vangelo.

Se solo il clero seguisse questa parola del Vangelo alla lettera, se ritirasse il proprio denaro e lo distribuisse ai poveri, vedremmo ovunque un enorme risveglio della fede. Ci sarebbe una conversione generale. La gente inizierebbe a credere al Vangelo. Per aiutare la Chiesa abbiamo bisogno di una riforma del cuore, di un distacco dalle cose terrene, non di cambiamenti liturgici o di comitati pastorali. Il clero dovrebbe ritirare i miliardi che investe in fondi bancari e fare lo sforzo di organizzare qualcosa per aiutare i poveri. Ora, notate ciò che vi dico: se si facesse così, la gente riscoprirebbe di nuovo la fede. Sentiremmo dire: “Sembra che il Vangelo sia proprio vero, dato che nel suo nome i preti si distaccano da tutti i propri beni”. Le chiese si riempirebbero, e trovando la felicità data dalla fede e dalla confidenza in Dio, la gente non cercherebbe rifugio altrove.

Ma, miei cari fratelli e sorelle, non pensate che siamo a posto con Dio se ci accontentiamo di gettare accuse al clero. Il Vangelo parla a tutti. Il dovere di compiere atti di distacco appartiene a ciascuno di noi. Avendoci chiamati a quest’opera, Dio ci chiede di farci avanti, di mostrare la via iniziando a distaccarci completamente. Ecco come otterremo la grazia del distacco per gli altri, e come richiameremo per noi ogni sorta di grazia. Vedo lo straordinario progresso spirituale compiuto da chi ha voluto fare questo primo passo: vendere i propri beni e darli ai poveri. Chi non si è distaccato procede in circolo. Non ha la grazia per il resto perché non ha iniziato dall’inizio. È un po’ come costruire una casa senza gettare le fondamenta. Il distacco universale costituisce le fondamenta, la base del servizio a Dio. Senza di esso, niente di reale può essere fatto.

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San Francesco d’Assisi comprese la necessità di questo primo passo. Quando il ricco Bernardo di Quintavalle venne da lui a spiegargli il suo desiderio di diventare un frate minore, san Francesco gli disse: “Sei ricco, Bernardo. Vieni con me. Andremo a buttare tutto il tuo denaro nel mezzo della strada.” E Bernardo accettò. Potete immaginarvi la scena. Se un giorno io dicessi a uno che vuole distaccarsi dai suoi averi che andremo a gettarli tutti in mezzo alla strada, mi direbbe senza dubbio: “è una cosa terribile buttare in quel modo il denaro che ho guadagnato al prezzo del sudore della mia fronte! E ora il padre vuole andare a buttarlo in mezzo alla strada? Dev’essere matto. Ciò che mi chiede non può certo venire da Dio.”

Noi daremmo un giudizio simile perché non abbiamo in noi lo spirito di Dio, fratelli e sorelle. Padre Silvestro, un membro del clero del tempo di Francesco, vedendo quel denaro gettato per strada, gridò allo scandalo: “Che spreco! Dovete essere usciti completamente fuori di senno per agire così. Invece di gettar via il vostro denaro in quel modo, datelo a me per la mia chiesa.” La storia dice che padre Silvestro era attaccato al suo denaro, e il suo apparente zelo era solo ipocrisia. Così san Francesco iniziò a dargli soldi a manciate: “Ecco, padre,” disse, “ecco del denaro. Prendine quanto ne vuoi.” L’avaro padre Silvestro fu così toccato da questo gesto, che distribuì i propri averi ai poveri e chiese di essere ammesso all’ordine di san Francesco. Divenne san Silvestro, il primo prete dell’Ordine dei Frati Minori.

Il mondo ha bisogno di esempi di distacco che si qualificano come “stravaganti”. Il profitto che le anime avrebbero nel compiere o nel vedere tali gesti supererebbe tutto ciò che si può compiere con lo stesso denaro. Il mondo si getta in ginocchio davanti al denaro. Per controbilanciare questa idolatria, c’è bisogno di anime per le quali il denaro vale così poco da poterlo gettare in mezzo alla strada, per amore di Dio.

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Vorrei parlarvi un poco del signor e della signora D., un’anziana coppia che ho conosciuto. La signora D. era una vedova di 61 anni quando si risposò con il signor D., un vedovo di 65 anni. Al tempo del loro matrimonio il marito aveva 50.000 dollari in banca ed era molto attaccato al suo denaro, anche se non era privo di carità.

Ora, la signora D. era estremamente caritatevole, e si mise in testa di distribuire quel denaro ai poveri. In un batter d’occhio preparava un assegno per uno che ne aveva bisogno o per un altro, portandolo al suo vecchio per farlo firmare. Il signor D. voleva essere caritatevole, ma pensava che sua moglie esagerasse un poco. “Firma, firma,” gli diceva lei, “sai che nel Vangelo è scritto che è difficile per i ricchi entrare nel regno dei cieli”.

E il buon vecchio si lasciava vincere. Spesso prestavano denaro senza una ricevuta, e naturalmente ci fu chi si prese vantaggio di loro.

Un giorno un vicino che era stato molto duro verso di loro fu ridotto in povertà. La signora D. pensò, “Dobbiamo aiutarlo! Il Vangelo dice di rendere bene per male, e di fare del bene a chi ci perseguita. Qui abbiamo un’occasione unica di mettere in pratica questa carità”. Sapete cosa fece a questo punto la signora D.? Ipotecò la sua casa e prese 500 dollari da dare al suo nemico. Questo è ciò che io chiamerei carità!

C’era una famiglia che doveva ai D. 12.000 dollari. Un giorno la signora D. disse al suo vecchio: “Che ne dici se diamo loro una ricevuta per tutto ciò che ci devono? Queste persone dovrebbero vendere la loro casa per pagarci, e non li possiamo gettare sulla strada in tal modo, dopo tutto stiamo diventando vecchi. Può darsi che i nostri familiari causino loro dei problemi dopo la nostra morte. Andiamo dal notaio, e firmiamo per loro una ricevuta, così non dovranno più soffrire per il loro debito”. E così fecero.

Spesso il signor D. guardava in modo non troppo fiducioso agli atti di carità senza fine della moglie, anche se pure lui era generoso senza paragoni. La sua prudenza umana si stava preoccupando alla vista del suo conto in banca, un tempo considerevole.

“Francamente, vecchia mia, stai esagerando”, le diceva. “Avevo 50.000 dollari quando ti ho sposato, e ora abbiamo speso quasi tutto. Che ne sarà di noi nella nostra vecchiaia? E’ cosa buona essere caritatevoli, ma di questo passo moriremo come cani in mezzo alla strada.”

“Non parlare così, mio buon vecchio!”, esclamava la signora D., “stai offendendo la Provvidenza. Bada di non parlare più così. Dio ha detto nel Vangelo, ‘cercate prima il Regno di Dio e il resto vi sarà dato in sovrappiù.’ Vedrai che Dio si prenderà cura di noi.”

“Ma supponi che ci ammaliamo o restiamo invalidi. Se non abbiamo un centesimo, chi si prenderà cura di noi?”

“Dio non si fa superare in generosità”, rispose la moglie. “Abbiamo dato tutto, e Dio si prenderà cura di noi fino all’ultimo minuto. Vedrai, non ci mancherà nulla, non avremo bisogno di denaro fino alla fine dei nostri giorni. Non ne avremo bisogno, perché non ne abbiamo. Vedendo che noi abbiamo speso tutto per Dio, Egli provvederà a tutto. Non può tradirci e abbandonarci. Andiamo! Non sarebbe più Dio.”

E questo è esattamente ciò che accadde. Nonostante tali numerosi atti di carità, nonostante la loro santa mancanza di previdenza, il signor e la signora D. vissero dei propri mezzi e morirono nell’abbondanza. Quando la signora si ammalò, fu trasportata all’ospedale principale, dove le suore la trattarono come una principessa, in considerazione della sua eccezionale carità, di cui erano a conoscenza. La sua malattia durò solo nove giorni, al termine dei quali andò a ricevere la sua ricompensa. In seguito il marito ricevette dall’ospedale un conto molto piccolo. Non riuscì a spiegarsi perché fosse così piccolo.

Pochi mesi dopo la morte della moglie, fu il turno del signor D. di morire. Sua moglie lo aveva sempre rassicurato che Dio sarebbe venuto a prenderlo in un momento, e che non si sarebbe dovuto trascinare attraverso una lunga malattia. Ed è ciò che accadde. Si sentì male una sera, mentre stava recitando il rosario con un cardinale alla radio. Le persone che gli erano intorno chiamarono il dottore, e il signor D. morì due ore più tardi. Era stato a Messa due volte quel giorno, al mattino e al pomeriggio.

Tutto questo per dire che Dio non si lascia superare in generosità. Queste brave persone non avevano di fatto bisogno di denaro per la loro vecchiaia, dato che la moglie fu ammalata solo per nove giorni, e il marito per due ore. Fino a quel momento rimasero autosufficienti.

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Quant’è magnifico Dio! Vedremmo certamente accadere molte cose del genere se avessimo più fede in lui. E non ne avremo mai troppa. Noi accatastiamo denaro per la nostra vecchiaia, una vecchiaia che probabilmente non vedremo mai. Progettiamo ogni sorta di cose di cui godere nella vecchiaia o nella malattia. Ma se ci organizzassimo in modo differente, allora anche Dio sarebbe obbligato a sua volta a organizzare diversamente le circostanze.

Chi spreca per divertimento o per negligenza non può certamente contare sul fatto che Iddio provveda lo stesso alle sue necessità future. Ma se non abbiamo più denaro perché abbiamo dato tutto a fini caritatevoli, allora Dio ci porrà certamente in una situazione in cui, potrei quasi dire, non avremo alcun bisogno di denaro. Egli rimuoverà da noi la necessità di avere denaro, dato che non ne avremo più per motivi di carità.

Quante persone tengono denaro in banca “come sicurezza per la loro vecchiaia,” a quanto dicono. Dio farebbe meraviglie per noi se ciascuno avesse fede in lui per il futuro. Stiamo accumulando denaro per i tempi in cui saremo ammalati o senza aiuto? Dio può tenere lontane da noi la malattia, l’invalidità e ogni sorta di avversità se solo dessimo generosamente invece di essere avidi e pensare solo a noi stessi.

La gente si attacca a queste somme di denaro da cui spera di avere dei benefici invece di usarla per aiutare chi ne ha bisogno. Quanti dicono “Vorrei aiutarti, ma non ho denaro.” Stanno mentendo. Dovrebbero dire: “Non voglio donarlo, voglio tenerlo per la mia comodità e per il mio futuro”. Quanto è triste vedere il modo in cui tanti sono attaccati alle cose della terra e mancano di fiducia in Dio! È ancor più triste, dato che sappiamo che questo denaro non sarà loro utile, perché il denaro perderà valore. È una vergogna vedere tutto questo denaro che potrebbe servire per l’opera di Dio completamente perduto a causa dell’avarizia!

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“Cercate il Regno di Dio e la sua giustizia, e il resto vi sarà dato in sovrappiù.” (Mt 6:33) La promessa di Dio è infallibile, fratelli e sorelle. Servite Dio, pensate a come piacergli, ed egli si prenderà cura del resto. Se ci preoccupiamo e ci facciamo prendere dall’eccitazione, allora questa è la nostra condanna. È un’ammissione che non stiamo servendo Dio o che non abbiamo fede nella sua parola. Se davvero cercassimo il Regno di Dio e la sua giustizia, cioè se davvero servissimo Dio, tutto il resto ci arriverebbe in sovrappiù. Altrimenti Dio sarebbe un mentitore. Dovremmo dire che Gesù Cristo e il Vangelo non erano veri.

Dobbiamo avere fede nella parola di Dio, una fede illimitata, senza riserve. Il mondo dice: “Andiamo, non esagerate, dovete essere prudenti. Dovete tenere qualcosa.” Questa è la lingua del mondo, ma Gesù Cristo ci dice: “colui che lascia tutto per seguirmi riceverà il centuplo in questo mondo e la vita eterna.” (Mt 19:29) Se lasciamo tutto per Dio, se abbiamo fede, Dio manderà angeli se necessario ad aiutarci, e provvederà ai nostri bisogni.

Restate sicuri che non troveremo mai Dio in carenza di qualcosa. Leggete tutte le vite dei santi, sono piene di eventi meravigliosi che provano che Dio non si lascia mai superare in generosità. Leggete per esempio la vita di san Giuseppe Benedetto Cottolengo, il fondatore della “Piccola Casa della Divina Provvidenza” a Torino. È un santo del XIX secolo, morto nel 1842. Si prese cura di migliaia di poveri, vivendo esclusivamente di quanto inviava la Provvidenza. Questo santo fece azioni eroiche per ispirazione di Dio. Ogni sera era solito prendere i soldi che gli rimanevano e buttarli dalla finestra. Altri poveri si radunavano ogni giorno per raccogliere quei soldi. Egli agiva in questo modo come segno di fiducia in Dio. Riusciva a forzare la mano di Dio con la sua generosità e confidenza.

Un giorno fu trascinato in giudizio perché non poteva coprire certi debiti. Il giudice decise che la casa del Cottolengo sarebbe stata messa in vendita per pagare i suoi debitori, il che significava che il santo e i suoi poveri si sarebbero trovati per la strada. All’ultimo minuto, quando non c’era più speranza umana, entrò in tribunale un uomo, andò dal Cottolengo e gli diede la somma di denaro necessaria a estinguere i suoi debiti.

Dio non abbandona mai quelli che chi sono donati a lui, miei cari fratelli e sorelle. Non saremo mai convinti a sufficienza. Perché non vediamo simili meraviglie nelle nostre vite? Perché non agiamo in modo da meritarcele. Guardate alle vite di innumerevoli santi dell’Ordine dei Frati Minori di san Francesco, per esempio. Essi spingevano il distacco al limite dell’eroismo. Andavano a fondare conventi ovunque, senza avere assolutamente nulla, come dice il Vangelo: “Senza bisaccia né bastone…”. E Dio era obbligato a fare miracoli per loro.

Dio non ha da fare miracoli quando ce ne andiamo con tutti i nostri bagagli, tutto il nostro denaro, e con tutto previsto. Dato che organizziamo tutto da soli, Dio non interferisce. Abbiamo scelto di dipendere dalle nostre relazioni interpersonali, dai nostri beni – e Dio ci lascia a noi stessi dato che siamo così brillanti. In una famiglia, i genitori non si curano dei figli più grandi che sanno cavarsela da soli, ma si preoccupano molto dei piccoli che sono senza difese. Tutta l’attenzione e le carezze vanno a loro.

Noi avremmo le carezze di Dio, se fossimo come bambini senza difese. Questo è il segreto dei favori che i santi hanno ricevuto. Essi hanno abbandonato se stessi alla Provvidenza come bambini piccoli, con una fede illimitata nella parola del Dio infallibile. Dobbiamo dare a Dio una possibilità di compiere miracoli. Quanto a me, quando vedo che siamo assolutamente senza un soldo, e con debiti da pagare, dico a Dio: “Ebbene ora hai una buona possibilità di mostrare chi sei. Tu hai promesso di venirci incontro in tutto se ti serviamo – e noi abbiamo fiducia in te”. Naturalmente, possiamo sempre avere la preoccupazione di chiederci se stiamo servendo Dio in modo adeguato, perché anch’egli mantenga la sua promessa. Ci sono due parti in questo accordo. Dio non è tenuto a fare la sua parte se noi non lo serviamo, se non cerchiamo veramente il Regno di Dio e la sua giustizia, se non abbandoniamo tutto.

Finora Dio è sempre venuto a salvarci in tempo, nonostante la nostra indegnità. Abbiamo sempre avuto lo stretto necessario, anche se a volte abbiamo avuto problemi a far quadrare il bilancio. Ovviamente non dobbiamo aspettarci che Dio ci faccia dimorare nel lusso. Egli conosce la nostra natura caduta. Dio sa che spesso gli uomini non lo servono nel modo migliore quando sono nell’abbondanza, ma piuttosto usano questa per crearsi ancor maggiori comodità, per avere una vita facile, per mangiare bene, per dormire su buoni materassi, etc. Sono rare le anime che si sono salvate nell’abbondanza, con i beni di questo mondo. Le anime si santificano con la povertà e la sofferenza. Così è la misericordia di Dio che ci fa stringere un poco di più la cinghia, per così dire. Ma se usassimo tutto ciò che Dio ci dà con molto amore e gratitudine, e solo per servirlo, vedremmo quanto Dio può essere generoso con noi. 

 
Cosa disse l’anziano Epifanio sul sesso pre-matrimoniale

Ci sono molti cristiani devoti che fanno questa domanda: se facciamo l'amore cinque minuti prima del nostro matrimonio è un peccato, ma se facciamo l'amore cinque minuti dopo va tutto bene?

 

Questa è esattamente la natura e la potenza e il valore dei santi Misteri: di cambiare le cose, di modificare le situazioni, di trasformare gli eventi, di rendere santo il peccatore, di benedire ciò che è proibito, di elevare ciò che è terreno verso il cielo.

 

"Cinque minuti" prima della benedizione di un prete abbiamo sul Santo Altare "pane" e "vino", ma "cinque minuti dopo" (precisi, al secondo) abbiamo dallo stesso Altare il Corpo e il Sangue divinizzati del nostro Signore!

"Cinque minuti" prima del battesimo dei catecumeni è un grave peccato comunicarli alla divina Eucaristia, ma "cinque minuti dopo" la comunione è un atto essenziale e santo.

"Cinque minuti" prima della sua ordinazione a vescovo un "eletto" rimane un presbitero e non può celebrare l'ordinazione di un chierico, ma "cinque minuti dopo" il termine della sua ordinazione, può ordinare presbiteri e diaconi nella celebrazione della Divina Liturgia.

 

Ma perché dovremmo soffermarci sui Misteri divini e soprannaturali della nostra Chiesa? Forse "all'interno della nostra vita", ovvero la nostra vita terrena, ci sono paralleli simili.

 

"Cinque minuti" prima della firma di un contratto da un notaio tra le parti in causa il contratto è semplicemente una carta, ma "cinque minuti dopo" rimane un incontestabile documento pubblico che crea conseguenze giuridiche (diritti e obblighi), a volte in misura insondabile.

"Cinque minuti" prima della firma di un’alleanza il documento non è diverso dalla carta da pacchi, ma "cinque minuti dopo" ha la forza di determinare il destino di centinaia di milioni di persone.

"Cinque minuti" prima del giuramento, il presidente di una repubblica è solo un comune cittadino privo di qualsiasi potere speciale, ma "cinque minuti dopo" gli è dato il potere di destituire un governo e di sciogliere un parlamento.

 

Sì, "cinque minuti" prima del matrimonio il rapporto carnale di una coppia è un peccato, e "cinque minuti dopo” non lo è più.

 

Archimandrita Epifanio Theodoropoulos

 
Che cosa si dovrebbe fare per far ritornare la preghiera

Una persona è venuta a chiedermi: "Ultimamente non ho pregato molto. Ho paura di essere sul punto di cadere nella negligenza. Che cosa dovrei fare per far ritornare la mia preghiera?"

Se veramente volete far ritornare la vostra preghiera, allora potete farlo in un istante. Si acquista la preghiera attraverso la preghiera. La preghiera è un atto di volontà. Pregate regolarmente. Poco o molto? Non importa. Con sentimento o senza sentimento? Nenache questo importa. Iniziate con il corpo, con le parole e i movimenti. Quello che è importante è che facciate attenzione. Non siate frettolosi e non siate lenti. Non alzate la voce e non sussurrate. Siate moderati. Mettete la vostra mente in quello che state dicendo, in ogni parola. Capite quello che state dicendo. Ogni volta che la vostra mente vaga, anche un po', riportatela indietro. La preghiera con il corpo, con la lingua, la mano, le dita, piegando il corpo in inchini e prosternazioni, mantenendo l'attenzione e la comprensione dei significati, tutto questo e cose simili, è l'introduzione alla preghiera del cuore. Nella preghiera, il moto è dall'esterno verso l'interno e verso l'alto. La preghiera attraverso il controllo del corpo ci fa entrare nella tranquillità. La tranquillità ci fa entrare nell'umiltà e l'umiltà suscita in noi il profumo della pace. Tutto il resto segue dopo questo.

La preghiera non è una questione di temperamento. È per questo che viene solo con lo sforzo. Uno si sforza, e gli è data la preghiera. In effetti, gli è data come un dono del cielo! Allo stesso modo, se per pregare si aspetta di essere trascinati da un desiderio di preghiera, allora non si potrà mai pregare. Una preghiera con desiderio è generalmente una preghiera psicologica senza alcun valore spirituale. Il desiderio di base per la preghiera, o si potrebbe dire la preghiera spontanea, arriva solo con la forza e la grazia dell'Altissimo. L'inizio della preghiera non è così. Lo zelo per la preghiera potrebbe sorgere nell'anima dopo aver incontrato una persona che prega o dopo aver ascoltato o letto parole sulla preghiera che muovono il cuore, e poi quando si inizia a pregare l'interesse cessa rapidamente, trovando la preghiera monotona e asciutta. Se indietreggia la perde, ma se rimane fermo e costante arriva quindi alla vera preghiera che affonda le sue radici nella sua anima, a poco a poco, fino a raggiungere le sue profondità!

Di solito il Signore Dio consola chi prega, all'inizio del percorso, perché rimanere fermo. Tuttavia, la consolazione non viene quando ce l'aspettiamo Non sappiamo quando verrà a noi. Fate attenzione a non divagare nell'immaginazione. Non fare spazio a immagini e sensazioni che vi possono mentire. Queste vi porteranno fuori strada! Proprio il contrario, una volta acquisita familiarità con la preghiera, fate attenzione a fantasie, immagini e sentimenti perché in queste c'è una dipartita dalla preghiera. Allo stesso modo siate attenti a sentimentalismo e lassismo mentale. La preghiera è qualcosa di calmo e fermo! Stare davanti a Dio in preghiera è qualcosa di molto serio. Naturalmente, Dio non è duro, ma non è neppure indulgente. La preghiera ha le sue caratteristiche particolari. La sua gioia è tranquilla e la sua pace è vigile. Il conforto è mescolato con la gratitudine, con un senso di indegnità, e con il pentimento.

La preghiera vi collega a Dio, alla Santissima Trinità, al Padre, al Figlio e al santo Spirito. La preghiera è il linguaggio di Dio all'uomo perché quest'ultimo possa salire fino a lui ed entrare in relazione con lui. Così, la lingua della preghiera vi insegna la preghiera e ogni suo passo vi porta al successivo, proprio come il numero uno porta al numero due e al tre e così via. Non c'è bisogno di tecniche nella preghiera. La preghiera viene a voi da sola quando insistete a stare alla presenza di Dio e quando il Signore vi dà quello che chiedete. Dio cerca la comunione e vi chiama a lui, e quando fate un passo nella sua direzione, vi conduce a lui, proprio come un padre prende la mano del suo bambino o una guida cammina davanti a un viaggiatore. Nulla è più vicino al cuore umano della preghiera. L'uomo è formato per essere un essere di preghiera. Al livello più profondo, nella preghiera l'uomo realizza la sua umanità in cui Dio lo ha creato. Perché il cuore non è incline alla preghiera spontaneamente fin dall'inizio? Poiché le passioni dell'anima e del corpo hanno assassinato il cuore dell'uomo e preso il controllo su di esso. Proprio per questo motivo, all'inizio una persona ha bisogno di costringersi alla preghiera, e poi il suo cuore l'accoglierà e gioirà in essa, perché la preghiera corrisponde a ciò è profondamente radicato in lui, anche se in un primo momento era nascosto.

Così la preghiera è il dono più grande per l'uomo, non solo perché collega l'uomo a Dio, ma anche perché è la necessità e la soluzione per tutte le cose che l'uomo deve affrontare. La gente immagina che i propri problemi e preoccupazioni possano essere risolti a livello orizzontale, attraverso le capacità umane. Non c'è dubbio che qualcosa di questo sia necessario, ma tutto, senza eccezione, tutte le preoccupazioni e le difficoltà, tutto dovrebbe essere affrontato in primo luogo con la preghiera, cioè a livello verticale, gettando ogni cosa ai piedi di Gesù. Non è una sorpresa che il Signore abbia detto: "Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi darò riposo." Le nostre soluzioni e iniziative razionali non sono sempre corrette, ma il Signore Dio sa esattamente di che cosa abbiamo bisogno. È per questo che con la preghiera, mettendo tutto nelle mani di Dio, attraverso il dono di sé e l'abbandono delle preoccupazioni di un corso, si trova la soluzione adeguata a tutti i propri problemi!

Tuttavia, se praticate correttamente la preghiera, questa vi attrae ai comandamenti divini, al pentimento, alla fede, alla dolcezza, e soprattutto all'amore. Poi, se praticate i comandamenti divini, la presenza di Dio diventerà più profonda nella vostra vita e i comandamenti nutriranno la vostra preghiera e vi spingeranno alla preghiera. Ma se trascurate i comandamenti, allora la preghiera appassirà rapidamente. Se i comandamenti fanno crescere il rapporto con Dio, allora lo farà anche la preghiera. Per questo motivo, i comandamenti e la preghiera si sostengono a vicenda in modo che i fedeli crescano e raggiungano la pienezza della statura di Cristo, ovvero l'amore. Anche questo sostegno è accompagnato. Si prega e si lavora. Ci si sforza di sollevare il proprio cuore verso l'alto in ogni momento e in ogni occasione. Questo per quanto riguarda i comuni credenti. Ma ci sono quelli per i quali la preghiera diventa lavoro. Tali persone raggiungono il fine della preghiera e l'obiettivo del lavoro allo stesso tempo!

La verità è che la preghiera invita la preghiera. Finché si è assorti nella preghiera, finché questa è un'abitudine, essa governa il cuore. Alla fine della giornata, non c'è niente come la preghiera che soddisfa l'essere dell'uomo. La via è aperta perché l'uomo beva dalla preghiera tanto quanto vuole. La preghiera è l'obiettivo del cammino dell'uomo sulla terra. Una persona che non prega e che non solleva il suo cuore e la sua mente verso l'alto rimane solo il contorno di una persona, non importa ciò che ha compiuto! "Cosa giova all'uomo, se ha guadagnato tutto il mondo, ma ha perso la sua anima?"

 
Santa Parascheva di Iasi (XI secolo)

Il testo che segue è stato tradotto dalla versione inglese del Patericon Romeno, curato dall'Archimandrita Ioanichie Balan, e tradotto anche in greco e francese. Oltre alla vita di Santa Parascheva e ai dettagli della sua venerazione, il testo riporta anche numerosi resoconti di miracoli avvenuti durante la vita della santa, dopo la sua morte e attraverso le sue sante reliquie.

La nostra santa Madre Parascheva di Iasi, la gloria di tutta l'Ortodossia (chiamata anche "la Luce della Moldova"), nacque all'inizio dell'undicesimo secolo nel villaggio di Epivat nella Tracia dell'Est, non lontano da Costantinopoli. I suoi genitori erano molto pii e di buona famiglia.

Parascheva e suo fratelllo Eutimio furono cresciuti con un'eccellente istruzione religiosa in seno alla loro famiglia. Il fratello maggiore della Santa, Eutimio, entrò prima di lei nell'ascetismo monastico. Per la santità della sua vita, fu fatto vescovo di Matidia, dove servì la Chiesa di Cristo fino alla fine della propria vita. Amando Cristo al di sopra di ogni cosa, anche la beata Parascheva entrò in un monastero di vergini nella città di Eraclio, nel Ponto, all'età di quindici anni. Cinque anni dopo si recò in Terra santa per venerare il Sepolcro del Signore, e rimase per alcuni anni nell'ascesi in un piccolo monastero di monache del deserto nella valle del Giordano.

Quando ebbe venticinque anni, un angelo del Signore le comandò di fare ritorno alla propria terra, dove visse nell'ascesi per altri due anni accanto alla chiesa di Epivat, il suo villaggio nativo. All'età di ventisette anni, Santa Parascheva consegnò la propria anima nelle mani del Signore e fu sepolta vicino alla costa. A causa dei miracoli che accaddero presso la sua tomba, le sue reliquie furoino in seguito riesumate, e trovate incorrotte. Furono quindi poste nella chiesa dei Santi Apostoli a Epivat, dove furono onorate e venerate, e rimasero là per circa 175 anni.

Lo zar della Romano-Bulgaria, Giovanni Asan II (1218-1241), spostò le reliquie di Santa Parascheva a Trnovo, la capitale dellla Bulgaria, nel 1223, e le pose nella Cattedrale dedicata alla Dormizione della Madre di Dio. In seguito, il beato Patriarca Eutimio di Bulgaria scrisse la Vita di Santa Parascheva e fissò la sua commemorazione al 14 Ottobre nel Sinassario della Chiesa. Verso la prima metà del quattordicesimo secolo, la venerazione di Santa Parascheva si era diffusa a nord del Danubio, nelle tre terre romene.

Le reliquie di Santa Parascheva rimasero a Trnovo per 160 anni. Quando la Bulgaria cadde sotto l'occupazione turca nel 1393, le sue sante reliquie furono date per un breve tempo a Mircea il Vecchio, principe della terra romena. Tre anni dopo i turchi le diedero alla principessa Angelina di Serbia, che le spostò a Belgrado, dove rimasero per 125 anni.

Nel 1521, i turchi occuparono la Serbia, e di nuovo presero in ostaggio le reliquie di Santa Parascheva, portandole al palazzo del Sultano a Costantinopoli. Là le sue sante reliquie furono riscattate dai turchi per opera del Patriarcato Ecumenico per 12.000 ducati d'oro, e rimasero nella cattedrale patriarcale al Fanar per 120 anni. Nel 1641, il Patriarca Partenio di Costantinopoli diede le reliquie di Santa Parascheva in segno di gratitudine a Vasile Lupu, il Principe della Moldova, che pagava il grande tributo annuale imposto dai turchi sui patriarcati di Costantinopoli e Gerusalemme.

Il 13 Giugno 1641, le reliquie della nostra santa Madre, Santa Parascheva, arrivarono a Iasi e furono poste con grande onore nella bella chiesa del monastero dei Tre Santi Ierarchi, appena costruito. Esse rimasero là fino al 26 Dicembre 1888, quando scamparono miracolosamente a un incendio (la copertura d'argento del reliquiario si sciolse, ma il legno della cassa e le reliquie rimasero intatte). Quindi furono trasferite nella nuova cattedrale metropolitana, dove si trovano ancora oggi.

Santa Parascheva di Iasi gode di una venerazione particolare in Romania, più di tutti gli altri santi le cui reliquie riposano nel paese. Ogni giorno, alla cattedrale metropolitana di Iasi, arriva a pregare un piccolo ma costante fiume di pellegrini di ogni età e provenienza. Soprattutto nei giorni di festa, durante i digiuni, e ogni venerdì (che è considerato il "giorno di Santa Parascheva": in greco, il venerdì si dice paraskevi, ovvero il giorno di preparazione che precede il sabato), molti fedeli vengono con fede a venerare il reliquiario, portando in dono fiori e abiti, con i quali toccano il reliquiario della santa, per ottenere il suo aiuto, per la salute, e come benedizione.

Nel suo grande giorno di festa, il 14 Ottobre, ha luogo uno dei più grandi pellegrinaggi ortodossi della Romania. Giungono pellegrini da tutti i villaggi e le città della Romania. Questo pellegrinaggio dura tre giorni, ed è una delle più grandi feste nazionali e religiose. Il giorno precedente alla festa, le reliquie di Santa Parascheva sono portate all'aperto di fronte alla cattedrale, e per due giorni e due notti i pellegrini fanno la fila per venerarle.

Il giorno di festa della Santa si conclude alla sera del 14 Ottobre con una commovente processione attorno alla cattedrale, aperta dal Metropolita della Moldova. Insieme al clero e ai fedeli, che portano in mano candele, egli porta il reliquiario della Santa, accompagnato dal suono delle campane e dal canto di inni.

Alla fine, le reliquie sono rimesse al loro posto nella chiesa, si canta la Paraclisi di Santa Parascheva, e tutti ritornano alle loro case con la gioia di questa grande festa nell'anima e la consolazione dello Spirito Santo nel proprio cuore.

Santra madre nostra Parascheva, intercedi presso Dio per noi!

 
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VIDEO - Встань за Веру, Русская земля!

Aggiungiamo alla nostra sezione dei Video "Vstan' za Veru, Russkaja zemlja!" ("Sorgi per la fede, o terra russa!"), un filmato realizzato con la benedizione dell'Arcivescovo Sergij di Samara e Syzransk.

Partecipano il coro maschile del Seminario di Samara, sotto la direzione dell'igumeno Nikon (Ratnikov), il coro dei bambini della diocesi, sotto la direzione di Maria Sinitsyna, e l'orchestra del Teatro dell'Opera di Samara, sotto la direzione di Vladimir Kovalenko. La musica di sottofondo mentre l'uomo prega nel suo angolo delle icone è Blagoslovi dushe moja Gospoda (Benedici, anima mia, il Signore) dall'opera 37 della Vigilia di Tutta la Notte di Sergej Rakhmaninov.

Questo video è parte del contrattacco missionario della Chiesa ortodossa di fronte alle minacce settarie e secolariste. Il Patriarcato di Mosca è serio nel suo impegno di usare tutte le forme di comunicazione moderna per toccare il cuore di chi vive in questo mondo.

 
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"Giunti al calar del sole…" - Sull'importanza dell'assistere ai servizi divini serali

La vita dell'uomo è una catena di legami alternati di lavoro e di riposo. Ci sono sempre più uomini che amano il riposo rispetto a quelli che preferiscono il lavoro. E per la verità, è tipico della natura umana lottare di più per la consolazione che per la fatica. Così, l'uomo ama la bellezza del corpo, ama la bellezza nell'arte, nella musica, nella letteratura fine; la fama, l'onore, il rispetto lo impressionano. Gli uomini hanno una preferenza per il cibo gustoso e le bevande di qualità, per la comodità e la sazietà, per l'eleganza nel loro abbigliamento e nelle loro abitazioni; amano celebrazioni e feste, stare insieme con gli amici, vacanze e viaggi in posti nuovi, comfort e riposo, intrattenimento, tutti i tipi di divertimenti, giochi e spettacoli; apprezzano buona salute, tranquillità, bel tempo, un clima piacevole. In una parola, l'uomo tende verso la beatitudine, la cerca come una manifestazione naturale della vita, per la sua coscienza ha conservato il ricordo del soggiorno incantevole suoi antenati nel meraviglioso giardino del Paradiso terrestre.

Tuttavia, con il raggiungimento dei vari gradi di beatitudine terrena, l'uomo scopre ben presto che la vera soddisfazione sulla terra è irraggiungibile. Più l'uomo si circonda di comfort e piaceri momentanei, meno ne trae soddisfazione, e comincia a cercare sempre nuove delizie. Convincendosi che i beni terreni e la salute sono instabili e mutevoli, l'uomo comincia a struggersi. E questo struggimento, questo anelito subconscio per il Paradiso perduto è, per così dire, un legame con il cielo.

Considerando le aspirazioni dell'uomo, dobbiamo concludere che, in generale, l'uomo è gravato da una vita lunga e laboriosa, che spesso perde la pazienza e può cadere nello sconforto. Molto raramente gli uomini trovano soddisfazione genuina in un tipo preferito di lavoro, faticando fino all’esaurimento. Pochi individui possono essere portati via da una professione o da un servizio fino al punto dell’oblio di sé, sempre guidati dal principio e non dal guadagno, presi da una vocazione speciale, da un senso del dovere e della responsabilità.

Se ci dovessimo limitare a queste osservazioni, potremmo cadere nel pessimismo e ammettere la disperazione delle aspirazioni umane in generale. Tali conclusioni possono essere giustificate, se lo spirito umano fosse limitato dalle cose terrene. Ma questa non è la filosofia cristiana della vita, che vede la realizzazione di questa vita, non solo sulla terra, con tutte le sue vicissitudini, ma nell'incrollabile eternità.

Questo non significa affatto che il cristianesimo perde il suo legame con la vita temporale sulla terra. Al contrario, il cristianesimo regola la vita terrena in modo che sia adatta agli ideali eterni, lasciando posto sia alla naturale soddisfazione dei bisogni sia al meritato riposo. Ma il cristianesimo è caratterizzato prima di tutto dalla lotta interiore. La consolazione nell'eternità è una ricompensa per le lotte e le afflizioni terrene, accettate disinteressatamente e unicamente per amore di Dio e per devozione verso di lui. Il Salvatore stesso testimonia anche questo: Il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono (Matteo 11:12). La bellezza e la giustificazione della lotta cristiana sta nel fatto che attraverso di essa si apre la strada verso la perfezione spirituale: Voi dunque siate perfetti, come il Padre vostro che è nei cieli è perfetto (Matteo 5:48). Se vuoi essere perfetto, va', vendi ciò che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni, prendi la tua croce e seguimi (Matteo 19:21, Marco 10:21).

Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto (Matteo 7:7). Ma molti che sono primi saranno ultimi e gli ultimi saranno i primi (Matteo 19:30).

Vediamo la realizzazione di questo ideale nella vita dei santi graditi a Dio. Siamo guidati nella vita dal loro esempio, ci nutriamo del loro scritti, siamo animati dal loro fervore, siamo ispirati dalla loro buona disposizione, impariamo da loro la pazienza e l'umiltà. L'anziano Silvano del Monte Athos lo testimonia in modo eloquente:

"Molte persone pensano che i santi siano lontani da noi. Ma sono lontani solo da coloro che si sono estraniati, sono molto vicini a quelli che conservano i comandamenti di Cristo e la grazia dello Spirito Santo. Nel cielo, tutto vive e si muove per mezzo dello Spirito Santo. Egli vive nella nostra Chiesa, vive nei Misteri; è nella Sacra Scrittura, è nelle anime dei fedeli. Lo Spirito Santo unisce tutti, ed è per questo che i santi sono vicini a noi, e quando noi preghiamo per loro, ascoltano le nostre preghiere nello Spirito Santo, e le nostre anime sentono che stanno pregando per noi ".

Il legame tra la lotta e la consolazione è rivelato con più forza nell'esperienza liturgica della Chiesa. Con l'adesione alla vita liturgica, i fedeli imparano a impegnarsi nella lotta di preghiera, così decisamente unica nella Chiesa d'Oriente a causa della sua profondità e lunghezza, e trovano vero conforto spirituale secondo il testamento del Salvatore: In verità io vi dico: ...dove anche solo due o tre sono riuniti nel mio nome, là io sono in mezzo a loro (Matteo 18:19, 21).

L'apoteosi della consolazione spirituale nella vita della Chiesa è la Divina Eucaristia - l'unione reale e mistica dell'uomo con Dio. Ma è impensabile entrare subito nello spirito di questa consolazione più sublime, senza la dovuta preparazione, senza imbrigliare il turbolento spirito mondano, senza lo sviluppo della compunzione spirituale. In realtà, come si può partecipare alla cena fatta in ricordo del Signore Gesù Cristo stesso, e secondo la sua promessa, senza la dovuta preparazione: senza rivestire la propria anima dell’abito appropriato, senza riconciliare la coscienza, senza una consapevolezza della propria indegnità, o una sensazione del grande vantaggio di questo mistero salvifico? Può uno strumento musicale fare un suono bello e puro, senza previa messa a punto? Ricordando che, nella tradizione biblica e del Nuovo Testamento, i giorni vengono calcolati a partire dalla sera, la santa Chiesa impone ai fedeli di entrare nello spirito del sacrificio eucaristico attraverso un servizio di preparazione alla sera, alla vigilia della Liturgia. È in questo servizio serale che la vita autentica in Dio e con Dio si rivela in tutta la sua bellezza spirituale, quando coloro che stanno pregando "entrano in sintonia", con anticipazione tremante, per l'unione con il Signore attraverso la comunione del santo corpo e il sangue di Cristo. Anche se un uomo non si comunica alla Liturgia, questo in nessun modo lo scusa dall’unirsi allo spirito eucaristico, dallo sperimentare con gratitudine tutta la vicenda salvifica di Gesù Cristo. Dopo tutto, la Liturgia è la commemorazione in movimento e l’esperienza di sofferenza solidale della vita del Signore e Salvatore - dalla mangiatoia di Betlemme, attraverso la morte in croce sul Golgota, la risurrezione dai morti e l'ascensione al cielo, fino alla discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli, e attraverso di loro su tutti i fedeli nel seno della Chiesa di Cristo. Fin dai tempi apostolici, i fedeli sono stati chiamati a partecipare alla "piccola Pasqua", al banchetto eucaristico, ogni Domenica.

I migliori di questi "partecipanti" non hanno solo compilato gli ordini delle liturgie, ma sono diventati combattenti per la santità e sono stati pronti a subire sofferenze e persino il martirio, mantenendo la fedeltà a Cristo. Pregavano per tutta la notte, e già con il sorgere del sole - immagine di luce e calore - ricevevano il santo corpo e sangue di Cristo. Non sorprende, quindi, che l'attuale servizio divino serale è pure pieno di ricordo orante delle lotte dei santi, e anche, naturalmente, della commemorazione dei grandi eventi della vita di Cristo e della Madre di Dio. Animata dal desiderio di aiutare i suoi figli fedeli a rimanere nel circolo di questa continua santità, la santa Chiesa con attenzione e in anticipo,fin dalla sera, li conduce nello spirito della pietà, scoprendo davanti al loro sguardo spirituale le vite, le opere, i testamenti, le lotte e il fervore dei santi graditi a Dio che sono ascesi alla gloria eterna di Dio. Che bellezza, che misericordia è avere l'opportunità di unire il proprio spirito ribelle e turbolento allo Spirito pacifico dei santi di Dio, per trovare riposo in lui! Che gioia è imparare dai santi la bontà, la pazienza e la speranza nell’aiuto di Dio! Che felicità è sentire, per così dire, dalla loro bocca le parole dal dolce suono della vita in Dio! E pensate - questa gioia non è che l'ombra di quella grande consolazione che Cristo ha preparato per coloro che lo amano.

