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Ecumenismo e vecchio-calendarismo scismatico

(Tratto dal libro: I due estremi - Ecumenismo e Zelotismo)

Una lettera del beato anziano Epiphanios Theodoropoulos in materia di ecumenismo e zelotismo scismatico vecchio-calendarista

 

Atene, 22 luglio 1971

Carissimo padre Nicodemo,

Rallegrati in Gesù Cristo, nostro Signore.

Più di un mese è passato da quando ho ricevuto la tua lettera. Ho tardato a rispondere, a causa di un sovraccarico di impegni. Spero nella tua comprensione.

Risponderò un po’ in breve, con la promessa di tornare sull’argomento, nel caso tu richieda nuovi chiarimenti

Prima di tutto, caro padre Nicodemo, sono costretto a dirti una verità amara, che ti sembrerà più che assurda e ti stupirà. Fino ad oggi ho evitato, per economia, di formulare questa posizione, o l'ho espressa in termini cauti, ma dato che le cose hanno già raggiunto un punto da cui non si può più andare oltre e alcune persone, purtroppo terrorizzate nella coscienza, sono passate ai vecchi calendaristi e sono diventate vittime di una propaganda implacabile contro la Chiesa, è tempo che sia detta la verità, schiettamente e senza riserve.

Bene, padre Nicodemo, tutti coloro che, per paura dell’ecumenismo, aderiscono al vecchio calendarismo non ottengono nulla, tranne che, con la fuga da un’eresia, aderiscono a un’altra. Naturalmente essi stessi non sono consapevoli di avere aderito a un’eresia, ma questo non cambia affatto le cose

Non pensare che io sia ingiusto o immoderato. Dimostrerò che il mio ragionamento è assolutamente vero. Ti prego di prenderne nota.

Che cosa è un eresia, caro padre Nicodemo? Si tratta di un’adulterazione della Fede! Ma che cosa è un’adulterazione della Fede? E la violazione dei dogmi? Anche questa è un’adulterazione della Fede, ma non si limita a questo. L'adulterazione della fede è anche l'elevazione al rango di dogma di fede di cose che non lo sono. Vale a dire, se qualcuno dovesse rendere una cosa secondaria, anche se buona, come dogma di fede, come condizione per la salvezza, allora quel qualcuno diventerebbe automaticamente un e-re-ti-co!

Vuoi un esempio? Bene, hai i famosi eustaziani! Che cosa hanno fatto? Hanno violato uno qualsiasi dei dogmi della fede? Quale? Forse quello della Santissima Trinità? Forse quello che riguarda le due nature del Signore? Forse quello degli Angeli? Forse quello del diavolo, ecc, ecc? No! Essi non hanno violato alcun dogma.

Ma allora che cosa hanno fatto? Essi hanno "elevato" certe cose secondarie al livello di dogmi della fede, di condizioni per la salvezza: il celibato, e l’astensione dalla carne. La Chiesa aveva detto che, sebbene queste due cose siano buone e sante e lodevoli, NON erano condizioni per la salvezza. NON erano dogmi della fede. "NO!" dissero gli eustaziani indignati! "Chi non si astiene dal matrimonio e dalla carne, non può essere salvato!"

E cosa accadde dopo? Al Concilio di Gangra, la Chiesa li ha dichiarati come eretici e ha pronunciato una serie di anatemi contro di loro.

Caro Padre Nicodemo, l'uniformità nelle date delle feste può essere una cosa buona e santa (anche se non è mai stata pienamente mantenuta nella Chiesa), ma NON è un dogma di fede - NON è una condizione per la salvezza.

"No!" esclamano i contestatori vecchio-calendaristi! " La perturbazione dell’uniformità dei giorni di festa (Domanda: Quando MAI la Chiesa ha avuto assoluta uniformità nelle date dei giorni di festa?) ha privato la Chiesa della grazia di Dio, e ha reso i suoi sacramenti NULLI (ascolta, e rabbrividisci!) e successivamente, anche i neo-calendaristi sono privi di grazia - in altre parole, privi di salvezza. (!!!)

Questa dichiarazione orribile, fratello Nicodemo, costituisce un’eresia mostruosa e una bestemmia contro lo Spirito Santo. Quei poveri disgraziati hanno elevato a dogmi di fede e a condizioni per la salvezza determinati elementi relativi a... giorni calendariali e di festa!

Naturalmente, nessuno considera l'esistenza di due calendari nell’ambito mondiale della Chiesa cattolica ortodossa come una cosa buona. Il cambiamento del calendario è stato una cosa sfortunata, molto sfortunata. Ma da questo, fino al punto di riconoscere i calendari come dogmi di fede e di far dipendere da loro l'autorità dei Sacramenti e il conseguimento della salvezza, la distanza è abissale. I vecchi calendaristi avrebbero potuto continuare a osservare il vecchio calendario, ma almeno continuando a mantenere la loro comunione con la Chiesa [come la maggior parte del Monte Athos]. Ciò non avrebbe comportato alcun pericolo. Invece, sono arrivati al punto di tagliarsi fuori dalla Chiesa, per paura di perdere la grazia e la salvezza!

Non ignoro il fatto che ci sono vecchi calendaristi che non accettano tali bestemmie, ma a che cosa serve, se ci sono altri, e di fatto i capi, che sostengono tali opinioni eretiche?

Ora ascolta un dialogo che ho avuto con un certo giovane, che aveva aderito ai vecchi calendaristi:

- Perché te ne sei andato dalla Chiesa di Grecia?

- Per non essere in comunione con eretici ecumenisti.

- Tutti i vescovi di Grecia sono ecumenisti?

- No! No! Ma sono in comunione con il Patriarca ecumenista, quindi non voglio essere in comunione con le persone che sono in comunione con eretici ecumenisti.

- Credi che il calendario sia un dogma della fede, e che i neo-calendaristi siano privi di grazia e abbiano bisogno di essere ri-cresimati, come quelli che ritornano alla Chiesa dalle eresie?

- Dio non voglia! Io non credo in alcun modo a tale assurdità dei vecchi calendaristi. Ho aderito a loro per il solo scopo di evitare anche una comunione indiretta con eretici ecumenisti!

- Ma in nessun modo hai evitato la comunione con un'altra eresia, perché l'affermazione dei vecchi calendaristi (che il cambiamento del calendario ha privato la Chiesa della grazia) non è una semplice sciocchezza, come hai detto in precedenza. Si tratta di una grave bestemmia e di un’eresia.

- Ma io non credo in queste cose!

- Eppure, sei in comunione con le persone che credono quelle cose!

- Che altro posso fare? Sono costretto a tollerarle, per il bene della provvidenza.

- E allora perché non hai tollerato, allo stesso modo per il bene dell’economia, quei vescovi della Grecia che erano in comunione con il Patriarca?

- ............( Nessuna risposta ).................

- Puoi vedere in che genere di dilemma sei stato trascinato? Tu riconosci che la maggior parte dei vescovi della Grecia sono ortodossi, ma rifiuti ogni comunione con loro perché sono in comunione con il Patriarca. In questo modo, non accetti la comunione con ecumenisti, anche indirettamente, ma stai accettando una comunione diretta - chiaramente diretta - con persone che predicano un altro tipo di eresia: quella che afferma che la salvezza dipende dai ...calendari! Quindi, da cosa hai esattamente tratto beneficio?? Ma anche così, non dovresti immaginare che hai di fatto evitato una comunione indiretta con gli ecumenisti.

- E come mai?

- Ascolta, povera vittima di astuti propagandisti: i vecchi calendaristi urleranno fino a farsi esplodere i polmoni, che anche le preghiere in comune con il patriarca (e con altri che la pensano come lui) ci renderanno simili a loro, anche se noi non crediamo a ciò che predicano. Beh, se almeno rimanessero coerenti con questa loro posizione.... ma la coerenza non è uno dei loro punti forti!

Vai, caro amico, a un eremo vecchio-calendarista, specialmente quello a Lykovrisi fuori Atene [Santa Irene Chrysovalantou], e vedrai intere comitive di neo-calendaristi sbarcare dagli autobus, tutti arrivano lì per partecipare alla Liturgia! Ho sentito dire che i neo-calendaristi che frequentano la chiesa alla domenica sono di gran lunga più numerosi dei vecchi calendaristi! In realtà, il periodico edito dallo stesso eremo ha occasionalmente espresso la sua richiesta ai "pellegrini" che desiderano partecipare alle funzioni di venire vestiti modestamente - uomini, donne e bambini. Tuttavia, non fa alcuna menzione che i neo-calendaristi non dovrebbero parteciparvi affatto; No! L'unica cosa che sottolinea e di cui è soddisfatto è quella di evitare un abbigliamento improprio. Raggiunto questo fine, nient’altro è esaminato. Raggiunto questo fine, i neo-calendaristi sono i benvenuti alla partecipazione comune e alla preghiera comune!

So anche di numerosi casi di sacerdoti vecchio-calendaristi che hanno accettato incondizionatamente neo-calendaristi ai sacramenti della Confessione, e anche della Santa Comunione. In altre parole, abbiamo qui una offerta dei sacramenti a coloro che in altri momenti sono caratterizzati dai leader vecchio-calendaristi come "lontani dalla verità e dalla salvezza", semplicemente perché appartengono alla Chiesa di Grecia, che è in comunione con il Patriarca! Che disastro, e che anomalia!

Quindi, se coloro che sono affini a voi sono in preghiera comune e in comunione con noi, che siamo in preghiera comune e in comunione con il Patriarca, allora siete ancora in comunione indiretta con il Patriarca! Allora, che cosa hai guadagnato? Non hai evitato una comunione indiretta con gli ecumenisti, e sei stato condotto in una comunione diretta con persone che predicano un altro tipo di eresia!

Queste sono le cose che sono state dette con quel giovane a quel tempo. Io le sto ripetendo, in modo che tu posa estrapolare alcune conclusioni, caro padre Nicodemo.

Ed ecco alcune brevi risposte alle tue domande:

1. E' stata una grossa “cantonata" da parte di Filarete, quando ha riconosciuto i vecchi calendaristi in Grecia. Egli molto probabilmente cadde vittima di pessimi consiglieri. Sono giunte ai miei orecchi alcune notizie che si sia pentito di quello che ha fatto, dopo aver incontrato i vecchi calendaristi in Grecia. Ma il tempo lo dirà. Credo che ci saranno sviluppi.

Ad ogni modo, a mio parere la Chiesa di Grecia è tutt'altro che eretica, la decisione presa dal Sinodo di  Filarete non solo è priva di autorità, ma anche, in quanto si tratta di un intervento del tutto anti-canonico negli affari interni di un’altra Chiesa co-credente, ha innescato responsabilità canoniche per il suddetto Sinodo.

2. Se Filarete avesse creduto che la Chiesa di Grecia fosse caduta nell’eresia, allora avrebbe potuto intervenire. Tuttavia, era suo dovere non riconoscere i vecchi calendaristi (i quali, sebbene non ecumenisti, tuttavia predicano un altro tipo di eresia come ho già detto in precedenza, vale a dire, che la salvezza dipende dai calendari), ma invece, sarebbe stato suo dovere ordinare nuovi sacerdoti (o anche vescovi), per ridare un clero alla Chiesa di Grecia. Questi sacerdoti potevano seguire il vecchio calendario, ma non predicare il suddetto punto di vista eretico, e avrebbero accettato anche la comunione con quei fedeli che hanno seguito il nuovo calendario, esattamente come fa Filarete.

3. La situazione attuale (preghiere comuni, innovazioni, ecc) non giustifica il "passaggio delle frontiere". Solo una Chiesa che cade nell’eresia può dare il diritto a vescovi "extra-territoriali" di intervenire.

4. Se un Sinodo ortodosso condanna qualcuno, non è consentito al Sinodo di qualsiasi altra Chiesa locale di assolverlo. Se questo dovesse accadere, la seconda decisione è nulla. In altre parole, se un sacerdote della Chiesa di Grecia è condannato da essa, e si appella a un'altra Chiesa - ad esempio, la Chiesa di Serbia - e chiede di essere giudicato da essa, la Chiesa di Serbia respingerà la sua domanda, affermando di essere assolutamente non autorizzata a rispondere e che solo la Chiesa di Grecia ha tale giurisdizione. Tuttavia, se la Chiesa di Serbia dovesse rispondere a questa richiesta e giudicare il chierico in questione, poi la decisione – emessa contro i canoni - sarebbe invalida in tutti i modi e incorrerebbe pure in responsabilità canoniche.

Se le mancanze di quel prete non costituiscono un impedimento al sacerdozio e poi egli si pente per tali mancanze, l'unica che è autorizzata a reintegrarlo è ancora una volta la Chiesa di Grecia. Non è mai stato permesso a una Chiesa ortodossa di intervenire negli affari interni di un’altra.

Naturalmente è una questione completamente diversa, se una Chiesa ortodossa locale richiede assistenza a un'altra Chiesa o Chiese locali al fine di risolvere un problema interno che essa può avere. In tal caso, non si considera un intervento arbitrario, ma piuttosto sostegno di solidarietà.

Solo un Sinodo ecumenico - come suprema Autorità - ha il diritto di intervenire negli affari interni di una Chiesa ortodossa locale e regolarli secondo il suo discernimento. Per esempio, se un chierico di una Chiesa locale (di fatto il suo primate) crede di essere stato ingiustamente condannato, è possibile per lui fare ricorso a petizioni nei confronti delle altre Chiese ortodosse locali, e dopo avere narrato la sua immeritata avventura, chiedere che gli sia resa giustizia. Nel caso in cui le altre Chiese trovino la sua denuncia valida, possono arrivare fino a convocare un grande sinodo, la cui decisione sarà vincolante per tutti. Un intervento unilaterale da parte di una Chiesa locale negli affari interni di un’altra è inammissibile.

Ma è chiaro che tutto quanto sopra si applica alle Chiese ortodosse locali, e non agli eretici.

5. La parola "nullo" - quando è riferita ai Sacramenti - a volte caratterizza Sacramenti del tutto inconsistenti (cioè inesistenti), e a volte, quelli esistenti, che comunque sono stati effettuati in modo anti-canonico. Questo dipende dal senso che diamo alla parola "vuoto".

6. Uno "zelota" che torna alla Chiesa può, attraverso indulgenza, essere ri-accettato, anche con una semplice confessione davanti a un padre spirituale. Se questo zelota è un chierico, deve chiedere al proprio Vescovo la sua reintegrazione, attraverso la procedura canonica. Cambiare posti (passando da un gruppo di vecchio calendario a un altro) "di tanto in tanto" indica un’evidente incostanza; purtroppo, questa è una tendenza abituale dei vecchi calendaristi.

7. Indubbiamente, uno non si può dedicare a "un lato e all'altro" contemporaneamente. Si tratta di una questione del tutto diversa se, ricorrendo all’economia, un lato mostra tolleranza per l'altro, nella speranza di riportarlo infine sulla retta via.

8. Se qualcuno è molto ingenuo e non può percepire certe cose, ma non persiste nella sua posizione fallace essendo supponente, ostinato, ecc, ed è semplicemente ingenuo, è del tutto possibile per lui di acquisire abbondante grazia da Dio. I giudizi di Dio sono insondabili.

Ci sono stati casi in cui persone sagge della Chiesa erano caduto in errore, eppure, il Dio che esamina il cuore e non l'apparenza, non li ha giudicati come non meritevoli della sua grazia. Il grande Gregorio, vescovo di Nissa, non era privo di alcuni errori dogmatici. Eppure, è un santo e un Padre della Chiesa. Allo stesso modo, il divino Dionigi di Alessandria, quando teologizzava sul Figlio, non si era espresso con precisione dogmatica, per cui aveva, inavvertitamente, dato molti appigli agli ariani, che in seguito lo invocavano. Per questo motivo, Atanasio il Grande fu costretto a scrivere un intero trattato su San Dionigi, al fine di chiarire le sue espressioni dogmaticamente fallaci.

9. Ovviamente possiamo avere rapporti congeniali con gli "zeloti", ma non siamo autorizzati a ricevere i Sacramenti da loro. Tuttavia, se essi sono, come tu scrivi, in comunione con la nostra Chiesa, allora la situazione è diversa. Ma, onestamente, ci sono "zeloti" che sono in comunione con la nostra Chiesa?

10. Purtroppo, il ritorno al vecchio calendario non è una cosa facile, nella Chiesa di Grecia. Può essere addirittura impossibile. Ma anche se fosse possibile, non immaginare mai che tutti i vecchi calendaristi si sottometterebbero poi alla Chiesa. La maggior parte dei chierici vecchi calendaristi preferiscono stare senza limitazioni e non accetterebbero mai di essere sotto un giogo e sotto controllo. Troverebbero mille e uno "argomenti" per giustificare la loro perseveranza nell’ammutinamento. Direbbero per esempio che i Vescovi sono massoni, e così via. Conosco bene molti sacerdoti dei vecchi calendaristi. Uno dei leader di un gruppo vecchio-calendarista mi aveva detto parecchi anni fa: "Io non oso nemmeno imporre dieci giorni di servizio limitato a uno dei miei chierici. 'Andrebbero dagli altri', mi dicono ..." (voleva dire da un altro gruppo vecchio-calendarista). Da questo, si può avere un'idea di che tipo di disponibilità per la disciplina canonica esiste nel clero vecchio-calendarista - con l'esclusione di alcune eccezioni.

11. Le posizioni illustrate nella "Diatriba epistolare" si applica solo se la nostra Chiesa è ortodossa, e non eretica. “Desiderare la sua salute" è una dichiarazione molto ampia. Non possiamo chiedere la salute assoluta (canonica, amministrativa, morale, ecc), della Chiesa, dal momento che è composta da persone imperfette e peccatrici. Sarebbe ideale se potesse godere di salute in tutti i suoi aspetti, ma è possibile? Quindi, fintanto che è ortodossa e non eretica, possiamo considerare questo come sufficiente. Lungi da me caratterizzare la Chiesa di Grecia come... eretica! Se gli altri si sentono a proprio agio nel prendersi una responsabilità così spaventosa (cioè, caratterizzare una Chiesa ortodossa locale come "eretica"), facciano pure.

12-13. Gli ortodossi dovrebbero indubbiamente NON pregare insieme o avere qualsiasi altro legame religioso con gli eretici (papisti, protestanti, ecc - Lo stesso vale in caso degli scismatici). Ma se dovessero pregare insieme, o essere altrimenti in comunione con eretici, sarebbero naturalmente violatori dei sacri canoni e meritevoli di punizione ecclesiastica, tuttavia, essi non sarebbero considerati automaticamente come eretici. E 'abbastanza possibile che in tali casi si possa credere in modo ortodosso, disapprovano tutti gli insegnamenti di altri, e ancora, non considerare i contatti religiosi con gli eterodossi come qualcosa di brutto. Questo tipo di persona è, ripeto, un formidabile trasgressore dei sacri canoni, ma NON è un eretico. Tuttavia, se questo non è abbastanza per lui, e predica anche credenze eretiche, allora tutta la questione è completamente diversa. Questo comportamento lo renderebbe un eretico. Egli è un eretico, perché sta predicando credenze eretiche - anche se non ha alcuna comunione con altri eretici.

Tuttavia, ci sono due tipi di eretici: coloro che la Chiesa ha messo sotto processo e ha condannato e ha reciso dal suo corpo, e coloro che né sono stati ancora condannati dalla Chiesa, né hanno lasciato la Chiesa di propria spontanea volontà, ma invece sono rimasti nel corpo della Chiesa. Uno di questi è il caso del Patriarca. Il Patriarca Atenagora ha predicato credenze eretiche. Ma non è stato ancora condannato dalla Chiesa, né ha rinunciato alla Chiesa e si è rimosso dal suo seno. E’ rimasto all'interno della Chiesa e continua a compiere un ministero all'interno della Chiesa e, di conseguenza, è ancora un canale di grazia; opera Sacramenti.

Che cosa possiamo fare?

a) Pregare per lui perché ritorni in sé e si penta.

b) Protestare contro di lui e continuare a lottare. Se la coscienza di qualcuno non può tollerare la commemorazione del suo nome, egli ha il diritto, procedendo anche oltre, di cessare di commemorarlo, in accordo con il canone 15 del primo-secondo Sinodo. Tuttavia, questo è il passo più estremo che può fare, se non vuole raggiungere il punto di scisma o di ammutinamento. In altre parole, quando cessa di commemorarlo, non commemorerà un altro vescovo, anzi, aspetterà, come menzionato prima nella mia "Diatriba epistolare", con la coscienza tranquilla, il giudizio di un Sinodo.

Un altro problema: Come devono comportarsi nei confronti del Patriarca quelli che cessano di commemorarlo? Perché coloro che sono in comunione con il Patriarca sono di due categorie: (a) quelli che hanno le sue stesse opinioni (come fanno Iakovos d'America, Melitone di Calcedonia, ecc) e (b) quelli che non sono d'accordo con le sue opinioni (come fanno quasi tutti i gerarchi della Chiesa di Grecia). Essi si comporteranno verso i primi (categoria a) nel modo in cui si comportano col Patriarca, ma con gli altri (categoria b), anche se questa categoria è in comunione con il Patriarca, non possono comportarsi allo stesso modo: in altre parole, non possono arrivare a cessare di commemorarli (categoria b). Secondo i sacri canoni, non è permesso evitare la comunione con loro. I sacri canoni danno il diritto di cessare la commemorazione, solo di un vescovo o patriarca che predica insegnamenti eretici. Non danno il diritto di interrompere anche la commemorazione di coloro che - sia pure ortodossi - lo tollerano.

Questo punto è da osservare con molta attenzione! Abbiamo il dovere di discernere tra le due situazioni: C'è una differenza tra uno che predica credenze eretiche, e chi crede e insegna in un modo ortodosso, ma per il bene della condiscendenza (economia) tollera e mantiene la comunione con lui.

Inoltre, vi è una differenza tra chi predica credenze eretiche, ma non si rimuove dalla Chiesa (né è reciso dalla Chiesa), e uno che lascia la Chiesa di propria iniziativa (e fonda la propria "chiesa" o aderisce a un’altra, eretica o scismatica), oppure che è stato reciso dalla Chiesa, in seguito a processo e condanna. È con il secondo tipo che ogni ortodosso non deve avere comunione di sorta. Tuttavia, la comunione con il primo tipo (fino a che non sia stato condannato) è lasciata, dai sacri canoni, a discrezione dei singoli fedeli ortodossi.

In altre parole, abbiamo il diritto, che è stato fornito dal sacri canoni, di cessare una commemorazione, ma non siamo tenuti a farlo. Di conseguenza, se uno dovesse utilizzare questo diritto e cessare una commemorazione, ha il diritto di farlo, e non dovrebbe essere censurato dagli altri. Se, dopo aver soppesato vari fattori, un altro ritenesse preferibile non utilizzare questo diritto, ma restare in attesa di una "diagnosi sinodale", non sarà censurabile, e tanto meno essere considerato come meritevole di scomunica! Si potrebbero applicare qui, adattate alla circostanza, le parole dell'apostolo Paolo: "Non lasciate che colui che commemora sminuisca quello che non commemora, né quello che non commemora giudichi colui che commemora " (Rom.14: 3).

Quindi, si potrebbe chiedere, che cosa guadagniamo evitando la commemorazione del Patriarca, se vogliamo essere in comunione con, diciamo, il Vescovo di Druinoupolis, che commemora il Patriarca? Non saremo così "inquinati", essendo in comunione indiretta con colui che predica credenze eretiche?

Tuttavia, la cessazione della commemorazione "prima di una diagnosi sinodale" e una condanna non era intesa a evitare "l'inquinamento" (dall'eresia che viene predicato)! No, fratello mio! Se tale fosse il suo senso, allora i canoni non avrebbero solo fornito il diritto di cessare una commemorazione (per ragioni di eresia) "prima di una diagnosi sinodale"; avrebbero istituito un divieto esplicito e chiaro, con il rischio di gravissime sanzioni se non rispettato.

La cessazione di una commemorazione per ragioni di eresia "prima di una diagnosi sinodale" ha un significato differente. Si tratta di una protesta forte, ma anche di una protesta in ultima istanza della coscienza ortodossa, che prevede uno sbocco per coloro che diventano scandalizzati e, al tempo stesso, aspira alla creazione di un disturbo, affinché la Chiesa si possa affrettare per risolvere la questione.

Non vi è alcun pericolo di diventare inquinati, sia commemorando il Patriarca (se non è stato ancora condannato), o, ancor più, accettando di essere in comunione con coloro che lo ricordano. Dichiarazioni contrarie non sono altro che stupidi "zelotismi".

San Cirillo di Gerusalemme non era inquinato, anche se era stato ordinato vescovo dal metropolita Acacio di Cesarea, che, anche se auto-dichiarato ariano (e di fatto leader di una fazione di ariani), ha continuato a rimanere ministro nella Chiesa. Anche sant’Anatolio era stato ordinato vescovo (e di fatto, patriarca di Costantinopoli), dal patriarca di Alessandria Dioscoro, che era un monofisita e un potente protettore di Eutiche l’eresiarca, ma che non era ancora stato condannato dal Quarto Sinodo ecumenico. Quindi, se un ordinazione da vescovi che predicano credenze eretiche (ma non condannati sinodalmente e rimasti nella Chiesa) non inquina, non lo fa neppure la loro commemorazione, e tanto meno lo fa la comunione con le persone che li tollerano per amore di economia e che continuano a mantenerne la commemorazione.

I vecchi calendaristi, anche se "non comprendono, né quelle cose che si dicono, né quello che essi affermano", dicono cose completamente opposte. (vedi anche il libro di Teodoreto Mavros). Stando così le cose, anche quei poveri disgraziati devono essere "inquinati". Perché? Perché, come detto in precedenza, anch’essi (nonostante i loro proclami teorici - o, più correttamente, in una vociferante e tragica contraddizione con loro), hanno in pratica accettato la comunione (attraverso la preghiera comune e l’amministrazione dei Sacramenti), con persone che appartengono alla Chiesa di Grecia, che è in comunione con il Patriarca! Quindi ?????

Se volessero essere coerenti, non dovrebbero accettare la frequenza in chiesa di anche un solo membro della Chiesa greca (per non parlare di accettarli alla Confessione o alla Santa Comunione), se non hanno dichiarato in precedenza che si sono allontanati dalla Chiesa di Grecia e hanno aderito con pentimento alla loro "chiesa". Invece, questi gruppi senza paura e senza esitazioni frequentano la chiesa, pregano e partecipano ai sacramenti, insieme a folle intere di "neo-calendaristi" nei loro templi vecchio-calendaristi, e anche nei loro ritiri monastici.

Tutte queste cose suonano come coerenza morale? Sono moralmente ammissibili? Sono cose canonicamente accettabili? Sono, infine, azioni di onestà? Essi possono dire che molto probabilmente stanno facendo questo "per condiscendenza" (economia). Ma allora perché creare scismi e divisioni e partizioni e ferite nel corpo della Chiesa? Se, andando dai vecchi calendaristi, saranno di nuovo a pregare insieme a coloro che sono in comunione con il Patriarca, perché non rimanere nella Chiesa di Grecia e tollerare " per condiscendenza", il Patriarca e coloro che sono in linea con le sue convinzioni? In questo modo, essi tollererebbero " per condiscendenza" tollerare solo una eresia: l’ecumenismo, ma, andando dai vecchi calendaristi, sarebbero tollerare due: l’ecumenismo (dato che i vecchi calendaristi pregano insieme con i neo-calendaristi che sono in comunione con il Patriarca), e il vecchio calendarismo greco, che predica l'eresia che i calendari e le date di festa sono condizioni per la propria salvezza!

Parlo specificamente di " vecchio calendarismo greco", perché non ho nessuna intenzione di condannare di per sé il vecchio calendario, che tante Chiese ortodosse osservano, ma le esagerazioni eretiche che i vecchi calendaristi greci hanno irragionevolmente accolto. A parte le altre ragioni, è per questo che ho tanta paura e terrore di ammutinamenti e scismi - il loro destino è inevitabilmente questo: alla fine si finisce a sostenere posizioni interamente eretiche!

Queste, amatissimo padre Nicodemo, sono le cose che volevo scrivere per te e il tuo sacro gregge amato da Dio. E ti ho scritto "in un momento di grande afflizione e col cuore angosciato " (2 Cor.2: 4). L'intero stato della Chiesa ortodossa è attualmente molto penoso. Forse, alla fine, non si eviteranno certe serie conseguenze.

Cerchiamo di essere attenti! Con umiltà, con preghiera, con digiuni, con solennità, chiediamo al Signore l'illuminazione, su come dobbiamo procedere durante gli sviluppi in arrivo. La Chiesa è di fronte a una difficoltà doppia: da un lato, vi è un ecumenismo satanicamente guidato, e dall'altra parte, c'è un fanatismo che devasta l’anima, che conduce alla fine a orribili bestemmie ed eresie e oscura la verità. Cerchiamo di essere timorosi di entrambi e di rifuggire da entrambi. Non dobbiamo deviare verso destra o verso sinistra. Camminiamo lungo il percorso medio e "regale”, che è la via dell'ortodossia non adulterata, che sappia salvaguardare precisione (acribia) e sia anche consapevole delle manifestazioni di condiscendenza (economia).

Rallegrati, fratello! E io dico ancora "Rallegrati!" Rallegrati, in mezzo a ogni dolore e ogni afflizione. Perché Gesù "è stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione" (Rom 4: 25).

Vi prego tutti a supplicare il Signore di avere compassione anche della mia miseria, perché io sono in una lotta diversa. Mi duole di tutto. "battaglie all’esterno, timori all’interno". (2 Cor 7:5).

Sempre disponibile per ogni tipo di assistenza, e invocando preghiere da tutti voi, io resto, con profondo amore e onore, in Cristo Gesù nostro Signore.

 

 
La melodia della fede: il canto del Credo nella Liturgia ortodossa

L'introduzione del Simbolo della Fede durante la Divina Liturgia e il suo scopo

Per svelare la complessità del perché il Simbolo della Fede, o Credo, viene cantato durante la Divina Liturgia, diventa essenziale un viaggio nella storia. Nella battaglia incessante contro il paganesimo e le eresie, gli Apostoli e i Padri della Chiesa riformularono strategicamente elementi pagani o eretici, infondendo loro un significato ortodosso. Spesso questa strategia era guidata dalla necessità di articolare i concetti cristiani nel mondo ellenico – pieno di individui immersi in ideologie pagane – utilizzando un linguaggio a loro familiare.

Un esempio degno di nota è l'uso del termine "logos" (in greco "parola") da parte del santo apostolo ed evangelista Giovanni il Teologo nel Vangelo: "In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio" (Gv 1:1). Il termine "logos" trae origine dagli insegnamenti dell'antico filosofo Eraclito. Nella filosofia antica, strettamente intrecciata con le credenze pagane degli antichi greci, il logos rappresentava una forza cosmica che promuoveva un'unità armoniosa nel mondo. Per i filosofi antichi, il logos simboleggiava un ordine universale, una struttura all'interno della quale ogni cosa subiva flussi e cambiamenti pur rimanendo fedele alla sua essenza. Essenzialmente, gli antichi filosofi percepivano il Logos come una forza divina sacra, anche se forse impersonale. Il santo apostolo ed evangelista Giovanni il Teologo utilizzò il termine "Logos", rimodellandolo e infondendogli significato cristiano. Nei versetti iniziali del suo Vangelo egli intavola quello che sembra un dialogo con il mondo pagano, affermando: "Sì, tutte le cose sono venute all'esistenza per mezzo del Logos. Tuttavia, il Logos non è impersonale. Dio è una Persona: è il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. La seconda persona della santissima Trinità, Dio Figlio, il nostro Signore Gesù Cristo, è il Logos". In questo modo, san Giovanni comunicava il messaggio di Cristo all'intera oikoumene – l'universo – in un linguaggio comprensibile al mondo antico.

Un adattamento parallelo si riscontra nel caso dei nomi greci, come il nome maschile Demetrio e il nome femminile Musa. In origine, il nome Demetrio significava "dedicato alla dea Demetra", essendo Demetra la "dea" della fertilità e della terra nella religione pagana ellenica. Del pantheon pagano facevano parte anche le Muse, divinità femminili ispiratrici di talenti artistici. Tuttavia, all'inizio del IV secolo, un uomo di nome Demetrio nella città greca di Tessalonica sacrificò la sua vita per Cristo (il santo grande martire Demetrio di Tessalonica). Allo stesso modo, nella Roma del V secolo, una pia ragazza di nome Musa si dedicò al servizio del Salvatore e della beata Vergine Maria. La Chiesa ha abbracciato questi nomi, trasformandoli in identità cristiane purificate dal sangue e dalla devozione dei santi, purificandoli dalle loro associazioni pagane e impregnandoli di significato cristiano.

Un'evoluzione analoga si è verificata nel caso del canto antifonale. Gli eretici gnostici impiegavano questo stile nei loro servizi di culto per il suo fascino estetico. Per contrastare gli insegnamenti perniciosi degli gnostici, la Chiesa incorporò il canto antifonale nelle sue funzioni, riproponendo questa forma musicale con contenuto ortodosso.

L'inclusione del Simbolo della fede (Credo) nella Liturgia, affermazione dottrinale formulata dai santi padri del primo e del secondo Concilio ecumenico nel IV secolo, affonda le sue radici nell'insegnamento catechetico delle verità dottrinali ai catecumeni prima del loro battesimo. Sebbene il Credo sia stato scritto nel IV secolo, la sua integrazione formale nelle pratiche liturgiche avvenne quasi un secolo dopo.

A questa integrazione sono associate due figure storiche chiave: Pietro Fullo, patriarca di Antiochia, e il patriarca Timoteo I di Costantinopoli.

Pietro Fullo, che servì come patriarca della Chiesa antiochena nella seconda metà del V secolo, sosteneva credenze monofisite, enfatizzando la natura divina di Cristo escludendo la sua umanità. Nonostante la sua posizione eretica, Pietro introdusse nella Liturgia il Credo niceno, lo stesso Credo riconosciuto dalla tradizione ortodossa senza alcuna alterazione o distorsione. Mentre Pietro Fullo e i suoi insegnamenti furono successivamente condannati dal sesto Concilio ecumenico, persistette la tradizione di utilizzare il Credo niceno inalterato nel culto ortodosso.

Il patriarca Timoteo I, alla guida della Chiesa di Costantinopoli all'inizio del VI secolo, è la seconda figura associata all'introduzione del Credo nella pratica liturgica. Sebbene non fosse un palese eretico, Timoteo mostrò simpatie verso i monofisiti. Nel tentativo di allinearsi alle pratiche monofisite, cercò di introdurre il canto del "Trisagio" con l'aggiunta della clusola "che sei stato crocifisso per noi" nella cattedrale di santa Sofia, la chiesa principale del Patriarcato di Costantinopoli. Ciò scatenò notevoli disordini e quasi portò al rovesciamento dell'imperatore Anastasio.

Per dimostrare il suo impegno nei confronti della dottrina ortodossa, il patriarca Timoteo scelse di incorporare il Credo niceno nella Liturgia, una mossa che servì come gesto di adesione alle credenze ortodosse in un periodo di tensione teologica.

Il viaggio liturgico della Chiesa, modellato e perfezionato attraverso l'intricata interazione di eventi storici e la guida dello Spirito Santo, assomiglia alla meticolosa lavorazione di un diamante prezioso.

Ritornando alla domanda "Perché si canta il Credo nella Liturgia?", la risposta richiede un esame attento della sua collocazione nel servizio divino. Il Credo è al centro della scena subito prima del Canone eucaristico, dopo il canto dei cherubini che esorta i fedeli ad abbandonare le preoccupazioni terrene. È il preludio al mistero profondo dove discende la grazia dello Spirito Santo, trasformando il pane, il vino e l'acqua nel corpo e nel sangue di Cristo. La domanda sorge spontanea: perché il Credo occupa questa particolare posizione?

Il Credo, in questo contesto, funge da profonda testimonianza. Attraverso il suo canto, dichiariamo davanti al Dio Uno e Trino – Padre, Figlio e santo Spirito – che non siamo pagani, eretici o scismatici. Affermiamo invece la nostra identità di cristiani ortodossi, salvaguardando fedelmente la purezza della fede ortodossa e i suoi sacri dogmi. Questa testimonianza agisce come una chiave che apre le porte del cielo, permettendo alla grazia di Dio di scendere sulle nostre offerte e orchestrare la trasformazione sacramentale al loro interno.

La tradizione di cantare il Credo durante la liturgia, in contrapposizione alla sua recitazione, ha subito un notevole cambiamento nelle pratiche liturgiche delle Chiese ortodosse greca e russa. Inizialmente recitato, in Russia soprattutto fino alla metà del XIX secolo, emerse una graduale trasformazione verso la recitazione cantata.

Questa evoluzione fu segnata da un considerevole dibattito, che alla fine portò alla prevalenza del canto del Credo. È interessante notare che il canto combinato del Credo e delle preghiere del Padre Nostro da parte della congregazione è stato introdotto da sua Santità il patriarca Alessio I: un cambiamento positivo che favorisce un senso di unità tra i fedeli. Questo cambiamento si allinea con le pratiche dei primi cristiani, promuovendo uno spirito comunitario all'interno della Chiesa.

Al di là della sua natura comunitaria, il canto del Credo ha un profondo impatto sui fedeli. Trasforma l'anima in uno strumento musicale nelle mani del Signore. Attraverso questa melodica espressione di fede, gli individui sentono di non essere soli ma di essere parte integrante del corpo di Cristo, l'unica, santa Chiesa cattolica e apostolica. Questo annuncio musicale esalta la conciliarità della Chiesa, unendo i credenti in una sola voce nella professione della fede ortodossa.

Nell'intricato arazzo della Liturgia ortodossa, il canto del Credo si dipana con gesti simbolici e rituali profondi.

L'annuncio che precede il Credo: "Le porte, le porte; con sapienza, stiamo attenti", porta con sé echi storici e simbolismo contemporaneo. Originariamente legato a doveri pratici, come salvaguardare il servizio da interruzioni e garantire che solo i cristiani ortodossi battezzati rimanessero all'interno della chiesa, ora invita i fedeli a proteggere la mente e il cuore dalle distrazioni esterne.

Durante il canto del Credo all'interno dell'altare accadono due azioni significative. Per prima cosa si apre il velo dietro le porte sante, a simboleggiare il rotolamento della pietra dal Santo Sepolcro durante la Risurrezione. In secondo luogo, il sacerdote sventola l'aer (velo) sui doni: l'agnello sulla patena e il calice con vino e acqua. Questo atto simboleggia lo svelamento della sapienza divina attraverso la corretta professione di fede nei dogmi del Credo.

L'oscillazione dell'aria contiene ulteriori strati di simbolismo. Rispecchia il movimento dell'aria che precede la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli e significa il terremoto nel momento della Risurrezione. Insieme, queste azioni avvolgono la congregazione nel mistero della fede e della sapienza divina.

Professare i dogmi della fede ortodossa durante il Credo diventa la porta verso misteri profondi. Questa accorata dichiarazione apre la porta allo Spirito Santo, rendendo possibile la trasformazione miracolosa del pane, del vino e dell'acqua nel corpo e nel sangue di Cristo. Attraverso il mistero eucaristico, i credenti entrano in una beata comunione con Dio, sperimentando il potere trasformativo della Risurrezione.

In questo atto sacro, i peccati scompaiono e i fedeli risorgono alla vita eterna. È un viaggio in un paradiso dal buon profumo, una manifestazione terrena della grazia divina, facilitata dalla Risurrezione di Cristo.

 
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Messaggio di Natale di sua Santità il Patriarca Kirill di Mosca e di tutta la Rus’

Messaggio di Natale del Patriarca Kirill di Mosca e di tutta la Rus’ agli arcipastori, pastori, diaconi, monaci e a tutti i fedeli figli della Chiesa Ortodossa Russa.

Amati nel Signore, sacratissimi arcipastori, reverendi presbiteri e diaconi, monaci e monache amati da Dio, fratelli e sorelle!

Ora la Santa Chiesa celebra il luminoso e gioioso mistero della nascita, dalla Purissima Vergine Maria, del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo.

Il Creatore, amando la sua creazione, si è manifestato nella carne, si è fatto uomo simile a noi in tutto fuorché nel peccato (cfr 1 Tim 3:16, Eb 4,15). Il bambino giace nella mangiatoia di Betlemme. Lo ha fatto per salvare il mondo dal declino spirituale e morale, per liberare gli esseri umani dalla paura della morte. Il Creatore ci offre il dono più grande di tutti: il suo amore divino, la pienezza della vita. In Cristo, diventiamo capaci di trovare la speranza, di vincere la paura, di raggiungere la santità e l’immortalità.

Egli viene nel nostro mondo tormentato dal peccato, per confermare, con la sua nascita, vita, sofferenza, morte in croce e gloriosa risurrezione, una nuova legge, un comandamento nuovo - il comandamento dell’amore. “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13:34), - il Signore ha rivolto queste parole ai suoi discepoli, e attraverso di loro al mondo: a coloro che vivevano a quel tempo, a chi vive ora, e a coloro che vivranno dopo di noi, fino alla fine dei tempi.

Ogni persona è chiamata a rispondere a questo comandamento nelle sue azioni. Proprio come Cristo ci ha mostrato la vera misericordia, la sua illimitata accondiscendenza per i nostri difetti, così anche noi dobbiamo essere persone misericordiose e accondiscendenti. È bene prestare attenzione non solo ai nostri familiari e vicini, anche se c’è bisogno di prendersi cura di loro in primo luogo (cfr 1 Tim 5:8), non solo ai nostri amici e a chi ha le nostre stesse idee, ma anche a chi non ha ancora raggiunto l’unità con Dio. Noi siamo chiamati a imitare l’amore del Salvatore, a pregare per quelli che ci maltrattano e ci opprimono (cfr. Mt 5:44), ad avere sempre nei nostri pensieri il bene di tutte le persone, della Patria e della Chiesa. Ognuno di noi, compiendo opere buone, può cambiare in meglio, almeno in piccola misura, la realtà circostante. Solo allora saremo più forti insieme. L’iniquità infatti non è in grado di vincere l’amore, così come le tenebre non sono in grado di assorbire la luce della vera vita (cfr Gv 1:5).

Nella storia della nostra Patria vi sono molti esempi di come il nostro popolo, ponendo la propria fiducia in Dio, abbia superato le difficoltà, uscendo in modo degno dalle prove più difficili.

Molti di questi eventi li abbiamo ricordati l’anno scorso. Abbiamo celebrato il 400° anniversario del superamento del Tempo dei Torbidi, che si è concluso con l’espulsione degli invasori e il ripristino dell’unità nazionale. È stato celebrato anche il 200 ° anniversario della guerra del 1812, durante la quale i nostri antenati combatterono l’invasione delle “dodici lingue” – l’enorme esercito raccolto da Napoleone in tutta l’Europa conquistata.

Il 2013 segnerà la celebrazione del 1025° anniversario del Battesimo della Rus’ sotto il santo grande principe Vladimir. L’adozione della fede ortodossa è stata l’inizio di una nuova era nella vita del nostro popolo. La luce della verità di Cristo, allora rifulsa sulle colline benedette di Kiev, ancora oggi illumina il cuore degli abitanti dei paesi della storica Rus’, guidandoci sul cammino delle buone azioni.

Riassumendo i risultati dello scorso anno, eleviamo grazie a Dio sia per la sua grande e ricca misericordia, sia per il dolore che ci ha permesso di sopportare. Nel corso della sua storia, la Chiesa non ha conosciuto lunghi periodi di prosperità: a tempi di pace e tranquillità sono immancabilmente seguiti momenti di avversità e di prove. Ma in tutte le circostanze, con le parole e con i fatti, la Chiesa ha proclamato la verità di Dio, e la proclama anche oggi, testimoniando che una società basata sui principi del profitto, del permissivismo, della libertà illimitata, della negligenza della verità eterne, del rifiuto dell’autorità, è moralmente malata ed è minacciata da molti pericoli.

Invito tutti con la pazienza data da Dio, anche alla preghiera per la Madre Chiesa, per il popolo di Dio, per la terra natale. Fate sempre memoria della parola dell’apostolo dei gentili: “Vigilate, state saldi nella fede, comportatevi da uomini, siate forti. Tutto si faccia tra voi nella carità” (1 Cor 16:13-14).

Di cuore mi congratulo con voi per la celebrazione di oggi, e in preghiera chiedo per tutti noi forza fisica e spirituale dal Cristo bambino, in modo che ciascuno di noi possa personalmente testimoniare al mondo che ora è nato il nostro Signore, e che Dio è amore (cfr 1 Gv 4:8). Amen.

+ KIRILL, PATRIARCA DI MOSCA E DI TUTTA LA RUS’

Natività di Cristo

Anno 2012/2013

Mosca

 
FOTO: la traslazione delle reliquie di san Serafino di Sarov

  

La cella in cui le reliquie di san Serafino erano state tenute a Sarov fino al 1903

 Il venerabile Serafino di Sarov si addormentò nel Signore nel 1833 e 70 anni dopo fu canonizzato dalla Chiesa russa. Il 18 luglio 1903 c'erano tra 200.000 e 300.000 pellegrini per le strade di Sarov mentre le reliquie di San Serafino erano trasferite alla Cattedrale della Dormizione della Theotokos. Dalla notte del 18 luglio fino al mattino seguente ci fu una Veglia di tutta la notte in tutte le chiese della santa Rus'.

 

La famiglia reale russa in processione

 Alla traslazione delle reliquie di san Serafino di Sarov il 19 luglio 1903 parteciparono molte migliaia di persone, tra le quali la parte più importante del clero e della nobiltà; il santo imperatore Nicola II (4 luglio) era uno dei portatori delle reliquie in processione, e la granduchessa Elisabetta (5 luglio) scrisse una testimonianza dei molti miracoli che si verificarono. Non solo il santo aveva predetto la venuta dello tsar alla sua glorificazione, e che per la gioia avrebbero canto "Cristo è risorto" in piena estate, ma aveva anche lasciato una lettera "per il quarto sovrano, che verrà a Sarov". Questo sovrano fu Nicola II, a cui fu data la lettera quando arrivò nel 1903, il contenuto della lettera non è noto, ma quando l'ebbe letta, l'imperatore e futuro martire, anche se non era un uomo che esternava le sue emozioni, ne fu visibilmente scosso .

 

Tropario, tono 4°

Hai amato Cristo dalla tua giovinezza, o beato, e desiderando ardentemente lavorare per lui solo, hai lottato nel deserto con costante preghiera e fatica; avendo acquisito l'amore per Cristo con la compunzione del cuore, hai dimostrato di essere i beneamato favorito della Madre di Dio. Per questo a te gridiamo: Salvaci con le tue intercessioni, o santo padre nostro Serafino.

 

Contacio, tono 2°

Dopo aver lasciato la bellezza del mondo e ciò che in esso è corrotto, o santo, ti sei stabilito nel monastero di Sarov. E dopo aver vissuto là una vita angelica, sei stato per molti la via per la salvezza. Perciò, Cristo ti ha glorificato, o padre Serafino, e ti ha arricchito con il dono della guarigione e dei miracoli. Per questo a te gridiamo: gioisci, o serafino, nostro santo padre.

 

Le reliquie di san Serafino nella cattedrale della Dormizione

 

Nel 1926 i bolscevichi chiusero il monastero di Sarov e presero la custodia che conteneva le reliquie di san Serafino. In primo luogo la portarono ad Arzamas, poi a Mosca. Là portarono anche molte altre sante reliquie provenienti da tutta la Russia, dove una commissione speciale esaminò quelle a cui erano più interessati. Quando raggiunsero la bara di san Serafino e l'aprirono, le sacre reliquie miracolosamente non furono trovate.

 

Il patriarca Alessio a Kazan il 30 gennaio 1991

 

Le sante reliquie sono state riscoperte l'11 gennaio 1991, nella Chiesa della Vergine di Kazan a San Pietroburgo. Quella notte tuoni e lampi hanno attraversato i cieli di San Pietroburgo, e tutti hanno capito che stava succedendo qualcosa.

 

Da San Pietroburgo le sante reliquie di san Serafino sono state trasferite a Diveevo al fine di realizzare la profezia di san Serafino, che prima di morire ha detto che avrebbe trovato riposo a Diveevo.

 
Come mettere in sordina la moralità cristiana

Nel 2011, l'arcidiacono John Chryssavgis ha scritto una recensione di Homosexuality in the Orthodox Church, scritto dal prete episcopaliano apertamente omosessuale Justin R. Cannon. Questa recensione è stata pubblicata nel Saint Vladimir's Theological Quarterly (Vol. 55, No. 3) ed è ora in posizione prominente sul sito web pro-omosessuale di Justin Cannon "Inclusive Orthodoxy".

John Chryssavgis non è un arcidiacono qualunque. È il più importante portavoce del Patriarcato Ecumenico e un professore di teologia presso il Holy Cross Seminary a Boston, e quindi la sua semi-approvazione di un pezzo di propaganda pro-omosessuale è profondamente inquietante.

Potere leggere qui la parte di questo libro che ripete le solite argomentazioni false degli apologisti omosessuali, che tentano di sostenere che le chiare condanne dell'omosessualità nella Scrittura non dicono veramente ciò che dicono in realtà: http://inclusiveorthodoxy.yolasite.com/resources/The%20Bible-PDF.pdf

Si possono trovare questi argomenti confutati nel libro "The Bible and Homosexual Practice" di Robert Gagnon (un vero studioso biblico, e un libro appoggiato da alcuni dei più importanti studiosi biblici dell'ultima metà del secolo scorso) oppure osservando le sue lezioni in materia.

Padre John Chryssavgis inizia:

"Ci sono alcuni argomenti che per i cristiani ortodossi sono particolarmente scomodi da affrontare – anche se è semplicemente per affermare il loro totale rigetto e la condanna senza riserve – e l'omosessualità è certamente tra loro. In effetti, tutte le questioni che in generale riguardano la sessualità o il genere – inclusa la natura dell'omosessualità o il divorzio del clero o addirittura l'ordinazione delle donne – sono soggetti che suscitano emozioni molto appassionate ma poche esplorazioni razionali nei circoli teologici e soprattutto ecclesiastici.

Questo mi ha sempre stupito, se non addirittura disturbato, perché non è come se queste cose fossero assenti o stessero addirittura diminuendo nella nostra società e nella nostra chiesa. Infatti, una delle mie preoccupazioni più gravi negli anni è il fatto che l'oppressione dell'omosessualità e il silenzio sulle questioni sessuali in un'istituzione gerarchica come la Chiesa ortodossa, non deriva solo da ignoranza e pregiudizi ingiustificabili e inaccettabili. Essa provoca anche la complicità della Chiesa nella discriminazione e la reticenza della Chiesa in materia di abusi sessuali nelle nostre comunità. Dire che odiamo il peccato ma amiamo il peccatore a volte può essere un rifiuto mascherato da accettazione. Dopo tutto, è molto più facile etichettare che ascoltare.

Per questo sono contento della pubblicazione di questa raccolta di storie e riflessioni sull'omosessualità. L'editore è proattivo nell'incoraggiare il dialogo e la discussione su questo argomento complesso, seppur controverso; è anche autore di un piccolo studio sulle prospettive bibliche sul tema che appare in una versione modificata verso la fine di questo libro e il direttore di un sito dedicato alla "ortodossia inclusiva". Come egli osserva correttamente nell'introduzione: "Non possiamo esplorare la questione dell'omosessualità senza ascoltare le vite, le storie e le testimonianze di fedeli cristiani ortodossi che capitano essere gay".(12)"

Non conosco alcun chierico che non abbia una grande compassione per coloro che stanno lottando contro l'omosessualità o qualsiasi altra dipendenza sessuale... e penso che ne abbia anche padre John Chryssavgis. Quindi devo domandarmi a cosa stia veramente obiettando, e perché, durante la sua recensione, non riesca a riconoscere completamente la natura propagandistica del libro che sta supponendo di recensire, o a indicare chiaramente quale sia la posizione effettiva della Chiesa ortodossa sulla questione descritta nel libro.

E quando si tratta di altri peccati, come l'adulterio – non dovremmo considerarli come peccati, come fa Cristo stesso? Dovremmo invece ascoltare gli adulteri per cercare di comprendere meglio il loro peccato? No. Dovremmo avere compassione di loro e cercare il loro pentimento e la loro restaurazione, ma non c'è niente sul peccato di adulterio che non conosciamo già a sufficienza per etichettarlo come peccato. Puoi avere una moglie molto cattiva e una bella amante, ma qualunque circostanza attenuante tu possa sollevare, l'adulterio è ancora intrinsecamente peccaminoso, e noi lo sappiamo senza alcun dubbio o ambiguità. E questo è vero per ogni peccato chiaramente condannato nella Scrittura e nella Tradizione.

Il libro contiene quattro storie di questo genere, con nomi cambiati per salvaguardare l'anonimato degli individui: di Helena, il cui figlio gay è stato dolorosamente rifiutato e crudelmente ostracizzato; di Barry, per cui il pregiudizio e l'esclusione da parte di un parroco hanno portato a un'ulteriore confusione traumatica e a una dolorosa angoscia; di Matthew, la cui cruda sincerità e fervida confessione hanno scatenato un lungo viaggio di ricerca di guarigione e d'integrità dell'anima; e di Elizabeth, la cui uscita allo scoperto e il cui divorzio si sono infine riconciliati solo in gruppi di lettura teologica e di sostegno in "alcune comunità si fede apparentemente non ortodosse". (42)

Non c'è dubbio che le loro storie chiedono a gran voce ascolto e guarigione. E ce ne sono sicuramente numerose altre. Senza dubbio saremo giudicati da Dio per non averle notate e per non aver risposto con compassione, optando invece di trovare sicurezza in testi scritturali semplici e in accuse teologiche. Queste soluzioni sono un approccio semplicistico e forse una via di fuga conveniente. Tuttavia, l'incarnazione della Parola di Dio che "ha assunto carne e ha dimorato tra di noi" (Gv 1:14) implica e impone una lotta spirituale complessa e non una risposta pastorale in bianco e nero. Dopo tutto, chi di noi può lanciare il primo commento razionale? "

Ci sono due distinti problemi che padre John Chryssavgis sta trasformando in una falsa dicotomia. C'è la questione di ciò che la Chiesa ortodossa insegna sull'omosessualità, e poi c'è la questione pastorale di come trattare le persone che lottano con essa. Sul primo problema, non essere chiari non è solo una mancanza di pastorale e di amore – è un malcostume pastorale. San Paolo ci dice chiaramente e inequivocabilmente che gli omosessuali praticanti non erediteranno il Regno di Dio (1 Corinzi 6:9-11). Se prendiamo seriamente ciò che dice, mettere in sordina il peccato non è difendibile. È codardia morale e spirituale. Possiamo e dovremmo condannare inequivocabilmente il peccato e avere amore e compassione per il peccatore. Se non facciamo entrambe le cose, facciamo in modo che il peccatore creda che il suo peccato non sia un peccato, e quindi non riusciamo ad aiutarlo a superarlo.

Naturalmente dovremmo occuparci pastoralmente delle persone che lottano con questo peccato, proprio come ci occupiamo di persone che lottano con l'alcolismo, l'adulterio, l'abuso di droga o qualsiasi altra passione che sia particolarmente difficile da superare. Ma se non riusciamo a comunicare che cosa sia il peccato, è impossibile che quelli che noi abbiamo confuso superino i peccati che non riconoscono come tali.

Se padre John Chryssavgis stesse semplicemente argomentando che dovremmo avere una discussione su come meglio affrontare coloro che in realtà stanno lottando per superare le tentazioni omosessuali, ci sarebbe ben poco da discutere con lui. Ma non è di questo che parla questo libro, e non è di questo che parla la recensione di padre John su questo libro.

Parte del problema dell'ignorare l'omosessualità è che questa sarà sempre discussa in ristretti gruppi di frangia, causando disprezzo e isolamento di questo tema e delle questioni correlate da parte dei membri delle principali Chiese e società ortodosse. Quindi, invece di includere storie di clero nelle Chiese ortodosse riconosciute, il redattore ricorre ai leader di comunità non riconosciute dalla maggior parte delle Chiese ortodosse che, di conseguenza, possono ignorare ulteriormente la questione.

Il problema della Chiesa ortodossa negli Stati Uniti oggi non è che ignoriamo l'omosessualità. È che tanti nella nostra Chiesa non riescono a prendere una posizione chiara su ciò che insegniamo in materia, e invece, come padre John Chryssavgis, scelgono di concentrarsi su quanto dovremmo essere compassionevoli verso gli omosessuali, escludendo di chiarire se la Chiesa ritenga che il sesso omosessuale sia incompatibile o no con la vita cristiana.

La fondazione e la storia del gruppo di sostegno per gay e lesbiche, noto come "Axios: Eastern and Orthodox Gay and Lesbian Christians" – originariamente a Los Angeles (1980), ma poi in altre città degli Stati Uniti, così come in Canada e Australia – è un segno del "lavoro, persino della sofferenza [che deve avvenire] attraverso un'ortoprassi onesta sul tema". (80) Tuttavia, anche una tale organizzazione è costretta a "operare a livello sotterraneo". (84)

Allora, padre John Chryssavgis appoggia "Axios"? E se è così, parla a nome del Patriarcato Ecumenico? Axios notoriamente non crede che sia intrinsecamente peccato per un uomo avere rapporti sessuali con un altro uomo o per una donna avere rapporti sessuali con un'altra donna... e ciò è chiaramente e inequivocabilmente contrario agli insegnamenti della Scrittura e alla Tradizione ortodossa. Non credo che la promozione di tali opinioni sia il tipo di lavoro che dovrebbe avvenire nella Chiesa ortodossa.

Infine, verso la fine della sua recensione, abbiamo alcune riserve espresse in modo tiepido sul contenuto effettivo del libro:

"Sinceramente, rimango non convinto dell'analisi scritturale e terminologica fornita in questo libro (87-113) che dà sostegno all'omosessualità, proprio come sono cinico dei parallelismi semplici fatti tra i pregiudizi contro gli omosessuali e i problemi di antisemitismo o schiavitù (62-65). Invero, nonostante gli studi affascinanti e stimolanti di John Boswell, il cui lavoro si è concentrato sulla comprensione religiosa e sulla tolleranza sociale dell'omosessualità, ritengo che sia un tentativo forzato di re-immaginare – se non di re-inventare – la storia per identificare il rito medievale dell'adelphopoiesis o "rituale della fratellanza" (talvolta definito "adozione") con un matrimonio o unione del medesimo sesso".

Egli "rimane non convinto" da un libro che sostiene in modo contraddittorio ai fatti che la Scrittura e la Tradizione non condannano inequivocabilmente il sesso omosessuale? Chiunque abbia familiarità con lo stile molto convinto di padre John Chryssavgis sa che costui è abbastanza capace di esprimere un veemente disaccordo. Se qualcuno suggerisce che il Patriarcato Ecumenico sia qualcosa di meno che l'equivalente orientale del papa, o che il recente Concilio di Creta non fosse esattamente pan-ortodosso, è abbastanza capace di esprimere la sua opinione opposta con grande forza, entusiasmo e eloquenza. Provate a dirgli che non credete che l'attività umana stia causando un cambiamento climatico catastrofico e riceverete una risposta che ricorda la scena della doccia nel film Psycho. Ma lasciamo che qualcuno scriva un libro che presenta argomenti fraudolenti contro la tradizione morale della Chiesa, e il meglio che può dire in risposta è che "rimane non convinto"? I nostri fedeli, bombardati ogni giorno dalla propaganda pro-omosessuale, hanno bisogno da parte del loro clero di qualcosa di più chiaro e diretto di questo.