I cristiani di oggi, che rifiutano il sentiero della lotta e cercano solo la consolazione, si stanno derubando da soli, privandosi della grazia. È bene che la nostra gente riempia le chiese la domenica e nei giorni festivi per la Divina Liturgia. E ci rallegriamo per questo. Ma sanguina il cuore a vedere come i cristiani ortodossi di oggi trascurano completamente la partecipazione alla lotta dei santi, il modo in cui hanno smesso di venire in chiesa per la Veglia di Tutta la Notte alla vigilia delle domeniche e nei giorni festivi. Le scuse di stanchezza, salute debole o mancanza di mezzi non sono convincenti, considerando che i parrocchiani si riuniscono in gran numero per feste, danze e concerti il ​​sabato sera. Non pochi ortodossi vengono alle panichide nelle ore serali. Ma anche qui, al suono della campana per la Veglia di Tutta la Notte, quelli che avevano riempito la chiesa per il servizio di requiem si girano e se ne vanno. E rimangono i soliti pochi - gli habitué. Questo è vergognoso! È un insulto!

Ammettiamo che l'atteggiamento freddo della gente di chiesa di oggi verso i servizi serali non sia altro che una ferita della coscienza cristiana; tuttavia riflette una perdita dello spirito di pietà e del senso di Dio, una perdita effettiva di ecclesialità. Non ci può essere vera consolazione senza lotta, nessuna gioia reale senza preparazione - così come non ci può essere fumo senza fuoco, né ombra senza luce. Si può aggiungere che la sera è anche il momento giusto per la confessione, non prima della Liturgia o, cosa del tutto inammissibile, immediatamente prima della Comunione.

Cristiano ortodosso! Rifletti bene su ciò che è stato detto in questa sede. Il tuo cuore non si sente male a vedere le nostre chiese vuote ai servizi serali? Chiediti - come devono sentirsi i sacerdoti, che servono in queste chiese vuote? E quei pochi che pregano a questi servizi, immagina il loro senso di abbandono! Dove si trova la nostra fraternità in Cristo? In verità, l'uomo è preoccupato stupidamente delle cose terrene, ama il riposo e il piacere più di ogni altra cosa, e ha poca voglia di acquisire una vera coscienza della necessità di salvare la sua anima, di salvarla con opere di pietà, con una disposizione di preghiera, e con la lotta!

Che il Signore Dio risvegli i cristiani che hanno zelo per la loro salvezza dalla loro negligenza dei servizi divini, così diffusa oggi, e conceda loro, in uno slancio di gratitudine per il sacrificio redentore di Cristo, di iniziare il cammino di pienezza orante, affinché sia concessa loro la consolazione più alta ed eterna di sentire la voce desiderata del Signore: Bene, servo buono e fedele: sei stato fedele nel poco, io ti darò potere sopra molte cose: prendi parte alla gioia del tuo Signore (Matteo, 21:21).

Tradotto da Daniel Olson da Dushe Moja, Vozstani, dell’arciprete Valerij Lukianov, Jordanville, 1993.

 
La Vita del Santo Re Stefano di Decani

Il Santo Re Stefano di Decani è uno dei santi più noti della Chiesa Ortodossa Serba. Attraverso le sue sante e incorrotte reliquie Dio ha compiuto numerosi miracoli.

Tratto dal sito Internet del Monastero di Decani. Traduzione dalla versione inglese di P. Kozma Vasilopoulos (Monastero Ortodosso di San Michele, Sidney)

Ringraziamo Sua Grazia il Vescovo Teodosije di Lipljan, già abate di Decani, per il suo permesso e la benedizione di tradurre e diffondere questo testo

 

Oggi, mentre il popolo serbo soffre un altro turbolento capitolo della propria storia, farebbe bene a riportare alla mente il carattere esemplare del proprio martire, Re Stefano Uros III (Decanski).

Egli nacque come figlio primogenito del santo Re Milutin (Stefano Uros II) e di sua moglie Elisabetta, una principessa ungherese. Vivendo alla corte dei propri genitori, l'erede apparente al trono ricevette una buona istruzione, esercitando la sua mente nello studio della lingua e degli scritti del proprio popolo, e il suo cuore nello studio delle Sacre Scritture e degli insegnamenti della Fede Ortodossa.

Il buon frutto della sua educazione fu messo alla prova quando Re Milutin fu forzato a inviarlo come ostaggio al capo tartaro Nogyi. Nonostante i pericoli potenziali, Stefano fu obbediente alla volontà di suo padre e non fece resistenza, affidando la sua vita al Signore. E la sua speranza non fu vana. Alla fine egli divenne amico di uno dei nobili tartari, che riuscì a farlo ritornare a casa sano e salvo.

Quando Stefano raggiunse la maggiore età, i suoi genitori combinarono il suo matrimonio con la figlia del re bulgaro Smilatz, e alla giovane coppia fu data la terra di Zeta, dove si stabilirono fino al tempo in cui Stefano sarebbe stato chiamato a succedere a suo padre sul trono. Intanto, Re Milutin si era risposato, e la sua seconda moglie, Simonida, complottò per far ereditare il trono al proprio figlio Costantino. Ella convinse Milutin che Stefano voleva appropriarsi del trono prematuramente, e Milutin, così ingannato, ordinò che suo figlio fosse catturato, che fosse accecato per assicurarsi che non architettasse più alcun tradimento, e che fosse quindi inviato come prigioniero a Costantinopoli.

Il principe fu condotto via insieme ai suoi figli, Dusan e Dusica, e mentre passavano attraverso Ovcepole (il Campo delle Pecore), le guardie presero degli attizzatoi arroventati e lo accecarono. In quella notte San Nicola apparve a Stefano in sogno: "Non avere paura," disse, "i tuoi occhi sono nelle mie mani." Confortato non poco da questa visione, Stefano giunse privo di vista a Costantinopoli. L'Imperatore Andronico ebbe compassione del giovane esule, e lo ricevette con bontà. Stefano fu presto insediato nel monastero del Pantocratore, dove impressionò i monaci con la sua mitezza e la sua paziente accettazione dell'amara prova che gli era capitata attraverso il proprio padre.

Passarono cinque anni. Re Milutin stava diventando vecchio. Udendo buoni rapporti da parte di suo figlio, il suo cuore si intenerì, e richiamò Stefano a casa in Serbia. Prima di lasciare Costantinopoli, Stefano ebbe un sogno in cui San Nicola gli apparve una seconda vlta, tenendo in mano un paio di occhi. Al suo risveglio, gli era ritornata la vista.

Tre anni dopo suo padre morì, e Stefano, sempre amato dal popolo, fu incoronato Re di Serbia dal santo Arcivescovo Nikodim nella chiesa di Pec. Il suo fratellastro Costantino si risentì di questo cambio di eventi, e sollevò un esercito per rovesciare Stefano dal trono. Desideroso di evitare gli spargimenti di sangue, Re Stefano scrisse una lettera a Costantino:

"Allontana da te il desiderio di venire con un popolo straniero a fare guerra ai tuoi compaesani; ma incontriamoci, e tu sarai secondo nel mio regno, poiché la terra è grande abbastanza per far vivere me e te. Io non sono Caino che uccise suo fratello, ma Giuseppe che l'amava, e con le sue parole ti parlo. Non aver paura, poiché vengo dal Signore. Hai preparato il male per me, ma il Signore mi ha donato il bene, come ora vedi."

Costantino rimase indifferente e diede l'ordine d'attacco. Nella battaglia che ne seguì, il suo esercito fu sconfitto, ed egli stesso fu ucciso. Per i successivi dieci anni, Re Stefano regnò in relativa pace, e la terra serba prosperò. Suo figlio Dusan diede prova di essere un abile capo militare, ed ebbe successo in batteglie contro i bulgari e i greci, che erano invidiosi dello stato serbo allora potente, ed erano insorti contro di esso. Grato al Signore per queste vittorie, Re Stefano iniziò con l'Arcivescovo Daniel, successore di Nikodim, a cercare un luogo dove costruire una chiesa. Essi si stabilirono in un luogo chiamato Decani, e là, nel 1327, Re Stefano stesso posò la prima pietra di quello che sarebbe divenuto uno dei più magnifici e duraturi esempi dell'architettura ecclesiastica serba. All'interno era decorata da splendide icone, alle quali ne furono aggiunte altre nel sedicesimo secolo dal celebre iconografo slavo, Longinos.

Santo Stefano diede generosamente ai bisognosi. Fece pure donazioni liberali a chiese e monasteri sul Monte Santo, a Gerusalemme, ad Alessandria, e al monastero del Pantocratore a Costantinopoli. Né dimenticò il suo debito con San Nicola il taumaturgo: commissionò un altare d'argento e lo inviò assieme ad alcune icone a Bari, in Italia, dove si trovano le sacre reliquie del Santo.

Avendo sopportato in modo veramente cristiano le pesanti prove e afflizioni che incontrò nel corso degli anni, il buon re meritava di vivere il resto della sua vita in pace. Ma era appropriato che a colui che soffrì come martire nella vita fosse concessa un'opportunità di ricevere nella morte una corona di martire. La sua prova finale fu la più angosciante. I successi di Dusan sul campo di battaglia gli avevano dato un appetito di potere e di gloria, e questi, incoraggiato dal suo seguito di nobili, decise di affrettare la morte di suo padre. Nel 1331, Santo Stefano fu portato come prigioniero in una fortezza nella città di Zvecan e fu crudelmente assassinato (secondo alcuni resoconti fu impiccato, secondo un altro fu strangolato).

Quasi immediatamente Dusan fu colpito da rimorso. Egli si pentì sinceramente e con zelo del suo tradimento, e l'anno successivo, alla festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, fece trasferire i resti di suo padre da Zvecan a Decani, dove furono posti in una tomba di marmo. Nel 1339 la tomba fu aperta, e il suo corpo fu trovato incorrotto. Quello stesso giorno vide molti miracoli di guarigione. Il santo re diede specialmente prova di guarire le malattie agli occhi, e vi furono ciechi che ricuperarono la vista di fronte alle sue reliquie.

Santo Re Stefano di Decani, intercedi presso Dio per noi!

 
Sulle Paraclisi alla Madre di Dio e ai santi

Domanda sul forum:

Alcuni dicono che nella Paraclisi della Madre di Dio, prima di "Dio è il Signore..." si dovrebbe inserire la grande ectenia. L'argomento è il seguente: la Paraclisi è come il Mattutino, perché ha i canoni e le lodi, e in secondo luogo, non si può dire un'ectenia in  una funzione se prima non è stata messa la grande ectenia. Eppure, nel rito del Mattutino, dopo i due salmi e le preghiere iniziali, si dice un'ectenia triplice. Qual è l'ordine corretto?

Risposta:

1. La Paraclisi della Madre di Dio (e non solo questa), è praticamente un nuovo tipo di funzione che imita davvero il Mattutino. Il punto centrale di questa funzione è occupato dal canone, e l'abitudine di cantare questo canone come funzione a parte si è sviluppata perché:

a) quasi ovunque nei Balcani (ma non tra i russi) nelle parrocchie e nella cattedrali non si fanno più i canoni al Mattutino, ma solo le catabasie;

b) in particolare i greci (gli stessi che hanno inventato le Paraclisi) sanno che qualsiasi canone deve essere obbligatoriamente cantato, e mai letto – come tra i romeni o i russi;

c) secondo il Tipico, il Mattutino ha diversi canoni, mentre le Paraclisi ne hanno uno solo, che è più breve e più comodo (soprattutto se si insiste a cantarlo);

d) la Paraclisi può essere cantata in qualsiasi momento della giornata e di solito si canta alla sera, mentre il Mattutino, seguito dalla Liturgia, non consente un'eccessiva estensione della funzione;

e) la Paraclisi si può cantare non solo nel giorno della memoria della Madre di Dio o del santo, ma in ogni giorno dell'anno. Inoltre, non solo si canta in chiesa, ma si può anche leggere a casa, laicizzando il rito con la soppressione delle ectenie e di altri elementi specifici delle funzioni con un sacerdote.

2. Poiché il luogo originario dei canoni è proprio il Mattutino, la Paraclisi ha preso (arbitrariamente) alcuni elementi del Mattutino:

a) il Salmo 142 (l'ultimo dell'Esapsalmo, anche se pochi lo percepiscono come tale) e il Salmo 50 (che è al centro del Mattutino, prima dei canoni);

b) il canto "Dio è il Signore..." con i tropari, solo che quasi ovunque nelle Paraclisi si dice che "Dio è il Signore..." si canta per 3 volte, non quattro come al Mattutino (e questo è perché i versetti biblici in numero di 4 sono ignorati);

c) il canone stesso, con catismi poetici e contaci, ma senza il "Più insigne dei cherubini..." dopo l'ottava ode, ma solo con "Degno è davvero" dopo la nona ode;

d) il Vangelo (e talvolta l'Apostolo, anche se il Mattutino non ha un Apostolo tranne al Grande Sabato), che si pone dopo la sesta ode, secondo la nuova pratica greca, che ha messo il Vangelo verso la fine dei canoni;

e) gli stichiri, che assomigliano più agli apostichi che alle lodi;

f) le piccole ectenie dopo la terza e la sesta ode e un'ectenia triplice finale.

3. Non dimentichiamo che la Paraclisi lascia da parte una moltitudine di altri elementi importanti del Mattutino: l'Esapsalmo (integrale), 2 o 3 catismi, il polieleo con le magnificazioni, le antofone dei graduali, la dossologia, l'ectenia di supplica, etc. Penso che tutti questi siano molto più importanti della grande ectenia, che non è neppure lontanamente obbligatoria.

4. Fin dai secoli XII-XIII si è generalizzato l'ordine rituale che Vespro, Mattutino, Liturgia e molte altre funzioni dell'Eucologio abbiano all'inizio una grande ectenia, poi alcune ectenie piccole, una triplice e una "di supplica". Ma questa è una pratica più recente, che ha cercato di creare una standardizzazione delle rubriche, inizialmente inesistente. Ancor oggi abbiamo all'inizio della prima parte della Santa Unzione una piccola ectenia invece di una grande, e un'altra grande ectenia (incompleta) inizia la seconda parte dell'Unzione; due grandi ectenie nella stessa funzione non sono ammesse, ma abbiamo diverse funzioni improvvisate che non hanno una grande ectenia. Penso che l'esempio più convincente sia la funzione dell'Acatisto, servito in modo distinto dal Mattutino (come la stessa Paraclisi), anche se in origine l'unico Acatisto recepito nel culto – quello della Madre di Dio, noto anche come Acatisto dell'Annunciazione – si celebra nel quadro del Mattutino (si veda il quinto Sabato della Grande Quaresima).

5. L'esempio fornito in riferimento all'inizio del Mattutino non è per nulla conclusivo, perché i Salmi 19-20 accompagnati da quei tropari e da quella speciale ectenia triplice in realtà non hanno nulla a che fare con il Mattutino. La vera benedizione iniziale del Mattutino è "Gloria alla santa..." seguita dai sei salmi, mentre l'inizio non è che una sorta di Tedeum di ringraziamento per il re, che non ha più attualità e si recita solo per dare tempo all'incensazione. Inoltre, in una prima fase, nei casi di chiese costruite da re, i Salmi 19-20 e quanto segue si recitavano solo se il fondatore era ancora in vita, e se l'imperatore-fondatore era già defunto, la sua memoria si compiva alla fine del Mesonittico, come si può vedere fino a oggi nell'Orologio. Oggi mettiamo entrambe le funzioni, ma senza sapere il perché. Ma è bene conoscere la storia degli elementi che nelle nostre funzioni sono rimasti puramente casuali e che sono inconcludenti dal punto di vista liturgico.

6. Nella Chiesa russa non esiste la tradizione delle Paraclisi cantate, e il canone della Madre di Dio (lo stesso della Paraclisi) si legge o alla Compieta, o in regole particolari. Invece vi sono alcune funzioni che portano il nome di "Moleben (Tedeum di ringraziamento)", anch'esse con "Dio è il Signore ..." tropari, Vangelo e triplice ectenia finale, e dove invece del canone si canta "Santissima Madre di Dio, salvaci" o "Santo (N), intercedi presso Dio per noi" + "Gloria... E ora ..." – imitando le nove (in realtà otto) odi del canone. Neanche questa forma ha una grande ectenia, e neppure catismi o apostichi.

7. Tenendo conto dei principi dell'evoluzione del culto, non dobbiamo escludere una revisione futura del rito della Paraclisi, perché si parla comunque di un rito nuovo, entrato in "concorrenza sleale" con il Mattutino. È comunque un po' rischioso dire che un certo rito della Paraclisi è corretto e un altro è sbagliato perché, in definitiva, l'idea stessa di Paraclisi (o di Acatisto) non è molto corretta, se la confrontiamo con il Mattutino.

 
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Gli ortodossi non dovrebbero vergognarsi di essere ortodossi

...dobbiamo considerare come i cristiani ortodossi dovrebbero vedere il servizio pubblico. Oggi, l'interazione della Chiesa e della società in Russia, nell’Ucraina, in Bielorussia e in Moldova sono in gran parte identiche, perché le nostre società sono composte principalmente da cristiani ortodossi. Di conseguenza, in gran parte le stesse persone costituiscono sia la chiesa che la società. I cristiani hanno il dovere di servire il bene pubblico, anche se solo in qualità di professionisti in vari campi della vita pubblica e sociale.

Abbiamo molti ortodossi che sono funzionari pubblici, atleti, politici, uomini d'affari, artisti, operai, contadini, cioè persone di professioni diverse, e ciascuna di queste persone ha certi compiti socialmente importanti. Quando parliamo di missione sociale dei cristiani ortodossi, ciò significa che chiunque lavori in qualsiasi settore della società o dello Stato deve dimostrare di essere un cristiano, deve essere una persona di fede, non importa quello che fa o in quale ambito di vita pubblica sia occupato.

Inoltre, i cristiani ortodossi hanno complessivamente una specie di missione pubblica che esercitano quando lavorano ai loro compiti ordinari, coordinando e integrando i loro sforzi, proprio da cristiani ortodossi, influenzando positivamente questa o quella sfera della società e della vita pubblica. Bisogna respingere una certa idea che alcuni elementi laici vogliono imporre su di noi; di fatto, alcune persone nella Chiesa fanno eco a questo errore. In poche parole, questa idea presuppone che non dobbiamo nemmeno pensare di combinare la vita della Chiesa e la nostra vita secolare, o che la nostra vita di chiesa possa influenzare le nostre attività quotidiane. Essi cercano di dirci che possiamo essere cristiani in chiesa, ma non possiamo essere cristiani sul lavoro o nel mondo secolare in generale. Spesso sentiamo tali osservazioni, ma è il modo naturale in cui laici e atei interpretano la legislazione esistente. Tuttavia, lo sentiamo anche, come ho detto prima, negli ambienti della Chiesa. A volte si sentono alcuni dire che non si deve portare il cristianesimo in discorsi di politica, di economia, della vita dello Stato, o della legge. Questa separazione è in parte un retaggio del periodo sovietico e in parte viene perché la nuova apologetica della laicità è, a mio avviso, poco familiare ai cristiani. Come tutti sappiamo, una casa divisa contro se stessa non può stare in piedi. Una persona non può dividere se stessa in un essere di chiesa e in un essere sociale. Non c'è ambiente sociale, sia una comunità locale o tutta la nazione, in cui si può dividere la propria missione spirituale e la propria cosiddetta vita secolare.

Quando parliamo della separazione tra Stato e Chiesa, in primo luogo, intendiamo dire che non si mescolano gli organi dello Stato e le strutture canoniche della Chiesa in un unico organismo. Peraltro, la legge "Sulla libertà di coscienza e le associazioni religiose", che dà le interpretazioni ufficiali dei principi di laicità e la separazione tra Stato e Chiesa, dà a questi principi definizioni molto precise. Dice che questa separazione significa in particolare la mancanza di meccanismi generali di gestione dello stato da parte di gruppi religiosi, e, in linea di principio, nulla di più. Secondo la legge, le autorità pubbliche non sono asservite alla Chiesa, e le autorità della Chiesa non partecipano alla direzione dello Stato. Tuttavia, certamente, questo non significa che possiamo dividere la vita di un singolo cristiano o la vita della comunità cristiana in una sfera secolare e una sfera spirituale. Pertanto, i singoli cristiani come parte di una comunità particolare, possono esercitare la loro fede in questioni socialmente rilevanti. E lo fanno, grazie a Dio. Secondo il capo redattore della rivista Foma (Vladimir Legojda, ndt), che ha appena parlato in questa sala, ci sono molti cristiani nelle arti, nel mondo degli affari e in politica. Inoltre, tutti sanno chi sono.

È bene che ci siano individui ortodossi forti che si identificano come credenti in ogni ambito della società. Quello che abbiamo ora non è però sufficiente. Ciò di cui abbiamo bisogno è sinergia, abbiamo bisogno dell'influenza dei cristiani ortodossi in tutti gli aspetti della società e dello stato. Tuttavia, possiamo esercitare tale influenza solo attraverso il coordinamento dei nostri sforzi. Dobbiamo percepire la Chiesa che agisce nel mondo. Dobbiamo percepire che siamo una comunità, che insieme, in tutta conciliarità (соборно), e non singolarmente, influenziamo le arti creative, l'economia, la pubblica amministrazione, di fatto tutte le sfere della vita in cui lavoriamo. Il compito che ci attende non ci deve intimidire. Se siamo la maggioranza nel nostro paese, o, dovrei dire, nei nostri paesi, dato che vedo nella sala persone dalla Bielorussia, dall'Ucraina, dalla Moldova, abbiamo tutto il diritto di avere i nostri principi morali, la nostra visione del presente e del futuro, come principi e visioni decisive in quelle aree della società e dello stato in cui operiamo. Per fare questo, dobbiamo essere in grado di formulare i nostri obiettivi. Per fare questo, dobbiamo essere in grado di sviluppare meccanismi che consentano ai cristiani, specialmente ai laici, di definire il ruolo dei cristiani in tutte le sfere della vita della popolazione e del paese.

Fino ad ora, abbiamo fatto qualche passo in questa direzione. Vi è un'associazione di donne ortodosse e un Consiglio di Economia ed Etica fornisce consulenza a sua Santità il Patriarca Kirill. Penso che sarà creato un corpo che coordinerà le attività ecclesiastiche e sociali nel campo delle arti, e abbiamo contatti funzionali nel mondo dello sport. Questo copre solo alcune aree, ma in tutti i settori abbiamo bisogno di fare progetti, articolare i compiti che ci attendono, sollevare la questione di come garantire la loro attuazione.

È importante evitare la duplicazione di sforzi. Oggi, ci sono molte organizzazioni ortodosse pubbliche: dopodomani, alle Letture di Natale si terrà una tavola rotonda per discutere il coordinamento degli sforzi di queste organizzazioni. Faremo ogni sforzo possibile per combinare tutti i nostri sforzi. Penso che sia molto importante non prendere soltanto soluzioni formali di gestione, cioè creare semplicemente nuove organizzazioni, associazioni, nuovi organismi di coordinamento, e strutture informatiche. Abbiamo bisogno di aiutare la gente a sapere cosa fanno gli altri e che cosa possono fare meglio da sé. E soprattutto, abbiamo bisogno di cambiare la nostra coscienza. Con questo intendo dire che i cristiani ortodossi, in particolare i laici, dovrebbero trovare il loro posto nei settori della vita pubblica e della società in cui lavorano. Non dobbiamo abbandonare le persone che la domenica e nei giorni festivi sono cristiane, e in tutti gli altri giorni, in tutto il resto del tempo, vivono una vita comune secondo le leggi di questo mondo. Dobbiamo agire come una comunità vigorosa e attiva, dobbiamo essere cristiani ortodossi in un paese ortodosso.

Grazie mille.

 
Metropolita Ilarion (Alfeev): La formazione teologica nel XXI secolo

L’altro ieri abbiamo presentato la figura del Metropolita Hilarion della Chiesa russa all’estero. È importante menzionare anche l’altro Metropolita Hilarion, che in Italia è più noto, non fosse altro che per le numerose visite che ci ha fatto: l’ultima volta che lo abbiamo avuto a Torino è stato in occasione del pellegrinaggio alla Santa Sindone nel 2010 (nell'immagine, tratta da una delle nostre gallerie fotografiche, Vladyka Ilarion celebra nella nostra chiesa nella notte del 17 maggio 2010). Il Metropolita Ilarion di Volokolamsk (al secolo Grigorij Valerievič Alfeev, nato a Mosca il 24 luglio 1966), è il presidente del Dipartimento delle Relazioni Ecclesiastiche Esterne e membro permanente del Santo Sinodo del Patriarcato di Mosca. Presentiamo un testo che riteniamo molto interessante per capire il vero ethos ortodosso riguardo agli studi teologici: l’estratto dalla sua conferenza al Wycliffe College di Toronto il 22 ottobre 2008, che riportiamo nella nostra traduzione italiana nella sezione “Figure dell’Ortodossia contemporanea” dei documenti.

 
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Santo Stefano di Perm (1350-1396)

Il 26 aprile/9 maggio 1996 si è celebrato il sesto centenario della morte di Santo Stefano di Perm, l'Illuminatore, o evangelizzatore, del popolo degli Zyriani (gli odierni Komi).

Contemporaneo e amico di San Sergio di Radonezh, Stefano era figlio di un chierico della città di Ustiug; fin da ragazzo, aveva appreso la lingua della tribù ungro-finnica degli zyriani, un popolo ancora pagano che viveva nella regione di Perm, sulle pendici occidentali degli Urali. Dotato di un intelletto brillante, volle sfruttare i suoi talenti per diffondere la luce del Vangelo di Cristo. Divenuto monaco nel monastero di San Gregorio il Teologo a Rostov, vi rimase per tredici anni, apprendendo il greco, perfezionandosi nella conoscenza delle Sacre Scritture e delle ufficiature ecclesiastiche, elaborando un alfabeto per la lingua zyriana, e traducendo dal greco in zyriano i testi sacri.

Per dare inizio al suo progetto di evangelizzazione, in spirito di obbedienza monastica, attese la benedizione episcopale, e quindi iniziò con zelo a percorrere la terra di Perm.

I suoi successi iniziali furono deludenti, a giudicare dal piccolo numero dei suoi seguaci; tuttavia, riuscì a edificare per loro una chiesa, presso la quale avrebbe pure fondato un monastero.

Di fronte ai pochi zyriani che erano stati da lui convertiti e battezzati, Santo Stefano doveva fare i conti con una maggioranza della popolazione diffidente, quando non apertamente ostile, nei suoi confronti. Il punto di svolta della sua missione fu il momento in cui, da solo, si recò a bruciare un tempio pagano e a distruggerne gli idoli. Il suo zelo per la verità riuscì in breve tempo a trasformare la furia dei pagani in ammirazione, e ne seguì la conversione di quasi tutto il popolo zyriano.

All'intransigenza nei confronti del paganesimo, tuttavia, Santo Stefano univa una profonda tolleranza per le persone, e gli ultimi pagani rimasti trovarono in lui un difensore dagli eccessi di zelo dei loro compatrioti neoconvertiti.

Santo Stefano costruì altre due chiese, istruendo il popolo nella conoscenza delle sacre Scritture e del culto della Chiesa, attraverso la forma scritta della lingua zyriana da lui ideata. Inoltre, fece di tutto per la formazione e la preparazione di un clero locale.

Quando a Perm si fece sentire la necessità di un vescovo, alla sede metropolitana di Mosca si decise che nessuno avrebbe potuto ricoprire questa carica meglio dello stesso evangelizzatore di quella terra, e Stefano fu consacrato vescovo nel 1383.

Come vescovo di Perm, e con il sostegno attivo del popolo, Santo Stefano si rimise all'opera con nuovo entusiasmo, fondando chiese e monasteri, insegnando, assistendo la popolazione nei momenti di maggiore necessità materiale.

Stefano morì serenamente durante uno dei suoi viaggi a Mosca, il 26 Aprile 1396. Fu proclamato santo nel 1549, e rimane il più alto ideale di santità per i missionari russi che vivono presso altri popoli.

La sua biografia è stata scritta da Epifanio il Saggio, discepolo e biografo di San Sergio di Radonezh.

I primi tre successori di Stefano sulla cattedra episcopale di Perm (Gerasim, Pitirim e Giona) sono anch'essi venerati come santi, e la loro festa cade il 16/29 Gennaio.

 

Santo Stefano, Illuminatore di Perm, intercedi presso Dio per noi!

 
Che dire dei sostituti della carne e dei latticini durante la Grande Quaresima?

Mentre ci avviciniamo alla Grande Quaresima, ogni anno, sembra che ci sia un flusso di interesse a trovare buone ricette di digiuno che siano veloci, facili e nutrienti. Sempre più spesso, le ricette sembrano includere qualche tipo di soia o altro prodotto vegetale che è stato elaborato per apparire e funzionare come carne o latticini. Quando compaiono questi prodotti sostitutivi, sembra sorgere la questione se stiamo o non stiamo "barando". Dopo tutto, quando si può avere un "hamburger vegetale" con "formaggio" di soia per pranzo, che differenza c’è da un viaggio al fast food? Per comprendere come questi sostituti vegetali della carne e dei latticini si inseriscono nella nostra dieta di digiuno, è necessario fare un passo indietro e capire (almeno in parte) perché ci asteniamo dalla carne.

San Basilio il Grande, nella sua opera sulla creazione, l’Hexameron, ci aiuta a comprendere la stretta relazione tra l'anima e il sangue di un animale. Commentando Lev 17,11 dice: "...secondo la Scrittura, 'la vita di ogni creatura è nel sangue', così come il sangue quando si addensa diventa carne, e la carne quando si corrompe si decompone in terra... vediamo l'affinità dell’anima con il sangue, del sangue con la carne, della carne con la terra". (Omelia VIII.2.) Questo è importante per il nostro digiuno perché la carne che mangiamo, la carne degli animali, è strettamente associata con l'anima bestiale. L'anima, sia negli animali sia negli uomini, è la sede della volontà e del desiderio, dei sentimenti e delle emozioni, e dell'intelletto. C'è una convinzione frequente tra le culture primitive che un cacciatore o guerriero in grado di acquisire le caratteristiche della sua preda o di un nemico consumando la sua carne. A causa di questo stretto legame tra la carne e il sangue e il sangue e l'anima, diventa più evidente che, consumando la carne degli animali, noi "ci comunichiamo", per così dire, alle loro passioni e volontà bestiali. Dalla natura vediamo questo stesso processo nella disciplina del giovane da parte della madre attraverso l'allattamento. La madre non solo dà i suoi giovani il nutrimento fisico richiesto, ma condividendo il prodotto del proprio corpo, comunica loro le caratteristiche della sua natura. Con l'astensione dalla carne e dai latticini, durante il digiuno ci asteniamo da questa "comunione" con gli animali, in modo che possiamo indebolire le passioni bestiali della nostra natura decaduta, in modo che anche le tentazioni e le sollecitazioni che ne derivano possano essere più facilmente resistite e superate.

Con queste cose in mente, dobbiamo poi tornare indietro alla questione dei sostituti della carne e dei latticini. Questi sostituti sono di solito composti da proteine ​​vegetali raffinate (in genere derivate ​​da soia o glutine di frumento) trasformate poi in forme e strutture simili ai prodotti a base di carne che fanno parte della nostra dieta regolare. Non è la forma e la consistenza della carne che ci lega alle passioni bestiali, ma piuttosto il legame al sangue dell'animale e quindi alla sua anima. Poiché questi sostituti della carne sono costituiti da materiale vegetale (e le piante non hanno un'anima e quindi per loro natura non ci comunicano passioni), non sono la stessa cosa della carne, nonostante il loro aspetto e consistenza. È semplice quindi vedere che non vi è alcuna obiezione essenziale nell’uso di questi sostituti della carne a base di vegetali.

Rimane comunque per noi una questione; qual è il motivo di tutta questa elaborazione e adattamento di materiale vegetale per farlo assomigliare alla carne e ad altri prodotti animali? Una delle ragioni è che le nostre abitudini di preparare i cibi sono basate sull'uso di proteine ​​animali. Utilizzando questi succedanei della carne e del latte, non c'è bisogno di rinnovare completamente i nostri modi di cucinare e le nostre ricette. Fondamentalmente stiamo parlando qui di facilità di preparazione dei cibi e di comodità di utilizzare le tecniche di cottura che ci sono familiari. Nel mondo frenetico in cui viviamo, questa convenienza ci dà la capacità di soddisfare più facilmente tutte le esigenze della nostra vita, che non diminuiscono solo perché siamo in stagione di digiuno. Con questi prodotti per la nostra convenienza, siamo in grado da un lato di tenerci noi stessi fuori dall'influenza dell'anima bestiale e, dall'altro, di continuare ad adempiere ai nostri obblighi.

Simile all'aspetto sopra osservato di convenienza, vi è anche la ragione che in molte famiglie, soprattutto nella cultura occidentale, c’è una mancanza di esperienza di come preparare pasti sani senza carne. Questi sostituti di carni e latticini permettono al cuoco medio di essere in grado di preparare pasti di digiuno, senza dover sacrificare la nutrizione.

In entrambi gli esempi di cui sopra, sono importanti i beneficio spirituali di convenienza e di sollievo dal dover imparare nuove tecniche di cottura. Se dovessimo ristrutturare tutta la nostra vita solo per rispettare le esigenze alimentari del digiuno, gran parte del nostro tempo ed energia sarebbero consumati in questo sforzo, piuttosto che essere investiti nelle fatiche spirituali che aumentano nella Grande Quaresima. Naturalmente, questo presuppone che aumentiamo davvero le nostre fatiche spirituali - pregando di più sia in pubblico che in privato, leggendo libri e articoli spirituali, facendo più opere di bene e così via. È qui che si comincia a vedere, forse, un motivo per evitare i succedanei della carne e del latte. Se non si ha intenzione di aumentare le fatiche spirituali, allora non c'è davvero alcun beneficio nella comodità e nella facilità forniti utilizzando questi prodotti alimentari. Meglio investire il nostro tempo ed energia concentrandosi a preparare prodotti alimentari quaresimali e a cambiare cucina piuttosto che sprecare il tempo risparmiato da questi sforzi nel perseguire le nostre normali attività mondane. Un altro problema è espresso nella raccomandazione patristica che durante il digiuno dovremmo mangiare di meno e dare ai poveri il denaro che risparmiamo. Quando paghiamo prezzi elevati per i sostituti della carne e dei latticini e poi mangiamo troppo, non solo non c'è alcun risparmio, ma spendiamo di più per il cibo rispetto a quando non facciamo digiuno.

C'è un altro motivo meno desiderabile per l'utilizzo di sostituti della carne e dei latticini. È il fatto che questi sostituti ci permettono di mangiare cibi più saporiti e più gradevoli durante il digiuno. Questo è controproducente; non è utile tenersi lontani da una fonte di tentazione (l'anima bestiale) da un lato, solo per soddisfare le nostre tentazioni di gola e d'amore del piacere, dall'altro. È meglio mangiare cibi leggeri e semplici senza costosi sostituti della carne e dei latticini, piuttosto che utilizzare tali prodotti per preparare piatti gustosi e piacevoli al palato.

L'uso di sostituti della carne e dei latticini non è di per sé un problema spirituale - sono semplicemente alimenti vegetali trasformati in nuove forme esterne, ma il cambiamento non è essenziale. Spiritualmente, mangiare un "hamburger vegetale" non è diverso dal mangiare le verdure che lo compongono. Il pericolo di questi sostituti della carne e dei latticini è nel modo in cui li usiamo. Se li usiamo per liberare tempo ed energie per perseguire un aumento del lavoro spirituale, allora questo è coerente con il digiuno. Se, d'altra parte, usiamo queste cose per fornire la possibilità di alimentare altre passioni e sprecare il tempo guadagnato in occupazioni frivole, allora sarebbe meglio non usarli. È necessario esaminare la propria anima, e dove ci sono dubbi, chiedere al proprio confessore come procedere. Lo scopo della Grande Quaresima è quello di fornire l'occasione per una maggiore abnegazione e per indebolire le passioni che ci assaltano da ogni parte. Questi sostituti della carne e latticini sono strumenti da utilizzare in questo sforzo. Se ci aiutano in questo sforzo, allora possono essere utilizzati. Se, d'altra parte, diventano ostacoli al nostro sviluppo spirituale, devono essere messi da parte.

L'arciprete David Moser è il rettore della parrocchia ortodossa di san Serafino di Sarov (ROCOR) a Boise, Idaho (USA)

 
Scuola di canto ortodosso: i tropari e i contaci delle feste

Padre Aleksandr Lavrukhin e il corista Nikita Tau Naledi ci insegnano attraverso una serie di video a cantare i tropari e i contaci di alcune delle più grandi feste cristiane.

I video sono accompagnati dai relativi testi in slavonico e in italiano.

Учимся петь: тропарь и кондак Крещения

Impariamo a cantare: il tropario e il contacio della Teofania

Тропарь, глас 1-й

Во Иордане крещающуся Тебе, Господи, / Троическое явися поклонение: / Родителев бо глас свидетельствоваше Тебе, / возлюбленнаго Тя Сына именуя: / и Дух в виде голубине / извествоваше словесе утверждение: / явлейся, Христе Боже, / и мир просвещей, слава Тебе.

Кондак, глас 4-й

Явился еси днесь вселенней, / и свет Твой, Господи, знаменася на нас, / в разуме поющих Тя: / пришел еси и явился еси, // Свет неприступный.

Tropario, tono 1°

Nel Giordano, al tuo battesimo, Signore, / si è manifestata l'adorazione della Trinità: / la voce del Padre ti ha reso testimonianza, / chiamandoti Figlio diletto; / e lo Spirito in forma di colomba, / ha confermato la sua parola. / O Cristo Dio, ti sei manifestato / e hai illuminato il mondo: gloria a te.

Contacio, tono 4°

Ti sei manifestato al mondo, / e la tua luce, Signore, è stata impressa su di noi, / che riconoscendoti a te cantiamo: / sei venuto e ti sei manifestato, // o luce inaccessibile.

Учимся петь: тропарь и кондак Преображения

Impariamo a cantare: il tropario e il contacio della Trasfigurazione

Тропарь, глас 7-й

Преобразился еси на горе, Христе Боже, / показавый учеником Твоим славу Твою, / якоже можаху, / да возсияет и нам, грешным, / Свет Твой присносущный / молитвами Богородицы, / Светодавче, слава Тебе.

Кондак, глас 7-й

На горе преобразился еси, / и якоже вмещаху ученицы Твои, / славу Твою, Христе Боже, видеша, / да егда Тя узрят распинаема, / страдание убо уразумеют вольное, / мирови же проповедят, / яко Ты еси воистинну Отчее сияние.

Tropario, tono 7°

Ti sei trasfigurato sul monte, o Cristo Dio, / mostrando ai tuoi discepoli la tua gloria, / per quanto era a loro possibile. / Fa' risplendere anche su di noi peccatori, / la tua eterna luce, / per le preghiere della Madre-di-Dio; / o datore di luce, gloria a te.

Contacio, tono 7°

Ti sei trasfigurato sul monte / e i tuoi discepoli come poterono / contemplarono la tua gloria, o Cristo Dio, / affinché vedendoti crocifisso /  potessero credere alla tua passione volontaria / e poi predicare al mondo / che tu sei veramente lo splendore del Padre.

Поем вместе: тропарь и кондак св.апп.Петра и Павла

Cantiamo insieme: il tropario e il contacio dei santi apostoli Pietro e Paolo

Тропарь, глас 4-й

Апостолов первопрестольницы / и вселенныя учителие, / Владыку всех молите / мир вселенней даровати / и душам нашим велию милость.

Кондак, глас 2

Твердыя и Боговещанныя проповедатели, / верх апостолов Твоих, Господи, / приял еси в наслаждение благих Твоих и покой: / болезни бо онех и смерть приял еси паче всякаго всеплодия, / Едине, сведый сердечная.

Tropario, tono 4°

Voi che tra gli apostoli occupate il primo trono, / voi maestri di tutta la terra, / intercedete presso il Sovrano dell'universo / perché doni alla terra la pace, / e alle nostre anime la grande misericordia.

Contacio, tono 2°

Gli araldi di voci sicure e divine, / i corifei tra i tuoi discepoli, Signore, / tu li hai accolti a godere dei tuoi beni e del riposo: / poiché le loro fatiche e la loro morte più di ogni olocausto ti sono state accette, / o tu che solo conosci ciò che è nel cuore dell'uomo.

Учимся петь: тропарь и кондак Вознесения

Impariamo a cantare: il tropario e il contacio dell'Ascensione

Тропарь, глас 4-й

Вознеслся еси во славе, Христе Боже наш, / радость сотворивый учеником / обетованием Святаго Духа, / извещенным им бывшим благословением, / яко Ты еси Сын Божий, Избавитель мира.