"Eppure, la verità è che, come Chiese ortodosse e cristiani ortodossi, dovremo discutere dell'omosessualità con un candore molto più grande e con molta maggior carità, ammettendo che la questione è molto più diffusa tra i laici e il clero a tutti i livelli e posizioni. Dopo tutto, perché dovremmo avere paura di un tale scambio? O di che cosa dovremmo avere paura in un tale scambio? Cercare le vie di Dio non vuol dire ricorrere alla paura, ma alla ricerca della compassione e dell'onestà, specialmente in mezzo a tutti gli altri luoghi disonesti che frequentiamo. Siamo chiamati a impegnarci per la semplice decenza umana – anzi, per la decenza di Cristo – in un tema così spesso complicato dall'egoismo e dall'orgoglio, dal disprezzo e dal rifiuto, dal desiderio naturale e dalla lussuria degradante.

A questo proposito, accolgo con favore questo libro come primo passo (e importante, a volte il più difficile), in un lungo processo di dialogo onesto".

Mi chiedo se padre John Chryssavgis pensi che Cristo avesse obiezioni alla denuncia fatta da san Giovanni Battista del matrimonio immorale che Erode aveva con la moglie di suo fratello Filippo? Non c'è certamente alcuna prova di una simile obiezione nella Scrittura, e ogni motivo per credere proprio l'opposto. Padre John pensa forse che Cristo o san Giovanni Battista avessero ben accolto un libro che difendeva il diritto di Erode a sposare la moglie di suo fratello? Pensa che san Paolo fosse pastoralmente incapace quando disse alla chiesa di Corinto di scomunicare un uomo che aveva una relazione immorale con la sua matrigna? San Paolo avrebbe accolto un libro che difendeva quel tipo di rapporto? Perché mai dovremmo accogliere un libro che sostiene il peccato, e in particolare uno che lo fa con argomenti stupidi?

È deludente che il St. Vladimir Seminary aggiunga il suo nome a tale recensione, ma è molto più deludente vedere un chierico tanto prominente nel Patriarcato Ecumenico scrivere in primo luogo una recensione del genere. Viviamo in un momento in cui la cultura in generale e un gran numero dei nostri fedeli in particolare sono confusi sul fatto che il sesso omosessuale sia compatibile con la vita cristiana. I veri pastori del gregge dovrebbero parlare chiaramente in materia. Coloro che non solo non riescono a parlare chiaramente, ma che in realtà aggiungono ulteriore confusione non dovrebbero restare immuni da critiche.

 
Il proselitismo cattolico tra la popolazione ortodossa in Russia

Questo testo è una traduzione dall'inglese del documento del 25 Giugno 2002 preparato dal Dipartimento delle Relazioni con l'Estero del Patriarcato di Mosca, presente sul Sito Internet della Chiesa Ortodossa Russa

 

Informazione generale

 

1. Concetto di proselitismo

Il problema del proselitismo cattolico nel territorio canonico della Chiesa Ortodossa Russa è uno dei più seri ostacoli al miglioramento delle relazioni tra le due Chiese. Il proselitismo, portato avanti dai cattolici tra la popolazione tradizionalmente ortodossa in Russia e negli altri paesi della Comunità di Stati Indipendenti, svaluta l’attitudine della Chiesa Cattolica Romana verso la Chiesa Ortodossa come sua “Chiesa sorella” dichiarata dal Vaticano II. I rappresentanti del Vaticano e i gerarchi cattolici che operano in Russia hanno spesso affermato i loro sentimenti “fraterni” verso gli ortodossi. La situazione reale, tuttavia, indica il contrario.

Il problema del proselitismo è aggravato dal fatto che la parte cattolica nega la sua stessa esistenza, riferendosi alla propria interpretazione del termine “proselitismo” come adescamento di persone da una comunità cristiana a un’altra attraverso mezzi “disonesti” (per esempio, la corruzione). Allo stesso tempo, essa allude alla predicazione del vangelo alle persone “non credenti e non battezzate” che giungono alle chiese cattoliche esercitando la loro libertà di scegliere una religione che vada loro bene. La parte cattolica spesso pone questa domanda: “Sarebbe meglio se queste persone rimanessero atee piuttosto che diventare cattoliche?”

Portando avanti precisamente la predicazione e la missione in Russia, senza curarsi affatto del proprio gregge tradizionale (polacchi, lituani, tedeschi), la parte cattolica si riferisce spesso alla “natura missionaria della Chiesa” e al comandamento del Signore di predicare il vangelo: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo” (Mt 28,19). Questo è ciò che Padre Bernardo Antonini, una figura ben nota della Chiesa Cattolica in Russia, ha scritto nel suo articolo intitolato “Che cosa ne penso del proselitismo”. Egli propone “di andare alla ricerca della delicata linea di confine tra predicazione, missione e proselitismo”, affermando il diritto della Chiesa “di predicare dovunque possibile” (Svet Evangelia (La Luce del Vangelo), giornale dei cattolici russi (qui di seguito SE), n. 37, 2000). E’ sulla base di queste vedute che i cattolici rigettano la nozione stessa di territorio canonico.

Tali vedute, assai popolari tra il clero cattolico russo, possono produrre molte serie obiezioni.

Dapprima, il clero cattolico, che come vedremo più avanti viene in maggior parte dall’estero, non deve predicare in qualche oscuro “territorio missionario”, né a un popolo pagano o irreligioso. Questo clero viene in un paese con una millenaria cultura cristiana impregnata di tradizione ortodossa. Pertanto, il fatto stesso di condurre una missione cattolica qui, tra la popolazione locale che non ha alcuna relazione storica o culturale con la Chiesa Cattolica, e la presenza di missionari cattolici nella terra russa provoca la domanda perfettamente legittima: i cattolici credono che la Chiesa Ortodossa sia una Chiesa? Se sì, la loro attività è condotta in violazione delle parole di San Paolo: “Mi sono fatto un punto di onore di non annunziare il vangelo se non dove ancora non era giunto il nome di Cristo, per non costruire su un fondamento altrui” (Rm 15,20).

In secondo luogo, è da lungo tempo evidente che l’oggetto della missione cattolica in Russia e negli altri paesi della CSI è la popolazione tradizionalmente ortodossa. Queste persone sono state strappate con la forza dalle loro radici ortodosse nei decenni del regime antiteista, ma non possono essere definite non credenti o atee. Molte di loro si sono trovate a un bivio, in ricerca spirituale, ma come possiamo vedere dalla pratica, la maggior parte di loro ritorna alla fede dei propri padri e trova il proprio sentiero spirituale nell’Ortodossia. E’ impensabile negare i profondi legami spirituali, culturali e storici nel nostro popolo con l’Ortodossia. Ci disorienta il fatto che i cattolici, che appartengono essi stessi a una Chiesa in cui la nozione di tradizione è una delle nozioni fondamentali, debbano dubitare della natura tradizionale dell’Ortodossia per la Russia. Per molti di loro, la Russia è un campo missionario di “evangelizzazione” della popolazione locale. In altre parole, l’attitudine della Chiesa Cattolica Romana verso la Russia differisce ben poco da quella dei membri di varie sette che cercano di “cristianizzare” lo spazio post-sovietico e di costruirvi un “mercato religioso” in cui le organizzazioni religiose agiscono come concorrenti in lotta per la “clientela”. La logica che ne consegue è chiara: chi è più grande e potente, chi è stato il primo ad appropriarsi di un particolare “settore di mercato”, è nel giusto.

La Chiesa Ortodossa Russa non ha paura della competizione con la Chiesa Cattolica Romana. Noi non abbiamo le paure che alcuni ci attribuiscono: “Gli ortodossi temono che il lavoro pastorale possa finire per svuotare le loro chiese” (Intervista dell’Arcivescovo T. Kondrusiewicz ad Avvenire, 18 marzo 2000’). Il Cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, è stato anche più aspro: “La Chiesa Ortodossa Russa sente la propria debolezza pastorale ed evangelica, e perciò ha paura della presenza cattolica, che è ben più efficace a livello pastorale, anche se numericamente più piccola” (Civiltà Cattolica, 16 Marzo 2002).

Com’è che questa “efficacia” della pastorale cattolica si esprime concretamente? – In una vita cristiana del loro gregge più elevata di quella del gregge ortodosso? Al contrario, si può dichiarare con sufficiente confidenza che i successi dei cattolici in Russia sono stati indirettamente condizionati dall’influenza dell’Ortodossia sulla vita dei russi. Infatti, nonostante le più severe persecuzioni mai avute contro la Chiesa, è sotto l’influenza dell’Ortodossia, sia nel passato che nel presente, che il nostro popolo ha mantenuto l’interesse nella fede, la riverenza per il sacro e una profonda sensibilità alla predicazione di Cristo. E’ questa predisposizione del nostro popolo, consumato dal desiderio della fede negli anni dell’ateismo di stato, piuttosto che l’efficacia del “livello pastorale” cattolico in Russia, che rende conto del relativo successo non solo di quella cattolica, ma di qualsiasi predicazione di Cristo. Oggi, i missionari occidentali sfruttano di fatto quel terreno buono fertilizzato dall’Ortodossia che è l’anima russa, notevole per la sua credulità e apertura alla Parola di Dio e alla sua speciale sensibilità a tutto ciò che concerne la fede. Sfortunatamente, nessuna cosa del genere sta accadendo in Occidente, il territorio della responsabilità pastorale storica della Chiesa Cattolica Romana. Né l’efficacia né l’“aggiornamento” sono qui di aiuto. L’Occidente sta crescendo in modo sempre più secolare e ateo. Si dovrebbe notare per amore di giustizia che la nostra posizione incontra comprensione e sostegno tra i rappresentanti della Chiesa Cattolica Romana in molti paesi, eccetto, purtroppo, che tra i cattolici russi e le gerarchie del Vaticano.

La Chiesa Ortodossa Russa non desidera essere in rapporti di rivalità e di competizione con la Chiesa Cattolica. Essa crede che questo tipo di rapporti non sia fraterno né cristiano. Noi chiamiamo la parte cattolica al dialogo e alla cooperazione, al mutuo rispetto e all’osservazione degli interessi gli uni degli altri. Ciò si dovrebbe esprimere soprattutto nel riconoscimento che ciascuna delle due parti ha certi territori tradizionali di responsabilità pastorale che le competono. Sfortunatamente, il nostro richiamo differisce radicalmente dalla posizione presa dal Cardinale W. Kasper quando dichiara: “E’ divenuto chiaro che il dibattito sul principio del territorio canonico e del proselitismo nasconde argomentazioni di natura basilarmente ideologica”, mentre la Chiesa Ortodossa Russa “difende non solo una realtà che non è più esistente, ma anche relazioni tra Chiesa e popolo che sono teologicamente problematiche” (Ibid.). Egli accusa la Chiesa Ortodossa Russa di “eresia ecclesiologica”, che consiste nel “fallimento di riconoscere l’aspetto missionario della Chiesa Cattolica a vantaggio di una concezione del proselitismo indebitamente estesa nel suo significato”. L’articolo del cardinale non riesce a dare una singola prova a sostegno di queste dure dichiarazioni. Nondimeno, noi crediamo che sia necessario esporre argomentazioni che le confutino.

La nozione di territorio canonico non è un’invenzione della Chiesa Russa, sviluppata per qualche ragione ideologica. Essa è una conseguenza della tradizione canonica della Primitiva Chiesa Indivisa. C’è un’antica regola nelle Chiese sia dell’Oriente che dell’Occidente: “una città – un vescovo”. Questo significa che un territorio affidato alla cura di un vescovo non può essere governato da un altro vescovo legittimo. Questo principio è stato osservato fino a oggi sia nella Chiesa Ortodossa che nella Chiesa Cattolica. Un’eccezione è costituita da una diaspora confessionale, vale a dire, gli ortodossi che vivono in un territorio dove i vescovi cattolici hanno storicamente esercitato la loro giurisdizione, e vice versa. La cura pastorale di tale diaspora da parte dei propri vescovi e clero non ha mai fatto sollevare obiezioni da parte dei vescovi locali. Un vivido esempio in Russia è lo status della Chiesa Cattolica prima della rivoluzione del 1917, e nell’Europa occidentale lo status di varie giurisdizioni di Chiese ortodosse locali, inclusa quella della Chiesa Ortodossa Russa.

Sfortunatamente, questo principio non è stato sempre osservato nella storia delle relazioni tra Oriente e Occidente. L’esempio più vivido è l’era delle crociate, in cui fu stabilita in Oriente una gerarchia cattolica parallela, che considerava come proprio dovere la missione tra la popolazione locale, inclusa la conversione degli ortodossi al Cattolicesimo. Il Vaticano II, avendo descritto la Chiesa Ortodossa come “Chiesa sorella”, ha riconosciuto il fatto che le Chiese Ortodosse hanno un territorio in cui conducono il proprio ministero salvifico, vale a dire, che hanno ciò che oggi noi descriviamo come territorio canonico.

Il Vaticano non avrebbe dovuto sfidare il principio di territorio canonico anche perché gli ortodossi, riferendosi a esso nelle proprie relazioni con i cattolici, continuano in tal modo a credere che le strutture ecclesiastiche cattoliche siano vincolate dalle norme canoniche della Chiesa Primitiva, condivise da entrambe le Chiese. E’ questa fiducia che provoca una reazione tanto negativa della Chiesa Russa alla fondazione delle quattro nuove diocesi cattoliche in Russia, e a differenza della sua reazione ad azioni simili di vari gruppi settari che non sono associati nella consapevolezza ortodossa con la tradizione ecclesiastica. Gli ortodossi percepiscono le azioni di Roma come un arretramento all’ecclesiologia delle crociate, e un rigetto di fatto del retaggio del Vaticano II, quindi un rifiuto dell’era del dialogo e della cooperazione.

Le parole del Cardinale Kasper sulle “relazioni tra Chiesa e popolo che sono teologicamente problematiche”, e che sostiene che la Chiesa Ortodossa Russa predichi, indicano la sua mancanza di conoscenza delle realtà ecclesiastiche, storiche e culturali della Russia. In particolare, il significato di formazione statale che l’Ortodossia ha avuto per la Russia. Nella storia russa, la Chiesa Ortodossa ha avuto un gran numero di volte un ruolo salvifico per il nostro popolo. Uno degli esempi più vividi è il cosiddetto Periodo dei Torbidi all’inizio del XVII secolo, quando la struttura statale della Russia fu di fatto distrutta dall’attacco degli invasori polacchi. La Chiesa Ortodossa fu la forza che ispirò il popolo alla lotta per l’indipendenza, e che aiutò a restaurare lo stato russo. Se si dovesse seguire la logica del Cardinale Kasper, il legame storico tra il Cattolicesimo e la Polonia, per esempio, dovrebbe suscitare in lui “teologicamente” non minori preoccupazioni.

Le accuse di “eresia ecclesiologica” fatte dal cardinale contro la chiesa russa suscitano stupore e indignazione. La nozione di eresia presuppone una contraddizione all’insegnamento cristiano presentato nella Santa Tradizione della Chiesa. Lanciando simili accuse, si dovrebbe almeno avere cura di comprovarle. Sfortunatamente, non c’è nulla del genere nel summenzionato articolo del cardinale, cosa che dà a questo testo il tono di una dichiarazione politica.

Ritornando al tema della “libertà di scelta” esercitata da alcuni russi di optare per la fede cattolica, si dovrebbe menzionare che il problema del proselitismo non sta nel fatto che qualcuno preferisce il Cattolicesimo o diventa cattolico – dopo tutto, è diritto dell’individuo – ma nel fatto che la missione cattolica spinge coloro che sono esitanti verso questa opzione. La questione del proselitismo non appartiene né alla giurisprudenza secolare né all’area dei diritti umani, ma all’etica inter-cristiana e inter-ecclesiale. L’attività missionaria dei cattolici in Russia è una palese violazione di quest’etica. E si manifesta in modo specialmente vivido nell’attività degli ordini religiosi cattolici.

Vedremo più oltre che molti ordini religiosi cattolici che operano in Russia mostrano la missione persino nei loro nomi: “Figli Missionari del Cuore Immacolato della Beata Vergine Maria (Claretiani), “Sorelle Missionarie del Divino Amore”, “Donne Missionarie della Sacra Famiglia”, etc. Altri ordini, come i verbisti, sono stati stabiliti fin dal principio come missionari. E’ la missione, non la cura pastorale del gregge tradizionalmente cattolico, il compito principale di questi ordini religiosi.

Apparentemente, altre strutture cattoliche in Russia sono altresì calcolate con uno “spazio di crescita” in mente, a spese dei convertiti al Cattolicesimo. E’ piuttosto evidente che nella Federazione Russa di oggi i cattolici sono in numero molto minore di quanto fossero nell’Impero Russo prima della rivoluzione del 1917. Eppure, se a quel tempo c’erano 150 parrocchie cattoliche nel paese, oggi ce ne sono oltre 200. Se prima della rivoluzione c’erano due diocesi cattoliche, Mogolev e Tiraspol, oggi, nella Federazione Russa contemporanea, ce ne sono quattro! A cosa mirano tutte queste strutture? Apparentemente, a un rafforzamento che risulti dall’attività missionaria, che è il centro di tutta l’opera cattolica in Russia.

Quanto al reale numero di fedeli cattolici nella Russia di oggi, c’è una discrepanza tra le cifre fornite dai vari rappresentanti ufficiali della Chiesa Cattolica Romana. L’addetto stampa vaticano J. Navarro-Valls nelle sue dichiarazioni fornisce la cifra di 1,3 milioni. Questa cifra è contraddetta dal riferimento dell’Arcivescovo T. Kondrusiewicz a 500.000 o 600.000 cattolici in Russia. A dire il vero, di recente, nel febbraio 2002, ha menzionato 65.000 cattolici nella sola Mosca (nella conferenza stampa che annunciava la fondazione delle diocesi cattoliche in Russia). E’ del tutto oscura la fonte di questa cifra. Anche se il numero dei cattolici includesse tutti gli stranieri cristiani che vivono a Mosca, difficilmente sarebbero così tanti. Non più di 1.000 persone in tutto si raduna alle funzioni natalizie e pasquali in lingua russa nelle maggiori chiese cattoliche della capitale, la chiesa dell’Immacolata Concezione e San Luigi. Ancor meno persone vanno alle messe servite in altre lingue. E’ impossibile negare questo fatto. Non meno eloquenti sono i piani della Chiesa Cattolica di erigere a Pskov una chiesa alta 42 metri, vale a dire, alta quanto un edificio di 13 piani, considerato che vi sono solo circa 100 cattolici nella regione di Pskov.

 

2. La ricerca di “vocazioni” cattoliche in Russia

Una delle principali priorità nel lavoro della Chiesa Cattolica Romana in Russia è l’addestramento di un clero cattolico locale, e probabilmente di clero e religiosi per l’Europa Occidentale. Sono già apparsi novizi russi in alcuni monasteri in Occidente. Al suo incontro con i vescovi cattolici dell’ex-Unione Sovietica il 9 febbraio del 2001, Giovanni Paolo II ha sottolineato l’importanza di formare, a partire dalla popolazione locale, un clero che sia capace di “comprendere a fondo la mentalità della grande nazione a cui appartiene”. L’Arcivescovo T. Kondrusiewicz, criticando le leggi russe come impedimenti all’attività di un clero in visita, ha detto, “La Chiesa Cattolica è estremamente interessata ad avere clero russo, e non straniero, che si prenda cura dei cattolici in Russia, e farà per esso tutto il possibile” (SE, N. 11, 2001). Secondo l’agenzia di stampa cattolica Zenit, nel rapporto del 13 febbraio 2002, il vescovo cattolico Jerzy Mazur della Siberia Orientale sta preparando le bozze di un “programma pastorale” per la formazione di un clero pienamente locale.

Scopi simili sono serviti dal Seminario Maggiore Maria Regina degli Apostoli. Questo è stato aperto a Mosca nel 1992 e trasferito a San Pietroburgo nel 1995. Vi erano due seminari a San Pietroburgo e a Saratov prima della rivoluzione, ma il numero dei cattolici russi a quel tempo e oggi è incommensurabile. Nella Russia di oggi, in aggiunta alla summenzionata scuola teologica a San Pietroburgo, vi sono pre-seminari ad Astrakhan e Novosibirsk, e il Collegio Teologico per laici San Tommaso d’Aquino a Mosca, che ha succursali a San Pietroburgo, Saratov e Kaliningrad.

Per quanto riguarda la composizione degli studenti in queste istituzioni, c’è qui “proselitismo in azione”. Basti guardare la lista dei seminaristi: le “vocazioni” sono davvero locali, ma non vi sono quasi nomi polacchi o lituani. Questo non è del tutto celato dagli stessi educatori cattolici in Russia. L’articolo di E. Spiridonova intitolato “Il latino è ora fuori moda” pubblicato in SE (N. 14, 2001), dice, “Una famiglia su due, di quelle che hanno dato uno studente al seminario, si considera non credente”. Padre Bernardo Antonini dice praticamente lo stesso del Collegio San Tommaso d’Aquino: “Nel nostro collegio di teologia, filosofia e storia, che ha aperto il 9 novembre 1991, dal 20 al 30 per cento degli studenti iscritti ogni anno è ortodosso. Ci sono anche protestanti… La succursale del collegio a Kaliningrad è stata frequentata da 89 studenti ortodossi e 28 studenti cattolici nel primo anno”.

Il centro dei gesuiti russi a Meudon, in Francia, ha pubblicato un Catechismo della Chiesa Cattolica in russo. Durante la sua presentazione in Vaticano, l’Arcivescovo T. Kondrusiewicz ha detto, “Di fatto, la terminologia teologica e religiosa della lingua russa ha iniziato a formarsi solo negli ultimi pochi anni, specialmente grazie al lavoro del Collegio e del Seminario… Io credo che il Catechismo sarà utile non solo ai cattolici , ma anche agli ortodossi e agli altri cristiani, sia in Russia che negli altri paesi dell’ex-URSS” (SE, N. 6, 1997). Ci si può immaginare di udire simili dichiarazioni da un gerarca della Chiesa Ortodossa Russa in Occidente? Certamente, l’Arcivescovo Kondrusiewicz non deve essere necessariamente un fine conoscitore della tradizione teologica russa, ma dovrebbe quanto meno essere al corrente della sua esistenza.

Da qui nasce la domanda: quando e dove la Chiesa Ortodossa Russa ha fondato i propri seminari nel territorio di paesi tradizionalmente cattolici? (L’Istituto teologico San Sergio a Parigi è emerso come istituzione educativa per venire in contro alle necessità degli emigrati russi, non per risvegliare “vocazioni” locali.)

Una delle principali e più disturbanti caratteristiche dell’attività cattolica è la sua enfasi sul lavoro con i bambini e gli adolescenti, soprattutto negli ospedali, nelle scuole secondarie e negli orfanotrofi. Sotto il pretesto della cura degli orfani e dei bambini senza casa, i cattolici (soprattutto rappresentanti di ordini religiosi femminili) coltivano una nuova generazione di cattolici russi che prenda il loro posto! Qualsiasi “libertà di scelta” è qui totalmente fuori questione. I missionari cattolici dichiarano apertamente che la loro mira è di influenzare gli adulti attraverso i bambini. Se le suore cattoliche sono davvero interessate al fato degli orfani, perché allora non lavorare assieme alla Chiesa Ortodossa Russa, sostenendo i suoi sforzi in quest’area?

Passiamo agli esempi di attività proselitistiche cattoliche, la cui assenza è ripetutamente affermata dai gerarchi cattolici russi. L’esempio più scioccante è quello riportato dalla diocesi di Novosibirsk della Chiesa Ortodossa Russa. Nell’estate del 1996, è stato aperto un orfanotrofio cattolico a Novosibirsk, attrezzato per 50 bambini, le cui “iscrizioni” sono iniziate nell’autunno dello stesso anno. I primi tre bambini sono stati i fratelli Belyaikin di nome Evgenij, Dmitrij e Vitalij (di 14, 11 e 8 anni). Prima di quel momento, essi erano nell’Orfanotrofio N. 1 di Novosibirsk. La Fraternità Ortodossa di Sant’Alessandro Nevskij si prendeva cura spirituale dei bambini di quell’orfanotrofio. I missionari della fraternità parlavano con i bambini, li preparavano per i sacramenti, li portavano in una chiesa ortodossa e alla scuola domenicale. I fratelli Belyaikin furono battezzati nella primavera del 1996; iniziarono ad andare in chiesa, a fare la confessione e a ricevere la comunione. Presto, tuttavia, Evgenij, Dmitrij e Vitalij furono trasferiti da questo orfanotrofio a quello cattolico per qualche ragione ignota. Quando i bambini furono portati là, i loro padrini, membri della Fraternità Ortodossa di Sant’Alessandro Nevskij, iniziarono a far loro visita, a pregare con loro, a portare loro libri religiosi, pane benedetto e acqua santa. Quasi immediatamente gli ortodossi incontrarono un’attitudine sospettosa e malevola da parte del personale cattolico dell’orfanotrofio, che presto divenne palesemente ostile. Alludendo al fatto che i padrini non erano legalmente imparentati con i bambini, iniziarono a impedire le loro visite. Il direttore dell’orfanotrofio, un prete italiano di nome Ubaldo Orlandelli, minacciò telefonicamente il padrino dei bambini, mentre una guardia dell’orfanotrofio promise di punirlo fisicamente se fosse tornato. Insultarono anche la nonna dei bambini. Tolsero ai bambini i libri ortodossi, e iniziarono a impedire in ogni modo possibile il loro nutrimento spirituale da parte della Chiesa Ortodossa. Dopo l’apertura dell’orfanotrofio, i cattolici sottolinearono ripetutamente che quest’opera di carità non si sarebbe occupata di educazione religiosa. Forse per questa ragione il personale cattolico decise di “disabituare” i bambini dalla loro fede ortodossa.

C’è stato un caso di un viaggio organizzato dai cattolici per bambini “non credenti” della regione di Smolensk in visita in Polonia. Furono portati a una funzione sacra in una chiesa cattolica e “serviti” di ostie consacrate senza spiegare loro che questa era la comunione cattolica.

I cattolici hanno lavorato con i bambini nella scuola media N. 84 a Volgograd. Là effettivamente non ci sono cattolici, e la maggior parte dei bambini è ortodossa. Questa attività di insegnamento non è stata affatto compiuta in contatto con il locale vescovo ortodosso, ma in contrasto con la sua posizione e con un’apparente tendenza a favore della Chiesa Cattolica Romana.

C’è un centro giovanile cattolico a Elista. Nello stesso luogo, in Kalmykia, i cattolici hanno organizzato vacanze per bambini di varie confessioni nel campo estivo Beriozka.

Le Sorelle della Madre di Dio dell’Immacolata Concezione hanno organizzato a Orenburg un teatro per giovani, che si esibisce sul palcoscenico del locale teatro per burattini, con lo stesso scopo di convertire i giovani al Cattolicesimo.

Al villaggio di Vershina, nella regione autonoma dell’Ust-Ordynskij, con la sua popolazione etnicamente e confessionalmente mista, e in assenza di una chiesa ortodossa, la parrocchia cattolica locale ha condotto catechismi e messe per bambini della scuola primaria. Al vicino villaggio di Dunday, i cattolici hanno condotto lezioni di studi religiosi per bambini di scuola media (SE, N. 11, 2001). Incidentalmente, tra questi non c’è un singolo cattolico. Ci si può immaginare un prete ortodosso russo che insegni a ragazzi cattolici di una scuola media in Italia?

La parrocchia cattolica a Yuzhno-Sakhalinsk ha lavorato in orfanotrofi (SE, N. 13, 2001) in cui i bambini erano in maggioranza ortodossi.

L’orfanotrofio di Raduga a Petropavlovsk-Kamchatsky “è preso in cura” dalla locale parrocchia cattolica di Santa Teresa. Il direttore di Raduga ha dato il suo consenso al Vescovo Mazur di visitare l’orfanotrofio. Durante quella visita, una suora cattolica di nome Fabiana Patshonsay, una Sorella Missionaria della Sacra Famiglia, “ha parlato ai bambini dell’Annunciazione e ha insegnato loro a pregare” (SE, N. 14, 2001). Questa sorella insegna anche al Centro Catechistico di Irkutsk e Khabarovsk, e scrive libri di testo. E’ stata lei a esprimere l’idea di influenzare gli adulti attraverso i bambini. E’ superfluo fare ancora notare che quest’opera è stata compiuta su bambini di famiglia ortodossa.

Al paesino di Listvyanka vicino a Irkutsk, c’è un Centro Spirituale Cattolico dedicato a Giovanni Paolo II, chiamato “Edinenie” (unità). Vi lavorano le Ancelle dello Spirito Santo. Questo è quello che dicono dei loro assistiti: “Sono per lo più bambini piccoli battezzati nella Chiesa Ortodossa o lontani da qualsiasi confessione” (SE, N. 36-37, 2001).

A Ulan-Ude, il catechismo è condotto tra i bambini e i giovani dalle Sorelle di San Domenico, che predicano nel sanatorio dei bambini e nel ricovero degli anziani, conducono eventi festivi e lavorano con figli di famiglie in difficoltà (SE, N. 38-39, 2001). La maggior parte di questi bambini è ortodossa.

Vi sono ampie prove che clero, religiosi e laici cattolici conducono la loro opera missionaria a Mosca tra bambini finanziariamente dipendenti in orfanotrofi che appartengono alle organizzazioni caritatevoli non lucrative di Madre Teresa e degli Oratori di Don Bosco, che operano per la protezione sociale di giovani e indigenti. In questi casi come in altri, si opera fondamentalmente con bambini battezzati nella Chiesa Ortodossa, vale a dire, membri a pieno titolo della Chiesa Ortodossa.

 

3. L’attività degli ordini religiosi

Come già menzionato prima, la più attiva opera “caritativa” è stata condotta da rappresentanti degli ordini religiosi cattolici. E’ la loro attività che ricade più di tutte sotto la definizione del proselitismo. Il numero di cattolici nella Russia di oggi non è così grande da richiedere la creazione di tanti monasteri. Tutta la loro vita consacrata in questo paese è oggi diffusa artificialmente attraverso gli sforzi di monaci stranieri. Allo stesso tempo, come sappiamo dalla storia della Chiesa, il monachesimo è sempre stato un risultato delle aspirazioni spirituali dei credenti stessi, vale a dire, è emerso in mezzo a loro in modo naturale. Questo non è il caso, tuttavia, nella Russia di oggi. Le comunità religiose cattoliche sono state organizzate da stranieri in visita, nella speranza di convertire un crescente numero di ortodossi o di russi “non credenti”.

I Verbisti (Societas Verbi Divini – SVD - Compagnia del Verbo di Dio). Questo è un ordine missionario fondato nel 1875 da Arnold Janssen nei Paesi Bassi. Di conseguenza, le parrocchie che hanno a Tambov, Vologda, Blagoveschensk, Novosibirsk e Irkutsk sono missionarie. I verbisti insegnano al Seminario Maggiore cattolico, altra cosa che indica il loro sforzo di addestrare “vocazioni locali”. A Mosca lavorano con bambini e con giovani.

Il più famoso verbista in Russia è il vescovo cattolico Mazur della Siberia Orientale. Nato nel 1953 in Polonia, è diventato novizio verbista già nel 1972. Si è laureato in un seminario dello stesso ordine. Dal 1980 al 1982 il futuro vescovo ha studiato missiologia all’Università Gregoriana a Roma. Dal 18 maggio 1999 è l’amministratore apostolico della Siberia occidentale. Per decreto papale del 10 novembre 2000, è stato altresì nominato amministratore apostolico della prefettura di Karafuto, il nome dell’isola di Sakhalin durante l’occupazione giapponese. Questa è un’evidente mancanza di rispetto per l’integrità territoriale della Federazione Russa.

Dato l’addestramento missionario e le aspirazioni dello stesso Vescovo Mazur, il clero della sua giurisdizione è stato coinvolto in un’attività missionaria in larga scala in Siberia Oientale e nell’Estremo Oriente. La maggior parte dei resoconti sul proselitismo cattolico continuano a giungere precisamente da queste aree. Per esempio, nel 2000, i fedeli ortodossi in Kamchatka sono stati sconvolti dalle dichiarazioni provocatorie fatte dal Rev. Jaroslaw Wiszniewski, dello staff del Vescovo Mazur, alla TV locale. Egli ha affermato in particolare che “non si sa con esattezza dove sia stata battezzata la Russia – nell’Ortodossia o nel Cattolicesimo”. Il nome di questo prete cattolico è associato con il seguente incidente di aperto proselitismo in Kamchatka. Nel marzo 2000, la popolazione del Microdistretto del Quarto Chilometro a Petropavlovsk-Kamchatsky ha fatto un appello al Vescovo Ignazio di Petropavlovsk e Kamchatka. Nella loro lettera hanno detto che due donne visitavano gli abitanti di quel distretto nelle loro case, a nome della Chiesa Cattolica e del Rev. Jaroslav Wiszniewski, offrendo libri cattolici gratuiti e mettendo preghiere cattoliche scritte a mano, in particolare la Preghiera di San Francesco, nelle cassette delle poste.

Durante il suo viaggio in Polonia nel 2001, il Vescovo Mazur ha discusso la possibilità dell’arrivo di nuovi preti e suore dalla Siberia Occidentale in Polonia. L’Arcivescovo di Bielystok, che è il responsabile della Commissione per le Missioni della Conferenza Episcopale Polacca, ha concesso l’invio di due preti dalla sua diocesi in Siberia orientale nel 2001. Un’assistente della Madre Generale delle Suore Albertine ha parlato della possibilità che suore della sua congregazione vadano in Siberia per il lavoro missionario. Alcune Suore Carmelitane Scalze hanno progettato di andare a Usolye in Siberia a sistemare un santuario di San Raphael Kalinowski nello stesso anno 2001 (SE, N. 11, 2001).

Dalla diocesi di Irkutsk della Chiesa Ortodossa Russa è giunto un rapporto che dice che durante una riunione della Conferenza dei Vescovi Cattolici in Russia, il Vescovo Mazur ha pubblicizzato i piani della sua opera missionaria. Egli ha dichiarato che il numero potenziale dei cattolici nella regione di Irkutsk ammontava al 20% della popolazione regionale e includeva persone di nazionalità polacca, tedesca, bielorussa e ucraina (che, secondo il censo del 1989, comprendono in totale circa il 4% della popolazione regionale) e i membri delle loro famiglie. In aggiunta, il Vescovo Mazur ha dichiarato che stimava che in 10 anni si tempo il numero di cattolici nella Regione di Irkutsk avrebbe raggiunto i 200.000. E’ perfettamente chiaro a spese di chi e con quali mezzi stava cercando di far crescere il suo gregge.

I rapporti che vengono dalla diocesi di Irkutsk della Chiesa Ortodossa Russa indicano che di recente i capi della comunità cattolica hanno iniziato a sottolineare l’“universalità” del Cattolicesimo in tutti i modi possibili, così che la popolazione locale possa non considerarla come la religione etnica dei discendenti di polacchi e tedeschi. A questo fine, è stato raccomandato che il clero e i laici cattolici evitino di usare parole come “ksendz”, “kostel”, etc., e che usino le loro versioni russe. Per la stessa ragione i rappresentanti delle strutture cattoliche hanno iniziato a prendere le distanze in pubblico dalla società culturale polacca Ognivo, anche se le loro azioni congiunte sono di fatto continuate.

I Domenicani (OP – Ordo Praedicatorum). Nel 2000, avevano solo una “casa” a San Pietroburgo. Quella di Mosca era stata chiusa nel 1998 per mancanza di fratelli. Solo il Rev. Aleksander Chmielnicki era rimasto nella capitale.

L’obiettivo principale dello sforzo missionario dei domenicani in Russia è l’intellighentsia russa. Così è sia a Mosca che a San Pietroburgo. In futuro, i domenicani progettano di portare la loro “predicazione” al di là della loro parrocchia in molte “istituzioni accademiche”. Il Fratello Krzysztof Buyak, membro della comunità di San Pietroburgo, ne scrive apertamente nel giornale ecumenico francese Chretiennes en Marche (N. 66, 2000). La comunità di San Pietroburgo è guidata da un americano di nome Frank Soothman, attraverso il quale giunge alla comunità aiuto finanziario dagli USA (Ibid.).

Il domenicano K. Buyak non nasconde che la maggioranza della loro “comunità di catecumeni” è fatta di “non battezzati”, come pure di “battezzati nella Chiesa Ortodossa senza preparazione e persone che necessitano di una più approfondita istruzione cristiana”. Per gran delizia dei domenicani, questa comunità è cresciuta rapidamente (Ibid.). Forse con l’aiuto di queste persone i domenicani inizieranno a mettere in pratica il loro piano di organizzare il pre-noviziato per quanti entreranno nell’ordine da tutta la Russia. Essi sperano che la sola “casa” del loro vicariato in Russia diventi il più grande centro del loro ordine in Russia. Intanto, si aspettano assistenza dai loro fratelli di altre province perché “la presenza dell’ordine in Russia possa essere sviluppata”. E ci si aspetta presto questo aiuto nella persona di nuovi monaci dalla Polonia (Ibid.).

I Gesuiti (SJ – Societas Jesu). Sono loro a controllare il lavoro del Collegio San Tommaso d’Aquino. Dal 2001, il collegio è diretto da Octavio Vilches Landin, un gesuita dal Messico. Il suo predecessore, Stanislaw Opiela, capo dei gesuiti russi, è stato bandito dalla Russia nel 2000.

C’erano 71 studenti nella struttura centrale del Collegio San Tommaso d’Aquino nell’anno accademico 2000-2001. La succursale a Novosibirsk è più modesta. Vi sono solo 26 studenti. La presenza generale dei gesuiti a Novosibirsk, tuttavia, è considerevole. Basti dire che il vescovo cattolico Joseph Werth della Siberia Occidentale è egli stesso un gesuita. Vi è a Novosibirsk un noviziato gesuita, dove sono addestrati 8 giovani novizi da Russia, Ucraina e Bielorussia (altri giovani gesuiti, i cosiddetti “scolastici,” studiano in centri gesuiti all’estero). In aggiunta, c’è in città il centro religioso gesuita Inigo. Sono loro a controllare lo studio televisivo della neo-istituita Diocesi Cattolica di Preobrazhensk. I gesuiti cercano anche di “alimentare” l’Università di Stato di Novosibirsk.

L’Istituto della Beata Vergine Maria (“le ancelle inglesi”). La società osserva la costituzione gesuita; il suo scopo dichiarato è di “difendere e rafforzare la fede”. Le sorelle dalla Slovacchia hanno operato Tyumen, Tobolsk, Salekhard. Sono attive a “educare e istruire” bambini e giovani (SE, N. 14, 2001).

Le Carmelitane della Santa Resurrezione. Il Vescovo Joseph Werth ha consacrato un convento per le sorelle di quest’ordine il 28 aprile 2001, a Novosibirsk (SE, N. 20, 2001).

La Congregazione di Santa Elisabetta d’Ungheria. Le sorelle di questa congregazione hanno il proprio convento a Novosibirsk e gestiscono un’orfanotrofio.

La Congregazione del Santissimo Redentore (Redentoristi). Le loro attività sono condotte a Kemerovo, Orsk, Orenburg, operando con i giovani. Monaci dalla Polonia organizzano forum giovanili sotto lo slogan “Costruire ponti”.

Le Sorelle Missionarie del Santissimo Sacramento. Quattro sorelle di quest’ordine giunte dal Messico operano a Saratov. Insegnano spagnolo e italiano alla succursale locale del Collegio San Tommaso d’Aquino. Operano anche con bambini e giovani.

Le Sorelle Missionarie della Sacra Famiglia (MSF - Missionariae Sacrae Familiae). Soni impegnate in attività missionarie tra gli orfani in Siberia Occidentale e in Estremo Oriente.

I Figli Missionari del Cuore Immacolato della Beata Vergine Maria (Claretiani) (CMF - Congregatio Missionariorum Filiorum Immaculati Cordis BMV). Operano a San Pietroburgo, Murmansk, Krasnoyarsk e Aginsk.

Le Sorelle Orioniste – ramo femminile della Congregazione di Don Calabria (PSDP - Congregatio Pauperum Servorum a Divina Providentia – Povere serve della Divina Provvidenza). Sono attive nel lavoro con i bambini degli orfanotrofi. Esercitano “giurisdizione” sulla casa di riposo per editori, già campo dei pionieri di Rodnichok, presso Mosca. Operano anche a Smolensk.

I Salesiani (SDB - Salesiani di Don Bosco - Societas Sancti Francisci Salesii – Società di San Francesco di Sales). C’è un Centro Salesiano per l’addestramento vocazionale dei giovani a Gatchina. Il motto salesiano è “Dove ci sono i giovani ci sono i SDB”. I membri dell’ordine sono attivi nell’opera missionaria in Yakutia.

Le Sorelle di Madre Teresa di Calcutta (CSMC - Congregatio Sororum Missionarium Caritatis). Anche il nome completo della loro congregazione religiosa contiene la parola “missionarie”. Operano a Mosca e a Perm. Queste sorelle gestiscono un orfanotrofio in Via Chechulinskaya a Mosca, dove portano bambini senza casa e li convertono al cattolicesimo.

Le Sorelle di San Domenico. Operano a Tambov e a Ulan-Ude. Il loro scopo principale è la “catechizzazione” di bambini e giovani. Esse predicano nei sanatori per bambini, in case per invalidi, e organizzano campi estivi chiamati Vacanze con Dio per bambini di famiglie a basso reddito.

Le Ancelle dello Spirito Santo. In aggiunta al summenzionato centro cattolico Edinenie per i bambini della regione di Irkutsk, le sorelle gestiscono il reparto pediatrico della Clinica Regionale di Irkutsk (SE, No. 36-37, 2001).

Le Ancelle di Gesù nell’Eucaristia. Sono attive in modo speciale nella città di Marks, nella Regione di Saratov.

L’Istituto Secolare Schenstatt delle Sorelle di Maria. Le sorelle credono che la Russia abbia un urgente bisogno di sviluppare l’apostolato cattolico tra i laici. Sono impegnate in questo “sviluppo” a Mosca, San Pietroburgo e Kaliningrad.

I Francescani. Uno dei più attivi rami dell’Ordine francescano operante in Russia è l’OFMConv - Ordo Fratrum Minorum Conventualium – l’Ordine dei Frati Minori Conventuali. Il 13 maggio 2001, una custodia generale di quest’ordine (ovvero un’unità amministrativa autonoma che riunisce diverso conventi con un capitolo che rende direttamente conto al ministro generale dell’ordine) è stata aperta con una cerimonia solenne a Mosca. La custodia include i seguenti conventi francescani in Russia: San Francesco a Mosca, Sant’Antonio da Padova a San Pietroburgo, la Madonna degli Angeli a Kaluga.

Presente all’inaugurazione della custodia generale era il padre generale della Provincia dell’ordine a Varsavia, Gregory Bartosik. Nel suo messaggio al ministro generale che chiedeva di istituire una custodia, si legge in particolare: “Nel 1993, su invito di Sua Eminenza l’Arcivescovo Taddeuzs Kondrusiewicz, due padri francescani della Provincia della Madre Immacolata di Dio, dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali sono giunti a Mosca per condividere la causa della rinascita del cristianesimo in questa terra che ha brama di Dio. Da quel giorno il numero di frati che lavora in Russia è cresciuto; nuove vocazioni sono apparse tra i giovani locali; sono emersi conventi a pieno titolo che danno il loro contributo alla vita della Chiesa locale... Alla fine del 1993, l’arcivescovo affidò ai francescani la cura pastorale delle parrocchie di Tula e Kaluga, che in breve tempo si sono trasformate in dinamici centri pastorali”. (SE, N. 21, 2001).

Un convento e un centro francescano sono stati fondati a Mosca nel 1994. Il 1 febbraio 1995, ebbe qui inizio una postulantura, o corso di noviziato per la preparazione di nuovi frati. L’11 febbraio, fu fondata nel convento una casa editrice francescana per iniziare la “cooperazione con i rappresentanti dell’intellighentsia russa” (Ibid.). I frati francescani di Mosca “conducono opera pastorale tra i giovani, danno guida spirituale, visitano i malati e i prigionieri…” (Ibid.)

Nel 1995, un convento dedicato a Sant’Antonio da Padova è stato fondato a San Pietroburgo. Si tratta di un centro per la formazione religiosa di seminaristi francescani in Russia e di altre nazioni dell’ex-URSS.

Assieme agli ordini religiosi, movimenti laicali cattolici di orientamento missionario hanno operato in Russia. Tra di loro i Focolarini, Comunione e Liberazione, e i Neo-Catecumenali. L’opera di questi ultimi è stata la più oltraggiosa di tutte. I rappresentanti del cammino neo-catecumenale predicano apertamente un tipo di “intercomunione”, invitando gli ortodossi a ricevere la comunione nelle chiese cattoliche. Questo è proselitismo anche secondo lo standard cattolico, ovvero un incitamento al passaggio di persone da una Chiesa all’altra.

 

4. Conclusione

Gli esempi summenzionati riflettono solo una piccola parte dello sforzo proselitistico dei cattolici in Russia. Gli ortodossi osservano con stupore e amarezza i rappresentanti della Chiesa che solo di recente si è definita nostra “sorella” entrare nelle schiere dei “nuovi illuminatori della Rus” assieme ai membri delle sette.

Una prova che il Vaticano intende estendere la missione cattolica in Russia è la sua recente decisione di elevare lo status delle sue strutture ecclesiastiche in Russia, da amministrazioni apostoliche a diocesi, e formarle in una “provincia ecclesiastica” guidata da un “metropolita”. Se questo sviluppo deve essere valutato nei termini della tradizione canonica ortodossa, si può dichiarare che Roma ha dichiarato l’esistenza di una Chiesa Cattolica Russa nel senso di una chiesa per i russi, quali che siano le loro radici etniche e culturali. Questo passo mostra che Roma, agendo unilateralmente e e senza alcun dialogo con la Chiesa Ortodossa, ha cambiato fondamentalmente la natura della presenza cattolica in Russia. Con l’istituzione di diocesi, la Chiesa Cattolica in Russia ha cessato di essere una struttura pastorale per minoranze etniche legate alla tradizione cattolico-romana, e ha dichiarato se stessa come chiesa locale il cui dovere e responsabilità è la missione verso tutti i popoli che vivono in Russia. Questo passo di Roma non ha solo allontanato le prospettive di risoluzione del problema del proselitismo, ma ha pure creato un sistema di competizione, e perciò di scontro con la Chiesa Ortodossa in una testimonianza cristiana così importante per l’intera società russa. Tutto ciò ha certamente indebolito l’integrità ed efficacia di questa testimonianza, e così ha operato contro la cristianizzazione e l’integrazione delle persone nella Chiesa.

Questa è la precisa ragione per cui la politica del Vaticano verso la Russia è percepita dalla maggioranza dei nostri concittadini come un programma capace di infliggere seri danni alla vita spirituale del popolo russo.

25 giugno 2002

Mosca

 
Il digiuno alla vigilia della Natività e della Teofania

Domanda: Le vigilie del Natale e della Teofania sono chiamate "giorni di digiuno stretto", tuttavia, sembra che in questi giorni siano anche giorni di "vino e olio", e non solo quando cadono il sabato o la domenica, ma ogni giorno. Almeno è così nei calendari di tradizione slava. Comunque, vedo che sul sito dell'Arcidiocesi greca d'America la scorsa vigilia della Teofania è stata considerata un digiuno senza vino e olio nonostante fosse una domenica. Quindi forse i greci digiunano rigorosamente in questi giorni, astenendosi dal vino e dall'olio anche la domenica. Ma cosa significa nell'uso slavo un "giorno di digiuno rigoroso", ma con vino e olio?

Ci sono diversi gradi di digiuno, in termini di ciò che si può mangiare, ma ci sono anche varie rubriche relative a quale punto della giornata possiamo mangiare qualcosa nei giorni di digiuno. Ma poi a volte le rubriche del Tipico non sono molto esplicite, e quindi possono avere più di un'interpretazione. Il Tipico è molto esplicito nel dire che, quando le vigilie del Natale o della Teofania cadono al sabato o alla domenica, non sono giorni di digiuno rigoroso. Quando questo accade, secondo il Tipico, dopo la liturgia mangiamo del pane e beviamo un bicchiere di vino, e poi facciamo un pasto più completo dopo i Vespri. Quando queste vigilie cadono nei giorni feriali, invece, se la salute lo permette, noi non mangiamo o beviamo nulla fino a dopo i Vespri. Anche durante la Quaresima, il vino e l'olio sono sempre consentiti il sabato e la domenica, perché il digiuno rigoroso è vietato in quei giorni. L'eccezione a questa regola è il Sabato Santo, quando non mangiamo fino a dopo la Liturgia vesperale, che è, secondo le rubriche, la più tarda Liturgia dell'anno, e quindi prendiamo il vino, ma non l'olio, e altrimenti possiamo fare un semplice pasto quaresimale. Ho il sospetto che la pratica greca sia in realtà la stessa, e che il sito dell'Arcidiocesi greca sia impreciso solo su questo punto.

Al Venerdì Santo, il Tipico in realtà chiede che non si mangi nulla:

"In questo giorno santo non si offre un pasto né si mangia in questo giorno della crocifissione. A chi non è in grado o è diventato molto vecchio e a coloro che non possono digiunare, può si dare pane e acqua dopo il tramonto. In questo modo seguiamo il santo comandamento dei Santi Apostoli di non mangiare il Grande Venerdì".

Come spesso accade, però, la pratica moderna è generalmente più mite, ma questo è l'ideale.

Ora, quanto al punto se vino e olio siano ammessi alle vigilie del Natale o della Teofania, il Mineo Festivo osserva "La prefesta del Natale (24 dicembre) si osserva come un digiuno e non si mangiano prodotti di origine animale né pesce. Nell'uso greco, vino e olio non sono consentiti, eccetto quando la prefesta cade di sabato o di domenica, ma nell'uso slavo, si possono prendere vino e olio, qualunque giorno della settimana possa essere " (Festal Menaion, trad. Madre Maria e Archimandrita Kallistos Ware, Faber and Faber, London, 1984, p. 220). C'è una nota simile per la vigilia della Teofania (Festal Menaion, p. 313).

Questa differenza sembra derivare dal fatto che il Tipico, mentre è esplicito su ciò che è consentito quando queste vigilie cadono di sabato o di domenica, non è esplicito riguardo a ciò che è consentito quando cadono nei giorni feriali. Ma anche se il vino e l'olio sono autorizzati secondo la prassi slava in questi giorni, quando cadono nei giorni feriali, la pratica greca e quella slava concordano sul fatto che mangiare e bere devono essere rimandati fino alla sera. Si tratta della pia consuetudine di attendere la comparsa della prima stella alla vigilia di Natale prima di mangiare un pasto (si veda il manuale di Bulgakov per i celebranti, 24 dicembre).

È anche una prassi tra ucraini, polacchi, carpato-russi e molti russi (quelli che vivono a sud, e nelle parti occidentali della Russia) per mangiare un pasto quaresimale piuttosto elaborato alla vigilia della Natività, in cui ogni piatto ha un significato simbolico legato alla festa della Natività. Questo pasto è spesso chiamato "la Santa Cena".

 
Recensione: Il Typikon decifrato

L'archimandrita Job (Getcha), di famiglia ucraina e nazionalità canadese, è stato decano dell'Istituto San Sergio a Parigi, dove ha insegnato liturgia e storia della Chiesa; oggi è professore di teologia dogmatica e liturgica all'Istituto di Teologia Ortodossa a Chambesy-Ginevra, Svizzera. Talvolta viene anche in Italia, e lo abbiamo avuto ospite nella nostra parrocchia a Torino.

Nel 2009 padre Job ha pubblicato a Parigi, presso Les Editions du Cerf, un libro dal titolo Le Typikon décrypté: Manuel de liturgie byzantine, che raccoglieva i testi dei corsi di liturgia da lui tenuti all'Istituto San Sergio negli anni precedenti. Il libro è stato tradotto in inglese da Paul Meyendorff, professore di teologia Liturgica al St Vladimir's Theological Seminary, e pubblicato nel 2012 con il titolo The Typikon Decoded: An Explanation of Byzantine Liturgical Practice (St Vladimir's Seminary Press, The Orthodox Liturgy Series, book 3).

  

Abbiamo quindi disponibile nelle due più diffuse lingue occidentali una chiave di lettura al più complicato e – per dare ragione al titolo del libro – criptico testo delle ufficiature liturgiche: il Grande Tipico, libro guida del complesso mondo delle preghiere e innografie ortodosse, e delle loro infinite combinazioni.

Il Grande Tipico, di per sé, non è ancora stato pubblicato integralmente in francese o in inglese (per non parlare dell'italiano), e da questo possiamo almeno dedurre che la conoscenza di questo libro voluminoso è complicato non è un prerequisito a seguire le lezioni di padre Job. Nondimeno, nel primo capitolo di questo manuale troviamo spiegazioni sulla formazione di tutti i libri liturgici ortodossi, non soltanto il Tipico, ma anche il Salterio, l'Orologio, l'Ottoico, i Minei, il Triodio e il Pentecostario, L'Eucologio, lo Ieratico, l'Epistolario e l'Evangeliario. Di ogni libro si rintraccia l'origine, le diverse edizioni, e le scelte redazionali che hanno portato diversi paesi ortodossi a pratiche liturgiche leggermente discostanti tra loro. Non fosse che per questa prima parte, questo libro dovrebbe diventare lettura fondamentale per tutti quanti si affacciano al mondo dell'Ortodossia attraverso la lente di una singola tradizione locale, e desiderano capire perché tale lente si trasforma sotto i loro occhi in un prisma di usi differenti, e apparentemente contraddittori, che spesso convivono nelle varie chiese ortodosse della stessa località.

Il libro prosegue comunque il suo valido contributo, offrendo nel secondo capitolo un'analisi completa delle funzioni "di base" dell'Orologio (Libro delle Ore): L'Officio di Mezzanotte (Mesonittico), Il Mattutino quotidiano, le Ore, il Vespro Quotidiano e la Compieta (Apodipno). Ogni funzione è corredata da schemi, che illustrano in parallelo le varianti che le funzioni possono avere.

Nel terzo capitolo, dedicato agli offici dei Minei, si analizzano le differenti scale di solennità dei libri liturgici slavi e greci, e le rispettive modalità di combinazione del Vespro, del Mattutino e della Veglia (Agripnia). Un'attenzione particolare è data alle complessità di combinazione del Mattutino, e nella trattazione delle Grandi Feste e dei loro periodi di antefesta e postfesta, si analizza in particolare la stagione a cavallo delle feste della Natività di Cristo e della Teofania.

Il quarto capitolo, dedicato agli offici del Triodio, è il più lungo del libro, e guida il lettore dalle settimane preparatorie della Grande Quaresima fino alla dettagliata complessità della Santa e Grande Settimana.

Il quinto capitolo analizza gli offici del Pentecostario dalla Pasqua alla Domenica di Tutti i Santi, fino ad accennare agli aspetti liturgici del digiuno degli Apostoli.

Il libro è corredato da un glossario (con i termini di base in greco e slavonico) e da un'estesa bibliografia di fonti liturgiche, studi specialistici in lingue occidentali, e studi in lingue slave.

Ecco due modi per ottenere facilmente una copia del libro:

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Un patriarca dimenticato: Massimo V di Costantinopoli

Il 20 febbraio di 67 anni fa (1946) è salito al trono patriarcale di Costantinopoli il metropolita di Calcedonia Maximos (Vaportzis), divenuto con il nome di Massimo V il 267° arcivescovo di Costantinopoli Nuova Roma e patriarca ecumenico.

Maximos Vaportzis, figlio di Eleftherios e Katherini Vaportzis, è nato il 26 ottobre del 1897 a Sinope del Ponto, nel nord della costa turca del Mar Nero. Dopo aver terminato gli studi nella sua città natale, grazie all'aiuto del metropolita Germano (Karavangelis) di Amasia, ha ricevuto la sua formazione teologica presso il seminario teologico di Halki. Si è laureato presso la Scuola teologica di Halki nel 1919. Il 16 maggio 1918 è stato ordinato diacono nel monastero della Fonte Vivificante a Baloukli per mano del metropolita Costantino di Calliopoli; contemporaneamente è divenuto insegnante nella scuola cittadina di Theira. Ha servito come arcidiacono i metropoliti Gregorio di Calcedonia e Gioacchino di Efeso e nel 1920 è entrato nel tribunale patriarcale come diacono patriarcale. Il 27 ottobre 1922 il patriarca di Costantinopoli Melezio IV lo ha promosso al rango di codificatore e il 15 aprile 1924 il patriarca di Costantinopoli Gregorio VII lo ha promosso a sottosegretario. Il 17 dicembre 1927 è stato promosso a primo segretario ed è stato ordinato sacerdote il 1 gennaio 1928 dal patriarca Basilio III di Costantinopoli. Lo stesso giorno ha ottenuto il titolo di archimandrita. L'8 febbraio 1930 è stato eletto metropolita di Filadelfia. La consacrazione episcopale è stata alla chiesa patriarcale di san Giorgio, il 9 marzo 1930, Domenica dell'Ortodossia. La consacrazione è stata celebrata dal patriarca Fozio II di Costantinopoli. È rimasto al posto di primo segretario fino al 16 maggio 1931. È stato vicario del grande vicario patriarcale dal 9 settembre 1931 fino al 28 giugno 1932. Il 28 giugno 1932 è stato eletto metropolita di Calcedonia.

Nel 1942-43, quando la Germania era all'apice del suo potere sull'Europa, il governo turco (dominato da un partito unico autoritario) ha proposto una legge iniqua di imposta patrimoniale, che ha terrorizzato le minoranze. Tra i pochi che hanno trovato il coraggio di reagire c'è stato proprio il metropolita Maximos di Calcedonia, che ha caratterizzato l'imposta sulla proprietà come una morte bianca dell'ellenismo in Turchia, diretta a perseguitare la Chiesa; in seguito alle sue proteste è stato stato arrestato dalle autorità turche e deportato a Bursa per "ragioni di sicurezza".

Il 20 febbraio 1946, all'età di quasi 50 anni, il metropolita Maximos è stato eletto patriarca ecumenico, senza che si siano registrati problemi e interventi esterni. L'elezione è stata accompagnata dalla speranza di un nuovo impulso alla carica, di fronte ai problemi posti dal ristretto quadro che era stato imposto al Patriarcato Ecumenico dal Trattato di Losanna.

Un dialogo greco-turco iniziato sotto il patriarca Massimo ha portato ad alcuni risultati positivi sulle esenzioni dalle tasse delle opere di beneficienza e delle scuole greco-ortodosse. Un fatto indicativo del miglioramento dei rapporti è stata la visita del presidente della Repubblica turca Ismet Inonu presso la scuola teologica di Halki.

Il patriarca Massimo era noto per le sue posizioni 'di sinistra' e per i suoi stretti legami con il Patriarcato di Mosca; aveva cominciato a coltivare stretti rapporti con l'ambasciatore russo a Costantinopoli e, per estensione, con Mosca. Questi eventi non sono passati inosservati, nel clima anti-sovietico dell'inizio della guerra fredda, da parte delle potenze occidentali, che non approvavano le connessioni di Costantinopoli con il Patriarcato di Mosca controllato dai sovietici.

Nei primi mesi del 1947 il patriarca Massimo ha mostrato sintomi di nevrastenia acuta. Nel mese di maggio 1947, per motivi di salute, si è recato in Grecia, dove è stato ricevuto con grandi onori, e quindi in Svizzera. Le stesse autorità che lo hanno ricevuto ad Atene hanno subito pressioni dagli Stati Uniti per screditare il patriarca con accuse di "sinistrismo" e "russofilia"; un articolo del metropolita Crisostomo di Zacinto arriva addirittura ad accusarlo di "slavismo e papismo". I diplomatici greci in Turchia hanno iniziato a parlare delle dimissioni del patriarca con il pretesto del decorso della sua malattia (sono stati gli unici a parlarne esplicitamente, mentre Londra, Washington e Ankara hanno compiuto analoghe pressioni senza neppure motivarle).