Кондак, глас 6-й

Еже о нас исполнив смотрение, / и яже на земли соединив небесным, / вознеслся еси во славе, Христе Боже наш, / никакоже отлучаяся, / но пребывая неотступный, / и вопия любящим Тя: / Аз есмь с вами и никтоже на вы.

Tropario, tono 4°

Sei asceso nella gloria, o Cristo Dio nostro, / e hai rallegrato i discepoli / con la promessa del Santo Spirito, / confermandoli con la tua benedizione, / poiché tu sei il Figlio di Dio, il liberatore del mondo.

Contacio, tono 6°

Dopo aver compiuto l'economia in nostro favore / e unito le creature celesti alle terrestri, / sei asceso al cielo in gloria, o Cristo Dio nostro, / senza separarti in alcun luogo, / ma rimanendo sempre unito / e dicendo a quelli che ti amano: / Io sono con voi e nessuno è contro di voi.

Поем вместе: тропарь и кондак Троицы

Cantiamo insieme: il tropario e il contacio della Trinità (Pentecoste)

Тропарь, глас 8-й

Благословен еси, Христе Боже наш, / Иже премудры ловцы явлей, / низпослав им Духа Святаго, / и теми уловлей вселенную, / Человеколюбче, слава Тебе.

Кондак, глас 8-й

Егда снизшед языки слия,/ разделяше языки Вышний,/ егда же огненныя языки раздаяше,/ в соединение вся призва;\ и согласно славим Всесвятаго Духа.

Tropario, tono 8°

Benedetto sei tu, o Cristo Dio nostro, / che hai mostrato sapienti i pescatori / inviando loro lo Spirito Santo, / e per mezzo loro hai preso nelle reti l'universo; / amico degli uomini, gloria a te.

Contacio, tono 8°

Quando è disceso a confondere le lingue, / l'Altissimo ha diviso le genti; / quando ha distribuito le lingue di fuoco, / ha convocato tutti all'unità; / e noi glorifichiamo a una voce lo Spirito Tuttosanto.

Учимся петь: стихиры Пасхи

Impariamo a cantare: gli stichiri della Pasqua

Стихиры Пасхи, глас 5-й

Стих: Да воскреснет Бог, / и расточатся врази Его.

Пасха / священная нам днесь показася; / Пасха нова святая; / Пасха таинственная; / Пасха всечестная. / Пасха Христос Избавитель; / Пасха непорочная; / Пасха великая; / Пасха верных. / Пасха двери райския нам отверзающая. / Пасха всех освящающая верных.

Стих: Яко исчезает дым, / да исчезнут.

Приидите / от видения жены благовестницы, / и Сиону рцыте: / приими / от нас радости благовещения, Воскресения Христова: / красуйся, ликуй / и радуйся, Иерусалиме, / Царя Христа узрев из гроба, / яко жениха происходяща.

Стих: Тако да погибнут грешницы от лица Божия, / а праведницы да возвеселятся.

Мироносицы жены, / утру глубоку, / представша гробу Живодавца, / обретоша Ангела / на камени седяща, / и той провещав им, / сице глаголаше: / что ищете Живаго с мертвыми; / что плачете Нетленнаго во тли? / Шедше, проповедите учеником Его.

Стих: Сей день, егоже сотвори Господь, / возрадуемся и возвеселимся в онь.

Пасха красная, / Пасха, Господня Пасха! / Пасха всечестная / нам возсия. Пасха, / радостию друг друга обымем. / О Пасха! / Избавление скорби, / ибо из гроба днесь, / яко от чертога / возсияв Христос, / жены радости исполни, глаголя: / проповедите апостолом.

Слава Отцу и Сыну и Святому Духу. / И ныне и присно и во веки веков. Аминь.

Воскресения день, / и просветимся торжеством, / и друг друга обымем. / Рцем братие, / и ненавидящим нас, / простим вся Воскресением, / и тако возопиим: / Христос воскресе из мертвых, / смертию смерть поправ, / и сущим во гробех живот даровав.

Stichiri della Pasqua, tono 5°

Sorga Iddio, / e si disperdano i suoi nemici.

Pasqua / sacra per noi oggi è stata rivelata: / Pasqua nuova, santa; / Pasqua misteriosa; / Pasqua veneranda; / Pasqua: Cristo redentore; / Pasqua immacolata; / Pasqua grande; / Pasqua dei credenti; / Pasqua che ci apre le porte del Paradiso; / Pasqua che santifica i credenti.

Come svanisce il fumo, / svaniscano.

Lasciate / la visione, donne evangelizzatrici, / e a Sion riferite: / accogliete da noi gli annunci di gioia della risurrezione di Cristo; / sii lieta, danza / ed esulta, Gerusalemme, / ora che hai contemplato Cristo Re / che come uno sposo procede dal sepolcro.

Così periscano i peccatori alla presenza di Dio, / e i giusti si rallegrino.

Le donne mirofore, / di primo mattino, / giunte al sepolcro del Datore di vita, / vi trovarono un angelo / seduto sulla pietra / il quale disse loro: / Perché cercate il Vivente tra i morti? / Perché piangete l'Incorrotto qual corrotto? / Andate, orsù, a dar l'annuncio ai suoi discepoli.

Questo è il giorno che ha fatto il Signore: / esultiamo e rallegriamoci in esso.

Pasqua favorita, / Pasqua del Signore, Pasqua; / Pasqua tutta veneranda è per noi sorta; / Pasqua, con gioia abbracciamoci gli uni gli altri; / o Pasqua, riscatto del pianto; / oggi infatti dalla tomba / come dal talamo splendendo, / Cristo di gioia ha colmato le donne dicendo: / agli apostoli date l'annuncio.

Gloria al Padre, e al Figlio, e al santo Spirito, / e ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Amen.

Giorno di risurrezione! / Siamo raggianti per questa festa, / abbracciamoci gli uni gli altri; / diciamo "fratelli" / anche a quanti ci hanno in odio: / Perdoniamo tutti per la risurrezione, / per poter così esclamare: / Cristo è risorto dai morti: / con la morte ha vinto la morte, / e a chi giace nei sepolcri ha elargito la vita.

Учимся петь: тропарь и кондак Пасхи

Impariamo a cantare: il tropario e il contacio della Pasqua

Тропарь, глас 5-й

Христос воскресе из мертвых, / смертию смерть поправ, / и сущим во гробех живот даровав.

Кондак на Пасху, глас 8-й

Аще и во гроб снизшел еси, Безсмертне, / но адову разрушил еси силу, / и воскресл еси, яко Победитель, Христе Боже, / женам мироносицам вещавый: радуйтеся, / и Твоим Апостолом мир даруяй, / падшим подаяй воскресение.

Tropario, tono 5°

Cristo è risorto dai morti: / con la morte ha vinto la morte, / e a chi giace nei sepolcri ha elargito la vita.

Contacio, tono 8°

Benché disceso nella tomba, o immortale, / hai distrutto la forza dell'ade, / e sei risorto vincitore, o Cristo Dio; / alle donne mirofore hai annunciato: gioite, / e ai tuoi apostoli hai donato la pace, / tu che ai caduti offri la risurrezione.

Учимся петь: тропарь и кондак праздника Вход Господень в Иерусалим

Impariamo a cantare: il tropario e il contacio della festa dell'Ingresso del Signore a Gerusalemme

Тропарь, глас 1-й

Общее воскресение / прежде Твоея страсти уверяя / из мертвых воздвигл еси Лазаря, Христе Боже. / Темже и мы, яко отроцы победы знамения носяще, / Тебе Победителю смерти вопием: / осанна в вышних, / благословен Грядый во имя Господне.

кондак

Кондак, глас 6-й

На престоле на небеси,/ на жребяти на земли носимый, Христе Боже,/ Ангелов хваление и детей воспевание/ приял еси зовущих Ти: // благословен еси, грядый Адама воззвати.

Tropario, tono 1°

Per confermare la comune risurrezione, / prima della tua passione, / hai risuscitato Lazzaro, o Cristo Dio. / E anche noi, come i fanciulli, portando i simboli della vittoria, / a te, vincitore della morte, gridiamo: / osanna negli eccelsi, / benedetto colui che viene nel nome del Signore.

Contacio, tono 6°

Su un trono nei cieli, / e su un puledro sulla terra sei assiso, o Cristo Dio, / le lodi degli angeli e le acclamazioni dei fanciulli / hai accettato da quelli che a te gridano: // benedetto sei tu che vieni a rialzare Adamo caduto.

Учимся петь: тропарь и кондак Благовещения

Impariamo a cantare: il tropario e il contacio dell'Annunciazione

Тропарь, глас 4-й

Днесь спасения нашего главизна / и еже от века таинства явление: / Сын Божий Сын Девы бывает, / и Гавриил благодать благовествует. / Темже и мы с ним Богородице возопиим: / радуйся, Благодатная, / Господь с Тобою.

Кондак, глас 8

Взбранной Воеводе победительная, / яко избавльшеся от злых, / благодарственная восписуем Ти, раби Твои, Богородице, / но, яко имущая державу непобедимую, / от всяких нас бед свободи, да зовем Ти: / радуйся, Невесто Неневестная.

Tropario, tono 4°

Oggi è l'inizio della nostra salvezza / e la manifestazione del mistero nascosto da secoli: / il Figlio di Dio diviene figlio della vergine / e Gabriele annunzia la grazia. / Con lui gridiamo alla Madre-di-Dio: / gioisci, o colma di grazia, / il Signore è con te.

Contacio, tono 8°

A te, condottiera pronta alla difesa, / noi tuoi servi redenti dalle sciagure, / dedichiamo i canti vittoriosi e grati, Madre-di-Dio. / Tu che hai questo potere incontrastato, / liberaci da ogni pericolo, per gridare a te: / gioisci, sposa mai sposa.

Учимся петь: тропарь и кондак Сретения

Impariamo a cantare: il tropario e il contacio della Presentazione del Signore

Тропарь, глас 1-й

Радуйся, Благодатная Богородице Дево, / из Тебе бо возсия Солнце Правды – Христос, Бог наш, / просвещаяй сущия во тьме. / Веселися и ты, старче праведный, / приемый во объятия Свободителя душ наших, / дарующаго нам воскресение.

Кондак, глас 1

Утробу Девичу освятивый Рождеством Твоим / и руце Симеоне благословивый, / якоже подобаше, предварив, / и ныне спасл еси нас, Христе Боже, / но умири во бранех жительство / и укрепи люди, ихже возлюбил еси, Едине Человеколюбче.

Tropario, tono 1°

Gioisci, o Madre-di-Dio e vergine colma di grazia, / poiché da te è sorto il sole di giustizia, Cristo Dio nostro, /che illumina quelli che giacevano nelle tenebre. / Rallegrati anche tu, giusto vegliardo, / che hai tenuto tra le braccia il liberatore delle nostre anime, / che ci dona anche la risurrezione.

Contacio, tono 1°

Tu che hai santificato con la tua nascita il seno della Vergine ed hai benedetto come conveniva le mani di Simeone, sei venuto e hai salvato anche noi, Cristo Dio. Conserva nella pace il tuo popolo e rendi forti coloro che ci governano, o solo amico degli uomini.

Поем вместе: тропарь и кондак Рождества Богородицы

Cantiamo insieme: il tropario e il contacio della Natività della Madre di Dio

Тропарь, глас 4-й

Рождество Твое, Богородице Дево, / радость возвести всей вселенней: / из Тебе бо возсия Солнце Правды, Христос Бог наш, / и, разрушив клятву, даде благословение, / и, упразднив смерть, дарова нам живот вечный.

Кондак, глас 4

Иоаким и Анна поношения безчадства / и Адам и Eва от тли смертныя свободистася, Пречистая, / во святем рождестве Твоем. / То празднуют и людие Твои, / вины прегрешений избавльшеся, / внегда звати Ти: / неплоды раждает Богородицу и Питательницу Жизни нашея.

Tropario, tono 4°

La tua nascita, o Madre-di-Dio, / ha annunciato la gioia a tutta la terra, / poiché da te è sorto il sole di giustizia, Cristo Dio nostro: / egli, ponendo fine alla maledizione, ci ha dato la benedizione, / e distrutta la morte, ci ha donato la vita eterna.

Contacio, tono 4°

Gioacchino e Anna sono stati liberati dall'obbrobrio della sterilità  / e Adamo ed Eva dalla corruzione della morte, o purissima, / per la tua santa natività. / Anche il tuo popolo la festeggia, / riscattato dalla schiavitù dei peccati; / sempre esclamando a te: / la sterile partorisce la Madre-di-Dio e nutrice della nostra vita.

Учимся петь: тропарь Введения во Храм Пресвятой Богородицы

Impariamo a cantare: il tropario e il contacio dell'Ingresso al Tempio della Madre di Dio

Тропарь, глас 4-й

Днесь благоволения Божия предображение / и человеков спасения проповедание / в храме Божии ясно Дева является / и Христа всем предвозвещает. / Той и мы велегласно возопиим: / радуйся, / смотрения Зиждителева исполнение.

Кондак, глас 4-й

Пречистый храм Спасов, / многоценный чертог и Дева, / священное сокровище славы Божия, / днесь вводится в дом Господень, благодать совводящи, / Яже в Дусе Божественном, / Юже воспевают Ангели Божии: // Сия есть селение Небесное.

Tropario, tono 4°

Oggi è il preludio del beneplacito del Signore  / e il primo annuncio della salvezza degli uomini. / Agli occhi di tutti la Vergine si mostra nel Tempio di Dio  / e a tutti preannuncia Cristo. /  Anche noi a gran voce a lei acclamiamo: / gioisci, // compimento dell'economia del Creatore.

Contacio, tono 4°

Il tempio purissimo del Salvatore, / il preziosissimo talamo e vergine, / il tesoro sacro della gloria di Dio / viene introdotto in questo giorno nella casa del Signore, / recando con sé la grazia dello Spirito divino; / a lei inneggiano gli angeli di Dio: // costei è celeste dimora.

Поем вместе: тропарь и кондак Воздвижения Креста Господня

Cantiamo insieme: il tropario e il contacio dell'Esaltazione della Croce del Signore

Тропарь, глас 1-й

Спаси, Господи, люди Твоя / и благослови достояние Твое, / победы на сопротивныя даруя / и Твое сохраняя Крестом Твоим жительство.

Кондак, глас 4-й

Вознесыйся на Крест волею, / тезоименитому Твоему новому жительству / щедроты Твоя даруй, Христе Боже, / возвесели нас силою Твоею, / победы дая нам на сопостаты, / пособие имущим Твое oружие мира, // непобедимую победу.

Tropario, tono 1°

Salva, Signore, il tuo popolo, / e benedici la tua eredità; / concedi ai re fedeli la vittoria sui nemici / e custodisci con la tua Croce la tua città.

Contacio, tono 4°

Tu che volontariamente sei stato innalzato sulla Croce, / dona, o Cristo Dio, le tue indulgenze, / al popolo nuovo che porta il tuo nome: / rallegra con la tua potenza i nostri re fedeli, / concedendo loro vittoria sui nemici. / Possano avere la tua alleanza, arma di pace, // invitto trofeo.

Поем вместе: тропарь и кондак Успения Пресвятой Богородицы

Cantiamo insieme: il tropario e il contacio della Dormizione della Madre di Dio

Тропарь, глас 1-й

В рождестве / девство сохранила eси, / во успении мира не оставила eси, Богородице, / преставилася / eси к животу, Мати сущи Живота, / и молитвами Твоими избавляеши от смерти души наша.

Кондак, глас 2

В молитвах Неусыпающую Богородицу / и в предстательствах непреложное упование / гроб и умерщвление не удержаста: / якоже бо Живота Матерь / к животу престави / во утробу Вселивыйся приснодевственную.

Tropario, tono 1°

Nel parto / hai conservato la verginità / e nella dormizione non hai abbandonato il mondo, o Madre-di-Dio; / alla vita  / sei stata trasferita qual madre della Vita / e con le tue preghiere liberi dalla morte le nostre anime.

Contacio, tono 4°

La tomba e la morte non hanno prevalso sulla Madre-di-Dio / che intercede incessantemente per noi pregando / e rimane immutabile speranza / nelle nostre necessità. / Infatti colui che abitò un seno sempre vergine / ha assunto alla vita // colei che è madre della vita.

 

 
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La Chiesa ortodossa e la democrazia


Padre Radovan Bigovic, nato nel 1956 a Niksic (Montenegro) è il vice-decano della Facoltà Teologica Ortodossa di Belgrado. È docente di tre corsi alla Facoltà: Introduzione alla teologia, Elementi di base della teologia cattolico-romana, Elementi di base della teologia protestante. Tiene inoltre i corsi post-universitari di Teologia ecumenica. Il testo che segue è un capitolo del suo libro The Orthodox Church in the 21st Century (La Chiesa ortodossa nel XXI secolo), pubblicato a Belgrado nel 2011 a cura della fondazione Konrad Adenauer.

 

LA CHIESA ORTODOSSA E LA DEMOCRAZIA

La democrazia è divenuta un “mito”, una sorta di religione, nonché un ideale universale per l’umanità intera. Il rifiuto o la critica della democrazia è quasi divenuto un crimine e un’eresia. L’ordine politico democratico è la cornice odierna in cui la Chiesa attualizza la sua missione. Questo mondo sta penetrando la Chiesa stessa. Oggi, l’Ortodossia è criticata come la maggior responsabile dell’impedimento e del rallentamento dei processi “democratici” nelle società “di transizione”, inclusa la nostra. Queste sono solo alcune delle ragioni per le quali questa materia non dovrebbe essere ignorata.

La democrazia è un fenomeno complesso i cui teorici indicano l’esistenza di almeno un centinaio di definizioni. Vi sono molte teorie storico-filosofiche, differenti tipi di democrazia (rivoluzionaria, socialista, diretta, rappresentativa, liberale). Oggi, accanto alla definizione politica, ve n’è anche una ideologica, assiologica (“valori democratici”), morale e culturologica (“cultura democratica”).

Per quanto riguarda il significato politico, la democrazia liberale non è una mitologica “volontà del popolo” o una forma politica in cui “tutti comandano”. È una collezione di attività e di “regole del gioco”, una forma politica in cui il popolo (i cittadini con il diritto di voto) eleggono e controllano chi comanda, e in cui lo scarico dell’autorità è associato a una procedura legale statale. È un ordine politico che consiste in competenze e libertà che si sostengono e si controllano a vicenda. Il suo scopo è proteggere i diritti umani, la libertà e la dignità, per permettere l’attività comune di tutti, con l’aspirazione a creare un “bene comune”. Le democrazie moderne presumono: 1. Una costituzione che  limita l’autorità e protegge molti diritti civili; 2. Un diritto universale al voto senza distinzione di razza, sesso, condizioni economiche, lingua, professione, cultura, affiliazione religiosa (principio di non discriminazione); 3. Diritti umani che nessuno può mettere in questione; 4. Una distinzione tra lo stato e la società; 5. L’esistenza di una “società civile”; 6. Libertà di parola e di informazione; 7. Libertà di riunione, uguaglianza di fronte alla legge e il diritto a procedimenti giudiziari in accordo con la legge; 8. Potere giudiziario indipendente, ed educazione di tutti ai propri diritti e doveri civili; 9. Principi di “divisione di autorità” e mutuo controllo tra differenti rami dell’autorità; 10. Separazione cooperativa tra la Chiesa e lo stato.

La Chiesa oggi si trova all’interno del “villaggio globale democratico”, in cui diverse nazioni, ciascuna con le sue particolarità, sono all’opera nello sviluppo di un ordine planetario politico, economico e tecnologico-informativo. Talora è possibile avere l’impressione che la Chiesa sia ancora sentimentalmente legata ai “bei vecchi tempi”, alle nozioni pre-moderne di stato e società, alla cosiddetta “Ortodossia popolare”. È per questa ragione che sta diventando un fattore sempre meno attivo della storia, e un osservatore sempre più passivo di vari processi, che sembrano scivolarle accanto. È più ripiegata su se stessa, e più occupata dei propri affari che del mondo attorno a lei, dato che questo mondo è post-cristiano, ovvero il mondo del pluralismo democratico postmoderno.

Nella letteratura teologica contemporanea di tutte le Chiese cristiane, nelle dichiarazioni delle persone più influenti, così come nei comunicati pubblici ufficiali, è possibile leggere o udire che la moderna democrazia è radicata nel cristianesimo, e che i “valori democratici” non sono essenzialmente altro che valori cristiani alienati e secolarizzati. Questo potrebbe portarci a concludere che l’ordine democratico e quello ecclesiale siano quasi identici. Tuttavia, tali punti di vista sono assolutamente sbagliati, o, quanto meno, solo parzialmente corretti. La democrazia è basata su fondamenti ideologici che sono differenti e perfino contrari al cristianesimo. Ciò non significa che non vi siano tra di loro somiglianze, almeno alla superficie, né che alla Chiesa manchi il proprio “potenziale democratico”. Nelle società postmoderne c’è un permanente stato di tensione tra la Chiesa e la democrazia. Vi è tra loro una “distinzione irreconciliabile”, che è spesso trasformata in uno stato di mutua opposizione e di animosità simile ai moderni tentativi di mettere la fede contro la mente, lo spirito contro la materia, la terra contro il cielo, Dio contro l’uomo. Per di più, questa è la causa di molti stati schizofrenici, patologie sociali e visioni riduzioniste della vita.

La Chiesa Ortodossa non si può identificare con alcun ordine politico, inclusa la democrazia. Nel corso della storia, essa è esistita in monarchie e repubbliche, in anarchie, in società fasciste, comuniste, conservatrici, socialdemocratiche e islamiche, come pure in varie forme di dispotismo. In modo più o meno intenso, ha sempre adattato le proprie istituzioni a un dato periodo e a un dato ordine politico, ma non ha mai mancato di sottolineare la propria particolarità e distinzione in tali contesti. Essere nel mondo e non essere del mondo è un’antinomia che è si sempre manifestata nella vita della Chiesa. Questa è la ragione per cui la sua vita in ogni epoca è così drammatica, piena di ascese e di cadute, e di tensioni tra il “vecchio” e il “nuovo”, tra il retaggio dell’Antico e del Nuovo Testamento, tra l’amore e la legge, l’istituzionale e il carismatico. Qui si dovrebbe sottolineare che la Chiesa non ha mai fondato la sua vita su alcun singolo principio. Elementi di monarchia, aristocrazia e democrazia si possono a mala pena riconoscere nella sua struttura, particolarmente quella istituzionale. Tuttavia, è importante sottolineare che le istituzioni ecclesiali, in contrasto con quelle dello stato e con altre istituzioni laiche, non hanno alcuna ragion d’essere in se stesse e per se stesse ma sempre in relazione a qualcosa di esterno a loro. Devono essere agili, flessibili, “iconiche”, e in uno stato permanente di apparizione e sparizione. Ogni Liturgia (che rappresenta l’identità della Chiesa) “libera” l’uomo da tutte le pastoie dell’istituzionalismo e del costituzionalismo - della schiavitù alla legge. Le istituzioni sono utili all’uomo come fonte illusoria di sicurezza, mentre la Chiesa gli fornisce la libertà, che ne fa l’icona di Dio.

Per quanto riguarda l’Europa occidentale, le relazioni iniziali tra la Chiesa e la democrazia sono state sotto il segno della mutua repulsione e del rigetto. Nel corso della seconda metà del XIX secolo e la prima metà del XX secolo sono sorti quei movimenti e partiti politici (cristiano-democratici) che si sforzavano di riconciliare la fede cristiana e i suoi principi etici e sociali con le istituzioni delle nazioni e delle società contemporanee. Erano movimenti più o meno caratterizzati dal conservatorismo. Il loro amore per il passato terminava nella maggior parte dei casi in un legame idolatra con il passato. La regola non scritta richiedeva sia l’obbedienza al passato che la schiavitù verso di esso. Questo è il motivo per cui non hanno esercitato alcuna influenza sostanziale sullo sviluppo delle società del tempo. In pratica, la Chiesa ortodossa ha avuto il suo incontro con la democrazia nel corso della seconda metà del XX secolo e alla sua fine, e solo fino a un certo punto nel periodo tra le due guerre mondiali.

Oggi, tutte le Chiese ortodosse autocefale, così come le altre chiese cristiane, sostengono ufficialmente la “democratizzazione dello stato e della società” (cosa che non esclude la resistenza e l’opposizione a questa nozione) opponendosi a ogni forma di totalitarismo e all’uso della violenza come mezzi per risolvere dispute e conflitti. Il ruolo della Chiesa in relazione alla sparizione del comunismo in Europa orientale non è affatto minore o insignificante. Partiti politici e movimenti “di opposizione”, così come intellettuali critici, o sono sorti all’interno della Chiesa, o ne hanno ricevuto un aiuto sostanziale. Tuttavia, anche se si sforza di promuovere una  “democratizzazione della società”, tuttavia la Chiesa rimane fermamente risoluta nel resistere a ogni pretesa (interna o esterna) di “democratizzazione della Chiesa”, sottolineando che la Chiesa non è una comunità “democratica”, ma bensì “gerarchica”. Interessi principalmente egoisti motivano le pretese esterne alla “democratizzazione della Chiesa” mosse da molti centri di potere politico ed economico. Queste pretese sono un’espressione di un desiderio che anche la Chiesa sia inclusa e gestita secondo di “codici” dell’ideologia del progresso consumistico e democratico. Le pretese interne di “democratizzazione”, che vengono da dentro la Chiesa, sono la conseguenza di un disordine secolare riguardo al rapporto tra il sacerdozio (gerarchia) e i fedeli (il laos). Spesso a Chiesa è identificata unicamente con il sacerdozio, e i fedeli perciò diventano esclusivamente “clienti”, “consumatori di beni religiosi”, e un gregge “obbediente”. Queste pretese interne riflettono essenzialmente un desiderio di includere i fedeli come partecipanti attivi nell’elezione di preti e vescovi, nell’amministrazione della Chiesa e nell’intera sua vita. Essenzialmente, questo vuol dire che alla Chiesa è richiesto di emulare l’ordine democratico secolare. Il conflitto tra i principi “clerocratico” e democratico nella Chiesa costituisce per essa una minaccia, che può condurre a conseguenze imprevedibilmente tragiche.

Gli ordini ecclesiale e democratico (e le rispettive autorità) sono due ordini completamente differenti mutualmente irriducibili e inapplicabili l’uno all’altro. È un totale nonsenso applicare il modello dell’autorità democratica alla Chiesa e viceversa. Tutti gli sforzi in questo senso hanno avuto quasi sempre risultati tragici. La Chiesa è una comunione divino-umana e non una comunità di esseri umani. Entro questo concetto, Dio non è solo il creatore del mondo e dell’uomo, ma l’alter-ego dell’uomo e un soggetto attivo dei processi storici. È la vita di tutti gli esseri umani e di tutto ciò che esiste. La Chiesa è fondata sulla legge divina. Essenzialmente, è amministrata da Dio, e non dai fedeli o dal clero. La sua vita non dipende da una “maggioranza di voti” (anche se alcune decisioni nella Chiesa si prendono talvolta per voto di maggioranza). Se la fede dovesse mai dipendere da una “maggioranza di voti”, ciò la porterebbe ala morte. La democrazia, tuttavia, è fondata su una distinta metafisica e visione dell’uomo antropocentrica, sulla “legge della ragione” (Habermas). Per quanto riguarda la Chiesa, la fonte e il fondamento di ogni autorità è Dio stesso; la democrazia trova la sua fonte e il suo fondamento nella mitologizzata, mistificata e sacralizzata “volontà del popolo”. La Chiesa rimane fedele al cosiddetto principio di “autorità dall’alto”, che si espande dall’alto al basso; la democrazia, al contrario, dipende dal principio di “autorità dal basso”, che si espande dal basso in alto. Ecco perché l’organizzazione ecclesiale, sia essa “monocentrica” (romana) o “policentrica” (cristiana orientale) ha, fino a un certo punto, una struttura piramidale che ircorda irresistibilmente (dall’esterno) quella di una monarchia semi-assoluta. Ciò non è cancellato neppure dalle strutture “sinodali”, o da varie “tavole” e “comitati”, il cui ruolo positivo non è più messo in dubbio da alcuno. Anche se la Chiesa dovesse permettere ai fedeli di eleggere preti e vescovi (o donasse loro qualche tipo di diritto di consenso) l’elezione stessa non renderebbe i candidati preti o vescovi; questo si effettua esclusivamente attraverso l’“imposizione delle mani” (cheirotonia), che da sola legittima e legalizza ogni autorità e carisma nella Chiesa.

La natura stessa dell’autorità politica democratica è essenzialmente diversa quando è paragonata all’autorità ecclesiale, ovvero l’autorità della Chiesa, che è l’“autorità” o il “potere d’amore” e del servizio volontario agli altri. L’autorità mondana è giurisdizionale e si manifesta soprattutto con il potere di dominare sugli altri (in accordo con la legge). Attraverso la storia, ci sono stati tentativi da entrambe le parti di identificare questi due tipi di potere l’uno con l’altro, o di far sì che uno cancellasse l’altro. La relazione tra questi due tipi di autorità non è oppure, ma e. Così si dovrebbe interpretare il principio di autonomia di Chiesa e stato. È necessario fare una distinzione tra i due, ma è un totale, tragico nonsenso contrapporre l’una all’altro. Nella storia, hanno bisogno di coesistere con un certo grado di interdipendenza laddove tale interdipendenza è necessaria

L’ordine (autorità) ecclesiale è associato soprattutto con il principio di “unità dell’autorità” (autorità ecclesiale). Per la verità, la maggior parte delle costituzioni ecclesiastiche contemporanee riconosco no anche il principio della divisione delle autorità, anche se non è di alcuna essenziale influenza in pratica. Questo principio di “divisione delle autorità” (legislativa, esecutiva e giudiziaria) è un’indispensabile caratteristica di ogni società democratica. Senza un “equilibrio di poteri” stabilito tra chi detiene l’autorità, l’ordine democratico (soprattutto quello liberale) sarebbe impossibile.

La Chiesa ortodossa vede se stessa in primo luogo come “organismo carismatico”, ovvero, come una comunione di amore, che, in sé, include vari ministeri (organi), e mai come un’istituzione esclusivamente legale, a prescindere dal fatto che anche leggi e istituzioni esistono all’interno della Chiesa. La Chiesa usa le leggi (canoni) così come la scienza medica, per esempio, usa le procedure chirurgiche (solo quando non si può applicare alcun’altra soluzione per salvare una vita o risolvere un particolare problema medico). Entro la Chiesa, c’è una coesistenza del principio di akribeia (rispetto della legge) e del principio di oikonomia (perdono e amore). La Chiesa talvolta si attacca alla “lettera della legge” e altre volte non lo fa (“ogni caso andrebbe visto nella propria luce”, patriarca German). La demcrazia presuppone la regola della legge. L’uomo contemporaneo non  può vedere la sua vita al di fuori delle istituzioni e della legge. Siamo di fronte a una tendenza distinta che vorrebbe istituzionalizzare e regolare per legge tutti gli aspetti della vita umana. Questo sta rapidamente diventando un ideale universale. Sembra che più legge produca più potere. Quanta più forza e potere c’è da una parte, tanta più paura c’è dall’altra. Fino a un certo punto, ciò sostiene quelle nozioni che vedono le società moderne caratterizzate da particolari dialettiche di potere e paura, rivolta e sottomissione.

Le spinte e le insistenze verso “il bisogno di democratizzare la Chiesa”, a prescindere dalla loro provenienza, sono superflue, dannose e inappropriate. Tuttavia, questo non significa che la Chiesa del presente non richieda una “cristianizzazione” (un “ottenimento di ortodossia”) di (da parte di) tutte le istituzioni ecclesiali verso le quali i fedeli hanno sviluppato un senso di resistenza causato dalla loro atrofia (istituzionale) e dalla loro tendenza a paralizzare la vita della Chiesa. Tale “cristianizzazione” delle istituzioni dovrebbe essere vista in primo luogo come la loro conformazione alla natura della Chiesa e non dello stato. Le istituzioni dovrebbero essere rese “iconiche” e, cosa quanto mai essenziale, la Chiesa dovrebbe vedere come imperativo lo stabilirsi di un permanente stato di interdipendenza tra i suoi ministeri, così come un equilibrio nella relazione tra l’uno e i molti. Si dovrebbe fare di tutto perché il laos diventi davvero il fattore costitutivo della Chiesa. La Chiesa è “gerarchica” e questo non dovrebbe essere messo in questione, ma sarebbe un grande e tragico errore interpretare questo aspetto come una questione di subordinazione, come molti, sfortunatamente, fanno. Tali interpretazioni e le pratiche che ne derivano trasformano la Chiesa in un collettivo totalitario e/o in un accampamento militare, mentre, allo stesso tempo, trasformano le relazioni personali tra i suoi membri da piene di grazia e basate sull’amore in relazioni tra superiori e subordinati o tra schiavi e padroni, che riportano la Chiesa al profondo della preistoria. La Chiesa dovrebbe essere sempre in prima linea come campione di libertà e di dignità umana. I suoi membri devono avere libertà al proprio interno, e non essere mai posti in una posizione da aspirare a ottenere libertà dalla Chiesa; dovrebbero partecipare all’autorità della Chiesa, e non sforzarsi di ottenere autorità sulla Chiesa. Questo è un no alla riforma e alla democratizzazione della Chiesa, ma un alla riforma all’interno della Chiesa, e a una metamorfosi di tutte le sue istituzioni. Questo si può ottenere con l’aiuto sia della teologia che delle scienze mondane di sociologia, diritto e politica.

Ci si aspetta che i cristiani servano Dio e la Chiesa, e non che si servano di Dio e della Chiesa per ottenere i loro fini e scopi personali. Anche se la Chiesa ortodossa non è “democratica” ha nella sua stessa natura una “capacità democratica” e un duplice ruolo sociale. Dapprima, deve essere aperta al mondo, e sforzarsi di portare salvezza al mondo e al tempo. Non ha ragione di negare il suo sostegno a tutti gli individui, partiti politici, movimenti e soggetti sociali che sostengono uno stato non tirannico fondato sulla giustizia e sul predominio della legge; uno stato che promuove i diritti umani e le libertà, sostiene lo sviluppo culturale, scientifico, tecnologico e informativo; uno stato che previene ogni forma di discriminazione e di violenza; uno stato che cerca di ridurre il disavanzo tra i ricchi e i poveri, e che favorisce il massimo livello di demilitarizzazione mondiale; uno stato che promuove il dialogo e la cooperazione tra tutte le nazioni del mondo, e si cura della protezione dell’ambiente naturale, poiché i “diritti della natura” sono divenuti una precondizione per tutti i diritti umani. Allo stesso tempo, la Chiesa ha un dovere di “demistificare” la democrazia, di negarle ogni forma di usurpazione di valore e significato assoluto, che dovrebbe esserle riconosciuto solo in forma condizionata e relativa. Dovrebbe sottolineare la patologia delle società liberal-democratiche in modo che possano trasformarsi e progredire continuamente.

L’ordine democratico non è ideale. Tuttavia, rende ancora possibile alla Chiesa di compiere la sua missione nel mondo senza pressione esterna, mentre la scoraggia dalle tendenze “esclusiviste” e le nega il diritto di esercitare autorità statale, proteggendola in tal modo dalle perniciose tentazioni del potere politico e dal desiderio di dominio mondiale.

 
Eletto il nuovo patriarca di Antiochia

Lunedì 17 dicembre 2012, in un sinodo di 18 vescovi al monastero di Blamand (85 chilometri a nord di Beirut), il Santo Sinodo del Patriarcato di Antiochia ha scelto il nuovo patriarca nella persona del Metropolita d'Europa, Youhanna (Yazigi), con sede a Parigi. Il nuovo patriarca, che dovrebbe salire al trono con il nome di Giovanni X, è nato a Lattakia, in Siria. nel 1955.

Ecco alcuni dati biografici del Patriarca Giovanni X sui siti di Orthodoxwiki e di Wikipedia in inglese.

 
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San Marco d'Efeso

San Marco Eugenico, Metropolita di Efeso, ci è noto soprattutto per la posizione da lui presa al Concilio di Firenze nel 1439.

Conosciamo poco della vita di San Marco. Ci sono pervenuti i suoi scritti dogmatici, che ci danno un quadro delle sue attitudini e del suo orientamento intellettuale. Le informazioni biografiche più accurate si trovano nel Sinassario composto per le funzioni liturgiche della sua festa. Questo Sinassario fu scritto dal fratello di San Marco, il diacono Giovanni Eugenico, Nomophylax imperiale (ovvero cancelliere addetto alla custodia e interpretazione delle leggi).

San Marco nacque, fu educato e morì a Costantinopoli. La data della sua nascita è incerta, forse 1391 o 1392. La data della sua morte fu fissata nel 23 giugno 1445.

Il nome di battesimo di San Marco era Manuele. La sua era una famiglia nobile dell'impero. Suo padre, Giorgio Eugenico, era Protodiacono della Grande Chiesa (Santa Sofia, la cattedrale patriarcale), nonché Grande Chartophylax (archivista, segretario e bibliotecario del patriarcato). Sua madre, Maria Lucas, era la figlia di un dottore pio e timorato di Dio. Così, il giovane Manuele crebbe in un ambiente di nobiltà, ricchezza moderata, devozione e virtù.

La sua istruzione ebbe luogo nella scuola amministrata dal padre fino alla morte di quest'ultimo, quando egli aveva tredici anni. Quindi studiò filosofia e retorica sotto i migliori insegnanti del tempo a Costantinopoli. L'intelligenza e versatilità di Manuele erano ammirate sia dai suoi insegnanti che dai suoi compagni di classe (alcuni dei quali lo avrebbero in seguito accompagnato al Concilio di Firenze). In questi anni di studio Manuele fu insignito dell'ufficio di Oratore, il predicatore ufficiale della chiesa patriarcale, e al completamento degli studi gli fu data la direzione della scuola di suo padre.

A 26 anni, distribuì tutti i suoi averi ai poveri e seguì la vocazione monastica sotto l'obbedienza spirituale del monaco Simeone. Fu tonsurato monaco nel 1418 con il nome di Marco, e visse prima nell'isola di Antigoni, e in seguito, all'avanzata dei turchi nell'impero, nel monastero di San Giorgio di Mangani a Costantinopoli. La sua fu una vita di dura ascesi e di studio, profondamente influenzata dalla tradizione esicasta di San Gregorio Palamas.

Marco fu ordinato al sacerdozio dal Patriarca Eutimio II, e come ieromonaco ebbe una considerevole influenza teologica e filosofica sull'imperatore Giovanni VIII Paleologo. Come risultato, lo Ieromonaco Marco fu nominato procuratore per i Patriarcati di Alessandria, di Gerusalemme, e infine di Antiochia per il Concilio di Firenze. Ebbe un ruolo importante nella preparazione degli studi dogmatici e teologici per il concilio, e poco prima dell'inizio del concilio, alla morte del Metropolita Ioasaf, fu elevato al rango di Metropolita di Efeso. Egli, insieme ai Metropoliti Dionisio di Sardi e Bessarione di Nicea, fu designato dall'Imperatore e dal Patriarca Giuseppe II di Costantinopoli come principale rappresentante dei greci al Concilio di Firenze. Marco, indifferente a tutti questi onori, e per di più malato, era riluttante ad andare in Italia.

È importante capire le ragioni della convocazione e del fallimento del Concilio di Firenze. L'impero era attaccato da est dai turchi, i cui successi militari li portavano sempre più vicini a Costantinopoli. Nella via delle loro conquiste, essi convertivano a forza all'islam i greci conquistati, o martirizzavano coloro che non si convertivano, governando con il terrore e lo spargimento di sangue. Le sorti dell'Impero e della Chiesa erano in gioco in questa guerra, che esauriva rapidamente le risorse imperiali, al punto che il viaggio dei legati imperiali e patriarcali al concilio era finanziato dal Papa di Roma.

La speranza del concilio era che il raggiungimento dell'unione tra la Chiesa e il Patriarcato di Roma avrebbe portato aiuto materiale e militare nella guerra contro i turchi. Molti dei membri della parte greca pensavano che l'unione fosse la sola speranza di sopravvivenza dell'Impero e della Chiesa, e tutti erano favorevoli all'unione.

Il Concilio di Firenze, al di là delle sue motivazioni politiche, mirava a porre termine alla divisione che durava dall'undicesimo secolo (1054). La disputa verteva su alcune pratiche e dottrine adottate dal patriarcato di Roma, i cui punti principali erano la posizione del Papa di Roma e del Patriarcato di Roma nella Chiesa, l'aggiunta della clausola del filioque nel Credo, la dottrina del purgatorio e l'uso degli azzimi come pane eucaristico.

Dal tempo del Concilio di Firenze, molte altre dottrine del Patriarcato di Roma sono state aggiunte a questa lista di dispute. Le principali sono l'Infallibilità dottrinale del Papa di Roma e il dogma dell'Immacolata concezione della Vergine Maria.

Questi sono argomenti teologici molto complessi, e in molti dicono che sono punti che non hanno relazione con la vita della persona media. Gli argomenti possono essere difficili, tuttavia hanno un profondo impatto sulla persona media. Questo impatto si può vedere nelle forme di culto alle quali partecipiamo, nel modo in cui preghiamo, in generale nel nostro rapporto con Dio e nel suo rapporto con noi. Questa è la ragione per cui questi disaccordi vengono combattuti con vigore, perché la Verità su Dio non venga diluita e il suo popolo non si separi da Lui.