Quindi le intese diplomatiche hanno iniziato a cercare una nuova "forte personalità" con un chiaro orientamento "anti-russo", che potesse trasformare il Patriarcato in "baluardo anti-comunista". Si è parlato inizialmente dell'ex arcivescovo di Atene Crisanto, respinto però dalla Turchia come persona non grata fin dal tempo in cui era metropolita di Trebisonda nel periodo 1916-1922. Allora gli Stati Uniti hanno proposto, e in seguito sostanzialmente imposto, l'arcivescovo Atenagora (Spirou), per la sua "fedeltà comprovata alle autorità del blocco occidentale." Così Ankara e la stampa turca hanno iniziato a promuovere Atenagora come "amico fedele della Turchia". Atene ha inizialmente espresso alcune riserve, ma l'isteria anticomunista ha rapidamente portato ad accettare la questione della sostituzione patriarcale come un "assegno in bianco".

Le reazioni del Fanar sono state particolarmente intense quando hanno cominciato a essere chiari questi movimenti diplomatici. A cercare di difendere l'indipendenza del patriarcato sono stati soprattutto i metropoliti Gioacchino di Derka, Massimo di Laodicea, Crisostomo di Neocesarea, Adamanzio di Pergamo, Massimo di Sardi e Cirillo di Chaldia. Nel mese di ottobre del 1948 le pressioni politiche sono divenute insopportabili, con l'arrivo a Istanbul di alcuni 'negoziatori' americani. Si dice che il patriarca si sia nascosto nel seminario di Halki per non ricevere visite di rappresentanti stranieri. L'alternanza di pressioni (incluse minacce di scandali) e di promesse di abbondanti aiuti finanziari ha costretto Massimo V a scrivere una lettera autografa di dimissioni il 18 ottobre 1948, dopo poco più di due anni e mezzo di carica patriarcale. Il clero ortodosso e i fedeli di Costantinopoli hanno preso con amarezza la notizia delle dimissioni del patriarca.

Ufficialmente, il patriarca Massimo si dimetteva per ragioni di salute, ricevendo il titolo di "ex primate di Costantinopoli ed Efeso", che ha mantenuto fino alla sua morte. È stato sostituito sul trono dall'arcivescovo Atenagora di America, che è arrivato a Istanbul sul jet privato del presidente degli Stati Uniti Harry Truman.

L'ex patriarca Massimo si è trasferito a vivere in Svizzera, dove alla fine del 1971 si è ammalato di broncopolmonite acuta. È morto il 1 gennaio 1972. Il funerale, il 4 Gennaio 1972 è stato presieduto dal metropolita Melitone di Calcedonia (il patriarca Atenagora era malato). Il suo corpo è stato trasferito a Costantinopoli, dove è stato sepolto con tutti gli onori nel cortile esterno del monastero della Fonte Vivificante a Baloukli.

 
Padre Daniele nella fossa dei leoni: la teologia 'parigina' e il neo-rinnovazionismo

L'articolo che segue è stato scritto più di dieci anni fa dal recente martire missionario, il sacerdote Daniil Sysoev. Parla del neo-rinnovazionismo (nuovo modernismo) che si è insinuato in Russia negli anni '90 da ovest, dove, come rinnovazionismo (vecchio modernismo) ma sviluppato nella sua forma definitiva, è stato praticato per decenni in Francia, Inghilterra , Finlandia e Stati Uniti.

 

C'è forse qualcosa di cui si possa dire, ecco, questa è una novità? Proprio questo è già accaduto nei secoli che ci hanno preceduto (Ecclesiaste 1, 10).

Queste tristi parole dalla sapienza di Salomone vengono in mente involontariamente quando abbiamo la possibilità di osservare le polemiche in merito alle attività dei neo-rinnovazionisti. Ho più volte avuto a che fare con persone che soffrono dell'eresia rinnovazionista. È da notare che le critiche fatte a padre Georgij Kochetkov (1) e alla sua fazione, che criticano la sua 'ortodossia rinnovata dal volto umano', per la maggior parte non hanno colpito il bersaglio, dal momento che non sono dirette all'essenza di questa eresia.

L'indignazione dell'opinione pubblica ortodossa è diretta o all'uso al russo moderno nelle funzioni, oppure alla cacciata dalla chiesa di quelli che non si comunicano (2), oppure all'elitarismo e all'ecumenismo esagerati di queste comunità. Tuttavia, lo sfondo 'parigino' di questo fenomeno, in altre parole, l'influenza della 'scuola teologica di Parigi', passa quasi inosservato. Per esempio, alla ben nota conferenza del 1994, 'L'unità della Chiesa', i rappresentanti dell'Istituto Teologico San Tikhon hanno cercato con forza di dissociare gli insegnamenti dell'ideologia di Kochetkov dagli insegnamenti di Schmemann e Afanasiev, che erano i pilastri del "modernismo ortodosso". A padre Georgij Kochetkov è stato concesso 'l’onore' di creare la sua propria dottrina, alimentando così le sue pretese al ruolo di sedicente profeta. Tutto questo ricorda la storia recente, quando agli albori della perestrojka, Stalin è stato condannato come apostata dal retaggio di Lenin e dagli ideali del comunismo.

Per la verità, in alcuni piccoli dettagli le idee e le pratiche dei neo-rinnovazionisti russi si discostano davvero dalle panacee prescritte dalla 'scuola teologica di Parigi'. Tuttavia, questa è solo la conseguenza dell'imperfezione umana, che (per nostra fortuna!) non ha portato all'attuazione di queste idee in tutta la loro gloria. Tuttavia, nel cuore del modernismo, sia in Russia che in Occidente, c'è una cosa e sempre la stessa - il rifiuto della tradizione patristica nella sua interezza. Come risultato, vediamo il rifiuto della struttura contemporanea della Chiesa, sia perché è 'obsoleta', oppure perché si è 'allontanata dalle sue origini apostoliche'. Dai loro frutti, li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni, ma l'albero cattivo produce frutti cattivi. Un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni (Mt 7, 16-18). Se usiamo questo criterio del Salvatore, dobbiamo respingere tutti i tentativi di giustificare i 'parigini', perché i frutti del modernismo ecclesiastico sono qui davanti agli occhi di tutti.

La mia esperienza con i seguaci di Kochetkov (sia gli ex che gli attuali) dimostra che c'è poco spazio per il cristianesimo dei Padri nelle loro menti. I padri A. Schmemann, N. Afanasiev e A. Men’ (3), e, naturalmente, "il grande catechista, profeta e maestro, il sacerdote G. Kochetkov, hanno preso il posto della divina sapienza dei Padri della Chiesa. Questo movimento ha i suoi dogmi, da quali essi derivano le proprie pratiche liturgiche e i loro peculiari concetti morali, nozioni che sono molto lontane dall'Ortodossia.

Ecco alcuni esempi. La loro abitudine di far uscire dalla chiesa quelli che non si comunicano risale l'idea dell'Eucaristia articolata da padre A. Schmemann (si veda il suo libro, L'eucaristia: sacramento del regno), che ha il suo fondamento dogmatico nella dottrina protestante del sacerdozio universale dei laici. Di conseguenza, egli insegna che i laici concelebrano con il sacerdote, che si limita a presiede e non celebra il sacramento. Naturalmente, con questa comprensione dell'Eucaristia, non c'è posto per i non comunicanti alla liturgia, proprio come il sacerdote celebrante, tutti devono sempre ricevere la comunione alla Liturgia nella Chiesa ortodossa. Tuttavia, se si segue questo punto di vista, non è chiaro perché l'apostolo Paolo chiama solo gli apostoli amministratori dei misteri di Dio (1 Cor 4, 1), e non tutta la Chiesa. Quando Cristo ha istituito il sacramento del suo corpo e sangue, ha detto le parole, fate questo in memoria di me (Lc 22, 19), solo ai dodici, non a tutti. Non sono né il prete, né il popolo che hanno autorità sacerdotale in se stessi (4), ma è il Signore Gesù Cristo che compie tutti i sacramenti attraverso i suoi apostoli e i loro successori, i vescovi e i loro sacerdoti, che non sono creatori di grazia, ma distributori di grazia.

Pertanto, ogni sacerdote legge alla Liturgia la preghiera seguente: 'Consentimi, per la potenza del tuo santo Spirito e rivestito della grazia del sacerdozio, di stare davanti alla tua santa mensa e di celebrare il mistero del tuo santo e purissimo corpo e del tuo prezioso sangue, poiché tu sei colui che offre e che viene offerto, colui che riceve e che è offerto, o Cristo nostro Dio '. (Preghiera all'Inno cherubico). I laici non hanno la grazia del sacerdozio e, pertanto, non possono concelebrare con il sacerdote. 'Il sacerdozio regale' (1 Pt 2, 9), dei laici significa che essi devono presentare (i loro) corpi come sacrificio vivente, santo, accetto a Dio, che è (il loro) servizio razionale (Rom 12, 1), non che devono concelebrare con il vescovo o il sacerdote. Di conseguenza, esisteva nella chiesa il rango del penitente: erano quelli che stavano insieme ai fedeli e non erano respinti con i catecumeni, ma non ricevevano la comunione. San Gregorio il Taumaturgo (III secolo) parla di questa pratica nel suo canone 12.

Un altro esempio di teologia modernista è la dottrina di padre N. Afanasiev che il potere e la grazia del sacerdozio e dell'episcopato sono identici (si veda il suo libro, La Chiesa dello Spirito Santo). Gli ortodossi si sono spesso chiesti: 'Perché padre Georgij Kochetkov non obbedisce al suo patriarca? (1) Perché lui e i membri della sua comunità giudicano sottilmente sua Santità, decidendo ciò in cui il patriarca è nel giusto e ciò in cui si sbaglia? Come possono i seguaci di Kochetkov istituire parrocchie ortodosse parallele in tutto il paese?' La risposta è semplice. I rinnovazionisti si considerano vescovi. Per loro, il patriarca è solo un collega, e per di più 'non catechizzato'.

Questa è la stessa opinione di padre N. Afanasiev (preso in prestito da pseudo-intellettuali protestanti), che è stata respinta dal famoso storico della Chiesa del XIX secolo, il prof V. Bolotov: 'dogmaticamente parlando, il rango episcopale precede il grado del sacerdote e, pertanto, non può esserne una derivazione storica. Ogni comprensione storica del sacerdozio della Chiesa primitiva, che affermi che i vescovi erano solo sacerdoti nel senso stretto del termine, deve essere vista come in disaccordo con la comprensione dogmatica di base della Chiesa universale '(Lezioni sulla storia della Chiesa primitiva, Mosca, 1994, vol. 2. p. 486). Il concetto più fondamentale per i rinnovazionisti è la 'comunità', tra l'altro, questa nozione ricorda molto la setta totalitaria (5) e sviluppato dal parere di padre N. Afanasiev che concetti e fenomeni come la Chiesa universale non esistevano nel primo millennio della Chiesa. Egli insegnava che la Chiesa era solo un'assemblea eucaristica autosufficiente che non aveva quindi bisogno di contatto con le altre Chiese (6).

È incredibile come una persona che insegna questa eresia possa essere considerata come un prete ortodosso, se a ogni liturgia testimonia, 'credo ...nella Chiesa cattolica'. Questa falsa dottrina è falsa anche storicamente (7). L'apostolo Paolo ha chiamato la Chiesa corpo di Cristo, la pienezza di tutto in tutti (Ef 1, 23). Ai cristiani di Corinto, scrive riguardo alla comunione eucaristica, c'è un unico pane, e noi siamo, benché molti, un unico corpo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane (1 Cor 10, 17). A quel tempo l'apostolo Paolo stesso era a Efeso. Se non riusciamo a riconoscere l'esistenza della Chiesa universale in quel periodo, sia in teoria che in pratica, questo testo è inspiegabile.

Molte abitudini rinnovazionste diventano spiegabili solo nel loro contesto 'parigino'. Il rifiuto da parte di quest'ultimo della sacramentalità nella Chiesa prima di San Costantino li porta a cercare di cancellare la sacramentalità dai servizi come aggiunte "non apostoliche" (8). Il risultato è l'uso della lingua russa (o meglio, della lingua laica) nel culto, l'abolizione delle Ore (padre A. Schmemann riteneva che la teologia del tempo si sia persa e che quindi non aveva senso leggere le ore) e l'enfasi sull'inutilità dell'iconostasi (9). Potremmo citare molti altri esempi.

Per tutti questi motivi, siamo convinti che la teologia ortodossa non deve giudicare solo il rinnovazionismo contemporaneo, ma anche, cosa più importante, esporre le sue origini. In caso contrario, se condanniamo solo padre Georgij Kochetkov e i rinnovazionisti grezzi, corriamo il rischio di soccombere alla stessa cosa, ma solo sotto una veste differente e più attraente (10). Un esempio è ora brillato sul nostro orizzonte, un nuovo 'luminare teologico' del Dipartimento per le relazioni esterne, l’igumeno Ilarion Alfeev (11), che (riferendosi alle autorità occidentali) predica eresie condannate dai Consigli universali, come la dottrina della salvezza generale (apocatastasi) (12), respinta dal Quinto Concilio Ecumenico e risuscitata dall’arciprete S. Bulgakov e da altri 'parigini', e osa attribuire testi nestoriani a un grande santo (13).

In conclusione, si nota che ogni tentativo di giustificare le attività della 'Scuola di Parigi' deve prima spiegare perché le loro idee generino fantasie così mostruose (per inciso, queste nozioni non si vedono nella dottrina di V. N. Lossky, che pure ha vissuto a Parigi) . Inoltre, devono anche confutare le parole di Cristo già citate, che un albero buono non può produrre frutti cattivi (Matteo 7,18).

Tuttavia, sarebbe meglio se i seguaci dei 'parigini' cessassero di usare le loro strane dottrine per turbare le anime dei neofiti.

 

Note del traduttore:

1. Negli anni '90, quando questo articolo è stato scritto, padre Georgij Kochetkov, fondatore dell’'Istituto cristiano ortodosso San Filarete', è stato il leader dei neo-rinnovazionisti a Mosca ed era su tutti i giornali con scandalo per gli ortodossi. Dopo avere attratto alcuni neofiti non credenti e ancora di mentalità laica, è stato a un certo punto sospeso dal Patriarca Alessio II e solo successivamente ha attenuato i suoi eccessi. Di tutti i sacerdoti della Chiesa russa è stato l'unico invitato dall'ex vescovo Basil (Osborne) a servire a Londra nella vecchia Diocesi di Sourozh.

2. L 'abitudine di far uscire i non comunicanti dalla Chiesa ha avuto inizio tra gli ortodossi modernisti in Occidente, ed esiste ancora in un certo numero di parrocchie moderniste. Alcuni neofiti inesperti sono in realtà scandalizzati quando alcuni non fanno la comunione!

3. Padre Alexander Schmemann era il più protestantizzato di tutti i pensatori rinnovazionisti. L'accusa di Padre Daniil sul suo rifiuto dei Padri è condivisa anche di teologi greci come il defunto padre Giovanni Romanidis, che non aveva pazienza per tali pensatori russi emigrati, spesso molto ignoranti dei Padri greci (padre A. Schmemann era stato all’inizio professore di latino). Trenta anni fa, padre Nicola Afanasiev, che ha insegnato a Parigi, mi è stato citato con ammirazione come unico sacerdote ortodosso a cui ha fatto riferimento il protestantizzante e modernista Concilio Vaticano II, come se si trattasse di un complimento! Come mi ha detto nel 1970 un sacerdote modernista della vecchia Diocesi di Sourozh: 'I cattolici hanno avuto il loro Concilio (modernizzante) e presto noi avremo il nostro'. Padre Alexander Men’ era un prete di origine ebraica che è stato assassinato a Mosca nel 1990. I suoi libri estremamente ecumenisti e modernisti sono stati pubblicati da una casa editrice cattolica in Belgio. La maggior parte dei suoi critici lo ritiene un cattolico o un uniata segreto, ma di questo non si ha alcuna prova.

4. Qui, in poche parole, abbiamo la visione cattolica dell'autorità sacerdotale, in cui il sacerdote sostituisce lo Spirito Santo, proprio come il Papa sostituisce Cristo (è per questo che, tradizionalmente, i cattolici non hanno la concelebrazione), e il punto di vista protestante, in cui il popolo sostituisce Cristo, cioè, chiunque è un papa o un prete. I modernisti ortodossi in Occidente sono semplicemente facendo eco alla sociologia che vedono intorno a loro, cioè, o la visione cattolica (di padre John Meyendorff, ecc) o la visione protestante (di padre Alexander Schmemann, ecc). I fedeli ortodossi non professano né la visione cattolica clericale, né la visione protestante 'democratica'. Gli ortodossi proclamano che siamo tutti solo strumenti o agenti dello Spirito Santo. Abbiamo bisogno di essere attivi solo nel senso di ricevere attivamente lo Spirito Santo attraverso la confessione, il pentimento e l'auto-purificazione. (Il rifiuto di ciò porta al rifiuto neo-rinnovazionista della confessione - il sacramento della penitenza - se i neo-rinnovazionisti che ne fanno qualche uso lo chiamano 'il sacramento della riconciliazione' nella stessa maniera dei cattolici modernisti, da cui copiano così tanto). L'attivismo esterno, tipico di rinnovazionismo e neo-ninnovazionismo, è futile. Questa è la visione dei Padri della Chiesa.

5. In diverse traduzioni liturgiche pubblicate dai modernisti occidentali ortodossi, la parola 'coro' è stata molto tempo fa sostituita da 'popolo', in obbedienza alla loro mentalità protestante. Padre Daniil ha assolutamente ragione nel chiamare questi gruppi 'totalitari'. Non vi è nulla di così intollerante come il liberalismo - è proprio per quest'intolleranza, per esempio, che i non comunicanti - e altri - sono apertamente e brutalmente espulsi dalle loro chiese.

6. Questa 'teologia eucaristica' non è affatto originale. In realtà, si tratta semplicemente di una debole imitazione del congregazionalismo protestante, il trionfo finale della visione laica e anti-gerarchica dei modernisti. Il fatto che la 'comunità eucaristica' è vista come autosufficiente è la pietra angolare dell'autocefalismo dei modernisti: 'Ognuno per sé'. In realtà, c'è poco di teologico nelle 'comunità eucaristiche', che sono piuttosto il riflesso della sociologia e della psicologia occidentale e del conformismo dei 'teologi ortodossi' che vivono in tali società. Questa protestantizzazione dell'Eucaristia e del sacerdozio nel loro pensiero è anche il motivo per cui sono a favore delle 'donne-preti'.

7. Così, San Vincenzo di Lerins, scrivendo nel Capitolo II del Commonitorium, 434: 'Ciò che è veramente e in senso stretto 'cattolico' comprende tutti universalmente, come dimostra la parola stessa e la sua ragione'.

8. Il rinnovazionismo si basa essenzialmente sul concetto protestante che la Chiesa è diventata corrotta dopo san Costantino. Tutto ciò che viene dopo sono "aggiunte", o "strati", nel linguaggio di padre A. Schmemann. Di qui i tentativi antistorici e vani dei rinnovazionisti di cercare di dimostrare che le pratiche ortodosse non sono precedenti al quarto secolo. Questa bestemmia implica che le porte degli inferi abbiano prevalso sulla Chiesa e che lo Spirito Santo non sia più nella Chiesa - ma bensì tra i rinnovazionisti. Questa svolta nella rivela il delirio spirituale di base del rinnovazionismo. Si tratta di mera e volgare adulazione da parte del diavolo. ''Solo voi, i modernisti, avete ragione e 'salverete' la Chiesa''.

9. Ci sono molte chiese moderniste ortodosse in Occidente che per decenni non hanno avuto un'iconostasi e si vantano pure di questa mancanza! La pratica a lungo termine presso la Cattedrale di Sourozh a Londra è stato quella di non leggere le Ore prima della Liturgia. La situazione è cambiata radicalmente quando un vescovo ortodosso è stato inviato alla Diocesi di Sourozh nel 2006.

10. In una conversazione, il defunto metropolita Vitalij ha chiamato la 'teologia' intellettuale parigina 'sottile', ma la 'teologia' americana 'teologia da cowboy'.

11. Questo articolo tra stato scritto quando l'attuale metropolita Ilarion di Volokolamsk era molto più giovane e inesperto e ancora sotto l'influenza degli intellettuali di mentalità laica a Oxford.

12. L 'eretico Origene - l'intellettuale tanto amato dai modernisti di Parigi che le loro traduzioni francesi dei libri liturgici in realtà alterano i testi liturgici che si riferiscono a lui come un eretico. Il catechismo 'Dieu est Vivant' (che ricorda il titolo di 'Chiesa vivente' del rinnovazionista Vvedensky), pubblicato 25 anni fa a Parigi e da allora tradotto in russo, predica apertamente questo delirio di Origene. Questo è semplice secolarismo conformista.

13. Questo si riferisce all'errore del giovane igumeno Ilarion che ha erroneamente attribuito testi nestoriani a sant'Isacco di Ninive, sotto la pressione del pregiudizio accademico secolare.

 
Esiste un'Obednitsa pasquale nella quale possiamo dare la comunione ai fedeli?

Nella diaspora, spesso un sacerdote presta servizio in più comunità situate a una certa distanza l'una dall'altra. Durante l'anno liturgico le funzioni si svolgono a turno, a volte in una comunità, a volte in un'altra, ma nelle festività come la Pasqua o la Natività (le feste più importanti ma anche uniche nell'anno liturgico), i fedeli di tutte le comunità vogliono comunicarsi nel giorno della festa, ma a ciascun sacerdote non è consentito servire due o più Liturgie nello stesso giorno astronomico.

Cosa si può fare in questo caso?

Escludo fin dall'inizio ogni dispensa per servire in quel giorno una seconda o una terza liturgia. Ho sentito che alcuni vescovi del Patriarcato ecumenico e anche della Chiesa ortodossa romena lo hanno consentito, ovviamente in via eccezionale. I sacerdoti che mi hanno detto che facevano tali servizi, hanno detto che provavano un forte rimorso di coscienza e un conflitto interiore, e non avrebbero mai voluto ripetere questa esperienza, anche se il vescovo li avesse costretti.

Di fatto, la Liturgia pasquale principale è quella del Sabato Santo, che deve essere celebrata il sabato dopo l'ora del pranzo (a Gerusalemme avviene con la distribuzione della luce pasquale), e quella della Domenica è secondaria, e proprio per questo la prima è una Liturgia di san Basilio e la seconda di san Giovanni. Laddove in una chiesa si celebra la Liturgia del Sabato Santo e in un'altra quella della Domenica, possiamo dire che i membri di entrambe le comunità si comunicano per la Pasqua e non c'è bisogno di cercare o inventare qualcosa di speciale. Il fatto che lo stesso sacerdote serva entrambe le Liturgie non è un problema, perché sono giorni astronomici diversi e qualsiasi collisione viene automaticamente superata. Inoltre, anche i piatti pasquali possono essere benedetti già al sabato (come avviene nella tradizione russa e non solo), purché vengano consumati solo dopo la mezzanotte o anche la domenica mattina, insieme a chi ha celebrato la Liturgia nella notte di Pasqua.

Ma cosa facciamo quando c'è una terza comunità, che non ha celebrato la Liturgia né il Sabato Santo né la notte di Pasqua, e aspetta la comunione alla domenica mattina?

Per quanto ne so, la Tradizione della Chiesa non offre alcuna "soluzione ufficiale" per tali situazioni, pertanto presenterò il mio punto di vista soggettivo, partendo dal pensiero e dalla pratica personale. Per diversi anni di seguito, nel giorno di Pasqua, dovevo andare in una terza comunità per distribuire la comunione e benedire i cibi pasquali, quindi vi racconto come facevo in questi casi.

Nella Liturgia pasquale nella parrocchia principale, santificavo un secondo Agnello, che al momento opportuno intingevo nel santo sangue (in modo non molto abbondante), poi lo mettevo in un artoforio (un recipiente di vetro con un coperchio ermetico, comprato e usato solo a questo scopo, perché quelli metallici destinati a conservare i santi doni non sono pratici per tali situazioni). Dopo aver finito la funzione e consumato il calice (senza mangiare altro), mi avviavo (con qualcun altro che mi faceva da autista), e tenevo tra le mani il contenitore con i santi doni, e avevo anche l'epitrachilo al collo.

Giunto nell'altra parrocchia, indossavo tutti i paramenti, celebravo il mattutino pasquale (con alcune abbreviazioni) e l'Obednitsa pasquale, al termine della quale, senza parteciparvi ancora una volta, davo la comunione ai fedeli e consumavo il secondo calice. Solo dopo consumavo anche l'antidoro e i cibi pasquali.

Un altro anno, dovendo andare su un'isola remota, ho preso i santi doni essiccati e ho dato la comunione a 3-4 persone prima dei Vespri pasquali (la "seconda resurrezione"), ma senza seguire io stesso il digiuno fino a quell'ora, e il giorno successivo, ho celebrato la consueta Liturgia alla quale si sono comunicate diverse altre persone.

Quale sarebbe l'ordine della "Obednitsa pasquale" di cui abbiamo parlato?

  • "Benedetto il regno" e versetti pasquali;

  • Le consuete litanie e antifone festive;

  • L'Apostolo e il Vangelo della festa;

  • La litania intensa (con l'apertura dell'iliton sulla santa mensa). "Pace a tutti!", "Amiamoci..." e il Credo.

  • Durante il Credo, il sacerdote dispone i vasi sacri sulla santa mensa, trasferisce l'Agnello sul santo disco (e se è troppo molle, lo lascia con il sigillo rivolto verso il basso), quindi versa nel calice il vino e un po' d'acqua.

  • Seguono le litanie di richiesta e la preghiera prima del "Padre nostro" dell'ordine della Liturgia dei Doni Presantificati.

  • "Padre nostro" e "I doni santi già santificati ai santi!" L'Agnello viene spezzato sopra il calice e lasciato ammorbidire completamente, in modo che il santo corpo possa essere facilmente spezzato con il cucchiaio. Si versa l'acqua calda. (Io non verso l'acqua calda direttamente nel calice, ma nell'artoforo di vetro, per lavarlo da eventuali gocce del santo sangue o dalle briciole che si sono attaccate al vaso, poi verso quell'acqua calda nel calice. Se l'artoforio non si lava ora, dovrà essere lavato più tardi, quando si consuma il calice).

  • Come ho detto prima, il sacerdote non riceve la comunione una seconda volta (nello stesso giorno astronomico), ma compie questo rito solo per comunicare gli altri fedeli.

  • Dopo la partecipazione dei fedeli, la Liturgia si conclude secondo l'ordine pasquale. Il sacerdote consuma anche il secondo calice e solo dopo mangia e gusta il cibo pasquale.

Come si vede, questa Obednitsa pasquale è simile alla Liturgia pasquale, solo che manca la Proscomidia (eventuali preghiere possono essere menzionate in segreto, assieme ad alcune richieste particolari – alla litania intensa, anche se sarebbe bene non esagerare su questo punto nel giorno di Pasqua), l'Inno Cherubico e il Grande Ingresso, nonché l'Anafora.

 
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Messaggio di Natale del vescovo Nestor di Korsun

Beneamati nel Signore, reverendi padri, cari fratelli e sorelle!

 

La Natività di Cristo è una festa speciale che di anno in anno non solo dona al mondo una gioia incomparabile, ma dà anche a ognuno di noi la possibilità di fermarsi, di rimanere in silenzio, di riflettere sulla propria vita, sul suo significato e il suo scopo, di metterci in relazione al fatto che il Signore rivela a noi in questa notte santa.

Oggi sentiamo le familiari parole angeliche - Gloria a Dio nel più alto dei cieli, e pace in terra, e tra gli uomini la benevolenza. (Lc 2, 14)

Benevolenza a tutte le persone che hanno vissuto e che vivono sulla terra.

Benevolenza agli uomini di Betlemme, tra i quali nessuno aveva accolto nella sua casa due viaggiatori stanchi - Giuseppe e Maria, l'anziano e la Vergine, che era sul punto di partorire.

Benevolenza agli abitanti di Gerusalemme, turbati dalla notizia della nascita del Messia, che inviano a Betlemme assassini pronti a spargere sangue innocente.

Benevolenza, che non sopprime e non sradica la malvagità umana, venuta in questo mondo con la nascita del nostro Signore Gesù Cristo, e che rimane in loro come una luce, che splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta. (Gv 1, 14)

Questa benevolenza è Cristo stesso, nato in una notte fredda in una misera grotta, priva di calore e di conforto umano, deposto in una mangiatoia per il nutrimento del bestiame, come indicazione che Dio non ha bisogno di segni esterni di grandezza e di gloria per rivelare all'uomo la sua misericordia, il perdono e l'amore.

Per questo la grotta di Betlemme è stata in qualche modo un posto incredibilmente importante e significativo, che nessun altro nella storia può eguagliare. Soprattutto oggi, una volta l'anno, la grotta di Betlemme attira l'occhio della mente di molte persone, ricordando che il miracolo più grande è il cambiamento del cuore umano, la vittoria sul male, la capacità di una persona di rispondere positivamente all’amore, il compiacimento di un amore reciproco, della gratitudine e della fede.

Eccoci qui insieme in piedi di fronte a questa grotta. Rimaniamo fermi. Pensiamo, preghiamo, adoriamo. Non diciamo nulla.

La grazia del Signore Gesù Cristo nato dalla Vergine sia con tutti voi.

Nestor, vescovo di Korsun.

Parigi, 2013

 
Agire in consapevolezza della responsabilità di fronte a Dio, alla storia e all’umanità

Arciprete Vsevolod Chaplin - Vice-Presidente Dipartimento per le Relazioni Ecclesiastiche con l’Estero Patriarcato di Mosca

Versione completa dell'articolo abbreviato pubblicato con il titolo 'La tentazione del Vaticano' in Rossiskaja Gazeta il 5 luglio 2002, presente in russo e in inglese sul sito Internet del Patriarcato di Mosca

Nella Foto: L'Arciprete Vsevolod Chaplin

La recente decisione del Vaticano di istituire diocesi cattoliche in Russia ha sollevato tutta una serie di serissime questioni sulle relazioni tra la Chiesa Cattolica Romana e la Chiesa Ortodossa Russa. Dal febbraio 2000, quando è stato fatto questo passo, entrambe le parti, ortodossa e cattolica, hanno fatto un certo numero di dichiarazioni, e anche rilasciato molte interviste. Ora le loro posizioni sono chiare, e la loro fondamentale discrepanza è evidente. E’ diventato chiaro a tutti che il dialogo ortodosso-cattolico ha raggiunto un punto morto. Ognuna delle parti ha la sua verità, ed è pronta a difenderla fino in fondo. Ma quali sono le vere, profonde ragioni di questo nuovo tragico confronto?

Il primo tentativo di spostare la discussione da un livello polemico a uno più serio, dal punto di vista ideologico e teologico, è stato fatto nell’articolo del Cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, pubblicato in marzo sulla rivista dei gesuiti Civiltà cattolica. L’articolo descriveva seriamente il presente conflitto teologico tra Oriente e Occidente. E’ certamente una sfida, poiché rappresenta un’azione offensiva di forte critica alle posizioni della Chiesa Ortodossa Russa.

Noi accettiamo questa sfida, e io cercherò di spiegare perché non solo la Chiesa Russa ma quasi tutte le Chiese Ortodosse nazionali hanno considerato il passo summenzionato del Vaticano come un colpo alle relazioni tra ortodossi e cattolici, uno sbaglio strategico fatto dalla Chiesa Cattolica Romana, del quale essa porta la responsabilità storica.

Fin dall'inizio vorrei sfidare l'affermazione che l'istituzione di diocesi cattoliche in Russia sia un “affare meramente interno” dei cattolici, e come tale al di là di qualsiasi critica esterna. Da un lato, questa decisione del Vaticano è di fatto una questione di organizzazione interna delle strutture della Chiesa Cattolica Romana, che ha una piena libertà e legittimità di regolare la propria vita. Ma questo è vero solo se lo si considera da un punto di vista formale e legale. Di fatto, dall'altro lato, questa ri-organizzazione ha coinvolto direttamente gli interessi della Chiesa Ortodossa Russa. Questa, oltre a essere una chiesa di maggioranza in Russia, è ufficialmente considerata dal lato cattolico come partner e come chiesa “sorella”.

Quando un tempo l’Occidente accusava i capi dell’URSS di violare i diritti umani, anche i funzionari sovietici rispondevano dicendo che si trattava di un “affare interno” del paese. I dittatori di oggi hanno fatto e fanno lo stesso. Possono avere ragione in un senso legale, un “affare interno” che coinvolge interessi altrui o insulta la dignità altrui cessa di essere interna. In verità, vi sono norme etiche universali che non possono essere cancellate.

Ciò è ancor più rilevante per le relazioni tra le chiese. Come cristiani non possiamo e non dovremmo essere motivati in queste relazioni solo da principi legali. Amore e sollecitudine per il proprio prossimo sono nozioni fondamentali nell’insegnamento cristiano. Ma se la Chiesa Cattolica vuole operare in Russia come in una sorta di vuoto, ignorando l’opinione e gli interessi degli ortodossi, che cosa implica questo nella collaborazione e nel dialogo? Nondimeno, noi vorremmo ancora considerare le nostre relazioni non come competizione ma come collaborazione, e vivere non secondo la lettera morta delle prescrizioni legali, ma secondo la legge dell’amore fraterno. Le nostre Chiese non dovrebbero essere come due aziende che si contendono il mercato, ma come due nazioni alleate.

La collaborazione presuppone inevitabilmente coordinazione di azioni, mutua apertura e responsabilità. Fino allo scorso febbraio avevamo fiducia in una simile attitudine della Chiesa Cattolica, ma il metodo con cui è stata presa la decisione riguardante le nuove diocesi è stato per noi un amaro disappunto. Alla Chiesa Ortodossa Russa è stato semplicemente presentato un fatto compiuto, di cui ha avuto la notifica solo qualche giorno prima. Questo è il modo in cui si dichiara una guerra, non il modo in cui si chiede un parere fraterno! Letteralmente alla vigilia della decisione, ovvero in dicembre, nel periodo tra il Natale cattolico e il Natale ortodosso, il Metropolita Kirill, presidente del Dipartimento per le Relazioni Ecclesiastiche con l’Estero del Patriarcato di Mosca, ha cenato per due volte con l’Arcivescovo Taddeuzs Kondrusiewicz, capo dei cattolici russi, che non ha fatto parola della decisione in programma. Il 25 gennaio 2002, una delegazione della nostra Chiesa, che ha partecipato all’incontro interreligioso ad Assisi, è stata ricevuta in udienza da Giovanni Paolo II, e ancora una volta non si è fatta parola dell’imminente istituzione di diocesi. La decisione è stata presa in segreto. Che cosa ci rimaneva da discutere con il Cardinale Kasper, la cui visita era programmata per la fine di febbraio? Il dialogo dovrebbe certamente essere condotto prima, non dopo avere preso specifiche decisioni che coinvolgono gli interessi di una delle parti in dialogo. Altrimenti, perde il suo significato.

Spiegherò ora perché, propriamente parlando, la nostra Chiesa è contraria alla divisione della Russia, uno dei principali paesi ortodossi del mondo, in diocesi cattoliche, cosa che la rende una “provincia ecclesiastica” della Chiesa Cattolica Romana. Ciò significa a tutti gli effetti la creazione in Russia di una Chiesa Cattolica Nazionale centralizzata. Invero, Cristo ha comandato a ogni chiesa di predicare e di insegnare. E poiché una Chiesa Nazionale è parte della Chiesa Universale, dovrebbe ammaestrare, secondo le parole del Salvatore, “tutte le nazioni” (Mt 28:19) a prescindere dalla nazionalità o dalla lingua. E in questo il Cardinale Kasper ha certamente ragione. La difficoltà, però, sta nel fatto che la Russia ha già la sua Chiesa Nazionale, la Chiesa Ortodossa Russa, da un millennio. E creare strutture centralizzate a questa parallele significa di fatto rifiutare di riconoscerla come parte della Chiesa Universale. Tale attitudine viola i principi dichiarati dal Vaticano II. E che dignità c'è in seguito a parlare di relazioni da “sorelle” tra le Chiese?

Nelle polemiche che sono seguite la parte cattolica ha rigettato completamente la nozione di territorio canonico, cosa che indica chiaramente un ritorno al pensiero prevalente prima del Vaticano II, quando la Chiesa Cattolica non riconosceva l’Ortodossia come parte della Chiesa Universale. Tuttavia, a ben pensarci, gli ortodossi, quando espongono questo principio, applicano alla Chiesa Cattolica le norme della Chiesa unica e indivisa che sono comuni a entrambe le Chiese e che non permettono l’esistenza di strutture ecclesiastiche parallele. Questo approccio è impossibile in linea di principio con quelle comunità cristiane che, nell’opinione ortodossa, non hanno alcuna continuità con la Chiesa antica.

La cosa più sconvolgente è il fatto che ancora di recente eravamo completamente unanimi a riguardo. Vi ricorderò la storia. Quando nel 1991 sono state fondate le amministrazioni cattoliche nella Federazione Russa, Roma ha spiegato al Patriarcato di Mosca il senso della nozione di “amministrazione”, così come la ragione per cui la Chiesa Cattolica non restaurava le precedenti diocesi che si trovavano precisamente in Russia, né ne creava di nuove, come faceva in tutti gli altri stati post-totalitari agli inizi degli anni ’90. Il senso era quello di evitare di creare strutture parallele, in modo che l’opinione pubblica mondiale fosse messa al corrente che la Chiesa Cattolica riconosceva le Chiese Ortodosse come Chiese sorelle.

Un anno dopo questi sviluppi, Roma ha promulgato un documento intitolato “Principi generali e norme pratiche per coordinare l’evangelizzazione e il lavoro ecumenico della Chiesa Cattolica in Russia e in altri paesi della CSI”. Esso stabiliva limiti chiari all’opera pastorale cattolica in Russia. Dichiarava in particolare che invece di accettare quanto erano privi di cura pastorale nella Chiesa Cattolica, il clero cattolico avrebbe dovuto aiutare per quanto possibile la Chiesa Ortodossa (II,2). Inoltre, il documento spingeva i vescovi cattolici a fare in modo che nessuna attività nelle aree sotto la loro giurisdizione venisse interpretata come “struttura evangelizzatrice parallela”.

Ciò che vediamo ora è una diretta contraddizione alle buone intenzioni di dieci anni fa. Strutture cattoliche parallele a quelle ortodosse sono create nella Russia di oggi per condurre una predicazione parallela. Nel riferirsi al comandamento del Salvatore di predicare a tutte le nazioni, la parte cattolica sembra dimenticare le parole di San Paolo: “Mi sono fatto un punto di onore di non annunziare il vangelo se non dove ancora non era giunto il nome di Cristo, per non costruire su un fondamento altrui” (Rm 15,20), e cerca di operare in Russia costruendo sulle fondamenta spirituali costruite dalla Chiesa Ortodossa per un migliaio di anni.

Si sbagliano di grosso coloro che pensano che il nostro popolo sia ateo fino all’ultimo ed essenzialmente senza Dio. E’ vero piuttosto il contrario. I nostri compatrioti sono stati strappati con forza alla fede nel tempo sovietico, ma sono riusciti in molti modi a preservare valori spirituali della Santa Russia quali la tenerezza, lo spirito di sacrificio, la riverenza per i luoghi santi, l’idea del peccato e del pentimento. Un tratto principale in questa percezione del mondo è la nozione della spiritualità come fattore dominante della vita. I persecutori della nostra Chiesa non riuscirono a sterminare questa religiosità genetica, profondamente radicata, del nostro popolo, anche in lunghi anni di severe persecuzioni. Essa è rimasta forte fino a oggi. E precisamente questa sensibilità dei russi verso la fede ha portato ora al successo della predicazione, sia ecclesiale che settaria. Sono state l’opera millenaria della Chiesa Ortodossa, le gesta compiute dai suoi illuminatori e martiri, la formazione cristiana e la cultura spirituale del popolo, che hanno fertilizzato il suolo per la Parola di Dio.

Precisamente questi fattori, piuttosto che qualche “avanzata” tecnologia missionaria, a contribuire al relativo successo della missione cattolica in Russia, a cui il Cardinale Kasper si riferisce nel suo articolo. Inoltre, egli menziona la “debolezza” della Chiesa Ortodossa Russa, che a suo dire teme l’“efficacia pastorale” della Chiesa Cattolica. Noi non abbiamo nulla da temere riguardo a questa “efficacia”, poiché possiamo vedere che il successo della missione cattolica in Russia non è tanto grande neppure con un terreno tanto favorevole alla predicazione. La Russia non è divenuta cattolica dopo i dieci anni duro lavoro da parte di ogni tipo di ordine missionario. La crescita del numero dei fedeli cattolici nel nostro paese è stata molto piccola. Per tutti coloro che sono un poco familiari con le realtà russe, i dati di 500-600mila fedeli, ripetutamente citati dall’Arcivescovo Kondrusiewicz, sembrano più che sopravvalutati. Allo stesso tempo, egli stesso ha dichiarato che il numero dei membri del suo gregge non è di fatto cambiato dagli anni ’90. Per questa ragione è ancor più sorprendente che una “provincia ecclesiastica” sia stata creata per un così “piccolo gregge”, da affidare a un “metropolita”. L’impressione è che i cattolici russi abbiano solo due cose in crescita – strutture amministrative e titoli.

Continuando sul tema dell’“efficacia pastorale” della Chiesa Cattolica, guardiamo all’Occidente dove essa è sempre stata tradizionalmente forte. In quasi ogni capitale europea, vi può essere mostrata una chiesa cattolica chiusa e un ex-seminario cattolico. La gente li ha abbandonati. Noi non ne esultiamo, poiché conosciamo le cause di queste tendenze, ovvero, lo spirito del consumismo, dell’edonismo, della permissività totale, che oggi si impongono attivamente sulla gente. Due grandi Chiese cristiane, la Cattolica e l’Ortodossa, dovrebbero opporsi assieme a tale spirito “di questo mondo”, piuttosto che competere in “efficacia missionaria”.

E invece, i predicatori della “forte” Chiesa Cattolica continuano a venire in Russia nella speranza di ricolmare i propri ranghi con persone spiritualmente nutrite e allevate nella tradizione ortodossa della “debole” Chiesa sorella. Precisamente a causa di questo sfruttamento dell’eredità ortodossa noi qualifichiamo invariabilmente la missione cattolica in Russia come proselitismo, vale a dire, come adescamento di persone da una tradizione all’altra.

L’attiva opera missionaria della Chiesa Cattolica nel nostro paese non ha nulla a che fare con la cura pastorale per il gregge già esistente. Il buon senso suggerisce che un certo numero di parrocchie cattoliche sarebbe sufficiente per questo scopo. Ma quale proposito se non il proselitismo può spiegare la presenza di ordini missionari Russia? Molti di loro hanno la missione indicata anche nei loro nomi, per esempio, “Figli Missionari del Cuore Immacolato della Beata Vergine Maria (Claretiani), “Sorelle Missionarie del Divino Amore”, “Donne Missionarie della Sacra Famiglia”, etc. Altri ordini, come i verbisti, sono stati stabiliti fin dal principio come organizzazioni missionarie.

Rispondendo alle nostre proteste, i cattolici russi amano appellarsi alla libertà di coscienza, che secondo loro noi cercheremmo di restringere. Essi ribattono che i russi vengono da loro solo di propria libera volontà. Senza negare l’esistenza di tali casi, faremo notare che una simile “libera scelta” è normalmente ben preparata e fertilizzata con uno sforzo missionario preliminare. Un conto è se una persona giunge da sé in una chiesa cattolica, e un altro se vi è condotta a forza di spinte di gomito di un missionario. E i casi del secondo tipo sono un bel po’ numerosi.

Siamo pure contrari a che i cattolici qualifichino come “non credenti” quelli tra i nostri compatrioti che sono stati battezzati nella Chiesa Ortodossa o che si identificano con la cultura ortodossa, e tale è quasi tutta la popolazione russa etnica della Federazione Russa, così come quella di altri popoli tradizionalmente ortodossi della CSI e del Baltico. Anche se non tutti sono attivamente coinvolti nella vita della Chiesa, se sono considerati non credenti, allora nello stesso modo anche la stragrande maggioranza dei cattolici in Europa Occidentale e nelle Americhe può essere considerata come composta di non credenti.

Ci rifiutiamo completamente di accettare la missione cattolica tra i bambini russi, specialmente gli orfani e quelli che sono cresciuti in famiglie a rischio. Per la maggior parte sono battezzati nella Chiesa Ortodossa, e pertanto ne sono membri a pieno titolo. I missionari cattolici, per lo più suore di vari ordini, vanno nelle scuole e negli orfanotrofi e sotto il pretesto della carità predicano lì i loro insegnamenti. Istituiscono pure orfanotrofi per i bambini senza casa che sono così numerosi per le strade delle città russe di oggi. In queste istituzioni, i piccoli russi, che spesso vengono da famiglie russe a basso reddito, sono convertiti al cattolicesimo. In tal modo si coltivano le fondamenta per una nuova “provincia ecclesiastica”. Naturalmente, nessuno chiede ai bambini russi se vogliono essere cattolici. Queste sono dirette violazioni della libertà di coscienza a cui spesso si riferiscono i nostri oppositori quando criticano la risposta ortodossa alla loro attività missionaria.

Non suggeriamo in alcun modo che i bambini senza casa dovrebbero essere lasciati soli nelle strade. La nostra Chiesa ha fatto grandi sforzi per restaurare le proprie opere sociali e caritative, proibite sotto il regime totalitario. E qui la cooperazione con la Chiesa Cattolica sarebbe proprio la cosa giusta da fare. Un lavoro caritativo congiunto diventerebbe un’eccellente forma pratica per la nostra cooperazione. Si dovrebbe notare in tutta onestà che questo in parte avviene, ma non con gli ordini cattolici che operano in Russia. In questa o quella regione russa, può esserci già un orfanotrofio ortodosso, ma le suore cattoliche, mostrando meraviglie di segretezza, vi fondano il loro orfanotrofio per allevare piccoli cattolici. Se avessero davvero a cuore i bambini invece della missione, perché non portarli dagli ortodossi? Perché non condividere la loro esperienza? Perché non permettere che i bambini battezzati nella Chiesa Ortodossa ricevano istruzione religiosa da un prete ortodosso?

Ahimè, con rare eccezioni questo non avviene quasi mai. I cattolici che si prendono cura dei bambini russi normalmente non vogliono cooperare con i loro colleghi ortodossi, perché apparentemente hanno compiti diversi. Per esempio, abbiamo informazioni attendibili che tre fratelli orfani minorenni nell’orfanotrofio cattolico di Novosibirsk, che sono stati battezzati e cresciuti nell’Ortodossia, non hanno il permesso di parlare con i propri padrini e di leggere libri ortodossi, e sono impediti con ogni mezzo possibile dal frequentare la Chiesa Ortodossa. Questo esempio non è una prova diretta di proselitismo? E vi sono molti esempi del genere in Russia. Un altro è l'attività di Madre Teresa di Calcutta a Mosca, dove è gestito un orfanotrofio per bambini senza casa. Nella capitale della Russia c’è un numero sufficiente di istituzioni caritative ortodosse che sono pronte alla cooperazione e allo scambio di esperienze con le Sorelle di Madre Teresa nel campo della carità e dell’aiuto ai poveri. Tuttavia, è evidente che le sorelle cattoliche non desiderano questo scambio e che agiscono senza venire in contatto con la Chiesa Ortodossa.

Riassumendo quanto ho detto, considero necessario affermare che in Russia abbiamo a che fare con deliberati sforzi missionari della Chiesa Cattolica Romana di espandere la propria presenza. La Chiesa Ortodossa Russia ritiene che sia precisamente per questi scopi, non per la “normale” cura del proprio gregge, che le quattro diocesi cattoliche sono state istituite nel nostro paese, assieme a un nuovo esarcato e a due nuove diocesi in regioni dell’Ucraina in cui i cattolici sono una piccola minoranza.

In risposta la parte cattolica ha sempre portato la stessa contro-argomentazione, indicando le diocesi all'estero della Chiesa Ortodossa Russa, come le diocesi di Berlino, Bruxelles, Korsun, etc. I nostri oppositori sembrano riluttanti a osservare che le diocesi estere della Chiesa Ortodossa Russa sono etniche, non geografiche, in natura. In prevalenza si prendono cura della diaspora ortodossa di lingua russa, e non conducono missione tra la popolazione locale. Un vescovo della Chiesa Ortodossa Russa può avere sotto la sua giurisdizione diverse parrocchie in differenti paesi, come è il caso per la diocesi di Korsun che include le nostre parrocchie in Francia, Italia, Spagna e Svizzera. L’Arcivescovo di Argentina e Sud America basato a Buenos Aires si prende cura dei fedeli nel territorio dell'intera America meridionale! Così, la nostra Chiesa non ha diviso alcun altro paese in diocesi come i cattolici hanno fatto in Russia. Non abbiamo creato, per esempio, una chiesa ortodossa locale in Italia o in Francia, anche se vi sono state numerose opportunità per farlo. Basti ricordare gli sforzi di Eugraph Kovalevski, un emigrante russo in Francia, che cercò di creare un “rito latino ortodosso” all’inizio e alla metà del XX secolo. La sua iniziativa ha incontrato un certo successo, e un movimento simile esiste tuttora. Ma noi ci rifiutiamo consapevolmente di sostenere questo e molti altri progetti simili poiché crediamo che l’Occidente sia prima di tutto un territorio di responsabilità pastorale della Chiesa Cattolica.

Per la stessa ragione i nostri vescovi e preti non vanno in missione nelle scuole e nelle università in Italia, Francia e Belgio come i cattolici fanno in Russia. A dire il vero, la nostra Chiesa, potrebbe sfruttare la “debolezza” della Chiesa Cattolica in Europa occidentale, dove le chiese cattoliche sono state abbandonate, chiuse o vendute, per lanciare la nostra predicazione “alternativa”. Ma crediamo che i giovani occidentali debbano ascoltare la predicazione del proprio clero. E il punto non è la nostra “debolezza pastorale”. E’ che proprio non abbiamo alcuna strategia missionaria riguardo all’Occidente. La nostra presenza nei paesi occidentali è emersa a causa dell’emigrazione causata da numerosi eventi tragici nella nostra patria, quali rivoluzioni, guerre, disastri economici. Il popolo ortodosso russo è giunto e tuttora giunge in Occidente in cerca di asilo per una persona, o di una vita più stabile e sicura per un’altra. E’ nel loro diritto. E’ pure nel loro diritto avere le proprie chiese, i propri preti e vescovi. La Chiesa Russa in Occidente non è un invasore o un conquistatore spirituale. Noi non siamo intenzionati a competere con la Chiesa Cattolica in “efficacia pastorale”. Che ciascuno lavori nel suo campo spirituale.

Vorremmo molto vedere la stessa comprensione e attitudine da parte della dirigenza vaticana nella sua politica riguardo alla Russia. Sfortunatamente, gli eventi recenti che violano la fragile fiducia stabilita con sforzi comuni nel periodo dopo il Vaticano II, hanno rafforzato molti ortodossi nella convinzione, formata da esempi di storia remota e non tanto remota, che quando la Russia e la Chiesa Russa sono in difficoltà, la Chiesa Cattolica cerca di rafforzarvi la propria posizione. Le più dolorose sono naturalmente le memorie associate con il severo tempo della rivoluzione del 1917 e della persecuzione contro la Chiesa da essa iniziata. Ricordiamo i martiri cattolici per la fede, ma è impossibile dimenticare la “politica orientale” del Vaticano che mirava a giungere a un accordo con i bolscevichi quando questi perseguitavano gli “scismatici”. Questo era esattamente ciò che facevano la commissione Pro Russia stabilita dalla Congregazione per le Chiese Orientali nel 1925 a Roma, e il suo capo Michel d’Herbigny. In quel tempo ebbe luogo anche la fondazione di una diocesi cattolica nell’Estremo Oriente della Russia.

Speravamo che il Vaticano II avesse messo fine a questa politica verso la Russia e gli ortodossi russi quando descrisse la Chiesa Ortodossa come una Chiesa sorella. Questo cambiamento di attitudine verso di noi fu confermato dai 25 anni post-conciliari in cui si è tenuto un intenso dialogo teologico tra le due Chiese, e ci siamo trovati uniti di fronte a sfide provenienti da un mondo che perde la fede.

Segnali deludenti sono apparsi durante gli eventi della fine degli anni ’80 e dei primi anni ’90. La legalizzazione dei greco-cattolici in Ucraina occidentale è stata accompagnata dall'espulsione forzata degli ortodossi dalle loro chiese. Le chiese che appartenevano agli uniati prima della Seconda Guerra Mondiale erano state usate dagli ortodossi per cinquant'anni. Il compito era di trovare un modo ragionevole e privo di conflitti per uscire da quella difficile situazione che si era sviluppata come conseguenza dei tragici eventi della metà del XX secolo. La Chiesa Ortodossa Russa propose alla parte cattolica una soluzione di dialogo, e in breve si stabilì una commissione quadrupla che consisteva di rappresentanti della Chiesa Ortodossa Russa e di quella Ucraina, della Chiesa Greco-Cattolica e del Vaticano. I greco-cattolici, tuttavia, si ritirarono unilateralmente dalla commissione e continuarono la loro barbara campagna di severe persecuzioni contro gli ortodossi. Il Vaticano non è riuscito a fermare i greco-cattolici nel loro zelo insensato, anche se questo conflitto è uno dei due temi che si è iniziato a discutere urgentemente durante tutti i colloqui ufficiali con il Patriarcato di Mosca.

Il secondo tema era quello del summenzionato proselitismo cattolico. Nei primi anni ’90, un flusso di missionari, inclusi quelli cattolici fece ressa nello spazio religioso ora aperto dell'ex-Unione Sovietica. Questo ci ha fatto pensare se fosse appropriato usare il termine “Chiesa sorella”. Ma a quel tempo la parte ortodossa non abbandonò la sua intenzione di appianare i problemi esistenti in spirito di pace: incontri ufficiali tra delegazioni della Chiesa Ortodossa Russa e della Chiesa Cattolica Romana si sono tenuti molto spesso, quasi annualmente. Gli ultimi due hanno avuto luogo nel Novembre 1999 e nel Giugno 2000, con il prossimo incontro programmato per il febbraio di questo stesso anno. Il rimprovero di mancanza di desiderio di dialogo, mosso alla nostra Chiesa dal Cardinale Kasper, appare non corretto. Il problema è che questi incontri sono stati di fatto infruttuosi, dato che nel corso degli stessi incontri gli stessi temi – il conflitto nell'Ucraina occidentale e il proselitismo – sono stati discussi e sono stati presi certi impegni, ma la parte cattolica non si è affrettata a metterne qualcuno in pratica. Nondimeno, abbiamo continuato a stare pronti ai negoziati fino alla decisione del Vaticano di febbraio riguardo alle diocesi.

La nostra Chiesa ha condotto un dialogo con i cattolici russi. Fino a tempi molto recenti, avevamo nel nostro paese un Comitato Consultivo Interconfessionale Cristiano, presieduto congiuntamente dall’Arcivescovo T. Kondrusiewicz e dal Metropolita Kirill. Riponevamo grandi speranze nel lavoro di questo organismo, ma ora, dopo tutto ciò che è accaduto, il suo futuro è dubbio.

Vi sono tutte e le ragioni per dichiarare che la decisione del Vaticano sulle diocesi cattoliche in Russia è divenuta un vero disastro interconfessionale. Questo non è solo un conflitto tra la Chiesa Ortodossa Russa e la Chiesa Cattolica Romana, ma anche tra l’Ortodossia e il Cattolicesimo nel mondo. Il tentativo di presentare il conflitto come se fosse stato generato dall’“inflessibilità” della Chiesa Russa non ha prospettive, come non ne ha il desiderio di dividere le Chiese Ortodosse in “buone” e “cattive”, quelle aperte al dialogo con i cattolici e quelle inclini all’isolazionismo. Il Cardinale Kasper cita come esempio positivo la Chiesa Ortodossa di Antiochia. Ma il Patriarcato di Antiochia è stato il primo a condannare l’azione del Vaticano in Russia! E il Papa e Patriarca di Alessandria ha mandato persino una lettera al Papa di Roma, sostenendo pienamente la posizione della Chiesa Ortodossa Russa sull’istituzione delle diocesi cattoliche nel nostro paese. Sostegno per la nostra Chiesa è stato pure espresso dai patriarchi ortodossi di Serbia, Bulgaria e Romania e dal primate della Chiesa Ortodossa Polacca.

Pertanto, non è la “cattiva” Chiesa Russa ad aver fermato il suo dialogo con i cattolici, come ha scritto il Cardinale Kasper, ma è stato il Vaticano a iniziare un conflitto tra le due grandi tradizioni cristiane in un momento cruciale di crisi globale della civilizzazione. La situazione causata dall’istituzione di nuove strutture cattoliche in Russia ha molto in comune con quella degli inizi del XIII secolo, in cui patriarcati latini paralleli sono stati fondati durante le crociate nell’Oriente ortodosso. La cosa davvero coerente è qui si fa penitenza per le crociate di quel tempo, mentre si rianimano trucchi e metodi antiquati per riportare le nostre relazioni a quel periodo. Naturalmente, nessuna Chiesa Ortodossa locale sarà in grado di affrontare la situazione con calma.

Non è oggi, comunque, che è sorto il problema: lo sviluppo generale delle relazioni tra il Vaticano e le Chiese Ortodosse è stato ultimamente tutt’altro che liscio. Sia sufficiente ricordare il fallimento della sessione plenaria della Commissione Internazionale Congiunta di Dialogo Teologico tra Gli Ortodossi e la Chiesa Cattolica Romana che ha avuto luogo a Baltimora, USA, nel Luglio 2000. Il tema di quella sessione era lo status delle Chiese Uniati. Le differenze tra le parti ortodossa e cattolica erano tanto grandi che non si è mai raggiunta una risoluzione mutuamente accettabile. Già a quel tempo era chiaro che una seria crisi era scoppiata nelle relazioni tra le chiese.

E’ ancor più evidente che questa crisi è rovinosa in un tempo in cui i cristiani in Oriente e in Occidente dovrebbero essere uniti quanto mai prima di fronte a processi pericolosi che hanno luogo nel mondo. Questi sono il regno dello spirito materialistico e consumistico, la dominazione del liberalismo totale che oblitera i valori tradizionali, la perdita di orientamento morale, la crescente minaccia di estremismo, terrorismo e altre manifestazioni di inimicizia interpersonale, e un’incredibile amarezza e collera. Dovremmo dare una risposta cristiana unita alle nuove realtà politiche – la globalizzazione dell’economia mondiale, l’internazionalizzazione della legge e dei meccanismi decisionali e l’unificazione dell'Europa. L’assenza di ogni menzione di valori religiosi nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, recentemente adottata, è allo stesso modo un nostro comune fallimento.

In questa situazione, i cristiani tradizionali, primi tra tutti ortodossi e cattolici, dovrebbero fermamente esortare l’umanità a ritornare ai fondamentali valori spirituali e morali, e reiterare Cristo e il Vangelo come le fondamenta più affidabili per un giusto e armonioso ordine sociale. Dobbiamo anche opporci risolutamente ai tentativi di mettere la religione ai margini della vita internazionale e sociale, di confinarla entro una cornice di comunità parrocchiale, casa privata o “ghetto” etnografico. A tal fine, la Chiesa dovrebbe avere la risolutezza di cambiare il mondo non nascondendosi dietro a uno schermo di slogan secolari e di costruzioni mentali ad essa alieni, siano essi il “pluralismo”, il “tempo appropriato” o “la separazione dall’era costantiniana” a cui si riferisce il Cardinale Kasper. La terminologia delle Sacre Scritture e dei Santi Padri è estremamente precisa, e quando è sostituita da nozioni alla moda e popolari di “questa epoca” la Chiesa perde acutezza di visione, divenendo temporale e apatica, e in ultimo fallisce nella propria missione. E’ deplorevole sentir giungere talvolta da Roma inflessioni da mentore, specialmente quando ci insegna la libertà di coscienza e il pluralismo religioso, dimenticando che questi possono essere a volte distruttivi sia per la società che per l’individuo se non sono bilanciate dall’opzione per la verità e la bontà – opzione non accidentale ma coltivata dalla propria tradizione spirituale.

In Vaticano comprendono che, usando in una discussione inter-ecclesiale argomentazioni prese in prestito da dottrine sviluppate al di fuori della tradizione della Chiesa come risultato di sviluppo filosofico, e ispirate in molti modi dall’idea di liberarsi dall’influenza religiosa, essi indeboliscono, volontariamente o involontariamente, la loro stessa posizione? In Vaticano comprendono che la devastazione del dialogo inter-ecclesiale e le azioni anti-ortodosse sono a vantaggio delle forze che cercano di indebolire, umiliare e marginalizzare il cristianesimo? Il modo in cui molti mass media hanno coperto l’opera della Chiesa Cattolica ne sembra una prova. Noi i media li seguiamo attentamente, e non abbiamo notato di recente alcuna speciale solidarietà mostrata dalla stampa verso il Vaticano eccetto che per un singolo caso – il suo confronto con la Chiesa Ortodossa Russa. Qui il sostegno è dalla parte del Vaticano. In tutto il resto, la Chiesa Cattolica è criticata e accusata di vari peccati.

Sfortunatamente, Roma ha ceduto alla tentazione di una facile espansione nel campo della Chiesa Ortodossa Russa. E il risultato è stato il tracollo delle nostre relazioni. E’ uno dei più grandi sbagli fatti dal Vaticano, e già appartiene alla storia. L'inizio del XXI secolo sarà così sempre ricordato come tempo di tragedia nelle relazioni tra le nostre due Chiese. Questo errore storico è difficile da rettificare per mezzo di passi diplomatici, attività politica o retorica propagandistica. La ferita è seria, e sorge la domanda: chi ha inflitto la ferita è in grado di curarla? Ma noi siamo fiduciosi che il Signore la curerà scegliendo persone capaci di comprendere tutto il danno fatto a entrambe le Chiese da ciò che è accaduto.

Rivolgendosi ai suoi discepoli Cristo chiese loro se sono in grado di bere dalla coppa dalla quale Egli stesso beve. Queste parole del Salvatore sono dirette a tutti noi, ortodossi e cattolici. Se in obbedienza al Signore beviamo oggi insieme a quella coppa, allora, credo, il mondo potrà essere diverso. So che moltissimi cattolici condividono questa fiducia e sono pronti, insieme ai loro fratelli e sorelle ortodossi, ad agire in consapevolezza della propria responsabilità di fronte a Dio, alla storia e all'umanità. In queste azioni sta la garanzia non solo della riconciliazione, ma anche la restaurazione dell’unità della Chiesa per la quale il Salvatore pregò nel Getsemani.

 
Miracoli della mano di santa Maria Maddalena

Alcuni miracoli della mano sinistra incorrotta di santa Maria Maddalena (festa: 22 luglio/4 agosto)

 

Tra le molte reliquie del monastero di Simonopetra sul Monte Athos c'è la mano sinistra della santa mirofora Maria Maddalena. È il tesoro più sacro di Simonopetra. Questa mano è incorrotta, effonde un profumo celestiale, emana un calore corporeo come se fosse ancora in vita, e opera molti miracoli. A causa di questi molti miracoli, Santa Maria Maddalena è onorata con grande rispetto dai monaci di Simonopetra, i quali la ritengono la seconda fondatrice del santo monastero. Di seguito sono riportati alcuni esempi delle grazie che promanano da questa santa reliquia:

1. Nel 1945 un grande incendio ha avuto luogo nelle foreste del santo monastero di Iviron. Il vento era molto forte e nel giro di poche ore il fuoco ha raggiunto il crinale al confine con i monasteri di Iviron, Philotheou, Xiropotamou e con la foresta di Simonopetra. Tutti credevano i boschi sarebbero stati distrutti. I monaci di Simonopetra sono accorsi alla foresta dove era scoppiato il fuoco. Due pii ieromonaci di nome Neophytos e Panteleimon hanno portato con loro la santa reliquia di santa Maria Maddalena. Nessuno dei monaci ha osato avvicinarsi al fuoco, per non rischiare di essere circondati e non essere più in grado di fuggire. Tuttavia, mentre i due fratelli si avvicinavano al fuoco con la sacra reliquia, l'incendio è stato trattenuto. I sacerdoti hanno iniziato un servizio di benedizione delle acque e poi hanno proseguito con un servizio di supplica a santa Maria Maddalena. Nel tempo in cui sono stati officiati i servizi, l'incendio è stato completamente spento, con grande meraviglia dei padri che erano tutti riuniti lì come testimoni.

2. Un miracolo simile a quello di cui sopra si è verificato nelle foreste di Simonopetra con la santa reliquia di santa Maria Maddalena nel 1947.

3. Nella regione di Galatista di Thessaloniki nel 1911 sono apparsi vermi che hanno iniziato a distruggere le piante. I residenti hanno richiesto la santa reliquia di santa Maria Maddalena e un servizio di benedizione dell'acqua santa. I vermi hanno iniziato subito a scomparire.

4. Nel 1912 nella regione di Epanomis di Thessaloniki sono apparse molte locuste. I residenti hanno richiesto la santa reliquia di santa Maria Maddalena. Dopo il completamento di un servizio di benedizione dell'acqua santa e un servizio di supplica a santa Maria Maddalena, le locuste sono scomparse. I residenti onorano altamente santa Maria Maddalena fino a questo giorno per quel miracolo.

 

 
Cos'è la "(im)purità della donna" e come la tratta la Chiesa. I diritti delle donne cristiane nel periodo del ciclo mestruale

Motto: Se una donna muore di parto, la consideriamo santa,

come una che ha dato la sua vita per portare una nuova persona nel mondo,

ma se è ancora viva, noi osiamo chiamarla "impura" per 40 giorni.

Povera donna! Allora cos'è meglio per lei?

Molte volte mi hanno posto domande sui diritti e i doveri delle donne nel "periodo di impurità mensile" e, avendo accumulato alcuni materiali, ho deciso di formulare una risposta.

I. La cosiddetta "impurità mensile" (mestruazioni) e "impurità delle donne che hanno partorito" sono concetti incompatibili con il cristianesimo, soprattutto perché sono processi fisiologici inevitabili, senza i quali una donna non potrebbe diventare madre! Il flusso di sangue dal corpo della donna non è impurità, al contrario, è una purificazione del suo organismo che non influisce sullo stato spirituale di una donna, ma è esattamente come il flusso della mucosa nasale o lo spargimento delle lacrime, che sono anch'essi processi di purificazione. Il fatto che tale pulizia presuppone una perdita di sangue, non cambia troppo i termini del problema, soprattutto oggi, quando le misure igieniche prevengono ogni ​​spargimento di sangue in spazi pubblici o privati.

II. Sulle implicazioni teologiche della cosiddetta "impurità rituale", esiste un ottimo studio di madre Vassa Larina (ora tradotto anche in romeno). Ho notato che in questo studio manca una citazione importante su questo argomento, vale a dire il capitolo 27 del libro VI delle Costituzioni Apostoliche - testo su cui torneremo qui sotto.

III. In accordo con le due fonti di cui sopra possiamo formulare le seguenti conclusioni:

1) In qualsiasi momento del mese, anche durante il ciclo mensile, una donna può entrare in chiesa e partecipare a tutte le funzioni. Il vecchio divieto di entrare in chiesa era legato al fatto che in passato, in generale, non si consentiva la presenza alla Liturgia a coloro che non si comunicavano, ma anche perché, a causa della mancanza di adeguate misure igieniche, il sangue mestruale poteva essere versato anche in chiesa. Già da più di mille anni, la Chiesa ammette la presenza alla Liturgia di quelli che non si comunicano. D'altra parte, da diversi decenni sono state inventate misure sanitarie che praticamente escludono le macchie di sangue in chiesa.

2) Battesimo ed eucaristia sono proibiti durante questo periodo (perché il sangue di Cristo santifica il nostro sangue e se ne deve evitare lo spargimento), ma non gesti come baciare le icone,  leggere la Bibbia, accendere candele o lampade e anche consumare l'antidoro o l'acqua benedetta. In moltissimi monasteri femminili, soprattutto in Grecia, le monache durante il ciclo mestruale prendono il pane benedetto e bevono l'acqua benedetta – pratica più difficilmente accettata in ambienti parrocchiali e, ironia della sorte, non da parte dei sacerdoti, ma delle donne stesse. Ma dobbiamo essere chiari sul fatto che il pane benedetto (chiamato più correttamente "antidoro") si da proprio a quelli che non si possono comunicare, e l'acqua santa è benedetta e utilizzata specificamente per rimuovere tutte le impurità. Poiché il Molitfelnic (Eucologio) prevede riti per aspergere gli animali con acqua benedetta, a maggior ragione una donna (che è fatta a immagine di Dio) può prendere l'acqua benedetta anche durante il periodo naturale legato alla sua maternità. È bene che a questo riguardo si tenga conto anche del parere del confessore (sperando che anche il confessore abbia fatto una retta valutazione). Considero che i misteri del matrimonio e dell'olio santo durante questo periodo si dovrebbero compiere con la benedizione del confessore (tanto più che anche questi sacramenti dovrebbero essere collegati alla comunione eucaristica).

3) Subito dopo il ciclo mestruale, senza attendere un certo numero di giorni (tranne forse uno, per sicurezza), la donna potrà comunicarsi di nuovo. E nel caso di emorragia a lungo termine, che non è il risultato del normale ciclo mestruale, ma piuttosto una malattia, la donna si può comunicare anche con queste fuoriuscite di sangue (come si comunicano anche gli altri feriti negli ospedali). Si conoscono molti casi in cui le donne sono state curate da forme di emorragia proprio grazie alla comunione al corpo e al sangue di Cristo. Questi sono casi eccezionali, che non devono diventare la regola, ma la loro esistenza non dovrebbe tuttavia essere esclusa.

4) Nel periodo dopo la nascita, la donna ha una sorta di "ferie liturgiche", e ha il diritto di non andare alle funzioni per recuperare la salute fisica. Di solito, 40 giorni dopo il parto, la donna viene in chiesa per farsi leggere le preghiere di rientro nella chiesa. E se il battesimo del bambino avviene dopo la lettura di queste preghiere, la madre può assistere al battesimo del loro bambino senza alcun problema. Se la donna è sana e si è fermato ogni tipo di emorragia, può andare a chiedere le preghiere di rientro in chiesa anche prima dei 40 giorni. Ma anche in questo non si dovrebbero permettere esagerazioni.

Di seguito è riportato il testo delle Costituzioni Apostoliche (che ho citato al punto II):

Se mantengono le usanze ebraiche in materia di spargimento del seme, polluzioni nei sogni e relazioni carnali secondo la legge (Levitico 12;15; 22), ci dicano se nelle ore e nei giorni in cui soffrono queste cose si astengono dal pregare, dal ricevere l'Eucaristia o dal toccare il Libro, e se dicono di sì, è evidente che sono privi dello Spirito Santo che rimane sempre nei credenti, poiché Salomone dice dei pii che siano pronti: "Sia quando dormono, a custodirlo, sia quando si alzano, a parlare con lui " (Proverbi 6:22). Infatti, se ritieni, o donna, che quando sei nei sette giorni delle tue perdite (Levitico 3:12), sei priva di Spirito, allora, se muori inaspettatamente quando sei priva di Spirito vuoto andrai a Dio senza osare di avere speranza. Dal momento che sicuramente lo Spirito è con te in modo inseparabile, perché egli non abita in un luogo, allora hai bisogno della preghiera e della visita dello Spirito Santo, perché in questo stato non hai commesso alcuna iniquità. Infatti né i rapporti legittimi, né il parto, né i flussi di sangue, né le perdite notturne possono contaminare la natura umana o separarla dallo Spirito Santo, ma solo l'incredulità, l'empietà e i comportamenti illeciti. Perché lo Spirito Santo rimane sempre in coloro che l'hanno acquisito, per tutto il tempo che ne saranno degni, e quelli che se ne separano diventano vuoti e preda dello spirito maligno. Ma ogni uomo è pieno o dello Spirito Santo o dello [spirito] immondo ed è impossibile liberarsi di entrambi, se non interviene qualcosa di contrario, perché il Consolatore odia ogni menzogna (At 5,3), e il diavolo odia ogni verità (Giovanni 8:44). Ma chiunque sia stato battezzato è veramente separato dallo spirito diabolico ed è nello Spirito Santo, e finché compie il bene lo Spirito Santo lo ricolma di saggezza e comprensione, e lo spirito maligno non lo può avvicinare perché osserva i suoi attacchi. Quindi se tu, donna, come dici, nei giorni dei tuoi flussi sei vuota dello Spirito Santo, allora sei colma dello spirito impuro; Perché non pregando, né leggendo, lo chiami senza volerlo, perché ama gli ingrati, i pigri, i distratti, gli assonnato, perché anche lui, malato di ingratitudine, è stato spogliato della sua dignità da Dio e ha scelto di essere diavolo invece che arcangelo. Pertanto astieniti, donna, da vane parole, ricordati sempre di Dio che ti ha creata e pregalo come Signore tuo e di tutto, e medita sulle sue leggi, a prescindere da qualunque pratica legata alla purezza naturale o ai rapporti leciti o al parto o alle perdite, o alla contaminazione del corpo, perché tali pratiche sono invenzioni vane di pazzi e non hanno alcun significato. In modo simile né la sepoltura di un uomo, né le ossa dei morti, né le tombe, né qualsiasi cibo, né eventuali perdite nei sogni possono contaminare l'anima, ma solo l'incredulità in Dio, l'illegalità e l'ingiustizia verso il prossimo, vale a dire i rapimenti, la violenza o altre cose contrarie alla giustizia, l'adulterio o la fornicazione.

[Ho citato da: Le Costituzioni Apostoliche, libro VI, cap. 27, in "Canonul Ortodoxiei" (diacono Ioan Ică Jr.), Vol. 1, Ed. Deisis 2008, pp 707-708.]

P.S. Non escludo che questo problema possa portare a discussioni contraddittorie, ma credo che sia stato importante presentare anche questo punto di vista, generalmente dimenticato, anche se è giustificato alla luce del Vangelo e di molte fonti canoniche e patristiche antiche.

Se qualcuno vuole attenersi alle regole nuove (!), che si trovano ancora in uso da noi, che escludono le donne da qualsiasi partecipazione liturgica nel ciclo mestruale, non ha che farlo, ma senza giudicare coloro che hanno una coscienza più robusta e sono in grado di superare i resti giudaici e pagani nella loro vita cristiana.

 

Continuazione di questo articolo (in risposta ad alcuni commenti)

Ancora sulla "impurità delle donne" e non solo...

Ho notato un crescente interesse per il tema del ruolo delle donne nella Chiesa nel periodo del ciclo mestruale. Era naturale che accadesse, dal momento che centinaia di vescovi e migliaia di sacerdoti nel mondo ortodosso (inclusa la Chiesa ortodossa romena) non sono mai stati d'accordo con il divieto d'ingresso alle donne in chiesa durante il ciclo mensile.

Come ho mostrato anche nel precedente articolo, un tale approccio può essere considerato un approccio "liberale" nei confronti del Vecchio Testamento, ma allo stesso tempo, è tradizionale e autentico per la Chiesa del Nuovo Testamento.

Come al solito, non sono mancate le critiche e le accuse di eresia o, quanto meno, di follia. E se sulle accuse e sugli attacchi personali posso passare facilmente, essendo vaccinati contro la stupidità, quando si tratta accuse di idee eretiche o folli credo di dover argomentare la mia posizione, perché davvero non voglio seminare malintesi, confusione e follia tra il clero e i fedeli. Inoltre, mi scuso se ho sconvolto o offeso qualcuno in queste discussioni virtuali, soprattutto perché non l'ho fatto intenzionalmente, e neppure per desiderio di difendermi da solo, ma piuttosto per necessità di chiarire la situazione ai dilettanti a cui rivolgo questa risposta...

Porterò alcuni argomenti a riconferma della mia posizione precedente. Se tutti avessero letto attentamente lo studio della madre prof. Vassa Larina e il testo delle Costituzioni Apostoliche (indicati nel precedente articolo), forse non avrebbero bisogno di questi chiarimenti. Ma ora, quando sono già state postate centinaia di commenti sul tema, devo completare il discorso con le seguenti dichiarazioni:

I. Ogni volta che c'è un articolo che genera un "brainstorming teologico", anche se non ha nulla in sé di eretico o di folle, improvvisamente emergono i "legionari ortodossi", che, privi di una cultura del dialogo, per non parlare di una formazione teologica, cominciano ad accusare e a fare vari paragoni inappropriati come "chi sei tu per contraddire padre Cleopa?". È come chiedere: "Chi è più grande, Mihai Eminescu, Albert Einstein o Alessandro il Macedone?" Beninteso, ognuno è stato grande nel suo campo, ma il loro confronto è semplicemente impossibile. Così è nella Chiesa, dove in sostanza ci sono 3 tipi di autorità, che idealmente dovrebbero essere uno solo, ma in realtà questo accade raramente e spesso persone con diversi carismi, cooperano in modo fruttuoso al bene della Chiesa, senza disconoscersi l'un l'altro (cfr. I Corinzi, cap. 12). Si tratta dell'autorità canonica (concili e gerarchie), dell'autorità teologico-scientifica e dell'autorità spirituale. Come ho detto, sono esistite poche persone nella storia della Chiesa che sono riusciti ad imporsi in tutti e tre questi aspetti (forse Atanasio il Grande, Basilio il Grande, Gregorio il Teologo, Gregorio di Nissa, Giovanni Crisostomo, Gregorio Palamas e forse pochi altri – ma neppure loro si sono distinti in modo uguale in tutto), e Padre Cleopa, a mio parere, non può essere annoverato questi, per la semplice ragione che non è stato vescovo della Chiesa, mentre dal punto di vista teologico è stato un ottimo autodidatta, ma nulla di più. Non è il caso che enumeri le sue lacune teologiche, soprattutto dal momento che queste non incrinano affatto la sua autorità spirituale e la sua possibilità di essere annoverato tra i santi! Finora, la Chiesa non ha mai ritenuto che i santi siano infallibili, ma solo i Concili Ecumenici della Chiesa! Quindi, è molto chiaro che io non pretendo l'infallibilità, e se qualcuno vede in me un'autorità certamente ha più diritto di vederne una teologico-scientifica piuttosto che una spirituale, il che non significa che un teologo (in senso scientifico del termine) è fin dal principio un uomo senza preoccupazioni spirituali, soprattutto se è anche un monaco. E penso che lo stesso sia vero nel caso di madre Vassa Larina, una giovane poliglotta e molto erudita, che ha scritto numerosi studi scientifici sulla liturgia e non solo, studi nei quali non fa altro che presentare le fonti antiche, ma non in modo selettivo, come fanno alcuni, ma in modo completo e studiato in parallelo. Ecco perché ho detto che il suo studio sul tema della "impurità rituale" è molto buono.

Quindi, tornando al tema delle donne nel periodo mestruale, so benissimo che padre Cleopa aveva un'opinione diversa da quella da me esposta. E allora? Abbiamo un'ufficializzazione del suo parere a livello pan-ortodosso? O magari i padri spirituali romeni sono stati tutti esattamente della stessa opinione? No! Allora perché non prendiamo in considerazione anche le altre autorità: opinioni canoniche e teologico-scientifiche oppure le opinioni di altre personalità spirituali? Ecco, per esempio, il patriarca Pavle di Serbia (citato da Vassa Larina), che senza dubbio non era solo un grande gerarca della Chiesa, ma anche un buono studioso, e un uomo di grande livello spirituale, considerava che le donne possono entrare in chiesa nel periodo mestruale e anche prendere l'antidoro e l'acqua santa. Che facciamo in questo caso con Padre Cleopa? Lo ignoriamo o lo anatemizziamo? Ma certo che no! Potrebbe darsi che alcuni principianti abbiano bisogno proprio della posizione di padre Cleopa, ma questo non significa che tale posizione sia l'unica e che diventi automaticamente normativa per tutti. Niente affatto ! Ed ecco perché...

II. Alcuni "legionari ortodossi" sono usciti fuor con l'accusa che coloro che permettono alle donne di entrare in chiesa durante il periodo mestruale violano e aboliscono il testo biblico di Levitico 15, che parla molto chiaramente dei divieti nel loro caso. Contro questa accusa, basata su un unico testo biblico, vengo con altre 5 accuse contrarie.

1. Il Concilio Apostolico ha annullato le disposizioni levitiche, stabilendo che i cristiani evitino unicamente le offerte agli idoli, la fornicazione, non mangino animali soffocati e non bevano sangue (Atti 15:20,29). Se l'Antico Testamento è rimasto in vigore in tutti i suoi aspetti, i "legionari ortodossi" dovrebbero non solo farsi circoncidere, ma secondo lo stesso libro del Levitico (cap. 11) non dovrebbero mangiare carne di maiale o coniglio e celebrare la Pasqua e le altre feste come fanno gli ebrei.

2. Quando una donna con una perdita di sangue ha toccato Cristo, il Signore non l'ha rimproverata (come avrebbe dovuto fare secondo Levitico 15), ma ne ha elogiato la fede (cfr. Matteo 9:20-22). Chi può essere considerato un migliore esecutore della legge che non il legislatore stesso?

3. In un altro punto nel Vangelo (Matteo 15,17-20) il Salvatore mostra chiaramente che non sono le cose esteriori a contaminare l'uomo, ma quelle che vengono dal cuore: i pensieri malvagi, gli omicidi, gli adulteri, le fornicazioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie ecc. – queste sono le cose che contaminano l'uomo. Quindi nemmeno le mestruazioni contaminano la donna, altrimenti Cristo non avrebbe elogiato la donna che lo ha toccato ed è guarita.

4. Nella Lettera agli Ebrei (cap. 7-10) san Paolo mostra il carattere simbolico e allegorico di molte prescrizioni levitiche, in particolare quelle relative al tempio e ai sacrifici. Allo stesso modo, molti padri e scrittori religiosi nei primi secoli della Chiesa hanno visto i requisiti della "impurità rituale" come un'allegoria dell'impurità dei peccati.

5. Molte delle prescrizioni della vecchia legge, come quelle sulla lebbra (elencate in Levitico 14, immediatamente prima delle prescrizioni circa le mestruazioni) non avevano alcun valore teologico, ma strettamente igienico, culturale e di civiltà. Il popolo ebraico doveva crescere e moltiplicarsi, affrontando non solo attacchi armati, ma anche le civilizzazioni di altre nazioni intorno a sé, con cui  spesso veniva in contatto ed era tentato di abbandonare la propria fede per attrazione verso le loro civiltà. Proprio per questo, per lo stupore di tutti, Mosè ordinò agli ebrei di portare con loro una pala, e al momento dei loro bisogni fisiologici, di seppellire le feci (Deuteronomio 23:13), perché queste potevano essere fonte di infezione. Finora non ho visto alcun "integralista della Bibbia" andare in giro con una pala. E per favore non ditemi che la regola non è più attuale, perché questo è esattamente quello che ho detto io circa i requisiti concernenti le mestruazioni, nel contesto in cui tutto il mondo civilizzato indossa mutande (cosa che non accadeva magari nemmeno all'inizio del secolo XX) e sono stati inventati nuovi assorbenti per le donne.

III. Un altro argomento dei "legionari" sono i Canoni dei santi Dionigi e Timoteo di Alessandria. Trascurando il fatto che non tutti riescono a capire e interpretare i Canoni, voglio ricordare che contro queste prescrizioni canoniche ce sono altre, a loro opposte:

1. Così come scrive lo studio di madre Vassa Larina, vi è la Didascalia (Antiochia, III secolo), le "Costituzioni Apostoliche" (Antiochia, IV secolo, che contiene non solo il capitolo sulle "impurità rituali", ma anche gli 85 "Canoni apostolici"), e gli insegnamenti di san Gregorio il Dialogo, papa di Roma. Particolarmente rilevante è anche il Canone 1 di sant'Atanasio il Grande, che paragona le perdite di sangue di donne e uomini al naso che cola o agli sputi; e ancora sant'Atanasio afferma che queste perdite non sono un peccato carnale o un'impurità, e quelli che affermano queste cose, sono piuttosto loro ad essere di "mente impura". Quindi tutte queste fonti contraddicono le opinioni dei santi Dionigi e Timoteo. E noi, se non siamo in grado di spiegare questa contraddizione, allora, almeno, dovremmo sapere che la questione della "impurità rituale" non ha avuto un approccio unilaterale, ma che anche i padri avevano opinioni diverse su questo punto.

2. Si invoca inoltre il Canone 28 di san Giovanni il Digiunatore sul quale vorrei fare altrettanto alcune osservazioni. In primo luogo, questi Canoni non appartengono a san Giovanni il Digiunatore, patriarca di Costantinopoli (sec. VI), ma allo ierodiacono Giovanni il Digiunatore di Costantinopoli (cap. IX). Ogni serio professore di diritto canonico lo confermerà, e confermerà anche il fatto che dopo il settimo Concilio ecumenico la disciplina canonica della Chiesa è stata fortemente influenzata da alcune correnti monastiche eccessive e da un ritorno ad alcune prescrizioni levitiche, che furono applicate in modo selettivo. Ad esempio, in questo stesso periodo abbiamo il Canone 38 di san Niceforo il Confessore († 828), che dice quanto segue: "Quando una donna partorisce e il bambino che nasce è in pericolo di morte, questo bambino sia battezzato dopo tre o cinque giorni, ma lo dovrebbe allattare un'altra donna battezzata e pura, e sua madre non entri nella camera da letto dove sta il bambino e in generale non lo tocchi nemmeno fino a quando non sarà completamente pura dopo 40 giorni e non riceverà la preghiera dal prete". Non è noto in che misura questo Canone sia mai stato osservato, ma è chiaro che nella maggior parte dei casi i cristiani di allora semplicemente non avevano case così spaziose da permettere di avere una camera da letto speciale per il bambino in cui la madre non potesse entrare, per non parlare della difficoltà di reperire e, probabilmente, di pagare una balia. Non vorrei parlare del fatto che l'autore del canone non aveva alcuna idea della fisiologia di una donna e del fatto che possa perdere per sempre la capacità di allattare come conseguenza di un tale divieto. Pertanto, e giustamente, alcuni considerano questa disposizione di san Niceforo come misogina e disumana. I canoni precedenti, il 2 di san Dionigi di Alessandria († 264), e il 7 del san Timoteo di Alessandria († 385), parlano solo del divieto della comunione alle donne durante impurità mensile (simile a quella post-natale), non del divieto che qualcun altro le tocchi. Ma qui tutto è condotto all'estremo, e nel periodo immediatamente successivo nell'Eucologio appaiono preghiere che parlano dell'impurità delle donne che hanno partorito – testi che negli Eucologi pre-iconoclasti (Barberini 336 gr.) non si incontrano.

3. Osserviamo che nei Canoni di Dionigi e Timoteo non sono previste epitimie per le donne che "violano le regole" in questo periodo, mentre Giovanni il digiunatore le condanna a 40 giorni di astinenza dalla comunione se solo avessero osato toccare oggetti sacri. Inoltre, lo stesso Giovanni il Digiunatore virtualmente "falsifica" i vecchi canoni, perché non Dionigi non cita un termine dei giorni di impurità, e Timoteo di Alessandria dice "non si deve accostare ai sacramenti fino a quando non sarà purificata". Ma Giovanni il Digiunatore dice: "Il Canone 2 di san Dionigi e il 7 di Timoteo comandano alle donne che sono nella purificazione (!) mensile di non toccare nulla di sacro fino al settimo giorno (!). Anche l'Antico Testamento comanda questo..." – così il periodo di sette giorni diventa automaticamente obbligatorio anche per le donne con 2-3 giorni di mestruazioni. E se Dionigi e Timoteo vietano in particolare la comunione ai Santi Misteri, la regola di Giovanni il Digiunatore è estesa anche a toccare gli oggetti sacri. E sempre lui fa riferimento al Vecchio Testamento, anche se i Padri precedenti non facevano riferimenti al libro del Levitico.

4. Sommando tutte queste cose, ci rendiamo conto che la disciplina canonica della Chiesa non è solo complessa, ma anche molto varia. Pertanto, in alcune Chiese ortodosse locali, le donne mestruate sono ammesse non solo a entrare in chiesa e a prendere l'antidoro e l'acqua santa, ma anche a ricevere la comunione. A questo proposito io seguo una via di mezzo. Ma se qualche vescovo o prete permette alle donne di comunicarsi nel periodo del ciclo (e conosco molti di coloro che seguono questa linea, anche nella Chiesa ortodossa romena), credo che abbiano abbastanza argomenti teologici e spiegazioni fisiologiche per farlo. Io, invece, seguendo i miei padri spirituali, ho ancora qualche riserva su questo e permetto la comunione solo in caso di emorragie patologiche, non anche in un periodo mestruale normale.

* * *

Spero che dopo questi chiarimenti supplementari si plachino gli spiriti, e chi vuole continuare una discussione costruttiva e civile può contare sulla mia apertura in questo senso. Inoltre, spero che la gerarchia porti questo problema anche al Santo Sinodo, per corredare le nostre argomentazioni teologico-scientifiche con un'autorità canonica indiscutibile. E i padri con autorità spirituale preghino per noi, perché Dio ci protegga dagli errori e ci guidi a sbarazzarci dalle passioni...

 
Il Sinodo della ROCOR sul caso dei consigli in Internet di suor Vassa Larina

New York, 19 luglio 2017

Comunicato circolare dalla cancelleria del Sinodo dei Vescovi

Il Santo Sinodo, avendo ricevuto il testo recente di uno scambio di posta elettronica, datato 2 luglio 2017, tra la monaca Vassa (Larina) e una corrispondente intitolato "EMAIL OF THE WEEK: (from a mother, on MY SON IS HOMOSEXUAL)", insieme alla corrispondenza che ne è seguita, anch'essa postata pubblicamente l'8 luglio 2017, è tenuto a confermare al suo gregge e a tutti i cristiani ortodossi che i consigli in esso contenuti sono in contraddizione con l'insegnamento della Chiesa sulla sessualità, il pentimento e la vita di famiglia. Non rappresenta una comprensione ortodossa dell'antropologia o della teologia e nei consigli che propone di offrire presenta un grave pericolo spirituale per coloro che li seguiranno, sia per la propria comprensione della sessualità sia per la crescita dei figli.

Anche se non è la norma rispondere dall'ufficio del Santo Sinodo ai materiali pubblicati su Internet, in questo caso l'ampio numero di lettori delle varie risorse pubblicate da quest'autrice, che è una monaca ortodossa, ha il potere di indurre in errore i lettori, e perciò ci sentiamo costretti a offrire una breve spiegazione ai fedeli. Dovrebbe essere chiaro agli uomini e alle donne di fede che il mero riconoscimento verbale, per quanto riguarda l'omosessualità, che "viverla attivamente è un peccato" non è sufficiente a far sì che il testo sia in linea con l'insegnamento ortodosso alla luce del Vangelo, quando lo stesso testo paragona comunque l'omosessualità in numerosi luoghi a "un dono e una croce data da Dio" e parla del "dono e croce della (omo)sessualità" – suggerendo, in totale rigetto di ogni insegnamento cristiano, che questo o qualsiasi altro comportamento che Dio identifica come peccaminoso può essere il suo deliberato dono a qualcuno (cadendo quindi nella trappola sociale del suggerire che "Dio mi ha fatto in questo modo"); inoltre, suggerisce che una tale caduta nel peccato "non è una scelta"; e ancora, piuttosto che incoraggiare un genitore di un figlio che si identifica come omosessuale ad aiutarlo, con la cura amorosa della Chiesa, a pentirsi e a cercare la guarigione e la redenzione dell'anima e del corpo e la pienezza della vita, suggerisce invece che il figlio sia incoraggiato a rimanere nel suo peccato come "umile presenza nella sua parrocchia", paragonando falsamente il conseguente ritiro dai santi misteri con l'esempio di santa Maria Egiziaca, la cui lunga lotta senza santa comunione non era dovuta al suo rimanere nel peccato ma all'estrema convinzione del suo totale pentimento; o ancora peggio, suggerisce che i genitori di un tale figlio dovrebbero cercare una parrocchia che deliberatamente e con consapevolezza "accetta il particolare dono e croce di vostro figlio", ancora una volta attribuendo all'omosessualità il carattere di dono di Dio, incoraggiando allo stesso tempo l'allontanamento dalla trasformazione ascetica e la ricerca di una comunità che abbandoni volontariamente l'insegnamento del Vangelo sul pentimento, permettendo consapevolmente ai fedeli di languire nel loro peccato piuttosto che di essere curati.

In questi tempi spiritualmente confusi, quando molti sono sviati da norme sociali che impiegano la pretesa della compassione per abbandonare l'ordine della creazione e gli insegnamenti di Cristo, che sono l'unica vera fonte di autentica compassione e genuina guarigione spirituale, non ci può essere spazio per l'ambiguità o la falsa testimonianza su tali questioni critiche. Solo il Vangelo, che Cristo proclama nella sua Chiesa, fornisce una vera medicina spirituale; Tutte le deviazioni dal suo messaggio datore di vita contribuiscono solo alle ferite e alle malattie di una società già sotto assedio.

Noi chiediamo quindi che i contenuti di questi materiali diffusi in pubblico siano ignorati dai fedeli come contrari agli insegnamenti del Vangelo e pastoralmente dannosi; che siano ritirati e rimossi da qualsiasi sito web o pubblicazione che cerchi autenticamente di rappresentare l'insegnamento teologico e pastorale ortodosso; e che in futuro tali materiali siano trattati con estrema riservatezza e cautela.

 
L’Ortodossia in Indonesia: Intervista all’archimandrita Daniel (Byantoro)

L’archimandrita Daniel (Bambang Dwi Byantoro) è il primo prete e missionario ortodosso nell’Indonesia contemporanea. Nel febbraio 2005, la missione di cui Padre Daniel è a capo è passata dal Patriarcato di Costantinopoli alla Diocesi di Australia e Nuova Zelanda della Chiesa Russa all’Estero. Nei suoi anni di servizio in Indonesia, padre Daniel è stato in grado di convertire circa 2000 persone all’Ortodossia.

L’Indonesia è per grandezza il quinto stato del mondo, con una popolazione di 220 milioni, ed è la prima per numero di musulmani (quasi il 90% degli indonesiani sono musulmani).

Nel VII-VIII secolo, I primi missionari cristiani da Antiochia (Siria) hanno predicato in Indonesia, ma dopo la morte dell’ultimo membro del clero, i residenti locali rimasero quasi senza conoscenze dell’Ortodossia, per l’isolamento politico e geografico. Nel secolo XI, un missionario cattolico vi scoprì discendenti di cristiani, che erano sopravvissuti nonostante circa tre secoli di isolamento. Di quel primo periodo non rimane un singolo documento scritto, ma la tradizione orale ha conservato i nomi di tre vescovi locali: Mar Yaballah, Mar Abdisho e Mar Dinkha.

Così, nonostante la popolazione musulmana maggioritaria, l’Indonesia possiede davvero delle radici cristiane, deboli ma profonde. La maggior parte degli indonesiani non conosce queste radici, L’archimandrita Daniele insiste a dire che è stata l’Ortodossia orientale ad arrivare prima di ogni altra confessione cristiana.

Ecco il testo dell’intervista rilasciata da Padre Daniele a Thomas Hulbert, pubblicato in Road to Emmaus, 6, estate 2001

 

Quando l’archimandrita Daniel, fondatore della missione ortodossa in Indonesia, è entrato nella piccola libreria di Amsterdam dove ci eravamo dati appuntamento, era appena sceso dall’aereo da Jakarta, un volo di molte ore. Anche se era stanco, non ho potuto convincerlo a sedersi; invece ha ispezionato tutto nella libreria, rallegrandosi visibilmente per le piccole cose. L’incredibile viaggio di padre Daniel dall’Islam all’Ortodossia lo ha portato dall’Indonesia alla Corea, al Monte Athos, agli Stati Uniti e in Europa. L’idea stessa del cristianesimo tradizionale in Indonesia, da lungo tempo un paese dominato dai musulmani, porta in primo piano immagini contrastanti – la colorata cultura del sud-est asiatico abbeverata per secoli con devote pratiche islamiche, e che ora alimenta il seme dell’Ortodossia che si sforza di crescere. Di fatto, la storia di p. Daniel è come una storia che esce dal Vangelo stesso, con i suoi elementi disparati che raggiungono l’armonia in Cristo.

Avevo immaginato che fosse un uomo alto, ascetico ed emaciato, con una preparazione universitaria e studi teologici che mi avrebbero fatto sforzare per seguire il suo pensiero. Invece è un tipo basso e rotonda, con un volto angelico sufficientemente ampio per contenere il suo sorriso quasi continuo e un filo di barba che mi ricordava un saggio orientale. Sono stato subito disarmato dai suoi modi accessibili e pratici, - si è tolto le scarpe e le ha lasciate alla porta, e ci siamo prontamente seduti a pranzo. Eravamo insieme a pochi istanti quando mi sono sentito come in compagnia di un buon amico venuto a visitarmi dopo un lungo viaggio. Presto è apparso un suo aspetto diverso: l’attività incessante di un missionario. Ha fatto telefonate in una varietà di lingue, ha preparato velocemente le valigie per la fase successiva del suo viaggio, e ha controllato la sua e-mail per la corrispondenza missionaria. Anche questa era varia: leader di vari gruppi cristiani che chiedono informazioni su dell’Ortodossia, incontri da concordare, richieste di consulenza pastorale, e, naturalmente, notizie sull’attuale spaventosa persecuzione di cristiani in Indonesia. Eppure non ha mai perso la sua luminosità infantile e i suoi modi rilassati.

 

Thomas: Come ti avvicini alle anime che vengono da te? Se sono musulmani come fai a lavorare con loro e come fai a spiegare la differenza tra cristianesimo e islam? Come fai ad attrarli?

P. Daniel: Penso che in ogni lavoro missionario devi prima di tutto capire la cultura del popolo e devi essere in grado di parlare entro i limiti di quel linguaggio culturale, perché altrimenti la tua parola non può essere ascoltata o capita. Quindi, quando parli con un musulmano, devi comprendere la mentalità musulmana. Non cercare solo di gettare nel discorso parole e frasi familiari ai cristiani, agli ortodossi, perché non saranno capite da un musulmano. Prima di tutto, quando parli a un musulmano, devi sottolineare che Dio è Uno.

Thomas: Perché loro ci credono già?

P. Daniel: Non solo perché loro ci credono già, ma perché accusano noi [i cristiani] di avere tre dèi. Questo è il problema. Quindi, devi chiarire l’equivoco che noi adoriamo tre dèi. Non cercare di usare il nostro linguaggio tradizionale, come Padre, Figlio e Spirito Santo – perché per loro, questi sono tre dèi! Nelle loro menti, il Padre è diverso, il Figlio è diverso, lo Spirito Santo è diverso. Per quanto mi riguarda, sottolineo che Dio è Uno, che questo unico Dio è anche il Dio vivente, ed essendo il Dio vivente ha una mente. Perché se Dio non ha una mente, mi dispiace dirlo, sarebbe come un idiota. Dio deve avere una mente. Entro la mente di Dio c’è la Parola.

Così, la Parola di Dio è contenuta all’interno di Dio stesso. Così, Dio nella sua Parola non è due, ma uno. Dio è completo con la sua stessa Parola, è pregno della Parola. E quella Parola di Dio è stata poi rivelata all’uomo. La cosa che è contenuta all’interno – come essere pregno di se stesso – quando si rivela, si dice che è generata da quella persona. Questo è il motivo per cui la Parola di Dio è chiamata il Figlio: è il bambino nato dall’interno di Dio, ma fuori del tempo. Quindi, è per questo che questo unico Dio è chiamato Padre, perché ha la sua stessa Parola che è generata da Lui, e si chiama il Figlio. Così, Padre e il Figlio non sono due dèi. Il Padre è un solo Dio, il Figlio è la Parola di Dio. Il musulmano crede che Dio ha creato il mondo per mezzo della Parola. Così ciò che il musulmano crede come Parola, è ciò che i cristiani chiamano il Figlio! In questo modo, siamo in grado di spiegare loro che Dio non ha un figlio separato da se stesso.

Così i musulmani vedono la nostra idea di Figlio di Dio in termini di discendenza fisica.

Sì, certo. E Dio non ha un figlio in quel senso, è vero. Egli non genera nel senso di un essere umano che partorisce. È chiamato Padre perché produce da se stesso la sua stessa Parola, e quella Parola è il Figlio.

Quindi, perché Dio è il Dio vivente, deve avere il principio della vita in se stesso. Nell’uomo, questo principio di vita è lo spirito dell’uomo. Dio è lo stesso. Il principio della vita in Dio è lo Spirito di Dio. Si chiama lo Spirito Santo. Ma lo Spirito Santo non è il nome di Gabriele, come ritengono i musulmani. Lo Spirito Santo è il principio vivente, il principio della vita e del potere all’interno di Dio stesso. Questo  Dio unico è chiamato Padre perché egli stesso genera da se stesso la sua Parola, che si chiama il Figlio, e la Parola di Dio è chiamata Figlio, perché è generata dal Padre in modo eterno, senza inizio, senza fine. Questo unico Dio vivente ha anche in sé lo Spirito. Così, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo è un solo Dio. Questo è il nostro modo di spiegare ai musulmani la Trinità, e non dovremmo cercare di utilizzare la nostra lingua di “Padre e Figlio, co-eguali, co-...” qualcosa del genere. Anche se è la nostra terminologia cristiana, non la capiranno. Lo scopo non è fare loro lezione di teologia, ma spiegare la realtà del Vangelo in un modo che sia comprensibile a loro. Questo è il punto numero uno: bisogna essere chiari sulla Trinità.

Il secondo punto è questo: la differenza fondamentale tra islam e cristianesimo riguarda la rivelazione. Nell’islam, Dio non si rivela. Dio manda solo la sua parola. “Rivelazione” nell’islam significa “l’invio dall’alto della parola di Dio” per mezzo dei profeti. E quella parola viene scritta in basso e diventa scrittura. Quindi, nell’islam, rivelazione significa “scritturizzazione” della parola di Dio, mentre nel cristianesimo non è la stessa cosa. Il Verbo è disceso nel grembo della Vergine Maria, si è incarnato e si è fatto uomo. Vale a dire, Gesù Cristo. Così, le due religioni credono che Dio si è comunicato all’uomo per mezzo della Parola, ma la differenza è il modo in cui la Parola si manifesta nel mondo. Nel cristianesimo si manifesta nella persona di Gesù Cristo e nell’islam si manifesta nella forma di un libro, il Corano. Così, il posto di Mohammed nell’islam è parallelo al posto della Vergine Maria nel cristianesimo ortodosso. Ecco perché nell’islam i musulmani rispettano Mohammed, non come un dio, ma come portatore di rivelazioni. Proprio come la Chiesa ortodossa rispetta la Vergine Maria non come una dea, ma come portatrice della Parola di Dio, colei che ha dato alla luce la Parola di Dio. Per coincidenza le due religioni rivolgono entrambe forme di saluto, a Mohammed per i musulmani e alla Vergine Maria per i cristiani. I musulmani hanno anche una sorta di acatisto o paraclisi, ma a Mohammed! Si chiama depa abarjanji – in termini ortodossi sarebbe un “canone” a Mohammed, perché egli è il portatore della rivelazione.

Thomas: E quindi Mohammed è venerato come un santo?

P. Daniel: Sì, è venerato. Molto. Ma ci sono anche i musulmani sufi, che a volte credono che Mohammed fosse “già presente”, come l’equivoco ariano su Cristo. A loro avviso, Mohammed fu la “prima anima creata,” per la quale fu creato il mondo. Questo è chiamato il Nor-Mohammed. Quindi, lo scopo dei mistici islamici è quello di essere come Mohammed, di imitarlo.

Thomas: Per essere portatori della Parola?

P. Daniel: Come lo fu Mohammed.

Thomas: Quindi, è per questo che i mistici sufi non sono così legalisti?

P. Daniel: Sì, sono più mistici.

E così, per noi, l’immagine della Chiesa è la Vergine Maria. Siamo chiamati ad essere come la Vergine Maria nella nostra sottomissione a Dio. La Vergine Maria è il quadro, l’immagine, o forse dovrei dire, l’icona della Chiesa. Mohammed è “ l’icona” dell’uomo ideale musulmano, e per questo il nostro modo di adorazione diverge. Nel cristianesimo, perché il Verbo si è fatto uomo, si è fatto carne, affinché noi siamo uniti con quella Parola dobbiamo essere uniti con il contenuto di quella rivelazione. Qual è il contenuto? L’incarnazione, crocifissione, morte e risurrezione di quella Persona. Per essere uniti con il contenuto di questa rivelazione, dobbiamo essere uniti in quella Persona, vale a dire la morte e la risurrezione di Gesù Cristo. Come? Attraverso il battesimo. E dobbiamo anche essere uniti con la vita della risurrezione del Verbo incarnato. Come? Con lo Spirito Santo, attraverso la Cresima. Così, i sacramenti sono molto importanti per noi, perché Dio si è fatto uomo. Ha santificato il mondo fisico in modo che gli elementi fisici della natura possano essere usati come mezzo con cui ci uniamo con la persona di Cristo nei sacramenti.

Nell’islam, tuttavia, perché la parola diventa un libro, il contenuto del libro è scrittura. Non è carne. Quindi, è per questo che, affinché un musulmano si unisca con il contenuto della duplice rivelazione (che Dio è uno e che Mohammed è il suo profeta) si deve recitare la fonte della rivelazione – perché è un libro. Ma non si può essere unito con un libro o immerso in esso, si può solo memorizzare il contenuto del libro nella forma originale, vale a dire in arabo. Quindi, la scrittura araba è la forma di quella rivelazione. Il Dio-Uomo Gesù è la forma di tale rivelazione nel cristianesimo. Perché una persona sia iniziata alla rivelazione islamica, si deve confessare il credo: “Confesso che non c’è altro Dio all’infuori di Allah, e che Mohammed è l’Apostolo di Allah.” Quando confessi questo, diventi musulmano. Non c’è il battesimo, non sei unito alla morte di nessuno, sei unito solo alla forma della rivelazione. Per rimanere unito alla rivelazione, devi mantenere le preghiere. Nella preghiera reciti il Corano, quindi preghi cinque volte al giorno, cinque volte al giorno ti immergi nel mare della rivelazione divina, che è il Corano. La preghiera è di per sé il sacramento dell’islam. Perché noi cristiani siamo immersi nella forma della rivelazione, che è Gesù Cristo, dobbiamo partecipare continuamente al Corpo e al Sangue di Gesù Cristo. In questo modo siamo uniti a Gesù Cristo, mentre nell’islam la recitazione del Corano è la cosa più importante, perché si tratta di una forma di sacramento per i musulmani.

Quindi, queste sono le differenze di base. Questo è un modo per capire la mente musulmana invece di limitarsi a discutere contro di loro.

Thomas: Vuoi dire che i musulmani sono per la maggior parte consapevoli di questo aspetto teologico di Dio e del rapporto dell’uomo con lui?

P. Daniel: Sì, certo, attraverso il Corano, attraverso i profeti.

Thomas: Nell’islam, il modo di vita di una persona è di secondaria importanza rispetto alla corretta comprensione della forma della rivelazione?

P. Daniel: Quanto al modo di vita, l’islam fa nuovamente riferimento alla forma della rivelazione, che è un libro. Il contenuto del libro è scrittura, la scrittura è legge, e così la legge deve essere obbedita. Se abbiamo l’imitazione di Cristo e dei suoi insegnamenti, loro hanno l’imitazione di Mohammed e del Corano. È per questo che la vita di un musulmano è dettata e regolata dalla legge del Corano, mentre la nostra vita è dettata dalla legge di Cristo nello Spirito Santo.

Thomas: Qual è allora la differenza tra seguire queste due leggi?

P. Daniel: Nell’islam, non vi è alcuna nuova nascita, solo un ritorno a Dio, che significa pentimento. Questo si chiama sottomissione a Dio.

Thomas: E questo è il significato della parola islam, “sottomissione?”

P. Daniel: Sì. islam significa sottomissione a Dio. Questo è il nostro modo per capire la differenza tra il modo di vita dell’islam e quello del cristianesimo ortodosso. Ci sono alcuni modi paralleli di pensare, ma un contenuto molto diverso. La differenza principale è che nel cristianesimo ortodosso il Verbo si è fatto carne e per l’islam la parola è diventata un libro. Questa è la principale differenza.

Thomas: Come fanno i musulmani convertiti all’Ortodossia a sostenere la loro fede nella società a maggioranza musulmana dell’Indonesia? Avete comunità di cristiani ortodossi che vivono insieme e si sostengono a vicenda in un ambiente religioso ostile, o la parrocchia è il modo di vita più comune?

P. Daniel: No, in realtà non abbiamo alcun particolare tipo di comunità in cui viviamo insieme. Siamo distribuiti geograficamente come gli altri cristiani, e veniamo in chiesa per le funzioni. Ma per quanto riguarda il modo in cui resistiamo all’ambiente – il modo in cui lo faccio io è insegnare robuste classi sulla Bibbia in lingua indonesiana. Ogni giorno c’è uno studio biblico prima della Comunione. Tra l’Orthros [il Mattutino] e la Liturgia c’è sempre lo studio della Bibbia. E nel mio studio della Bibbia, c’è sempre un confronto tra cristianesimo e islam, ogni volta. Questo ricorda alla gente che questo è il cristianesimo, e quell’altro è l’islam. Per esempio, pongo domande come: in natura, che cosa è più alto, un essere umano o un libro?

Essendo formati da una cultura musulmana, alcuni di loro dicono “un libro”. Allora io chiedo, “Qual è più alta, dunque, la rivelazione di Dio nella forma di un essere umano o nella forma di un libro?” Naturalmente, la rivelazione è superiore nella forma di un essere umano. Lo si può vedere da Dio stesso. Così, il Verbo di Dio fatto carne, il Verbo fatto uomo, è superiore alla parola che è diventata un libro. Questo è il numero uno.

In secondo luogo, se in passato Dio ha fatto scendere la sua parola per mezzo dei profeti sotto forma di un libro, cioè l’Antico Testamento, e l’Antico Testamento è stato adempiuto completamente nella forma di un uomo, Gesù Cristo, è possibile, dopo che la Parola di Dio si è compiuta nell’uomo, che Dio ritorni al vecchio modo, inviando di nuovo un libro? Certo che no! Quando il Verbo si è fatto uomo, era già completo. E quell’uomo, Gesù Cristo, è ancora vivo! Quindi, è impossibile che Dio ci mandi un’altra rivelazione sotto forma di un libro. Dal nostro punto di comprensione, non è possibile. Per noi, il profeta più perfetto e l’ultima rivelazione di Dio è Gesù Cristo. Non vi è alcuna necessità di un’altra rivelazione. Questo è il punto che io sottolineo ancora e ancora. E lo capiscono abbastanza bene. Quindi questo è il modo in cui continuiamo a mantenerci sulla via di Cristo, a dispetto di tanti attacchi dai musulmani.

Thomas: I musulmani fanno dunque pressioni sui cristiani, sapendo di poterli tentare con queste idee culturali profondamente radicate?

P. Daniel: Sì.

Thomas: Forse puoi dirci qualcosa di più su questo. Quali sono le difficoltà che incontrano i cristiani in un ambiente musulmano?

P. Daniel: Sai, quando vivi in mezzo una maggioranza di musulmani, a volte hai paura che ti facciano domande sulla tua fede. Il popolo cristiano che si è formato in un ambiente musulmano non sa sempre spiegarsi, e i musulmani, temendo che le “eresie” cristiane si diffondano sono sempre pronti ad attaccare – circa i “tre dèi”, circa “l’adorazione di un essere umano”, la croce, e tutte le credenze fondamentali del cristianesimo. I cristiani spesso non sono pronti a rispondere a queste cose. Inoltre, quasi tutte le mattine tutti i canali TV indonesiani fanno trasmissioni sull’islam. Non vi è alcun’altra religione in onda. Tutti sono bombardati dall’islam, le moschee sono intonacate di altoparlanti e ci sono sempre persone che parlano contro il cristianesimo. La polizia non fa nulla. In tal modo, siamo stati psicologicamente sconfitti. Si scrivono molti libri che attaccano il cristianesimo e non c’è modo di rispondere loro, perché quando un cristiano cerca di rispondere sulla sua fede deve criticare l’islam, e questo è molto difficile. Ci sarà una manifestazione di reazione contro di lui. Nella città di Solo, c’è un uomo di nome di Ahmed Wilson, che si è convertito al cristianesimo. Ora è sotto processo in tribunale, perché gli è stato chiesto in un programma di domande e risposte alla radio quello che pensava su Mohammed, e lui ha risposto che credeva come cristiano. Quindi, questo è ora un grande problema per lui. Cose come questa sono molto comuni.

Thomas: Quindi non c’è una reale libertà religiosa?

P. Daniel: No. Non ci pensare nemmeno. È molto difficile quando vivi in una società simile. Hai il permesso di criticare l’idea di Dio, perché Dio è un termine generico. I buddisti credono in un dio, gli indù credono in un dio, i cristiani credono in un dio, ma non criticare Mohammed, perché questo è decisamente islamico. Puoi criticare l’idea di Dio, puoi diventare ateo, ma non dire nulla su Mohammed o sarai nei guai.

Thomas: Com’è che gli ex-musulmani che si convertono all’Ortodossia fanno fronte alle situazioni familiari? Sono in grado di continuare a vivere con i membri non cristiani della famiglia? Sono accettati?

P. Daniel: Alcuni di loro sono accettati e alcuni non lo sono. Ci sono casi in cui ritornano alle loro credenze precedenti, alle loro famiglie, e confessano l’islam di nuovo, anche se quando mi incontrano continuano a dire che credono in Cristo. Credono e pregano segretamente nelle loro case, ma non possono venire in chiesa. Molti della nostra gente sono così. Alcune famiglie sono migliori. Sono più aperte e lasciano i loro bambini progredire nella loro fede cristiana, senza disturbarli. Ci sono differenze tra ogni persona, da zona a zona, e anche da un gruppo etnico all’altro. Alcuni gruppi etnici sono più fanatici di altri.

Thomas: Come fai a incoraggiare i cristiani ortodossi a comportarsi in pubblico in questo ambiente pericoloso? Noi qui in Europa leggiamo spesso di persecuzione e martirio in Indonesia.

P. Daniel: Insegno loro sempre che, se non vi è alcun modo possibile per sfuggire (anche se abbiamo cercato di essere buoni e di obbedire alle leggi della società), se diveniamo noti come credenti, se ci stigmatizzano come miscredenti o come eretici o qualunque cosa, allora è ovvio che non c’è altra via – se il martirio arriva, allora dobbiamo accettarlo. Se non puoi evitare di essere un martire, fallo! Accettalo! Io insegno questo in chiesa, e dico, anche a me stesso, che non c’è altra via. Ma ancora, non cerchiamo di provocare altre persone. Anche se evangelizziamo, evangelizziamo in modo garbato, spiegando la nostra fede in questi termini: “questa è la vostra fede, e questa è la nostra fede”. Noi non degradiamo le credenze degli altri.

Thomas: Come incoraggeresti i cristiani a vedere i musulmani? Ci sono due tendenze in Occidente: di accettare in modo indifferente i popoli islamici e le loro idee, indipendentemente dal loro crescente numero e dalla loro influenza culturale e religiosa; oppure di vederli come oggetti di paura responsabili di molti degli attuali problemi politici del mondo. Naturalmente, sappiamo come individui che ci sono molte persone musulmane meravigliose, caritatevoli e generose verso il prossimo senza distinzione di fede, ma per molti di noi l’influenza generale dell’islam moderno, in particolare sulle popolazioni cristiane, è un interrogativo. Noi non vogliamo essere ingenui, da un lato, né dall’altro poco caritatevoli. Hai qualche idea in merito?

P. Daniel: È un problema davvero difficile, anche per noi, perché c’è sempre un rapporto dialettico tra noi e loro. In Indonesia, perché sono la maggioranza, dobbiamo fare amicizia con loro, non vi è altra scelta. Individualmente, dobbiamo trattarli come tutti dovrebbero essere trattati – con amore. Ma teologicamente dobbiamo stare fermi su quello che riteniamo essere vero, non ci può essere alcun compromesso.

Cerchiamo il più possibile di introdurre elementi di cultura indonesiana nella Chiesa: il ciclo giornaliero dei servizi è suddiviso in diverse funzioni separate. Questo viene fatto per garantire una sorta di continuità “riabilitativa” per le persone che si sono convertite dall’islam – perché nella tradizione musulmana sono abituati a pregare cinque volte al giorno. (Nelle funzioni ortodosse, secondo il typikon, un giorno contiene i seguenti servizi: Vespri, Compieta, Officio di Mezzanotte, Mattutino, il Ore Prima, Terza, Sesta e Nona, Divina Liturgia, che ai tempi antichi erano anche divisi in base all’orario, n.d.r.). Anche l’iconografia e l’architettura delle chiese hanno scelto con successo elementi di cultura indonesiana.

Thomas: Essendo un popolo con un orientamento semitico e con una minore esposizione ai santi dei paesi ortodossi tradizionali, diresti che un ortodosso indonesiano si sente più attratto dai santi dell’Antico Testamento?

P. Daniel: Il profeta Daniele è stato una mia scelta, non è per gli indonesiani in generale. Io incoraggiare le persone a essere vicini ai propri santi particolari. Per il momento, l’orientamento spirituale del popolo indonesiano non è tanto nella direzione dei santi quanto della Sacra Scrittura stessa. È ancora questa il fondamento.

Thomas: L’orientamento tradizionale riflette uno schema più islamico con una sostanza cristiana?

P. Daniel: Sì. Qui sto parlando non della fede, ma dello schema generale. Si devono introdurre le cose con calma. C’è meno enfasi sui santi, anche se gli ortodossi, naturalmente, credono in loro e loro hanno i loro nomi. Nelle nostre tradizioni culturali abbiamo anche una comprensione di luoghi sacri, in particolare i cimiteri, i luoghi di sepoltura di figure di santi locali. Questo non è strano per noi, non è una novità per la nostra cultura. Ma ho paura che i nuovi convertiti guardino ai santi secondo il loro vecchio modo di capire – i morti del loro passato, il culto degli antenati. Qui c’è un problema, come in molte culture native. Così, cerco di sottolineare di più la comprensione della Scrittura alla luce della fede ortodossa.

Thomas: Chi sono i santi che ti hanno aiutato, quelli a cui ti senti più vicino?

P. Daniel: Il mio santo patrono, san Daniele il Profeta. Ho scelto questo nome perché credo che lui avesse un cuore forte. Ha avuto coraggio contro il re e i leoni, e io sto vivendo in mezzo ai leoni, lasciate che ve lo dica. Voglio avere il suo coraggio.

Thomas: Come persona che ha viaggiato molto e visto l’Ortodossia in molti luoghi, hai una parola per le persone in Occidente? Cosa possiamo fare per approfondire la nostra fede?

P. Daniel: Come occidentali, per approfondire la vostra fede dovete tornare indietro ed esplorare la cultura  occidentale originale che è stata santificata dall’Ortodossia, la società cristiana che era orientata verso Dio. Queste sono le vostre radici. Da lì, cercate di santificare la cultura in cui vi trovate. Non lasciatevi erodere dalla cultura occidentale contemporanea, che è molto superficiale. Inoltre, cercate di essere fedeli alla fede in quanto tale, non cercate di “revisionarla” secondo le mode del tempo. Se non mantenete la fede così com’è, verrà annullata dall’ambiente circostante. Cercate di interpretare la vostra vita nel contesto della vostra fede. Quando le persone non hanno cultura, non hanno radici – quando non hanno radici, sono poco profonde. Se Ortodossia è capita solo superficialmente, al di fuori del contesto del suo radicamento storico, anche noi diventiamo superficiali – si tratta solo di una moda, come ogni “nuova” religione. Dobbiamo essere in grado di identificare noi stessi con tutto il flusso della storia all’interno della Chiesa. Penso che questo sia molto importante per acquisire la nostra identità nella Chiesa.