Durante le riunioni del concilio queste dottrine di Roma vennero discusse. Entrambe le parti presentarono la loro posizione, e si stabilì un terreno comune per quanto possibile. A volte le discussioni furono influenzate da misure esterne da parte latina. Se le discussioni giungevano a un punto inaccettabile per i latini, questi ultimi sospendevano i contributi che si erano impegnati a versare ai greci. tuttavia i greci sentivano che, anche con la sospensione dei fondi, stavano facendo progressi nelle discussioni con i latini. Pur con tali progressi, sentivano ancora la presenza di significative differenze di opinione. Quindi, mentre il concilio stava volgendo al termine, all'improvviso fu annunciata un'unione. I relativi documenti di unificazione furono stilati nonostante vi fossero ancora significative differenze di opinione. Poco prima della firma del documento di unione, il Patriarca Giuseppe II di Costantinopoli si addormentò nel Signore.

I termini dell'unione lasciavano irrisolti tutti i temi discussi al concilio. Essenzialmente si proponeva che le dottrine e gli insegnamenti di entrambe le parti coesistessero pacificamente. San Marco non voleva e non poteva accettare questo tipo di unione, poiché era falsa, e lasciava la Verità più confusa che mai. Marco fu il solo membro della legazione greca a non firmare l'unione. Un altro membro della legazione, Gennadio Scolario (che sarebbe divenuto patriarca dopo la caduta di Costantinopoli), non firmò poiché aveva lasciato il concilio prima della fine delle discussioni.

Poco dopo la firma, le spietate conseguenze dell'unione vennero comprese da molti nella legazione greca. Il clero latino chiese all'imperatore di prendere misure urgenti contro Marco per il suo rifiuto di firmare l'unione. Il papa disse ai legati greci che avrebbero dovuto assegnare un chierico latino come Patriarca di Costantinopoli per rendere l'unione completa. Questa nomina sarebbe stata contraria ai canoni del patriarcato, poiché il patriarca è eletto dal sinodo (assemblea) dei vescovi del patriarcato. I gerarchi greci furono in grado di rimandare questa selezione fino al loro ritorno a Costantinopoli. I gerarchi e il clero greco celebrarono la Divina Liturgia in onore dell'unità, e invitarono i chierici latini a concelebrare: Il clero latino rifiutò l'invito adducendo il motivo dell'ignoranza delle pratiche liturgiche orientali. Per giunta, in questa Liturgia i latini si rifiutarono di ricevere l'Eucaristia per mano dei greci. L'unione mostrava già così la sua amarezza, ma restava la promessa di sostegno per l'Impero contro i turchi.

Il clero greco ritornò a Costantinopoli. Marco era con loro, nonostante le loro proteste, in quanto era sotto la protezione del salvacondotto dell'imperatore. Al loro ritorno il popolo e il clero furono oltraggiati dall'unione e diedero il loro sostegno e ammirazione a Marco. Tre mesi dopo il ritorno, a Marco fu offerto l'ufficio di patriarca, che rifiutò. Il Metropolita Metrofane di Cizico, un unionista, fu eletto Patriarca nella Pentecoste del 1440. Dopo questa elezione Marco fuggì da Costantinopoli per tornare a Efeso.

Quando il Metropolita Isidoro tornò a Mosca dal concilio proclamò l'unione con Roma. Fu gettato in prigione appena furono rivelate le condizioni dell'unione, e fu marchiato come eretico. In seguito scappò dalla prigionia e divenne un cardinale del Patriarcato romano, e operò per gettare le basi dell'Unìa in Ucraina e nei Carpazi.

Con la fuga di Marco gli unionisti e l'imperatore furono presi dal timore che Marco parlasse contro di loro, denunciando la loro vendita della Verità per un guadagno terreno. Al suo ritorno a Efeso, Marco sperimentò maggiori difficoltà. La sua salute cagionevole, le pressioni dei turchi e gli attacchi degli unionisti lo forzarono a partire per il Monte Athos. Al suo rientro nei confini dell'Impero, fu arrestato per ordine imperiale e confinato per due anni a Lemno, e quindi, dal 4 Agosto 1442, riportato a Costantinopoli con proibizione di lasciare la città.

Marco si addormentò nel Signore dopo quattordici giorni di agonia molto dolorosa, il 23 giugno 1445 a Costantinopoli. Fu sepolto al monastero di San Giorgio di Mangani. Le sue reliquie furono in seguito trasportate al monastero di Lazaro a Galata.

Il 29 maggio 1453, Costantinopoli cadde nelle mani del sultano turco Muhammed II. Anche se l'unione era stata mantenuta contro le proteste del popolo, il sostegno dall'Occidente non arrivò mai. Poco dopo la caduta della città, Gennadio Scolario fu eletto patriarca. Il suo primo atto d'ufficio fu di portare ordine nella chiesa dopo l'asservimento di questa ai turchi. Uno dei molti modi di riportare l'ordine fu l'annullamento della falsa unione di Firenze. Nel 1456 per decreto sinodale Marco fu dichiarato santo. Il suo giorno di festa fu fissato in questo decreto il 19 Gennaio (oggi celebrato il 1 Febbraio per gli ortodossi che seguono il calendario ecclesiastico giuliano). Il decreto sinodale dice: "La nostra santa Chiesa Cristiana d'Oriente riconosce, onora e accetta Marco Eugenico come santo, teoforo (portatore di Dio), ardente zelota e coraggiosissimo difensore e protettore dei nostri sacri dogmi e della vera fede; come imitatore e uguale in grandezza ai suoi predecessori e grandi teologi, dottori e ornamento della Chiesa antica." Nel 1734 la sua canonizzazione fu resa più ufficiale dal Patriarca Seraphim.

San Marco, intercedi presso Dio per noi, perché possiamo resistere alle pressioni interne ed esterne, e difendere la Verità, e sopportare le conseguenze di questa difesa della Verità, così come tu fosti in grado di fare.

 

Ringraziamo Randy C. Homyk, Consigliere anziano della Missione Ortodossa di San Marco di Efeso a Kingston, Maine (USA), per il cortese permesso di riprodurre questo articolo.

 
Perché (non) digiuniamo?

La civiltà materialista ha distorto l'interpretazione del digiuno

Mi ricordo della mia infanzia, con quanta devozione si teneva allora il digiuno! Non si faceva alcuna eccezione al digiuno, né per malattia, né per i più piccoli, tutti lo tenevamo con severità. Si aspettava la Santa e Grande Quaresima come un grande evento.

C'erano pentole conservate apposta per la Quaresima. E con quanto rinnovamento spirituale giungevamo alla santa Pasqua! "Si può non osservare il digiuno? Il Signore Cristo ha digiunato quaranta giorni per i nostri peccati e noi non digiuniamo? È un grande peccato rompere la regola del digiuno!" Così pensavano i cristiani ortodossi di un tempo.

La nostra civiltà materialista e amante dei piaceri ha distorto questa comprensione. Mi ricordo ancora di una conversazione tra un rappresentante di questo spirito e un padre spirituale, che insisteva sulla grandi necessità del digiuno per la vita cristiana. "Venerabile padre, diceva il primo, il tempo è passato, le cose ora sono cambiate! Un uomo, per essere produttivo sul posto di lavoro, ha bisogno di molte calorie al giorno e di una dieta ricca di vitamine". Calorie e vitamine regolano la nutrizione umana di oggi, e le regole cristiane tradizionali sul digiuno sembrano non scientifiche e superate.

In effetti, è un fatto ben noto che il mondo di oggi e soprattutto quello di città, per una serie di ragioni, tiene sempre di meno i digiuni ecclesiastici. (...) Forse che il digiuno nel nostro tempo ha peso il suo valore spirituale e il suo potere di rinnovare l'anima?

Se fai digiuno solo dal cibo, sei come i demoni

Dall'inizio osserviamo che questo tipo di comprensione vede il digiuno in particolare sotto il suo aspetto materiale, esterno: cambiamento della dieta, riduzione della quantità di cibo. Ma questa comprensione del digiuno non è quella vera, l’insegnamento della nostra Chiesa ce lo dice con tutta chiarezza. " Se fai digiuno solo dal cibo, dice un inno del Triodio, e non lasci il peccato, sei come i diavoli scaltri, che non mangiano". Oppure un altro: "Facciamo un digiuno gradito al Signore. Il vero digiuno è l'estraniazione dalla malvagità, la custodia della lingua, l’abbandono della rabbia, l'allontanamento dalla lussuria, dalla calunnia, dalla menzogna e dal falso giuramento. La loro mancanza è digiuno vero e ben accolto".

E il grande Crisostomo dice: "Digiuno? Mostramelo nei fatti. Come? Se vedi un povero, abbi misericordia di lui; se vedi un nemico, riconciliati con lui; se vedi un amico con una buona reputazione, non invidiarlo. Non solo la bocca e lo stomaco digiunino, ma anche gli occhi e le orecchie, e piedi, le nostre mani rimangano pure dall’avidità e dall’avarizia...".

Il diavolo non ha potere su chi digiuna

Collegare il digiuno solo al cambiamento e alla diminuzione del cibo è una comprensione incompleta, unilaterale. Il digiuno non è solo cambiamento di regime alimentare, ma qualcosa di molto più complesso, un lavoro di profonda trasformazione e di rinnovamento di tutta la vita spirituale e corporea del cristiano. Ci insegna a questo proposito chi ha fatto del digiuno un caro amico per la vita, i grandi digiunatori, i santi.

"Il digiuno", dice ant’Isacco il Siro, "è la strada santa verso Dio, il fondamento di tutte le virtù. È la corona dei continenti, la bellezza della verginità e della santità, la madre della preghiera, il precursore di tutte le buone azioni...". (Discorso 85). (...) Il Salvatore stesso ci dice nel santo Vangelo che il digiuno è l'arma invincibile contro i demoni (Mc 9, 29). E di nuovo il canto ecclesiastico della Quaresima dice: "I diavoli non osano assalire colui che digiuna e gli angeli sono più vicini a coloro che si purificano con il digiuno" (Triodio).

Quale cristiano può fare a meno del digiuno?

Così, il digiuno si mostra come una professione spirituale, che impiega tutto il nostro essere: la salute del corpo, la santificazione spirituale e corporea, il perdono dei peccati, la via verso il cielo, un’arma infallibile contro i demoni, tutto questo e ben più di questo è mediato dal digiuno. Quale cristiano può fare a meno del suo aiuto?

Cristo il Salvatore, che non aveva bisogno di digiunare, tuttavia ha digiunato per insegnarci con l’esempio quanto sia benefico il digiuno. Per questo, sant’Isacco il Siro aggiunge: "Il digiuno è un'arma realizzata da Dio. E se lo stesso legislatore ha digiunato, chi tra coloro che osservano la legge non dovrebbe digiunare? E chi tra quelli che lo disprezzano non sarà condannato? "

Poiché il digiuno è assolutamente necessario per la vita cristiana, la Chiesa lo ha regolato nel corso dell'intero anno, in periodi di un giorno o più, perché incontrandoci più spesso con il digiuno, questo diventi per noi un buon amico sulla strada verso la perfezione cristiana, e ha e fermamente ordinato che tutti i cristiani lo mantengano, e quelli che lo disprezzano siano rimossi dalla Chiesa. La severità della Chiesa Ortodossa è pienamente giustificata, perché non è possibile la perfezione cristiana, la salvezza dell'anima, senza l’aiuto del digiuno. Ecco alcuni esempi edificanti.

La preghiera senza digiuno non porta crescita

La preghiera è l'ossigeno della vita dell'anima. Come il corpo muore senza ossigeno, così l'anima non può vivere senza la preghiera. I santi Padri chiamano la preghiera "ascensione della mente verso Dio", "colloquio con Dio". Ma chi non sa che l'uomo carico di cibo e bevande non ha una mente agile neppure per le cose terrene, né tanto meno per l'ascensione verso Dio nella preghiera. E viceversa, la mente di chi si solleva con la continenza e il digiuno è agile e ascende facilmente sulle ali della preghiera. La preghiera e il digiuno sono strettamente collegate tra loro e tutti i venerabili e santi, che sono stati grandi uomini preghiera, lo sono stati anche nel digiuno.

La penitenza, dicono i santi Padri, è la più alta delle virtù, un mezzo di continuo perfezionamento del cristiana, un’opera permanente dell'anima, che ci porta al di sopra del mare della vita al cielo eterno. Ma è così collegata con il digiuno che si fonde con esso. Il pentimento è inconcepibile senza il digiuno.

Possiamo dire lo stesso della misericordia, dell’umiltà, della purificazione da tutte le passioni che rendono l’uomo schiavo e di tutte le virtù, tutto si basa sul digiuno. In verità, come dice sant’Isacco il Siro: "Il digiuno è il fondamento di tutte le virtù".

Se è così, allora perché i cristiani di oggi non fanno più digiuno, o ne fanno così poco?

 
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Proposte del patriarca Kirill al governo russo per il compimento della politica nazionale nel campo della tutela della famiglia e dei bambini

Proposte in opposizione all'aborto:

1. Il Ministero della Salute della Federazione Russa dovrebbe inviare istruzioni dipartimentali che rendano la conservazione della gravidanza un compito prioritario per tutti i medici, e vietare iniziative mediche per la sua risoluzione, prescrivendo istruzioni per far conoscere alle donne tutte le conseguenze negative e i rischi dell’aborto.

2. Seguendo l'esempio di altri paesi sviluppati all'estero, dovremmo introdurre in tutte le nostre strutture sanitarie un periodo di attesa obbligatorio di due settimane dopo la registrazione del "consenso informato"... un documento firmato dalla donna prima di commettere un aborto. In parole semplici, il documento dovrebbe descrivere ciò che accade al feto e alla donna in un aborto, ma anche fornire informazioni complete circa i pericoli e i rischi associati con l'aborto.

3. Creare un centro di crisi di gravidanza in ogni ospedale di maternità, con uno psicologo e rappresentanti delle religioni tradizionali. Le donne che desiderano interrompere una gravidanza dovrebbero essere indirizzate qui per un'intervista.

4. Creare una rete di rifugi per le ragazze madri che si trovano in situazioni difficili. Lo Stato deve fornire spazio e risorse per costruire tali centri, e la Chiesa può aiutare nella preparazione dei dipendenti, in particolare tramite i volontari dell’associazione Miloserdija.

5. Escludere le interruzioni di gravidanza (salvo in caso di minaccia diretta per la vita della madre) dal sistema di assicurazione sanitaria.

6. Escludere gli aborti effettuati a spese dei contribuenti, in particolare gli oppositori di principio dell'aborto.

7. Inserire nei programmi delle scuole secondarie materiali che spiegano il processo di sviluppo del bambino nel grembo materno.

8. Fornire sostegno statale alle campagne mediatiche di condanna dell'aborto, che spiegano i suoi effetti negativi; si deve anche promuovere la maternità e la paternità responsabile, e incoraggiare la nascita e la cura di molti bambini per famiglia.

 

Proposte a sostegno delle famiglie con molti figli:

1. Parificare il lavoro delle madri nell'educazione dei figli ad altri lavori socialmente utili, stabilendo, in particolare, benefici per famiglie numerose (soggetti all’adattamento sociale della famiglia) al livello di retribuzione media per la regione, e inserendo un periodo di tempo durante il quale una donna riceve tali benefici, compresi i contributi per la pensione di anzianità.

2. Creare progetti di edilizia abitativa per famiglie numerose, prendendo in considerazione la vicinanza alle infrastrutture educative.

3. Stabilire meccanismi per incoraggiare i datori di lavoro a fornire indennità speciali al loro personale, compresa l'assistenza alle famiglie con bambini nei loro pacchetti di benefici.

4. Fornire denaro o altro contenuto sostanziale nella consegna di premi di Stato a madri e padri di famiglia con molti figli.

5. Prevedere nella legge federale il diritto delle famiglie con molti figli a fare le vacanze estive come famiglia, e costruire meccanismi finanziari per garantire questo diritto.

6. Sviluppare uno speciale programma di assicurazione sanitaria per le famiglie numerose.

 

Proposte per aiutare i bambini rimasti senza la cura dei genitori:

1. Incoraggiare l'istituzione di consigli di fondazione per case di bambini, composti da rappresentanti delle organizzazioni pubbliche e delle religioni tradizionali. Rendere il sistema di assistenza per i bambini rimasti senza la cura dei genitori più trasparente attraverso la partecipazione di volontari e la sorveglianza delle principali organizzazioni sociali e religiose.

2. Permettere, attraverso la legislazione necessaria, l'occasione non solo per un'educazione laico, ma anche un'educazione religiosa tradizionale dei bambini negli orfanotrofi, fatti salvi i diritti del bambino e le norme sanitarie. Riconoscere il diritto del bambino a una vita spirituale e alla partecipazione ai sacramenti della Chiesa, al culto e alle attività parrocchiali, e sviluppare adeguati meccanismi giuridici per l'attuazione di questo diritto. Fornire tra le varietà della cosiddetta custodia temporanea, insieme con le vacanze e i permessi di essere ospiti fuori di casa, una tutela temporanea per consentire di assistere alle funzioni religiose.

3.Sviluppare tra le condizioni di vita in un orfanotrofio la possibilità che i bambini abbiano un mentore esterno, una volta che un bambino raggiunge una certa età, tenendo in considerazione i desideri del bambino e gli standard sanitari.

4. Fornire opportunità di apprendimento per i bambini che vivono negli orfanotrofi, in modo che acquisiscano le competenze necessarie di economia domestica, come la cucina, la pulizia, la pianificazione, e le previsioni per la vita quotidiana.

5. Fornire incoraggiamento ai datori di lavoro a offrire posti di lavoro ai diplomati degli orfanotrofi.

6. Condurre un'attiva politica d'informazione per promuovere servizi di stato per l’adozione dei bambini.

 

Proposte di normativa relativa alla protezione delle famiglie e dei bambini:

1. Dare a ogni famiglia il diritto legale di decidere le questioni concernenti la propria vita interna.

2. Mettere in atto misure legislative per la creazione di ulteriori salvaguardie per i diritti dei genitori a educare i propri figli come meglio credono, compresa la formazione della loro visione del mondo e stile di vita, per aiutare a proteggerli da comportamento pericolosi e immorali, la regolamentazione del loro regime quotidiano, il compimento dei loro doveri religiosi, le relazioni con l'altro sesso, e la regolamentazione dei materiali educativi, di stampa, audio, e video, e l'accesso a siti Internet.

3. Escludere la comparsa di leggi e regolamenti con motivi non-specifici di intervento nella vita familiare, come ad esempio "formazione inadeguata", "basso livello di sostentamento materiale" e "violenza psicologica". Le leggi dovrebbero avere disposizioni più specifiche e pertinenti.

4. Rivedere il sistema di tutela, in particolare i casi di intervento ingiustificato e di interferenza negli affari interni della famiglia. Sviluppare meccanismi efficaci per aiutare le famiglie in difficoltà e bisognose, e non solo la rimozione dei loro figli. Formulare come priorità il compito di tenere unita la famiglia.

5. Minimizzare e definire con chiarezza nella legislazione le condizioni alle quali si può verificare un sequestro extragiudiziale di bambini dalle loro famiglie. Attualmente, molti casi controversi di sequestro hanno ricevuto ampia pubblicità; la definizione sfocata dei diritti e dei doveri di tutela in questa situazione ha portato a questa situazione, nonché a criteri vaghi per la rimozione del bambino.

 
I paramenti di un prete ortodosso

I paramenti di un prete ortodosso / облачение православного священника

1. Sticario (стиха́рь); nella tradizione russa lo sticario sacerdotale è chiamato podriznik (подризник), ovvero "sotto la copertura" (riza).

Si tratta del paramento indossato sotto agli altri paramenti, ed è una forma della veste battesimale. I servitori  d'altare, i diacono, i preti e i vescovi indossano sticari, ma quelli indossati da preti e vescovi di solito sono fatti di materiale molto più leggero.

2. Epitrachilio (епитрахи́ль); letteralmente, "sopra la trachea".

È la doppia stola indossata attorno al collo da ogni prete o vescovo durante tutte le funzioni liturgiche. È il simbolo della grazia data a ogni sacerdote alla sua ordinazione. Le sette croci dell'epitrachilio simboleggiano i sette grandi sacramenti della Chiesa ortodossa.

3. Cintura (по́яс), in greco ζώνη (zoni).

È la fascia pettorale che tiene fermi al loro posto l'epitrachilio e le altre onorificenze quando il prete è in pieni paramenti, e pertanto rappresenta la prontezza del prete a servire.

4. Palitsa (па́лица), in greco επιγονάτιο (epigonatio), o "sopra il ginocchio".

È un pezzo di stoffa a forma di rombo indossata sopra la coscia destra. Questa onorificenza nella Chiesa russa è conferita dopo la croce pettorale dorata. Nelle tradizioni balcaniche indica che chi la indossa ha la benedizione di ascoltare le confessioni. È una spada simbolica che raffigura il prete come guerriero spirituale, e il Vangelo come spada dello spirito.

5. Nabedrennik (набе́дренник); in greco επιμήριο (epimirio), letteralmente "sopra la coscia".

È un pezzo di stoffa a forma di rettangolo indossata sopra la coscia. Spesso è la prima onorificenza che un prete riceve per il suo servizio alla Chiesa. Si indossa sopra la coscia destra finché è rimpiazzato dalla palitsa e spostato sulla coscia sinistra. Condivide lo stesso significato della palitsa.

6. Felonio (Фело́нь), detto anche riza (ри́за) o "copertura".

È l'ampio manteello indossato sopra tutti gli altri paramenti. Simbolizza il mantello che fecero indossare a Cristo prima della sua crocifissione, e rappresenta anche la separazione dal peccato e dalle passioni.

7. Croce pettorale (напе́рсный крест).

La croce indossata attorno al collo indica il rango sacerdotale in alcune tradizioni. Croci argentate, dorate e ingioiellate corrispondono a onorificenze accordate al prete per il suo servizio alla Chiesa. Alcuni preti di alto rango hanno la benedizione di indossare due croci.

8. Mitra (ми́тра)

È un'onorificenza data a un arciprete dopo molti anni di servizio. Di solito è decorata con quattro icone, di Cristo, della Theotokos, di san Giovanni Battista e della santa Croce. Simbolizza la corona di spine che fu posta sul capo di Cristo prima della sua crocifissione, così come la regalità di Cristo, il Re dei re.

"(i sacerdoti) indosseranno vesti di lino... Quando usciranno nell'atrio esterno verso il popolo, si toglieranno le vesti con le quali hanno ufficiato e le deporranno nelle stanze del santuario" (Ez 44;17,19)

 
Il disastro liturgico provocato dal "nuovo calendario"

Per motivi di ordine liturgico, ci deve essere un collegamento tra i cicli mobili e fissi del calendario, in modo da raggiungere armoniosamente la combinazione dell'uno con l'altro. Il calendario della Chiesa integra con successo il ciclo dei Minei con il ciclo pasquale sincronizzando il calendario ebraico lunare e il calendario giuliano solare. Tale armonizzazione, però, è impossibile usando il "nuovo calendario giuliano", che è il motivo per cui i neo-calendaristi usano ancora il vecchio stile (ovvero, il calendario della Chiesa) per il ciclo pasquale; è irrimediabilmente insormontabile per loro armonizzare il nuovo calendario con i cicli lunari, in un qualsiasi modo comprensibile. A prima vista, l'uso non corretto del calendario della Chiesa tra i neo-calendaristi passa inosservato. Tuttavia, è un puro e semplice fatto. Essi non sono coerenti nella loro riforma del calendario, dal momento che per il ciclo fisso utilizzano il nuovo calendario, mentre per il ciclo mobile usano il vecchio calendario. Da un lato, possiamo concludere da questo che il calendario "giuliano nuovo" è viziato a livello essenziale, dal momento che non è in grado di soddisfare completamente le esigenze della cronologia ecclesiastica. D'altra parte, si può anche concludere che i neo-calendaristi hanno o scarsa comprensione o poco rispetto (o, più probabilmente, entrambi) per le sfumature del calcolo del tempo, poiché nel modo quanto più sofisticato e artificiale hanno inutilmente e dannosamente complicato i calcoli cronologici, forzando meccanicamente insieme due calendari completamente diversi nei loro servizi di nuovo stile, senza alcuna giustificazione evangelica o realmente scientifica per farlo. Da nessun'altra parte incontriamo una tale discrepanza, vale a dire, l'uso contemporaneo per lo stesso scopo di due calendari incompatibili. Qualcuno, per esempio, ha mai provato a coniugare il calendario sotiaco dell'antico Egitto con il calendario cinese? Il concetto è assurdo. Inoltre, se i modernisti dovessero applicare il nuovo calendario per il ciclo mobile delle feste tanto letteralmente quanto hanno fatto per quello fisso, la Pasqua avrebbe dovuto essere spostata di tredici giorni, nel qual caso cadrebbe sempre di lunedì, una violazione canonica e liturgica così evidente che perfino i modernisti avrebbero trovato l'idea ridicola.

La santa Chiesa ortodossa ha ordinato che in ogni monastero e parrocchia, a qualcuno a qualcuno sia affidata la responsabilità di preservare l'ordine canonico nei servizi divini. Questo individuo è chiamato il "canonarca", e il suo dovere principale è quello di prendere in considerazione tutti gli aspetti dei servizi divini in relazione alle richieste avanzate dal Tipico, in modo che le osservanze liturgiche si celebrino in modo corretto. Questo compito è considerato estremamente importante, in quanto la corretta celebrazione dei servizi divini è un criterio di una vita gradita a Dio; di conseguenza, gli errori di negligenza o di disobbedienza nei servizi divini sono considerati gravi peccati che meritano gravi epitimie. A questo proposito, l'intervento arbitrario e fuori luogo per del nuovo calendario è indifendibile. Il Tipico fornisce pieni accorgimenti per le diverse coincidenze di feste fisse e mobili, così come i digiuni da loro stabiliti, stipulando un esatto ordine liturgico con istruzioni dettagliate. Pertanto, in molti modi, il Tipico è il più indispensabile dei libri di servizio; e tuttavia, i neo-calendaristi lo hanno praticamente distrutto. A titolo di esempio, consideriamo il fatto che, seguendo il calendario "giuliano nuovo", la festa dell'Annunciazione non può mai cadere durante la Grande Settimana o in concomitanza con la Pasqua. Quest'ultimo avvenimento, quando la Pasqua cade il 25 marzo (di vecchio stile), la festa dell'Annunciazione, la Chiesa ortodossa lo ha celebrato fin dall'antichità con particolare gioia liturgica, definendolo "Kyriopascha", "Pasqua del Signore". [2] I neo-calendaristi quindi si privano di un evento liturgico unico pieno di grazia, e lo stesso vale per molte altre feste. [3]

Una violazione particolarmente eclatante perpetrata con l'introduzione del nuovo calendario riguarda l'osservanza del digiuno degli apostoli. La conclusione di questo digiuno è determinata dal ciclo fisso delle feste, perché finisce sempre al 28 giugno (vecchio stile), vale a dire, il giorno prima della festa dei santi apostoli Pietro e Paolo; il suo primo giorno, tuttavia, dipende dal ciclo mobile delle feste, perché comincia sempre il lunedi dopo la festa di Tutti i Santi (la prima domenica dopo Pentecoste), un giorno che può cadere ovunque tra il 18 maggio (vecchio stile) e il 21 giugno (vecchio stile) inclusi. Così, la santa Chiesa ha stabilito che il digiuno degli apostoli dovrebbe durare da otto a quarantadue giorni. Per i neo-calendaristi, questo digiuno è o fortemente limitato o del tutto abolito. Coloro che violano il digiuno in questo modo farebbero bene a prestare attenzione al Canone 219 del Nomocanone: "Se un monaco, a parte il caso di malattia, cade in orgoglio e viola i digiuni stabiliti per comune osservanza da parte della Chiesa, se è in possesso delle sue facoltà mentali, sia anatema". Che tipo di persona attirerebbe consapevolmente un anatema su di sé?

Molti neo-calendaristi sostengono che l'abrogazione del Tipico non è un peccato, e soprattutto non è un peccato grave, perché non costituisce una deviazione dai dogmi della fede, o una loro negazione. Tale argomento mostra una ignoranza lampante di un concetto di base: che la santa Tradizione è l'essenza del cristianesimo ortodosso. Calpestare il Tipico, come se si trattasse soltanto di un lavoro umano privo di ispirazione divina, equivale a un attacco alla Chiesa stessa, perché il Tipico incarna la sua vita liturgica. I neo-calendaristi rifiutano di riconoscere il fatto indiscutibile che non è possibile far divorziare la dogmatica dalla liturgia senza distruggere la fede, più di quanto lo sia estrarre l'anima di un uomo dal suo corpo senza ucciderlo. Nelle parole di san Giovanni Crisostomo, la Chiesa ortodossa è la "Casa della sapienza", e se un membro si ammala in questa casa, tutta la famiglia soffre. [4] A coloro che respingono questi avvertimenti, facciamo notare la sobria risposta del Signore stesso: "Ma se rifiuta di ascoltare la Chiesa, sia per te come un pagano e un pubblicano". [5]

Abbiamo più volte confrontato la riforma del calendario con la storia del cavallo di Troia. Riflettiamo attentamente sulle similitudini di questa storia con l'introduzione del nuovo calendario nella Chiesa Ortodossa. I greci che stavano conducendo la guerra contro la città di Troia ebbero una brillante idea. Costruirono un enorme cavallo di legno che presentarono come dono ai troiani. All'insaputa dei troiani, questo cavallo di legno era cavo all'interno e nascondeva un distaccamento di soldati. Immaginando la loro fortezza inespugnabile e non vedendo il pericolo in un cavallo di legno, i troiani lo portarono dentro le porte della città. Quella notte, col favore delle tenebre, i soldati nascosti all'interno uscirono, aprirono le porte della città ai loro compagni in attesa al di fuori, e insieme passarono tutta la città a fil di spada. Allo stesso modo, i nemici di Cristo hanno il loro cavallo di legno nel nuovo calendario, che con zelo febbrile si sforzano di imporre a tutta la Chiesa ortodossa. Questo cavallo di Troia del calendario aveva nascosto in sé un virulento spirito anti-ortodosso, che, una volta ammesso dal "Congresso pan-ortodosso", nella cittadella della santa Chiesa, ha scatenato un attacco a sorpresa contro l'Ortodossia. Il nuovo calendario ha spalancato le porte difensive dei santi Canoni, permettendo di riversare le innovazioni più distruttive nella Chiesa. Queste innovazioni ora fanno saltar via pezzo per pezzo il cristianesimo ortodosso, e, se consentiremo loro di continuare, demoliranno del tutto la fede nelle anime delle persone e causeranno la morte spirituale del mondo. Questa è una situazione molto più grave di quella affrontata dagli abitanti dell'antica Troia, perché il Salvatore ci ammonisce, "non temete coloro che uccidono il corpo, ma non sono in grado di uccidere l'anima: temete piuttosto colui che è in grado di far perire sia l'anima sia il corpo nella Geenna". [6] Di conseguenza, imparando una lezione importante dalla storia del cavallo di Troia, gettiamo via da noi, ben oltre le porte della Santa Chiesa, quell'arma di sovversione incomparabilmente più temibile, il nuovo calendario, che minaccia la distruzione sia del corpo sia dell'anima.

Note

[1] Sono proprio questi "brogli" del ciclo pasquale ortodosso con il calendario gregoriano da parte dei neo-calendaristi, e non la fedele adesione dei vecchi calendaristi alla combinazione armoniosa del ciclo pasquale ortodosso con il calendario giuliano, che hanno portato a una rottura dell'unità liturgica all'interno della Chiesa ortodossa di oggi. Come spiega l'archimandrita Cipriano di Fili, l'innovazione del nuovo calendario ha "profondamente diviso" gli ortodossi: "1) Una parte... osserva il calendario patristico e il ciclo pasquale dei Padri; 2) un'altra parte osserva il nuovo calendario e il ciclo pasquale patristico ; 3) una terza parte osserva il nuovo calendario e un nuovo ciclo pasquale (in Finlandia ed Estonia), e 4) una parte finale osserva contemporaneamente il nuovo e calendario e quello patristico assieme al ciclo pasquale dei Padri!" (Archimandrite Cyprian Agiokyprianites, Orthodoxy and the Ecumenical Movement [Etna, ca: Center for Traditionalist Orthodox Studies, 1997], pp. 63-64 )

[2] Si potrebbe immaginare che questa completa eliminazione della Kyriopascha dalla vita liturgica della Chiesa ortodossa sia un oltraggio ai patrioti greci, dato che fu proprio alla coincidenza delle feste dell'Annunciazione e della Pasqua il 25 marzo 1821 (vecchio stile) che la Grecia ha sfidato il giogo turco - un altro miracolo tradizionalmente visto come un segno del favore divino verso il calendario della Chiesa. La Kyriopascha ha inoltre manifestato la sua grazia miracolosa alla nostra generazione nella sua più recente comparsa nel 1991; quello è stato l'anno della scomparsa del comunismo in Russia, scomparsa che, peraltro, è stata sfidata da un ultimo, disperato sussulto nella forma di un colpo di stato comunista sventato il 6 agosto (vecchio stile) - la festa della Trasfigurazione.

[3] La combinazione incongrua del calendario "giuliano nuovo" con il ciclo pasquale in realtà ostacola la grazia che scorre dai canali dei servizi divini, creando situazioni liturgicamente assurde. Per esempio, il 9 marzo, festa dei quaranta martiri di Sebaste, è sempre limitata ai quaranta giorni della Quaresima quando è calcolata secondo il calendario della Chiesa. Negli inni per questa festa, si traccia un ovvio parallelo tra i quaranta Martiri e i quaranta giorni del digiuno: "O atleti di Cristo, avete reso il più onorevole digiuno più radioso attraverso la commemorazione della vostra sofferenza gloriosa; essendo quaranta in numero, voi santificate i quaranta giorni della Quaresima, emulando la sofferenza del Salvatore nella vostra sofferenza per Cristo..." (Doxastico alle Lodi). Quando è celebrata secondo il calendario "giuliano nuovo", tuttavia, il 9 marzo a volte cade prima dell'inizio dei quaranta giorni della Quaresima (già a partire dal martedì della settimana del Figliol Prodigo), rovinando così lo spirito quaresimale dell'innografia della festa dei santi quaranta Martiri. Una cosa simile si verifica per quanto riguarda la festa di san Giorgio il Portatore di trofei al 23 aprile: quando il 23 aprile si osserva secondo il calendario della Chiesa, cade sempre durante il periodo del Pentecostario (e in quei casi in cui la Pasqua cade il 23, il 24 o il 25 aprile, il Tipico trasferisce la festa di san Giorgio al Lunedi luminoso, vale a dire, da uno a tre giorni dopo). Gli inni a questo grande martire universalmente venerato sono quindi pieni di immagini pasquali: "...Una splendente e divina risurrezione ci ha elevati dalla terra verso una Pasqua celeste. Allo stesso tempo, risplende il luminoso memoriale del gloriosissimo martire Giorgio, che celebriamo nella gioia e nella luce... "(Esapostilario del santo). Tuttavia, il 23 aprile secondo il calendario "giuliano nuovo" a volte rientra nella grande Quaresima (già a partire dal Sabato dell'Acatisto), lasciando il dilemma se cantare il servizio divino con tutto il suo immaginario pasquale intatto, anche prima della celebrazione della Pasqua, oppure di trasferire la festa da quattordici a sedici giorni dopo, al Lunedi luminoso.

[4] Cfr I Cor 12:26.

[5] Mt 18:17.

[6] Mt 10:28.

 
Vita del Metropolita Gavriil (Bănulescu-Bodoni)

Presentiamo nella sezione "Testimoni dell'Ortodossia" dei documenti la vita di un personaggio notevole dell'episcopato ortodosso nei secoli XVIII e XIX: Il Metropolita Gavriil Bănulescu-Bodoni (1746-1821), figura molto popolare nella Repubblica di Moldova, ma passato sotto un certo silenzio in Romania, nonostante fosse nativo di Bistriţa, in Ardeal. Forse c'è una ragione... non è troppo divertente, in certe storiografie nazionaliste romene, menzionare che il primo ierarca locale di entrambi i principati romeni è stato nominato a tale ruolo nel 1808 dal Santo Sinodo della Chiesa Ortodossa Russa. Esaminiamone comunque con attenzione la vita, nella nostra traduzione italiana e nell'originale romeno, scritto nel 2006 al monastero di Căpriana, dove oggi riposano i resti del Metropolita Gavriil. Il testo romeno è purtroppo privo di segni diacritici (l'originale postato in Internet nel 2006 non li riportava), ce ne scusiamo con i nostri lettori.

 
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Dagli insegnamenti di San Cosma d'Etolia

Nato in Etolia nel 1714, San Cosma visse molti anni come monaco al Monte Athos; costernato dalla mancanza di conoscenza del Vangelo tra i cristiani ortodossi sotto il dominio turco, ottenne dal Patriarca Seraphim II di Costantinopoli la benedizione per una predicazione itinerante, che compì nell'area attorno all'attuale Albania, fondando scuole. Non venivano ad ascoltarlo solo i cristiani, ma anche molti musulmani. Ebbe fama di grande santità, ma lavorò sempre sotto la guida dei vescovi locali, e con il permesso delle autorità turche. La sua predicazione contro la disonestà lo rese fastidioso a un gruppo di uomini d'affari, che lo denunciò con false accuse ai turchi. Questi lo strangolarono e gettarono il suo corpo in un fiume in Albania, il 24 agosto 1779. Le sue reliquie furono salvate, e hanno compiuto miracoli sin d'allora.

 

Ama il tuo prossimo

Cristiani miei, come state? Avete amore gli uni per gli altri? Se volete essere salvati, non domandate altro, in questo mondo, fuorché l'amore. C'è qualcuno tra voi che ha questo tipo di amore per i suoi fratelli? Che si faccia avanti e me lo dica, affinché lo possa benedire e fare in modo che tutti i cristiani lo perdonino. Egli riceverà quel perdono che sarebbe stato incapace di trovare anche se lo avesse pagato migliaia di libbre d'oro.

- Sant'uomo di Dio, io amo Dio e i miei fratelli.

- Bene, figlio mio. Hai la mia benedizione. Come ti chiami?

- Costas.

- Che cosa fai per vivere?

- Sono un pastore.

- Tu pesi il formaggio che vendi?

- Sì, lo peso.

- Tu, figlio mio, hai imparato a pesare il formaggio, e io ho imparato a pesare l'amore. Forse la bilancia si vergogna del proprio padrone?

- No.

- Lasciami allora pesare il tuo amore, e se è retto e non fasullo, alloro ti benedirò e farò in modo che tutti i cristiani ti perdonino. Come posso sapere, figlio mio, che tu ami i tuoi fratelli? ora che sono qui e cammino e insegno alla gente, io affermo che amo il Signor Costas come i miei occhi, ma tu non mi credi. Vuoi mettermi prima alla prova e poi mi crederai. Io ho del pane da mangiare, ma tu non ne hai. Se ne dò un pezzo a te, che non ne hai, ti mostro che ho amore per te. Ma se mi mangio tutto il pane e tu resti affamato, che cosa mostro? Mostro che l'amore che provo per te è falso. Ho da bere due coppe di vino, mentre tu non ne hai. Se te ne dò da bere, allora mostro di amarti. Ma se non te ne dò, il mio amore è falso. Tu sei triste per la morte di tua madre o tuo padre. Se io vengo a consolarti allora il mio amore è vero. Ma se tu stai piangendo e ti lamenti, e io mangio, bevo e danzo, il mio amore è falso. Tu ami quel povero bambino?

- Sì.

- Se tu lo amassi, gli compreresti una camicia, perché non ha nulla da indossare, e così anche lui pregherebbe per la tua anima. Allora il tuo amore sarebbe vero. Ma ora è falso. Non è così, cristiani miei? Noi non possiamo andare in paradiso con un amore fasullo. Ora, poiché volevi trasformare in oro il tuo amore, prendi dell'oro e vesti i bambini poveri, e allora io farò in modo che essi ti perdonino. Lo farai?

- Lo farò.

- Cristiani miei, Costas ha compreso che l'amore che ha avuto finora era fasullo e vuole trasformarlo in oro, vestendo i bambini poveri. Poiché lo abbiamo edificato, io vi prego di dire tre volte per il Signor Costas, "possa Dio perdonarlo e avere misericordia di lui".

 

L'amore perfetto

San Cosma d'Etolia, che viaggiò nella Grecia occupata attorno al 1750 stabilendo scuole in ogni località, ci diede il prezzo del biglietto dell'Amore. Iniziando dal più costoso, l'Amore Perfetto, disse: "Se volete l'Amore Perfetto, andate a vendere tutti i vostri averi, dateli ai poveri, e andate dove troverete un maestro e vendetevi come schiavi. Potete fare questo ed essere perfetti? Sembra pesante..."

"Non ce la fate? Fate qualcos'altro. Non vendetevi come schiavi. Vendete soltanto i vostri averi. Dateli tutti ai poveri. Potete farlo? Sembra ancora pesante..."

"Andiamo oltre. Non potete dare tutti i vostri averi. Datene metà. Datene un terzo. Un quinto. Anche questo sembra pesante." "Fate qualcos'altro. Datene un decimo. Potete farlo? Sembra ancora pesante."

"Fate qualcos'altro. Non donate i vostri averi. Non vendetevi come schiavi. Proseguiamo; non prendete il vestito del vostro fratello, non toglietegli il pane. Non perseguitatelo. Non sparlate di lui. Non riuscite a fare nemmeno questo?"