Thomas: Quindi questo significa andare “contro corrente” perché le culture occidentali stanno per la maggior parte perdendo la loro visione cristiana del mondo.

P. Daniel: Certo. È difficile, ma il Signore è andato contro corrente, non è vero? Sì, lo ha fatto.

Thomas: Cosa vedi per il futuro dell’Ortodossia in Indonesia?

P. Daniel: Non posso vedere nel futuro, ma credo che l’Ortodossia continuerà a crescere. Dipende da un maggior numero di persone che ricevono un’educazione ortodossa – più sono, tanto meglio. In questo momento in Indonesia, l’Ortodossia è ancora identificata con me. Quando la gente pensa all’Ortodossia pensa a me. Abbiamo bisogno di avere più giovani istruiti. A volte la gente non lo capisce – ma faccio del mio meglio. Cerco di mandare quanta più gente possibile in Russia, in Grecia, ma non sono un vescovo e non ho il potere di organizzare le cose così facilmente. Se divento un vescovo, manderò quante più persone possibili all’estero per acquisire esperienza e formazione nell’Ortodossia, in modo che quando morirò, qualcuno potrà continuare il lavoro. Questo è il punto principale.

Thomas: Pensi che sia probabile che gli ortodossi in Indonesia ottengano il loro vescovo?

P. Daniel: non lo so. Non posso dire nulla di questo.

Thomas: Com’è strutturata la comunità ortodossa indonesiana?

P. Daniel: Abbiamo due livelli di struttura, in realtà, perché la Chiesa ortodossa è riconosciuta esteriormente come un ente sottoposto al Dipartimento di Stato per le religioni, e come parte del contingente protestante. Questo è perché ci sono cinque religioni riconosciute in Indonesia: cattolica romana, protestante, islam, ovviamente, indù e buddista. Dobbiamo figurare in qualche parte all’interno di queste cinque categorie, e così ricadiamo sotto i protestanti. Per quanto riguarda il nostro rapporto con il governo, abbiamo il nostro leader. Io nomino un laico che è responsabile per me. A livello parrocchiale, abbiamo un consiglio con un presidente. Abbiamo anche organizzato l’istruzione religiosa, e un’organizzazione giovanile. Abbiamo un’associazione femminile chiamata Santa Sofia, un’associazione di sacerdoti, e altre cose del genere.

Thomas: Com’è che l’Ortodossia in Indonesia si differenzia in stile o costumi dall’Occidente? Che cosa si fa nelle vostre chiese?

P. Daniel: Certo che è diversa, prima di tutto perché non siamo occidentali, siamo asiatici. Quindi, esprimiamo la nostra fede in modo asiatico. Non ci sediamo su sedie, ci sediamo per terra su una stuoia. Ci togliamo le scarpe quando entriamo in chiesa, le donne indossano il kafer [tradizionale abito indonesiano] e un velo. Abbiamo adattato alcune altre espressioni culturali, come nella cerimonia di nozze in cui usiamo il nostro abbigliamento tradizionale indonesiano. Non usiamo la koliva per i defunti, per esempio, perché non mangiamo grano – è difficile da trovare! Usiamo il riso. Facciamo uso di quello che abbiamo. È molto indonesiano, molto asiatico. Così, la Chiesa ortodossa in Indonesia è più orientale che in Grecia o in Russia o in Europa! Non possiamo avere paura che l’Ortodossia assuma forme locali.

Thomas: Possiamo usare queste cose come una misura della profondità di penetrazione dell’Ortodossia in una cultura?

P. Daniel: Sì. Il contenuto è visibile nella forma. Questo vale anche per le persone convertite all’Ortodossia nelle tradizioni greche o russe e che non siano essi stessi greci o russi.

Thomas: La comunità ortodossa indonesiana ha le funzioni in indonesiano o in greco?

P. Daniel: Naturalmente, in indonesiano.

Thomas: Che dire delle altre lingue?

P. Daniel: A volte, se abbiamo ospiti, qua e là facciamo qualcosa in greco o in inglese. A volte anche in russo.

Thomas: La lingua liturgica principale rimane allora l’indonesiano, quello che parlano tutti i diversi gruppi etnici in Indonesia?

P. Daniel: Sì. Ho tradotto per questo scopo i servizi in indonesiano.

Thomas: In generale, non credo che gli occidentali sappiano quanto sono varie le lingue e le culture in Indonesia.

P. Daniel: Abbiamo 350 lingue e dialetti diversi in Indonesia, con una lingua nazionale. Ho tradotto i libri delle funzioni in indonesiano, e ora sto cominciando a tradurli in giavanese, che è la mia lingua etnica. Ci sono anche funzioni in lingua Patlak, che è parlata a Sumatra e ci sono piani per la traduzione in lingua balinese, che è parlata sull’isola di Bali. È un lavoro che sta procedendo lentamente.

Thomas: Così le parrocchie locali saranno in grado di celebrare nella propria lingua?

P. Daniel: Sì. E se c’è bisogno, possono sempre celebrare in indonesiano.

Thomas: Una domanda più personale. Quali sono le più grandi tentazioni nella tua opera?

P. Daniel: (ride) Abbandonarla perché è troppo difficile. So che ho il mio talento, e che posso sempre insegnare. Talvolta vorrei solo andare a fare il professore all’università. Ancora e ancora, Dio mi ha aiutato a stare dove sono, a ricordare la mia vocazione. È difficile perché ho tante responsabilità di pagare per questo o per quello, d aiutare i giovani a iniziare gli studi teologici all’università. Queste cose le devo pagare ogni mese. Penso di avere più responsabilità di quelli che hanno i propri figli!

Thomas: Qual è la tua più grande tristezza?

P. Daniel: La mia più grande tristezza… è quando cerco di fare del mio meglio, e sono accusato di cose che non ho fatto.

Thomas: E la tua più grande gioia?

P. Daniel: La più grande gioia è quando qualcuno si converte all’Ortodossia.

 

Ulteriori informazioni su padre Daniel (incluso un racconto autobiografico in formato pdf) si possono trovare in lingua inglese sul sito Friends of Indonesia

 

 
Auguri del Presidente del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca per i 50 anni di padre Giovanni Guaita

Il 26 novembre 2012 presso l’Aula Magna del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca si è svolta una cerimonia di congratulazioni dello hieromonaco Ioann (Giovanni Guaita), collaboratore del Segretariato per i rapporti inter-cristiani del Dipartimento e direttore della cattedra di lingue straniere della Scuola di dottorato e alti studi teologici della Chiesa ortodossa russa, in occasione del suo cinquantesimo genetliaco.

Il Presidente del Dipartimento, metropolita Hilarion di Volokolamsk, ha espresso a p. Giovanni gli auguri dello staff dei collaboratori del Dipartimento e quelli suoi personali.

“Lei svolge un ministero di grande responsabilità, sia nel nostro Dipartimento per le Relazioni esterne, che presso la Scuola di dottorato della Chiesa, dove insegna l’italiano e dirige la cattedra di Lingue Straniere, che anche nella chiesa della Madre di Dio “Gioia di tutti i sofferenti”, dove esercita il suo ministero pastorale – ha detto il metropolita. – Il percorso della sua vita è stato insolito. Giunto nel nostro Paese settentrionale dalla terra d’Italia, Lei si è molto ben integrato tra noi e oggi svolge un compito importante e di responsabilità. Basti dire che, oltre agli incarichi che Le vengono affidati dal segretariato per le relazioni tra i cristiani, Lei cura personalmente la pagina del sito web del nostro Dipartimento in lingua italiana. Grazie al suo lavoro, molte persone in tutto il mondo, soprattutto in Italia e nel mondo cattolico, possono ricevere notizie sulla vita della Chiesa ortodossa russa da questa fonte”.

Il metropolita Hilarion ha auspicato a p. Giovanni che i compiti affidatigli dalla Chiesa siano per lui fonte di gioia spirituale. Riferendosi al racconto evangelico di quando il Signore vide dei pescatori sulla riva del lago di Galilea e li chiamò a seguirlo (cf. Mt 4, 18-22), ha sottolineato che gli apostoli allora non domandarono di che cosa si sarebbero occupati in avvenire, ma subito lasciarono le reti e lo seguirono, e non si pentirono della propria scelta. “Penso che nessuno di noi che abbiamo seguito la chiamata che Cristo ci ha rivolto attraverso la Chiesa, non rimpianga il fatto di aver un tempo lasciato le proprie “reti” per seguire Colui che ci ha chiamati, e oggi adempiamo i compiti che ci vengono affidati”, ha continuato il metropolita Hilarion.

Il presidente del Dipartimento ha augurato a p. Giovanni il sostegno di Dio nel suo operato, e a tutto il personale del Dipartimento “gioia spirituale e soddisfazione dall’opera comune che eseguiamo insieme, in risposta alla chiamata del Signore e Salvatore e in obbedienza alla nostra Santa Chiesa”.  Tutti hanno poi cantato “ad multos annos” allo hieromonaco Giovanni.

In risposta, p. Giovanni ha ringraziato il metropolita degli auguri. “Cinquant’anni sono una tappa importante. Certamente, ancora pochi anni fa non potevo immaginare che avrei festeggiato quest’anniversario tra queste mura e in vostra compagnia. Grazie di avermi accolto, sia in questo Dipartimento, che nella nostra parrocchia. Grazie della sua fiducia”, ha detto p. Giovanni.

Il giorno prima, durante la Divina Liturgia domenicale nella chiesa della Madre di Dio “Gioia di tutti i sofferenti” del centro storico di Mosca, il metropolita Hilarion ha regalato allo hieromonaco Giovanni un completo di paramenti liturgici.

Giovanni Guaita è nato il 26 novembre 1962 sull’isola italiana di Sardegna. Ha conseguito le lauree in Lettere e Lingue delle Università di Ginevra e Cagliari, e compiuto vari soggiorni di studio a Mosca e San Pietroburgo.

Fin dal suo primo soggiorno in Russia nel 1985 si è interessato, oltre che della cultura russa, della spiritualità ortodossa. Risiede stabilmente a Mosca dal 1989, dove per molti anni ha insegnato presso varie Università statali.

Dal mese di aprile 2009, Giovanni Guaita lavora per il Dipartimento delle Relazioni esterne della Chiesa Ortodossa Russa, come collaboratore del Segretariato per i rapporti con le altre Chiese cristiane. Dirige la cattedra di Lingue straniere della Scuola di dottorato e alti studi teologici, dedicata ai santi Cirillo e Metodio.

Il 28 marzo 2010 è stato ordinato diacono dal metropolita Hilarion, e l’11 settembre sacerdote. Il 31 ottobre dello stesso anno ha pronunciato i voti monastici nella Cattedrale della Laura della Santissima Trinità di San Sergio. Ha ricevuto il nome monastico di Giovanni (Ioann) in onore di San Giovanni Battista (il nome di battesimo era in onore di San Giovanni apostolo).

 
Le vaccinazioni, le colture di cellule fetali e l'Ortodossia

Un cristiano dovrebbe rifiutare di far vaccinare i propri figli con alcuni vaccini perché questi sono stati coltivati ​​da cellule estratte da feti abortiti? Recentemente, ho cominciato sentire questa domanda da parte di giovani coppie ortodosse che desiderano una risposta ortodossa. Molti di voi potrebbero non conoscere le ragioni di questa domanda. Molti di voi potrebbero non sapere che alcuni vaccini sono coltivati ​​in colture cellulari originariamente ottenute da due feti umani. Inoltre, il virus della rosolia utilizzato per fare il vaccino contro la rosolia è stato isolato da un terzo feto umano. In tutti e tre i casi, i feti erano stati abortiti. Pertanto, è sorta nei circoli per il diritto alla vita la domanda se sia morale che un bambino sia vaccinato con un vaccino prodotto da un tale metodo, che coinvolge cellule estratte da feti abortiti.

Questa è stata una domanda di così difficile risposta nei circoli cattolici romani che è arrivata fino al Vaticano nel 2003 ed è stata affrontata dalla Pontificia Academia Pro Vita. Quest'ultima ha risposto in una lettera a 9 pagine nel 2005. Lo studio condotto dall'Accademia è stato approvato dalla Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede. L'Accademia ha pubblicato una breve risposta e ha detto che una risposta più lunga sarebbe stata offerta nella rivista "Medicina e Morale", edita dal Centro di Bioetica della Università Cattolica di Roma.

Allora, cosa hanno concluso? La linea di fondo è che è permesso ai cristiani consentire ai loro figli di essere vaccinati con vaccini che vengono creati da tessuti di feti abortiti. Ma ci sono alcuni forti caveat associati a quella decisione per i cattolici romani. Perché la Chiesa cattolica romana considera la possibilità di consentire tali vaccinazioni?

Beh, c'è una risposta molto semplicistica che posso darvi. Per quelli tra voi che si occupano di temi di bioetica e di teologia morale, mi scuso in anticipo per questo eccesso di semplificazione. La risposta è l'idea del minore tra due mali. Cioè, a volte nessuna opzione è completamente morale. In tal caso, è permesso scegliere il minore tra due mali. Cosa voglio dire?

Mesi fa ho fatto un articolo sulla posizione ortodossa sulla guerra. Ho citato dalla OCA (Chiesa Ortodossa in America), che ha dichiarato:

Quando la violenza deve essere usata come male minore per impedire mali maggiori, non può mai essere benedetta in quanto tale, deve sempre essere un motivo di pentimento e non deve mai essere identificata con una perfetta morale cristiana.

Come potete vedere, questo è l'argomento del minore tra di due mali. Ma l'argomento della Chiesa cattolica romana è significativamente più complesso di una mera dichiarazione del minore tra due mali; Per esempio, la seguente citazione:

...i medici o i genitori che ricorrono all'uso di questi vaccini per i loro figli, nonostante conoscano la loro origine (aborto volontario), svolgono una forma di cooperazione materiale mediata molto remota, e quindi molto mite, nell'esecuzione dell'atto originale dell'aborto, e una cooperazione materiale mediata, per quanto riguarda la commercializzazione delle cellule provenienti da aborti e immediata, per quanto riguarda la commercializzazione di vaccini prodotti con tali cellule. La cooperazione è pertanto più intensa da parte delle autorità e dei sistemi sanitari nazionali che accettano l'uso dei vaccini.

Anziché cercare di spiegare tutte le complessità di un argomento molto fine, lasciatemi riassumere la posizione cattolica romana facendo le seguenti affermazioni. Innanzitutto, la vaccinazione dei nostri figli con vaccini fatti da due (o tre) linee cellulari provenienti da due (o tre) feti umani abortiti non deve mai essere identificata con perfetta moralità cristiana. In secondo luogo, se ci sono vaccini alternativi non prodotti da una linea cellulare abortita, un cristiano ha il dovere di rendere consapevole il proprio medico di questi vaccini e di richiederli. In terzo luogo, un cristiano ha il dovere di rendere consapevoli sia le autorità legali sia le aziende farmaceutiche dell'immoralità di fare dei vaccini da quelle linee cellulari, in modo che possano cambiare il proprio comportamento.

Ma c'è una considerazione finale che ha avuto il peso maggiore per le autorità della Chiesa cattolica romana, che hanno detto:

...tuttavia, se questi ultimi sono esposti a considerevoli pericoli alla loro salute, anche i vaccini con problemi morali che li riguardano possono essere utilizzati temporaneamente. La ragione morale è che il dovere di evitare la cooperazione materiale passiva non è obbligatorio se vi sono gravi inconvenienti. Inoltre, in questo caso, troviamo una ragione proporzionale per accettare l'uso di questi vaccini in presenza del pericolo di favorire la diffusione dell'agente patologico a causa della mancata vaccinazione dei bambini.

In altre parole, dove esiste il pericolo della perdita dell'immunità nazionale, in modo da mettere in pericolo i figli vivi (e gli adulti) e consentire la diffusione di una malattia ("agente patologico") prevenibile, il minore tra due mali è far vaccinare un bambino, anche se con vaccini che sarebbero altrimenti discutibili. In altre parole, è un male più grande che i genitori cristiani si comportino in modo tale che le vite dei bambini (o degli adulti), cristiani o non cristiani, vengano messe in pericolo dalla morte o dalla perdita della qualità della vita.

Permettetemi di dire le cose in termini ancora più semplici. Se la vostra decisione di rifiutare di far vaccinare i tuoi figli comporta la morte o la disfunzione di altri bambini (o adulti), allora è una cosa peggiore che non far ricevere al bambino un vaccino coltivato dalle cellule di un bambino morto da molti decenni (questo è esattamente uno dei punti dell'argomentazione della Chiesa cattolica romana). In questo primo caso, siete direttamente colpevoli di una grave colpa morale. Questo è il più grande tra due mali.

Nel secondo caso, se avete scelto di far vaccinare i vostri figli con uno di quei vaccini, la cosa non è benedetta dalla Chiesa cattolica. Ma al peggio siete colpevole di una colpa morale indiretta. Eppure, anche se siete coinvolti negli sforzi per convincere le aziende farmaceutiche e il governo a trovare alternative non abortive, la colpa morale è minima, così dicono l'Accademia e la Congregazione. Questo è il minore tra due mali.

Tuttavia, se vi ricordate, mi è stato chiesto da quelle giovani coppie se la Chiesa ortodossa ha una posizione ufficiale sui vaccini. La Chiesa Ortodossa in America ha il seguente commento sul proprio sito web in una colonna di domande e risposte: "Non ci sono dichiarazioni della Chiesa Ortodossa contro le vaccinazioni infantili. Non ho mai sentito parlare di un cristiano ortodosso che si opponga a tali immunizzazioni per ragioni religiose di qualsiasi genere".

Allora, perché ho fatto questa intera discussione? Perché ci sono iniziative di coppie ortodosse che stanno ponendo questa domanda, coppie ortodosse che sono profondamente coinvolte nel movimento per il diritto alla vita. È importante, per il bene dei nostri figli, che questi sappiano non solo che è bene vaccinare i nostri figli, ma anche che non esiste un profondo problema morale o un grave peccato personale implicito nel farlo. Allo stesso tempo, è importante che le nostre coppie ortodosse sappiano che questo non è un tema privo di valore. È importante che le nostre coppie conoscano il retroscena di alcuni dei vaccini utilizzati e che conoscano le questioni morali coinvolte in tale contesto. In questo modo, possono rispondere a coloro che pongono loro domande e chiedono loro di giustificare la loro posizione. Ancor più di questo, è in ultima analisi importante che nessuno dei nostri bambini perda la propria vaccinazione d'infanzia a causa di una visione morale insufficiente.

 
Il digiuno per i non monaci

INTRODUZIONE

Si può osservare un curioso fenomeno nelle interazioni tra i pastori e i loro parrocchiani all'inizio di ogni periodo di digiuno della Chiesa. I pastori cercano di richiamare l'attenzione dei loro pii parrocchiani verso le altezze spirituali del digiuno: la lotta contro il peccato, la conquista delle passioni, l'addomesticamento della lingua, la coltivazione delle virtù. A loro volta, i parrocchiani assillano i loro pastori su questioni meramente alimentari: quando è consentito il pesce, se il latte di soia o gli hot dog di soia sono cibi di digiuno, se l'aggiunta di latte al caffè è una rottura del digiuno, o se c'è qualche dispensa che può essere data ai giovani, agli anziani, a chi studia, a chi lavora, alle donne, agli uomini, ai viaggiatori, ai malati, o coloro che semplicemente non si sentono bene. In risposta alla schiacciante preoccupazione sulle regole alimentari a detrimento del significato spirituale del digiuno, alcuni pastori, apparentemente per frustrazione, hanno cominciato a proporre nelle loro prediche e in articoli internet che le regole alimentari non sono affatto importanti: se volete dello yogurt durante la Quaresima, basta che non facciate pettegolezzi, se volete un hamburger, allora mangiatelo, purché non divoriate un altro essere umano con giudizi e pugnalate alle spalle. Purtroppo, tali suggerimenti raramente aiutano a sradicare pettegolezzi, giudizi o pugnalate alle spalle. Piuttosto, sembrano confondere i fedeli e farli pensare che, dal momento che non hanno ancora conquistato questi e molti altri vizi nei loro cuori, non devono digiunare neppure dagli hamburger. Così, vorrei che discutessimo il tema stesso che affascina tanti laici: quali sono le regole di digiuno e come devono essere seguite da quelli che non hanno preso i voti di castità, povertà e obbedienza.

Le regole, le regole, stiamo attenti!

Quindi, quali sono le regole di digiuno? La maggior parte di noi si riferisce a un calendario che compriamo nel chiosco della chiesa e che ci dice cosa mangiare e cosa non mangiare in un dato giorno. Ma dove ottengono le loro informazioni quelli che stampano il calendario? Dove dicono davvero come digiunare? Beh, potete avere sentito il detto russo di non andare nel monastero di qualcun altro con le vostre regole. Il fatto è che il digiuno come oggi lo conosciamo è una disciplina monastica, e le regole di digiuno provengono dai monasteri. Le regole che usiamo nella Chiesa ortodossa russa di oggi, per esempio, in gran parte provengono dal monastero di san Sava vicino a Gerusalemme. Ci sono diversi paragrafi nei capitoli 32 e 33 del Tipico che delineano le regole del digiuno. Ci sono anche alcune varianti locali – di solito per rilassare il digiuno – che hanno a che fare sia con le commemorazioni dei santi sia con la vita nei climi nordici. Il monastero di Solovki, per esempio, è un bel po' più a nord del monastero di san Sava, e non vi crescono molte verdure in tutto l'anno, mentre il pesce è abbondante. Ma la maggior parte di noi non vive a Solovki o in Alaska.

Ci sono diversi periodi di digiuno nella Chiesa, e non discuteremo tutti in dettaglio, ma guardiamo alle regole della Grande Quaresima, per esempio, come digiuno di tutti i digiuni. Secondo il Tipico, il lunedì e martedì della prima settimana, nessun cibo è consentito a tutti. Il mercoledì della prima settimana, si servono una volta pane caldo e piatti di verdure calde (o cotte), e quello è l'unico pasto in quel giorno. E chi non riesce a mantenere un digiuno così severo, come per esempio gli anziani, può mangiare del pane, dopo il Vespro al martedì. Il resto della Grande Quaresima è meno rigorosa: un po' di pane e verdure sono permessi una volta al giorno tutti i giorni dopo i vespri. E "se un monaco distrugge la santa Quaresima con la sua gola mangiando pesce in giorni diversi dalla festa dell'Annunciazione e dalla Domenica delle Palme, non prenda parte alla Comunione a Pasqua". Questa è la regola.

C'è qualcuno che in realtà segue queste regole? Presumo che alcuni lo facciano, probabilmente alcuni monaci e un piccolo numero di laici. Ma se si vede un monaco pranzare in qualsiasi giorno della settimana durante la Grande Quaresima, si può presumere che detto monaco stia modificando in qualche modo le regole per soddisfare le sue esigenze o bisogni particolari. In realtà, la maggior parte dei laici e molti monaci seguono qualche versione modificata della norma che non è quasi mai una versione più rigorosa del digiuno, ma piuttosto un suo rilassamento di esso, sia aumentando il numero dei pasti, la quantità del cibo, il tipo di alimenti, o tutte queste cose. Per esempio, presso l'Accademia Teologica e il Seminario di Mosca, che si trovano nei locali della Lavra della santa Trinità e di san Sergio vicino a Mosca, studenti e personale mangiano pesce in tutta la Grande Quaresima, non solo nei due giorni di festa menzionati nel Tipico. Negli ultimi anni, il pesce viene servito due volte a settimana nella maggior parte delle settimane, ma in un passato non troppo lontano, era servito ben quattro volte alla settimana. Allo stesso modo, coloro che leggono il diario dello tsar martire Nicola II noteranno che il pesce era servito alla famiglia reale in tutta la Grande Quaresima. E questo non è qualcosa che è iniziato in qualche modo nei secoli XIX e XX. La "Cronaca dei cibi" patriarcale del XVII secolo, per esempio, registrava una grande varietà di piatti di pesce serviti al patriarca e ai suoi ospiti ogni sabato e domenica durante la Grande Quaresima. [1]

È un peccato rompere il digiuno?

Quindi, è un peccato rompere il digiuno? La risposta a questa domanda dipende da cosa si intende per rompere il digiuno. Come abbiamo discusso, si scopre che la maggior parte della gente – monaci e laici allo stesso modo, deroga alla regola in qualche modo. Se questa deviazione è significativa e il suo scopo è quello di venire incontro a un vero e proprio bisogno fisiologico, allora, mi sembra che sia nello spirito del digiuno, anche se non è esattamente secondo le regole monastiche. Se, tuttavia, la deviazione è dovuta alla nostra ingordigia, pigrizia, mancanza di disciplina, o a qualche altra debolezza, allora abbiamo qualcosa che deve essere corretto. Forse, il modo migliore di pensare al peccato in relazione al digiuno non è in termini di diritto – leggi, crimini e punizioni – ma in termini di preparazione o di esercizio fisico. Il digiuno è una disciplina ascetica. La parola "ascetico" deriva dal greco ἄσκησις, che significa "esercizio" o "addestramento". In altre parole, immaginate di essere un soldato che si prepara per una missione difficile e pericolosa. Non è tanto un crimine essere pigri all'addestramento o cercare scorciatoie quanto non essere ben preparati per il vostro compito e quindi non essere in grado di completare la missione o addirittura perire nel processo. Quindi, se scegliete di non esercitare la disciplina del digiuno, state barando nell'allenamento necessario per combattere contro il nemico – i peccati e le passioni – e sarete impreparati ad affrontare le insidie ​​del diavolo.

IL CONCETTO DEL DIGIUNO

La disciplina del corpo

Ci sono due aspetti dell'esercizio del digiuno che vorrei discutere. Il primo è la disciplina del corpo. Ogni volta che qualcosa è limitato nella sua libertà, diventa soggetto a qualsiasi forza che lo limita. Così, quando faccio fare al mio corpo ciò che mi serve, invece di ciò che vuole, io divento il suo padrone. In altre parole, se dico ai miei piedi di camminare e dove andare, o se dico alle mie mani di lavorare e cosa fare, o se dico al mio cervello di risolvere un problema e quale – ottengo il controllo su questo dono incredibile di Dio chiamato corpo. D'altra parte, se il mio corpo mi costringe a fare ciò che vuole, allora diventa lui il mio maestro. E non sarebbe, forse, così male se il corpo volesse ciò che è meglio per me. Purtroppo, non è sempre così. Ognuno di noi ha i propri vizi, che sono cessioni alla nostra natura decaduta, ma in generale, sappiamo che a una scelta, il nostro corpo non sceglie sempre con saggezza: vuole essere pigro piuttosto che produttivo, vuole mangiare cibo spazzatura piuttosto che cibo sano, e il nostro cervello vuole solo divertirsi o fare scherzi, spesso a scapito del corpo.

Tutto questo può sembrare abbastanza semplice, ma di che cosa stiamo parlando? Cos'è il corpo, e chi è che dovrebbe essere responsabile? Non possiamo parlare della dicotomia tra corpo e anima nella nostra conversazione, ma per semplicità, cerchiamo di essere d'accordo sul fatto che quando diciamo "corpo" intendiamo tutta la nostra natura: la carne, compreso il cervello, le emozioni, i desideri, la volontà, l'intelletto, ecc E il "tu" è il tu ipostatico, quello che dice al tuo cervello di risolvere un problema di matematica e il cervello lo risolve con obbedienza, è l' "io​​" nella frase "io ti amo", ed è il "mio" nella frase "il mio nome è..." Ma si dà il caso che, quando diciamo "corpo", spesso ci riferiamo al corpo fisico. Questo non è, tuttavia, l'uso biblico di questa parola.

Pertanto, la disciplina del corpo si esercita allo scopo di mantenerci in controllo del nostro corpo. Nella nostra condizione decaduta, l'ordine naturale del nostro essere è stato pervertito: la carne con le sue passioni e i suoi desideri è il sovrano del nostro essere, la nostra mente è schiava della carne e si preoccupa di capire come soddisfare i desideri della carne, l'anima si nutre delle passioni della carne, alla ricerca di piaceri e non trova mai soddisfazione, e lo spirito, la direzione in cui tutto il nostro essere non si muove, non è quello di Dio, ma piuttosto della corruzione, dei rifiuti e della distruzione. In altre parole, lo spirito umano, il vettore, non centra il suo vero obiettivo, che è Dio stesso. Nel cristianesimo, questo è noto come "peccato", o ἁμαρτία in greco, che significa "mancare il bersaglio" o "sbagliare".

Il digiuno, quindi, ci aiuta a ristabilire nel nostro essere l'ordine divinamente stabilito: lo spirito o vettore deve sempre puntare a Dio, l'anima deve trovare il suo completamento nella comunione con Dio, e il corpo, in tutta la sua complessità, deve servire l'anima nel suo servizio a Dio. Possiamo parlare, e parleremo, di carne, pesce, gamberi e simili, ma il punto principale è: se non puoi avere il controllo del tuo stomaco, se questo semplice sacco di carne è il sovrano tua vita, come puoi sperare di avere il controllo della fisiologia più complessa, o della tua mente, o della tua anima?! Questa non è nemmeno una questione puramente religiosa, ma una questione di essere un essere umano. Ho sentito alcuni adolescenti vantarsi di avere rotto un digiuno come se mangiare un hot dog o un pezzo di pancetta in un giorno di digiuno fosse una specie di realizzazione. In realtà, è semplicemente il segno di un individuo che manca di autocontrollo ed è governato dal suo intestino – niente di cui vantarsi. Se fossi quella persona, non vorrei pubblicizzare questa imbarazzante qualità infantile e cercherei di darmi da fare a sviluppare più auto-disciplina.

Unità con la Chiesa

Il secondo aspetto del digiuno che vorrei menzionare è l'unità della Chiesa, che è il corpo di Cristo. I digiuni e le feste della Chiesa creano un certo tipo di unità fra i suoi membri. Pensate alla vostra famiglia: i parenti fanno i pasti insieme, festeggiano insieme eventi importanti, e stanno insieme nei momenti tristi. Questo aiuta a mantenere la coesione e l'unità all'interno della famiglia, e se qualcuno decide di astenersi dalla vita familiare, essenzialmente si sta tagliando fuori dalla famiglia. È lo stesso nella Chiesa: teniamo digiuni insieme e celebriamo le feste insieme come famiglia di Dio. E se qualcuno decide di non digiunare insieme con la Chiesa o non aderire alla famiglia della Chiesa nei festeggiamenti, allora si separa dalla nostra famiglia, tagliandosi fuori dal corpo. E se non si desidera stare insieme con i propri fratelli e sorelle in questa breve vita temporale, come si può avere l'intenzione di trascorrere l'eternità con loro? La nostra fede non è individualista, ma non si tratta di una sola persona che viene salvata in qualche modo solitario. La salvezza è possibile solo nel corpo di Cristo, e solo come membro di quel corpo. Un ramo che è tagliato fuori dalla vite non eredita più la vita, ma è gettato in un mucchio di sterpi da bruciare.

DIGIUNO E FISIOLOGIA

Ma basta con la teoria e la teologia! Questa conferenza dovrebbe essere su cose pratiche. Supponiamo che tutti qui siano credenti e cerchino di seguire il cammino spirituale che ci è offerto dal cristianesimo ortodosso, e che noi tutti sappiamo che questo percorso include necessariamente la disciplina del corpo, una piccola parte della quale è la disciplina di quel sacco di carne chiamato stomaco. Allora, che cosa sappiamo di questo organo? Troppo spesso le persone vengono da me e dicono che non possono digiunare perché hanno bisogno di proteine​​. Quando pongo loro domande e cerco di capire perché pensano di avere bisogno di più proteine ​​della maggior parte degli altri cristiani ortodossi che osservano il digiuno, scopro che queste persone hanno raramente una buona idea di quante proteine ​​il loro corpo abbia davvero bisogno, o di quali alimenti contengano proteine ​​e in quale quantità, o di che altro potrebbero avere bisogno, oltre le proteine. Nella maggior parte dei casi, queste persone vogliono semplicemente un hot dog, vogliono un hamburger, e vogliono un panino al formaggio, e questo è l'unico motivo per cui dicono che hanno bisogno di proteine​​. Quindi, diamo uno sguardo più da vicino alle reali esigenze dei nostri corpi.

Questo non è un corso universitario sulla fisiologia umana, quindi dovremo mantenere le cose molto semplici. Quando si tratta di cibo, il nostro corpo ha bisogno fondamentalmente di tre cose: carboidrati, proteine ​​e grassi. Anche di vitamine e minerali, naturalmente, ma la gente di solito non si lamenta di non avere abbastanza vitamine durante un digiuno, anche se in realtà non ne riceve abbastanza, ma questo è per un motivo diverso, che non ha nulla a che fare con il digiuno. La quantità di carboidrati, proteine ​​e grassi di cui una persona ha bisogno dipende dall'età della persona, dal genere e dallo stile di vita. Ma prima di arrivare alle quantità esatte, dobbiamo prima discutere di ciò che queste sostanze nutritive fanno per noi.

Carboidrati

Il nostro corpo è un meraviglioso e complesso organismo creato da Dio. Di solito è un errore pensare al nostro corpo come un meccanismo o una macchina, ma per semplificare la nostra discussione, cerchiamo di usare un linguaggio meccanico quando si parla di nutrizione. Nei termini più semplici, per operare, il nostro corpo ha bisogno di carburante. Se non abbiamo abbastanza carburante nel nostro corpo, il corpo rallenta il suo metabolismo (cioè la velocità con cui brucia il carburante) e inizia a bloccare il lavoro non indispensabile, facendoci sentire stanchi e lenti. I carboidrati o glucidi, come la farina d'avena, il grano saraceno o il riso, servono come buona fonte di questo combustibile. Ma le persone che stanno seguendo un digiuno in genere non hanno il problema di non avere abbastanza farina d'avena o grano saraceno. Alcune persone, ovviamente, hanno il problema di mangiare amido troppo altamente trasformato e raffinato, come pane bianco, pasta bianca, ecc, e non abbastanza di buoni carboidrati complessi come la farina d'avena o il grano saraceno, ma, proprio come con le vitamine, questo non è legato alle regole del digiuno, in quanto queste persone possono avere una dieta povera anche se non digiunano. In realtà, alcune persone si lamentano con me perché aumentano di peso durante la Quaresima. E guardando la loro dieta, che contiene enormi quantità di pasta, pane bianco con fette di margarina, e insalate annegate in salse grasse, è facile capire perché aumentano di peso. Aggiungete a questo una porzione regolare di dolci "da digiuno" sovraccarichi di zucchero, e la vostra Quaresima diventa un esperimento pericoloso per cercare di vedere quanta spazzatura può sopportare il vostro corpo prima di guastarsi.

Grassi

Mentre siamo su questo argomento, di quanto grasso ha bisogno la gente? A seconda del numero totale di calorie si cui avete bisogno ogni giorno (questo numero è calcolato sulla base di età, genere e livello di attività fisica), potete essere in grado di consumare in tutta sicurezza fino a 100 grammi di grassi di alta qualità (anche se, per molti di noi, la metà di tale quantità dovrebbe essere più che sufficiente). Grassi di alta qualità sono, per esempio, un buon olio di oliva (non raffinato e non spremuto a caldo), l'olio di cocco, le noci, o il pesce, ma non lo strutto, il burro o la margarina. I grassi buoni servono a molte funzioni del corpo – dalla protezione del sistema cardiovascolare, all'aiuto al cervello, a fare in modo che le articolazioni funzionino bene.

Proteine

Infine, arriviamo alla principale preoccupazione di molte persone che sono alla ricerca di una scusa per non digiunare: le proteine​​. Secondo l'Accademia Nazionale delle Scienze, le femmine adulte hanno bisogno di una media di 46 grammi di proteine ​​al giorno, e i maschi adulti di 52. Questi numeri possono variare a seconda della taglia, ma non necessariamente del peso attuale. Per esempio, se pesate 100 libbre, ma dovreste pesarne solo 75, l'apporto proteico viene calcolato in base al peso ideale e non al peso extra che portate. La quantità di assunzione di proteine ​​dipende anche dal vostro livello di attività: se fate allenamenti sportivi, probabilmente ne avete bisogno di un po' di più, se passate le giornate al computer o a mandare sms, allora probabilmente ne avete bisogno di un po' di meno. Discuteremo di alcune di queste situazioni a tempo debito, ma per ora, ci basta fare una media di circa 50 grammi al giorno e vedere come possiamo ottenere questa quantità di proteine ​​in una dieta di digiuno.

Nei giorni in cui è permesso il pesce, si può effettivamente ottenere buone proteine ​​animali senza troppi problemi. 60 grammi di salmone (lox) affumicato a freddo hanno circa 13 grammi di proteine. Una porzione di pesce in scatola, salmone o tonno ne ha la stessa quantità. E per coloro che scelgono di seguire l'usanza greca di mangiare gamberi, questi contengono all'incirca la stessa quantità di proteine, 12 grammi di proteine ​​per 50 grammi di gamberetti. Ricordate che una porzione - circa 60 grammi, è una quantità piuttosto piccola. In America siamo abituati a mangiare molto di più di una porzione di ogni cosa. Due piccole porzioni di pesce o gamberetti contengono la metà della quantità giornaliera di proteine ​​per un maschio adulto.

Tra gli altri alimenti di digiuno di uso comune, il burro di arachidi ha 7 grammi di proteine ​​per 2 cucchiai; il riso, il grano saraceno e la farina d'avena circa 6 grammi per tazza di prodotto cotto; il pane buono (non il tipo chimico bianco e soffice) – 6 grammi per porzione; una tazza di fagioli o lenticchie, 15 grammi (sono più proteine ​​di una porzione di pesce); 20 mandorle (una manciata), 5 grammi. In altre parole, se prendete una tazza di farina d'avena e un panino al burro di arachidi a colazione, una tazza di grano saraceno e 100 grammi di pesce a pranzo, e una tazza di riso con fagioli a cena, ottenete 62 grammi di proteine ​​– un po' più del fabbisogno di un maschio adulto medio. Capisco che a molte persone non piace la matematica, e trovano questi calcoli confusi e incredibilmente noiosi, ma pensateci: è una semplice addizione di piccoli numeri, una cosa che dovreste aver imparato in prima elementare.

Che dire delle proteine ​​complete e incomplete? Per capire questa differenza, dobbiamo capire come il nostro corpo assimila le proteine. Quando mangiamo un pezzo di carne, per esempio, il nostro corpo non prende quella carne e la manda direttamente al muscolo bicipite (anche se sarebbe bello). Invece, smonta la proteina contenuta nella carne in piccoli blocchi chiamati amminoacidi e poi rimonta quegli amminoacidi in proteine ​​per il corpo umano. Inoltre, il nostro corpo può creare molti degli amminoacidi da tutti i tipi di blocchi di costruzione presenti in molti alimenti, ma ci sono otto amminoacidi che il nostro organismo non è in grado di creare. Gli alimenti che contengono questi otto amminoacidi essenziali sono definiti alimenti a proteine complete, gli alimenti che non contengono tutti e otto sono definiti alimenti a proteine ​​incomplete. La carne, sicuramente, non contiene tutti e otto, invece li contengono il pesce, un misto di fagioli e cereali (come il riso) e la quinoa. La quinoa è un cereale che contiene tutti gli otto amminoacidi essenziali: e sono 6 grammi di proteine ​​complete per ogni tazza di prodotto cotto.

Come potete vedere, è più che possibile ottenere abbastanza proteine in una semplice dieta di digiuno. Dal punto di vista nutrizionale, non c'è assolutamente alcun motivo per cui non sia possibile astenersi dalla carne o dalle uova o dal latte per un periodo di tempo. La gente ha praticato il digiuno per migliaia di anni, da ben prima dell'incarnazione di Cristo. Psicologicamente, si può aver voglia di un hot dog o di un gelato, ma questo desiderio non ha nulla a che fare con le esigenze nutrizionali del vostro corpo.

Diamo ora uno sguardo ad alcune circostanze speciali nella nostra vita, e a come possiamo osservare i digiuni della Chiesa durante gli studi, il lavoro, lo sport, i viaggi, ecc.

DIGIUNO PER NON MONACI

Digiuno e stagioni della vita

La nostra vita non è una continuità uniforme e monotona. Piuttosto, è una varietà di stagioni. Alcune vengono in mente facilmente – l'infanzia, l'età adulta, la vecchiaia, ma ce ne sono altre: la gravidanza, per esempio, o la preparazione di un esame, o la formazione per un concorso, o un viaggio. Toccheremo tutte queste stagioni, ma cominciamo con le stagioni naturali della nostra vita: l'infanzia, l'età adulta e la vecchiaia.

La maggior parte di voi probabilmente sa che i bambini, con l'eccezione di san Sergio di Radonezh, non digiunano. Si dice che da bambino Sergio (il cui nome era Bartolomeo prima di diventare monaco) rifiutava il latte di sua madre il mercoledì e il venerdì, ma anche in questo racconto miracoloso non leggiamo che egli si sia astenuto dal latte durante i digiuni più lunghi, di cui ne avrebbe avuti quattro nel suo primo anno di vita. C'è un limite a quanto tempo un bambino può stare senza latte.

Circa all'età di tre anni, è consuetudine iniziare a insegnare a un bambino le basi dell'autocontrollo. A quell'età, non c'è ancora bisogno che un bambino segua una regola di digiuno monastico, ma anche a un bambino di tre anni si può insegnare a rinunciare a un pasticcino al venerdì.

Dall'età di circa sette anni, i bambini dovrebbero mangiare per lo più ciò che mangiano i genitori, forse con alcuni aggiustamenti. E, ovviamente, si presume che la famiglia segua i digiuni della Chiesa. Un genitore, per esempio, può provare a mangiare solo una volta al giorno dopo i vespri, ma un bambino probabilmente non dovrebbe, certo non per tutta la Quaresima. Anche se un bambino vuole provare un po' di ascetismo più rigoroso, un genitore, naturalmente, vorrà guidare il bambino in modi che sono adatti alla sua età.

Molti di voi sono adolescenti o giovani adulti. Questa è una stagione di molte tensioni nella vostra vita: scuola, sport, relazioni sentimentali per le quali si rimane alzati fino a metà della notte e poi ci si sente male per la maggior parte del giorno seguente. Tutto questo rende molto difficile aggiungere ancora un altro fattore di stress. Il digiuno è un fattore di stress. Quando digiunate, è necessario esercitare forza di volontà, dovete controllare voi stessi, limitare l'appetito, e pensare a quello che verrà. Ma questa stagione nella vita è anche quella in cui si ha realmente bisogno di praticare capacità di autocontrollo e autodisciplina. Non siete più bambini, e i vostri genitori non sono sempre lì per essere la vostra spina dorsale. A questo punto, è meglio avere la propria spina dorsale. Questo è il motivo per cui è così importante iniziare in qualche modo a digiunare e ad apprendere l'auto-disciplina quando si è ancora bambini.

A seguito delle turbolenze dei vostri anni di giovani adulti, circa la metà delle donne rimane incinta. I maschi possono pensare che questo non li riguarda, ma le nuove leggi comportano benefici di gravidanza anche per i giovani padri. Quindi, non abbiate paura! Scherzi a parte, però, sarebbe meglio che la gravidanza non sia l'esperienza di una singola giovane donna, ma di una coppia. Cura, amore, sostegno, comprensione e – sì! – anche la cucina è ciò che i ragazzi imparano da questa esperienza. Non c'è assolutamente alcuna buona ragione per una donna incinta di seguire una dieta monastica, e io non sono certo a conoscenza di alcuna regola della Chiesa che dica il contrario. Una cosa che dico sempre alle donne in gravidanza è che devono ancora digiunare. Noi tutti lo facciamo! Ma il loro digiuno consiste nel mangiare nel modo più sano possibile, che è una disciplina in sé e per sé. Se un cibo è sano, mangialo, se non lo è, non mangiarlo, anche se non contiene carne o latticini. Questo non significa che una donna incinta dovrebbe riempirsi di carne a ogni pasto. Questo non sarebbe salutare, soprattutto se parliamo di carni trasformate piene di sodio e di nitrati. Ma la stagione della gravidanza non è il momento per stare solo a pane e acqua dopo i vespri. Sicuramente, ci sono un sacco di vegetariani che non mangiano carne, nemmeno durante la gravidanza e partoriscono bambini sani, e anche loro crescono senza mangiare carne. Non dovete necessariamente mangiare carne solo perché siete in gravidanza. Ma non dovete neppure seguire un digiuno monastico.

 

Infine, la maggior parte di noi percepisce sintomi di invecchiamento – dopo i 40 anni, o anche più tardi. Questa è una buona stagione per una rinnovata attenzione alla nostra vita spirituale. Una persona anziana può avere più tempo per la preghiera, maggiori opportunità di fare digiuno stretto. Certo, quanto più anziani diventiamo, tanti più disturbi possiamo avere. Ma avremo questi disturbi anche se non preghiamo e non digiuniamo. Guardare la televisione invece di pregare, o mangiare hot dog invece di digiunare, non può curare tali disturbi. In effetti, potrebbe aumentarli. La preghiera e il digiuno, invece, ringiovaniscono l'anima e il corpo. In un recente studio (2012), i ricercatori del National Institute of Aging di Baltimora hanno scoperto che un rigoroso digiuno due volte alla settimana aiuta a ridurre il rischio di sviluppare molte malattie del cervello, come il morbo di Alzheimer o quello di Parkinson, e ritarda l'invecchiamento in generale. Anche se non è per questo che digiuniamo, è comunque bello sapere che il digiuno è veramente buono per il nostro corpo fisico. La mancanza di autocontrollo e autodisciplina, d'altra parte, è davvero dannosa a qualsiasi età.

Tutto questo, naturalmente, è molto lontano dalla maggior parte di voi, o, almeno, può sembrare molto lontano. C'è bellezza e un beneficio spirituale enorme nel vivere il momento, nel fare di oggi il giorno che conta, come se non ci fosse un domani. Ma è anche importante "tenere d'occhio la palla" della nostra vita, e rendersi conto che ciò che seminiamo oggi dovrà essere raccolto domani. Ma oggi siete giovani, e così cerchiamo di discutere alcune circostanze della vita in cui si ritrovano i giovani.

Digiuno e studio

La cosa più comune che i giovani fanno nelle società occidentali è lo studio. In America, si può studiare per dodici, sedici, diciotto, venti, o anche più anni, e a questo punto è praticamente tutta la vita. Lo studio è compatibile con il digiuno? Assolutamente sì! Ma si possono fare alcune modifiche alla regola del digiuno possono essere effettuate, sia a causa dell'età e anche il compito di studiare. È una cosa ben studiata e documentata [2], per esempio, che la colazione è importante per il rendimento scolastico. C'è una spiegazione semplice: se si fa la cena alle sette o alle otto di sera, alle sette o alle otto di mattina avrete digiunato per dodici ore. Se non rompete il digiuno, all'ora di pranzo avrete digiunato per sedici ore. Quando il corpo non riceve carburante sotto forma di buoni carboidrati complessi, inizia a rallentare il suo metabolismo e ad arrestare le funzioni non essenziali – vi sentite dunque stanchi, assonnati, pigri, e non può pensare bene o con velocità, perché il vostro cervello in realtà consuma circa il 20% del vostro apporto calorico totale. In altre parole, i bambini della scuola non devono seguire la regola monastica di mangiare una volta al giorno dopo i vespri, almeno, non per un tempo prolungato.

Inoltre, come ho detto prima, alcuni seminari e accademie teologiche di spicco servono pesce durante la Grande Quaresima. Se i futuri sacerdoti e i loro istruttori, molti dei quali sono monaci, sento che hanno bisogno di pesce perché studiano o insegnano, credo che gli altri studenti possono beneficiare della stessa cosa. Certamente non c'è bisogno di fare cene sfarzose a base di aragosta, ma se voi o i vostri genitori ritenete che potrebbe essere necessaria una scatoletta di tonno in un giorno "non di pesce", questa può essere una pratica accettabile.

 

Può anche essere il caso che vi servano i pasti a scuola. È difficile osservare tutte le regole di digiuno quando non si ha alcun controllo su ciò che va a finire nel vostro cibo. Per esempio, vi possono dare un'insalata con formaggio o una salsa ai latticini. È meglio ringraziare Dio e mangiare quell'insalata piuttosto che andarvene affamati o mangiare un sacchetto di patatine, che possono essere perfettamente da digiuno da un punto di vista legalistico, ma non sono certo buone per voi se scegliete sempre le patatine al posto dell'insalata. È sempre possibile astenersi dalla carne, anche a scuola, e si può osservare un digiuno rigoroso tanto quanto si desidera quando si fanno colazione e cena a casa. Ma è normale avere un poco di elasticità alle mense scolastiche, e ancor meglio portarvi da casa il vostro pranzo.

Digiuno e lavoro

La maggior parte di voi o ha un lavoro o avrà presto un lavoro. E sì, proprio come lo studio, tutti i lavori sono perfettamente compatibili con il digiuno. Se il vostro lavoro non è fisicamente molto impegnativo, si può e si deve osservare un digiuno più rigoroso. Se come lavoro si sollevano molti oggetti pesanti, o si lavora fuori al freddo, o si esegue qualche altro compito fisicamente impegnativo, probabilmente si dovrebbe aumentare l'assunzione di calorie e rilassarsi alcuni dei giorni "senza olio". Non c'è nessun consiglio del genere "una taglia per tutti", e dovreste spingevi a digiunare più strettamente possibile. Ma se si vede che le vostre prestazioni di lavoro ne soffrono, allora dovreste considerare la possibilità di alcuni adattamenti e rilassare la regola del digiuno appena quel tanto che basta per fare bene il vostro lavoro. In ogni caso, personalmente ritengo che tutti coloro che hanno obblighi importanti al mattino – studenti, genitori, lavoratori, non dovrebbero saltare la prima colazione. I sacerdoti, ovviamente, non fanno colazione prima di servire la Liturgia, e forse è per questo che alcune delle nostre prediche non sono così buone come potrebbero essere. Anche i laici dovrebbero osservare digiuno liturgico, sia che si stiano stanno preparando per la comunione o meno. Ma questo è un caso speciale, e un tempo speciale. Nella maggior parte degli altri casi, a mio parere, una buona colazione con cereali interi è il pasto più importante della giornata e può risolvere molti problemi di "non sentirsi bene" quando si osserva un digiuno.

Digiuno e sport

Forse, l'argomento più difficile è il digiuno per gli atleti seri. È importante sottolineare che stiamo parlando di atleti seri. Una passeggiata nel parco o l'ora di educazione fisica al liceo non costituiscono un serio esercizio atletico e non richiedono alcun allentamento delle regole di digiuno. Allo stesso modo, non discuteremo degli atleti di livello olimpica – il loro allenamento è così faticoso che spesso richiede una dieta rigorosa speciale e non sono suscettibili di essere in grado di seguire una regola di digiuno monastico. Ma cosa succede se siete seriamente coinvolti in attività agonistiche al liceo o all'università?

Le persone che si impegnano in attività fisica hanno bisogno di due elementi nutritivi fondamentali: carboidrati e proteine​​. I carboidrati sono il carburante dei vostri muscoli. Durante qualsiasi attività fisica, i muscoli bruciano i carboidrati immagazzinati in loro, e poi durante il periodo di recupero, i carboidrati nei muscoli vengono sostituiti. Se l'esercizio è già abbastanza difficile – e questo è l'unico modo per aumentare le prestazioni – i muscoli sono effettivamente danneggiati (è per questo che ci si sente indolenziti) e ci vogliono proteine ​​per ripararli. Quando i muscoli danneggiati vengono riparati, diventano un po' più forti e più grandi di quanto lo fossero prima dell'allenamento.

In altre parole, è quasi impossibile osservare una regola monastica di pane e acqua dopo i vespri e fare duri allenamenti regolari. Certamente lo si può fare per un giorno o due, ma non per quaranta o 49 giorni – il rendimento ne risente. Quindi, al fine di mantenere le prestazioni atletiche, probabilmente avete bisogno di almeno tre buoni pasti al giorno con molti carboidrati complessi e il 30% in più di proteine ​​rispetto a quelle persone che conducono uno stile di vita meno attivo. Ma potete ancora mantenere il digiuno. Per esempio, non c'è bisogno di mangiare carne. Ci sono molti atleti di successo che sono vegani e vegetariani. Se pensate che dovete assolutamente avere proteine ​​animali nella dieta, il pesce è una scelta molto più quaresimale rispetto al manzo. È possibile ottenere molte proteine ​​vegetali da molte fonti - gli animali più forti e muscolosi sul pianeta Terra sono tutti erbivori. (Naturalmente, il sistema digestivo di questi animali è molto diverso dal sistema digestivo umano, ma la Chiesa non ci chiede di mangiare solo erba.)

Molti atleti ritengono, inoltre, di avere bisogno di prendere vari integratori. Qui non discuteremo l'ampia varietà di prodotti che le aziende di integratori stanno cercando di vendere a chiunque voglia ascoltare la loro pubblicità, ma la gente spesso chiede integratori proteici, come frullati di proteine ​​o polveri. A mio parere, cose come integratori, erbe, vitamine, ecc, non sono cibo e non vi è alcuna buona ragione per preoccuparsi troppo se una capsula è costituita da gelatina o se un isolato proteico è stato derivato dal siero di latte. Se dovete assolutamente prendere proteine ​​in polvere, può essere più salutare per il vostro corpo prendere proteine ​​di siero di latte piuttosto che proteine ​​di soia. Si può ancora essere molto severi con il cibo: nessun gelato o hot dog (e se siete atleti seri, probabilmente non mangiate comunque cibo spazzatura). Ma se pensate che dovete prendere proteine ​​in più (e questo è un grosso "se"), scegliete l' opzione più sana, che probabilmente non è un isolato di soia.

Tuttavia, l'idea di bere un frullato di proteine ​​di siero di latte durante la Quaresima può disturbarvi, e probabilmente dovrebbe. Ci sono molte persone che vivono vita sane e produttive con una dieta puramente vegetariana. Ci sono anche molti atleti vegani di successo, inclusi maratoneti, culturisti, velocisti olimpici, combattenti di arti marziali, ciclisti, pugili, giocatori di basket, calciatori e molti altri che non mangiano alcuna proteina animale. Questi vincono campionati e tornei con una dieta completamente quaresimale, e così è possibile. Ci vorrà qualche ricerca e accortezza, ma si può assolutamente essere un atleta e osservare il digiuno. I benefici per la salute ottenuti dall'esercizio fisico sono molto importanti, ma solo per pochi anni o pochi decenni. I benefici spirituali che si ottengono con il digiuno durano per l'eternità. Tutto dovrebbe essere messo al suo giusto posto: le cose eterne al primo posto, quelle temporanee al secondo.

Digiuno e viaggi

Si tratta di una credenza comune che le persone che viaggiano sono in qualche modo esenti dal digiuno o che le loro regole di digiuno sono rilassate. Quindi, cerchiamo di esplorare questo tema un po' più a fondo. In passato, la gente viaggiava spesso a piedi, camminando decine di chilometri ogni giorno e portandosi i propri bagagli. A volte dovevano sopportare la pioggia, a volte la neve, e talvolta il calore. Dovevano anche accamparsi e dormire nei campi o nelle foreste. Infine, non erano in grado di cucinare per se stessi durante il loro viaggio e dovevano accontentarsi di tutto ciò che potevano trovare lungo la strada. A causa di queste difficoltà, le regole di digiuno per i viaggiatori erano rilassate: avevano bisogno di più energia e non potevano essere pignoli sul loro cibo.

Oggi, i viaggi sono un po' diversi. Non camminiamo più molto, ma di solito viaggiamo in ambiente confortevoli, auto con aria condizionata, o in aerei con sedili reclinabili, con un iPod, iPad, o qualche altro dispositivo che ci tiene occupati. Non camminiamo per ore, ci sediamo per ore, e ci lamentiamo molto. Quando è il momento di fare una sosta, non siamo più in un campo a cielo aperto o a dormire sulla terra dura e fredda. Invece, dormiamo in una camera d'albergo con un letto comodo, una doccia e un televisore. E poi ci lamentiamo ancora di più. Questo non vuol dire che viaggiare non possa essere faticoso e scomodo. Ma semplicemente non è così faticoso e scomodo come era un tempo.

Una cosa, tuttavia, rimane più o meno la stessa: non possiamo cucinare molto bene da noi mentre viaggiamo e dobbiamo essere soddisfatti del cibo che possiamo trovare lungo la strada. In molti casi, la soluzione è molto semplice: se si sta per fare un volo lungo due ore, si può fare un buon pasto prima di uscire di casa per evitare di dover cercare cibo in un aeroporto. Se si deve fare un lungo volo o un lungo viaggio, si dovrebbe cercare di confezionare il cibo quaresimale per il viaggio. Se si finisce per dover comprare cibo, si può scegliere l'opzione più sano, più quaresimale che si può ragionevolmente trovare. Le patatine fritte, pur quaresimali, non sono necessariamente l'opzione più sana. Spesso è possibile trovare un'insalata, frutta, o un sandwich di pesce, o del buon pane con alcune verdure. Qualunque sia la scelta possono esserci condimento per l'insalata a base di latticini o maionese nel pesce, e non c'è molto che si possa fare, anche se soprattutto qui, sulla costa occidentale d'America, la maggior parte degli stabilimenti offre opzioni vegan. Ringraziate Dio, gustate il cibo, e continuate con un digiuno più rigoroso quando il viaggio è finito. Ma non è certo una buona ragione per cercare opportunità per rompere il digiuno solo perché vi ritrovate seduti in un aeroporto in attesa di un aereo. Una regola di digiuno rilassato durante il viaggio non è una dispensa automatica, si tratta di un accomodamento.

CONCLUSIONE

Quando siete bambini piccoli, i vostri genitori vi dicono di fare ciò che è bene per voi. Vi danno regole da seguire, e le seguite, e non perché vi rendete conto che è bene per voi, ma perché quelle regole sono imposte su di voi. Quando crescete, cominciate a capire ciò che è bene per voi, e lo seguite liberamente. È lo stesso con le regole della Chiesa. Quando siamo bambini nella fede, seguiamo regole e canoni spesso senza avere una buona idea del perché. Ma quando avanziamo nell'età spirituale, cominciamo a capire che queste non sono regole arbitrarie e senza senso, ma un percorso per la salute spirituale e la comunione con Dio. Con l'età arrivano libertà e responsabilità, e ci troviamo a dover decidere come applicare le regole nella nostra vita e se siamo in grado di romperle. Ma come è segno di un bambino rispettare le regole senza capire quello che si fa, è parimenti infantile e immaturo voler rompere le regole solo perché le si può rompere.

Immaginate che i vostri genitori vi dicano di non infilare oggetti metallici in una presa elettrica; possono addirittura darvi uno schiaffo se ci provate. A una certa età, vi accorgerete che non c'è nessuno a fermarvi, siete abbastanza vecchi per fare ciò che desiderate. E quindi scoprite che è ancora una buona regola non infilare oggetti metallici in una presa elettrica. Forse i vostri genitori vi hanno imposto di lavarvi i denti. Quando siete in un college, i vostri genitori non sono lì per dirvi di lavarvi i denti, ma se avete buon senso, lo faranno da soli senza che qualcuno ve lo dica. E se scegliete di non lavarvi i denti, non solo darete fastidio agli altri con un alito cattivo, ma lascerete anche che i vostri denti si guastino.

La nostra Chiesa, come una madre amorevole, ci dà regole da seguire. Se non seguiamo queste regole, il risultato sarà un cattivo odore e un guasto nella nostra anima. E così, il nostro compito non dovrebbe essere quello di trovare il maggior numero di scuse per rompere il più possibile il digiuno. Sia che siate giovani o che stiate invecchiando, che lavoriate o studiate, che vi alleniate o viaggiate – i cristiani di tutti i tempi nella storia della Chiesa sono stati giovani e vecchi, lavoratori e studenti, atleti e viaggiatori, e hanno tenuto il digiuno. Il compito dovrebbe essere quello di mantenere la vostra fede, di disciplinare il vostro corpo, e di crescere nello Spirito in ogni situazione e in ogni circostanza.