"Andiamo ancora oltre: Avete trovato vostro fratello nel fango e non volete tirarlo fuori. D'accordo, non volete fargli del bene. NON FATEGLI DEL MALE. Lasciatelo lì."

"Com'è che vogliamo essere salvati, fratelli, quando questo sembra pesante, e quello sembra pesante. Come possiamo scendere più in basso? Non c'è neppure un posto più basso dove scendere. Dio è misericordioso. Sì, ma è anche giusto. E governa con uno scettro di ferro."

 
L'antidoro (anafura)

Antidoro preparato a una Divina Liturgia patriarcale a Costantinopoli

L'antidoro (anafura) consiste in uno o più pezzi di pane benedetto che rimangono dopo l'estrazione del santo Agnello dalla prosfora (prescura) destinata alla sua preparazione. L'antidoro è condiviso, al termine della Liturgia, tra i fedeli che non hanno condiviso quel giorno i santi Misteri. Può essere preso dai credenti, e in particolare a casa, dopo le preghiere del mattino, a digiuno. [1]

Il nome corretto di questo "pane santificato" è antidoro (ἀντίδωρον), e può essere tradotto con l'espressione "al posto del dono", cioè dei santi Misteri, ma non come loro sostituto.

Sebbene la maggior parte degli ortodossi utilizzi questo nome particolare, i bulgari e i romeni usano il termine anafură, che troviamo frequentemente nei libri della Liturgia medio-bulgari e romeni dal secolo XVI in poi. Notiamo, inoltre, che i bulgari hanno spostato l'accento del termine greco ἀναφορά - che designa "la grande preghiera eucaristica" - chiamando questo "pane" анафóра [2] e i romeni lo hanno chiamato anáfură.

In generale, tra i liturgisti ci sono tre ipotesi riguardo all'apparizione e all'uso dell'antidoro[3]:

1) L'antidoro può aver avuto le sue origini nell'antica agape, quando, dopo le Liturgie, i cristiani, ma non anche i catecumeni[4], condividevano i pani raccolti, ma non utilizzati nel Santo Sacrificio. Nel momento in cui erano portati come offerta al Signore, erano benedetti, e quindi non potevano essere utilizzati come pane comune, essendo già dedicati a Dio. Questi pani, a quel tempo, erano di solito chiamati εὐλογία, ovvero benedizioni. [5] Incontreremo lo stesso termine per molti secoli a venire.

2) L'antidoro sarebbe apparso tra il quarto e il quinto secolo, nell'epoca dei grandi Padri canonisti, quando sono stati fissati termini più concreti per l'esclusione dalla comunione a causa di vari peccati. A quel tempo, era aumentato in modo significativo il numero di persone entrate nel seno della Chiesa, compresi quelli che, a causa di certi peccati, non ricevevano i santi Misteri per diversi anni. Per il loro conforto spirituale, la Chiesa avrebbe ordinato di dare loro "al posto del dono - ἀντίδωρον" alcuni pani o pezzi di pane benedetto. Naturalmente, questi pani non erano considerati un sacramento sostitutivo né in alcun modo uguali alla Santa Comunione [6], ma erano solo un conforto per quelli sospesi dalla comunione ai Santi Misteri. [7] A sostegno di questa ipotesi si aggiunge l'osservazione dell'archeologo G. Galavaris che ha scoperto due modelli diversi di sigilli: un modello per i pani eucaristici e un altro, probabilmente, per i pani chiamati εὐλογία [8]

3) L'abitudine di distribuire l'antidoro si sarebbe manifestata solo nei secoli dal X al XII a causa di due motivi interconnessi: a) è diminuito molto lo zelo per la comunione frequente ai santi Misteri, anche tra i monaci e b) si è sviluppato il rito della Proscomidia e della rimozione del santo Agnello, dopo i quali rimanevano più pezzi di pane che erano consumati all’incirca con la stessa preparazione spirituale per la consumazione dei santi Misteri, e solo da parte di coloro che non erano esclusi dalla santa Comunione.[ 9]

Riteniamo, tuttavia, che nessuna di queste ipotesi possa essere considerata separatamente e, probabilmente, non sarebbe giusto parlare di tre ipotesi, ma piuttosto di tre fasi di un medesimo processo.

L'idea dell'esistenza di altri pani diversi da quelli eucaristici viene certamente dai primi secoli, ma a quel tempo la loro consumazione aveva lo scopo di una semplice benedizione (nello stesso modo in cui riceviamo la benedizione mangiando il pane e il vino del servizio della Litia), e, altre volte, come dimostrato in altro luogo, uno scopo caritatevole, con i rispettivi pane distribuiti ai poveri [10]. Più tardi, come abbiamo indicato al punto 2, gli stessi pani hanno probabilmente assunto un altro senso, essendo destinati a coloro a cui era impedito di fare la comunione o che avevano buone ragioni per non comunicarsi, ed è per questo che hanno incominciato a essere chiamati ἀντίδωρον – termine che, solo in questo contesto, ha una giustificazione logica e teologica. [11] Solo nella terza fase, il pane benedetto è stato visto come qualcosa di simile e quasi alternativo alla santa Comunione [12], con l’imposizione di regole spirituali quasi uguali per la propria consumazione. Inoltre, potremmo parlare della quarta fase, quella contemporanea, in cui all’antidoro è attribuita una santità finora sconosciuta, soprattutto quando i cristiani si comunicano estremamente di rado, ringraziando per la ricezione dell’antidoro e "inventando" anche preghiere speciali per la sua consumazione.

Ma in cosa consiste questa santità del pane benedetto e quale gesto o formula liturgica gli conferisce questa santità? Come osserva il liturgista greco Ioannis Foudoulis, gli antichi manoscritti ed edizioni dello Ieratico (libro della Liturgia) non conoscono nessuna formula di benedizione dell’antidoro, e le più antiche menzioni, che peraltro non sono molto antiche e neppure universali, parlano solo di un’elevazione del vaso con i resti della Proscomidia di fronte alla Santa Mensa durante il canto del Megalinario. [13]

In assenza di formule che accompagnino questo gesto, i greci hanno cominciato a usare alcune espressioni del rito della Panagia (che si fa nelle domeniche e nei giorni di festa nei monasteri [14]) o tutti i tipi di espressioni di magnificazione alla Madre di Dio o alla santa Trinità, mentre i romeni hanno composto alcune formule speciali che fanno riferimento all’antidoro. Menzioniamo il fatto che i russi, molto conservatori in queste cose, ma anche altri ortodossi, non hanno alcuna formula di benedizione dell’antidoro, né si pongono il problema della sua introduzione. Vediamo tuttavia da dove proviene l'idea di una speciale preghiera di benedizione per l’antidoro e quale diritto ha di esistere.

San Nicola Cabasila, e poi anche san Simeone di Tessalonica, i più rinomati commentatori e teologi della Divina Liturgia, mostrano chiaramente che l'antidoro rappresenta i pezzi residui della prosfora, dalla quale è stato rimosso il santo Agnello, e che tali residui si santificano attraverso le preghiere della Proscomidia e per il fatto che l’intera prosfora è stata offerta e dedicata al Signore. [15] Nessuno di loro parla di una qualche benedizione dell’antidoro. Quindi la benedizione dell’antidoro è una novità, che si trova soprattutto nel Liturghier romeno, e nasce dalla necessità di benedire (in qualche modo) grandi quantità di antidoro e quindi dalla necessità di utilizzare prosfore aggiuntive o pani supplementari oltre ai cinque della Proscomidia per preparare questa quantità di antidoro.

Questo problema è entrato da molto tempo tra le preoccupazioni dei liturgisti, ma non si è stati in grado di formulare conclusioni accettate da tutti, in modo che oggi la maggioranza delle Chiese ortodosse oggi procede in modo diverso tra loro. Gli ortodossi della diaspora, ma anche i greci in genere, si comunicano spesso e non hanno eccessiva devozione verso l’antidoro come i russi o i romeni. Pertanto, come punto di riferimento storico, dovremo prendere la Chiesa russa, a cui, liturgicamente parlando, i romeni sono stati spesso molto vicini, mantenendo di contro uno spirito più tradizionalista, in cui anche i liturgisti greci riconoscono che si nascondono molte pratiche liturgiche antiche e interessanti. [16]

Così i russi, ma anche altri ortodossi, sulla base di un antica usanza bizantina, hanno cominciato a rimuovere particelle non solo dalle quattro prosfore della Proscomidia (II-V), ma anche da tutte le altre prosfore portate dai fedeli. La semplice rimozione di queste particelle, secondo loro, è sufficiente a santificare le prosfore, sia che queste siano lasciate intere, sia che siano tagliate come pane benedetto. Come giusta argomentazione a questo proposito viene la precisazione che, al momento dell’introduzione di questa pratica (circa nei secoli IX-XII), la maggior parte riteneva che le particole (miridele) si trasformassero nel santo Corpo [17] e, pertanto, tutte le prosfore avevano le qualità della prima prosfora dalla quale si estrae l’Agnello - ovvero quella dell’antidoro - simbolo della Vergine Maria, da cui è nato (uscito) Cristo [18]. Anche dopo il cambio di opinione circa la trasformazione delle particole, dovuto principalmente a San Simeone di Tessalonica, le prosfiore per l’antidoro non si santificavano a parte, tuttavia, si "teneva conto" dell'esistenza di un "legame essenziale" tra le particelle che si santificano mettendole nel calice e le prosfore da cui sono state rimosse.

Nella Chiesa ortodossa romena, però, poiché non si estraggono particole se non dalle quattro prosfore della Proscomidia, ma nello stesso tempo si usano anche altre prosfore o anche pani ordinari da cui di tagliano molti pezzi di antidoro, alcuni liturgisti si sono visti in qualche modo obbligati a introdurre, cosa giusta, ancora nel XX secolo, una preghiera di benedizione dell’antidoro e anche il gesto di toccare con il vaso dell’antidoro il santo disco e il calice per simulare un legame (in realtà inesistente in queste condizioni) tra l’antidoro e i santi misteri.

Dal momento che questo argomento non è stato sufficientemente studiato, e la pratica romena ha diverse lacune, e non esiste neppure una formula generalmente accettata di benedizione dell’antidoro, siamo del parere, e abbiamo cercato di riflettere questa indicazione anche nel testo della Liturgia, che sarebbe più corretto non usare alcuna formula di benedizione, ma procedere allo stesso modo della maggior parte delle Chiese ortodosse, come del resto si è fatto nella Chiesa ortodossa romena  per molti secoli.

Antidoro preparato alla Divina Liturgia patriarcale al monastero Sretenskij di Mosca (28/12/2013)

Note

[1] In realtà, come vedremo in seguito, queste percezioni sono emerse nel corso del tempo, ma devono comunque essere rispettate. D'altra parte, la devozione per l’antidoro non deve far dimenticare o sminuire lo zelo per la comunione ai santi Misteri.

[2] Cfr. Mss slav n. 28 della Biblioteca dell’Accademia Romena. Supponiamo che da questa forma medio-bulgara del termine (con l'accento sulla vocale "o") provengo anche la denominazione del vaso per l’anafură - anafórniţă.

[3] Cfr. Андрей ПОНОМАРЕВ, "Антидор" in ПЭ, том 2, pp 485-487.

[4] Cfr. Canone 8 di san Teofilo di Alessandria. Si noti che il Testamentum Domini e le Costituzioni Apostoliche permettevano ai candidati al battesimo di mangiare questi pani (cfr padre prof. dr. Petre Vintilescu, „ Anafura sau Antidoron”, in Anexa la Liturghierul Explicat, p. 371).

[5] Ibidem, p. 485.

[6] Questo si vede molto chiaramente nel canone 14 del Sinodo locale di Laodicea (anno 343).

 [7] Il prof. Alexei Dmitrevskij, seguendo l'interpretazione di Teodoro Balsamon, ritiene che tale misura si sia imposta in questo momento per desiderio di rispettare, almeno formalmente, i canoni Apostolico 9 e 2 di Antiochia, che vietavano l’uscita dei credenti prima della fine della Liturgia. Il trattenimento fino al termine di quelli che non si comunicavano può essere stato imposto attraverso la condivisione di questo pane benedetto, che non era negato neppure ai più "peccatori" (cf. А. ПОНОМАРЕВ, op. cit., p 486; p. Petre Vintilescu , op. cit., p 371).

[8] Cf. А. ПОНОМАРЕВ, op. cit., p. 486

[9] Cfr. il Canone 10 del patriarca di Costantinopoli Nicola il Grammatico - XI secolo. Due secoli prima, però, il patriarca Niceforo di Costantinopoli consentiva, tramite il canone 19, la ricezione dell’antidoro da parte di quelli che sono nel periodo di penitenza, ma solo se questi hanno confessato i loro peccati.

[10] Cfr. Ierom. Petru Pruteanu, „Liturghia Ortodoxă: istorie şi actualitate”, capitolo sull’Agape, pp. 30‑32.

[11] All’incirca con lo stesso intento troviamo l’antidoro anche nella Chiesa occidentale. Abbiamo riferimenti nel beato Agostino e nel canone 9 del Concilio di Nantes (sec. VII). In molti casi l’antidoro si chiama in latino: communionis vicarius, dona vicaria panis o panis benedictus. Dopo la generalizzazione dell’ostia a partire dai secoli XI-XII, il pane per l’antidoro si prepara con un'altra ricetta di quella dell’ostia. Sempre in Occidente incontriamo per la prima volta una preghiera di benedizione per questi pani, che significa nemmeno lontanamente un’influenza sulle usanze dei romani ortodossi di benedire l’antidoro.

[12] A questo proposito, un contributo molto importante hanno avuto, già a partire dal secolo IX, i tipici dei monasteri di tradizione studita, in cui si afferma che tutti i giorni in cui non c'era la Liturgia, i monaci e tutti i presenti mangiassero, alla fine dell’Officio dei Salmi Tipici, l’antidoro rimasto probabilmente da una liturgia precedente, con una previa preparazione spirituale. Nell’opinione del liturgista occidentale Juan Mateos, questa ordinanza ha aumentato la devozione verso l’antidoro prima tra i monaci e poi tra i laici. Lo stesso Juan Mateos ritiene che tra i secoli XI e XII l’Officio dei Salmi Tipici, accompagnato dalla ricezione dell’antidoro, sia divenuto così importante nei monasteri che ha iniziato a sovrapporsi con l'ordine della Liturgia: le antifone dei Salmi Tipici hanno cominciato a prendere il posto di quelle ordinarie della Liturgia e alla Preghiera davanti all’ambone, che all’inizio concludeva la Liturgia, è stato aggiunto sia benedetto il nome di Dio..., il salmo 33 e la distribuzione dell’antidoro, tutte parti del rito dei Salmi Tipici. È in questo modo che l’antidoro è diventato un elemento costitutivo di ogni Liturgia, ricevuto anche da quelli degni di ricevere i santi Misteri. È interessante notare che, per tutto il tempo, i tipici monastici studiti cominciano ad accettare e perfino a regolamentare la condivisione, ammettendo il servizio della Liturgia senza alcuna comunione tra i monaci o tra i credenti (ovviamente, tranne i chierici celebranti). In questo contesto, l'uso dell’antidoro è divenuto una necessità quasi obbligatoria. (Vedi А. ПОНОМАРЕВ, op. cit., pp. 485-486.)

[13] Cfr. Ioannis FOUNDOULIS, Dialoghi liturgici, Vol. 1, pp 200-204.

[14] Cfr. Ceaslov, rito della Panaghia.

[15] Nicolae Cabasila, Tâlcuirea Dumnezeieştii Liturghii, cap. LIII, ed. cit., p. 125; Simeon al Thesalonicului, Tratat, cap. 100, Ed. Suceava 2002, vol. 1, p. 156.

[16] Cfr. Ioannis FOUNDOULIS, op. cit., pag 39s.

[17] Come si vede da diversi ricercatori, nei secoli IX-XI a Costantinopoli, soprattutto in Hagia Sophia e nelle altre grandi cattedrali, si usava servire la Liturgia con più dischi, ognuno con un pane, e con più calici, tutto questo - per permettere la comunione di centinaia o addirittura di migliaia di fedeli presenti alla liturgia. I pani erano portati dai credenti in ricordo dei vivi e dei defunti di ciascuno, e tutti erano benedetti all’epiclesi. Già nel XI secolo si è cominciato a usare un solo pane, e a rimuovere dagli altri alcune particelle che erano messe accanto al pane principale, il santo agnello. Come in precedenza si riteneva che tutti i pani che si trovavano sul santo disco si trasformassero nel santo Corpo, così si pensava che queste parti accanto al santo agnello fossero a loro volta agnello. Molto chiare a questo proposito sono le testimonianze storiche lasciate dal patriarca Nicola il Grammatico, poi da Teodoro Balsamon. Naturalmente, questo è teologicamente del tutto corretto, perché, come coloro che si comunicano realmente a Cristo diventano essi stessi Corpo di Cristo, costituendo in tal modo la Chiesa, nello stesso modo mistico, le particelle rimosse per i credenti vivi e morti divengono anche esse Corpo di Cristo, essendo impossibile che ciò che si realizza in modo reale, non si possa realizzare misticamente. Naturalmente, in questo caso, la santità cristica delle particelle si considera trasmessa spiritualmente alle prosfore da cui sono state rimosse, dando loro lo stesso simbolo e senso di antidoro.

Questi significati delle particelle non sono rimasti costanti, perché entro la fine del XII secolo - prima metà del XIII secolo ha iniziato ad apparire il rituale della rimozione delle particole per la Madre di Dio e gli altri santi. Quest’abitudine ha rovesciato i significati più antichi delle particelle, attribuendo loro significati puramente simbolici. A questo ha contribuito in modo particolare san Simeone di Tessalonica che, pur affermando la non trasformazione delle particelle nel corpo di Cristo, non vietava categoricamente di comunicare i laici con queste, ma si limitava a raccomandarlo come parere personale (cfr. Trattato, cap. 94, p 147). Ad ogni modo, le particelle, a se non si santificano all'epiclesi, si santificano quando sono messe nel calice - cosa ritenuta sufficiente dagli adepti della pratica russa della benedizione (indiretta) dell’antidoro. (A proposito di tutto ciò si veda Михаил АСМУС, К вопросу об освящении поминальных частиц за Божественной Литургии, in Вестник ПСТГУ, 2005, Выпуск 14, pp 5-22.)

[18] Questo simbolismo appare per la prima volta in modo tanto chiaro solo con Teodoro di Andide (XI secolo), ma indirettamente anche con Germano di Costantinopoli (VIII secolo).

 
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La Chiesa organizza a Mosca circa 700 mense per i poveri

Secondo la dichiarazione del capo del Dipartimento diocesano di Mosca per la carità e il servizio sociale, l’arciprete Dimitrij Olovjannikov, nella regione di Mosca ci sono 696 mense e 510 punti di distribuzione di abbigliamento per i poveri.

in ciascuno dei quattro orfanotrofi e 12 ospizi della diocesi lavorano da due a 20 assistenti sociali, insegnanti e operatori sanitari.

La diocesi conta 525 assistenti sociali, sono 85 le organizzazioni giovanili coinvolte nel servizio sociale, annuncia il sito web del Dipartimento sinodale della Chiesa per la carità e il servizio sociale.

 

Messaggio pasquale del Patriarca Kirill ai senza tetto

23 aprile 2011

Il primo ierarca della Chiesa ortodossa russa, sua Santità Kirill. Patriarca di Mosca e di tutta la Rus', ha rivolto un messaggio pasquale a tutte le persone senza fissa dimora.

Cristo è risorto!

Cari fratelli e sorelle!

Oggi celebriamo la più importante festa ecclesiale dell'anno ...la Pasqua del Signore. Questo è il giorno in cui il Dio fatto Uomo ha vinto la morte, ha rotto il potere dell'Inferno su di noi, e ha dato a tutti la possibilità di entrare con Lui nella Sua eterna gioia ... il Regno dei cieli.

Che cosa è questo Regno, e chi vi entrerà?

Nel Vangelo, Cristo dice una cosa meravigliosa... che il Regno dei cieli appartiene ai poveri nello spirito. Questi sono le persone che si rendono conto che non hanno alcun merito proprio, e, quindi, umilmente accettano ciò che viene dato loro da Dio.

Molti di voi, miei cari, non hanno un posto dove vivere, fanno difficoltà a trovare cibo, e non dispongono di vestiti a sufficienza. Tuttavia, la maggior parte di voi non è arrabbiata con la gente, non mormora contro Dio, percorre il cammino della propria vita con pazienza e con speranza. Il Signore ha chiamato queste persone i poveri nello spirito.

Al momento, ci sono volontari ortodossi che aiutano le persone svantaggiate, e alcuni mi hanno parlato di persone senza fissa dimora che condividono con gli altri anche quelle poche briciole che hanno raccolto per mantenere insieme il corpo e l'anima. Sono sicuro che, agli occhi di Dio, queste persone sono molto più vicine al Regno del Cielo che molti di coloro che possiedono appartamenti di lusso, auto, e bei vestiti.

Certo, è difficile vivere senza casa!

Tuttavia, c’è una casa sulla terra, in cui il padrone invita proprio tutti ad entrare. È la Chiesa... la casa di Dio. Il suo padrone è Dio stesso.

Venite alla Chiesa per aiuto e consolazione, cari fratelli e sorelle!

Oggi, in tutte le nostre grandi città, ci sono parrocchie che fanno uno sforzo particolare per prendersi cura dei senza fissa dimora. A Mosca, il personale del bus Милосердие (Misericordia) spiega alla gente quali aiuti ha da offrire loro la Chiesa, e dove.

Venite in chiesa, non solo per mangiare o per avere nuovi vestiti. È sempre possibile prendere un appuntamento con un prete per la confessione, alleggerire l’anima, e quindi unirsi con Cristo stesso nel sacramento della Comunione. Questo è il mistero, che egli ha personalmente istituito poco prima della sua resurrezione per tutti coloro che vogliono entrare nel Regno dei cieli - e, quindi, per ciascuno di voi!

Vi auguro per questa gloriosa festa gioia, speranza, e l'aiuto di Dio!

Cristo è risorto!

+ Kirill, Patriarca di Mosca e di tutta la Rus'

 
Il caso secolare contro il matrimonio gay

Il dibattito se lo stato debba riconoscere i matrimoni gay si è finora concentrato sulla questione come se questa fosse un caso di diritti civili. Un tale trattamento è erroneo perché il riconoscimento statale del matrimonio non è un diritto universale. Gli stati regolano il matrimonio in molti modi, oltre al negare agli uomini il diritto di sposare uomini e alle donne il diritto di sposare donne. Circa la metà di tutti gli stati degli USA proibiscono ai cugini di primo grado di sposarsi, e tutti vietano il matrimonio di parenti più stretti, anche se gli individui che vogliono sposarsi sono sterili. In tutti gli stati, è illegale tentare di sposare più di una persona, o addirittura far passare più di una persona come proprio coniuge. Alcuni stati impediscono il matrimonio di persone affette da sifilide o altre malattie veneree. Gli omosessuali, quindi, non sono le uniche persone a vedere negato il diritto di sposare la persona di propria scelta.

Non pretendo che tutti questi altri tipi di coppie a cui è vietato sposarsi siano equivalenti alle coppie omosessuali. Li elenco solo per illustrare che il matrimonio è fortemente regolamentato, e per buoni motivi. Quando uno Stato riconosce un matrimonio, dona alla coppia certi benefici che sono molto costosi sia per lo Stato che per gli altri individui. Raccogliere la pensione del coniuge deceduto, avere un'esenzione fiscale supplementare per il coniuge, e avere il diritto di essere coperti dalla polizza di assicurazione sanitaria del coniuge, sono solo alcuni esempi dei benefici costosi associati al matrimonio. In un certo senso, una coppia sposata riceve un sussidio. Perché? Perché un matrimonio tra due eterosessuali privi di legami di parentela verosimilmente si evolve in una famiglia con bambini, e la propagazione della società è un interesse impellente per uno stato. Per questo motivo, gli stati hanno, in vari gradi, escluso dal matrimonio le coppie che non hanno probabilità di generare figli.

Certo, queste restrizioni non sono assolute. Una piccola minoranza di coppie sposate è sterile. Tuttavia, escludere le coppie sterili dal matrimonio, in tutti i casi tranne i più evidenti, come quelli dei consanguinei, sarebbe costoso. Poche persone sterili sanno di esserlo, e i test di fertilità sono troppo costosi e gravosi da imporre per legge. Si potrebbe sostenere che l'esclusione dei consanguinei dal matrimonio è necessaria solo per evitare il concepimento di bambini con difetti genetici, ma i consanguinei non si possono sposare neppure se si sottopongono a sterilizzazione. Alcune coppie che si sposano programmano di non avere figli, ma senza una tecnologia di lettura della mente è impossibile escluderle. Le coppie di anziani si possono sposare, ma tali casi sono talmente rari che semplicemente non vale la pena di limitarli. Le leggi sul matrimonio, quindi, garantiscono, anche se in modo imperfetto, che le coppie che ottengono i benefici del matrimonio siano nella stragrande maggioranza quelle che generano bambini.

Le relazioni omosessuali non fanno nulla per servire gli interessi dello stato a propagare la società, quindi non c'è alcuna ragione perché lo stato conceda loro i benefici costosi del matrimonio, a meno che tali relazioni non servano qualche altro interesse dello stato. A carico dei sostenitori del matrimonio omosessuale, quindi, ricade l'onere della prova di mostrare quale interesse dello stato servano questi matrimoni. Finora, tale prova non è stata fornita.

Si potrebbe sostenere che le lesbiche sono in grado di procreare attraverso l'inseminazione artificiale, per cui lo Stato ha un interesse nel riconoscere i matrimoni lesbici, ma la relazione sessuale di una lesbica, stabile o meno, non ha alcuna incidenza sulla sua capacità di riprodursi. Forse riconoscere i matrimoni gay può servire un interesse dello stato per rendere più facile un'adozione alle coppie gay. Tuttavia, vi sono ampie prove (si veda per esempio Life Without Father, di David Popenoe) che i bambini hanno bisogno di genitori sia maschi che femmine per il corretto sviluppo. Purtroppo, campioni di piccole dimensioni e altri problemi metodologici rendono impossibile trarre conclusioni da studi che esaminano direttamente gli effetti dei genitori gay. Tuttavia, il senso comune empiricamente verificato circa l'importanza di una madre e padre nello sviluppo di un bambino dovrebbe far riflettere i sostenitori dell'adozione gay. Le differenze tra uomini e donne si estendono oltre l'anatomia, ed è quindi essenziale per un bambino essere cresciuto da genitori di entrambi i sessi se un bambino deve imparare a funzionare in una società composta da entrambi i sessi. È saggio avere una politica sociale che incoraggia accordi familiari che negano ai bambini diritti essenziali del genere? I gay non sono necessariamente cattivi genitori, né i loro figli saranno necessariamente gay, ma non possono fornire una serie di genitori che include sia un maschio che una femmina.

Alcuni hanno paragonato il divieto del matrimonio omosessuale al divieto del matrimonio interrazziale. Questa analogia non regge perché la fertilità non dipende dalla razza, e ciò rende la razza irrilevante per gli interessi dello Stato nel matrimonio. Al contrario, l'omosessualità è molto importante perché preclude la procreazione.

Alcuni sostengono che i matrimoni omosessuali tutelano un interesse dello Stato perché permettono ai gay di vivere in relazioni stabili. Tuttavia, nulla impedisce agli omosessuali di vivere oggi tali rapporti. I sostenitori del matrimonio gay sostengono che le coppie gay abbiano bisogno del matrimonio per avere visite in ospedale e diritti di successione, ma si possono facilmente ottenere tali diritti scrivendo un testamento biologico in cui ogni partner designa l'altro come fiduciario ed erede. Non c'è niente che impedisca alle coppie gay di firmare un contratto di locazione comune o di possedere una casa in comune, come molti single eterosessuali fanno con i compagni di stanza. I soli benefici del matrimonio da cui sono escluse le coppie omosessuali sono quelli che sono costosi per lo Stato e per la società.

Alcuni sostengono che il legame tra il matrimonio e la procreazione non è forte come una volta, e hanno ragione. Fino a poco tempo fa, lo scopo primario del matrimonio, in ogni società di tutto il mondo, è stato la procreazione. Nel XX secolo, le società occidentali hanno minimizzato l'aspetto procreativo del matrimonio, molto a nostro discapito. Come risultato, la felicità delle parti, piuttosto che il bene dei figli o l'ordine sociale, è diventato lo scopo primario del matrimonio, con conseguenze disastrose. Quando le persone sposate si interessano più di se stesse che delle loro responsabilità verso i propri figli e la società, diventano più disposte ad abbandonare queste responsabilità, che conduce a rotture familiari, a un tasso di natalità in crollo, e a innumerevoli altre patologie sociali che sono dilagate negli ultimi 40 anni. Il matrimonio omosessuale non è la causa di una qualsiasi di queste patologie, ma le aggraverà, così come garantire benefici coniugali a una categoria di rapporti sessuali necessariamente sterili non può che allargare la separazione tra il matrimonio e la procreazione. Il più grande pericolo che il matrimonio civile omosessuale presenta è di sancire nella legge l'idea che l'amore sessuale, indipendentemente dalla sua fecondità, è l'unico criterio per il matrimonio. Se lo stato deve riconoscere il matrimonio di due uomini solo perché si amano l'un l'altro, su quale base può negare il riconoscimento matrimoniale a un gruppo di due uomini e tre donne, per esempio, o un fratello e una sorella sterili che dicono di amarsi? Gli attivisti omosessuali protestano dicendo che vogliono solo che tutte le coppie siano trattate allo stesso modo. Ma perché l'amore sessuale tra due persone è più degno di riconoscimento statale rispetto all'amore fra tre, o cinque? Quando lo scopo del matrimonio è la procreazione, la risposta è ovvia. Se l'amore sessuale diventa l'obiettivo principale, la restrizione del matrimonio alle coppie perde la sua base logica, cosa che porta al caos coniugale.

Adam Kolasinski è uno studente di dottorato in economia finanziaria.

 
Link al sito del monastero di Sija

Abbiamo aggiunto il collegamento al sito italiano del monastero della Santa Trinità e di Sant'Antonio di Sija (presso Arkhangelsk, nel nord della Russia). Ci fa piacere vedere un sito così ben fatto in lingua italiana, e speriamo che possa essere per molti un riferimento importante. Ai monaci della Santa Trinità e di Sant'Antonio le nostre felicitazioni in occasione della festa di San Nicola, e un augurio di buon lavoro con tutti gli italiani interessati all'Ortodossia.

[NOTA: Il sito del monastero è stato chiuso dopo alcuni anni di attività]

 
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Santa Xenia di San Pietroburgo

Poco si sa della vita terrena di questa santa donna, che era veramente, come indica il suo nome, una "estranea" o "straniera" sulla terra, sempre protesa con nostalgia verso la patria celeste. Sappiamo che visse nel diciottesimo secolo, durante i regni delle Imperatrici Elisabetta e Caterina II; ma le date della sua nascita e della sua morte, così come la storia della sua famiglia, ci sono ignote. Ella passò quasi tutta la sua vita a Pietroburgo, e il suo nome era Xenia Grigorievna Petrova, moglie dell'ufficiale dell'esercito e cantore di corte Andrej Feodorovich Petrov.

All'età di 26 anni, Xenia rimase vedova in condizioni che avrebbero cambiato tutto il corso della sua vita. Suo marito, che conduceva la ordinaria vita mondana di quel tempo, morì all'improvviso una sera durante una festa, senza pentimento e senza ricevere i Santi Misteri. Per il dolore, e soprattutto per la preoccupazione per la sorte eterna del marito, Santa Xenia adottò uno strano stile di vita. Si vestì degli abiti del marito, e chiese alla gente di chiamarla "Andrej Feodorovich." Attraverso la morte del suo amato marito, giunse a comprendere la natura incostante e passeggera della vita terrena. Tutti i suoi precedenti interessi mondani persero ogni significato per lei, e la sua esistenza terrena divenne ora il mezzo per ottenere la vita eterna in Dio.

Contro il volere dei suoi parenti, che protestarono presso le autorità militari, regalò la sua casa e tutti i suoi averi ai poveri, e iniziò a vivere una vita da vagabonda nel quartiere dei poveri di Pietroburgo. Rifiutando ogni aiuto da parte dei suoi amici e parenti, gioì della sua libertà dalle cose di questo mondo. Quando i vestiti di suo marito caddero a brandelli, si vestì di abiti stracciati, sempre verdi e rossi, i colori dell'uniforme del marito, in ogni periodo dell'anno, nonostante il rigido gelo del nord.

Dopo un certo tempo la Beata Xenia scomparve improvvisamente da Pietroburgo e non fece ritorno per otto anni. Durante questo periodo visitò i santi anziani e asceti di quel tempo, ricevendo da loro istruzioni sulla vera vita spirituale e preparandosi per il difficile compito che doveva ancora intraprendere: la follia per Cristo. Uno dei santi anziani di quel tempo, il Beato Teodoro di Sanaxar, che era ben noto a Pietroburgo, prima come militare di corte e poi come monaco e padre spirituale, aveva egli stesso cambiato vita dopo avere visto la morte improvvisa di un giovane ufficiale a una festa. È possibile che questo giovane ufficiale fosse il marito di Xenia, e che questo singolo triste evento abbia aperto la strada della santità per due santi russi. In ogni caso, è probabile che Xenia sapesse di lui, e che abbia forse ricevuto da lui istruzioni spirituali.

Dopo il suo ritorno a Pietroburgo, Santa Xenia rimase nello stesso quartiere dei poveri, noto come il "fianco di Pietroburgo." Là visse come vagabonda senza casa, sopportando insulti e derisioni per il suo strano comportamento, ma sempre rifacendosi all'immagine di Cristo, il grande sofferente, che subì gli sputi e gli insulti e una morte vergognosa senza mormorare. Non accettava elemosine dalla gente, se non qualche moneta di rame, che usava per aiutare i poveri. Passava le notti fuori città in un campo, senza dormire, in costante preghiera. Sul suo volto emaciato risplendevano le virtù cristiane della mitezza, dell'umiltà e della gentilezza. Presto iniziarono a rivelarsi in lei elevati doni spirituali. Divenne chiaroveggente, e profetizzava, per mezzo di allegorie e di affermazioni criptiche, eventi futuri non solo degli ordinari abitanti di Pietroburgo, ma persino della famiglia reale. Diversi casi della sua preveggenza ci sono pervenuti.

Un giorno Santa Xenia andò a visitare una certa Krapivina, moglie di un mercante. Dopo essere stata accolta con calore e aver passato un po' di tempo in conversazione con lei e con altri ospiti, la ringraziò e, preparandosi a uscire, indicò Krapivina dicendo: "Guardate, le ortiche (krapiva in russo) sono verdi, ma presto appassiranno." Nessuno prestò attenzione alle parole della beata, ma presto la giovane Krapivina, che era rigogliosa di salute, si ammalò inaspettatamente e morì. Allora coloro che erano stati presenti ricordarono le parole della Santa e capirono che in quel modo aveva profetizzato la morte prossima della moglie del mercante.

Un'altra volta Santa Xenia si recò dalla sua buona amica, Parasceva Antonova, a cui aveva affidato la sua casa dopo essere diventata vedova, e le disse: "Te ne stai qui seduta a rammendare calzini, e non sai che Dio ti ha mandato un figlio! Và subito al cimitero di Smolensk!"

Antonova, che conosceva la beata fin dalla giovinezza, sapeva bene che nessuna parola menzognera era mai uscita dalle sue labbra; e così, nonostante la stranezza di quelle parole, credette immediatamente che qualcosa di straordinario fosse davvero accaduto, e si affrettò al cimitero di Smolensk. Avvicinandosi al cimitero, vide una grande folla, e scoprì che un cocchiere aveva investito una donna gravida, che aveva dato alla luce un figlio proprio sulla strada ed era morta.

Provando compassione per il bambino, Parasceva Antonova lo portò immediatamente a casa. Né il corpo di polizia di Pietroburgo né la stessa Antonova poterono scoprire chi fosse la madre defunta, e neppure chi fosse il padre del bambino, e così il piccolo rimase con lei. Ella gli diede una buona educazione, e a suo tempo divenne un eminente ufficiale, mostrandosi pieno di rispetto e di amore verso la sua madre adottiva, e prendendosene cura fino alla sua morte. Mostrò anche il più profondo rispetto per la memoria della beata Xenia, che aveva fatto tanto per la madre adottiva, e aveva partecipato direttamente al proprio destino al momento stesso della sua nascita come orfano totale.

Tra gli amici che Santa Xenia talvolta visitava, c'era la famiglia Golubev: la madre e la figlia diciassettenne, che era molto bella. Santa Xenia amava molto questa ragazza per il suo comportamento mite e tranquillo e per il suo buon cuore.

Un giorno Xenia venne in visita mentre stavano a tavola e preparavano il caffè. "Oh, bellezza mia," disse alla figlia, "tu te ne stai qui a scaldare il caffè, mentre tuo marito sta seppellendo sua moglie a Ochta. Corri là, in fretta!" Alla risposta sbigottita della giovane, Santa Xenia replicò soltanto con un imperioso "Và!"

Sapendo che Santa Xenia non diceva mai nulla che fosse privo di significato, e provando riverenza per lei come persona gradita a Dio, le donne obbedirono all'istante e si recarono a Ochta. Là videro un corteo funebre che si recava al cimitero. Si unirono alla processione e presero parte al funerale e alla sepoltura della giovane moglie di un dottore, che era morta di parto. Dopo le funzioni, le donne stavano per partire con il resto dei partecipanti, quando all'improvviso si fece loro incontro il giovane vedovo. Questi, dopo aver pianto amaramente alla vista della terra gettata sopra il corpo della sua amata moglie, perse i sensi e cadde proprio tra le loro braccia. Le donne lo fecero rinvenire, fecero la sua conoscenza, e un anno dopo la giovane divenne sua moglie. Vissero insieme felici fino a tarda età, e chiesero come testamento ai loro figli di prendersi cura della tomba di Santa Xenia e di riverire la sua memoria.

Un giorno Santa Xenia incontrò una devota amica per strada, la fermò e, dandole una moneta di rame da cinque copechi con l'immagine di un cavaliere, disse: "Prendi la moneta, c'è lo Zar a cavallo; si estinguerà!" La donna prese la moneta, salutò Xenia, e tornò a casa perplessa, chiedendosi il significato di quelle strane parole. Era appena entrata nella via dove viveva, quando vide che la sua casa aveva preso fuoco, ma prima che potesse raggiungere la casa, le fiamme furono spente. Allora ella comprese le parole della santa.

Nel 1764, l'ex-Zar Giovanni VI, che era stato imprigionato per 23 anni nella fortezza di Schlusselburg a Pietroburgo, fu ucciso durante una rivolta intesa a rimetterlo sul trono. Per tre settimane prima di questo triste evento, Santa Xenia prese a piangere amaramente, tutti i giorni, talvolta per tutto il giorno. Coloro che la incontravano erano mossi a compassione, e credendo che qualcuno l'avesse offesa, le chiedevano: "Perché piangi, Andrej Feodorovich? Qualcuno ti ha offeso?" La santa replicava: "Là c'è sangue, sangue, sangue! Là i fiumi sono pieni di sangue, i canali sanguinano, là c'è sangue, sangue!" e si metteva a piangere ancora di più. Nessuno riusciva a capire cos'era successo a Xenia, solitamente tranquilla e di buon umore, né poteva spiegarsi le sue strane parole. Solo dopo tre settimane, quando la notizia della morte dell'ex-Zar si diffuse per tutta Pietroburgo, tutti compresero che con le sue lacrime e le sue strane parole la Santa aveva profetizzato la sua sofferenza e morte.

Alla vigilia della Natività di Cristo, il 24 Dicembre 1761, Santa Xenia passò tutto il giorno correndo per le strade di Pietroburgo gridando ovunque ad alta voce: "Cucinate le frittelle! Cucinate le frittelle! Presto tutta la Russia cucinerà le frittelle!" Tutti erano perplessi, chiedendosi il significato delle sue strane parole e della sua condotta. Ma il giorno seguente tutta Pietroburgo udì la triste notizia: La Zarina Elisabetta era morta all'improvviso. Solo allora tutti compresero il significato delle parole della santa: aveva profetizzato la morte dell'Imperatrice, dopo la quale tutta la Russia servì banchetti funebri con le usuali frittelle (blinyi) in memoria dei defunti.

Una volta, in un mercato di Pietroburgo, i mercanti riuscirono a ottenere da un ricco fornitore una scorta di diversi tipi del migliore miele. C'era miele di fiori di tiglio, e di sorgo, e di altri fiori e piante. Ciascuno aveva il proprio sapore e profumo speciale. E quando i mercanti mescolarono tutti e tre i tipi di miele in un solo barile, si produssero un gusto e un aroma al di là della più fervida immaginazione. La gente comprò subito di questo miele, senza badare a spese. E all'improvviso apparve la Beata Xenia. "Non prendetene, non prendetene," gridò; "non si può mangiare questo miele: puzza di cadavere!" "Sei uscita di senno, Matuskha! Non ci infastidire! Vedi che profitto che ne ricaviamo. E come puoi provare che non si deve mangiare questo miele?" "Ecco come lo proverò!" gridò la santa, e appoggiatasi con tutto il suo peso al barile, lo rovesciò. Mentre il miele colava sul marciapiede, i presenti si raccolsero intorno al barile; ma quando il miele fu defluito, tutti gridarono di orrore e repulsione: al fondo del barile giaceva un enorme ratto morto. Anche coloro che avevano comprato questo miele a caro prezzo e lo avevano portato con sé, lo gettarono via.

Santa Xenia divenne famosa e riverita tra la gente, come una persona che aveva trovato il favore di Dio. La sua stessa presenza in una casa o in un negozio veniva considerata un augurio di prosperità e di successo. Le madri le portavano i loro bambini per ricevere la sua benedizione e le sue gentili parole, nella convinzione che queste avrebbero portato loro salute e felicità.

Quando una chiesa in pietra fu costruita nel cimitero di Smolensk nel 1794, la santa, ora anziana, portava di notte i mattoni sulla sommità della chiesa, per facilitare il lavoro agli operai il giorno successivo. Solo Dio conosce quali altri lavori ella abbia intrapreso in modo simile.

Passando così la propria vita in costante disposizione ad aiutare il suo prossimo, in preghiera incessante e con rinuncia a tutti i beni terreni, Santa Xenia visse per 45 anni dopo la morte del suo marito. Quando e come morì non lo sappiamo, ma la sua morte avvenne probabilmente negli ultimi anni del diciottesimo secolo. Fu sepolta nel cimitero di Smolensk.

Entro il 1820, grandi folle di credenti si radunarono attorno alla tomba di Santa Xenia per pregare per il riposo della sua anima e per chiedere la sua intercessione presso Dio. Così tanti prendevano terra dalla sua tomba, che questa doveva essere nuovamente ricoperta ogni anno. Quando una lastra di pietra fu posta sulla tomba, la gente ne staccava dei pezzi come ricordo della santa. In seguito fu edificata una cappella sulla sua fossa, e anche nei lunghi anni in cui questa è stata chiusa, ci sono delle persone che sono andate a pregare e a raccogliere un poco di terra o un pezzo di pietra dal muro della cappella. I miracoli ottenuti per le preghiere di Santa Xenia non sono diminuiti nel corso degli anni. Anche oggi coloro che chiedono aiuto a Santa Xenia ricevono guarigione da malattie, successo in buone opere, e liberazione da sventure.

 

Tropario della Beata Xenia, Tono 7°

O amante della povertà di Cristo, ora partecipi all'eterno banchetto. Con la tua follia simulata, hai coperto di vergogna la follia di questo mondo. Portando umilmente la croce hai esaltato la gloria di Dio, e perciò hai acquisito il dono dei miracoli. O Beata Xenia, intercedi presso Cristo Dio affinché ci liberi da ogni male attraverso il pentimento. 

Contacio, Tono 3°

La città di San Pietro ora esulta radiosa, poiché molti afflitti sono stati consolati, sperando nella tua intercessione, o Xenia tuttabeata. Tu sei infatti la gloria e la confermazione di quella città.

 
È corretto che il prete si tolga i paramenti mettendoli sul capo dei credenti?

Recentemente, una credente malata mi ha chiesto di togliermi i paramenti liturgici mettendoli su di lei, perché aveva visto questa consuetudine anche da altre parti, e aveva sentito dire che è molto bene che il sacerdote si tolga i paramenti mettendoli sul capo dei fedeli.

Lo ammetto, era la prima volta che mi veniva chiesta una simile cosa "ecclesiale", e sono stato messo nella situazione di dover risolvere in modo corretto, ortodosso e canonico questo desiderio di una fedele.

In primo luogo, ho spiegato a questa persona che si tratta di un'abitudine, di una pratica che non è prevista in alcun rito della Chiesa.

In secondo luogo, per non deludere la fedele, le ho imposto l'epitrachilio sul capo chinato e abbiamo pregato insieme per chiedere la misericordia di Dio per la guarigione e la salute, con le preghiere previste nei libri di servizio.

In terzo luogo, le ho spiegato cosa significano i paramenti liturgici, il loro impiego, e che imporre qualsiasi parte dei paramenti su di lei non le porta alcun beneficio, perché i paramenti sono fatti per un sacerdote che celebra i servizi divini, specialmente la Divina Liturgia.

In altre parole, dopo la celebrazione della Divina Liturgia, ho rimosso i paramenti liturgici secondo il rito nel santuario, piuttosto che su questa fedele, evitando la pratica non canonica.

Sia la vestizione con i santi paramenti che la rispettiva svestizione si fanno solo nel santuario.

Le uniche circostanze previste dai riti della Chiesa, nelle quali il sacerdote può imporre sul capo un paramento liturgico - e anche qui solo l’epitrachilio - sono quelle del Mistero della Confessione e del compimento dei quaranta giorni dopo la nascita di un bambino; qui si parla solo dell’imposizione dell’epitrachilio sopra i capi dei fedeli.

Perché non è corretto togliersi i paramenti mettendoli sui credenti?

I paramenti, anche se sono portatori di santità, sono stabiliti solo per i servitori dei santi Misteri che indossano in un ordine ben preciso: ogni pezzo dei paramenti è benedetto con la mano in forma di croce, è baciato, e al momento della vestizione si pronunciano preghiere speciali. Poi, al momento della rimozione, il sacerdote pronuncia ancora le preghiere previste dal rito e bacia i paramenti, mettendoli con riverenza al posto assegnato. Sia vestirsi che svestirsi dei paramenti sono azioni che si compiono solo nel santuario.

Se il sacerdote si toglie i paramenti sui fedeli, non può più compiere l'ordine delle preghiere e in qualche modo disonora il Mistero del sacerdozio, per mezzo del quale gli è dato il diritto esclusivo di utilizzare i paramenti in modo corretto.

La scrittura testimonia della donna che ha ricevuto la guarigione solo toccando il vestito di Cristo il Salvatore; quindi, non occorre che il sacerdote si tolga i paramenti, ma ci vuole un tocco umile e sincero, e una forte fede.

 
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Musica cristiana antica e bizantina: storia e pratica

Una copia di un manoscritto moderno contrassegnato con notazione tradizionale bizantina

Un'esplorazione della storia e della pratica del canto ortodosso in stile bizantino, con uno studio sulle varie modalità e tonalità, e le modalità di esecuzione pratica.

Vorrei suddividere questa presentazione piuttosto generale in due parti distinte, ma correlate. La prima è essenzialmente storico: una visione d'insieme, senza troppi dettagli, sulle informazioni che abbiamo sul modo paleocristiano e bizantino di fare musica e di metterla in pratica. La seconda è più riflessiva e personale. Ha a che fare con l'eredità odierna e con la comprensione della musica nel culto attraverso la lente della spiritualità ortodossa.

PARTE I. Abbozzo storico

Per il primo millennio del cristianesimo, non abbiamo informazioni dirette sulla melodia sacra. Non ci sono manoscritti musicali; non c'era bisogno di una notazione in quanto le melodie appartenevano a tutti i credenti ed erano ben note. Sulla base di prove indirette, suggerisco che le origini della prima epoca cristiana canto si trovano in parte nella musica delle celebrazioni rituali domestiche ebree (non c'era musica nella liturgia della sinagoga antica e nel tempio la musica era utilizzato solo per accompagnare il rito del sacrificio) e in parte nelle pratiche musicali siriache, che condividevano entrambe il milieu culturale dell'Oriente ellenistica.

Ci si può chiedere: perché mai i testi liturgici erano cantati? La risposta a questa domanda non riguarda solo la Chiesa cristiana. Quasi tutte le religioni hanno costruito i loro servizi attorno alla ripetizione comune dei testi sacri – ripetizione non in silenzio, ma ripetizione sonora, attraverso il quale le parole sante potevano essere ascoltate, ripetute e assorbite da tutti. E per tale "ripetizione sonora", il canto sembrava più naturale del parlare. A parte la noia e la pura bruttezza del parlare collettivo, il ritmo del canto – anche quando è un ritmo relativamente libero – tiene tutti insieme e permette l' udibilità. E la melodia del canto aiuta le persone a ricordare le parole.

Di fatto è stata la popolazione monastica che ha prodotto i primi e più fini innografi e musicisti – Ro mano il Melode, Giovanni Damasceno, Andrea di Creta, e Teodoro Studita. E la popolazione monastica ha anche prodotto gli inventori di una sofisticata notazione musicale che ha permesso agli scribi di preservare, in codici manoscritti, le eleganti pratiche musicali dell'Oriente medievale. Ci fu agli inizi, naturalmente, una certa opposizione monastica alla musica. Ma questo non significa che i monaci non cantassero. Il loro rifiuto era della musica mondana, dell'esibizionismo musicale e del canto di ritornelli e canti non scritturali.

In generale, tuttavia, vi è una cospicua indifferenza alla musica ecclesiastica nella letteratura bizantina prima dell'anno 1000 circa. Dopo tutto, c'era ben poco su cui commentare. In quei giorni, nessuno andava in chiesa con l'idea di ascoltare un buon coro o di ascoltare le ultime impostazioni musicali dei salmi e cantici fatte da qualcuno. Piuttosto i fedeli sapevano che essi stessi sarebbero stati coinvolti in una sorta di attività musicale – e si trattava del canto di un genere che, abbastanza naturalmente, era relativamente poco complicato, semplice da imparare, facile da seguire, immediato e diretto. Non c'erano effetti speciali e sicuramente non si cercava di fare in modo che la musica evocasse un particolare tipo di atmosfera o di teatralità.

Ora, sappiamo come poteva sembrare la musica bizantina medievale? Un attento equilibrio di fatti, deduzioni e congetture può certamente puntare nella direzione giusta per rispondere a questa domanda. Già siamo arrivati ​​a capire che la musica bizantina aderiva alla tradizione paleocristiana di una musica puramente cantata, o vocale, senza strumenti con uno stile che consisteva di sola melodia, senza accompagnamento. Questa musica monofonica è spesso chiamata canto piano e non ha un ritmo fisso. Non ci sono note che la registrano fino a dopo il IX secolo. Sant'Isidoro di Siviglia nel VII secolo si lamentava del fatto che i suoni della musica svanivano e non c'era modo di scriverli. Solo verso la fine del primo millennio si ritenne che le fragili memorie dei cantanti non erano adeguate a conservare le melodie sacre e si fece qualcosa per mettere per iscritto il canto piano. È stata ideata una notazione elementare, con piccoli tratti, curve e punti denominati neumi per produrre un grafico di massima degli alti e bassi della melodia. I primi neumi non mostravano note specifiche, quindi non potevano insegnare una melodia sconosciuta a un cantore che non l'aveva mai sentita prima. Ma potevano ricordare l'andamento di una melodia a un cantore che già la conosceva. Nel XII secolo i neumi si erano evoluti al punto da rappresentare note specifiche e anche da dirigere il modo di cantare.

L'introduzione della notazione neumica nel IX secolo ha avuto effetti sia positivi che negativi per il canto piano. Dal lato positivo, significava che si poteva trasmettere una versione autorevole di una melodia di canto piano, senza alterazione o deterioramento, ad altri cantori in luoghi lontani dove non si conosceva la tradizione. Dal lato negativo, significava che le melodie del canto piano si erano di fatto fissate una volta per sempre. Cosa voglio dire con questo?

Nel corso dei primi nove secoli del cristianesimo, la tradizione musicale bizantina di canto piano era riuscita a mantenere vivo un certo fervore di improvvisazione che è anche manifesto nella spontaneità dei riti e preghiere nelle prime liturgie cristiane. Ora, con alcuni colpi di penna del IX secolo, le melodie del canto piano sono state catturate in una stilizzazione rigida. Sono diventate come imbalsamate, con i loro profili stilistici conformi ai gusti del IX secolo e, in seguito, più recenti. I vecchi canti che avevano avuto origine come "preghiere cantate" erano ormai "oggetti d'arte" cristallizzati. Eppure, una volta che la notazione neumica è stata disponibile ai musicisti di Chiesa bizantina, era impossibile ignorarne le capacità. E presto la notazione divenne una forza per gli esperimenti artistici, in quanto dava ai compositori un modo per provare nuove idee musicali, permettendo loro di riflettere le loro novità e di farle circolare perché altri le esaminassero e le confrontassero.

Così, con un rifornimento di dispositivi grafici adatti sia a custodire le antiche melodie sia a registrare nuove composizioni, il musicista bizantino abbraccia l'arte della composizione. Agli inizi, quest'arte significava qualcosa di un po' diverso da quello che significa oggi. Non era solo una questione di pensare a nuove combinazioni di suoni e a mettere in mostra l'ispirazione personale. Certamente ai testi sacri è stata data una veste musicale progettata per migliorare la loro espressione. Ma questo è stato realizzato in gran parte senza iniezioni di personalità creativa umana.

Per la maggior parte, i primi compositori bizantini si accontentavano di praticare il loro mestiere in forma anonima al servizio della Chiesa. I loro nomi sono sconosciuti, e nelle loro tecniche musicali prevale una simile impersonalità. I primi canti tendono a essere costruiti in piccoli meandri di melodie che tutti avevano sentito e utilizzato per generazioni. La parola comporre significa in realtà mettere le cose insieme, e questo era essenzialmente quel che facevano i compositori bizantini. Organizzavano, regolavano e stilizzavano a partire da un fondo di parti e frasi melodiche antiche di secoli, attive nella memoria comune. Pertanto, quando una "nuova" melodia era creata, spesso non era completamente nuova e originale. Più frequentemente era un affinamento di alcuni ceppi esistenti. È per questo motivo che ho detto prima che l'impersonalità prevale non solo nell'anonimato, ma anche nelle tecniche musicali.

In realtà, un'istanza abbastanza recente di questo stesso procedimento antico si può osservare in un nuovo servizio greco che è stato "messo insieme" ("com-posto"), nei primi anni 1980 sul Monte Athos in onore del primo santo ortodosso americano, Herman dell'Alaska. Sant'Herman era uno degli umili monaci russi arrivati ​​in Alaska nel 1794, e dopo la sua morte nel 1837 è stato venerato dagli aleuti, tra i quali ha predicato il Vangelo e tra i quali è morto. È stato ufficialmente canonizzato negli Stati Uniti nel 1970, e da allora il suo culto si è diffuso in tutto il mondo. Il monaco athonita che ha composto questo nuovo servizio di notevole bellezza ha fatto esattamente quello che avrebbero fatto i suoi omologhi medievali – ha scelto, come modelli, le preesistenti innodie di altri santi la cui vita e le cui gesta somigliavano a quelle di sant'Herman – vale a dire, una vocazione monastica, uno zelo missionario pari a quello degli apostoli, un lottatore ascetico, un paradigma di umiltà e di virtù, un operatore di miracoli. Il compositore ha poi sapientemente ri-arrangiato e modificato le melodie in modo che si adattassero al nuovo testo che egli stesso aveva scritto.

La musica sacra dell'antica Rus'

I santi Cirillo e Metodio hanno trasmesso solo i testi liturgici greci agli slavi, o anche le melodie che li accompagnavano? Non potremo mai esserne assolutamente certi – semplicemente non esistono libri di musica slavonici del IX secolo – ma in generale le prove indiziarie sembrerebbero sostenere una tale conclusione. La nuova cultura cristiana dei primi slavi era in gran parte una imitazione delle strutture sociali, politiche e religiose bizantine. Architettura, iconografia, liturgia, cerimoniale e istituzioni imperiali avevano i loro prototipi nell'Oriente greco. Sicuramente, si potrebbe sostenere che lo stesso abbia avuto luogo con la musica.

In secondo luogo, se guardiamo i testi degli inni slavonici, si vede subito che sono quasi sempre traduzioni parola per parola del greco. E dove la tradizione greca organizza gli inni in un particolare ordine, e in un particolare modo [Nota: 'modo' è il termine dato a ciascuno degli otto modelli musicali che hanno fornito la cornice della musica ecclesiastica medievale. Oggi sono anche comunemente noti come "toni"], la tradizione slavonica normalmente ne segue l'esempio. Inoltre, filologi come Roman Jakobson hanno portato alla luce notevoli esempi che dimostrano come, a volte, i traduttori in slavonico erano di fatto riusciti a riprodurre, avvicinarsi o imitare la sillabazione – di tanto in tanto anche l'accentuazione – degli originali greci. Preservare la metrica greca nelle traduzioni slavoniche crea le condizioni ideali per l'adattamento praticamente invariato delle prime melodie greche. In caso contrario, quale possibile motivazione avrebbe potuto esserci per questa imitazione servile?

Infine, ci sono stessi manoscritti musicali. Se siamo in grado di dimostrare che gli slavi usavano la stessa notazione dei greci, ci sono pochi dubbi che usassero le stesse melodie. Gli studiosi della musica russa del XIX secolo erano a conoscenza dell'esistenza di marcati parallelismi tra usi musicali greci e slavi. Nel primo decennio del XX secolo, Anton Preobrazhenskij ha trovato prove che a suo parere dimostravano l'origine bizantina della vecchia notazione russa, e le sue conclusioni sono state confermate da studiosi successivi.

Tuttavia, a dispetto di tutte queste prove impressionanti, io non sono del tutto convinto. Perché una cosa è sostenere che, in virtù della loro disposizione e somiglianza grafica, i neumi utilizzati dai primi slavi ortodossi sono stati adottati dai primi sistemi di notazione bizantina, e un'altra è dedurre che quegli stessi slavi cantassero toni di inni bizantini. Penso che esiste la possibilità che gli antichi canti russi possano aver costituito una risposta musicale indipendente alle traduzioni liturgiche bizantine. Lasciatemi spiegare perché dico questo. Nei primi libri di canto russo, i Kondakaria dei secoli XII e XIII, è conservato un repertorio unico di kontakia (contaci). Negli aspetti testuali e liturgici sono molto vicini a quelli greci. I modi concordano e il sistema di neumi è sicuramente preso in prestito dalla tradizione bizantina. Ma la musica di questi kontakia slavi è del tutto estranea ai primi esempi greci noti. Queste melodie sono creazioni indipendenti slave o sono recensioni di esemplari bizantini perduti?

Anche nei repertori in cui la prova di un effettivo debito musicale è molto più evidente – come nei koinonika (canti di comunione) – i musicisti russi medievali spesso adattavano le melodie bizantine ai testi tradotti in modi idiosincratici. In mano ai russi, i neumi bizantini si comportano in modi del tutto sconosciuti a Bisanzio. E uno dei neumi, la stopitsa, è un'invenzione del tutto originale.

Per esempio, è normale che compositori greci diano importanza musicale alle sillabe accentate in un testo. Ma spesso l'arrangiatore russo, lavorando con la stessa melodia su un testo con accenti equivalenti al greco, sceglie un'alternativa apparentemente irregolare. Dà un'attenzione musicale in modo apparentemente voluto alle sillabe non accentate. Tali curiosità in questi canti hanno sollevato questioni importanti per i filologi interessati ai problemi fondamentali dell'accentuazione nell'antico slavo ecclesiastico. Per i musicologi è una prova di un nuovo approccio, di un perfezionamento, o di un manierismo esclusivo del genio musicale russo.

La pratica del canto bizantino

Passiamo ora alla pratica dell'esecuzione canora. Quando si parla di canto bizantino medievale, ci si deve ricordare in primo luogo che non tutto ciò che era cantato era scritto in note e in secondo luogo che non tutto ciò che era scritto in note era cantato così come scritto. Per cominciare, la notazione musicale era semplicemente un dispositivo, uno strumento grafico, inventato per conservare una melodia relativamente nuova, relativamente complessa e relativamente difficile da cantare a memoria. I canti familiari non erano scritti in note, ma lasciati alla memoria comune e alla tradizione orale. Inoltre, i canti sacri, sia dall'Occidente latino sia dall'Oriente greco, non erano pensati per essere rigidamente o meccanicamente duplicati in ogni loro esecuzione. L'approccio di un cantore alla musica potrebbe essere paragonato all'approccio di un musicista jazz a una linea vocale o strumentale. In entrambi i casi, l'improvvisazione è il segno distintivo dello stile. In entrambi i casi l'abilità e l'esperienza i chi canta influenzano la resa musicale. Iscrivere una melodia di canto in un manoscritto era, in primo luogo, l'applicazione di un uomo a un momento di una riflessione musicale su una melodia tradizionale.

Il deserto e la città

La musica liturgica bizantina non è nata in un vuoto culturale. Ha le sue origini nel deserto e nella  città: nella salmodia primitiva delle prime comunità del deserto egiziano e palestinese, sorte dal IV al VI secolo, e nei centri urbani con le loro liturgie di cattedrale, piene di musica e cerimoniale. È questa tradizione musicale mista che abbiamo ereditato oggi – una miscela di deserto e città. In entrambe le tradizioni – quella del deserto e quella della città – il libro dei Salmi dell'Antico Testamento (Salterio) dapprima regolava il flusso musicale dei servizi. Era il modo in cui questo libro era utilizzato che identificava se un servizio seguiva lo schema monastico o quello urbano secolare.

Nei monasteri del deserto i salmi erano cantati da un solista che intonava i versi lentamente e ad alta voce. I monaci erano seduti a terra o su piccoli sgabelli perché erano indeboliti dai digiuni e da altre austerità, e ascoltavano e meditavano nel loro cuore le parole che avevano sentito. I monaci si curavano poco della precisione con la quale erano utilizzati i salmi – erano poco preoccupati, per esempio, della scelta dei testi che facevano specifico riferimento al momento della giornata; cioè, i salmi appropriati per il mattino o quelli appropriati per la sera. Dal momento che lo scopo principale dei servizi monastici era la meditazione, i salmi erano cantati in maniera meditativa e in ordine numerico. L'ufficio monastico del deserto nel suo complesso era caratterizzato dalla sua mancanza di cerimoniale.

Ma nelle cattedrali secolari i salmi non erano disposti in ordine numerico; piuttosto, consistevano di salmi appropriati selezionati per il loro specifico riferimento all'ora del giorno o al tema trattato, che adattava lo spirito dell'occasione al servizio. I servizi urbani includevano anche cerimonie significative, come l'accensione delle lampade e l'offerta dell'incenso. Inoltre, una grande enfasi era posta sulla partecipazione attiva congregazionale. I salmi non erano cantati da un solista che stava completamente solo, ma in modo responsoriale o antifonalr in cui gruppi di congregazione cantavano un ritornello dopo i versi del salmo. L'idea era di avere tutti i soggetti coinvolti in uno sforzo di celebrazione comune: non c'era posto qui per la contemplazione individuale.

PARTE II. Musica liturgica e spiritualità ortodossa

C'è un messaggio per oggi in tutto questo? Quanto è applicabile l'estetica musicale dell'Oriente medievale alle attuali circostanze liturgiche ed ecclesiastiche del ventunesimo secolo?

Qualunque sia lo stile che scegliamo di adottare - monofonico o polifonico - ci sono, credo, tre concetti fondamentali della spiritualità ortodossa che possiamo applicare alla nostra musica ecclesiale:

1. ascetismo

2. santità

3. apatheia, o 'impassibilità'

1. L'ascetismo è richiesta di abnegazione, di auto-insoddisfazione; e il desiderio costante di miglioramento attraverso duro lavoro e applicazione energica. Durante tutto l'anno, ma in particolare durante la Grande Quaresima, la Chiesa imprime su di noi le grandi benedizioni che ci giungono attraverso una maggiore preghiera, prosternazioni, digiuno e opere di carità. Il cantore ecclesiale ha una professione sacra, e questa santità richiede una determinazione di carattere, una fede forte, grande modestia, e un alto senso di integrità. Essere un cantore ecclesiale in una chiesa ortodossa vuol dire rispondere a una chiamata, a una vocazione – esige purezza, certezza di fede e convinzione. Quanto ipocrita è che i cantori, che trasmettono in melodia i dogmi della Chiesa, sentano di meritarsi congratulazioni e gratitudine per aver cantato di fronte a un pubblico rapito: come se stessero facendo un favore alla congregazione. Ancor peggio se i cantori sentono che dovrebbero essere pagati per il lavoro di lodare Dio con le corde vocali che Dio ha dato loro – come se la Chiesa stesse commissionando animatori.

Qui è il punto in cui è chiaramente applicabile il compito ascetico dell'abnegazione – dobbiamo convertire l'immagine familiare del musicista-esecutore liturgico in un'immagine di qualcuno che promuove l'attributo cristiano dell'abnegazione – di mettersi sullo sfondo, di ringraziare Dio per il privilegio di avere il permesso di cantare nei servizi. I cantori dovrebbero seguire le istruzioni del direttore e del sacerdote, in tutta umiltà, mettendo da parte ogni nozione di auto-gratificazione, e l'imposizione delle proprie simpatie e antipatie.

L'arte liturgica è, allo stesso tempo, disciplina e libertà; e accettare questa dualità significa essere un uomo ortodosso di chiesa nel vero senso della parola. Essere un asceta significa essere nel mondo ma non del mondo – domare il mondo entro di sé – per essere un partecipante alla verità.

I migliori insegnanti di musica sono quelli che insegnano con l'esempio – l'esempio della propria vita, l'esempio della propria attitudine in chiesa. Ciò comporta anche una partecipazione alla vita sacramentale della Chiesa. L'insegnante non deve essere timido nel sottolineare gli errori, e neppure nel rivelare le insufficienze altrui. Lo studente deve essere disposto ad ascoltare con umiltà e con un senso di desiderio di imparare e migliorare.

Le vie del mondo dovrebbero essere estranee all'artista ecclesiale. Non dobbiamo mai vendere noi stessi; non dobbiamo fare della musica ecclesiale una carriera; non dobbiamo avere alcuna ambizione. Non dobbiamo pubblicizzare o esporre noi stessi. Questo è l'ascetismo della Chiesa; e questo è ciò che significa essere fedeli alla santità della nostra vocazione.

2. E che cosa si intende con santità della nostra vocazione? "La santità" è il mio secondo concetto di base. Credo fermamente che oggi questo significhi liberare la musica ecclesiale dal pesante fardello di secoli di decadenza e secolarismo. Santità significa alterità, sacralità, separatezza – non il comune o l'ordinario, ma l'unico, il particolare, l'incontaminato.

L'arte musicale è diventata separata dalla dottrina della Chiesa – separata dalla liturgia stessa – poiché è stata persa la comprensione di ciò che significa per il mondo diventare trasfigurato. La trasparenza musicale che rivela la luce interiore del Regno è stata sostituita da un suono pesante, umano e scintillante – brillantezza musicale piena di sentimentalismo a buon mercato.

Dobbiamo anche essere avvertiti di evitare una tendenza frequente nella musica ecclesiale contemporanea di essere meccanica e imittiva al fine di imitazione. La copia cieca è incapace di dare vita al canto o di chiamare i fedeli alla preghiera.

3. Il terzo concetto, quello di apatheia o impassibilità, può essere applicato a due aspetti della musica: (a) la composizione stessa; (b) l'esecuzione.

Inutile dire che le impostazioni musicali non dovrebbero essere viste come fini a se stesse. Non dovrebbero richiamare l'attenzione su se stesse o avere effetti speciali. Lo scopo della melodia è di aggiungere una dimensione speciale al testo – di renderlo più sonoro e più disponibile per la riflessione. In questo modo, la musica diventa una cosa sola con il testo – un suo alleato disinteressato. In questo modo, anche la musica condivide l'impassibilità che nella spiritualità ortodossa è vista come una strada per la purezza di mente e corpo.

Questo ideale di impassibilità forse si riflette al meglio nell'iconografia ortodossa – dove il santo è dipinto in colori e forme che trascendono tutto ciò che è carnale, sensuale, e cosmetico.

La musica cristiana più appropriata è il canto piano monofonico. Non deve essere il canto bizantino, o vecchio credente, o vecchio slavonico o copto; e idealmente non dovrebbe essere polifonico. Perché dico questo?

Personalmente, non credo che ci sia qualcosa di intrinsecamente "non ortodosso" nella musica polifonica. E, naturalmente, ci sono molti tipi di polifonia, così come ci sono molti tipi di monofonia. Cantare un ison al di sotto di una melodia è già un gesto musicale polifonico.

La mia preferenza per la monofonia – cioè, a linea singola o a melodia orizzontale – è più pratica che estetica. Di solito è facile da cantare, facile da imparare e facile da ricordare. I cantori possono facilmente abbinare la loro nota al celebrante di senza preoccuparsi se è troppo alta per i soprani o troppo bassa per i bassi. Questo stile di musica è ideale per il canto congregazionale e non deve mai preoccuparsi di appiattirsi. E la liturgia cessa di essere interrotta dal fastidioso mormorio di arpeggio del conduttore prima dell'inizio di ogni tropario.

La musica polifonica, d'altra parte, è per sua natura più complessa, più densa e più difficile. Per farla bene – sia musicalmente che liturgicamente – ci si deve concentrare. La musica richiede molta attenzione – attenzione che potrebbe meglio essere rivolta altrove durante un servizio divino. Questa non è musica orizzontale, ma verticale: dipende dal gioco di consonanze e dissonanze – cioè, tensione e rilascio musicale – per suscitare i nostri sensi e per attirare la nostra attenzione sull'eccellenza (o la sua mancanza) nella composizione.

Nulla nella nostra Chiesa dovrebbe appartenere al regno della moda – né i paramenti del clero, né le icone, né la musica. La moda implica uno stile, e lo stile è governato dal principio dell'obsolescenza incorporata. Ciò che è bello oggi non sarà sempre bello domani. La Chiesa non deve mai favorire la mediocrità.

La Chiesa, in quanto santa realtà di Dio, deve essere al di sopra delle mode attuali o passate. Nel 1913, Aleksandr Kastalskij ha scritto: "Vorrei avere della musica che non si possa sentire da nessuna parte se non in una chiesa, e che sia distinta dalla musica profana come i paramenti sacri lo sono dai vestiti dei laici".

Questo non significa che l'arte della Chiesa sia fossilizzata. La musica, insieme con l'iconografia, cambia e deve cambiare dato che serve una funzione vitale in una cultura viva. La musica sacra e la pittura del VI secolo differivano notevolmente da quelle dell'VIII secolo – e quelle del X, XII e XIV secolo erano ognuna diversa dall'altra. La nostra Divina Liturgia non è quella che è stata disposta da san Basilio o da san Giovanni Crisostomo.

Il cambiamento e l'adattamento nell'arte ecclesiale sono l'inevitabile e perfettamente ragionevole sottoprodotto di una fede organica e in crescita. Ma devono sempre operare entro i parametri che non oscurano o inficiano l'intenzione di tale arte. È per questo che le nostre icone non possono ragionevolmente essere dipinte negli stili dei disegni astratti; né il colore, la postura o i tratti possono essere oggetto di fantasie individuali. Allo stesso modo, la musica sacra ha alcuni principi formali. Neanch'essa può essere scritta in stile moderno, jazz o folk. Né può deliberatamente essere il prodotto di ispirazione personale.

La musica monofonica serve la liturgia perfettamente. A differenza della polifonia – la musica di moda nei periodi barocco, classico e romantico – semplici melodie di canto possono essere adattate per seguire il testo, per amplificare il suo significato e la sua retorica, per dare al testo una veste musicale appropriata.

Ma anche la musica monofonica può essere resa inappropriata se i cantori si dilettano all'esibizione di voci dominanti, esagerazioni inutili, scarso fraseggio e dizione poco chiara. Come trasmettitori di testi sacri, i cantori devono edificare il canto cantando bene, cantando insieme, e pregando gli inni.

Alcuni criteri di lavoro

1. Il canto liturgico deve mantenere un rapporto simbiotico tra la musica e il testo. Il testo deve essere rafforzato dall'elemento musicale ma la musica non dovrebbe avere un'esistenza indipendente dalle parole. Tutti gli elementi della melodia: contorno, fraseggio, ritmo, forma, dovrebbero riflettere i modelli poetii insiti nel testo.

2. Laddove la polifonia è la tradizione locale, il tessuto musicale dovrebbe essere omofonico e omoritmico, non contrappuntistico. Cioè, tutti dovrebbero essere cantare le stesse parole e sillabe al tempo stesso al fine di preservare l'intelligibilità e di evitare confusioni. Ciò preserva anche la simbiosi strutturale tra la parola e il tono.

Laddove la monofonia è la tradizione locale, il tessuto musicale dovrebbe evitare i melismi estesi, le le gamme estreme e l'intrusione di sillabe senza senso che distorcono il senso dell'inno.

3. Per quanto riguarda l'espressione, il vero canto liturgico dovrebbe essere schivo e obiettivo. Le parole sacre devono parlare da sole, senza l'intervento di interpretazioni personali e soggettive. Le interpretazioni drammatiche e la teatralità sono fuori posto nella liturgia.

4. Entro i limiti sopra articolati, la musica sacra, tuttavia, può usare mezzi artistici per distinguere tra le occasioni liturgiche festive e feriali, per colorare le parole e disegnare contrasti e parallelismi tra significati cognitivi nei testi. In questo modo la musica può portare o mettere in evidenza il significato teologico degli inni.

 
Domande e risposte sul calendario

Nella sezione delle "Domande e risposte" dei documenti, lasciamo la parola all'arciprete Alexander Lebedeff, uno dei più noti portavoce della Chiesa russa all'estero, con un testo intitolato Domande e risposte sul calendario. Speriamo che le parole di padre Alexander aiutino a capire non solo perché esistono discrepanze di calendario tra gli ortodossi, ma anche e soprattutto perché tre quarti degli ortodossi nel mondo non hanno la minima intenzione di cambiare il calendario giuliano ecclesiastico.

 
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Pensieri ad alta voce sul matrimonio gay

Perché il matrimonio gay ora?

Non molto tempo fa, sono stato invitato a partecipare a una discussione sul matrimonio gay in un programma radiofonico della Oregon Public Broadcasting. [1] L'occasione sembrava arrivare al momento giusto, poiché una proposta per legalizzare il matrimonio gay era al voto nel vicino stato del Washington [2]. Qualche giorno dopo, ho scoperto che l'ospite principale del programma sarebbe stato Gene Robinson, il primo vescovo apertamente gay della Chiesa episcopaliana. Il vescovo Robinson aveva pubblicato un nuovo libro [3], che è stato presentato nello show. Naturalmente, l'autore ha ricevuto la maggior parte del tempo della trasmissione. Il padrone di casa, Dave Miller, mi ha concesso qualche minuto in cui presentare il mio punto di vista, appena sufficiente per cominciare a sviluppare un argomento intelligente. La questione del matrimonio gay, tuttavia, è sicuramente tra noi per rimanere. Così, ho deciso di mettere giù alcune riflessioni sull'equivalente digitale della carta.

La Bibbia non condanna l'omosessualità?

Coloro che si oppongono al matrimonio gay per motivi biblici solito indicano diversi passi, sia nel Vecchio che nel Nuovo Testamento, che condannano l'atto di un uomo "che ha rapporti con un uomo come con una donna" (Lev 18:22 e 20:13) e le donne che scambiano un "rapporto sessuale naturale con uno innaturale" (Rm 1,26). Il vescovo Robinson segue la tradizione della Chiesa anglicana e interpreta la Scrittura come poco più di un commento storico dello stato sociale primitivo degli antichi ebrei.

Charles Darwin, dopo tutto, era un inglese. Il darwinismo sociale, l'idea che gli antichi erano più primitivi di noi, o che noi siamo in qualche modo più evoluti rispetto a loro, è una logica estensione del darwinismo biologico. Ha perfettamente senso in questa visione dire che le scimmie avevano costumi più primitivi rispetto a quelli dei primi esseri umani, e che i nostri sono ancora più sofisticati. L'assurdità di questo punto di vista è meglio discussa da G.K. Chesterton in L'uomo eterno, e non abbiamo bisogno di ri-raccontarla qui. In qualche modo, però, anche la comprensione cristiana tradizionale del processo attraverso il quale Dio ha scelto di salvare la razza umana sembra sostenere una qualche nozione di "darwinismo sociale". La legge del Vecchio Testamento non era come un maestro di scuola utilizzato per portarci a Cristo (Gal. 3:24)? Ciò suggerisce che lo stato spirituale e, presumibilmente, morale, degli ebrei antichi si sia dovuto "evolvere" prima della venuta del Messia. Vi è pure un punto di vista alternativo. Alcuni notano che Cristo è venuto a guarire i malati e salvare i morenti, il che significa che l'umanità era gravemente malata e quasi spiritualmente morta poco prima della incarnazione del Medico divino. [4]

Quindi, la condanna dell'omosessualità non è uno dei "pesanti e gravi fardelli" necessari nell'era pre-cristiana, che sono diventati obsoleti con la venuta di Cristo, come tanti comandamenti della legge in materia di purezza rituale? L'apostolo Paolo sembra rispondere a questa domanda con un sonoro "no". La condanna del comportamento omosessuale sembra essere riaffermata dall'apostolo, e la sua posizione sulla questione non è messa in discussione da alcun altro passo del Nuovo Testamento.

Naturalmente, il vescovo Robinson afferma che le parole di Paolo possono essere state tradotte male in inglese e comprese male dai lettori contemporanei, che sono molto lontani dal contesto originale in termini di tempo e di geografia. Egli osserva, per esempio, che la parola greca αρσενοκοιται che si trova in 1 Cor 6,9 e 1 Tim 1:10 ed è di solito tradotta come "sodomiti" (NRSV) o qualche altra variante per indicare uomini che fanno sesso con gli uomini, è una "parola misteriosa ... [e] del tutto sconosciuta," e che "non abbiamo niente, né di interno alle Scritture, né di esterno ad esse, per darci indicazioni sul suo significato. "[5] A mio parere, tale affermazione è fuorviante nella migliore delle ipotesi. Se è vero che Paolo sembra coniare una parola insolita, il significato di questa parola non è affatto un mistero. Stanton L. Jones del Wheaton College, spiega:

Levitico 18,22 e 20,13 proibiscono a un uomo di giacere con un altro uomo come si fa con una donna. Il Levitico è stato originariamente scritto in ebraico, ma Paolo era un ebreo istruito in lingua greca che scriveva ai pagani in greco, la lingua comune del tempo, e probabilmente stava usando la traduzione greca dell'Antico Testamento disponibile in quel tempo, la Settanta, o LXX, per le sue citazioni delle Scritture.

La traduzione greca di questi passi del Levitico condanna un uomo (arseno) che giace (koitai) a fianco di un altro uomo (arseno); questi termini (scusate il gioco di parole) si trovano fianco a fianco in questi passi nel Levitico. Paolo unisce insieme queste due parole in un neologismo, una parola nuova (come facciamo noi quando diciamo database o software), e così egli condanna in 1 Corinzi e 1 Timoteo ciò che è stato condannato nel Levitico.

Jones ritiene, quindi, che la traduzione più credibile di quello che Paolo sta condannando in 1 Corinzi 6:9 è una persona che fa esattamente quello che il Levitico condanna: fare del sesso omosessuale (un uomo che "giace con un uomo"). Lungi dal liquidare l'importanza del Levitico, Paolo invoca implicitamente la sua perenne validità nella nostra comprensione del peccato sessuale, e vi si riferisce come fondamento della sua dottrina sul comportamento omosessuale. Egli sta dicendo: "Ricordate quello che hanno detto di non fare Levitico 18,22 e 20,13? Non fatelo! "[6]

Allo stesso modo, Robert A. J. Gangon sostiene che "il significato che Paolo diede a arsenokoitai deve essere spiegato alla luce di Romani 1:24-27. Quando Paolo parla del rapporto sessuale dei "maschi con maschi" (arsenes en arsenes) in V.27, ha ovviamente in mente arsenokoitai". [7] In altre parole, mentre non si può sapere esattamente quali specifiche "tecniche" di copulazione maschio-maschio Paolo può aver avuto in mente - a quanto pare, la sensibilità di Paolo lo ha costretto a parlare di queste cose in modo obliquo - si può essere ragionevolmente sicuri che la parola arsenokoitai si riferisce agli uomini che giacciono con gli uomini, e non con le api, o con i fiori, o magari con i trattori.

L'analisi semantica, però, non sembra convincere quelli che pensano di essere i primi esseri umani a leggere la Scrittura, vale a dire, coloro che si sono tagliati fuori dalla tradizione della Chiesa. Tagliati fuori dalle loro radici, le persone spesso iniziano ad adattare la Scrittura per renderla compatibile con i loro peccati e passioni, piuttosto che elevare la loro vita alla misura offerta dalla Scrittura. Dopo tutto, è stato un altro inglese, William Shakespeare, che ha scritto che anche "il diavolo può citare la Scrittura per il suo scopo". [8]

Tuttavia, i cristiani che vivevano all'incirca nella stessa area geografica e nella stessa epoca in cui il Nuovo Testamento fu scritto e parlavano la stessa lingua dell'apostolo Paolo non avevano ragione di fare affidamento su una traduzione in inglese. Sembra che abbiano capito la questione dei rapporti omosessuali più o meno allo stesso modo in cui la Chiesa tradizionale l'ha sempre capita. Non c'è una sola fonte patristica o paleocristiana che interpreta le parole di Paolo come altro che una condanna degli atti omosessuali. Non c'è nemmeno una singola fonte patristica o paleocristiana che mette in discussione l'insegnamento di Paolo su questo tema come un primitivismo morale o come pensiero "da cavernicoli". In realtà, non c'è una singola fonte cristiana "più recente" che in qualche modo si sia "evoluta" nell'approvazione degli atti omosessuali. In altre parole, anche se ci sono alcuni divieti contenuti nella legge - che in primo luogo affrontano questioni di purità rituale, non di morale, che la Chiesa non ritiene più utili per portare le persone a Cristo - la condanna degli atti omosessuali sembra essere una costante per tutta la storia della Chiesa. [9]

Nel suo libro, il vescovo Robinson spiega in modo così eloquente l'unico modo corretto per comprendere le Sacre Scritture, con parole che suonano così vere in un contesto ortodosso, che vorrei citare qui l'intero passo:

Comprendere la Scrittura nel suo contesto non è un compito facile, ed è pieno di potenziali abusi. Tutti i lettori della Scrittura sono soggetti ad auto-inganno, cioè la tentazione di interpretare le Scritture in un modo che soddisfi i nostri desideri e pregiudizi egoistici, piuttosto che ascoltare la verità del passo che può contestare, condannare, e mettere in discussione tali desideri e pregiudizi. È per questo che la Scrittura deve essere sempre studiata e compresa in comunità. La tentazione di interpretare la Scrittura a nostra immagine è troppo grande per provarci da soli. Bisogna sempre essere soggetti alla comprensione della comunità più ampia per evitare di ascoltare solo ciò che si vuole sentire.