Il digiuno è solo un aspetto della nostra pratica spirituale, ma è importante. Si tratta di una delle due ali che ci aiutano ad alzarci verso il cielo. Un uccello con una sola ala non può volare, e un cristiano che non può controllare il suo ventre non ha libertà spirituale.

Indubbiamente, avrete già sentito queste riflessioni teoriche prima d'ora. Ma spero di dimostrarvi che, come questione pratica, il digiuno è più che possibile nella maggior parte, se non in tutte le situazioni. Decidete di smettere la ricerca di ragioni per rompere il digiuno e iniziate invece la ricerca di modi per tenerlo, imparate una nuova ricetta o due, e cercate di esercitare la forza di volontà e l'autodisciplina. Si raccoglie ciò che si semina. Seminate i semi buoni dell'ascesi nella vostra vita, e raccoglierete la libertà dalla schiavitù del vostro ventre, la libertà dalle passioni della carne, e una benedizione nel seguire le orme dei più grandi santi e del nostro Signore stesso.

Note

[1] Si veda il capitolo «Кормовая книга 7132-го года» in Писарев Н.Н., Домашний быт Русских патриархов. Kazan', 1904.

[2] Gli studi sono numerosi e facili da individuare. Se volete saperne di più su questo argomento, non avete che da fare una ricerca su Google.

 
'Alleluia': un'esplorazione delle profondità della più breve tra le dossologie

Nella nostra esplorazione del servizio divino, oggi concentriamo la nostra attenzione su uno degli inni di lode più brevi, "Alleluia", un’acclamazione familiare ma profonda, frequentemente utilizzata nelle preghiere quotidiane e nei servizi religiosi.

Nonostante la sua pronuncia breve e spesso automatica, "Alleluia" racchiude una ricca storia e un significato degno della nostra attenzione.

Originaria della lingua ebraica, la parola "Alleluia" comprende le lettere iniziali del nome di Dio, che si traducono in "lodate il Signore". Questa acclamazione non è semplicemente una parola; è una risposta cantata dai fedeli alla chiamata del sacerdote, che ne sottolinea il significato nel culto.

Si ritiene che il suo utilizzo sia stato avviato dal re Davide, poiché se ne nota l'assenza prima del suo regno. Il Primo Libro delle Cronache e i Salmi evidenziano il ruolo della parola "Alleluia" nel culto ebraico, sia come conclusione dei salmi come un canto di lode autonomo, sia nel suo uso accanto ad "Amen" come risposta comunitaria durante il servizio divino: "Benedetto il Signore, Dio d'Israele, nei secoli dei secoli!" E tutto il popolo diceva: "Amen! Alleluia!" (1 Cron 16:36)

"Diede loro le terre dei popoli, ereditarono la fatica delle genti, perché custodissero i suoi decreti e obbedissero alle sue leggi Alleluia!" (Ps 104:44-45)

Nel Nuovo Testamento, l'Apocalisse di Giovanni il Teologo incorpora il termine "Alleluia" all'interno di una formula complessa, che esprime gratitudine per la sconfitta di Babilonia la Grande. Questo uso sottolinea la sua perenne rilevanza nel culto cristiano: "Udii poi come una voce di una immensa folla simile a fragore di grandi acque e a rombo di tuoni possenti, che gridavano: Alleluia. Ha preso possesso del suo regno il Signore, il nostro Dio, l'Onnipotente". (Ap 19:6)

La Quaresima introduce speciali servizi di "Alleluia", caratterizzati dalla sostituzione di "Dio è il Signore..." con "Alleluia" nel Mattutino dei giorni feriali, accanto a versetti del profeta Isaia: "Con l'anima mia ti ho desiderato nella notte, sì, per il mio spirito dentro di me ti cercherò presto; poiché quando i tuoi giudizi saranno sulla terra, gli abitanti del mondo impareranno la giustizia” (Is 26:9). Questa nomenclatura deriva dal focus liturgico unico sul termine "Alleluia" durante i digiuni, sebbene il suo uso non sia limitato a questi periodi. L'acclamazione trova posto anche nei servizi di commemorazione funebre (per esempio, nei sabati dei defunti, con i versetti dei Salmi 24, 64 e 101) mostrando la sua versatilità liturgica attraverso vari riti, incluso il cristianesimo orientale e la tradizione ispano-mozarabica.

Nonostante queste diverse applicazioni, diventa evidente un filo conduttore nel contenuto emotivo piuttosto che semantico di "Alleluia".

La sua introduzione solenne negli ambienti liturgici contrasta con il suo utilizzo nei servizi penitenziali o funebri, sfidando la nostra comprensione delle sue connotazioni tradizionalmente gioiose tra gli antichi ebrei e i primi cristiani. Il professor Ivan Alekseevich Karabinov sottolineò al Concilio locale del 1917-1918 che i servizi dell'Alleluia, originariamente una pratica quotidiana, si sono evoluti in un'osservanza specifica del digiuno.

Indipendentemente dalle tradizioni liturgiche stabilite, i cristiani abbracciano l'Alleluia non solo come tradizione liturgica ma come chiamata perpetua a glorificare Dio, trascendendo i confini del pentimento e del ricordo e arricchendo la nostra vita spirituale e liturgica.

 
La visione del signor Gibbes

Discorso tenuto presso la chiesa ortodossa russa di San Nicola a Oxford il 23 marzo 2013, dopo il servizio funebre alla tomba dell'archimandrita Nicholas (Gibbes) al cimitero di Headington.

Charles Sydney Gibbes, in breve Sydney Gibbes, è nato 137 anni fa, il 19 gennaio 1876. Nel XIX secolo questo era il giorno della festa di San Giovanni Battista, la voce che gridava nel deserto. I suoi genitori si chiamavano John e Mary - più inglesi di così non si può. Suo padre era un direttore di banca a Rotherham, alle porte di Sheffield, nello Yorkshire. Ironicamente, questa località sarà poi registrata da un funzionario civile russo sui documenti di soggiorno di Sydney in Russia come 'Rotterdam'.

Con non meno di dieci fratelli, Sydney è cresciuto come uno stereotipo giovane protestante vittoriano delle classi colte. Ha studiato a Cambridge, dove ha cambiato l'ortografia del suo cognome a Gibbes, da Gibbs, perché la forma adottata è la più vecchia, quella storica. Questo cambiamento era tipico del suo amore per il dettaglio e la precisione storica. Sydney è descritto come severo, rigido, controllato, imperturbabile, tranquillo, signorile, colto, di modi piacevoli, pratico, coraggioso, leale, onesto, affidabile, impeccabilmente pulito, di temperamento elevato, di buon senso e di comportamento piacevole. Sembra il perfetto gentiluomo vittoriano - non un uomo con una visione.

Tuttavia, come sappiamo dalla storia, sotto i gentiluomini vittoriani si nascondevano altri lati - repressi, ma pur sempre presenti. Per esempio, sappiamo che poteva essere testardo, che usava liberamente le punizioni corporali, che poteva comportarsi in modo molto imbarazzante con gli altri, quasi autistico, come si direbbe oggi, e qualcuno ricorda che aveva un caratteraccio, ma questi tratti si addolcirono notevolmente con gli anni. Dmitri Kornhardt ricordava come in tarda età le lacrime rigavano il volto di padre Nicholas quando conduceva servizi in memoria dei martiri imperiali, ma anche che si riprendeva rapidamente dopo queste espressioni così poco inglesi di emozione.

Sotto le riserve vittoriane c’era davvero un uomo nascosto, un uomo di sensibilità spirituale, che non era indifferente alle signore e si interessava al teatro e alla recitazione, a spiritualismo, divinazione e chiromanzia, ed era molto incline a registrare i suoi sogni. Forse è per questo, quando, dopo l'Università aveva pensato al sacerdozio anglicano come una carriera, aveva trovato quel percorso 'mummificato' e lo aveva abbandonato. Parlando con chi lo ha conosciuto e leggendo le sue biografie, e ce ne sono tre, non possiamo evitare di pensare che da giovane di Sydney fosse alla ricerca di qualcosa - ma non sapeva cosa. Il vero uomo fuoriusciva da sotto il suo condizionamento vittoriano.

Forse è per questo che nel 1901, all'età di 25 anni, si ritrovò a insegnare inglese in Russia - un paese con il quale non aveva alcuna connessione. Qui avrebbe passato più di 17 anni. Il momento chiave venne nell'autunno del 1908, quando si recò a Palazzo Imperiale di Tsarskoe Selo e divenne il tutore inglese dei bambini della famiglia imperiale. In particolare, fu vicino allo tsarevich Alessio, con il quale si identificava molto da vicino. Perché? Possiamo solo ipotizzare che ci fosse una simpatia o qualche altra complementarietà di carattere; al fatto che Sydney era scapolo, questo potrebbe essere stato sufficiente per sviluppare un'amicizia. In ogni caso, divenne quasi un membro della famiglia imperiale e un profondo e permanente ammiratore della loro esemplare fede cristiana e gentilezza.

Nell'agosto 1917 Sydney si trovò al seguito della famiglia imperiale a Tobolsk. Assolutamente fedele alla famiglia, nel luglio 1918 si trovò a Ekaterinburg, dopo che aveva avuto luogo l’inimmaginabile delitto in Casa Ipatiev. Contribuì a identificare gli oggetti, tornò più e più volte alla casa, raccogliendo ricordi, a cui sarebbe rimasto aggrappato fino alla fine, e ancora riluttante a credere che il delitto era avvenuto. Arrivato quasi a metà della vita, a 42 anni, questo è stato senza dubbio l'evento cruciale della sua vita, il punto di svolta, la scintilla che gli ha fatto cercare il suo destino in tutta serietà. Con l'assassinio della famiglia, era caduto il fondamento della sua vita, la sua ragion d'essere era andata. Da qui dove poteva andare?

Non tornò, come fece la maggior parte dei dipendenti stranieri, in Inghilterra. Sappiamo che anche lui, come lo tsar Nicola, era stato particolarmente colpito da quello che vide come il tradimento britannico della famiglia imperiale. Sappiamo, infatti, che era stato l’intrigante Buchanan, l'ambasciatore britannico a San Pietroburgo, che era stato dietro la rivoluzione del febbraio 1917 e la deposizione dello tsar. Questo era stato accolto dal perfido Lloyd George come il 'raggiungimento di uno dei nostri obiettivi di guerra'. (Ora sappiamo anche che erano state spie inglesi che avevano assassinato Rasputin e, inoltre, che il cugino dello tsar, re Giorgio V, si era rifiutato di aiutare lo tsar e la sua famiglia a fuggire).

In realtà, disilluso dalla politica della Gran Bretagna, da Ekaterinburg Sydney andò a est - a Omsk in Siberia e poi ancora più a est, a Pechino e Harbin. Saltuariamente avrebbe trascorso altri 17 anni qui, nella Cina russa, la Manciuria. Nel 1922 circa soffrì di una grave malattia. La sua religiosità sembra essere cresciuta ulteriormente e dopo questo sarebbe andato a studiare per il sacerdozio anglicano alla St Stephen’s House a Oxford. Tuttavia, per una persona con la sua sconvolgente esperienza, non era la sua strada; forse trovava ancora l'anglicanesimo 'mummificato'. Infine, nel 1934, a Harbin, si unì alla Chiesa Ortodossa Russa.

Non c'è dubbio che lo fece come conseguenza diretta dell'esempio della famiglia imperiale, perché prese il nome ortodosso di Alexis - il nome dello tsarevich. Avrebbe descritto questo atto come 'un ritorno a casa dopo un lungo viaggio', parole che forse descrivono la ricezione nella Chiesa Ortodossa di una qualsiasi persona occidentale. Così, dall'Inghilterra in Russia e poi in Cina, aveva trovato la sua strada. Nel dicembre del 1934, a quasi 59 anni, divenne successivamente monaco, diacono e prete. Ora sarebbe stato conosciuto come padre Nicholas - un nome volutamente preso in onore dello tsar Nicola. Nel 1935 fu nominato igumeno dal metropolita Antonij di Kiev, capo della Chiesa fuori dalla Russia e più tardi ricevette il titolo di archimandrita.

Volendo stabilire una sorta di 'organizzazione anglo-ortodossa', nel 1937 padre Nicholas Gibbes tornò a vivere permanentemente in Inghilterra. Aveva 61 anni. Di questa mossa scrisse: 'È mia fervida speranza che la Chiesa anglicana trovi una convergenza con la Santa Chiesa ortodossa'. Andò a vivere a Londra nella speranza di creare una parrocchia di lingua inglese. Non vi riuscì e nel 1940 si trasferì a Oxford. In questa ultima parte della sua vita a Oxford, come qualcuno dei presenti ricorda, divenne il fondatore della prima cappella ortodossa russa locale al 4 di Marston Street, dove viveva in condizioni umili e modeste. Nel ricordare l'indirizzo di quella prima cappella dedicata a San Nicola, non possiamo fare a meno di ricordare che l'attuale Chiesa di San Nicola, dove siamo ora, è vicina a Marston Road, e non molto lontana da Marston Street.

Non un organizzatore, a volte irregolare, anche eccentrico, padre Nicholas non era forse un parroco ideale, ma era sincero e molto rispettato. A Oxford tenne cari i ricordi della famiglia imperiale fino alla fine. Prima che lasciasse questa vita, il 24 marzo 1963, un'icona donata dalla famiglia imperiale fu miracolosamente rinnovata e cominciò a brillare. Uno che lo conosceva al momento lo ha confermato e dopo la morte di padre Nicholas, ha commentato che ora finalmente padre Nicholas vedeva di nuovo la famiglia imperiale - perché aveva aspettato questo momento per 45 anni. Stava per incontrare ancora una volta coloro che avevano plasmato il suo destino in questo mondo.

Negli anni ‘80 ho incontrato in una casa di riposo per anziani a Parigi il conte Komstadius. Aveva incontrato padre Nicholas nel 1954, ma forse lo aveva visto prima, dal momento che suo padre era incaricato della tenuta di Tsarskoe Selo e lui stesso era stato un amico d'infanzia dello tsarevich. Mi ricordo che, durante la mai visita, in un angolo della sua stanza di fronte a un'icona dello tsarevich martire ardeva una lampada da vigilia. Si girò verso di me e disse: 'Questa è un’icona molto buona, è proprio la sua immagine ma si tratta anche di un’icona'. Non molti di noi vivono fino a vedere un amico di giochi d’infanzia che è diventato un santo e a far dipingere la sua icona. Eppure, quando era un giovane sulla trentina padre Nicholas aveva conosciuto una famiglia intera, che egli considerava come santi. In effetti, era stato convertito dal loro esempio.

Ci sono persone che hanno esperienze che cambiano la vita. Sono fortunati, perché smettono di vivere superficialmente, di andare alla deriva attraverso la vita e di sprecare le opportunità inviate da Dio. Tali esperienze che cambiano la vita possono diventare una benedizione se permettiamo loro di farlo. Padre Nicholas era una di queste persone, solo che il suo cambiamento di vita è stato anche un evento che ha cambiato la storia del mondo intero. Per essere il figlio di un direttore di banca provinciale vittoriano dello Yorkshire, cresciuto con i suoi genitori John e Mary, era arrivato molto lontano. Eppure sicuramente i semi erano stati lì fin dall'inizio. Per convertirci abbiamo prima di tutto bisogno di sensibilità spirituale, di uno spirito alla ricerca, ma in secondo luogo, abbiamo bisogno anche di un esempio. Padre Nicholas aveva avuto entrambi, e l'esempio furono i martiri imperiali. Come la principessa Kutaissova, che molti di noi abbiamo conosciuto, ha detto del suo sacerdozio: 'Stava seguendo la sua fedeltà alla famiglia imperiale'.

In questo breve discorso non ho menzionato molti aspetti della vita di padre Nicholas, come per esempio il suo possibile fidanzamento, il suo figlio adottivo, le sue speranze a Oxford. Questo è perché tali aspetti non mi interessano molto qui. Ho cercato di concentrarmi sull'essenziale, sul significato spirituale della sua vita. Tali elementi essenziali si possono trovare, a mio avviso, nel suo sguardo tormentato e inquietante. Osservando il suo viso così espressivo, vediamo un uomo che guarda in lontananza, concentrandosi su una visione, sia del passato che del futuro. Questa era sicuramente una visione della vita passata aveva condiviso con la famiglia imperiale e martire, ma anche del futuro - il suo lungo sperato incontro con loro ancora una volta, il suo 'senso di completamento'.

Al sempre memorabile archimandrita Nicholas: Memoria eterna!

Il metropolita Hilarion (Kapral) alla tomba dell'archimandrita Nicholas

 
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Il prete monaco e i tre gattini

Al posto di una favola di Natale, quest’anno raccontiamo una storia vera a lieto fine: come un prete, minacciato dall’incendio doloso della sua casa a Jaroslavl, si sia preoccupato per prima cosa di mettere in salvo i suoi tre gattini. Presentiamo la storia, come riportata dall’agenzia Interfax, nella sezione “Figure dell’Ortodossia contemporanea” dei documenti, nell’originale russo e in traduzione italiana. Il prete della storia è lo ieromonaco Serapion (Mit’ko), capo del Dipartimento missionario della diocesi di Jaroslavl. Di fatto, dietro l’incendio appiccato da ignoti alla casa di padre Serapion, può esserci stata l’ostilità verso il suo impegno missionario contro le sette, come si racconta in questo articolo. Una buona testimonianza di come padre Serapion pensa e parla attraverso la mente della Chiesa ci viene proprio dalla sua sensibilità per gli animali.

 
Le apparizioni mariane: intervento divino o illusione?

L’articolo che segue è stato pubblicato per la prima volta sul periodico The Shepherd (Il Pastore), edito dalla St Edward’s Brotherhood a Brookwood (Chiesa Ortodossa Russa all’Estero). L’autrice, Miriam Lambouras, è una fedele della Cattedrale del Patriarcato di Mosca a Ennismore Gardens, a Londra. Il testo è nato dalla corrispondenza tra l’autrice e la redazione della rivista, entrambe preoccupate dal fenomeno di pellegrinaggi indiscriminati a qualsiasi santuario mariano, fatti da molti cristiani ortodossi.


Alcuni anni fa, una traduzione italiana (con alcune imprecisioni) del testo è apparsa su un sito al momento non più attivo. Presentiamo qui una nuova revisione dell’articolo, ringraziando Miriam Lambouras per il suo cortese permesso di pubblicarla sul nostro sito parrocchiale.


A parte Walsingham nei miei lontani giorni da anglicana, i santuari mariani non mi avevano mai realmente interessata. Ero ovviamente al corrente di alcuni dei più importanti tra loro – Lourdes, Fatima, e più recentemente Medjugorje –, e sapevo che, mentre molta gente (in maggioranza cattolici romani, naturalmente) considerava tali apparizioni come segni diretti dal Cielo, altri (soprattutto protestanti) le ritenevano allucinazioni, o addirittura inganni demoniaci. Non essendo membro della Chiesa Cattolica Romana, non mi sentivo in alcun modo obbligata, o incline, a pensarci granché. Ma, essendo venuta a sapere che un prete ortodosso era stato in pellegrinaggio a Lourdes, e che la moglie di un altro prete ortodosso organizzava una visita annuale a Lourdes per un gruppo di donne ortodosse, il mio interesse si è risvegliato, e sono stata spinta fortemente a osservare più da vicino le apparizioni mariane e i loro santuari.

La fonte principale delle mie informazioni riguardo alle apparizioni e ai santuari sono libri scritti da autori cattolici romani. Sono rimasta estremamente sorpresa nello scoprire quanto fossero numerose, e alla fine, mi sono limitata a quindici di esse, in particolare alla Medaglia Miracolosa, La Salette, Lourdes, Fatima, Garabandal, Zeitoun, Medjugorje e Hriushiw. Non ho preso in considerazione Walsingham, perché mi sembra classificabile in una differente categoria: la sua raison d'etre è onorare il mistero dell'Incarnazione, con il figlio di Dio come figura centrale. Anche il più severo protestante potrebbe difficilmente trovarsi in disaccordo con una simile intenzione, per quanto possa disapprovare il modo particolare in cui tale onore viene tributato.

Più leggevo, più mi convincevo che l'intera faccenda era ben più complessa di una drastica scelta fra la rivelazione divina da una parte e l'inganno demoniaco dall'altro. Molti altri fattori sembravano giocare un certo ruolo, a vari livelli, nei diversi santuari: fattori psicologici, la questione della manipolazione ecclesiastica e del coinvolgimento papale, elementi nazionalistici e politici, la presenza di qualcosa di molto più antico del cristianesimo, vale a dire il culto della dea; e, infine, la possibilità di un collegamento con il sincretismo New Age e il neopaganesimo.

Uno degli aspetti che mi hanno particolarmente interessata, ma che sembra attirare poco l'attenzione, è il problema dei fenomeni solari, di cui si hanno testimonianze nella maggior parte dei siti delle apparizioni, da Fatima in poi. Non avevo la minima idea che ciò mi avrebbe portata dritta nel dominio degli UFO!

Alla fine della mia ricerca mi è sembrato di avere più domande che risposte, e di avere in mano molte trame apparentemente prive di alcun legame fra loro; le conclusioni a cui sono giunta sono esclusivamente il risultato delle mie personali riflessioni. È probabile che altri ben più competenti di me nel giudicare questi problemi possano fornire una diversa interpretazione. Tutto sommato, si è trattato più che altro di un'indagine: quando ho cominciato, non avevo la benché minima idea di dove mi avrebbe condotto.

Un breve compendio dei santuari precedentemente menzionati potrà essere di aiuto per farsi un'idea generale del problema.  

Alcune apparizioni mariane

1) Intorno al 1295, Duns Scoto, un francescano scozzese di Oxford, difendeva l'Immacolata Concezione contro Tommaso d'Aquino e i domenicani. Dal 1708, la festa dell'Immacolata Concezione fu dichiarata festa di precetto. Nel 1830, Caterina Labouré, una giovane suora parigina, ebbe una visione della cosiddetta Medaglia Miracolosa. La suora aveva una certa predisposizione per le visioni, poiché aveva già visto il cuore di San Vincenzo, Nostro Signore nel Santissimo Sacramento e Cristo Re. Desiderosa di vedere anche la Santa Vergine, la Labouré implorò l'intercessione di San Vincenzo, e il suo desiderio fu esaudito. Un bambino vestito di bianco (il suo Angelo custode) la condusse a notte fonda nella cappella del convento, dove vide la Signora, le parlò e poté anche toccarla. Più tardi nello stesso anno, la Signora, vestita di bianco, apparve nella cappella con un serpente sotto i piedi, circondata da una cornice ovale con le parole: "Maria, concepita senza peccato, prega per noi, che ricorriamo a te". Una voce disse a Caterina di far coniare una medaglia, che avrebbe procurato grandi grazie a chi l'avesse indossata. Il retro della medaglia avrebbe dovuto recare una "M", sormontata da una croce, con il cuore di Gesù e quello di Maria. Caterina continuava a udire la voce della Signora nelle sue preghiere. La medaglia ebbe un grande successo, e diede un forte impulso alla fede nelle preghiere della Vergine, la Mediatrice di tutte le grazie. Crebbe anche la pressione popolare per la promulgazione ufficiale del dogma dell'Immacolata Concezione. Portando la medaglia per far contento un amico cattolico, un ebreo – il futuro Padre Marie-Alphonse Ratisbone – ebbe una visione della Vergine della Medaglia Miracolosa e si convertì nel 1842 (il fratello era già un prete cattolico romano), dedicando il resto della sua vita alla conversione degli ebrei, e alla costruzione del Convento Ecce Homo delle Sorelle di Sion sulla Via Dolorosa a Gerusalemme.

2) Nel 1842 a La Salette, in Francia, due guardiani di mandrie, l'undicenne Massimino e la quattordicenne Melania, videro un improvviso lampo di luce, da cui apparve una signora vestita di bianco e d'oro, con una corona di rose sulla testa. Era circondata da una luce sfolgorante, e piangeva. La signora lamentò la dissacrazione della domenica, e le bestemmie dei contadini contro i santi. (Il Curato d'Ars ed altri membri del clero si lamentavano continuamente di questi peccati nei loro sermoni). Se non vi fosse stato alcun pentimento, sarebbero accaduti grandi disastri – carestie e fame – perché la signora non poteva trattenere più a lungo suo figlio dall'infliggere la punizione. Il discorso udito durante l'apparizione era molto simile a una "Letera [sic] caduta dal Cielo", che circolava a quei tempi. Il prete della parrocchia dichiarò che la signora era la Beata Vergine; le apparizioni furono approvate in seguito dal Vescovo di Grenoble, e iniziarono i pellegrinaggi. Melania divenne suora, e continuò a ricevere visioni e rivelazioni. Massimino tentò senza successo di diventare un prete, e fu sempre pieno di debiti.

3) Nel 1854, l'Immacolata Concezione divenne ufficialmente articolo di fede nella Chiesa Cattolica Romana. Quattro anni dopo, nel 1858, una serie di visioni ebbe luogo dall’11 di febbraio fino al 16 luglio, dando origine al più celebre dei santuari mariani. Nella grotta di Massabielle, a Lourdes, la quattordicenne Bernadette Soubirous vide "qualcosa di bianco che sembrava una giovane donna". Le vennero rivolte molte domande, a cui rispose elaborando questa immagine in quella di "una graziosa giovane con un abito e un velo bianchi, una fascia azzurra alla vita ed una rosa gialla su ciascun piede." In seguito, disse che la visione somigliava soprattutto "alla Beata Vergine nella chiesa parrocchiale, per gli abiti e il volto...ma viva, e circonfusa di luce". La Signora, che portava un rosario sul braccio, parlava in dialetto locale, molto educatamente, e chiedeva penitenza. A Bernadette furono rivelati tre "segreti", fu richiesto di pregare per la conversione dei peccatori, e la Signora le promise che l'avrebbe fatta felice non in questo mondo, ma nell'altro. L'apparizione chiese una processione ed una cappella, e indicò a Bernadette dove scavare per trovare una sorgente, di cui già si conosceva l'esistenza. Bernadette recitava il rosario e andava in trance. La Signora annunciò così il proprio nome: "Io sono l'Immacolata Concezione", confermando così il dogma recentemente definito. Nell’ottobre seguente, le autorità ecclesiastiche si occuparono del caso; e le apparizioni furono confermate come provenienti dalla Beata Vergine, il culto di Nostra Signora di Lourdes fu autorizzato e si iniziò a progettare la costruzione di un santuario. Nel 1933, Bernadette fu canonizzata.

4) Nell'agosto del 1879, quindici persone dai sei ai settantacinque anni di età videro un'apparizione sul lato sud della chiesa parrocchiale di Knock, in Irlanda. La visione aveva la forma di un quadro, con un altare su cui vi era un agnello, con angeli sospesi sulla sua testa, e tre figure: la Vergine incoronata, San Giuseppe e San Giovanni Evangelista vestito come un vescovo e in atteggiamento aparente di predicazione. Le figure erano appena scostate dal muro della chiesa, e a poco più di mezzo metro dal suolo. Non si muovevano; si limitavano ad allontanarsi e a riavvicinarsi a tratti. Non emisero alcun suono. Alcuni dei testimoni rimasero due ore sotto la pioggia battente, recitando il rosario. Questa è l'unica apparizione nota dell'agnello. Fu costruito un aeroporto internazionale in previsione di un gran numero di pellegrini, ma il santuario non divenne mai molto popolare. Nel 1954 il Papa Pio XII benedisse il labaro di Knock in San Pietro e accordò l'autorizzazione per l'incoronazione di Nostra Signora di Knock. Nel 1960, Giovanni XXIII presentò un cero benedetto; e, nel 1967, Paolo VI rinnovò le indulgenze ai pellegrini e a coloro che avevano rapporti col santuario. Giovanni Paolo II ha visitato Knock in occasione del centenario, ha promosso la chiesa al rango di basilica e la ha insignita con la Rosa d'Oro.

5) Nel 1917, a Cova da Iria, vicino al villaggio di Fatima, in Portogallo, tre pastorelli (Lucia, che aveva dieci anni, Francisco di nove, e Jacinta di sette, cugini fra loro) videro dei lampi, seguiti dall'apparizione, sopra un albero, di una "piccola bella signora" che diceva di essere venuta "dal Cielo". Ai fanciulli disse che avrebbero dovuto tornare il tredicesimo giorno del mese, per i sei mesi successivi, e poi avrebbero saputo chi era la signora e cosa voleva. In risposta alle domande di Lucia, disse che Lucia e Jacinta sarebbero andate in paradiso, e anche Francisco, ma quest'ultimo avrebbe dovuto "recitare molti rosari". Un amichetto dei fanciulli, morto di recente, era in paradiso, ma un altro sarebbe rimasto in purgatorio "fino alla fine del mondo". Francisco, sulle prime, non riusciva a scorgere la visione, e non udiva niente. Jacinta vedeva e udiva, ma non parlò mai alla Signora. In altre occasioni fu loro detto di recitare il rosario e pregare, soprattutto per essere "salvati dal fuoco dell'inferno". A Lucia vennero rivelati "segreti", ed ebbe una terrificante visione dell'inferno. La Signora promise che avrebbe compiuto un miracolo in ottobre. Lucia fu picchiata dalla madre, convinta che la bambina raccontasse bugie; e l'amministratore locale, un ateo, interrogò i bambini e li imprigionò per due giorni, ma essi continuarono ad affermare la veridicità della loro storia.

Il 13 ottobre, un giorno in cui pioveva a dirotto, una folla di settecento persone si riunì a Cova, in attesa del miracolo promesso. Secondo un prete cattolico romano, la gente era molto eccitata, si inginocchiava, piangeva e pregava. La signora apparve, annunciando di essere Nostra Signora del Rosario e che la guerra sarebbe terminata quello stesso giorno (in realtà non finì se non tredici mesi più tardi). Poi scomparve, ed ebbe luogo il celebre "miracolo del sole". La pioggia era cessata, e quando Lucia gridò "Guardate il sole!" (nel quale affermò di aver visto, uno dopo l'altro, Nostra Signora dei Dolori, Nostra Signora del Carmelo, San Giuseppe con il Santo Fanciullo e Nostro Signore), la folla guardò il sole, che sembrò mettersi a girare, ad emettere raggi colorati, a muoversi a zigzag da est ad ovest, per poi cadere verso terra – così che tutti i presenti, terrorizzati, credettero che quella fosse la fine del mondo – e tornare infine al suo posto. Non tutti nella folla videro queste cose, benché alcune persone, a dieci chilometri da Fatima, furono testimoni del fenomeno. Altri riferirono che i fenomeni solari, sia durante il periodo delle apparizioni che dopo, consistevano nel sole che colorava tutto di una luce arcobaleno, un "globo luminoso", una "stella notturna" ed una "pioggia di fiori" (simile alla "pioggia di rose" che seguì la morte di Teresa di Lisieux, il Piccolo Fiore).

Come Melania di La Salette e Bernadette di Lourdes, Lucia si fece suora, e, come Melania, continuò ad avere visioni e rivelazioni. Nel 1925 le apparve la Signora con il Bambino, esortandola a diffondere la devozione al Cuore Immacolato. L'anno successivo, il Bambino apparve da solo. Poi, nel 1929, la Signora ordinò che la Russia fosse consacrata al Cuore Immacolato: questa fu la prima volta in cui fu menzionata la Russia. Nel 1937, Lucia scrisse un dettagliato resoconto delle apparizioni, che crebbe nel corso della stesura e giunse a includere precedenti apparizioni di un Angelo ai fanciulli. Nel 1915, quest'ultimo era apparso "come una persona avvolta in un lenzuolo"; nel 1916, come un giovane di quindici o sedici anni, "più bianco della neve", che si definì "l’Angelo della Pace" e che insegnò ai bambini a pregare, con la fronte a terra, per i miscredenti. Più tardi, quello stesso anno, disse loro di essere l'angelo custode del Portogallo, e che era necessario pregare e rendere ogni azione un sacrificio (come Teresa di Lisieux) per propiziare la pace; e che "i Cuori santissimi di Gesù e di Maria" avevano progetti per loro. Sempre nel 1916, l'angelo apparve poi come "una nube in forma umana, più bianca della neve, trasparente", e dette ai bambini la Santa Comunione.

Fra il 1941 e il 1942 Lucia rivelò altri particolari, descrivendo la sua terrificante visione dell'inferno avvenuta il 13 luglio del 1917. Le immagini erano quelle convenzionali: fuoco rosso, neri demoni, urla di dolore e di disperazione. A suo dire, inoltre, la signora aveva annunciato che avrebbe illuminato una notte come in pieno giorno, come suo grande segno che avrebbe preannunciato qualche terribile punizione divina, evitabile soltanto con la consacrazione della Russia al Cuore Immacolato. Questa consacrazione fu eseguita nel 1952 da Papa Pio XII, poiché fu promessa, incondizionatamente, la conversione della Russia. Il prete cattolico romano Padre Martindale notò, con un certo scetticismo, che "perfino lo stesso Calvario non ha garantito, incondizionatamente, la conversione del mondo"! Papa Giovanni Paolo II ha ripetuto la consacrazione nel 1981.

Nel 1960, Giovanni XXIII ha aperto la busta sigillata contenente il terzo segreto di Fatima, rifiutandosi però di rivelarlo. Il Concilio Vaticano II ha riconosciuto ufficialmente le apparizioni e il culto di Nostra Signora di Fatima.

6) A Garabandal, in Spagna, fra il 1961 e il 1965 ebbe luogo una serie di apparizioni, in cui i visionari – quattro bambine fra i dieci e i dodici anni – asserirono di aver ricevuto duecento apparizioni della Vergine e dell'Arcangelo Michele. Il 18 giugno, mentre stavano giocando, dopo un lampo di luce e un rombo di "tuono", l'Arcangelo Michele fece la prima delle nove apparizioni di quel mese. Le fanciulle lo descrissero come un bambino di circa nove anni, vestito di azzurro con ali rosa, scuro di pelle e di occhi, con mani ed unghie ben curate. Il mese successivo, in presenza di una grande folla, le ragazze rimasero in trance per due ore. Il giorno seguente, durante un'altra trance, videro la Vergine vestita di bianco e di azzurro, coronata di stelle. La signora parlò alle fanciulle della raccolta del fieno e di altre faccende quotidiane. Talvolta appariva con il bambino, che alle veggenti era permesso tenere in braccio. Gli stati di trance duravano da pochi minuti a nove ore; e, mentre erano in trance, le fanciulle davano alla Vergine oggetti sacri – rosari, medagliette e crocifissi – da baciare per i pellegrini. Una grande folla vide l'Ostia apparire sulla lingua di Conchita quando l'Arcangelo Michele le dette la Comunione. Questo "miracolo" era stato annunciato in precedenza.

I messaggi contenevano ammonimenti di grandi punizioni, che avrebbero potuto essere evitate solo con molti sacrifici e penitenze. Alle ragazze fu detto di visitare spesso il Santissimo Sacramento, e di cercare di essere perfette. In futuro ci sarebbe stato un grande miracolo a Garabandal, che sarebbe stato visto anche dal Papa e da Padre Pio (che, naturalmente, morì senza che ciò accadesse); e, come conseguenza del miracolo, la Russia si sarebbe convertita. Un giovane prete gesuita ebbe una "visione" del miracolo, disse che quello era stato il giorno più felice della sua vita, e il giorno dopo morì. Sembra che Padre Pio credesse nelle apparizioni. Ma la gerarchia ecclesiastica locale non si fidava; e in un certo momento, dopo un lungo interrogatorio, Conchita confessò di avere dubbi riguardo alle sue visioni. L'attuale vescovo, nominato nel 1991, sta chiedendo a Roma di riaprire il caso. durante le apparizioni, alcune persone hanno visto il sole danzare, e una stella rossa con una coda come di fuoco. Una volta la Vergine è venuta in una misteriosa "nube di fuoco".

7) Per molti versi, le apparizioni sulla Chiesa Copta di S.Maria a Zeitoun (Cairo) sono le più interessanti e credibili. Esse non riguardano la Chiesa romana, ma quella copta; e alcuni vescovi copti, fra cui il vicario del Patriarca, sono stati fra i milioni di cristiani, musulmani, ebrei e non credenti che ripetutamente hanno testimoniato le apparizioni lungo un arco di tre anni, dal 1968 al 1971. La Chiesa Copta ha riconosciuto le apparizioni come vere visioni della Beata Vergine Maria, così come la Chiesa Copta Cattolica, la Chiesa Greco-Cattolica e l'allora capo della Chiesa Evangelica e portavoce di tutte le chiese protestanti d'Egitto. Perfino il direttore del Dipartimento dell'Informazione Generale e dei Ricorsi del governo egiziano sottopose un resoconto al suo superiore, dichiarando che "indubbiamente la Beata Vergine Maria è apparsa sulla Chiesa Copta Ortodossa di Zeitoun..." La visione mantenne un completo silenzio. Non vi furono minacce di punizione, imposizione di dogmi e pratiche latine, moniti apocalittici e stati di trance.

L'apparizione avveniva sulle cupole della chiesa, e durava ogni volta fino a due ore, sempre di notte, ma non ogni notte, e non ad intervalli regolari. La Signora appariva avvolta di luce – così splendente che le sue fattezze non potevano essere distinte chiaramente – che rifulgeva nella chiesa. era invariabilmente preceduta o accompagnata da "colombe" luminose, "strane creature di luce simili ad uccelli", che non sbattevano le ali ma sembravano scivolare. La figura si muoveva attraverso le cupole, inchinandosi e salutando la folla enorme, che a volte raggiungeva secondo le stime il numero di 250.000 persone. Talvolta le benediceva, o porgeva un ramoscello d'olivo. Il rappresentante del Patriarca la descrisse come "molto calma, piena di gloria". A volte teneva in braccio il bambino, o era parte della Sacra Famiglia. Tutti pregavano a modo loro: i musulmani recitavano il Corano sui loro tappeti, i greci dicevano preghiere, i copti cantavano inni. Le "colombe" furono menzionate da molti testimoni concordi. Altri fenomeni furono una "pioggia di diamanti", una nube rossa splendente, e nubi gonfie d'incenso. Avvennero guarigioni miracolose, spettacolari e attestate da medici, benché – come negli altri santuari – esse fossero poche, se paragonate al gran numero di malati.

8) Con le apparizioni iniziate nel 1981 a Medjugorje, in Yugoslavia, si torna alla familiare atmosfera di fanciulli, trance e segreti. Una sera d'estate, quattro ragazzi – tre femmine ed un maschio – fra i quindici e i sedici anni videro una luce sul fianco di una collina. Nella luce c'era una giovane donna che teneva in braccio un bambino. La giovane li chiamò, ma essi fuggirono. La sera dopo tornarono sul posto con altri due amici, una ragazza di sedici anni e un ragazzo di dieci; e tutti videro, questa volta sulla collina di fronte, la stessa grande luce che circondava la donna, come se fosse "vestita di sole"; ma erano troppo spaventati per avvicinarsi a lei. La sera successiva, i sei ragazzi furono accompagnati da una folla di cinquemila persone. Dopo tre lampi di luce la signora apparve, ma solo i sei potevano vederla: capelli neri, occhi azzurri, vestita di grigio, coronata di stelle, in pedi su una nuvola bianca appena al di sopra del suolo, così vicina che avrebbero potuto toccarla. Una delle ragazze, tenendo in mano un recipiente di acqua santa, disse all'apparizione: "Se sei satana, va' via!", (!) e ricevette come risposta: "Io sono la Vergine Maria", venuta a "convertire e riconciliare". Più tardi la videro in una croce di luce arcobaleno, triste, mentre ripeteva: "Pace, pace. Riconciliatevi."

Negli ultimi anni la visione è apparsa una volta la settimana, verso le sei di sera, durante la recitazione del rosario. Era vestita di grigio, con un velo bianco; ma a Pasqua e a Natale indossava un abito dorato e teneva in braccio il bambino. Talvolta la "Gospa" [Signora] visitava i ragazzi a casa loro, soprattutto se erano malati, e pregava con loro da cinque minuti a mezz'ora. Venivano loro mostrate visioni del paradiso, dell'inferno e del purgatorio. (In paradiso gli angeli volavano, e persone vestite di manti grigi, rosa e gialli camminavano, cantando e pregando. Il purgatorio, un luogo pieno di nebbie, risuonava del suono di martelli che battevano su sbarre di prigione. Nel fuoco dell'inferno, uomini e donne emergevano irriconoscibili come esseri umani). La Gospa diede ai ragazzi messaggi di pace, conversione e preghiera – la recitazione giornaliera del Credo, seguita da sette Pater, Ave e Gloria (una devozione locale) – penitenza, digiuno il mercoledi e il venerdi, e rispetto per le altre religioni.

La Gospa disse ai veggenti di soffrire a causa dell'umanità peccatrice, e di essere impegnata in una grande battaglia con satana per il possesso delle anime. Medjugorje sarebbe stato l'ultimo luogo delle sue apparizioni: tutte le altre visioni sarebbero state false. Ci sarebbe stato un grande segno sulla collina per convertire i miscredenti. Ai ragazzi furono affidati dieci segreti, che si ritiene siano di natura apocalittica, e di avvertimento per possibili disastri futuri. Come il Vaticano si è rifiutato di rivelare il terzo segreto di Fatima, così si pensa che anche i francescani tendano a minimizzare gli aspetti più sensazionali delle rivelazioni della Gospa.

L'allora vescovo cattolico romano di Mostar non accettava la genuinità delle apparizioni; ma il parroco francescano, Padre Jozo, sostenuto in seguito dall'Arcivescovo di Split, si mise entusiasticamente dalla parte dei visionari. Fr Jozo fu imprigionato dalle autorità comuniste per le sue attività relative alle apparizioni. Una volta scarcerato, fu inviato alla parrocchia di Tihaljin, dove, nella chiesa nuova di zecca, iniziarono ad essere celebrati servizi di guarigione per i molti pellegrini che venivano a conoscere l'uomo che era il confidente dei visionari. L'imposizione delle mani era accompagnata da abbracci, pianti e svenimenti. Fra il 1981 e il 1990, prima del conflitto bosniaco, si erano recati a Medjugorje dieci milioni di pellegrini provenienti da tutto il mondo, inclusi americani e australiani, fra cui vi erano anche luterani, anglicani e ortodossi. Circolavano le solite storie isteriche: era stato visto il Cristo nel cielo, il rosario di una donna era diventato d'oro (a 24 carati, in un'altra versione), e qualcuno era riuscito a fotografare la Vergine.

Nel 1993, quattro dei ragazzi avevano ancora visioni. Sono state riportate guarigioni miracolose, e vari fenomeni: rotazioni del sole, misteriosi "fuochi" e "arcobaleni" senza pioggia, una croce di pietra sulla montagna, alta trenta piedi, si era messa a girare su se stessa, e la parola "MIR" (Pace) era apparsa sulla montagna in lettere di luce bianca, in modo da poter essere vista da tutti a Medjugorje.

9) L'Ucraina è stata per secoli un territorio "visionario". Nel 1987, si è detto che la Vergine sia apparsa in quindici luoghi diversi. Il 26 aprile 1987, una contadinella tredicenne di Hriushiw vide una luce sopra una cappella in rovina. Una donna vestita di nero, con un bambino in braccio, apparve nella luce dicendo che gli ucraini erano stati scelti per ricondurre i russi a Dio. La ragazza chiamò la madre e la sorella, che immediatamente dichiararono che doveva trattarsi della Bogoroditsa [Theotokos], la Vergine. Da allora fiumi di pellegrini si sono riversati nel villaggio, tanto che mezzo milione di persone afferma di aver visto la Bogoroditsa, il cui profilo apparve anche in televisione il 13 maggio, anniversario dell'apparizione di Fatima. Le autorità comuniste non riuscirono a fermare le folle, e la Pravda dichiarò che si trattava di un'opera di estremisti che tentavano di sabotare la Perestroika.

Non è chiaro se tutti udirono i messaggi, o se questi furono rivelati attraverso la contadinella, Marina, che fu visitata da uno psichiatra e dichiarata sana di mente. Quel che è certo è che non tutti videro la Vergine: molti, fra cui monaci e monache, non videro nulla. I messaggi, in sostanza, dicevano che la Vergine era rattristata per le condizioni del mondo, che gli ultimi tempi si stavano avvicinando, e che Chernobyl era stato un avvertimento per il mondo. Il rosario è una grande arma contro satana; l'Ucraina, "mia figlia", è sotto la speciale protezione della Vergine, e sarebbe diventata uno stato indipendente. Poiché avevano sofferto più di tutti sotto il comunismo, gli ucraini erano stati scelti come gli apostoli che avrebbero convertito la Russia; e, se la Russia non si fosse convertita, sarebbe scoppiata una terza guerra mondiale. Se fossero rimasti fedeli al Papa, il terzo segreto di Fatima sarebbe stato rivelato.

Come a Zeitoun, le apparizioni erano irregolari, visibili da molti, e la luce che circondava l'apparizione era "lunare", non "solare". Le parole per descrivere la luce erano molto simili fra loro: "luce lunare, ma non proprio", "fosforescente", "splendore argenteo", "fasci di luce". Ma a Hriushiw non vi era alcuno spirito ecumenico. I messaggi non facevano nulla per allentare la tensione fra gli uniati e gli ortodossi.

Intervento divino

È realmente Dio che parla attraverso queste apparizioni, o almeno attraverso alcune di esse? I fenomeni solari riportati sono davvero segni celesti, o sono solo contraffazioni?

Credendo, come noi crediamo, che la Chiesa Ortodossa sia la Chiesa, in cui si trova la pienezza della fede cattolica – cioè la fede apostolica in tutta la sua purezza e completezza – è per noi impossibile accettare alcunché di contrario all'insegnamento e alla pratica ortodossi. Ciò dovrebbe rendere immediatamente sospetto ogni santuario o apparizione in cui si fa menzione del dogma dell'Immacolata Concezione, o in cui si incoraggia il culto, non ortodosso, di parti del corpo, come il cuore di Gesù e di Maria (nel XVII secolo, in Francia, vi fu perfino quello del piede sinistro della Vergine, e delle suole delle sue scarpe...).

Ugualmente sospetto dovrebbe essere qualsiasi suggerimento di sostituire "Cristo nostro Dio, che tutto sopporta, di tutti ha misericordia e compassione, che ama i giusti e ha misericordia dei peccatori" con una figura distante e impersonale piena di furore, incline alla punizione e alla vendetta. L'apparizione a La Salette disse: "Non posso più trattenere il braccio pesante di mio figlio"; e l'apparizione di Fatima: "...è già profondamente offeso". A San Damiano, nel 1961: "Il Padre Eterno è stanco, molto stanco... ha liberato il Demonio, che provoca distruzioni." Nel 1985 a Oliveto Citra, in Italia, si odono ancora le parole di La Salette: "Non posso più trattenere il braccio di giustizia di mio Figlio". Queste parole riecheggiano gli insegnamenti – privi di equilibrio, ma molto popolari – di alcuni santi e predicatori latini del passato, per cui il Regno di giustizia di Cristo era opposto al Regno di misericordia di Maria. "Se Dio è adirato contro un peccatore, Maria lo prende sotto la sua protezione; trattiene il braccio vindice del suo Figlio, e lo salva" (Alfonso de'Liguori). "La Vergine è il sicuro rifugio dei peccatori e dei criminali dal rigore dell'ira e della vendetta di Gesù Cristo"; Ella "lega il potere di Gesù Cristo, per impedirgli di fare del male al colpevole" (Jean-Jacques Olier).

Le assurdità di La Salette parlano da sole: per esempio, l'apparizione che dichiara di aver dato agli uomini sei giorni per lavorare, e di aver riservato il settimo per se stessa (l). Nel suo libro The Dancing Sun, Desmond Seward scrive:

A detta dei visionari, la Vergine (di Medjugorje) afferma che il mondo si trova in un periodo di oscurità mai visto prima... Satana... sta combattendo una grande battaglia per le anime con la Madre di Dio, inviata dal Padre Eterno per ammonirle e rincuorarle: poiché, come Dio disse al serpente nella Genesi, la donna "ti schiaccerà la testa".

Ma se è così, questo perpetua la cattiva traduzione cattolica romana nella Bibbia di Douay, di Genesi, capitolo 3, versetto 15. Non è affatto la donna ma il seme della donna – Cristo – che schiaccerà la testa del serpente, con la sua passione e risurrezione.

I teologi latini più cauti e sobri si sono sempre sentiti a disagio con gli eccessi dei loro contemporanei; ma in molte occasioni la spinta dell'entusiasmo popolare è stata troppo forte per permettere a una sana teologia di prevalere. Louis-Marie Grignion de Montfort (+ 1716 ) – maestro di eccessi "mariani" – collegava strettamente la Vergine all'escatologia. Nel Secondo Avvento la Vergine dev'essere rivelata dallo Spirito Santo, così che Cristo possa essere conosciuto; e deve manifestare tutto il suo potere contro i nemici di Dio, poiché in qualche modo il diavolo teme più lei di Dio stesso. L'idea della Vergine come di colei che prepara sempre la strada per la venuta di Cristo – non solo il suo primo avvento nell'Incarnazione, ma la sua discesa nell'anima degli uomini, e il suo secondo avvento – si è protratta fino ai tempi moderni. "Come non ci sarebbe stato alcun avvento di Cristo nella carne, nella sua prima venuta, senza Maria, così non può esservi alcun avvento di Cristo nello spirito...senza che sia ancora una volta Maria a preparare la strada." "Come fu lei a preparare il corpo di Cristo, così adesso prepara le anime per il suo avvento" (Arcivescovo Fulton Sheen). A Zeitoun, "si percepisce in evidenza il ruolo salvifico della Beata Vergine, come nel 1917 a Fatima. Tale ruolo è essenzialmente quello di preparare la strada per il suo Figlio divino, aprendo l'anima degli uomini alla sua grazia redentrice". "...dopo aver preparato 2.000 anni fa la sua via fra il Suo popolo", la Vergine "prepara adesso la sua via nelle anime di milioni di gentili di tutte le fedi, e di atei, con una nuova e più grande Visitazione" (Francis Johnston: When Millions Saw Mary). Viene da chiedersi se lo Spirito Santo abbia ancora qualcosa da fare...

Questo modo di pensare ben si accorda con la fede corrente – prevalente in alcuni ambienti cattolici romani – in un'Età mariana che deve precedere il secondo avvento, e con il forte tono apocalittico della maggioranza delle apparizioni. Ma, poiché un simile ruolo della Madre di Dio non si può trovare attestato né dalle Scritture né dalla Tradizione, non ispira molti motivi per credere nell'autenticità delle apparizioni.

Una delle caratteristiche più inquietanti di queste apparizioni è che la Vergine appare come una figura autonoma, mentre Cristo è stranamente assente. E' lei che piange per lo stato di peccato dell'umanità, ed è sempre lei che decide chi sarà guarito ("alcuni li guarirò, non altri"). Qualsiasi cosa dicano i messaggi, è la Vergine, non Cristo, che si fa portavoce del Cielo. La Chiesa Ortodossa non separa mai la Madre dal Figlio; e un Cristo distante o assente sarebbe impossibile, poiché senza la vita nel Cristo Dio-uomo, vissuta nel potere dello Spirito Santo, la Chiesa cesserebbe di essere la Chiesa.

Fattori psicologici

Nella maggioranza delle apparizioni prese in esame, i soli o comunque i principali visionari sono bambini o adolescenti: è dunque probabile che in questi fenomeni sia presente qualche elemento di psicologia infantile. Per un'accurata valutazione delle visioni e dei messaggi, bisognerebbe avere maggiori informazioni riguardo ai bambini coinvolti: a quale tipo di arte religiosa sono stati esposti, quali sermoni hanno ascoltato, quali insegnamenti hanno ricevuto a scuola e nelle lezioni di catechismo, quali libri religiosi hanno letto.

Nel caso di Bernadette, per esempio, le sue visioni non vengono dal nulla, come spesso si pensa. Bernadette conosceva già la Medaglia Miracolosa (da suora, sembra che l'abbia sempre portata su di sé); e l'Immacolata Concezione era stata dichiarata dogma ufficiale nel 1854. Già da quattro anni la fanciulla doveva averne sentito parlare ripetutamente, sia in chiesa che nelle lezioni di catechismo, anche senza comprenderne appieno il significato.

C'è da dire altresì che nella zona di Lourdes le visioni erano fenomeni ricorrenti. Gli elementi essenziali della visione di Lourdes - una signora, una pastorella (Bernadette era stata una volta temporaneamente impegnata a badare alle pecore nel vicino villaggio di Bartrès), una cappella, processioni, e una sorgente dai poteri miracolosi - erano già presenti in alcuni santuari dei Pirenei, che nel medioevo si trovavano sulla strada per Compostella. Nel 1475, un giovane pastore di Bétharram aveva avuto la visione di una signora, che aveva chiesto ancora una volta di edificare una cappella. Oltre a Gavaison, altri santuari della Vergine nei dintorni erano Poeylanum, Heas e Pietat. C'erano anche Nostra Signora di Sarrance, di Bourisp, di Medous, di Nestes, di Buglose, nonché altri quattro centri di pellegrinaggio nella regione: in tutto, quattordici centri vicini a Lourdes. Genuina o no, la visione di Bernadette ben si adattava al modello locale. In passato, l'area era stata contaminata dall'eresia albigese. Nel corso di una crociata contro questa particolare eresia, promossa da Papa Innocenzo III, gli eretici erano stati passati a fil di spada, e c'era stato l'intervento diretto dell'Inquisizione. Furono usati gli usuali metodi dell'Inquisizione, che lasciavano dietro di sé un popolo ortodosso nella dottrina (latina), ma certamente non amante del clero. Perciò le visioni erano molto popolari, in quanto dispensavano dalla necessità di una mediazione clericale.

È ben noto che i fanciulli, a un determinato stadio di sviluppo mentale, che può variare considerevolmente a seconda dei soggetti, amano avere un mondo segreto, inaccessibile agli adulti, e spesso immaginano situazioni in cui possono sentirsi importanti. Vi sono numerose somiglianze fra La Salette e Fatima; e Lucia ammise che la madre gli aveva letto la storia di La Salette. In che misura le visioni di Bernadette potevano essere una forma inconscia di compensazione? La signora era piccola, non più alta della stessa Bernadette, e si rivolgeva alla fanciulla - malaticcia, poco sviluppata, che tutti chiamavano "la piccola idiota" - in modo molto cortese, dandole del vous. L'attenzione riservata ai giovani "veggenti", grazie alle loro visioni, sarebbe indubbiamente aumentata in virtù dei "segreti" loro concessi – elemento, questo, ricorrente nelle apparizioni ad adolescenti e bambini da La Salette in poi – accrescendone così l'importanza agli occhi degli adulti.

E' altresì ben noto che un piccolo numero di soggetti – quasi sempre bambini e adolescenti – dimostrano una considerevole capacità eidetica: cioè la facoltà di avere vivide immagini visive di specifici oggetti che non sono presenti nella realtà, ma nella loro immaginazione conscia o inconscia, e vengono "visti" dal soggetto stesso. Nel libro Mary–A History of Doctrine and Devotion, Hilda Graef menziona un esperimento molto interessante condotto da uno psicologo, C. M. Staehlin, in cui e' stata testata la suggestionabilità di sei ragazzi dai quindici ai diciotto anni, a cui è stata indotta per suggestione l'immagine di una battaglia fra guerrieri medievali oltre un albero. Due ragazzi non hanno visto niente, due hanno "visto" la battaglia ma non hanno udito nulla, e altri due hanno visto la scena e udito il rumore, perfino le grida dei singoli cavalieri. Nessuno dei ragazzi aveva potuto comunicare con gli altri; eppure, i due che avevano "visto" e "udito" concordavano su ogni dettaglio. Nelle apparizioni abbiamo lo stesso fenomeno: l'accordo fra i ragazzi, la loro apparente comunicazione telepatica, il fatto che solo alcuni "vedono", mentre altri "vedono" e "odono" le parole delle apparizioni.

Fino a che punto possono essere provate la suggestionabilità e le doti eidetiche del dodicenne Eugene Barbadette, quando nel cielo di Pontmain, in Francia, nel 1871, gli "apparve" una Signora vestita di un manto azzurro con stelle dorate? Il soffitto della sua chiesa parrocchiale era dipinto di azzurro con stelle dorate. I vicini adulti, riunitisi per osservare il fenomeno, non videro nulla; mentre altri bambini dichiararono di aver visto anch'essi l'apparizione. All'arrivo del prete locale sulla scena, la visione divenne più elaborata: una cornice ovale azzurra, con scritte al suo interno (echi della Medaglia Miracolosa), piccole croci bianche, una grande croce rossa, e quattro candele che si accesero da sole. Il parroco aveva precedentemente eretto croci bianche in tutta la parrocchia, guidava la piccola folla nella recitazione del "rosario rosso" in onore di ventisei martiri giapponesi (cosa che può aver suggerito l'immagine della croce rossa), ed era solito accendere quattro candele dopo i vespri della domenica davanti a una statua della Vergine dell'Immacolata Concezione.

Comunque, una capacità eidetica e ordinari fattori di sviluppo infantile non sono sufficienti, da soli, a spiegare l'attaccamento dei bambini alle loro storie, quando in alcuni casi essi furono ripetutamente interrogati, presi in giro, puniti fisicamente per aver "raccontato bugie", perfino imprigionati. Né spiegano gli stati di trance, talvolta di ore, durante i quali i giovani – per esempio a Garabandal – non reagirono a luci abbaglianti, a bruciature di sigarette e a punture di spillo. Un neurologo dell'accademia medica di Barcellona, che esaminò i visionari di Garabandal nel corso di almeno venti trance e dopo di esse, non riuscì a trovare una spiegazione, e dichiarò che i visionari erano ragazzi del tutto normali.

La trance è collegata dagli psicologi all'estasi religiosa e alle esperienze visionarie, ma anche alle capacità medianiche, in cui possono essere prodotti effetti fisici paranormali e materializzazioni. Gli stati di trance, naturalmente, sono ben noti agli sciamani ed agli "uomini di medicina" pagani.

Nelle occasioni in cui molti adulti hanno potuto vedere le apparizioni o i fenomeni solari, non tutti i presenti, in realtà, hanno visto qualcosa. Un esempio interessante della suscettibilità da parte di adulti alla suggestione telepatica o alle allucinazioni di massa è riportato nel libro Orthodoxy and the Religion of the Future di Padre Seraphim Rose. Alla fine del XIX secolo, alcuni passeggeri, soprattutto inglesi, si trovavano a bordo di una nave attraccata in un porto di Ceylon, sulla via per l'India. Avendo un po' di tempo libero, essi si recarono in visita ad un mago-fachiro locale che, fingendo di non averli neppure notati, fece svanire la chioma dell'albero sotto il quale stava seduto, facendo apparire al suo posto l'incredibile scena della loro nave che solcava l'oceano. Gli spettatori stupefatti potevano vedere, a volo d'uccello, il ponte dove essi stessi ridevano e conversavano, il Capitano che impartiva ordini, la ciurma che lavorava; e c'era perfino la scimmia della nave, Nelly, che mangiava una banana. La fonte dell'aneddoto, uno ieromonaco russo che aveva bazzicato nel mondo dell'occulto e sapeva da quale potere provengono le false visioni, pieno di paura si mise a recitare in silenzio la Preghiera di Gesù. Ai suoi occhi la scena scomparve, mentre gli altri continuarono a vederla ed a meravigliarsene.

Il ritorno della Dea

Perchè è sempre la Madre di Dio che sembra apparire in queste visioni? Forse il Canonico John di Satge, un anglicano evangelico, aveva ragione nel dire che il culto mariano (anche se qui un ortodosso farebbe una chiara distinzione fra la mariolatria e la venerazione ortodossa per la Madre di Dio...) aveva le sue radici in un più antico paganesimo, nella ricorrente tendenza dell'umanità ad adorare una dea madre.