Parte della comunità la cui voce deve essere considerata è quella della tradizione, cioè, ciò che è stato detto nel corso degli anni su ogni dato passo della Scrittura. Noi, nel tempo presente, non siamo gli unici che hanno avuto difficoltà con questi passi, e la nostra comprensione ha bisogno di essere informato dalla comunità più grande dei fedeli nel passato.

Dobbiamo usare la nostra ragione ed esperienza nell'interpretare questi passi della Scrittura. La nostra conoscenza della scienza, la psicologia, e la comprensione scientifica moderna devono informare il nostro approccio a tali passi. <...>

Queste lenti - la Scrittura, la tradizione, e la ragione - ci consentiranno di guardare con chiarezza i sette versetti della Scrittura tradizionalmente ritenuti associati al tema dell'omosessualità. Per cambiare metafora, la Scrittura, la tradizione, e la ragione sono il classico "sgabello a tre gambe" dell’autorità utilizzato nell’anglicanesimo storico e in molte altre tradizioni religiose. (67-8)

Mentre tutto questo suona abbastanza vero, rende ancora più sorprendente il fatto che l'autore trascura rapidamente le prime due gambe del suo sgabello. In primo luogo, egli dichiara che le parole della Scrittura non possono essere comprese da noi, perché potrebbero essere state tradotte male. Inspiegabilmente, non fa menzione del fatto che molte altre persone non hanno dovuto tradurre le Scritture, al fine di comprenderle. Né l'apostolo Paolo, né i Padri apostolici, né i Padri della Chiesa dei primi secoli del cristianesimo hanno mai dovuto ricorrere a una traduzione inglese - leggevano la Scrittura in lingua originale e mantenevano una comprensione tradizionale delle sue parole molto coerente con tutte le tradizionali traduzioni in inglese. Come da tradizione, il vescovo Robinson non ne fa menzione al di là di ciò che è citato sopra. Dopo aver identificato la tradizione della Chiesa come una delle sole tre gambe dello sgabello della comprensione, procede poi a ignorarla del tutto, lasciando solo la propria ragione ad aiutarlo, ragione che, come ha ammesso egli stesso - fa di lui un "soggetto di auto-inganno, vale a dire, della tentazione di interpretare le Scritture in un modo che soddisfi i nostri desideri e pregiudizi egoistici, piuttosto che ascoltare la verità del passaggio che può contestare, condannare, e mettere in discussione tali desideri e pregiudizi. "

In realtà, il vescovo Robinson sta seguendo una tradizione, quella della Chiesa anglicana. Il graduale ma costante tagliarsi fuori della Chiesa anglicana dal cristianesimo tradizionale risale almeno a mezzo secolo fa, non solo per quanto riguarda le sue posizioni "evolute" su omosessualità, aborto, masturbazione e altri peccati morali, ma anche per quanto riguarda le credenze cristiane di più basilari, come la nascita verginale, la risurrezione corporea e perfino l'esistenza stessa di Dio. [10] Così, il rifiuto del vescovo Robinson  verso entrambe le parole della Scrittura e della tradizione della Chiesa a favore di un ragionamento che gli ha permesso di ripudiare la moglie, in chiara violazione delle parole di Cristo, [11] e di sposare un uomo, deve essere visto nel contesto di divorzio della Chiesa anglicana dal cristianesimo tradizionale e del suo matrimonio con la "sapienza di questo mondo" [12] mentre celebra lo stile di vita di Gene Robinson elevandolo al rango di vescovo. [13] È importante notare che non stiamo parlando di dare amore, compassione e sostegno alle persone il cui matrimonio si sta rompendo, o alle persone omosessuali. Elevando all’episcopato Gene Robinson, un uomo che ha divorziato dalla moglie e ha sposato un altro uomo, la Chiesa episcopaliana ha posto il suo comportamento come un esempio da seguire per i credenti, [14] ignorando a quanto pare l'ammonimento che "un vescovo deve essere irreprensibile, sposato solo una volta". [15]

La storia della Chiesa rispetto al matrimonio gay

Gli esseri umani hanno camminato su questa terra per un tempo abbastanza lungo sotto qualsiasi punto di vista, ma ognuno di noi deve imparare a fare il suo primo passo. Brillanti scrittori hanno composto capolavori in poesia e in prosa per almeno un paio di millenni, eppure ognuno di noi ha dovuto imparare una prima parola. In realtà, la maggior parte di noi deve passare il primo paio di decenni della vita imparando a fare per la prima volta le cose che il resto dell'umanità ha fatto per millenni. Ciò è essenziale per diventare umani e dare un senso al mondo, a patto di non strafare cercando di re-inventare la ruota o scegliendo di ignorare l'esperienza di coloro che sono venuti prima di noi. Così, può sembrarci di essere la prima generazione di cristiani che hanno dovuto confrontarsi con la questione del matrimonio tra persone dello stesso sesso. Di fatto, il primo decreto che vieta il matrimonio tra persone dello stesso sesso è stato promulgato da imperatori romani cristiani nel 342 d.C. [16] Questa legge in particolare non solo condannava gli atti sessuali tra maschio e maschio, ma condannava anche a morte i responsabili di tali atti. La pena di morte per chi "recita la parte di una donna" fu di nuovo confermata dagli imperatori Valentiniano II, Teodosio I, e Arcadio nel 390 d.C. Le autorità religiose hanno condannato gli atti omosessuali con lo stesso vigore, punendo i loro responsabili con lunghe scomuniche. [17]

Per la Chiesa antica, gli atti omosessuali, compreso il matrimonio o una parvenza di esso, non erano un costrutto teorico. Il rapporto sessuale tra maschio e maschio, spesso in forma di pedofilia, ma anche tra uomini liberi e i loro schiavi, e, a volte, a quanto pare, [18] tra uomini liberi, era una realtà nel mondo greco-romano. Almeno tredici dei primi quattordici imperatori romani praticarono atti omosessuali, e almeno due di loro, Nerone ed Eliogabalo - tennero fastose cerimonie pubbliche per sposare i loro "spose e sposi" maschi. [19] È dubbio che tali unioni avessero nel diritto romano la stessa validità giuridica di un matrimonio tra un uomo e una donna. Il termine latino matrimonium si riferisce in particolare ad un uomo che conduce una donna (in matrimonium ducere) in modo che la donna possa diventare una madre (mater) per i suoi figli - un’istituzione protetta dalla legge come vantaggiosa per la società. Inoltre, i matrimoni imperiali tra persone dello stesso sesso potevano essere visti come una presa in giro, in particolare nel contesto di altri comportamenti stravaganti e scandalosi di Nerone. [20] Tuttavia, le relazioni omoerotiche, romantiche e sessuali, erano all'ordine del giorno in tutto il mondo che divenne il luogo di nascita della cristianità .

Solo coloro che si sono tagliati fuori dalla bi-millenaria tradizione della Chiesa trovano giustificazioni nel re-inventare la ruota della dottrina morale della Chiesa. Al contrario, coloro che sono parte viva e continua di quella tradizione, riconoscono che la Chiesa parla già la lingua della salvezza; e mentre cerchiamo di imparare le sue parole, non cerchiamo di re-inventarle. La tradizione della Chiesa parla chiaramente dei pericoli per la nostra salvezza degli atti omosessuali, equiparandoli alla bestialità [21] e all'omicidio. [22] La tradizione cristiana vede il peccato non solo, o forse non prevalentemente, come una trasgressione nei confronti di una legge o di un regolamento, ma come un atto che taglia fuori da Dio, come una malattia che corrompe la salute spirituale e conduce alla morte spirituale. In altre parole, quando la Chiesa in modo così coerente vede qualcosa come peccaminoso, [23] per noi, non è una questione di storia sociale, o di convenzione, o di cultura, ma di vita o di morte spirituale. Per noi, questa non è una questione di diritti civili di nessuno, [24], ma una questione di salvezza. Quindi, indipendentemente da eventuali cambiamenti nella società, nelle sue convenzioni e nella cultura, la tradizionale visione cristiana degli atti omosessuali non cambia.

Il matrimonio gay ridefinisce il matrimonio?

Il rito cristiano usato per solennizzare il matrimonio è un'aggiunta relativamente tardiva alla lista dei sacramenti. Il concetto di matrimonio non tanto come accordo contrattuale, ma come unione mistica tra un uomo e una donna, si può far risalire indietro almeno all'apostolo Paolo, che lo definisce "un grande mistero": "'Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno una sola carne'. Questo è un grande mistero, e lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa". [25] Ci sono altri due punti di interesse in questo passaggio: Paolo sta chiaramente citando una storia mistica e misteriosa in riferimento alle origini del genere umano, [26] e afferma che l'unione tra un uomo e sua moglie è un'immagine (icona) di Cristo e della Chiesa o di ciò che "applica" [27] al loro legame. In altre parole, il matrimonio tra un uomo e sua moglie è un segno visibile di una realtà invisibile [28], vale a dire, un sacramento. A dire il vero, Paolo non parla in alcun modo del rito del matrimonio in chiesa. Piuttosto, egli sta parlando di un’unione lungo tutta la vita tra un uomo e sua moglie.

Il matrimonio non è l'unico segno della realtà invisibile di Cristo e della Chiesa, l'unione di due che diventano una sola carne. Nel battesimo, "siamo stati sepolti con lui ..., in modo che, come Cristo fu risuscitato dai morti ... così anche noi possiamo camminare in una vita nuova". [29] È stata la carne di Cristo che è stata sepolta ed è risorta, così per essere sepolti con Cristo e risorgere con lui, dobbiamo essere una sola carne con lui. Allo stesso modo, nell'Eucaristia, diveniamo una sola carne con Cristo - in qualche modo molto letterale, siamo fatti di ciò che mangiamo: "Prendete, mangiate, questo è il mio corpo... bevetene tutti, questo è il mio sangue..." [30] Cristo parla di questo in termini di diventare una sola carne con lui: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in loro" [31] Tutti questi e gli altri sacramenti sono icone di Cristo e della Chiesa, e tutti sono segni visibili della realtà invisibile dei due - Cristo e la sua Sposa, che diventano una sola carne.

Con un così profondo significato dietro il sacramento del matrimonio, i cristiani dovrebbero essere preoccupati che il significato del matrimonio sia in qualche modo ri-definito con l'approvazione di leggi che legalizzano i matrimoni tra persone dello stesso sesso? Assolutamente no! Le azioni di un governo laico in nessun modo ridefiniscono i sacramenti cristiani. Negli Stati Uniti e nella maggior parte degli altri paesi su questo pianeta, la Chiesa esiste nelle società che legalizzano molte cose che noi vediamo come peccaminose e dannose per l'anima. La pornografia è legale negli Stati Uniti, ma questo fatto non ha ridefinito le nostre opinioni sulla lussuria. L'aborto è legale negli Stati Uniti, e tuttavia le nostre visioni della vita umana e dell'omicidio non sono state ri-definite. L'adulterio e la fornicazione sono perfettamente legali nella maggior parte dei luoghi, e tuttavia la "legalizzazione dell’adulterio e della fornicazione" non ha in alcun modo ridefinito il matrimonio cristiano. La nostra società può decidere di legalizzare le unioni tra persone dello stesso sesso o quelle di tre o più persone [32] (stesso sesso o no) nulla di tutta quest’attività giuridica secolare ha il potere di ridefinire il matrimonio cristiano. Perché allora, gli evangelici americani, tra gli altri, sostengono che legislatore governativo minaccia di ri-definire il matrimonio? È difficile saperlo con certezza, poiché la maggior parte della retorica si svolge in ambito politico, piuttosto che nel contesto teologico, e quindi è destinata a fare appello alle emozioni e alle passioni, piuttosto che all'intelletto, ma posso pensare a un paio di motivi.

In primo luogo, la maggior parte del dibattito contro al matrimonio gay negli Stati Uniti è plasmato da protestanti la cui teologia è non-sacramentale. Per loro, il matrimonio è un contratto tra due esseri umani, una serie di accordi o voti: io mi impegno a stare con lei sia in malattia sia in salute, sia nella fortuna sia nella bancarotta; giuro anche che se il primo voto sarà annullato, io mi tengo la macchina e lei la casa. Certo, la "firma" di questo contratto può avvenire su un palcoscenico di una chiesa con "Dio come testimone," ma Dio è proprio questo: un testimone. Ci possono essere altri testimoni: un giudice, un impiegato della contea, o un capitano di una nave. Ma il testimone non definisce l'istituzione, e un contratto firmato nel palazzo di giustizia è tanto un contratto come quello firmato in una chiesa locale (dopo tutto, Dio è onnipresente, non è vero?). Così, una ridefinizione sociale di chi può fare legalmente un contratto di fatto condiziona la definizione protestante del matrimonio in un modo molto diretto.

Nell’Ortodossia, d'altra parte, il matrimonio è un sacramento. [33] Vale a dire, non è qualcosa che la gente fa per conto proprio - altro non sarebbe in tal caso che attività umana. Né è qualcosa che Dio fa a noi - questo sarebbe solo un miracolo di Dio, ma è un punto in cui la volontà e la forza dell'uomo si intersecano con la volontà e la forza di Dio. Per spiegarci meglio, cerchiamo di utilizzare gli esempi del battesimo e della comunione che abbiamo discusso in precedenza. Senza Dio, il battesimo non è altro che un bagno, e senza l'uomo, il battesimo sarebbe un miracolo strano eseguito da Dio in segreto su un uomo ignaro che fa un bagno. Senza Dio, la comunione è uno spuntino a base di pane e vino, e senza l'uomo, la comunione sarebbe un miracolo strano segretamente eseguito da Dio su un uomo ignaro che fa uno spuntino a base di pane e vino. E così è con il matrimonio: senza Dio è soltanto un contratto. Solo quando lavoriamo insieme con Dio nel compito della nostra salvezza il matrimonio diventa un sacramento. [34]

In secondo luogo, ogni singolo membro del gruppo e della nostra società cerca di plasmare la società secondo valori e credenze individuali. Questo è normale per una democrazia. Mentre la legislazione secolare non influenza i sacramenti della mia Chiesa, preferisco crescere i miei figli in una società dove la pornografia non è facilmente accessibile da parte dei bambini o perfino promossa tra gli adulti, in cui l'aborto non è presentato come una scelta sanitaria come se i bambini fossero una forma di cancro da rimuovere chirurgicamente, in cui la fornicazione non è glorificata dai mass media come divertimento benigno e innocente, e in cui la sodomia non è promossa ai miei figli come qualcosa da provare se vogliono essere apprezzati o in cui "uscire allo scoperto" come gay non è una grande virtù da ricercare anche se non si ha alcuna tendenza omosessuale. "Le cattive compagnie rovinano i buoni costumi," [35] e quindi è naturale che io voglio che i miei figli crescano in buona compagnia, e voterò di conseguenza. E per me, questo non è solo una questione di preferenze personali, come il cioccolato o la vaniglia, ma una questione di vita o di morte. Se il peccato è un veleno che corrompe e uccide l'anima, voglio mettere etichette di avvertimento su questo veleno: "TENERE FUORI DALLA PORTATA DEI BAMBINI." La mia comprensione di ciò che è pericoloso per la salute dell'anima è informata dalla Scrittura e dalla tradizione patristica. Ho il sospetto che la comprensione del vescovo Robinson sia informata da altre fonti, e mi aspetto che lui voti di conseguenza.

Dio crede nell'amore?

Il titolo del libro del vescovo Robinson è "Dio crede nell'amore..." Per sottolineare l'ovvio, questo è un po' pretenzioso, come se Dio avesse detto da qualche parte nella Bibbia: "Io sono il Signore tuo Dio, e credo nell'amore!" È improbabile che l'autore abbia voluto dire questo come dichiarazione teologica. In ogni caso, non è più teologica del ritornello dei Beatles "all you need is love". Più probabilmente, questo è un appello al sentimentalismo umano, a una credenza umana in amore, benevolenza, bontà, e in generale in qualcosa di caldo e indistinto. In altre parole, si tratta di un richiamo emotivo: "Se si è contro il matrimonio gay, si è contro l'amore". Per scartare l'argomento scritturale contro il matrimonio gay, il vescovo Robinson esamina le parole greche pertinenti e dichiara che perché quelle parole sono in greco, ma noi leggiamo le nostre Bibbie in inglese, c'è un malinteso potenziale in ciò che le parole realmente significano. Se dovessimo invertire le tabelle ed esaminare l'affermazione del vescovo Robinson che Dio crede nell'amore, si potrebbe cercare di capire se l'autore vuol dire che Dio crede in eros, philia, o agape, [36] o, forse, in tutti e tre in una volta sola, come una sorta di "amore trinità" o di "triangolo amoroso". In qualche modo, questa domanda è un po' priva di senso fino a quando non capiamo che cosa significa per Dio credere in qualcosa. Ciò che forse è più importante, è se dobbiamo cercare il fondamento del matrimonio come sacramento nell’attrazione erotica, nell’affetto fraterno, o nell’auto-sacrificio dell'amore. Quando Paolo parla di matrimonio, dice: "Voi, mariti, amate [αγαπατε] le vostre mogli, come Cristo ha amato [ηγαπησεν] la Chiesa e ha dato se stesso per lei..." [37] Quando il vescovo Robinson scrive della sua attrazione per il marito, suona una tacca meno solenne: "Sono stato subito attratto da lui e mi sentivo come un ragazzo di sedici anni, con una cotta folle per qualcuno. Mi è piaciuto tutto di lui. <...> Ed era così maledettamente bello! "[38] Chiaramente, i due passi parlano di "amori" molto diversi. È una brutta cosa essere fisicamente ed emotivamente attratti da qualcuno? - Assolutamente no! Credo fermamente che il segno di un rapporto sano sia la presenza di questo "amore trinità" intero: l'attrazione erotica, l’affettuosa amicizia, e l’auto-sacrificio dell'amore. Infatti, se un giovane e la sua futura sposa vengono da me come pastore e mi dicono di non avere né attrazione erotica né amicizia, ma che vogliono entrare nel sacramento del matrimonio, al fine di praticare la pura e genuina agape reciproca, io scoraggio vivamente una tale disposizione. Ma che tipo di regime dovrebbe essere incoraggiato dalla Chiesa e su quali basi? In altre parole, che cos’è il matrimonio sacramentale? Sono fermamente convinto che il mondo moderno ci presenta la sfida di definire più chiaramente la nostra comprensione del matrimonio, anche se non è in pericolo di essere ri-definito dalla legislazione secolare.

Ogni conversazione sull’amore, qualsiasi tipo di amore, sembra fuori luogo quando si tratta di legislazione secolare. Il governo non si è mai interessato di questioni di chi ama chi e con quanta forza, e non dovrebbe farlo ora. Due persone possono stipulare un contratto di matrimonio, e nessun giudice o impiegato può mai rifiutarsi di officiare in ragione del fatto che l’amore è insufficiente. In realtà, ci può non essere affatto amore in entrambi, e altre considerazioni possono essere il motivo per il loro accordo contrattuale di sposarsi. In una società laica, il matrimonio non è un'istituzione per facilitare l'amore, ma per fornire una stabilità socio-economica per la crescita dei bambini e per il sostegno reciproco degli sposi. È stato generalmente riconosciuto in tutte le società tradizionali, che una donna non dovrebbe crescere un bambino da sola, e che un uomo dovrebbe essere sposato con lei e provvedere a lei e al bambino. Questo non vuol dire che alle persone è negato il matrimonio se non possono avere figli, e molti altri fattori e considerazioni possono essere discussi in relazione al sostegno della società all'istituzione del matrimonio. Ma quali che possano essere tali fattori, l'amore o l'attrazione reciproca - sia erotica che platonica in natura - non dovrebbe essere la preoccupazione di un governo. Un governo dovrebbe occuparsi di questioni di stabilità sociale ed economica, ma approvare leggi solo perché due uomini o due donne si amano è assurdo. E così, gli argomenti presentati ai legislatori a favore del matrimonio di persone dello stesso sesso non dovrebbero essere basati su storie sentimentali di due vecchie signore che si amano l’una l'altra o di un uomo che trova un altro uomo "così dannatamente bello."

I tempi e i costumi

L'insegnamento della Chiesa rimane invariato per tutte le generazioni di cristiani per una semplice ragione: il cristianesimo non è l'ultima moda tra le regole di etichetta, ma una via di salvezza. Ciò che è stato salvifico per gli apostoli, o per i padri o madri della Chiesa, è anche salvifico per noi. E ciò che era pericoloso per la salute spirituale dei cristiani che sono venuti prima di noi è anche pericoloso per le nostre anime. L'idea che i cristiani che sono venuti prima di noi fossero una banda di primitivi dalla fronte bassa e armati di clave, e che noi siamo molto diversi - evoluti e raffinati e "più santi degli altri" - è una delusione dell’orgoglio non supportata dalla storia o dalla teologia: "... quando il Figlio dell'uomo tornerà, troverà la fede sulla terra?" [39] Certo, abbiamo più accessori degli antichi, ma chi ha stabilito il numero di accessori come misura di sviluppo dello spirito o anche del carattere? [40] Nel solo XX secolo, abbiamo massacrato più esseri umani innocenti in modi più sadici che in qualsiasi secolo precedente nella storia dell'umanità, e forse in tutti i secoli precedenti messi insieme. Questo solo dovrebbe farci fare una pausa e farci pensare due volte prima di dichiarare che ora siamo più evoluti rispetto ai primi cristiani, e che, pertanto, le norme tradizionali della morale e le definizioni del peccato non si dovrebbero più applicare a noi. Tuttavia, si continuano a vedere simili pretese.

L'insegnamento della Chiesa rimane lo stesso, ma è regolarmente messo in discussione da vari nuovi insegnamenti, e la Chiesa ha sempre risposto a queste sfide. Il processo del trattare con i nuovi insegnamenti ha sempre incluso l'esame conciliare degli insegnamenti esistenti e della tradizione della Chiesa, una ricerca teologica molto seria per spiegare e rafforzare l'insegnamento attuale della Chiesa, e l'esame delle nuove sfide per provare la loro conformità o contraddizione con l’insegnamento della Chiesa. Sembra che una delle sfide attuali che richiedono seria attenzione riguarda il ruolo del matrimonio in generale, e la sessualità umana in particolare, nell'atto della salvezza. Come ho sottolineato in precedenza, mentre la legislazione secolare non ri-definisce il matrimonio cristiano, siamo ancora di fronte alla sfida di definire per noi stessi ciò che è in realtà il matrimonio cristiano e perché. È abbastanza facile dire, "un uomo, una donna, una volta", ma questo risponde solo alla domanda, "che cosa?" Credo che la direzione in cui la nostra società si sta muovendo e le opere di autori come il vescovo Robinson ci sfidano a rispondere anche alla domanda "perché?" Se non altro, dobbiamo una risposta più profonda e più coerente ai nostri giovani che sono stati bombardati di propaganda di fornicazione, convivenza, unioni dello stesso sesso, aborto e divorzio, tra le tante altre cose, come nuove norme "evolute". Credo che i pastori della Chiesa abbiano la responsabilità di rispondere a queste sfide con un serio lavoro teologico e trovare il modo di presentare l'insegnamento ortodosso sul matrimonio e la sessualità umana in modo significativo e completo.

Allora, cos’è il matrimonio?

Una discussione dettagliata del matrimonio nella prospettiva ortodossa non rientra nel campo di applicazione del presente documento, ma ci sono alcuni problemi con le visioni esistenti che vale la pena sottolineare. In primo luogo, si deve rilevare che la tradizione patristica è molto in conflitto rispetto al matrimonio. Per alcuni, come sant'Efrem il Siro, "da Adamo fino al Signore il vero amore coniugale è il sacramento perfetto". [41] Altri, come san Gregorio di Nissa, sostenevano l'astinenza dal matrimonio [42], come da qualcosa di direttamente risultante dal peccato originale [43] e causa di continuo "dolore e sfortuna per gli uomini". [44] Eppure ci sono stati altri, come San Giovanni Crisostomo, che sembravano aver richiuso il cerchio da un odio dello stato matrimoniale [45] al canto delle sue lodi. [46] E nel frattempo, vari concili e sinodi cercavano di moderare le affermazioni dei Padri monastici, respingendo i tentativi di imporre il celibato al clero, [47] per esempio, o facendo affermazioni del tipo, "se qualcuno denigra il matrimonio... sia anatema". [48]

Il problema principale che i Padri monastici sembrano avere con il matrimonio è - cosa piuttosto da aspettarsi - il sesso. San Gregorio di Nissa, per esempio, scrive: "Solo una cessazione dell’attività sessuale può portare a una vita senza la morte: perché dove c'è il matrimonio c'è la morte, quando non vi sarà il matrimonio la morte non ci sarà più". [49] In qualche modo un po' egoista, sono abbastanza contento che i miei antenati non abbiano ascoltato tali esortazioni. In realtà, mi sembra che, se i primi cristiani avessero preso a cuore alcuni degli insegnamenti dei Padri sul sesso, non ci sarebbero più cristiani oggi, in quanto tutti sarebbero morti molto tempo fa. Giovanni Crisostomo, per esempio, una volta ha insegnato che il matrimonio non era necessario neanche per la continuazione della razza umana.

In risposta a chi pensa che il matrimonio e il rapporto sessuale siano necessari per la sopravvivenza e la continuazione della razza umana, Giovanni Crisostomo dichiara che il matrimonio non ha prodotto Adamo ed Eva. Dio può creare tutte le persone che il mondo ha bisogno. [50]

In altre parole, almeno per alcuni Padri della Chiesa, "il matrimonio è solo per i deboli, e permette loro di evitare la rovina attraverso la dissolutezza e libertinaggio, e il forte fa meglio a evitarlo". [51] Vale a dire, c'è una visione patristica del matrimonio che lo identifica con il sesso semi-legittimo [52] e ne ignora tutti gli aspetti relazionali o sacramentali. E come parallelo, l'obiezione ortodossa al matrimonio tra persone dello stesso sesso sembra concentrarsi anch’essa piuttosto in esclusiva sull'aspetto sessuale di una relazione omosessuale.

Non c'è sesso nella Chiesa

Una volta a una conferenza pastorale, una discussione del matrimonio ha rivelato un generale consenso tra un gruppo di sacerdoti che il sacramento del matrimonio è un modo per perfezionare l'amore cristiano attraverso la pratica sul proprio coniuge. Dato che allora lo show radiofonico con il vescovo Robinson era ancora vivido nella mia mente, ho chiesto se lo stesso amore poteva essere praticato e perfezionato in una relazione omosessuale. In effetti, l'amore di Cristo non è ristretto a un genere specifico. Teoricamente, si dovrebbe essere in grado di "dare la vita per i propri amici" [53] più o meno allo stesso modo se gli amici sono dello stesso sesso o del sesso opposto. Vale a dire: "amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, [e] temperanza", [54] sono sempre le virtù desiderate, sia che si tratti di un uomo o una donna. E infatti, i reverendi padri sembravano d'accordo. Uno di loro ha riassunto il "consenso dei Padri" in questo modo: "Una coppia omosessuale può vivere insieme come fratelli per la perfezione dell'amore cristiano, purché non abbiano rapporti sessuali". Proprio come con i Padri della Chiesa e il matrimonio eterosessuale, non è stata tirata una nelle questioni d'amore, ma in materia di sesso. E il ragionamento prevalente è che il sesso omoerotico è sesso innaturale.

A dire il vero, penso anche io che sia innaturale e non dovrebbe essere né giustificato né incoraggiato o promosso in alcun modo, soprattutto tra i giovani. Mentre il vescovo Robinson sostiene che per alcune persone è uno stato naturale della mente o della psiche essere "eroticamente attratto da una persona dello stesso sesso", [55] io non credo che nessuno, forse nemmeno il vescovo Robinson, sostenga che gli atti omosessuali siano naturali in senso fisiologico. Tuttavia, san Giovanni Crisostomo ha insegnato che tutti i rapporti sessuali - specificamente, quelli tra un uomo e una donna - sono innaturali. [56] Tra le varie altre cose che le autorità della Chiesa ritenevano innaturali o peccaminose c’erano l’ammiccare l'un l'altro, fare piedino sotto al tavolo, fare sesso in posizione "con la donna in alto" (che, si sostiene, è innaturale perché snatura l'ordine mondiale - l'uomo deve essere sempre al di sopra della donna), e anche impegnarsi in un rapporto "da dietro". [57] Questo ultimo è più curioso, dal momento che quella "da dietro" è la posizione più naturale: si può osservare in... natura. Suppongo che, allo stesso modo, un semplice bacio, come in "ora puoi baciare la sposa", può essere visto come molto innaturale: utilizzare il proprio orifizio di alimentazione per qualcosa di non direttamente connesso con l'alimentazione.

In breve, ci sono molte domande e problemi irrisolti per quanto riguarda non solo la posizione ortodossa sui rapporti omosessuali, ma anche a ciò che una coppia ortodossa legalmente e sacramentalmente sposata può fare nella privacy della propria camera da letto. Vi è tuttavia un problema. Nel paragrafo precedente ho già passato la misura per molti sacerdoti e per la maggior parte dei laici più pii. La conversazione su questo argomento nella Chiesa ortodossa di solito si ferma molto prima che raggiunga i dettagli espliciti di cui ho parlato. Ho il sospetto che non sia sempre stato così nella nostra Chiesa, ma lo è ora. E la nostra incapacità di discutere di questi temi molto difficili crea un'atmosfera in cui le persone sono quasi completamente ignoranti sul tema. Vedo tre ragioni principali per la nostra incapacità di impegnarci in un dialogo significativo sul sesso. In primo luogo, molti pastori si sono permessi di prendere una posizione "evoluta" per cui ciò che una coppia di sposi fa nella privacy della loro camera da letto è tutto benedetto. Può essere così, ma questo è in contrasto con la tradizione patristica e quella della Chiesa. In secondo luogo, vi è un naturale senso di discrezione che si presenta in una conversazione sul sesso, in cui le persone si sentono molto a disagio a discutere, soprattutto in contesti religiosi. E in terzo luogo, un parere o insegnamento diventa autorevole quando è espresso da un vescovo (che è un monaco) o da un padre asceta - più ascetico è un padre, più autorità e peso ha la sua opinione. Il problema è che i monaci rifiutano sia il sesso che il matrimonio nella propria vita, e il loro consiglio spesso riflette questa scelta personale. Inoltre, se un monaco non ha alcuna esperienza con uno stato sposato, i suoi consigli sul tema possono essere male informati. Dopo tutto, c'è un motivo per cui i monaci non sono autorizzati a officiare matrimoni nella Chiesa ortodossa. [58] Ci possono essere altri motivi per cui evitiamo di intraprendere una seria discussione sulla sessualità umana, ma se non troviamo un modo per andare avanti, faremo un pessimo servizio ai nostri giovani. Mentre la Chiesa è piamente in silenzio, il mondo non lo è! Il mondo sta conducendo una guerra contro la morale tradizionale e non si preoccupa affatto di colpire al di sopra della cintura.

Note

[1] "Think Out Loud", Oregon Public Broadcasting, 31 ottobre 2012, http://www.opb.org/thinkoutloud/shows/gene-robinson/

[2] Il referendum 74 che legalizza il matrimonio omosessuale nello stato di Washington è passato il 6 novembre 2012.

[3] Robinson, Gene. God Believes In Love: Straight Talk About Gay Marriage. Knopf, 2012.

[4] Questo punto di vista è stato espresso dal protodiacono Andrej Kuraev.

[5] p. 89.

[6] Jones, Stanton L. "A Study Guide and Response to: Mel White’s “What the Bible Says-and Doesn’t Say-about Homosexuality ".

[7] Gagnon, Robert A. J. The Bible and Homosexual Practice: Texts and Hermeneutics. Nashville: Abingdon Press, 2001. P. 326.

[8] Shakespeare, William. Il mercante di Venezia. Atto 1, scena 3.

[9] Le obiezioni ortodosse ai rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso sono ben note e documentate. Citazioni da fonti patristiche si trovano facilmente in altre pubblicazioni, e non trovo ragione di ripeterle qui. Per un'eccellente presentazione della posizione ortodossa sull'omosessualità, si veda, per esempio, Sion, William, Basil, Eros and Transformation. Sexuality and Marriage: An Orthodox Perspective. Lanham: University Press of America, 1992.

[10] Secondo il Sunday Times, almeno un centinaio di sacerdoti anglicani che servono a Londra non credo in un "Dio esterno, soprannaturale". 31 luglio 1996.

[11] "...io vi dico, chiunque ripudia la propria moglie, se non per impudicizia, e ne sposa un'altra, commette adulterio" (Matteo 19:9). Nel suo libro, il vescovo Robinson dà ogni indicazione che la sua ex-moglie non era impudica, cosa che infatti non ha alcuna importanza rispetto ai tradizionali impedimenti canonici all’episcopato.

[12] "La sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio" (1 Cor. 3,19).

[13] Va notato qui, che la Chiesa anglicana smise di osservare i canoni tradizionali riguardo al clero, la successione apostolica, e la maggior parte delle altre questioni della vita della Chiesa molto tempo fa - ben prima dell'elezione di Gene Robinson all'episcopato.

[14] 1 Tim. 4:12

[15] 3:2

[16] Codex Theodosianus 9.7.3

[17] Ad esempio, il canone 16 del Consiglio di Ancira tenutosi nel 314 d.C. prescriveva una scomunica di venti anni.

[18] L'esistenza di condanne e divieti a uomini liberi che giocano un ruolo passivo in atti omosessuali testimonia la presenza di questo comportamento.

[19] Dione Cassio. Epitome, 62.

[20] Frier, Bruce W. " Roman Same-Sex Weddings From the Legal Perspective" Classical Studies Newsletter, vol. X, inverno 2004. University of Michigan.

[21] Canone 16 del Consiglio di Ancira.

[22] San Giovanni Crisostomo. Omelia 4 sulla Lettera ai Romani.

[23] Cfr., per esempio, Didachè 2:2; Giustino Martire, Prima Apologia 27; Clemente Alessandrino, Esortazione ai Greci 2, L'istruttore 6; Tertulliano, La modestia 4, Cipriano di Cartagine, Lettere 1:8. 9; Eusebio di Cesarea, La prova del Vangelo 4:10, Basilio il Grande, Lettere 217:62, e molti altri.

[24] L'idea che il matrimonio è un diritto è contenuta nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (articolo 16). Il contesto di questo articolo, tuttavia, sembra far riferimento al concetto di ciò che è naturale ("...la famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società..."). Non si capisce se la dichiarazione avrebbe considerato la famiglia che Nerone aveva con il suo unico marito e due "mogli" di sesso maschile come "unità naturale della società." In ogni caso, la Dichiarazione Universale dei Diritti non conosce tale diritto. Inoltre, il matrimonio negli Stati Uniti richiede una licenza, e le uniche cose che necessitano di rilascio di licenze sono i privilegi, non i diritti.

[25] Ef 5:31-2

[26] Genesi 2:24

[27] Greco: εγω δε λεγω - "ma io dico" o "ma io parlo [di]". È la stessa costruzione usato da Gesù - si veda, per esempio, Matt. 5:22, 34, 39, 44, e passim.

[28] Sant'Agostino d'Ippona. De cat. Rud. 26,50

[29] Rm 6:4

[30] Matt 26:26-8

[31] Giovanni 6:56

[32] In occasione di un "Hermeneutic Hui" tenutosi alla Cattedrale della Trinità di Auckland il 2 febbraio 2013, il vescovo anglicano Victoria Matthews di Christchurch, Nuova Zelanda, ha detto che "È possibile, a mio avviso, sostenere che una unione benedetta di uomo e donna o realmente di due o più persone è in grado di dare i suoi frutti in un certo numero di modi diversi". Questa mossa verso la poligamia, se sarà mai presa in considerazione, potrà innescare la sua polemica teologica. Gesù sembrava non condannare una unione di un uomo e dieci vergini (cfr. Matt. 25:1-13). Anche se quelli di noi con un talento per "spaccare il capello" possono chiedere se la parabola implica che il limite divinamente ispirato per il numero di mogli dovrebbe essere fissato a dieci o cinque, in quanto solo cinque entrano nel banchetto nuziale (Mt 25 :1-13).

[33] In particolare, la sposa e lo sposo non dicono una sola parola per tutto l'intero rito del matrimonio ortodosso. Ciò che è il cuore stesso del matrimonio occidentale - un contratto o un insieme di promesse o voti - è completamente assente da una cerimonia ortodossa.

[34] Cfr. 1 Cor 3:9: "συνεργοι" - "lavorando insieme", 2 Cor. 06:01: "Mentre lavoriamo insieme con lui" - "συνεργουντες δε"

[35] 1 Cor 15:33

[36] Tutte e tre queste parole greche - έρωτας, φιλία, αγάπη - si possono tradurre come "amore".

[37] Ef 5:25

[38] p. 11

[39] Luca 18:8

[40] Se scegliamo una diversa misura per il progresso umano, per esempio il linguaggio umano, allora si potrebbero presentare chiari segni di devoluzione, non di evoluzione. Secondo una fonte, "tra un quinto e un quarto della popolazione degli Stati Uniti è funzionalmente analfabeta", e il vocabolario operativo dei quattordicenni medi negli Stati Uniti si è ridotto a metà negli ultimi 50 anni - Spretnak, Charlene. The Resurgence of the Real. New York: Routledge, 1999, p. 114.

[41] Sant'Efrem il Siro, Commento agli Efesini 5:23

[42] San Gregorio di Nissa, Sulla verginità 6

[43] Ibid., 12

[44] Ibid., 14

[45] San Giovanni Crisostomo, Sulla verginità 84

[46] Id., Omelia 7 su Ebrei

[47] Concilio di Nicea, 325 d.C.

[48] Concilio di Gangra, 340 d.C.

[49] citato in Bugge, John. Virginitas: An Essay in the History of a Medieval Ideal. L'Aia: Martinus Nijhoff, 1975, p. 19

[50] Sion, William, Basil, Eros and Transformation. Sexuality and Marriage: An Orthodox Perspective. Lanham: University Press of America, 1992, p. 73.

[51] Ibid. 75

[52] Sembra che per alcuni Padri il sesso non sia mai stato pienamente legittimo.

[53] Giovanni 15:13: "Nessuno ha amore più grande di questo: dare la propria vita per i propri amici."

[54] Gal 5:22-3

[55] God Believes in Love, 73

[56] Sulla verginità 19:1

[57] Per uno studio più dettagliato degli atteggiamenti della Chiesa verso il sesso, vedi Sveshnikov, Sergej " There is no Sex in Church!" American Theological Inquiry. Vol. 4, n ° 1, gennaio 15, 2011, pp 61-87.

[58] Naturalmente, stiamo parlando della Chiesa ortodossa, ci sono sempre delle eccezioni a tutto!

 
Sant'Alessio Toth (1853-1909)

Alexis Georgevic Toth (il cognome è una forma occidentalizzata del cognome slavo Toft) nacque nei pressi di Eperjes, nell'odierna Slovacchia, da una famiglia cattolica di rito orientale (il padre era prete).

Dopo undici anni di servizio sacerdotale (come rettore di una parrocchia, cancelliere diocesano, direttore di seminario e professore di diritto canonico e storia della Chiesa), e dopo essere rimasto vedovo, Padre Alessio fu inviato in America nel 1889, per assistere la missione cattolica composta da immigrati dalla Galizia, dalla Rutenia e dalla Russia carpatica. Stabilitosi a Minneapolis, Padre Alessio cominciò a prendersi cura del suo gregge, che, come molti gruppi di minoranza privi di capi influenti, e orientati alle tradizioni religiose e familiari, era considerato per lo più "indesiderabile".

Padre Alessio sperimentò i suoi primi problemi con la gerarchia cattolica al tempo del suo incontro con il Vescovo di Minneapolis, John Ireland, che gli vietò ogni attività nella sua diocesi. Amareggiato da questo trattamento (che non era un caso isolato tra i cattolici orientali in Occidente), riportò i suoi fedeli nella comunione ortodossa. Ricevuto nel 1892 nella Chiesa ortodossa russa patriarcale, la servì con devozione fino alla morte, nel 1909. È stato definito "il padre dell'Ortodossia in America", poiché quasi un quarto di milione di ortodossi slavi negli Stati Uniti sono discendenti dei suoi convertiti.

La canonizzazione di Sant'Alessio è stata compiuta a opera della Chiesa Ortodossa in America il 29-30 Maggio 1994, al Monastero di San Tikhon di Zadonsk, South Canaan, Pennsylvania La rivista dell'Arcidiocesi Antiochena d'America, Again, ne ha fatto un lungo e positivo elogio.

Siamo al corrente di due parrocchie ortodosse che sono state dedicate a Sant'Alessio Toth: una parrocchia missionaria della Chiesa Ortodossa in America a Clinton, Connecticut (Diocesi del New England), e una chiesa della Diocesi Carpato-Russa (Patriarcato Ecumenico) sotto il Vescovo Nicola di Amissos, a Lafayette, Indiana.

Una breve biografia del santo è reperibile nel testo Portraits of American Saints, reperibile presso: Diocese of the West, Orthodox Church in America, 650 Micheltorena St., Los Angeles, California 90026, USA. Una riproduzione dell'icona di Sant'Alessio, in diversi formati (incluse le cartoline da distribuire), è disponibile presso: The Orthodox Christian Publications Center, Box 588, Wayne, New Jersey 07474, USA.

 Santo Padre Alessio, intercedi presso Dio per noi!

 

Tropario, Tono 4°

O giusto Padre Alessio, / nostro celeste intercessore e maestro, / divino ornamento della Chiesa di Cristo, / supplica il sovrano di tutti / di rafforzare la Fede ortodossa in America, / di accordare pace al mondo / e alle nostre anime la grande misericordia.

 
Metropolita Ilarion (Alfeev): Il calice eucaristico alle Liturgie concelebrate

Alla fine del XX secolo nella pratica liturgica della Chiesa Ortodossa Russa c'è stato un cambiamento importante: quasi ovunque i laici hanno cominciato a comunicarsi molto più spesso di quanto non facessero in precedenza.

La maggior parte dei laici, e anche dei sacerdoti, specialmente quelli che sono venuti alla Chiesa negli ultimi 20 anni hanno dimenticato che fino a poco tempo fa, fare la comunione poche volte l'anno, era considerato la norma: una volta - due volte in Quaresima (di solito la prima e l'ultima settimana) e una volta - due volte in altri momenti dell'anno (il giorno dell’onomastico e talvolta durante il digiuno del Natale e della Dormizione). Questa era la prassi della Chiesa russa fino alla rivoluzione, che si rifletteva nel "Catechismo" di san Filarete di Mosca: "I primi cristiani si comunicavano ogni Domenica, ma tra quelli di ora, pochi hanno tanta purezza di vita, da essere sempre pronti a partecipare a un mistero così grande. La Chiesa, con voce paterna, li guida a confessarsi al sacerdote e a nutrirsi del corpo e del sangue di Cristo: per quelli che sono zelanti di una vita pia - da quattro volte all'anno a una volta al mese, e tutti gli altri - quanto meno, una volta anno ". [1] Al giorno d'oggi, la comunione una volta al mese, di cui San Filarete parlava come un gesto ascetico di "pochi", è diventata la norma per le persone che frequentano la chiesa, e molti di loro si accostano alla santa comunione a ogni festa e in ogni domenica.

Un altro cambiamento importante è il crescente numero di funzione concelebrate da diversi membri del clero. Dopo anni di persecuzione, la Chiesa ha ottenuto la libertà, e questo ha portato alla crescita del numero dei sacerdoti e, rispettivamente, alla crescita del numero di coloro che servono e si comunicano a una Liturgia.

Questo articolo è dedicato non alla valutazione generale di questi fenomeni, ma all’analisi di una delle conseguenze, vale a dire, la pratica di celebrare la Divina Liturgia con l'uso di un calice di grande volume.

Ai nostri giorni, alla Liturgia archieratica, specialmente quando sono presenti molti fedeli, spesso si usa un calice di volume significativo, alto quasi la metà di un uomo e di un volume di tre, cinque o addirittura nove litri. Calici eucaristici di volume più grande di un litro si usano alle funzioni di alcune parrocchie più grandi, soprattutto alle grandi feste. Quando si utilizzano calici di diversi litri, di solito basta versare nel calice una parte del vino con un po' d'acqua durante la Proscomidia, e la maggior parte del vino si versa dopo il Grande Ingresso, per non dover portare al Grande Ingresso un calice che pesa molti chilogrammi. Poi alla fine della preghiera eucaristica e all’ecfonesi "i doni santi ai santi" il santissimo sangue si versa dal calice grande in altri calici di formato consueto, di 0,5-0,75 litri di capacità. Così, la maggior parte del vino eucaristico, e più tardi del santo sangue, non si trova nel calice principale per tutta la durata della Liturgia, ma solo durante la sua parte "santificante", dal Grande Ingresso alla comunione del clero.

Secondo il parere di molti chierici, il caso di una Liturgia alla quale si comunicano molti credenti non ammette una soluzione diversa dall’uso di un calice enorme, in cui si versa una grande quantità di vino, e la sua ulteriore suddivisione in diversi calici. E alla domanda se si ammette che siano posti sulla santa mensa, fino alla santificazione dei santi doni, diversi calici di volume normale e non uno grande, la risposta è: No. Si offre anche un argomento "teologico": tutti noi partecipiamo "di un singolo pane e di un singolo calice", allora come possiamo mettere sull'altare diversi calici? Questo dovrebbe presumibilmente violare il simbolismo eucaristico.

Ma che cosa indica in situazioni simili l’antica tradizione della Chiesa, in cui la comunione concomitante di una moltitudine di credenti in enormi chiese (ricordiamo le basiliche costruite dal santo imperatore Costantino il Grande, o la chiesa di Santa Sofia di Costantinopoli) non era una rarità?

Un particolare rilievo tra le antiche testimonianze hanno i dati che si riferiscono ai servizi divini a Costantinopoli e nel mondo bizantino in generale, perché la nostra tradizione liturgica è un'eredità diretta e una continuazione di quella bizantina. I dati archeologici testimoniano che anche i più grandi calici bizantini non superavano il volume di 0,75-1 litro. [2] Ovviamente, un calice singolo alla Liturgia nella chiesa di Santa Sofia sarebbe stato insufficiente. Allora cosa facevano i bizantini? Le fonti patristiche e liturgiche danno un responso unanime: celebravano l'Eucaristia con diversi calici simultaneamente. [3] Tra l'altro, anche i dischi con sopra gli Agnelli potevano essere più di uno.

Per la prima volta si ricordano diversi calici alla Divina Liturgia nelle "Costituzioni Apostoliche" (VIII. 12 3) - una raccolta di documenti dei primi cristiani, la cui redazione definitiva ha avuto luogo intorno all'anno 380 ad Antiochia. [4] Il riferimento alla moltitudine di dischi calici nel rito della Divina Liturgia a Costantinopoli è testimoniato dalla "Cronaca pasquale" del VII secolo. [5] Questi dati sono confermati da San Massimo il Confessore, che parla anche del significato simbolico del numero dispari dei calici che devono essere utilizzati per Liturgia. [6] In una serie di raccolte di testi liturgici bizantini, a partire dall’ "Eucologio Barberini", il più antico manoscritto conservato della Liturgia e del benedizionale bizantino (Vat. Barb. gr. 336, della fine del secolo VIII), ma soprattutto negli scritti destinati alle funzioni episcopali, nella rubrica del rito della Divina Liturgia si parla non di un "calice", ma di "[più] calici". [7] Anche il rito bizantino della Liturgia patriarcale / ierarchica del secolo XIV, composto da Dimitrie Ghemistos, menziona anch’esso più calici. [8] Infine, l'iconografia del Grande Ingresso negli affreschi bizantini e balcanici dei secoli XIV-XVI illustra allo stesso modo diversi calici.

Oltre la semplice menzione di diversi calici, alcune fonti bizantine contengono informazioni anche sulle indicazioni del Tipico che regolano la celebrazione dell’Eucaristia in questo caso. San Simeone di Tessalonica precisa che le parole della Proscomidia non cambiano, "anche se vi sono più calici". [9] Nel rito della liturgia descritto da Demetrio Ghemistos dice che al Grande Ingresso il patriarca pone il disco sull’altare, mentre organizza i calici in coppie su entrambi i lati del disco. [10] Nella lettera al vescovo Paolo di Gallipoli del patriarca di Costantinopoli Niccolò III il Grammatico (fine sec. XI) [11], si parla a lungo del fatto che i dischi sono disposti in forma di croce, e i calici - tra le braccia di questa croce.

Pertanto, la celebrazione della Divina Liturgia con più calici e più dischi non costituisce una serie di casi isolati, ma una pratica bizantina assolutamente normale, che, specialmente nella liturgia gerarchica, era perfino normativa. Perché dunque è scomparsa in epoca post-bizantina? Sembra che la sua scomparsa sia stata causata dall’avvento della pratica della comunione rara e dalla tendenza generale di ridurre le dimensioni delle chiese. [12] Nelle chiese piccole, dove si comunicano pochi credenti, la necessità dell’uso di una grande quantità di vino eucaristico è scomparsa e con essa la necessità di celebrare la Liturgia con diversi calici.

Tuttavia, ancora per molto tempo, si è conservata la pratica di compiere il Grande Ingresso con lo spostamento concomitante di più calici, solo che i calici, tranne quello principale, erano portati vuoti. [13] San Simeone di Tessalonica descrive già questa pratica e, inoltre, ne offre una spiegazione, sostenendo che lo spostamento dei calici vuoti al Grande Ingresso si svolge "come segno di venerazione dei preziosi doni". [14] Una pratica simile era conosciuta in Russia nei tempi pre-nikoniani: alle funzioni nelle grandi cattedrali della Russia, nelle feste, al Grande Ingresso erano portati non solo il disco e il calice con il pane e il vino eucaristici, ma anche molti vasi vuoti, tra cui i "siony", cioè i tabernacoli. [15] L'usanza di portare i tabernacoli durante il Grande Ingresso, oltre al disco e al calice, è conservato oggi nella Chiesa russa alla funzione di intronizzazione del Patriarca. [16]

Tornando all’attuale situazione ecclesiale, possiamo chiederci: che cosa ci impedisce oggi di tornare alla pratica bizantina di celebrare la Liturgia con diversi calici? Per rispondere a questa domanda dobbiamo considerare gli aspetti positivi e negativi di celebrare la Liturgia con un calice del volume di diversi litri. Il primo lato positivo è che un singolo grande calice è un’evidente rappresentazione dell’unità simbolica della Chiesa nell'Eucaristia, che può illustrare le parole dell’anafora di san Basilio il Grande: "E unisci tutti noi che partecipiamo di un singolo pane e un singolo calice, gli uni con gli altri, attraverso la condivisione dello stesso Spirito Santo". Un secondo aspetto positivo è lo sfarzo e la grandiosità che può essere visto nella celebrazione della Liturgia con grandi vasi sacri.

Gli stessi argomenti, tuttavia, possono essere facilmente rovesciati. In primo luogo, il disco e il calice molto grandi ad alcuni possono sembrare poco estetici e grotteschi. In secondo luogo, anche se si utilizza un calice voluminoso, verso la fine della Liturgia il santo sangue in ciotole si verserà in ogni caso in calici più piccoli, dai quali si comunicheranno i credenti, quindi, sull'altare, al momento della comunione, non rimane più un singolo calice, ma diversi calici. Quindi, alla funzione con un singolo grande calice il simbolismo è comunque violato, solo in un altro modo. Inoltre osserviamo che, dopo il Grande Ingresso, nel calice si versa altro vino, e questo vino aggiunto, a differenza di quello che è già calice, non è stato versato alla Proscomidia con la pronuncia delle parole rituali e non ha partecipato alla processione del Grande Ingresso. E anche questa processione è carica di una certa serie di simbolismi.

Oltre a questo, la stessa argomentazione a favore del "singolo calice", che avrebbe simboleggiato l'unità dell'Eucaristia può essere superata. In primo luogo, i bizantini erano molto consapevoli delle parole della propria anafora e questo tuttavia non impediva loro di celebrare la Liturgia con più calici. In secondo luogo, e cosa più importante, l'anafora di san Basilio il Grande non parla di un singolo calice di una Liturgia concreta, ma del calice di Cristo in generale, di quel calice del preziosissimo sangue da lui sparso per il mondo intero. Questo calice è uno e lo stesso in tutte le chiese del mondo, non importa quanti calici stiano sulla santa mensa. Come la moltitudine di calici in una moltitudine di chiese è essenzialmente uno e lo stesso calice di Cristo, così la moltitudine di calici che stanno sull'altare di una chiesa durante la Divina Liturgia, sono essenzialmente lo stesso calice.

D’altra parte, i motivi per cui scrivere questo articolo non sono stati di ordine teologico o storico-ecclesiastico, ma pratico. Questi si vedono soprattutto quando si deve versare il santo sangue da un calice di grandi dimensioni in calici più piccoli. Il volume stesso di un tale calice impedisce di fare con esso certi movimenti, soprattutto perché si tratta del santo sangue, di cui nessuna goccia deve essere persa nel processo di versamento nei calici. L'autore di queste righe è stato non solo una volta testimone di scene desolanti: quando, trasferendo il santo sangue da un calice immenso, il prete ne versa notevoli quantità sull’antimensio, sull’altare, sui paramenti, e perfino sul pavimento. A volte il calice può essere così grande che il sacerdote, in piedi davanti alla santa mensa, non ne vede il contenuto e versare il santo sangue in modo intuitivo. Una prova vivente di queste scene sono gli antimensi macchiati di santo sangue, che si trovano sugli altari di molte delle nostre chiese.

Un altro problema pratico è legato al consumo dei santi doni che rimangono dopo la comunione, soprattutto perché l'uso di un grande calice rende difficile valutare la quantità necessaria di vino eucaristico e il lavaggio di un calice ampio non è facile. Infine, l'uso di un grande calice non è giustificato dal punto di vista economico. Nelle parrocchie, per esempio, le liturgie archieratiche o un gran numero di comunicanti non sono occasioni così frequenti, ma a causa loro, la parrocchia è obbligata a spendere grandi somme per comprare grandi calici costosi, che in seguito si usano solo in occasioni speciali.

A nostro avviso, i disagi descritti derivanti dall'utilizzo di grandi calici dovrebbero farci ricordare la pratica bizantina di celebrare la Divina Liturgia con calici molteplici di dimensioni consuete, le cui testimonianze sono state consegnate in modo chiaro e più volte da un’intera serie di fonti. In linea con questa pratica, i diversi calici non dovrebbero essere posti sulla santa mensa dopo la consacrazione dei santi Doni, ma fino a quel momento, in modo che alla trasformazione del vino nel sangue di Cristo sull'altare ci siano tutti i calici dai quali i credenti si comunicheranno. Quindi, se vogliamo seguire esattamente la tradizione bizantina, dovremmo usare i calici già alla Proscomidia, e poi portarli tutti in processione al Grande Ingresso. Possiamo invece proporre una soluzione meno radicale, ma più pratica: portare solo il calice principale al Grande Ingresso, e disporre accanto a esso gli altri all'inizio della recitazione del Simbolo della fede. Sia in un caso sia nell'altro scompare il rischio di versare il santo sangue nel corso del trasferimento in diversi calici. Scompare anche la necessità di calici enormi, il cui utilizzo nella Liturgia fa nascere così tanti inconvenienti di ordine pratico.

Note

[1]Пространный Православный Катихизис Православной Кафолической Восточной Церкви (любое изд.). Ч. 1. § 340.

[2]Taft R.F. The Communion, Thanksgiving, and Concluding Rites. R., 2008. (A History of the Liturgy of St. John Chrysostom; Vol. 6). (Orientalia Christiana Periodica; 281). P. 256–257.

[3]Taft R.F. The Great Entrance: A History of the Transfer of Gifts and Other Preanaphoral Rites of the Liturgy of St. John Chrysostom. R., 1978. (A History of the Liturgy of St. John Chrysostom; Vol. 2). (Orientalia Christiana Periodica; 200). P. 208–213.

[4]SC. 336. P. 178.

[5]PG. 92. Col. 1001.

[6]PG. 90. Col. 820.

[7]Taft R.F. The Precommunion Rites. R., 2000. (A History of the Liturgy of St. John Chrysostom; Vol. 5). (Orientalia Christiana Periodica; 261). P. 366.

[8] Дмитриевский А.А., Описание литургических рукописей, хранящихся в библиотеках Православного Востока. T. 2. К., 1901. С. 310.

[9]PG. 155. Col. 288.

[10] Дмитриевский А.А., Описание… Т. 2. С. 206.

[11] È possibile che l’autore della lettera non sia stato Nicola III il Grammatico, ma un altro patriarca si Costantinopoli dello stesso periodo: Cosma I oppure Eustrazio (Taft R.F. The Precommunion… P. 367–368).

[12] Questa tendenza era stata causata esteriormente dalla caduta di dell’Impero Bizantino (in Russia - dall’occupazione tataro-mongola), e interiormente, dalla preferenza per la costruzione di più chiese piccole al posto di una grande.

[13] Questa pratica, strana a prima vista, è oggi in uso presso alcuni monasteri athoniti, come Dochiariou; (ierom. Petru). 

[14] PG. 155. Col. 728. Questa spiegazione, come molte altre di san Simeone di Tessalonica, non è per nulla convincente né logica; (ierom. Petru). 

[15] Голубцов А.П. Соборные Чиновники и особенности службы по ним. М., 1907. С. 217–220.

[16]Желтов М., свящ. Интронизация // Православная энциклопедия. М., 2010. Т. 23. С. 124–131.

 
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"Misericordia di pace"

"Ho sentito dire che la frase nella Liturgia "misericordia di pace, sacrificio di lode" è priva di senso, ed è una corruzione di un precedente testo corretto: se questo non è vero, cosa significa la frase?"

È vero che ci sono alcuni problemi testuali relativi a questo testo. Esiste un certo numero di manoscritti con scritto "misericordia, pace, sacrificio di lode", e alcuni sostengono che questa lettura ha più senso. Tuttavia, in un articolo di Robert Taft in materia, il testo più antico che viene citato è il testo di commento alla Divina Liturgia di san Germano di Costantinopoli, e ha la lettura così come la usiamo oggi [1] La variante si è fatta strada anche nei testi slavonici pre-nikoniani, anche se dai tempi delle riforme nikoniane, i tradizionali testi in slavonico hanno seguito la lettura standard.

Il fatto che il testo standard sia criticato come lettura più difficile è in realtà un argomento a favore della sua autenticità. Uno dei principi fondamentali della critica testuale è che (a parità di altri fattori) è più probabile che la lettura più difficile sia quella originale, e una lettura agevole è più probabilmente il risultato di una correzione successiva. Se una simile "lettura più difficile" si trovasse solo in un manoscritto isolato qua e là, si potrebbe forse sostenere che sia il risultato di qualche errore di copia – ma non quando una tale lettura è la lettura predominante.

In ogni caso, che sia stata la lettura originale o no, questa è la lettura accettata che la Chiesa ha abbracciato. Stando così le cose, suggerire che il testo sia "privo di senso" riflette una mancanza sia di umiltà sia di pietà. Se la Chiesa l'ha abbracciato, non può essere privo di senso. Può essere che sia difficile da capire, o che sia possibile non capirlo; tuttavia, solo perché una persona non capisce cosa vuol dire, questo non significa il testo non possa essere compreso. Dopo tutto, questa non è una parte di un testo oscuro che pochi incontrano mai, o che si può incontrare di rado. Si tratta di un'espressione della parte più importante della funzione più importante della Chiesa, celebrata quasi ogni giorno dell'anno. Di conseguenza, non si comprende come un testo del genere abbia potuto guadagnare tale ampia accettazione nella Chiesa, se veramente fosse stato assurdo.

Alcuni cercano di sostenere che il testo, almeno nella sua forma attuale in inglese ("a mercy", ovvero "una misericordia"), è sgrammaticato, perché "misericordia" è un sostantivo non numerabile, e quindi non può essere utilizzato con l'articolo indeterminativo ("a"). Tuttavia, se si cerca la parola "mercy" nel dizionario online Merriam Webster, uno degli esempi di come viene usata la parola è "it was a mercy they found her before she froze", ovvero "fu una misericordia che la trovarono prima che si congelasse". Se ne potrebbero citare innumerevoli esempi dalle grandi opere della letteratura inglese... e quindi semplicemente non è vero che questa costruzione sia sgrammaticata.

Quanto a ciò che questo significa, teniamo presente che questa linea segue le parole del diacono: "Stiamo composti, stiamo con timore, stiamo attenti a offrire in pace la santa oblazione". E così, nel contesto, vediamo che questa linea si riferisce alla santa oblazione.

P. Thomas Hopko fornisce una spiegazione concisa di ciò che significano queste parole:

"La santa oblazione è Cristo, il Figlio di Dio, che è divenuto il Figlio dell'uomo per offrire se stesso al Padre per la vita del mondo. Nella sua persona Gesù è la perfetta offerta di pace che sola porta la misericordia riconciliante di Dio. Questo è senza dubbio il significato dell'espressione misericordia di pace, che è stata una fonte di confusione per le persone nel corso degli anni in tutte le lingue liturgiche.

Oltre a essere la perfetta offerta di pace, Gesù è anche l'unico adeguato sacrificio di lode, che gli uomini sono in grado di offrire a Dio. Non c'è nulla negli uomini di paragonabile ala grazia di Dio. Non c'è nulla con cui gli uomini possono degnamente ringraziare e lodare il Creatore. Così è, anche se gli uomini non fossero peccatori. Così Dio fornisce agli uomini con il loro più perfetto sacrificio di lode. Il Figlio di Dio diventa genuinamente umano in modo che le persone umane possano avere uno della loro natura sufficientemente adeguato alla santità e alla grazia di Dio. E costui è il Cristo, il sacrificio di lode". [2]

Note

[1] "Textual Problems in the Diaconal Admonition before the Anaphora in the Byzantine Tradition" (Orientalia Christiana Periodica, 49 [1983] 345); St. Germanus of Constantinople, On the Divine Liturgy, Trans. [con testo greco parallelo] Paul Meyendorff (Crestwood, NY: St. Vladimir Seminary Press, 1984), p. 90f..

[2] The Orthodox Faith, Volume II – Worship: The Divine Liturgy, Eucharistic Canon: Anaphora, January 26th, 2016 (http://oca.org/orthodoxy/the-orthodox-faith/worship/the-divine-liturgy/eucharistic-canon-anaphora ). Enfasi nell'originale.

 
Come mantenere le nostre facce nel mondo di Facebook

Viviamo nel mondo di Facebook - ovvero, in un mondo caratterizzato dalla presenza di ciò che è stato chiamato "social media". Molto inchiostro è stato versato per descrivere questo nuovo rivoluzionario fenomeno, che alcune persone lodano, e altri lamentano. Ma, sia che sia lodevole o deplorevole o una combinazione di entrambi, sembra essere qui per rimanere. Nel bene o nel male, gran parte della nostra comunicazione avviene ora attraverso Facebook, Twitter, sms, e-mail, e altre forme di social media. Il mio scopo nel discutere questo mondo non è di denunciarlo. Non sto suggerendo che le rinunce battesimali debbano essere modificate in modo che il candidato sia invitato a "rinunciare a Satana e a tutte le sue opere, e a tutti i suoi angeli, e a tutto il suo culto, e a tutto il suo orgoglio, e a Facebook". I social media hanno i loro vantaggi e utilità. Ci permettono di scambiare parole con persone lontane, e di farlo con maggiore frequenza di quanto avremmo probabilmente fatto se la scrittura e l'invio di lettere fossero stati il nostro unico mezzo di comunicazione con loro. Io ho un account di Facebook, e mi piace leggere ciò che le persone molto distanti hanno da dire e da condividere. Ma nel mondo di Facebook ci sono perdite e guadagni.

Una delle perdite ha a che fare con il modo in cui abbiamo effettivamente ridefinito che cosa si intende per "comunicazione". Qualcuno ricorda i vecchi annunci pubblicitari "Esci e tocca qualcuno"? Nel 1979, la Bell Systems aveva messo in onda uno spot televisivo, che mostrava persone che si salutavano e si abbracciavano gli uni con gli altri, con lo slogan conclusivo, "Esci e tocca qualcuno, fai una telefonata." C'era un'ironia inconsapevole in quell'esortazione, poiché l'unica cosa che uno non può fare attraverso una telefonata è raggiungere fisicamente e toccare qualcuno. Le espressioni di contatto fisico, l'amore, e l'intimità ritratti nella pubblicità non si potevano avere attraverso una telefonata. Ma andava bene così, dato che i telefoni in quei giorni pre-Skype erano la cosa più vicina che si poteva avere al contatto reale dal vivo. Ma la perdita della connessione fisica era comunque una perdita.

Questa perdita continua - ed è favorita - nel mondo di Facebook. Almeno al telefono possiamo sentire diversi toni di voce, anche se siamo ciechi al linguaggio del corpo. Nei nostri Facebook, Twitter, e-mail e messaggi di testo, perdiamo anche questo. A volte (in assenza di emoticon) è difficile determinare se qualcuno intende essere ironico o serio. Se, come qualcuno ha suggerito, il linguaggio del corpo costituisce gran parte della comunicazione umana, avere solo le nude parole scritte su uno schermo comporta la perdita di gran parte della nostra comunicazione - e tuttavia questa forma di comunicazione è sempre più percepita come "normale".

Ci sono anche altre perdite e sfide nel mondo di Facebook. Sicuramente non posso essere l'unico ad aver osservato che le persone spesso si sentono libere di dire su Facebook o tramite e-mail cose che non si sognerebbero mai di dire a qualcuno in faccia. Di solito la presenza di altri agisce come un freno ai nostri scambi personali. Ma quando non siamo in presenza di altri, ma piuttosto siamo seduti comodamente e privatamente lontani, senza guardare il volto dell'altro, ma solo lo schermo del computer o la tastiera, possiamo a volte prenderci la libertà di parlare con maleducazione spaventosa. È quasi come se ogni bit di nuova tecnologia avesse un lato oscuro che troviamo abbastanza presto - ci inventiamo il nucleare e poi lo usiamo per fare le bombe, ci inventiamo modi di condivisione di parole a distanza e poi ci "infiammiamo" l'un l'altro, E GRIDIAMO UTILIZZANDO LE MAIUSCOLE IN QUESTO MODO. Noi scartiamo la cortesia (o per usare il suo termine biblico, l'amore) e la moderazione quando siamo sicuri lontano. Anche quando ci scambiamo parole con civiltà, conserviamo ancora un certo grado di anonimato. Infatti, alcune persone su Facebook non usano una foto di se stessi per la loro "immagine del profilo" ma sostituiscono un'altra immagine. Quando si utilizzano tali mezzi a lungo raggio di comunicazione, non proiettiamo tanto i nostri veri sé, quanto un personaggio, una maschera. È la sicurezza che si prova quando ci si nasconde dietro una maschera che ci dà il coraggio di parlare a volte bruscamente. (A volte, come la polizia può confermare, la gente usa l'anonimato per scopi più sinistri). Eppure, mentre la nostra cultura si basa sempre più su tali supporti per la comunicazione, noi ridefiniamo sottilmente ciò che costituisce una "comunicazione normale." Siamo abituati alle maschere che indossiamo quando siamo alla tastiera, e si atrofizza l'abilità di un’autentica presentazione interpersonale.

La verità è che la comunicazione reale e la comunione autentica con un altro comportano sempre un incontro faccia a faccia - è per questo che ci sono tanti abbracci negli aeroporti quando le persone si ritrovano fisicamente dopo essere state separate per un certo tempo. Forse le persone che si salutano le une con le altre all'aeroporto non si sono tenute in contatto con Facebook mentre erano lontane? Non si sono sentite al telefono? Non si sono scambiate e-mail? Scommetto che lo hanno fatto - ma i loro caldi abbracci rivelano che queste cose non possono sostituire la presenza fisica. Abbiamo bisogno non solo di leggere le parole degli altri, ma di vedere i loro volti, e di far loro guardare i nostri. Infatti, la parola per "presenza" sia in ebraico sia in greco è la stessa parola per "faccia" (in ebraico panim; in greco prosopon). Ecco perché tutti i sacramenti della Chiesa presuppongono la presenza fisica, in modo che non si può essere battezzati o ricevere la santa Comunione o l’unzione "on-line". Un "cyber-sacramento" è una contraddizione in termini. Per ricevere la pienezza della vita offerta nei santi Misteri, è richiesta la presenza fisica. È per questo che sin dai tempi degli apostoli, ogni celebrazione dell'Eucaristia ha incluso lo scambio del bacio di pace: liturgicamente, ogni settimana la Chiesa ci chiede di raggiungere e di toccare qualcuno. La sinassi liturgica è letteralmente un incontro, che comporta il contatto fisico.

Il metropolita Anthony di Sourozh con un'interlocutrice

Dio, infatti, ha messo una fame di questo incontro fisico e comunicazione nel profondo del cuore umano. Desideriamo vedere gli altri, guardarli negli occhi (spesso e significativamente chiamati "finestre dell'anima"), e far loro guardare nei nostri. Siamo stati progettati per funzionare in questa amorevole comunicazione inter-personale, così  come le vetture sono state progettate per funzionare a benzina, e soffriamo se siamo privati ​​di quest’autentica interazione umana. Eppure, nonostante questo, stiamo progettando e vivendo in un mondo sempre più privo di tali interazioni. Spendiamo una quantità enorme del nostro tempo isolati dagli altri, e spesso non conosciamo i nomi dei vicini di casa che vivono accanto a noi sulla nostra strada. Sempre più spesso lavoriamo in cubicoli, guidiamo da soli nelle nostre auto per andare a lavorare, e passiamo il nostro "tempo morto" in video-giochi o digitando davanti a uno schermo di computer. Il ritrovo per la cena di famiglia diventa sempre più raro, e anche allora alcuni inviano messaggi ai propri amici durante il pasto. Quando comunichiamo, lo facciamo per telefono, o testi, o e-mail, o Facebook. Gli incontri veri e vivificanti diventano più rari - alcuni giovani preferiscono addirittura gli sms agli incontri come loro modo preferito di comunicare. Nel mondo di Facebook, non dobbiamo quasi mai raggiungere e toccare qualcuno. È diventato superfluo.

Ma, si potrebbe chiedere, cosa c'è di sbagliato in tutto questo? Se i giovani preferiscono mandare sms che non incontrarsi, che cosa c'è di male? Solo questo: ci sono pericoli a rifiutare di vivere nel modo in cui siamo stati progettati per vivere. Siamo stati progettati per prosperare sul contatto umano personale, e il cuore e lo spirito umano ne hanno ancora fame. Se la fame non è rispettata e soddisfatta attraverso un sano incontro umano, cercherà soddisfazione in modi meno sani, proprio come se un uomo ha abbastanza fame, sarà disposto a mangiare di tutto. Se al cuore umano è negato un incontro autentico, finirà per cercare di nutrirsi di qualcosa d'altro, e diventerà vulnerabile alla propaganda, alle bugie, ai culti, e ad altre cose oscure. Quando ci sono negati incontri e relazioni autentiche, troveremo che abbiamo meno resistenza a farci vendere quelli non autentici. Questo naturalmente non significa che, se una ragazza adolescente trascorre tutto il suo tempo a mandare sms ai suoi amici, cadrà preda di una setta in tre settimane. Ma significa che se la nostra cultura continua a sostituire ciò che non è autentico a ciò che è autentico, si nega una componente fondamentale della salute spirituale - e se non recupera quella componente di base, il collasso della salute culturale avverrà abbastanza presto. Non ho alcun dubbio che quando il collasso inizierà a verificarsi, qualcuno creerà una pagina Facebook a riguardo.

 
Diacono Jan Veselak: Sulla psicologia dello scisma

Il diacono Jan Veselak serve da oltre 20 anni nella chiesa ortodossa di Tutti i Santi della Russia a Denver, Colorado. Di professione è uno psicologo clinico, e ci offre alcuni elementi di valutazione dello scisma dal punto di vista psicologico. L’articolo originale in inglese, On the Psychology of Schism, è reperibile su diversi siti in rete. Ne offriamo la traduzione italiana nella sezione "Confronti" dei documenti.

 
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San Maksim Sandovich

Padre Maksim Sandovich (31 gennaio 1886 - 24 agosto / 6 settembre 1914) è uno dei figli della terra di montagna nota con il nome di Lemkovina, situata su entrambi i versanti dei monti Carpazi. I monti della Lemkovina, che si estendono come una stretta catena tra il fiume Poprad a occidente e i fiumi San e Uzh, sono coperti di fitte foreste, e ricchi di corsi d'acqua e laghi cristallini, che donano alla regione una particolare bellezza.

Durante la vita di Padre Maksim, alla fine del diciannovesimo secolo e all'inizio del ventesimo, la Lemkovina faceva parte della Galizia, una delle regioni dell'Impero austro-ungarico.

Più di seicentomila Lemko (o carpato-russi) vivevano al tempo in questo territorio, parte dell'antica Rus'. La loro lingua parlata era molto simile all'antico slavonico, la loro tradizione religiosa risaliva ai grandi illuminatori degli slavi, i Santi Cirillo e Metodio della Moravia, della seconda metà del nono secolo. Il rito orientale (significativamente noto tra i Lemko come la Fede russa) venne mantenuto immutato tra di loro per un millennio. Al tempo dell'Unione di Brest, tuttavia, la terra dei Lemko fu strappata alla sede ortodossa di Costantinopoli, e posta sotto il dominio del cattolicesimo romano. Questo avveniva per ragioni politiche e contro i desideri religiosi del popolo, causando in esso un lungo periodo di inquietudine. Particolarmente difficile fu il diciottesimo secolo, in cui ebbe inizio la latinizzazione del rito orientale: le tradizioni carpato-russe furono calpestate, e anche dal punto di vista etnico si cercò di assimilare i Lemko agli ucraini, ignorando le particolarità del loro popolo. Tra i Lemko rinacque la consapevolezza dell'Ortodossia, e un desiderio di ritorno alle radici della propria fede. Padre Maksim Sandovich apparve come simbolo della loro aspirazione.

Nato il 31 gennaio 1886 nel villaggio di Zdynja, non lontano dalla città di Gorlice, Maksim Sandovich era figlio di un prospero fattore, Timoteo, che serviva come cantore, e di un'umile donna di villaggio, Cristina. Dopo i primi studi a Gorlice, Maksim fu inviato dal padre alle scuole superiori di Jaslo, e quindi a Novij Sacz, dove visse in un dormitorio russo chiamato Bursa, mantenuto dai Lemko. Dopo quattro anni di scuole superiori, entro in un monastero di padri basiliani a Hrekove. Abituato fin dall'infanzia al digiuno e alla contemplazione, giunse presto alla conclusione che questo particolare monastero non faceva per lui. Entrò quindi nel 1904 nel monastero ortodosso di Pochaev, che era ampiamente noto per la via ascetica dei monaci. Il rigore e l'atmosfera della vita monastica di Pochaev gli furono molto congeniali, tanto da meritargli l'ammirazione degli anziani per la sua vita di pietà. In una delle sue visite al monastero, il Vescovo Antonij (Chrapovitskij) di Volinia lo selezionò per il seminario teologico di Zhitomir, dove studiò per sei anni. Dopo il completamento degli studi di seminario e il matrimonio con Pelagija Ivanovna Grigorjuk, Maksym accettò l'ordinazione al sacerdozio il 17 novembre 1911, per mano del Vescovo Antonij di Volinia.

L'opera sacerdotale di Padre Maksim iniziò nel villaggio di Hrab, dove il 2 dicembre 1911 servì la prima divina Liturgia ortodossa. Da quel momento ebbe inizio la sua persecuzione e oppressione. Per la prima divina Liturgia da lui celebrata, fu sottoposto a giudizio dallo Starosta (prefetto) della regione di Jaslo, multato di quattrocento corone e messo agli arresti per otto giorni. Ma questo non lo scoraggiò: la sua missione pastorale continuò con le visite alle città di Hrab, Vyshovatka e Dovhe. In ogni nuova località veniva sistematicamente arrestato e multato. La stessa forma di terrore e discriminazione veniva estesa ai fedeli che partecipavano alle funzioni, o mettevano a disposizione le proprie case per i servizi di preghiera. Le intimidazioni delle autorità austriache si inasprirono con il passare di ciascun giorno, finché Padre Maksim, che proseguiva indomito nella sua missione, fu arrestato nel marzo 1912, e imprigionato nella città di Lvov. Nella stessa occasione furono arrestate altre tre persone: il prete Ignatij Hudyma, lo studente Basil Koldra e il giornalista Symeon Bendasjuk. Tutti e quattro furono condannati come spie al servizio della Russia.

In seguito al suo arresto, Padre Maksim fu trattato molto duramente, senza alcun rispetto per il suo sacerdozio. La sua croce sacerdotale gli fu strappata dal collo, il suo libro di preghiere confiscato, la sua tonaca rimossa. Lo si privò della capacità di celebrare servizi divini, e in aggiunta fu messo in cella con delinquenti comuni, in spregio al suo sacerdozio ortodosso. Secondo le regole della prigione, non poteva ricevere corrispondenza; gli fu impedito di avere contatti con altri prigionieri ortodossi, e gli fu negata la carta per scrivere alle persone fuori dal carcere. Come atto finale di umiliazione, Padre Maksim fu processato alla presenza di una folla di facinorosi in una sala di spettacoli.

La sua semplicità e umiltà, e il tono mite e suadente con cui difese se stesso e gli altri ortodossi della Galizia fecero una grande impressione sui presenti, incluso il giudice, portandoli alla convinzione della sua innocenza. Dopo un intenso e drammatico processo a Lvov, che durò dal 9 marzo al 6 giugno 1914, alla presenza di molti corrispondenti dall'estero, la giuria decise all'unanimità che tutte le accuse erano false, e lo dichiarò innocente. Il 7 giugno 1914, Padre Maksim, già cagionevole di salute, lasciò la prigione e tornò dalla famiglia nel suo villaggio natale di Zdynja. Qui poté continuare la sua missione pastorale per sole sei settimane.

Poco dopo, iniziò la Prima Guerra Mondiale, e gli ufficiali austriaci arrestarono Padre Maksim, sua moglie Pelagija (al tempo incinta), e suo padre Timoteo. Il 28 agosto 1914 furono portati alla prigione di Gorlice. Il mattino del 6 settembre, Padre Maksim fu condotto davanti a una corte marziale, che lo condannò a morte per fucilazione. L'ufficiale di polizia Dietrich portò Padre Maksim nel cortile, dove fu messo al muro di fronte ai cinque membri del plotone di esecuzione. L'area del suo cuore fu segnata col gesso. Nel frattempo, dalle finestre della prigione si udirono i lamenti, il pianto e le grida dei prigionieri Lemko. Al comando dell'ufficiale Dietrich, i soldati puntarono i fucili. Padre Maksim esclamò a gran voce "VIVA LA SANTA ORTODOSSIA!" I soldati fecero fuoco, senza riuscire a causare la morte istantanea di Padre Maksim. L'ufficiale Dietrich si avvicinò per sparare con la sua pistola il colpo di grazia alla testa. Dopo la morte di Padre Maksim, i carcerati Lemko smisero di piangere e gridare, e iniziarono a pregare cantando Gospodi, pomilui ("Signore, abbi misericordia").

Il corpo di padre Maksim fu sepolto in principio nel cimitero di Gorlice. Dietro richiesta del padre Timoteo, nel 1922 il corpo venne esumato, posto in una nuova bara di metallo e sepolto nel cimitero del villaggio natio di Zdynja, che divenne nel tempo un luogo di pellegrinaggio. La famiglia del prete martire seguì il sentiero spinoso dei tutti i Lemko. Dopo l'esecuzione di Padre Maksim, sua moglie Pelagija Sandovich e suo padre furono portati nel campo di concentramento di Talerhof (Austria). Il figlio di Padre Maksim, Sergio, di quattro anni, fu portato in Russia assieme all'esercito russo in ritirata. Nel capo di concentramento Matushka Pelagija diede alla luce il secondo figlio, e lo chiamò Maksim come il padre.

Nel 1937, il giovane Maksim Sandovych, dopo il matrimonio con Tatiana Galle, accettò di essere ordinato prete per mano del Metropolita Dionisij di Varsavia. Fino alla sua morte, l'8 luglio 1991, continuò la missione pastorale di suo padre, servendo la Fede dei Padri - La Santa Ortodossia.

L'11 settembre 1994, a Gorlice, la Chiesa Ortodossa di Polonia ha canonizzato Padre Maksim come primo santo del popolo carpato-russo. La cerimonia ha visto riuniti, intorno al metropolita Basilio di Varsavia, diversi vescovi (di cui due dalla Slovacchia e due dagli Stati Uniti), numerosi preti e circa seicento fedeli venuti da Polonia, Slovacchia, Ucraina, Stati Uniti. Il Sinodo della Chiesa ortodossa di Polonia ha fissato la memoria liturgica di san Maksim Sandovich quale ieromartire (prete martire) il 6 settembre, data della sua morte.

Per i carpato-russi, in effetti, san Maksim Sandovich è il simbolo dell'attaccamento alla fede dei Padri e il testimone del martirio del popolo ortodosso. Allorché, dopo il 1928, altre parrocchie ritornarono alla Chiesa ortodossa, la sua memoria fu onorata con funzioni e monumenti. Questa devozione si rafforzò durante la deportazione generale dei carpato-russi dal 1946 al 1956 ("Operazione Vistola"). San Maksim Sandovich è ugualmente venerato nella comunità carpato-russa emigrata negli Stati Uniti, e la sua venerazione è cresciuta anche al di fuori della sfera di influenza del popolo dei Lemko.

Per molti cattolici orientali, i cui legami religiosi con l'Ortodossia sono rimasti più sentiti di quelli con il Cattolicesimo romano, padre Maksim è una figura spiritualmente cara, che porta loro, a dispetto di una divisione formale, le radici della loro fede e l'antica tradizione dei loro padri.

Santo ieromartire Maksim, intercedi presso Dio per noi!

Icona del santo venerata nella nostra chiesa

 
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