L'attuale tendenza all'ordinazione delle donne e all'uso di un linguaggio vago e asessuato per Dio sono fenomeni chiaramente collegati allo gnosticismo, mentre le apparizioni mariane sembrano maggiormente correlate all'antica figura pagana della Dea. Gi eretici gnostici permettevano alle donne di esercitare, al pari dell'uomo, la funzione di sacerdote e vescovo, e adottarono alcune credenze cristiane, distorcendole impietosamente per adattarle al sistema filosofico-religioso gnostico; ma il loro interesse non era rivolto a Maria, la Madre di Dio, quanto piuttosto a Dio "Madre", cioè lo Spirito Santo. Alcuni gnostici elaborarono una figura dell'immortale Sophia, e talvolta considerarono la Vergine Maria come una delle sue incarnazioni; ma non sembra esserci stato alcun elemento tendente alla formazione di un culto cristiano di Maria come quello prevalso nella Chiesa Cattolica Romana.

L'unica Grande Madre dei pagani si manifestava nelle varie forme della natura, sulla terra e nel cielo. Non avendo forma umana, era adorata in luoghi sacri e santuari marcati da colonne. Più tardi fu rappresentata in forma umana, servita da colombe e serpenti, che simboleggiavano il suo potere nell'aria e sulla terra. La Dea era soprattutto colei che dava e sosteneva la vita, la portatrice di fertilità all'uomo e alla natura; e, nel suo più tardo ruolo di Musa, l'ispirazione che fa nascere la musica, l'arte e la poesia.

Con il fondersi e il reciproco influenzarsi delle società, la Dea si frammentò e fu identificata con divinità locali, assumendo le loro caratteristiche. Col nome di Neith, divinità portata in Egitto dalla Libia, era una vergine-madre cosmica, che "partorì il Sole, e divenne madre quando nessuno ancora aveva generato figli". Come Iside, rivela al supplicante che in molti luoghi diversi, lei, l'unica, è "adorata in molti aspetti, conosciuta sotto molti nomi": Madre degli dei, Artemide, Afrodite, madre del Grano, e Persefone, la Fanciulla per eccellenza. Allo stesso modo, la Signora delle apparizioni è venerata in molte località sotto una varietà di nomi e di aspetti: Nostra Signora del Rosario, Vergine dei Poveri, Madre Consolatrice, l'Immacolata Concezione, e così via.

Un inno babilonese a Ishtar la saluta come Regina di tutto, che nella sua pietà risuscita i morti, guarisce i malati e salva gli afflitti; ma possiede, tuttavia, un lato "oscuro", e nell'epopea di Gilgamesh decide capricciosamente di distruggere l'umanità. Robert Hugh Benson, scrittore cattolico del XIX secolo, individuò questo aspetto "oscuro" della Signora di Lourdes:

Maria mi è apparsa sotto una nuova luce da quando ho visitato Lourdes. In futuro non solo odierò il fatto di offenderla, ma anche ne avrò paura. E' terribile cadere nelle mani di questa Madre, che consente agli infermi di trascinarsi arrancando per tutta la Francia fino ai suoi piedi, per poi tornarsene via sempre strisciando. E' una delle Marie di Chartres che qui si rivela, oscura, potente, dominante e inesorabile: non la Maria di un negozio di articoli ecclesiastici, che dimora fra carta stagnola e tuberose.

Senza dubbio gli uomini pensavano cose simili a queste, tanto tempo fa, nei confronti della Magna Mater o di Artemide, piuttosto benigna ad Atene, ma oscura e terribile come Diana di Efeso. Geoffrey Ashe (Miracles, 1978), commentando il "miracolo del sole" a Fatima, scrive: "Accettare il fatto che questo sia un miracolo attribuibile a Maria, significa ammettere che la Vergine ha un aspetto minaccioso e imperscrutabile che mal si concilia con le idee cristiane su di lei."

Se la Dea c'entra in qualche modo nelle visioni mariane, la Francia sembra costituire un terreno naturalmente fertile per queste ultime, poiché in questa nazione la Dea, in genere, sembra essere stata particolarmente benigna e provvida. Era esistito un tempio di Iside a Soissons, un forte culto della Madre nella regione di Treves, mentre il culto della Madre Terra prevaleva nelle regioni di Seine, Oise e Tarn, e c'erano molti santuari dedicati a dee minori che proteggevano le sorgenti. Vi erano anche ninfe protettrici di fonti, rocce ed acque, ed una moltitudine di "bianche signore" discendenti della Madre Terra.

A Roma, Cibele, la Grande Madre degli dèi, una divinità importata dall'Asia Minore, fu ritenuta artefice della sconfitta di Annibale e acquisì un duraturo seguito di fedeli. Le statue di Cibele avevano la caratteristica di essere coronate e condotte di luogo in luogo. Allo stesso modo, un ulteriore sviluppo delle apparizioni è stata la solenne incoronazione di statue mariane, condotte poi in processione, soprattutto a Fatima, da un luogo all'altro. Nel 1864, la Vergine di Garaison fu incoronata con l'autorizzazione del Papa (Pio IX), seguita poi da quelle di La Salette (Leone XIII) e Fatima (Pio XII). Nel 1954 fu incoronata Nostra Signora di Knock, regina dell'Irlanda. Precedentemente, nel 1732, la Vergine di Svata Hora, in Slovacchia, fu incoronata col diadema del Sacro Romano Imperatore. E' fuori di dubbio che la Madre di Dio, che rappresenta l'umanità redenta, sia glorificata e regni con Cristo; ma queste incoronazioni terrene tendono ad allontanarla da noi e a nascondere il fatto che la sua corona celeste non è il "diadema", emblema regale della monarchia, bensì lo stephanos, la corona di alloro data ai vincitori nella battaglia della vita, il premio che si ottiene dopo aver lottato fedelmente, attraverso sofferenze e purificazioni: la corona con la quale tutti i cristiani sperano e pregano di essere incoronati.

Universalmente venerata, la Dea soddisfaceva il profondo bisogno della psiche umana per l'eterno femminino. Talvolta agiva autonomamente, come unica divinità superiore; altre volte con una divinità maschile, un partner di pari dignità; altre volte ancora in una relazione Dea-Sposo/Figlio. Solo fra gli ebrei, guidati dai loro profeti fieramente monoteistici e privi di compromessi, non vi fu mai posto per la Dea; e perfino loro, circondati da società politeistiche, ricadevano talora nell'adorazione di divinità pagane. Presso gli ebrei, i serpenti della Dea, simboli benigni di guarigione e saggezza, divennero la figura del malvagio tentatore, ed Eva, madre di tutti i viventi, divenne una figura simile a quella di Pandora, che scatenò il peccato e la morte sull'umanità. L'altra attendente della Dea, la colomba, non venne "degradata", molto probabilmente a causa dei suoi rapporti con Noè e l'arca. La Signora di Zeitoun ha il suo seguito di "colombe"; e il serpente appare come simbolo del male, nell'accezione giudeo-cristiana, sotto i piedi della signora della Medaglia Miracolosa, mentre la visione di Medjugorje è impegnata in una battaglia per schiacciare la testa al serpente.

Se un rapporto della Dea con le apparizioni sussiste realmente, come è accaduto che questa figura abbia potuto prendere piede nella Chiesa latina, rimanendovi in incognito?

I missionari apostolici si mossero da un contesto strettamente monoteistico per incontrare società permeate da un mondo di dei ed esseri umani semi-divini. Non vi è dubbio che, per molti convertiti al cristianesimo, i vecchi modi di pensare non sono stati cancellati facilmente, neppure dopo il battesimo.

Uno dei Padri della Chiesa, Epifanio, ci informa dell'esistenza di una setta, composta soprattutto da donne, soprannominata i Colliridiani. Originaria della Tracia, verso il IV secolo la setta si era diffusa nella Scizia Superiore (all’incirca a nord-ovest del Mar Nero) e in Arabia. Sembra che fosse ispirata dagli eventi del Vangelo, combinati con una leggenda, simile a quella di Elia, sulla purezza e "non-morte" di Maria. S.Epifanio afferma che le "sacerdotesse di Maria" la veneravano come una dea autonoma, la Regina del Cielo, con rituali ben più antichi del Cristianesimo, e "adornavano una sedia o un trono quadrato, lo coprivano con una stoffa e, in certe solenni occasioni, vi ponevano sopra del pane e lo offrivano nel nome di Maria". Ricordando l'esempio degli Ebrei, condannati dal Profeta Geremia, che avevano fatto offerte del genere alla "Regina del Cielo" - in questo caso, Astarte - Epifanio si scaglia contro l'adorazione della Vergine nella stessa misura in cui aveva criticato la mancanza di rispetto nei suoi confronti. Questa è la settantanovesima nella lunga lista delle eresie criticate da Epifanio; eppure sembra più un'altra religione, piuttosto che una deviazione della religione cristiana: è l'antica religione pagana della Dea, che si nasconde sotto la nuova manifestazione di "Maria". E' improbabile che i Colliridiani, come tali, abbiano influenzato la Chiesa; ma la loro esistenza dimostra come possono sorgere simili distorsioni della vera fede, ed è possibile che una versione più ortodossa di alcune delle loro idee si sia rivelata congeniale per alcuni neo-convertiti dal paganesimo, rimanendo così latente, finché la giusta combinazione di circostanze non l'ha ridestata. Nel corso del mio studio sulle apparizioni ho cominciato ad avvertire la presenza di un'altra religione, che sembra affiancare il cristianesimo. È stata una vera sorpresa, dunque, scoprire che anche il romanziere francese ottocentesco Emile Zola aveva avuto un simile presentimento, credendo di avere avvertito a Lourdes "quasi una nuova religione".

Nella Chiesa, Cristo è il Secondo Adamo; ma, una volta che la Vergine ha cominciato ad essere considerata, in un certo qual modo, come la seconda Eva (senza naturalmente la minima concessione al paganesimo), ciò probabilmente ha richiamato alla mente dei più deboli spiritualmente la relazione Dea-Figlio/Sposo; mentre la Theotokos, benché il suo titolo alludesse solo al fatto che Cristo è Dio, ha sicuramente evocato la memoria di Cibele, la Grande Madre degli dèi - eccetto che per il significato ben più elevato del titolo, che significa Madre di Dio. Allorché il paganesimo si estinse, e le divinità locali furono detronizzate, molto spesso fu la Madre di Dio a sostituirle come patrona delle sorgenti curative e delle montagne sacre, associate da secoli coi pellegrinaggi. In occidente, dove le basi liturgiche e teologiche erano forse più deboli, durante il Medioevo la "Nostra Signora" di una regione veniva ad assumere una personalità differente da quella della Vergine di un santuario rivale. Sir Thomas More, il martire cattolico romano dell'epoca Tudor, commentava: "faranno paragoni fra nostra signora di Ipswitch e nostra signora di Walsingham, come a intendere che un'immagine ha più potere di un'altra".

Niente di tutto ciò si è mai verificato in Oriente. Radicata sanamente e sobriamente nella solida teologia della Chiesa Ortodossa, e nutrita spiritualmente da una liturgia in lingua corrente, la figura della Madre di Dio ha assunto naturalmente il suo giusto posto in un insieme perfettamente equilibrato e armonioso. La distorsione occidentale della dottrina della Santa Trinità, derivante dal Filioque, con la sua (non intenzionale) "svalutazione" dello Spirito Santo, insieme agli eventi storici che sopraffecero l'Impero d'Occidente sotto forma di invasioni barbariche e delle relative conseguenze, isolarono sempre di più la Chiesa d'Occidente dalla pura Ortodossia di quella d'Oriente.

Con la restaurazione dell'ordine e di un governo stabile alla fine dei secoli bui, la Chiesa d'Occidente si ritrovò con un laicato largamente analfabeta e semi-barbaro. Gli ecclesiastici dovevano fare le veci dei quadri amministrativi e legislativi richiesti dai governanti laici. Di conseguenza, il Papato dovette basarsi per la sua esistenza su legali ecclesiastici; e ciò finì per dare alla Chiesa romana l'inquadramento legalistico e la filosofia sistematica che sono rimasti i suoi tratti distintivi. L'istituzione ecclesiastica acquisì un'autorità eccessiva; e, col celibato obbligatorio dei preti, "la Chiesa" divenne nel sentire comune sinonimo di "clero". Una teologia trinitaria manchevole, e un'indebita enfasi sugli insegnamenti agostiniani sul peccato originale e sulla redenzione, insieme ad una gerarchia composta di soli maschi, provocò la perdita dell'elemento femminile nella cristianità occidentale, e creò un "vuoto dalla forma di Dea": la Vergine Maria era la candidata più ovvia per riempire quel vuoto.

Nella Chiesa Orientale, invece, la tradizione fu trasmessa immutata, di generazione in generazione. Se si eccettua il tradimento della Quarta Crociata, l'Impero Romano d'Oriente rimase in piedi fino all'arrivo dei turchi. Vi fu sempre un laicato indipendente e di alta cultura. Con la presenza di un Imperatore nel pieno dei suoi poteri, non vi fu mai l'opportunità – né si avvertì la necessità o il desiderio – di assoggettare il potere laico all'autorità del Patriarca; e la "Chiesa" continuò a indicare l'intero corpo dei fedeli, passati e presenti, compresi gli angeli. I preti sposati fecero sì che la classe sacerdotale non diventasse mai una "casta" a parte (come al giorno d'oggi, il prete vive nello stesso tipo di casa dei suoi parrocchiani: un prete di villaggio a Cipro può essere benissimo il calzolaio di paese, e un papas greco, in tonaca e cappello cilindrico, può essere visto con un figlio o una figlia per mano, mentre con l'altra regge un paniere per la spesa). Nella Chiesa Ortodossa non vi è mai stato alcun "vuoto dalla forma di Dea"; e la santa Vergine, saldamente ancorata nella teologia e nell'innologia, più degna d'onore dei cherubini e incomparabilmente più gloriosa dei serafini grazie alla sua divina maternità, restò una donna dotata di una natura umana, come la nostra, sotto tutti i punti di vista, completamente purificata dallo Spirito Santo al momento dell'Annunciazione per renderla capace di dare una natura umana al Logos eterno.

Nella Chiesa Latina, le esagerazioni mariane hanno raggiunto vette sempre più alte, interrotte solo brevemente dalla Riforma protestante. La Vergine, dandogli una natura umana, avrebbe "reso più perfetto il Creatore dell'universo" – un'idea perfettamente contraria a quella delle Scritture e dell'Ortodossia, in cui l'Incarnazione è vista come una kenosis, uno svuotamento di sé da parte di Cristo – "benché fosse ricco, per noi si è fatto povero". La più strana fantasia di Bernardino da Siena, la "seduzione di Dio", viene descritta in un linguaggio più appropriato a una leggenda greca di Zeus che al grande mistero dell'Incarnazione. La Vergine era più elevata della Chiesa... aveva autorità sul proprio Figlio nei cieli... placava la giustizia divina, e impediva a Dio di punire i peccatori... con lo Spirito Santo, faceva nascere Cristo nelle anime. "Perfino la lingua dello Spirito Santo" era "appena sufficiente a celebrare degnamente le sue lodi"! Sfortunatamente, gli autori e i predicatori di queste sciocchezze blasfeme venivano frequentemente canonizzati, cosa che era considerata come un segno di approvazione ufficiale. Tali distorsioni potrebbero benissimo essere il "materiale" di cui sono fatte le apparizioni mariane. La Dea, o almeno un essere semidivino, è tornata.

E' interessante notare che il cardinale John Henry Newman non sopportava tutti questi eccessi. Egli accettava l'Immacolata Concezione, ma riteneva che le esagerazioni popolari e altre deviazioni dall'insegnamento patristico fossero "provocate ad arte, allo scopo di... destabilizzare le coscienze, provocare la blasfemia e portare le anime a perdizione". Con un tocco tipicamente nazionalistico, il Cardinale Newman notava che tutte queste devozioni e questi insegnamenti erano chiaramente l'opera di stranieri, non certo di inglesi!

Papa Giovanni XXIII ritenne necessario ricordare al suo gregge che "la Madonna non è affatto compiaciuta quando viene posta al di sopra di suo Figlio". E' inutile dire che tali eccessi sono disapprovati nell'attuale clima ecumenico. Non so cosa ci sia scritto nelle edizioni più recenti; ma la Guida ufficiale di Lourdes del 1980 si dichiarava contraria a "una devozione superflua alla Vergine, che si basa su chincaglieria, rosari e medaglie: la perversione di una religione autentica, che si avvicina alla superstizione". Ma, in qualche modo, non credo che la Dea si farà sloggiare così facilmente...

Politica, nazionalismo e coinvolgimento ecclesiastico

Com’è accaduto che queste apparizioni siano riuscite ad ottenere una fama nazionale, e perfino internazionale? Per esempio, com’è potuto accadere che le visioni – reali o immaginarie – di una fanciulla siano riuscite a trasformare Lourdes non solo in uno dei centri più importanti della Chiesa Cattolica Romana, ma anche in una colossale industria turistica, una “Disneyland religiosa” con più pellegrini della Terra Santa, più alberghi di ogni altra città francese, tranne Parigi e Nizza, una fabbrica che produce più di una tonnellata di candele al giorno, e negozi di souvenir in cui si possono acquistare Vergini in palle di vetro con la neve, o in apparecchi televisivi, e bottiglie di acqua santa in forma di Madonne alte un metro, dotate di corone d’oro estraibili per poterle riempire? Naturalmente, tutto questo deprecabile e pacchiano commercialismo non ha alcuna rilevanza sull’autenticità o meno delle visioni.

La politica e le manipolazioni ecclesiastiche (così come la costruzione della ferrovia) hanno avuto la loro parte in tutto ciò. In Francia si era sviluppato un cristianesimo “reazionario” per contrastare le posizioni anticlericali della rivoluzione francese e lo spirito del razionalismo. Le visioni mariane erano in sintonia con la richiesta popolare; e, incoraggiate dalle autorità ecclesiastiche, contribuirono notevolmente a dare nuova vita a un Cattolicesimo in declino. Infatti, Lourdes diede un tale impulso al marianismo nel XIX secolo da far nascere un movimento rivale che incoraggiava i pellegrinaggi a santuari direttamente connessi con la figura di Cristo. Qui, ancora, notiamo la separazione fra la Madre e il Figlio. Il fatto che la maestra delle novizie di Bernadette, Madre Vauzou, coltivasse una devozione cristocentrica, più che mariana, spiega forse perché non si convinse mai della genuinità delle visioni.

Padre Peyramale, il parroco di Lourdes, che aveva sostenuto Bernadette e aveva costruito una cappella alla grotta, fu rapidamente scavalcato dai Padri di Garaison, “revivalisti” di professione, inviati dal vescovo di Tarbes per coinvolgere Lourdes nella campagna di risveglio religioso. Il vescovo aveva riconosciuto fin dal principio le apparizioni, e aveva autorizzato il culto. Ai Padri di Garaison fu affidato il compito di gestire il flusso dei pellegrini, separatamente dalla chiesa parrocchiale, e apparentemente i loro rapporti con Padre Peyramale furono estremamente acrimoniosi e vendicativi. La guerra fra la parrocchia e la Grotta continuò dopo la morte di Padre Peyramale, con risvolti di denunce legali di “orribile complessità”. Quanto a Zola, la sua “selvaggia satira dei cani in colletto clericale che si sbranano a vicenda si basava su fatti accertati” (Alan Neame, The Happening at Lourdes).

La Terza Repubblica considerava le dimostrazioni religiose come filo-realiste; e scoppiarono rivolte anti-cattoliche, con assalti ai pellegrini. La risposta delle autorità ecclesiastiche fu di organizzare un raduno cattolico nazionale a Lourdes nel 1872, a cui parteciparono nove vescovi e ventimila fedeli, promuovendo così ulteriormente Lourdes come centro religioso.

Tutti i papi moderni sono stati marianisti. Giovanni Paolo II ha favorito ulteriormente Lourdes con il suo sostegno personale e con la sua visita al santuario, la prima compiuta da un Papa.

All’epoca delle visioni di Fatima, il Portogallo stava attraversando un periodo di forte anticlericalismo. Una repubblica di sinistra aveva sostituito la vecchia monarchia; e vi erano scioperi, criminalità, corruzione, attentati, inflazione e carestia, con in più la complicazione della Prima Guerra Mondiale. La Chiesa Cattolica Romana era considerata uno dei maggiori alleati della deposta monarchia, e al clero – cui era vietato indossare gli abiti talari – erano imposte restrizioni nella libertà di predicazione. Dopo il 1926, la Chiesa recuperò la sua influenza. Il Vaticano, incoraggiato dal successo di Lourdes, ebbe un ruolo chiave nel “lancio” di Fatima come santuario rivale per autorità e autenticità.

Il coinvolgimento papale con Fatima è sempre stato molto netto. Pio XII, sostenitore acceso di Fatima e violentemente anticomunista, nel 1942 consacrò il mondo al Cuore Immacolato di Maria, e nel 1954 annunciò una speciale consacrazione della Russia, come richiesto da Lucia, la visionaria superstite. Paolo VI, che avrebbe dato alla Vergine un ulteriore titolo, “Madre della Chiesa”, visitò Fatima nel 1976. Papa Giovanni Paolo II, il cui motto è “Sono tutto tuo, Maria”, e che porta la lettera M ricamata sull’abito, è anch’egli un convinto sostenitore di Fatima; e, dopo il fallito attentato alla sua vita (in cui attribuì la sua salvezza a Nostra Signora di Lourdes), fece inserire il proiettile nella corona della Madonna di Fatima. Le presunte direttive riguardanti la Russia sono all’origine dell’attuale campagna – senza precedenti – di proselitismo vaticano in Russia.

Un risvolto politico in senso anticomunista si può riscontrarei anche a Turzovka in Slovacchia, a Medjugorje e a Hriushiw. Negli ultimi due casi era presente anche un forte elemento nazionalista e filo-vaticanista. Medjugorje è un’enclave croata nell’Erzegovina, a prevalenza ortodossa e musulmana. Il nazionalismo croato è sempre andato a braccetto col Cattolicesimo romano (“essere croato vuol dire essere cattolico”). Nel corso della Seconda Guerra Mondiale, Pio XII, nella sua paranoica fobia anticomunista, non fece nulla per fermare il massacro di 750.000 ortodossi serbi da parte degli Ustascia, fascisti croati appartenenti al governo fantoccio dello “Stato indipendente di Croazia”, creato dai nazisti. Il Cardinale Stepinac di Zagabria considerava la Chiesa Ortodossa un male “quasi più grave del Protestantesimo”; e furono proprio i frati francescani a gestire il più noto fra i campi di concentramento. Nei pressi di Medjugorje, cinquanta fra uomini, donne e bambini vennero gettati da una rupe, e tutti i monaci di un vicino monastero ortodosso furono sepolti vivi. E’ interessante notare che, mentre il precedente vescovo cattolico romano di Mostar, Mons. Pavao Zanic, aveva denunciato le visioni come “frutto di frode, disobbedienza alla Chiesa e follia”, esse erano state invece accolte entusiasticamente dal parroco francescano di Medjugorje, che aveva udito una “voce” che gli diceva di proteggere i visionari. Se e quando l’ex-Yugoslavia uscirà dal periodo di lotte interne in cui adesso si trova, Medjugorje riprenderà il suo posto nel quadro dell’industria turistica (cattolica romana), come un grande centro di pellegrinaggi.

Per secoli vi sono state tensioni nell’attuale Ucraina fra la Chiesa Ortodossa e il Vaticano riguardo alle attività degli Uniati, che stanno ancora una volta conducendo una campagna militante ed aggressiva organizzata da estremisti nazionalisti e religiosi. Hriushiw rientra benissimo in questo quadro, con la sua eco di Fatima nel richiamo alla conversione della Russia e i messaggi da parte dell’apparizione, che indicano gli Ucraini come i prescelti per quest’opera.

Citiamo di sfuggita anche il mix religioso/nazionalista delle Vergini di Guadalupe, in Messico, e di Czestohowa, in Polonia. Nel 1531, una Vergine “nera”, o indiana, apparve a un contadino azteco e gli disse di chiedere al vescovo di edificare un santuario sul luogo dell’apparizione, che coincideva con un importante luogo sacro della religione indigena. L’immagine della Vergine fu miracolosamente impressa sul manto del contadino. Gli indiani ritrovarono così la loro dignità di fronte agli “uomini bianchi”, mentre le autorità ecclesiastiche gioirono per aver ricevuto un aiuto così decisivo nel convertire otto milioni di indiani al Cattolicesimo Romano nel giro di quattro anni. Nel 1910, il Papa Pio X proclamò la Vergine di Guadalupe “Imperatrice delle Americhe”.

La Vergine di Czestohowa, nel monastero di Jasna Gora, si identifica strettamente con il Cattolicesimo e il nazionalismo polacco. La cappella che ospita l’icona è al centro di “un gigantesco complesso, un centro di pellegrinaggi estremamente organizzato”, amministrato dai padri paolini. La Vergine viene svelata quattro volte al giorno, allorché una tenda d’argento si alza lentamente al suono di una fanfara. Sembra che tutti i grandi santuari mariani abbiano la tipica impronta dell’efficienza e del professionismo teatrale romano. Nel 1717, la “Regina di Polonia e Granduchessa di Lituania” fu solennemente incoronata su decreto formale del Parlamento polacco.

Simili titoli “secolari” sembrano stranamente incongrui se attribuiti a colei il cui sublime titolo, Madre di Dio, in nessun modo, e da nient’altro, può ricevere maggior gloria. Le parole di uno scrittore cattolico romano, riferite a Lourdes, potrebbero ugualmente applicarsi ad altri santuari mariani: “Un bastione del potere temporale di un papato infallibile”.

[Nota del curatore: E’ necessario tener presenti due cose. La prima è che a Czestohowa, l’icona stessa è, naturalmente, un’icona ortodossa, e ha il suo posto nel nostro calendario. Le obiezioni sollevate in questo articolo riguardano piuttosto il culto di cui l’icona è oggetto. La seconda è che c’è un santuario mariano, Knock in Irlanda, la cui “promozione” può essere stata originata da sentimenti non già nazionalistici, bensì anti-nazionalistici. E’ stato notato che gli inglesi consideravano la promozione del culto estremamente utile per distrarre l’attenzione dei nazionalisti in un periodo di notevoli tensioni. Ovviamente, all’epoca dell’“apparizione”, e fino a poco tempo fa, le autorità ecclesiastiche cattolico- romane, sostenitrici dell’"establishment," erano filo-britanniche, piuttosto che – come si crede generalmente – filo-nazionaliste.]

I fenomeni solari

I cieli narrano la gloria di Dio, e l'opera delle sue mani annunzia il firmamento. (Salmo 18:2, numerazione della LXX).

Pur lasciando spazio all’auto-suggestione, agli scherzi di un’immaginazione esuberante, all’imitazione del comportamento di altre persone coinvolte, rimane tuttavia un numero sufficiente di testimonianze da far ritenere probabile l’effettiva occorrenza di fenomeni solari ai santuari. Si tratta di fenomeni naturali, segni celesti che accompagnano la presenza della Madre di Dio, o parte della campagna di “segni e falsi miracoli” che precede l’avvento dell’Anticristo?

Nell’Antico Testamento, il sole si ferma per Giosuè (Gesù, figlio di Nave) e torna indietro per Ezechia; mentre nei Vangeli abbiamo la stella di Betlemme e l’oscuramento del sole durante la crocifissione. Nella storia della Chiesa sappiamo della Croce di Costantino il Grande, di quella vista sopra Gerusalemme nel 357, e di quella su Atene del 1925.

Nel corso della storia sono sempre state avvistate strane cose nel cielo. All’inizio del X secolo, il Vescovo Radbod di Utrecht scrive di un cielo pieno di stelle che sembravano “infrangersi l’una sull’altra”, un segno che fu seguito da molti disastri naturali e storici. La Cometa di Halley, visibile in Inghilterra nel 1066, è raffigurata nell’Arazzo di Bayeux. Durante la Guerra delle Rose, un cronista contemporaneo scrive di “tre soli in uno” apparsi prima di una battaglia, che il capo degli Yorkisti, il futuro Edoardo IV, dichiarò essere un presagio favorevole, poiché simboleggiava la Trinità, riuscendo così a calmare le sue truppe atterrite. Shakespeare si servì di questo racconto quando fece menzione del segno celeste nell’Enrico VI. Nel 1646 venne pubblicato un libro intitolato Strani segni dal cielo, che registrava gli avvistamenti di numerosi fenomeni. Nel 1822 Walter Maunder, un astronomo di Greenwich, pubblicò un resoconto delle cosa più straordinaria da lui vista nel corso di molti anni trascorsi a scrutare il cielo. Insieme a centinaia di persone in tutta la Gran Bretagna, Maunder aveva visto un grande disco di luce verdastra che si era allungato fino ad assumere una forma a sigaro, a più di cento miglia di altezza, lungo almeno cinquanta miglia, che si muoveva molto rapidamente, a circa dieci miglia al secondo. Gli scienziati di oggi possono spiegare questo fenomeno nel contesto di un’aurora boreale. Vi era stata in quel tempo una violenta tempesta magnetica, e particelle solari cariche precipitate nell’atmosfera terrestre si erano accese come una luce al neon. Un raggio di particelle avrebbe potuto benissimo creare l’immagine di un oggetto solido che si muoveva ad alta velocità. Quando la fascia esaurì la sua forza, si dissolse semplicemente come una nube sull’Europa. Non vi è dubbio che molti “strani segni dal cielo” sono in realtà fenomeni naturali.

Un fenomeno naturale ben noto è l’ “alone”, che si verifica quando l’immagine del sole, rifratta attraverso cristalli di ghiaccio, forma una croce con il sole stesso al suo centro. Vi sono “falsi” soli e lune noti agli astronomi; e il pianeta Venere, osservato attraverso l’atmosfera inquinata vicino alla superficie terrestre, sembra cambiare colore e compiere movimenti erratici. In un programma televisivo sulla stella di Betlemme, andato in onda nel Natale del 1993, un astronomo disse che fenomeni naturali accadono ogni anno; e, se la Chiesa avesse potuto fornire una data esatta per la Natività, gli sarebbe stato possibile stabilire cos’era la “stella” osservata dai Magi, poiché alla scienza moderna sono note tutte le date dei movimenti planetari.

[Nota del curatore: Benché, come l’autrice senza dubbio intende, ciò dimostri quanti fenomeni naturali vi siano in realtà, lo scienziato aveva torto riguardo alla stella di Betlemme. Quest’ultima non era un fenomeno naturale, bensì spirituale (cfr. l’Omelia VI di San Giovanni Crisostomo sul Vangelo di Matteo). Inoltre, nonostante i frenetici preparativi dei seguaci di Mammona per celebrare il secondo millennio di un evento in cui sembrano non credere affatto (!), non ci è nota la data esatta della nascita del Salvatore.]

Alcuni dei fenomeni solari osservati nei numerosi santuari in tutto il mondo sono indubbiamente fenomeni naturali. Tuttavia, centinaia di persone che affermano di aver visto il sole “danzare” hanno potuto osservarlo a lungo senza danno per i loro nervi ottici. Ma non tutti i presenti hanno visto la stessa cosa: alcuni non hanno visto proprio niente; dunque il sole “danzante” non ha una causa naturale, e forse è frutto di quanche tipo di allucinazione di massa. E’ certo che il sole non può aver compiuto fisicamente quei movimenti di rotazione e a zig-zag, altrimenti sarebbe stata la fine del sistema solare.

Tutti i resoconti ben documentati del “miracolo del sole” a Fatima insistono sul terrore della folla: molti – ma non tutti – videro il sole girare in una spirale impazzita, poi staccarsi dal cielo, cadere girando verso terra come un’enorme massa infuocata, e infine tornare al suo posto. I movimenti si ripeterono due volte. Mentre alcuni non videro niente, altri, che si trovavano a cinquanta chilometri di distanza, videro lo spettacolo e credettero che fosse arrivata la fine del mondo. Il sole cambiava colore: rosso, poi giallo, poi porpora. Nel libro The Dancing Sun, Desmond Seward cita un passo di un resoconto inedito degli eventi di Turzovka. Nel 1958, la Madre di Dio sarebbe apparsa a un boscaiolo quarantaduenne, un “tiepido credente”, che vide una bella donna vestita di bianco, con un rosario in mano, sospesa nell’aria. Vi furono in tutto sette apparizioni, ogni settimana, nello stesso luogo ed alla stessa ora. La Vergine disse al boscaiolo di pregare per la riconciliazione e l’espiazione dei peccati del mondo; vi furono i soliti moniti apocalittici, e l’insistenza sulla preghiera con il rosario. Al monte accorsero folle da tutta la Slovacchia; una sorgente sgorgò dal luogo dell’apparizione; vi furono guarigioni. Le autorità comuniste chiusero il boscaiolo in un manicomio, ma poi lo liberarono. Furono osservate strane luci; e nel 1963 ebbe luogo il miracolo del sole. “Il disco infuocato... sembrava divampare, ardere, emettendo fiamme... più di 500 persone osservarono il fenomeno costernate, attonite. Dopo pochi attimi, un enorme cono di luce si allargò al di sopra e attorno a noi, come un’immane tenda fatta di lunghe strisce vividamente colorate. Vi erano tutti i colori dello spettro, dal rosso al violetto... Tutt’intorno, strisce colorate coprivano il cielo, gli alberi e i rami, la terra e la gente. Le strisce si irraggiavano da un solo punto focale, in cui vi era il sole. Vedevo accanto a me persone azzurre e gialle, che muovendosi cambiavano colore.” Tre bande musicali del luogo si unirono ai pellegrini per cantare a piena voce l’inno “Ti salutiamo mille volte, Maria”, poichè tutti credevano che il fenomeno fosse un segno della presenza della Madre di Dio. Leggendo questo resoconto, si ha piuttosto l’impressione di una specie di discoteca soprannaturale; ma allo scrivente tutto ciò era apparso “strano e profondamente commovente, sconvolgente... divino”.

Non avevo mai pensato che potesse esservi qualche legame fra gli UFO e i santuari, finché, per puro caso, in una libreria antiquaria mi cadde l’occhio su un libro di seconda mano che trattava dei “dischi volanti”. Scorrendo le sue pagine mi meravigliai di trovare, fra i molti avvistamenti riportati nel 1967 in Inghilterra, due che mi sembrarono subito familiari.

Il primo riguardava due vicine, che abitavano in un caseggiato a Stoke-on-Trent, le quali, insieme ad alcuni bambini che giocavano per strada, videro un “disco volante” atterrare in un campo non lontano, verso le nove di sera del 2 settembre 1967. Il campo “sembrava incendiato, come un falò”; “era come se qualcuno avesse acceso un grande falò”. Pochi minuti dopo arrivò la polizia, chiamata dalle donne: ma tutto era buio, e una successiva ricerca, condotta il giorno dopo, non portò a niente. A Medjugorje, nell’agosto 1981, assieme a un sole che girava su se stesso spandendo raggi multicolori, arcobaleni senza pioggia, e altri fenomeni, apparve un fuoco sulla collina delle apparizioni, ma all’arrivo dei pompieri non ne era rimasta traccia.

Il secondo riguardava invece la Croce volante. Fra il 1959 e il 1967, 808 indagini sugli avvistamenti di UFO furono condotte dal Ministero della Difesa, col supporto dell’Osservatorio Reale, dell’Ufficio Metereologico, della Royal Air Force, dell’aviazione americana stanziata in Gran Bretagna, delle stazioni radar, del Controllo del Traffico Aereo e della polizia, benché non sembra esservi stata alcuna indagine al più alto livello scientifico. Per la grande maggioranza degli avvistamenti furono trovate prove del tutto naturali: satelliti e frammenti, palloni meteorologici, corpi celesti (Venere, etc.), velivoli, fenomeni naturali come “falsi” soli e lune, riflessi di nuvole, nonché alcune inevitabili truffe. Dei rimanenti 84 fenomeni rimasti inspiegati, alcuni non potevano essere valutati adeguatamente per insufficienza di informazioni; ma la Croce volante era fra quelli rimasti, ben documentati, per i quali non poteva essere trovata alcuna spiegazione.

Nell’ottobre del 1967 una dozzina di testimoni affidabili, fra cui alcuni poliziotti e ingegneri della BBC, avvistarono luci che volavano lentamente, si fermavano fluttuando nell’aria, formavano una croce e si allontanavano a tremenda velocità. La luce era “non penetrante, ma molto splendente. Era raggiante, come se venisse osservata attraverso un vetro umido.” La “cosa” appariva sempre di notte, o nelle prime ore del mattino. Una notte d’ottobre, nello Hampshire, un generale in pensione della RAF stava viaggiando in auto con la moglie quando vide sette luci volanti che non emettevano alcun suono, sette luci brillanti in formazione nel cielo. All’inizio le luci formavano una perfetta “V”, ma poi assunsero la forma di una croce. “Sembravano controllate da qualcuno: la formazione era perfetta”, disse il generale.

Ciò suonava stranamente simile, a volte identico, alle descrizioni fatte dai testimoni delle apparizioni sulla Chiesa Copta di Santa Maria di Zeitoun, al Cairo, avvenute sei mesi dopo. Un Vescovo copto, Gregorio, responsabile di studi superiori, cultura copta e ricerca scientifica, più volte testimone delle apparizioni, afferma: “Prima delle apparizioni, alcuni uccelli simili a colombi – ma non so bene cosa siano – appaiono in diverse formazioni... Non sbattono le ali, ma scivolano nell’aria... Qualsiasi formazione assumano, la conservano. Talvolta fino a sette di essi volano in una formazione a forma di croce. Volano molto velocemente. Sono... completamente illuminati. Non si vedono piume, solo qualcosa di lucente. Sono creature radianti, più grandi di una colomba o di un piccione”. Uno speciale comitato del clero copto, nominato dal Papa copto, scrive nel rapporto ufficiale: “...Un’altra notte abbiamo visto colombe color argento splendente, radianti di luce. Le colombe volavano direttamente dalla cupola al cielo. Rendemmo allora gloria a Dio, che ha permesso ai terrestri di vedere la gloria dei celesti...”. Nella sua dichiarazione di conferma dell’autenticità delle apparizioni, il Papa copto Cirillo VI scrive che l’apparizione splendente era “preceduta da alcune forme spirituali, simili a colombe, che si muovevano a grande velocità”.

Ho letto e riletto i resoconti degli avvistamenti degli UFO e quelli delle apparizioni di Zeitoun. E’possibile che la “cosa” avvistata fuggevolmente in Inghilterra nell’ottobre del 1967 si sia trasformata, sei mesi dopo, nelle apparizioni egiziane, durate tre anni, in cui il clero copto vide gli “esseri celestiali” e il Papa copto le “forme spirituali”?

Per una strana coincidenza, mentre stavo scrivendo questo articolo, una sera all’inizio di giugno, mio marito mi chiamò a vedere un insolito effetto solare nel tramonto. Illuminate da un glorioso splendore rosa ed oro, le nubi disegnavano meravigliose formazioni di colline e vallate purpuree e di un rosa profondo. “E’ il deserto di Giudea!”, esclamò mio marito. Accanto ad esso c’era una “mappa” del Mediterraneo, con la forma a stivale dell’Italia ben in mostra, insieme a tutta la linea costiera mediterranea. Dalle nubi color rosa profondo, che circondavano la scena, provenivano potenti raggi di luce dorata. Nessuno di noi aveva mai visto niente di simile, e restammo a guardare finché svanì. Era incredibilmente bello, e ispirava un senso di timore; e, in un certo senso, era un’esperienza spirituale, poiché il pensiero dominante, in quei momenti, era “gloria a Dio”: eppure, si trattava di un fenomeno del tutto naturale.

Pensai poi all’insegnante inglese di matematica che nel 1974, a Garabandal, vide il sole che danzava, un Cristo sfigurato nel cielo, “mappe” di vari paesi insieme a potenti raggi di luce che, per lei, indicavano la presenza di un “essere Onnipotente”, il “Padre Eterno”, che inviava “raggi di terribile ira” sulla Londra della “mappa” celeste. Mi chiesi cosa avrebbe fatto del “mio” tramonto se l’avesse visto a Garabandal, o in qualche altro santuario.

Se si escludono i fenomeni naturali, e a meno di credere che le “colombe” e i soli danzanti siano veri segni mandati dal Cielo per confermare nella fede, indicare la graziosa presenza della Vergine e annunciare disastri che possono essere evitati solo col pentimento, ci resta solo la possibilità che i fenomeni siano una qualche specie di allucinazione di massa, o una parte della campagna di quei “segni e prodigi menzogneri” che preannunciano l’Anticristo.

Secondo il Vangelo di San Luca, negli ultimi tempi vi saranno “terrori e grandi segni dal cielo”. Sant’Ignazio Brianchaninov scriveva, più di cent’anni fa, che si sta avvicinando un tempo in cui vi saranno numerosi ed eclatanti falsi miracoli: “...i miracoli dell’Anticristo si manifesteranno soprattutto nel reame aereo, dove satana ha il suo dominio. Questi segni agiranno soprattutto sul senso della vista, affascinandolo e traendolo in inganno. San Giovanni il Teologo, osservando gli eventi che devono precedere la fine del mondo, dice che l’Anticristo compirà miracoli, e opererà perfino “grandi prodigi, fino a fare scendere fuoco dal cielo sulla terra davanti agli uomini” (Ap 13,13). Questo è indicato dalle Scritture come il più grande dei segni dell’Anticristo, e il luogo di questo segno è nell’aria”. Molte apparizioni hanno preannunciato la futura manifestazione di un grande segno.

Delusioni

Perché mai queste apparizioni sono accettate così prontamente dai visionari stessi e da innumerevoli pellegrini? I Cristiani eterodossi ben poco sanno di uno dei concetti chiave degli insegnamenti ascetici ortodossi: il prelest – l’inganno spirituale – in cui un miraggio è erroneamente preso per vero. Si trovano molti esempi, nelle Vite dei santi, in cui monaci e asceti, molti dei quali giunsero poi a realizzare una genuina santità, caddero in uno stato di delusione, accogliendo demoni in forma di angeli, o addirittura di Cristo stesso, ricevendo “rivelazioni”, vedendo “luce” nelle loro celle e udendo “il Signore” parlare loro. A volte “Cristo” offriva loro il dono della “profezia” e poteri straordinari. San Diadoco di Foticea avverte di non accettare l’inganno del maligno sotto forma di luce o di fuoco; e San Simeone il Nuovo Teologo mette in guardia contro gli spiriti maligni che provocano vari e numerosi inganni nell’aria.

La preghiera senza immagini, com’è insegnata dagli asceti e dagli anziani della Chiesa Ortodossa, è in diretto contrasto con quella, per esempio, di una persona che cerca aiuto presso una congregazione di “guarigione” protestante, a cui può venir detto, alla sessione di preghiera che precede il “servizio di guarigione”, di immaginare una luce dorata che scende su di lui dal cielo; e alle pratiche di meditazione comuni da secoli in Occidente, in cui si è incoraggiati a immaginare una certa scena ed a provare a visualizzare il bambino nella mangiatoia o il Cristo crocifisso. San Marco l’Asceta avverte che “quando i nostri pensieri sono accompagnati da immagini, abbiamo già dato loro il nostro assenso”. Questa facoltà di produrre immagini può essere usata creativamente da coloro che sono già avanzati sul cammino spirituale, come nell’iconografia di Sant’Andrej Rublev e dei devoti iconografi in generale; ma siamo continuamente avvertiti che chi non possiede già doti di discernimento spirituale dovrebbe evitare di cedere agli allettamenti, e di cadere nella trappola delle apparenze illusorie.

Ciò di cui molti entusiasti di apparizioni mariane non si rendono conto è che al giorno d’oggi i “fenomeni spirituali” sono assai comuni. I gruppi pentecostali/carismatici identificano con estrema facilità le loro esperienze con lo Spirito Santo, così come, negli anni ’70, i revivalisti protestanti in Indonesia accettavano ciecamente come genuine le loro “voci”, gli “angeli” (che citavano invariabilmente le Scritture con tanto di capitolo e versetto), le visioni di “Cristo”, le guarigioni, le luci miracolose che accompagnavano gli evangelizzatori, e i misteriosi fuochi celesti che consumavano le statue cattoliche romane. Chi porta idee “cristiane” nelle proprie esperienze spesso presume, senza riflettere, che queste siano realmente esperienze cristiane, opera dello Spirito Santo; e di rado si ferma a chiedersi se tali esperienze non possano, invece, provenire da uno spirito di ben altra specie.

Anche quando queste esperienze sono genuinamente cristiane, le parole di un santo della Chiesa Cattolica Romana, Giovanni della Croce, suonano come un tempestivo monito: “Tutte le visioni, le rivelazioni e le impressioni celesti, per quanto l’uomo spirituale possa tenerle in conto, non valgono il più picolo atto di umiltà; perché quest’ultimo porta con sé i frutti della carità, che mai si stima o pensa bene di sé, ma solo degli altri”.

Il Curato di Ars non accettava le visioni di La Salette; le autorità ecclesiastiche di Garabandal non mostrarono il minimo entusiasmo; e l’ex-vescovo cattolico romano di Mostar denunciò le apparizioni di Medjugorje. Sicuramente alcune delle visioni potevano essere, all’inizio, provocate da fattori psicologici. La maggior parte di noi non possiede un senso molto sviluppato di auto-consapevolezza. Sappiamo ben poco di noi stessi, e abbiamo una scarsa conoscenza dei processi misteriosi, ma del tutto naturali, che operano nella mente subconscia, e degli effetti che possono produrre. Al di là dell’auto-inganno, inoltre, vi è la possibilità di un’inconscia partecipazione medianica, o perfino di una più diretta illusione diabolica.

Se Bernadette, che mostrava il rosario ad “Aquero”, e i giovani di Medjugorje con le loro bottiglie di acqua santa e le loro minacce alla “Gospa” (“Se sei Satana, vai via!”), avessero realmente sospettato la presenza di un demone, avrebbero con ciò dimostrato di sottovalutare il potere col quale avevano a che fare: "Conosco Gesù e so chi è Paolo, ma voi chi siete?" (Atti 19:15). Quando all’Anziano Padre Sabba del Monte Athos (+ 1908), confessore e teoforo, fu chiesto di liberare un monaco posseduto da un demonio, egli pregò e osservò un digiuno completo per una settimana prima di compiere l’esorcismo; e liberò un altro monaco che era stato ingannato da un falso “angelo custode”, che aveva pregato e parlato con lui quotidianamente per due anni, prosternandosi come se “con dolore e lacrime pregasse il Signore di aver misericordia del suo servo, e di cacciare i demoni maligni”.

Lo Staretz Amvrosij di Optina, che era spesso interpellato, come grande guida monastica e spirituale, su fenomeni di visioni e voci, si basava sugli insegnamenti fondamentali dei Padri; e ammoniva coloro che cercavano la sua guida di non fidarsi delle voci udite durante la preghiera, o delle trasformazioni delle icone – profumi o fiamme provenienti da esse –, che potevano apparire segni positivi, ma a cui non doveva essere attribuito alcun significato, poiché cose del genere possono anche essere inganni del nemico.

In una seduta di domande e risposte con un francescano, ad una delle “veggenti” di Medjugorje fu chiesto perché Ivanka, la ragazza che aveva visto per prima l’apparizione, aveva detto: “E’ la Beata Vergine”. La risposta fu: “A chi altri avrebbe potuto pensare? Una meravigliosa giovane madre con un bambino e una corona sul capo. Era chiaro.” L’apparizione fu accettata senz’alcun dubbio come la Vergine, e le fu rivolta la parola prima di averla aspersa con acqua santa (come consigliarono poi le donne più anziane del villaggio). I “miei angeli” – come l’apparizione ripetutamente chiamava i giovani – chiesero un segno, e la visione gentilmente fece girare le lancette dell’orologio di uno dei visionari.

In occasione dell’ultima visione di Ivanka, il 7 maggio 1985, la Gospa, in risposta alla richiesta di Ivanka, fece apparire la madre della ragazza, morta qualche mese prima dell’inizio delle apparizioni. “Nostra Signora mi chiese cosa desideravo, e io chiesi di vedere la mia madre terrena. Allora Nostra Signora sorrise, annuì col capo e, all’istante, mia madre apparve. Sorrideva. Nostra Signora disse di alzarmi. Mi alzai, mia madre mi abbracciò e mi baciò...” Poi parlò a Ivanka e scomparve.

I ragazzi si fidarono ciecamente dell’apparizione di Medjugorje: fiducia che fu incoraggiata dai francescani, i quali si comportarono come i loro confidenti e direttori spirituali. Non vi era alcun concetto di prelest, non sembrava esserci alcuna considerazione della temibile oscurità della mente umana decaduta. Lo stesso argomento usato per sostenere l’autenticità di Medjugorje – “l’albero lo riconoscerete dai frutti” – , cioè la fervente preghiera, le conversioni, le guarigioni, il senso di pace e gioia, era stato usato da “carismatici” e revivalisti protestanti, dagli evangelici indonesiani e da vari movimeti eretici nel corso della storia. Hindu e buddhisti dicono senza dubbio la stessa cosa, quando sottolineano l’intensa devozione dei loro seguaci, durante i pellegrinaggi di massa ai templi, e le guarigioni avvenute ai santuari dei loro maestri spirituali.

Sant’Ignazio Brianchaninov, nei suoi ammonimenti ai cristiani ortodossi, ci ricorda il terribile pericolo di essere ingannati da spiriti maligni: “Se i santi stessi non hanno sempre saputo riconoscere i demoni che erano loro apparsi con l’aspetto di santi e dello stesso Cristo, com’è possibile per noi illuderci di riconoscerli senza errore! ...I santi maestri della lotta cristiana... ci ordinano di non fidarci di alcuna immagine o visione... se dovessero apparire all’improvviso, di non conversare con loro...”, ma, risolutamente consapevoli della nostra “indegnità e incapacità di vedere santi spiriti, pregare Dio di proteggerci dalle trappole e dagli inganni astutamente disposti dagli spiriti maligni”... “L’unica via per entrare rettamente nel mondo degli spiriti è la dottrina e la pratica del combattimento cristiano. L’unica via per entrare rettamente nella percezione sensoriale degli spiriti è l’avanzamento e la perfezione cristiana.”

L’aspetto curativo

Alcuni ritengono che le apparizioni debbano essere genuine poiché presso i santuari i malati vengono guariti; ma non vi è necessariamente alcuna reale connessione fra i due fenomeni. Il numero delle guarigioni è davvero minimo, considerate le moltitudini di malati che si recano ai santuari. A Lourdes, durante i centoventidue anni trascorsi dal 1858 al 1980, solo sessantaquattro guarigioni sono state dichiarate miracolose – cioè non attribuibili ad alcuna causa naturale o medica – fra le cinquemila possibili. Mentre le autorità mediche devono necessariamente essere caute, sembra alquanto artificioso e arrogante, da parte di un gruppo di esseri umani, dichiarare solennemente che Dio non solo ha compiuto un miracolo, ma lo ha compiuto correttamente, in modo per loro soddisfacente.

Presso numerosi santuari la Vergine sembra aver detto che avrebbe guarito solo alcuni, ma non altri; e leggere che “il dito di Dio si estenderà senza preavviso” introduce un fastidioso elemento di capriccioso arbitrio, per quanto ci si possa rallegrare delle guarigioni in se stesse. Ma i santuari mariani, benché tendano a monopolizzare l’attenzione, non sono i soli a pretendere di poter guarire persone di tutte le fedi, o anche atei. L’Anglican London Healing Mission riporta ogni mese una quantità di guarigioni sorpendenti; anche i gruppi pentecostali/carismatici affermano di averne al loro attivo, così come gli spiritisti (la National Federation of Spiritual Healers); e, nei suoi giorni migliori, il movimento della Scienza Cristiana aveva un impressionante bilancio di guarigioni.

Si dice che nessuno viene contagiato facendo il bagno a Lourdes, ma c’è da dire che non viene tenuto il conto di eventuali infezioni; e, in ogni caso, nell’Inghilterra del XVII e XVIII secolo coloro che si bagnavano nelle fonti curative “alla moda” erano esposti agli stessi rischi (Samuel Pepys a Bath aveva gravi dubbi circa la saggezza di usare le acque), eppure non furono riportate epidemie di febbre tifoidea o di colera. Le autorità a Lourdes sanno di non poter rischiare un’epidemia, altrimenti i bagni dovrebbero essere chiusi; e i pellegrini sani sono incoraggiati a lavarsi ai rubinetti invece di fare il bagno. E’ interessante notare che la stessa Bernadette non fece uso dell’acqua di Lourdes per guarire dai suoi mali, ma cercò sollievo nella vicina sorgente curativa.

Dio opera in modi diversi, come ritiene più opportuno, e sarebbe stupido cercare di imporre limiti alla sua misericordia; ma i cristiani ortodossi non hanno alcun bisogno di cercare la guarigione al di fuori della Chiesa. Abbiamo sempre avuto taumaturghi e guaritori. Lo Staretz Amvrosij, già menzionato, era un guaritore, così come innumerevoli altri; e innumerevoli guarigioni continuano a verificarsi per l’intercessione della Madre di Dio, ad esempio attraverso le sue icone di Tinos e di Malevi, e per l’intercessione di Santa Xenia di Pietroburgo e di San Giovanni (Maximovich) di Shanghai e San Francisco.

Molti non-ortodossi sarebbero davvero sorpresi se sapessero quante volte la guarigione del corpo è menzionata nelle preghiere della Chiesa accanto a quella dell’anima. Nelle preghiere di preparazione e di ringraziamento per la Santa Comunione, in particolare, preghiamo ripetutamente per “la guarigione, la purificazione, l’illuminazione, la protezione, la salvezza e la santificazione dell’anima e del corpo”, e perché la Grazia divina ricolmi i nostri cinque sensi, le giunture e le ossa, così come la mente, l’anima e i sentimenti. Allo stesso modo, l’officio della Santa Unzione non è riservato ai morenti, ma viene eseguito anche alla vigilia di Natale e del Giovedi santo, allorché tutti i fedeli vengono unti. Ognuno, infine, può richiedere un’unzione in qualsiasi momento, in caso di necessità.

Alcuni sottolineano la grande compassione dimostrata a Lourdes per i malati, e il tempo e l’energia impiegati a loro beneficio, anno dopo anno, da devoti che si accollano questo compito; e pensano che le visioni debbano essere vere, se ne deriva tanto bene. Ma la compassione non è una prerogativa del solo cristianesimo. La compassione per ogni creatura vivente è il fondamento del buddhismo; e persone di tutte le fedi, o di nessuna, prestano in silenzio, senza alcuna pubblicità, la loro opera di volontariato negli ospedali o fra i disabili mentali o fisici del loro vicinato. Le guarigioni e la compassione non provano affatto l’autenticità delle apparizioni. Che si verifichino guarigioni è indubbio; ma l’esatta natura di una guarigione può variare da un caso all’altro, e, poiché sia i protestanti che gli spiritisti mostrano risultati tangibili, sarebbe incauto accettare senza riserve le implicazioni religiose delle cure presso i santuari mariani, attribuendo loro un’interpretazione che, logicamente, non ne consegue.

Ecumenismo, sincretismo e l’Anticristo

Così come le apparizioni sono state manipolate per gli scopi della propaganda cattolica romana, o per motivi di proselitismo, nazionalismo e commercialismo, allo stesso modo esse vengono usate volenteri dai sostenitori dell’ecumenismo. Anglicani, luterani, perfino ortodossi visitano i santuari. “La Madonna è per tutti”. Oppure qui potrebbe valere il motto: “Vieni in camera mia, disse il ragno alla mosca”...? Proprio come il Papa ha parlato della “conversione della Russia” sotto un solo pastore, “il successore di San Pietro”, così anche il piano – immutato – del Vaticano per “riunirci tutti” non è affatto un segreto: la soggezione al pontefice romano.

Nello stesso tempo, l’ecumenismo al di là dei confini stessi del Cristianesimo continua a prender piede nel “dialogo con le religioni non-cristiane”; anche se non senmbra che sia proprio un onesto dialogo ciò che il Consiglio Ecumenico delle Chiese ha in mente. “Le grandi comunità religiose non scompariranno... Gli ebrei rimarranno ebrei, i musulmani rimarranno musulmani, e coloro che appartengono alle grandi religioni orientali rimarranno hindu, buddhisti e taoisti”. Eppure, in qualche modo, tutti, benché attaccati ai loro errori e continuando a negare Cristo, “dimoreranno nel regno di Dio senza... essere diventati cristiani come noi”.

Dio non può essere contenuto da alcunché: è la fonte di qualsiasi verità presente anche in altre fedi. Ma, come notava C. S. Lewis, essere un cristiano significa pensare che, laddove il cristianesimo differisce dalle altre religioni, il primo ha ragione, e le altre hanno torto. Lewis usava l’esempio di una somma: c’è un solo risultato esatto per una somma, e tutti gli altri sono sbagliati; ma alcuni dei risultati errati sono più vicini alla verità degli altri.

Gli ecumenisti mariani credono che la Vergine stia comunicando un messaggio ecumenico a Zeitoun e a Medjugorje, e che, come madre dell’intera famiglia umana, abbia un ruolo particolare come centro di unità e di riconciliazione, per così dire, per i suoi litigiosi figli. Essi sottolineano che a Zeitoun la Madre di Dio è rimasta in silenzio. Ciò viene interpretato come un gesto di sensibilità materna, e un invito “a ciascuno dei presenti, indipendentemente dalle loro credenze, a unirsi in Dio nella preghiera” (che oggi è prassi normale negli incontri per il “dialogo con le religioni non-cristiane”, e in accordo con le idee del Consiglio Ecumenico delle Chiese). Se si fosse qualificata come la Madre di Dio, i musulmani avrebbero rifiutato la visione; se si fosse identificata con l’Immacolata Concezione, l’avrebbero rifiutata i copti. Gli ecumenisti sottolineano che la Vergine è menzionata nel Corano come la prescelta di Allah, e vengono lodate la sua purezza e la sua virtù; ma non dicono che, sempre nel Corano, Cristo stesso è considerato un semplice profeta fra i tanti – ed inferiore a Maometto –, e che la sua crocifissione e risurrezione sono decisamente negate.

Un corrispondente anglicano della Eastern Churches Review descrive la sua visita a Zeitoun nel numero di primavera del 1970, riportando la storia di un leader musulmano che viveva vicino alla chiesa ed era solito gettare pietre ai pellegrini. La Vergine gli apparve, chiedendogli di smetterla, e gli ordinò di dipingere una croce sulla sua casa. Convinto dell’autenticità della visione, il musulmano dipinse quaranta grandi croci bianche su tutte le mura della sua abitazione. Ma in un certo modo tutto questo sembra piuttosto privo di senso, se si considera il fatto che egli rimase un musulmano praticante e non si convertì a Cristo, che sembra non essere stato affatto menzionato, e che, come al solito, sembra stranamente assente dalla scena dei fatti.

A Medjugorje la Vergine annunciò di essere venuta a “convertire e riconciliare”. Il santuario è considerato come una possibile chiave per la pace nella regione, e solo la “Gospa” può riconciliare cattolici, ortodossi e musulmani, poiché tutti la onorano. Ancora una volta troviamo questa idea incredibile di una riconciliazione e di un’unità senza Cristo. La Gospa rimprovera i cattolici della regione per la loro ostilità contro i vicini ortodossi e musulmani, benché in alcuni libri sull’apparizione di Medjugorje non siano cessati alcuni tratti palesi di propaganda anti-serba.

L’apparizione di Medjugorje dichiara che “fondamentalmente, le religioni sono simili”: il che ricorda da vicino l’insegnamento di Swami Vivekananda, celebre missionario hindu in occidente a cavallo fra il XIX e il XX secolo, che affermava che tutte le religioni sono unite nel loro nucleo. Il fondamento e il cuore del cristianesimo è la Santa Trinità e la risurrezione del Dio-uomo Gesù Cristo. Il giudaismo e l’islam credono anch’essi in un Dio che chiede agli uomini di vivere in un modo “buono”, opposto a un modo “malvagio” di essere; mentre l’induismo, per quanto riesco a capire, crede che Dio sia al di là del “bene” e del “male”, che tutto in questo mondo sia parte di Dio, e che, se solo potessimo vedere le cose dal punto di vista divino, ci accorgeremmo che anche ciò che chiamiamo “male” dalla nostra limitata prospettiva umana è, in realtà, “Dio”. Swami Vivekananda, parlando della dea Kali, la Madre Terribile, che unisce in lei gli opposti – vita e morte, creazione e distruzione, misericordia e terrore – scrive: “Chi può dire che Dio non si manifesti solo come bene, ma anche come male? Solo gli hindu osano adorarlo come il male”. Tutte le religioni hanno qualcosa in comune, ma ci sono differenze fondamentali.

La Gospa ha anche detto che il Papa dev’essere un padre per tutti gli uomini, non solo per i cattolici. Papa Giovanni Paolo II, che a quanto si dice crede alle apparizioni, sembra aver fatto sue queste parole, e si sia ispirato a loro per ulteriori iniziative ecumeniche. Oltre alla sua Giornata Mondiale di Preghiera ad Assisi, il Papa definisce gli ebrei come “fratelli maggiori” dei cristiani; e, nel suo discorso ai giovani musulmani del Marocco, ha nominato Dio Padre sessantasei volte. A ciò si deve aggiungere la “campagna missionaria” del Vaticano in Russia e in Ucraina, e le ingerenze vatcane nei Balcani, in Croazia, in Bosnia e a Skopje. Il Papa, evidentemente, considera il terzo millennio come una nuova epoca per le missioni, una nuova era di fede; e ha dato il suo sostegno a “Evangelizzazione 2000”, che ha progetti di attività evangelizzatrice a livello mondiale, soprattutto nell’Europa occidentale e orientale. Tutti questi sono “segni che indicano non solo la riunione dei cristiani, ma l’accoglimento di tutte le fedi e di tutte le culture nella comune identità umana dinanzi a Dio (Dudley Plunkett, Queen of Prophets). L’Arcivescovo Frane Franic di Split scrive: "...considero particolarmente importante il ruolo di Medjugorje nell’opera ecumenica della Chiesa”.

E’ possibile che i visionari di Medjugorje vengano usati (benché inconsciamente) nel quadro di un più ampio disegno di preparazione di una “religione mondiale”, con lo scopo di aprire la strada alla venuta dell’Anticristo? E’ tipico dell’inganno sottile dei demoni far apparire le loro illusioni “buone” e “cristiane”, e presentare il regno di satana come se fosse il Regno di Cristo. Samuel Horsley, dotto anglicano del XVIII secolo, sarebbe addolorato a vedere le sue parole avverarsi ai nostri giorni: “La Chiesa di Dio sulla terra sarà grandemente ridotta... al tempo dell’Anticristo, per l’aperta diserzione dei poteri mondani. Questa diserzione inizierà come una dichiarata indifferenza nei confronti di ogni particolare forma di cristianesimo, sotto forma di tolleranza universale... dalla tolleranza nei confronti delle più pestilenziali eresie, si procederà a tollerare il maomettanismo e l’ateismo, e infine alla vera persecuzione della verità del cristianesimo.”

Il quattrocentesco Cardinale Nicolò Cusano, al contrario, si rallegrerebbe alla prospettiva di veder realizzato il suo sogno di “riconciliare per sempre le sette che combattono fra loro in un vasto sistema di unità religiosa”, in cui “pagani e cristiani sono fusi in un notevole ordine... un greco, un italiano, un indù, un arabo, un caldeo, un ebreo, uno scita, un persiano, un siriano, uno spagnolo, un tartaro, un tedesco, un boemo, e infine un inglese”; perché “ogni sistema possiede un certo grado di verità”, e “solo attraverso uno studio dei vari sistemi si può avere una vaga intuizione dell’ ‘unità della verità inattingibile’ “.

Se vi è un aspetto “anticristico” a Medjugorje, esso ben s’inquadra nel crescente interesse per i segni e i prodigi. Il soprannaturale è stato da tempo rimosso dalla vita quotidiana per opera del razionalismo, del materialismo e dell’intimidazione della scienza e della tecnologia. Un numero crescente di persone che avvertono questa mancanza hanno provato a riempire il vuoto con gli UFO, i soli danzanti, le droghe, le guarigioni “per fede”, il revivalismo carismatico, lo spiritismo, il paganesimo New Age, perfino il satanismo — e le apparizioni. La superstizione continua a fiorire. Una statua della Vergine piange sangue da un occhio, e i vicini si precipitano a recitare il rosario davanti ad essa (secondo il parere dei fabbricanti, la resina usata per gli occhi dell’immagine si era probabilmente liquefatta: caso, questo, abbastanza frequente). Una donna messicana frigge una tortilla per cena al marito, vede nella pasta una somiglianza col volto di Cristo coronato di spine, ed ecco il miracolo! Nei successivi dodici mesi, 8.000 persone si sono recate a venerare la tortilla, incorniciata nel vetro e circondata da fiori e candele, mentre un imbarazzato Arcivescovo tentava invano di fermare il culto della “sacra pagnotta”.

Migliaia di persone affermano, discretamente, che le loro vite sono state trasformate spiritualmente dai santuari. Certi cattolici tradizionalisti, soprattutto se mariani, considerano i santuari come una conferma della loro fede. Gli incerti, scossi dai moderni cambiamenti in senso liberale del Cattolicesimo, vi cercano – e trovano – rassicurazione. Gli innovatori liturgici si sentono liberi di indulgere in servizi religiosi con “accresciuta spontaneità e informalità”, come la Messa-Party per i bambini malati a Lourdes, in cui, dopo la consacrazione, furono lanciati in aria palloni e festoni colorati, e i celebranti unirono le mani e saltellarono lungo la navata cantando “Signore della danza” (che in realtà è Shiva, il dio Hindu). Alcune suore continuano a vivere la vita di sempre; ma la maggior parte delle Sorelle della Carità di Nevers (l’ordine di Bernadette) hanno dismesso l’abito religioso e si sono integrate con il mondo moderno. La stessa Bernadette è stata manipolata da gruppi diversi, che l’acclamano come la loro eroina: i “rivoluzionari” di Cristo Operaio, perché era povera, apparteneva alla classe lavoratrice e partiva da una posizione sociale svantaggiata; i “carismatici”, perché aveva avuto visioni e aveva udito direttamente la voce del cielo, senza mediazioni da parte della gerarchia ufficiale.

Case di potere spirituale, luoghi di speranza e guarigione: un ricettacolo di superstizione, un paradiso per ladruncoli (secondo Patrick Marnham, a Lourdes, in alta stagione, è necessaria la presenza di un buon numero di poliziotti in borghese) e per sfruttatori commerciali, un grande incentivo per il turismo, una scusa per il nazionalismo ed il proselitismo, un modo di soddisfare la ricorrente domanda popolare per la Dea sotto una veste rispettabilmente cristiana – i santuari sembrano essere molte cose, per molte persone diverse.

Troppo di tutto

Concludo come ho cominciato, sottolineando che il mio è soltanto un punto di vista puramente personale sugli eventi delle apparizioni. Non ho dubbi che uno o più dei fattori presi in considerazione abbiano giocato qualche ruolo in ciascuno dei casi; ma più di questo non mi azzardo a dire. Ognuno è libero di farsi la propria opinione in merito, di accettare o rifiutare le apparizioni, di visitare i santuari o di starne alla larga; ma ogni ortodosso cui potrebbe venire in mente di cercare guarigione presso questi santuari, o di recarvisi in pellegrinaggio per rendere onore alla Madre di Dio, dovrebbe – credo – considerare attentamente a cosa, in realtà, sono dedicati questi luoghi.

Padre Sergio Bulgakov, prete ortodosso russo, dopo il suo pellegrinaggio a Lourdes scriveva: “Il ricordo di questo luogo, profumato dalla presenza invisibile ai nostri occhi, ma chiaramente percettibile alle nostre anime, della santissima Madre di Dio, ... rimarrà fra le più care memorie della nostra vita. Almeno nei nostri cuori, il muro interiore che ci separa dalla Chiesa romana ha perduto molta della sua opacità”. Ognuno ha la sua esperienza; ma questa dovrebbe essere soppesata a fianco di quella del cattolico romano Robert Hugh Benson, già citato, che avvertì il “lato oscuro” della Signora della Grotta. Si deve forse tenere presente che la sofiologia di Padre Sergio, condannata dalla gerarchia della Chiesa Ortodossa, può aver influenzato la sua esperienza: “lo Spirito Santo si manifesta attraverso la Vergine Maria, che è una creatura, ma nello stesso tempo non è più una creatura.” Contrariamente a ciò che alcuni ortodossi, inclusi alcuni preti, sono stati indotti a credere, non vi è alcuna cappella ortodossa a Lourdes.

Per i cattolici romani non è obbligatorio accettare le apparizioni, anche quando la loro Chiesa le ha approvate. Ma alcuni marianisti vorrebbero cambiare questo stato di cose, affermando che l’approvazione ufficiale va al di là del “permesso di credere” e implica l’infallibilità.

Dopo una lunga e seria riflessione, non riesco ad accettare l’origine divina di alcuna delle apparizioni (benché alcune possano avere un’origine soprannaturale), o a credere che Dio parli al mondo attraverso di loro. Come ortodossa, questi fenomeni mi sembrano superflui. Abbiamo come guida le Scritture, l’insegnamento della Chiesa e la sapienza spirituale accumulata in 2.000 anni. Soprattutto abbiamo lo Spirito Santo, Nocchiero e Guida della Chiesa; e il Signore Gesù Cristo come solo e sempre presente Capo della Chiesa. Ad eccezione di Zeitoun, le apparizioni si sono tutte manifestate in una Chiesa che ha relegato il Dio-uomo nei cieli ed ha nominato un uomo come suo infallibile vicario sulla terra: un uomo la cui posizione e il cui potere sono rafforzati e promossi da queste visioni. Il grande teologo serbo, l’Archimandrita Iustin Popovich di beata memoria, commenta: “Vicarius Christi: che tragica illogicità nominare un vicario, un rappresentante del Dio e Signore onnipresente...”

A mio parere, ci sono semplicemente troppe visioni. Lo psicologo Staehlin, di cui abbiamo fatto menzione, fra il 1930 e il 1950 ha indagato su oltre trenta serie di apparizioni della Vergine, comprendenti trecento apparizioni. A parte il caso della Medaglia Miracolosa, che sembra aver dato l’avvio a tutti gli altri, e le apparizioni già menzionate, ci sono stati altri casi: Akita, in Giappone (dove una suora ha visto fasci di luce nella sua cella, e ha avuto più di cento visioni in cui una statua della Vergine parlava, piangeva e sanguinava), Ruanda, Argentina, Nicaragua, Venezuela, Corea, Ungheria, Belgio, Olanda, USA, Cina, Siria, Filippine, Italia e Irlanda. Altri quarantasette visionari sono apparsi, fuori di Medjugorje, in altre parrocchie della diocesi di Mostar.

Non sono le esperienze in sé ad essere messe in dubbio, ma la loro origine, poiché le visioni possono essere causate da vari fattori psicologici, capacità psichiche e medianiche, o inganni demoniaci. I demoni non esitano a riempire il nostro intelletto decaduto di false idee, di orgoglio spirituale e di psichismi illusori. Per tale motivo la Chiesa ci avverte, attraverso le parole degli asceti e dei grandi padri spirituali, di essere spiritualmente sobri e costantemente all’erta, perché l’auto-inganno non si trasformi in inganno diabolico.

Vi sono troppi segni solari. Da Fatima in poi, i fenomeni solari sono stati una costante nella maggior parte dei santuari: luci, fuochi, arcobaleni, soli danzanti, piogge di petali, croci di fuoco, con una profusione particolarmente scenica a Zeitoun. Quando a questi fenomeni si aggiungono i “segni” dei revivalisti protestanti – colonne di fuoco, “Cristo” nel cielo, nubi che seguono gli evangelizzatori e li proteggono dal caldo, e tutti i segni simili a quelli degli UFO – non si può fare a meno di chiedersi se vi sia un vero e proprio programma in corso, con lo scopo di soddisfare una generazione che cerca segni: i demoni cortesemente offrono ciò che siamo pronti a ricevere. Una o due visioni e segni possono essere convincenti, ma non – letteralmente – centinaia.

Le apparizioni sono troppo pubbliche. Le relazioni private sono una cosa; ma la maggior parte di queste apparizioni hanno avuto luogo in un tripudio di pubblicità. La visitatrice “celeste” viene con un messaggio globale, e le visioni spesso hanno luogo davanti a folle di spettatori. I visionari si sono trovati frequentemente al centro di un interesse morboso e di una malsana adulazione. La Grotta di Lourdes era piena di gente: agenti di polizia, il commissario, il sindaco, il vicesindaco, e una folla di 20.000 persone. Bernadette era costantemente portata via dalla scuola per gli interrogatori, assalita per strada e disturbata dalla folla che assediava la sua casa, ansiosa di vederla e di chiederle consigli e preghiere. Folle del genere seguivano i bambini di Fatima, si inginocchiavano davanti a loro e li pregavano di entrare nelle loro case e di pregare per qualche parente ammalato. Cacciatori di reliquie giunsero perfino a tagliare ciocche di capelli a Lucia nel pigia-pigia della folla. Le visioni di Zeltoun furono viste da milioni di persone, credenti e non credenti.

Grazie ai mezzi della moderna pubblicità, i visionari di Medjugorje divennero ben presto il centro dell’attenzione mondiale, offrendo consigli a coloro che si affollavano nelle loro case e riportando le parole dalla Signora di Medjugorje in risposta alle domande della folla. I ragazzi sono stati intervistati infinite volte, ed esaminati da medici e psicologi. Gli eventi di Medjugorje sono stati promossi da un’efficiente e aggressiva campagna propagandistica che si è servita di ogni possibile mezzo: riviste dedicate esclusivamente all’evento, numeri di telefono internazionali per coloro che desideravano ricevere il messaggio mensile della Gospa, programmi radio e televisivi diffusi in tutto il mondo, video, cassette e numerosi libri (il mariologo René Laurentin, da solo, ne ha scritti almeno una decina). Uno dei visionari è co-autore di un libro, Mille incontri con Nostra Signora a Medjugorje; un altro, tramite l’Ambasciatore americano presso la Comunità Europea, ha scritto a Ronald Reagan e a Mikhail Gorbachev (Reagan ha risposto). Vi sono speciali Centri Medjugorje in tutto il mondo. E tutto ciò prima che fosse presa alcuna decisione ufficiale sulle apparizioni da parte delle autorità ecclesiastiche competenti. Sembra poco probabile che possa essere nominata una commissione per dare un verdetto negativo, visto il successo incredibile della propaganda e il livello dell’entusiasmo religioso popolare. Il Papa, soprattutto, ha detto che secondo lui non c’è niente di meno che buono a Medjugorje.

Medjugorje, il movimento carismatico e il caso dell’Erzegovina

Mentre raccoglievo informazioni circa i fatti di Medjugorje, fui colpita da certe somiglianze con il Movimento carismatico, soprattutto nei messaggi e nell’attitudine dei sostenitori. Non fui sorpresa, dunque, nello scoprire che, fin dall’inizio, gli eventi di Medjugorje erano stati gestiti da personaggi di tendenze carismatiche (Padre Jozo Zovko, Padre Tomislav Vlasic e altri), o nell’apprendere che “nel maggio 1981, a Roma, si tenne una conferenza internazionale per i leader del Movimento carismatico. Uno dei rappresentanti della Yugoslavia era Padre Tomislav Vlasic.... Una dei leader che pregava con lui, Sorella Briege McKenna, ebbe una visione mentale di Padre Vlasic seduto, circondato da una gran folla: un fiotto d’acqua scorreva dalla sedia. Emile Tardif, O.P, pronunciò come una profezia: ‘Non temete, vi mando mia Madre.' Così, Padre Vlasic tornò in Yugoslavia. Due settimane dopo il suo ritorno, Nostra Signora cominciò ad apparire ad un gruppo di ragazzi e ragazze nella parrocchia francescana di Medjugorje. Una nuova vita cominciava a scorrere.”

Il citato Padre Vlasic fu per tre anni la guida spirituale, l’interprete e il protettore dei visionari. A detta di alcuni, egli è “un uomo di irreprensibile santità”; per altri, un “mago carismatico”.

L’incredibile facilità con la quale i visionari accettano le loro apparizioni è del tutto simile a quella con cui i carismatici accettano, come provenienti da Dio, i loro “doni dello Spirito”. Qualcosa che non è una semplice allucinazione, ma è al di là dei limiti della conoscenza e dell’esperienza umana, non è necessariamente una visione genuina, ricevuta per grazia di Dio. Può semplicemente trattarsi della fiducia in una piacevole esperienza psichica: nei messaggi c’è sempre la stessa enfasi su “amore”, “pace” e “gioia”.

In ciò sembra che vi siano precise somiglianze con un altro fenomeno: lo spiritismo. I medium non esitano ad accettare i loro spiriti-guida come messaggeri di luce; e i loro messaggi sono anch’essi, invariabilmente, amorevoli e consolatori, reverenti nel modo di esprimersi, con frequenti riferimenti a una divinità e a insegnamenti morali. I medium affermano di comunicare messaggi da un mondo più elevato; e i visionari, in effetti, hanno comunicato messaggi della Gospa a coloro che avevano posto delle domande. Anche l’Arcivescovo di Split ha chiesto a uno dei visionari se la Gospa aveva qualche messaggio per lui.

Una carismatica, parlando di profezie nel corso di un suo incontro in America, afferma: “I messaggi sono sempre stati pieni di grande consolazione e gioia dal Signore”. Un sostenitore di Medjugorje, parlando dei messaggi della Gospa, dice che “i messaggi sono una miniera di meravigliosi consigli e rassicurazioni”.

"Ti tendo la mano. Devi solo prenderla, ed io ti guiderò” (carismatico). “Oggi voglio avvolgervi nel mio mantello, e condurvi tutti sulla strada della conversione” (Gospa). “Siate come un albero, che oscilla al vento della Sua volontà, con le radici nella Sua forza, che si tende in alto verso il Suo amore e la Sua luce” (carismatico). “Aprite i vostri cuori a Dio, come i fiori in primavera cercano il sole” (Gospa).

Naturalmente, le già citate funzioni di guarigione presso la chiesa di Padre Jozo Zovko avevano un carattere nettamente carismatico; il che spiega come mai la gente era portata ad abbracciarsi, piangere e svenire. Il ministero di Padre Jozo ora comprende il Riposo nello Spirito – una versione meno drammatica della carismatica Uccisione nello Spirito –, a cui è stato introdotto da un americano, e che sembra aver causato “qualche imbarazzo” nella parrocchia.

I conflitti con i francescani in Erzegovina risalgono all’epoca dei Turchi, quando i frati continuavano a celebrare per i cattolici locali in assenza di un vescovo. Nel 1881 fu ristabilita una regolare gerarchia, e l’intenzione della Santa Sede era che il clero secolare sostituisse gradualmente i francescani nella cura delle parrocchie. Ciò causò gravi risentimenti e tensioni tra i frati e il popolo da una parte, e le autorità diocesane dall’altra. Medjugorje rimase una parrocchia francescana. Il Dr. Zanic, Vescovo di Mostar all’epoca dell’inizio delle apparizioni, continuò su questa linea a dispetto della forte opposizione. Due frati si ribellarono apertamente e furono sospesi dal vescovo, nonché espulsi dal proprio ordine dai loro superiori. I due frati chiesero subito aiuto ai visionari, che parlarono della faccenda con la Signora di Medjugorje in non meno di tredici occasioni. La Signora si pronunciò apertamente in difesa dei due frati, definendoli “innocenti, privi di colpa alcuna, e puniti ingiustamente!... Il vescovo non si comporta secondo la volontà di Dio... Il vescovo è stato troppo sbrigativo... Il vescovo è colpevole”. “Lei (la Gospa) ha parlato di questo caso (dell’Erzegovina), si è messa a ridere e ha detto che lei, da sola, avrebbe messo tutto a posto. Poi ha cominciato a ridere. Poi anche Jakov e io scoppiammo a ridere...” “Se lui (il vescovo) non accetterà questi eventi (l’autenticità delle apparizioni) e non si comporterà bene, allora dovrà udire il mio giudizio e quello del mio Figlio”.

Il Vescovo (assieme ad altri) rimase scettico, definì l’intera faccenda una montatura e una frode, e affermò che un gruppo di frati, guidati da Padre Tomislav Vlasic, sfruttava i “visionari” per i loro fini.

"Dai loro frutti "

I sostenitori vedono in Medjugorje una grande occasione di rinnovamento religioso e ne sono apertamente entusiasti; mentre altri, sia fra il clero che fra i laici, perfino intere famiglie del villaggio, si mostrano indifferenti od ostili.

I sostenitori usano il solito argomento che si sente ripetere in tutti i santuari, e che è stato fatto proprio dagli eretici del passato, nonché dai carismatici – sia cattolici che protestanti – di oggi: “Dai loro frutti li riconoscerete”. Com’è possibile che tutto ciò sia opera di Satana, quando la visione invita alla preghiera e al digiuno, e vi sono conversioni e guarigioni?

Il Dr. Franic, Arcivescovo di Split, usa proprio questo argomento in una lettera a Roma del 1985, in cui scrive: “Negli ultimi tre anni e mezzo, più di tre milioni di pellegrini sono venuti a Medjugorje da tutti e cinque i continenti; e tutti, dopo il pellegrinaggio, sono tornati a casa convertiti, o sono stati ricondotti a una vita cristiana da una condizione di indifferenza religiosa o di assoluto ateismo, rinnovando il loro contatto con la preghiera e con pratiche religiose come il digiuno, generalmente il venerdi, e in alcune case anche il mercoledi, cibandosi solo di pane ed acqua: in una parola, completamente riconciliati con Dio e con gli uomini”.

E’ molto probabile che la maggior parte dei pellegrini sia tornata a casa in uno stato di temporanea euforia; è anche possibile che alcuni, forse molti, abbiano cominciato a vivere una vita cristiana più seria, o che abbiano incontrato Cristo per la prima volta; ma che tutti i tre milioni di pellegrini – se davvero sono stati tre milioni – si siano completamente riconciliati con Dio e con gli uomini, questo sì che sarebbe stato un vero miracolo, il miracolo di Medjugorje... ma è molto più probabile che questa sia solo un pio desiderio dell’arcivescovo. Dobbiamo solo ricordare la parabola del fariseo e del pubblicano per comprendere che la preghiera e il digiuno, o qualsiasi altra “pratica religiosa”, non sono in sé sufficienti per riconciliarci con Dio e con gli uomini.

Le guarigioni, come sappiamo, si verificano non solo presso i santuari mariani, ma anche presso le religioni non-cristiane. Le guarigioni, così come il numero dei pellegrini, sono state causa di dissensi: i detrattori delle apparizioni affermavano che non vi era alcuna prova a sostegno di molte guarigioni, che l’Ufficio Medico di Lourdes aveva dato una risposta negativa, e che alcuni di coloro che si erano dichiarati “guariti” erano in realtà morti. In occasione di un pellegrinaggio, il Vescovo di Mostar ha affermato che vi erano stati soltanto 30.000 pellegrini, contro i 200.000 dichiarati da Padre Vlasic. I visionari chiesero il numero esatto a “Nostra Signora di Medjugorje”, che fornì la cifra di 110.000.

Vi sono anche frutti guasti: il disaccordo con i devoti di altri santuari mariani (echi di Nostra Signora di Walsingham contro Nostra Signora di Ipswich), e altre tristi storie di dispute feroci, ancora con acrimoniosi scambi di invettive ad alti livelli. Su un tono più leggero, Desmond Seward (The Dancing Sun) riporta il divertente resoconto del lungo sermone a una Messa in inglese di un prete del Kentucky, che include il commovente racconto delle pene da lui patite per disassuefarsi dalla Coca-Cola in risposta alle richieste di penitenza da parte della Vergine.

I visionari

Ma quanto sono convincenti i visionari stessi, tutti convinti di aver visto la Madre di Dio? E’ molto preoccupante la loro straordinaria mancanza di cautela spirituale, che li ha spinti ad attribuire incondizionatamente le loro visioni alla Beata Vergine. Ricordate le parole di uno dei visionari di Medjugorje: “Chi altri poteva essere? Era ovvio!”.

Zeitoun è diversa dalle altre apparizioni perché, come abbiamo visto, la figura è stata osservata per più di tre anni da membri anziani del clero copto, e da cattolici, protestanti, musulmani, ebrei e atei. Se non fosse stato per le forti somiglianze fra le descrizioni dei fenomeni solari di Zeitoun e i precedenti avvistamenti di UFO, avrei trovato questo gruppo di testimonianze solido e impressionante; benché sia pur sempre difficile comprendere perché mai la Vergine abbia dovuto apparire in questo modo eccessivamente pubblico e plateale, quando lo stesso Cristo non ha affatto tentato di convincere i non credenti con una sua apparizione sopra Gerusalemme – dove avrebbe potuto essere visto da Pilato, Erode, Caifa e tutto il popolo – a prova della sua risurrezione.

Catherine Labouré, che vide la Medaglia Miracolosa, amava molto le visioni; e tentava sempre (cosa che, da un punto di vista ortodosso, è estremamente pericolosa) di averne di nuove. Sapendo in quali modi i demoni possono ingannarci, gli asceti hanno sempre rifiutato le visioni, affermando di essere indegni di vedere gli angeli. La preghiera della Medaglia Miracolosa risultò essere un’eccellente propaganda per il dogma dell’Immacolata Concezione, e Catherine morì sapendo che milioni di medaglie erano state distribuite in tutto il mondo. La sua stessa identità, che avrebbe dovuto essere tenuta segreta, fu in qualche modo scoperta, e la Labouré fu canonizzata dalla Chiesa romana.

Massimino e Melania di La Salette sembrano essere stati una coppia di bambini indisponenti, e neppure le loro vite da adulti furono molto rassicuranti. Il Vescovo Doupanloup trovava Massimino “assolutamente disgustoso”; e il Curato d’Ars, che lo intervistò, affermò che “se ciò che il ragazzo mi dice è vero, non è possibile crederci”. Tuttavia, la voce dell’entusiasmo popolare prevalse e la conclusione ufficiale fu a favore dell’apparizione.

Bernadette ci offre invece l’esempio rinfrescante di una persona normale, dotata di una rustica saggezza e di buon senso contadino. Dopo il suo ingresso in convento non ebbe più visioni, e non fece nulla per attirare l’attenzione su di sé o per sfruttare la celebrità che avrebbe acquisito. Sopportò dignitosamente e con coraggio le sue infermità. Credeva di non aver mai voluto fare niente di male nella sua vita, e di non aver mai udito prima le parole “Immacolata Concezione”. Quest’ultima affermazione è quasi impossibile da accettare, poiché gli abitanti dei Pirenei avevano celebrato la festa dell’Immacolata Concezione come giorno di precetto nei centocinquant’anni precedenti, vale a dire dal decreto di Clemente XI nel 1708 (Pio IX si limitò a definire il dogma e a imporlo come articolo di fede). In tutta la sua infanzia, vissuta interamente in una cultura cattolica, Bernadette era stata sicuramente portata in chiesa l’8 dicembre, proprio come a Natale, a Pasqua e il giorno dell’Assunzione. Dopo la definizione del dogma nel 1854, e in connessione con la popolare Medaglia Miracolosa, con la sua preghiera a “Maria concepita senza peccato”, le parole “Immacolata Concezione” devono esserle giunte all’orecchio innumerevoli volte.

I piccoli veggenti di Fatima, secondo Sorella Lucia, la visionaria superstite, erano modelli di virtù, caratterizzati una devozione inquietante e innaturale. Portavano il cilicio, finché la Signora non disse che Dio non voleva che essi dormissero con la corda, ma che la portassero solo durante il giorno. Si mortificavano in ogni modo possibile, a volte rifiutando cibo e bevande, pungendosi deliberatamente con spine, e facendo sacrifici in tutto, ripetendo ogni volta le parole insegnate loro dalla Signora: “O Gesù, è per amor tuo, per la conversione dei peccatori, e in riparazione dei peccati commessi contro il Cuore Immacolato di Maria”. I due veggenti più piccoli morirono in giovanissima età; Lucia, fattasi suora, continuò a ricevere visioni e rivelazioni.

Marlette Beco, una ragazza belga, fu visitata otto volte nel 1933 da un’apparizione stranamente simile alla Signora di Lourdes, che chiese anch’essa una cappella, fece sgorgare una sorgente e affidò alla fanciulla un segreto. Marlette aveva undici anni, quindi era in un’età pre-adolescenziale e alquanto emotiva, e spesso piangeva al racconto delle apparizioni, scoppiava in lacrime durante alcune delle visioni, “piangeva incontrollabilmente quando la sua Signora non appariva”, in serate in cui nulla accadeva, e si sentiva malata, stanca e debolissima, benché il medico dichiarasse che la sua salute era buona. Alla fine dell’ultima apparizione, quando la “Vergine dei Poveri” la lasciò, la ragazza “si lasciò cadere sulla terra umida, dove giacque scompostamente, singhiozzando e piangendo convulsamente, mentre tentava di dire le sue preghiere”. Le autorità ecclesiastiche riconobbero come autentiche le visioni di Marlette Beco, e Banneux divenne un centro di pellegrinaggi con il solito spiazzo per la benedizione dei malati, un ospedale e un’area di campeggio. Una società di Banneux organizza pellegrinaggi e diffonde informazioni.

I giovani di Medjugorje sono descritti come immersi in un mondo di esaltazione spirituale, fulgidi esempi che vivono “vite esemplari di preghiera, digiuno, distacco dal male del loro tempo e dei loro coetanei, manifestando amore sincero per la Chiesa ed il Papa”. Ma sono stati definiti anche “piccoli bugiardi”, “pedine inconsapevoli di un gioco che non comprendono”, dotati di “ego dilatati” e simili, nel comportamento, a “robot addomesticati”. Mirjana, una di loro, non vede più le apparizioni, ma ode una voce interiore. Altre due ragazze (non facenti parte del nucleo dei visionari), Jelena e Marijana, inizialmente sotto la direzione di Padre Tomislav Vlasic — il leader carismatico che era stato direttore spirituale dei visionari — odono anch’esse una voce interiore, attribuita alla Vergine, che affida loro messaggi personali, messaggi per il gruppo locale di preghiera, per la parrocchia e per il mondo intero. Sono state distribuite gratuitamente più di un milione di copie di libri dello stesso Padre Vlasic, contenenti meditazioni sui messaggi, e che includono “formule di consacrazione al Sacro Cuore di Gesù e al Cuore Immacolato di Maria, dettate da Nostra Signora a Jelena”. Altri sacerdoti collegati con Medjugorje e con il Movimento carismatico ricevono anch’essi “locuzioni interiori”, definite come l’esplicita consapevolezza interiore di un messaggio, diversa da qualsiasi altra forma di comunicazione umana.

Anche se qualcuno può esitare ad accettate le apparizioni a causa dei propri dubbi sui visionari, niente paura: Roma ha la risposta. E’ stata definita una speciale categoria di favori divini che coprono anche i visionari insoddisfacenti: “gratiae gratis datae”, favori concessi da Dio senza alcun rapporto con lo stato spirituale del visionario.

La Madre di Dio o la Dea?

Chi è questa Signora apparsa migliaia di volte e acclamata da milioni di persone? È la stessa Madre di Dio che nell’Ortodossia conosciamo dalle Scritture, dalle funzioni e dagli insegnamenti della Chiesa? Sembra quasi che il culto delle apparizioni mariane abbia una vita e un ethos propri, come se si trattasse di una religione separata: una specie di Cristanesimo sovrapposto al culto della Dea e allo spiritismo. La Vergine, non il Cristo, è la figura centrale. Il Cielo parla attraverso di lei, non di lui. Nonostante l’insegnamento ufficiale di Roma, che ancora vieta di porre Maria allo stesso livello di suo Figlio, è lei che predomina. Geoffrey Ashe sembra aver colto nel segno quando afferma che “la vitalità della Chiesa di Cristo (la Chiesa Cattolica Romana!) sembra spesso essere dipesa da lei, più che da lui”.

La mia sensazione di una Vergine autonoma, che agisce indipendentemente, è stata confermata da Padre Michael O'Carroll, secondo cui Dio ha scelto di affidare la sua missione di misericordia e di rinnovamento alla Beata Vergine Maria. Parlando di Medjugorje, O’Carroll afferma che “non è stato Dio Padre, né Dio Figlio incarnato, né Dio Spirito Santo a prendere l’iniziativa a Medjugorje. E’ stata Nostra Signora.” E prosegue dicendo che la caratteristica principale di Medjugorje è la manifestazione del “ruolo dominante, perpetuo, totalmente autonomo dato a Nostra Signora”.

Padre O’Carroll cerca di rassicurare coloro che pensano che Dio sia stato messo in ombra a Medjugorje ricordando la “ricorrente menzione dello Spirito Santo” nelle parole della Gospa. Nei 203 messaggi che ho letto, lo Spirito Santo è menzionato solo sei volte, e in due di esse in modo da farlo sembrare un semplice testimone della Gospa: “Vi invito, cari figli, a pregare per i doni dello Spirito Santo, di cui avete bisogno per testimoniare la mia presenza e tutto ciò che vi offro... Lo Spirito di verità vi è necessario per riferire i messaggi proprio come ve li detto”.

Le “rassicurazioni” di Padre O'Carroll sono espresse in termini che suonano alquanto strani all’orecchio otodosso. “La ricorrente menzione dello Spirito Santo è degna di nota, e ben si accorda con la rinascita, nel’ultima generazione, della dottrina e della devozione al suo riguardo. Egli ha sempre fatto parte del credo cristiano, è riconosciuto dai fedeli e onorato in alcune preghiere comuni”. E aggiunge, significativamente: “Ma poco tempo fa è apparsa un’opera spirituale su di lui, intitolata Il Paracleto dimenticato; e non è molto che un grande maestro di vita spirituale, Dom Columba Marmion, ha potuto asserire che, per alcuni, valgono le parole degli Atti degli Apostoli: ‘Non abbiamo nemmeno sentito dire che c’è uno Spirito Santo’”. Ciò conferma il mio precedente riferimento al filioque latino, con la sua conseguente svalutazione dello Spirito Santo, e il ruolo importante che, a mio parere, questa distorsione della dottrina trinitaria ha giocato nelle apparizioni mariane. Il bisogno dell’eterno femminino giace nelle profondità della psiche umana. Questo bisogno trova piena soddisfazione nella Santa Trinità, il cuore dell’Ortodossia. Laddove l’insegnamento trinitario è privo di equilibrio, e lo Spirito Santo è trascurato, è facile assistere al “ritorno della Dea”, sia sotto forma di eccessi mariani che dell’apparizione di correnti gnostiche, con le loro richieste di donne sacerdoti e i loro termini privi di riferimenti al genere quando si parla di Dio.

Nel Nuovo Testamento possiamo vedere tutta l’incomparabile bellezza spirituale della Madre del Signore. Nella sua rifulgente umiltà la Vergine non si mette mai in mostra, ma indica sempre altrove. Madre del Messia, chiama umilmente se stessa “serva di Dio”. La lode di Elisabetta in suo onore è immediatamente indirizzata a Dio, che si è degnato di posare gli occhi sulla sua piccolezza. Non ha la presunzione di rivolgere direttamente i suoi ordini ai servi di Cana, ma quietamente li esorta a ubbidire ai comandi di suo figlio. Gli Atti non ce la dipingono impegnata in qualche iniziativa privata, bensì in attesa di preghiera con l’intera comunità dei credenti.

La signora di tutte le apparizioni, invece, sta fermamente al centro del palcoscenico, con i riflettori sempre puntati su di sé. Decreta nuovi titoli per se stessa: Immacolata Concezione, Nostra Signora del Rosario, Madre di Consolazione, Vergine dei Poveri, Regina della Pace. Cerca riparazione e consolazione per le ingiurie a lei rivolte: “Asciugate le lacrime del mio volto, che verso guardando ciò che fate” (Medjugorje), “Guardate il mio cuore, coronato delle spine con le quali gli uomini ingrati mi feriscono in ogni momento, per le loro blasfemie e la loro ingratitudine. Vi sono così tante anime condannate dalla giustizia di Dio per i peccati commessi contro di me, che sono dovuta venire a chiedere riparazione: sacrificatevi per questa intenzione” (Fatima).

Nel linguaggio tipico della Dea, la Signora di Medjugorje dice: “Sono instancabile, vi chiamo anche quando siete lontani dal mio cuore. Io sono la Madre, e, benché provi dolore per tutti coloro che si sviano, concedo facilmente il perdono e mi rallegro per ogni figlio che torna a me”. Nel 1986 apparve sul monte con cinque angeli, dichiarando ai visionari che ciò che essi stavano sperimentando era “simile alla Trasfigurazione sul Monte Tabor”. Avrebbe concesso alla gente tutte le grazie di cui avevano bisogno. Li benedisse e disse loro di “discendere dal Tabor e portare la benedizione agli altri”. “Ovunque vado, mio Figlio è con me”. La verità è, invece, che ovunque si trova il Dio-uomo, vi è anche, in lui, la Madre, i suoi santi, i suoi angeli e i suoi giusti. In lui – e in lui solo – possiamo comunicare con loro e chiedere il loro aiuto. La Madre del Signore è veramente la Madre di noi tutti nella Chiesa, dove occupa il posto più elevato, il più vicino a Cristo; ma non agisce indipendentemente da lui. Non è la Madre della Chiesa, né la mediatrice di tutte le grazie, e neppure la corredentrice (questi due ultimi titoli sono impliciti nei messaggi di Medjugorje).

 “Avulsa dalla sua immagine evangelica, ed evolvendosi dalle fantasie subconsce dell’uomo, può diventare qualsiasi cosa, da un sogno sentimentale a un essere oscuro, imperscrutabile, inesorabile, simile alla spaventosa dea del pensiero pagano” (Newbolt, The Blessed Virgin).

I messaggi

Alla fine dev’essere però il contenuto dei messaggi stessi a ispirare l’accettazione o il rifiuto delle visioni. Come si è detto, questo è il motivo per cui non abbiamo incluso Walsingham fra i santuari mariani: il messaggio, rivelato a Richeldis in una visione privata o in un sogno, era la semplice richiesta di una cappella in onore dell’Incarnazione.

A Zeitoun, e prima ancora a Knock, non è stato comunicato alcun messaggio; lo scopo di queste visioni è dunque materia di congettura. Vi sono differenze di enfasi, ma una sostanziale unità, nei messaggi dei vari santuari; benché Lourdes sembri, per molti versi, “eccentrico”.

C’è anzitutto l’aria di gentilezza e cortesia: “Venite più vicini, figli miei, non abbiate paura: sono qui per portarvi grandi notizie” (La Salette); “Per favore, venite qui per due settimane” (Lourdes). La Signora di Zeitoun si inchina per salutare la folla riunita. La Gospa di Medjugorje ripete il suo ritornello pappagallesco alla fine di ogni messaggio: “Grazie per aver risposto alla mia chiamata”.

C’è sempre la stessa assenza di Cristo, o almeno la sua marginalizzazione come una lontana figura vendicativa, la cui giusta ira è trattenuta dalla Vergine. Anche a Medjugorje Cristo è lontano, benché non temibile; e siamo invitati a “pensare di più a Gesù” il giorno di Natale, e a “fare qualcosa di concreto per Gesù Cristo”: cioè, a “portare un fiore come segno di abbandono a Gesù. Voglio che ogni membro della famiglia abbia un fiore vicino alla mangiatoia, così che Gesù possa vedere voi e la vostra devozione per lui”.

Ci sono sempre gli stessi segreti, gli stessi moniti apocalittici, gli stessi buoni consigli di andare in chiesa e di comportarsi bene, con esortazioni ad “amare”, a “fare penitenza” ed a “pregare”. Il messaggio di Banneux era, letteralmente: “Pregate molto”. Per “preghiera” si intende il rosario, che è costantemente menzionato. Benché i sostenitori di Medjugorje affermino che è la Messa il momento centrale di preghiera, il rosario ha la preminenza. È “la forma di preghiera preferita da Maria” (O'Carroll). “Il rosario è un’arma potente contro Satana... Dobbiamo sconfiggere Satana con il rosario in mano...” (Medjugorje). A Fatima viene promessa l’assistenza nell’ora della morte a coloro che si confessano, ricevono la Comunione il primo sabato di cinque mesi consecutivi e recitano un certo numero di rosari per un certo numero di volte, con la giusta intenzione. Tutti i visionari hanno recitato il rosario, e l’apparizione di Medjugorje compariva regolarmente durante la sua recitazione pubblica. Al piccolo veggente di Fatima fu fatta la promessa che sarebbe andato Paradiso, ma avrebbe dovuto “recitare molti rosari”. Uno dei visionari di Medjugorje ricevette personalmente un rosario dalla Signora (non è chiaro se si sia trattato di una materializzazione); e al Papa ne fu donato uno benedetto appositamente per lui dalla Gospa.

C’è sempre lo stesso insegnamento sul purgatorio e sulla supremazia papale, e la stessa enfasi sul Sacro Cuore di Gesù e sul Cuore Immacolato di Maria. Anche Papa Giovanni Paolo II sostiene il culto del Cuore Immacolato, associandolo con quello del Sacro Cuore. A Fatima si offre la salvezza a coloro che abbracciano il Cuore Immacolato e provvedono alla riparazione dei peccati con i quali è stato offeso il Cuore di Gesù.

C’è sempre lo stesso mercanteggiamento, le stesse promesse e minacce, gli stessi inviti a compiere buone azioni per interesse personale. Se tu fai questo, ti prometto che farò quello: se manchi di fare questo e quello, ti accadrà – o non ti accadrà – così e cosà. “Coloro che indossano la medaglia riceveranno grandi favori, specialmente se la porteranno intorno al collo”. “Se solo i peccatori si pentissero, le pietre e le rocce si trasformerebbero in covoni di grano” (La Salette). “Se la gente farà come dico, molte anime si salveranno e ci sarà la pace” (Fatima). “Se non cambiamo, la punizione sarà terribile” (Garabandal).

Lourdes è, per molti versi, in netto contrasto con quanto sopra. Il rosario è sì prevalente; l’apparizione tiene in mano un rosario e fa scorrere i grani fra le sue dita mentre Bernadette si inginocchia e recita le sue preghiere. Ma, mentre non si fa alcuna menzione di Cristo, non c’è neppure alcuna menzione dei Cuori, del purgatorio, delle minacce apocalittiche e di contrattazioni. Le parole sono poche e concise, per lo più brevi esortazioni: “Andate e baciate la terra per la conversione dei peccatori; Andate e bevete alla sorgente...; Andate e dite ai preti di costruire una cappella su questo luogo”. Il contrasto con la loquacità della Gospa di Medjugorje non potrebbe essere più marcato.

La breve affermazione della visione, “Io sono l’Immacolata Concezione”, ha avuto un impatto maggiore rispetto a qualsiasi altro messaggio dei santuari. I protestanti sono inclini a vedere in tutto ciò nient’altro che un riflesso dell’abilità mentale di Bernadette e della povertà della sua grammatica. Alcuni teologi cattolici, all’epoca, si scervellarono su questa frase e si sentirono a disagio, perché era simile, in modo davvero inquietante, a frasi pronunciate da Dio e da Cristo nel Vecchio e Nuovo Testamento, e sembrava rispecchiare “Io sono la risurrezione”, “Io sono la via, la verità e la vita”. I massimalisti mariani gioirono nel vedere quali onori erano attribuiti alla Vergine in cielo, e si misero ad aspettare peranzosamente ulteriori rivelazioni da parte di future apparizioni, come: “Io sono la mediazione di tutte le grazie”, e “Io sono la corredenzione”. Ma, con loro sommo dispiacere, rimasero delusi, e dovettero accontentarsi di “Io sono la Signora del Rosario” e “Io sono la Vergine dei Poveri”. I minimalisti mariani, invece, insisterono sul fatto che la Vergine limitava volutamente i suoi privilegi a quello dell’Immacolata Concezione, implicando con ciò di non essere la mediatrice di tutte le grazie o la corredentrice. Alcuni ortodossi, nel tentativo di giustificare la loro accettazione dell’apparizione di Lourdes, cercano di sottolineare la data in cui venne fatta la celebre affermazione, vale a dire il il 25 marzo, e affermano che la Vergine non si riferiva alla propria concezione da parte di Sant’Anna, ma alla (sola) Immacolata Concezione del Signore Gesù Cristo il giorno dell’Annunciazione.

>[Nota del curatore: Non è un argomento molto convincente, perché al tempo dell’apparizione (1858) tutti i cristiani ortodossi seguivano il Vecchio Calendario, che allora si trovava dodici giorni indietro rispetto a quello del computo papale.]

L’affermazione dell’apparizione era enigmatica come quelle dell’oracolo delfico; ed ebbe come effetto di affrettare e confermare il dogma dell’Infallibilità papale. Imponendo nel 1854 il dogma dell’Immacolata Concezione, il Papa agì di propria autorità, senza il consenso di un Concilio generale. Per questo fatto fu fortemente criticato in alcune cerchie ecclesiastiche. Quando la Signora di Lourdes annunciò per privilegio il suo nnome dicendo “io sono l’Immacolata Concezione”, non solo provò che il Papa aveva avuto ragione a proclamare il dogma, ma confermò anche la sua capacità di agire da solo: in altre parole, sottintese che la suprema autorità apparteneva soltanto al Papa. L’Infallibilità papale divenne dogma ufficiale nel 1870. Come afferma Alan Neame, Nostra Signora di Lourdes fu in qualche modo la madre dell’Infallibilità papale, e la nonna dei Vecchi Cattolici che, per non accettarla, causarono uno scisma.

Se qualcuno poi dovesse ricordare a sproposito che a Santa Caterina da Siena (XIV secolo), durante la sua visione, Nostra Signora disse di non essere stata concepita in modo immacolato, Roma ha la risposta: anche i santi possono interpretare male le loro rivelazioni, e Caterina era così influenzata dai suoi maestri domenicani, contrari alla dottrina dell’Immacolata Concezione, che “anche nel suo rapimento mistico questa santa donna non poté immergersi sufficientemente in Dio da superare tale suggestione” (Arcivescovo di Split).

I messaggi insoddisfacenti, dunque, sono scartati con la stessa facilità con cui si scartano i visionari insoddisfacenti. Secondo il Dr. Franic, Arcivescovo di Split, nei messaggi si possono facilmente insinuare non solo illusioni umane, ma anche spiriti maligni: ogni messaggio, dunque, deve essere considerato separatamente. In effetti, i messaggi sconvenienti possono essere cancellati, passando così la rivelazione “in lavanderia”. Insomma: fra visionari di dubbia affidabilità che possono essere depositari di autentiche rivelazioni divine, messaggi divini che possono essere male interpretati da visionari santi, o addirittura alterati da spiriti maligni, e cause parapsicologiche che possono essere talvolta l’unica vera origine delle visioni, ci si trova davvero sulle sabbie mobili, e sembra che non ci sia niente di solido su cui potersi basare.

Il nuovo elemento dei messaggi di Medjugorje è quello ecumenico. Il secolo di prove per la Chiesa sta finendo, e la Gospa profetizza, in particolare, un rinnovamento della fede in Russia, “dove Dio sarà glorificato più che in ogni altro luogo”. Se colleghiamo questo messaggio con quello di Fatima relativo alla Russia, con l’appello di Hriushiw agli uniati per una rinnovata attività missionaria in Russia, con il profondo interesse del Papa per la Russia e il suo sostegno a Evangelizzazione 2000, con la sua enfasi sull’ “Europa d’Occidente e d’Oriente”, non possiamo proprio dire di non essere stati avvisati!

La Gospa ha detto che le divisioni fra le religioni sono create dall’uomo; e sembra che abbia anche dichiarato che Dio comanda su tutte le religioni come un re sul suo regno – benché non sia riuscita a trovare questa frase nei libri che ho letto, il che non è affatto sorprendente, poiché le apparizioni sono andate avanti così a lungo, con centinaia di messaggi, che sarebbe impossibile includere tutto ciò che è stato detto. Inoltre, come Padre René Laurentin ha notato in uno dei suoi articoli, Roma ha mostrato preoccupazione riguardo al fatto che alcuni dei messaggi sembrano implicare una certa indifferenza religiosa; perciò è assai probabile che una frase così controversa sia stata soppressa in ogni pubblicazione favorevole alle apparizioni, in quanto una posizione così radicalmente ecumenica non è (ancora) generalmente accettabile. Ho scritto al London Medjugorje Centre per avere chiarimenti su questo punto, ma non ho ricevuto risposta. Sembra che per le religioni non-cristiane sia concepita una sorta di unità senza Cristo. Sembra che gli ecumenisti occidentali abbiano iniziato a discutere sulla necessità di una possibile revisione o modifica della tradizionale concezione incarnazionista, in cui Cristo è l’unica e ultima rivelazione di Dio all’uomo, poiché tale concezione sarebbe incompatibile col dialogo interreligioso. Sia quel che sia, studiando i messaggi di alcuni santuari (Fatima, Zeitoun, Hriushiw, Medjugorje) e i commenti di diversi scrittori, la mia impressione è che il Papa venga considerato il simbolo dell’unità fra i cristiani, che saranno riuniti nonostante le loro differenze dottrinali (soggezione al Papato senza l’unità nella fede), e il padre dei popoli di ogni credo e cultura (la nuova religione mondiale).

La mia reazione iniziale alla lettura dei messaggi dei santuari è stata di profonda delusione. Questi messaggi non sembrano proprio giustificare una visitazione celeste: soprattutto quelli di Medjugorje, che sono scialbi, banali e monotoni – e troppi. Se Dio stesse realmente cercando di parlare, sarebbe impossibile udirlo per l’incessante chiacchierio della Signora. Con un senso di gratitudine, ammirazione, immensa gioia e sollievo sono tornata alla ricchezza e alla profondità delle nostre preghiere ortodosse.

Vi sono ben pochi passi nel Vangelo in cui si riferiscono le parole della Madre di Dio; ma ciascuno di loro è altamente significativo. Si potrebbe passare la vita intera a meditare sulle sue parole, senza esaurirne il significato. La Vergine, altrimenti, è silenziosa, affinché il Figlio – la Parola – possa parlare. Niente può superare i due sublimi titoli della santa Vergine: uno scelto da lei stessa, “serva del Signore”, e l’altro datole dalla Chiesa, Theotokos, Madre di Dio. Né si può aggiungere qualcosa di più importante alle ultime parole che di lei ci sono state riferite, un messaggio che rimane eternamente vero, significativo e universale: “Tutto ciò che vi dirà, fatelo”.

 


Bibliografia

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22) O'Carroll, Fr Michael—Medjugorje: Facts, Documents, Theology, 1989

23) Plunkett, Dudley—Queen of Prophets, 1990

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26) Walne, Damien and Flory, Joan—The Virgin of the Poor, 1983

27) Wiles, Maurice—Christian Theology and Inter-religious Dialogue, 1992

 
La mirabile Santa Parasceve di Roma (26 luglio/8 Agosto)

 

Santa Parasceve [in greco, Paraskevi] è onorata non solo dalle donne che portano il suo nome, ma da tutti i cristiani. Questo accade in particolare nella nostra provincia, in quanto ci sono molte chiese parrocchiali e cappelle che sono onorate di portare il suo nome, e oggi tutti celebrano la sua luminosa festa.

La vita di santa Parasceve è meravigliosa. I suoi genitori erano pii e virtuosi, e la sua nascita ha avuto luogo con l'intervento di Dio. E' cresciuta in modo cristiano, ha distribuito i suoi beni ai poveri, è divenuta monaca, ha predicato Cristo, lo ha confessato, e alla fine è stata torturata e martirizzata per amore di Cristo. Questo è il motivo per cui viene chiamata Vergine Martire e Venerabile.

Ci sono icone che raffigurano santa Parasceve che tiene in mano un piatto in cui ci sono due occhi. Questo si riferisce a un miracolo compiuto dalla santa. Uno dei suoi tormenti fu di essere messa in una caldaia all'interno della quale bruciavano olio e catrame. Tuttavia la santa, per grazia di Dio, non solo non fu bruciata, ma sembrò esserne rinfrescata. Il re che guardava questo tormento era meravigliato per questo evento, e le disse di spruzzare un poco di olio e catrame su di lui per vedere se era caldo. Appena santa Parasceve ne spruzzato un po' su di lui, i suoi occhi ne furono immediatamente accecati. Poi la santa supplicò Dio di rendere al re la vista, cosa che si realizzò con le sue preghiere. Ci viene in mente questo miracolo attraverso l'icona di santa Parasceve.

Questo è il motivo per cui molti malati che soffrono di problemi agli occhi considerano santa Parasceve la loro patrona e la supplicano di intervenire miracolosamente e curarli. I santi, con l'aiuto di Dio, sono i medici delle nostre anime e dei nostri corpi. Ricorriamo a loro quando abbiamo diversi problemi e chiediamo il loro aiuto. Naturalmente, teologicamente diciamo che Dio stesso agisce attraverso i santi, poiché i santi sono gli amici e gli operatori della salute di Cristo.

Per estensione, santa Parasceve può essere considerata un medico delle malattie dell'occhio psichico che è la nostra mente. Accanto all'occhio del corpo abbiamo anche l'occhio dell'anima dal quale si può vedere la gloria di Dio. E se gli occhi del corpo possono ammalarsi, così può ammalarsi anche l'occhio dell'anima. Quando l'occhio dell'anima è malato, il male ci prende, e non possiamo vedere Dio. L'eresia, l'ateismo e l'ignoranza di Dio e molte altre malattie psichiche sono il risultato della sofferenza dell'occhio spirituale.

Il profeta Davide dice in un Salmo: "Illumina le mie tenebre." Dentro di noi c'è tenebra perché siamo psichicamente accecati e non possiamo vedere la gloria di Dio. Questo è il motivo per cui san Gregorio Palamas pregava Cristo: "Illumina le mie tenebre."

Oggi commemoriamo e celebriamo santa Parasceve, che ha vissuto con Cristo ed è stata martirizzata per la sua gloria. E' anche la patrona di tutti coloro che hanno problemi con i loro occhi fisici, così come di tutti noi che abbiamo problemi con gli occhi della nostra anima [mente] e non possiamo vedere l'amore di Dio, non siamo in grado di comprendere le nostre passioni, la esigenze del nostro prossimo, e non possiamo neppure vedere il modo con cui essere salvati. Chiediamo a santa Parasceve con fede la nostra guarigione.

Prego che tutti voi possiate avere molti anni e benedizioni. Che santa Parasceve vi protegga per tutta la vita, con il potere della grazia di Cristo.

 
Lourdes e Fatima: vere o false?

Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole...

Ap. 12, 1

Noi non contesteremo il carattere miracoloso dell'apparizione originaria della Madre di Dio (a Fatima), così come non getteremo sospetti sull'autenticità di alcune apparizioni simili anche se meno sorprendenti...

Archimandrita Konstantin Zajtsev (1)

Introduzione

Le visioni della Madre di Dio concesse a persone fisiche sono caratteristiche della recente pietà cattolica romana, soprattutto del XVIII, XIX e XX secolo. Di alcune di queste visioni si può dubitare come illusioni spirituali, allucinazioni, e di altre come frodi per fare soldi. Così, la controversa 'apparizione' a Knock nel 1879 in Irlanda sembra strana, e le più recenti e altamente redditizie "apparizioni" a Medjugorje dal 1981 nella ex Jugoslavia sono respinte dalle autorità cattoliche locali come fraudolente. Tuttavia, respingere tutte queste visioni sembra non solo poco caritatevole in relazione a una pietà autenticamente sentita, ma anche semplicemente sbagliato.

Il fatto è che autentiche visioni celesti a non-ortodossi si svolgono comunemente al di fuori della Chiesa. Lo sappiamo, per esempio, dalla visione del rabbino ebraico Saul (in seguito apostolo Paolo) sulla via di Damasco (Atti 9). Circa 900 anni dopo, gli inviati pagani di Vladimir di Kiev ebbero una visione di cielo sulla terra nella Nuova Roma. Anora dopo circa 900 anni leggiamo che la futura predicazione di sant'Innocenzo dell'Alaska era stata predetta da pagani locali dell'Alaska attraverso una visione dell'arcangelo Michele. Come è stato possibile tutto questo? Perché anche se al di fuori della Chiesa, tutte queste persone sono state toccate dalla grazia, poiché 'lo Spirito soffia dove vuole' (Gv 3, 8). La Chiesa ha tutta la generosità del sole, che emana raggi di luce e di calore verso il mondo esterno.

Lourdes

Per quanto riguarda le apparizioni della Madre di Dio nella Chiesa, il calendario della Chiesa russa commemora oltre 600 delle sue icone miracolose, molte delle quali sono prima apparse a individui nel corso di visioni. Per quanto riguarda il mondo cattolico romano, ci sono le famose visioni della Madre di Dio di una contadina a Lourdes, nella Francia sud-occidentale, nel 1858. Come abbiamo scritto altrove nel corso dei decenni, ci sono quattro ragioni per cui queste visioni potrebbero essere state reali. In primo luogo, sono accadute a una ragazza contadina innocente e pia, Bernadette Soubirous (1844-1879), che non aveva alcun secondo fine clericale. In secondo luogo, quando a Bernadette fu chiesto dell'esatto aspetto esteriore della Madre di Dio e fu mostrato un catalogo di immagini, costei innocentemente ma sinceramente ha scelto subito non la somiglianza di una statua cattolica romana, ma quella di un'icona ortodossa.

In terzo luogo, ci sono a Lourdes numerose guarigioni miracolose ben documentate, che non possono essere spiegate dalla medicina moderna. Infine, e più importante di tutti, come ha descritto nel 1960 lo scrittore religioso ortodosso russo della Chiesa patriarcale in Francia, A. Merzljukin (2), in un tempo in cui la macchina vaticana era intenta a cercare sostegno per il suo dogma non ortodosso dell'Immacolata Concezione del 1854, il messaggio ricevuto da Bernadette era completamente ortodosso. Le parole che avrebbe udito dalla bocca della Madre di Dio erano, 'Io sono l'Immacolata Concezione', non, 'Io sono nata da una immacolata concezione'. Questo contraddiceva chiaramente il nuovo e recente dogma del Vaticano. È proprio la concezione di Cristo da parte della Madre di Dio, che è 'immacolata', cioè purissima, ed è per questo che noi la chiamiamo 'purissima'. Questa è l'antica credenza della Chiesa - non è un'invenzione ottocentesca.

L'Ortodossia non ha nulla a che fare con lo sfortunato sfruttamento di questa dichiarazione da parte del Vaticano per sostenere il suo nuovo dogma. Con questo, mi riferisco alla deformazione intenzionale del messaggio di Lourdes da parte delle autorità per dare a intendere che la concezione della Vergine stessa fosse 'immacolata'. Questa fabbricazione di un mito ha avuto tanto successo che oggi molti semplici cattolici in realtà credono che la Vergine non sia stata concepita dai santi Gioacchino e Anna, come viene ricordato agli ortodossi a ogni congedo di una grande funzione, ma allo stesso modo del Cristo - attraverso lo Spirito Santo e una madre vergine.

Questa credenza popolare non è la convinzione ufficiale del cattolicesimo romano, che ritiene che la Vergine sia stata concepita in modo umano, ma con una dispensa speciale, che la esentava da quello che chiama 'peccato originale'. Tutto questo è collegato con le dottrine 'agostiniane', sviluppate dalla Scolastica medievale a partire da speculazioni filosofiche negli scritti del beato Agostino. Queste dottrine 'agostiniane' suggeriscono la predestinazione, un Dio che non ama l'umanità, e sono quindi estranee alla Chiesa ortodossa e alla sua teologia dell'amore di Dio per l'umanità.

Fatima

Un altro esempio di deformazione delle visioni viene nel caso di Fatima. Qui, a differenza di alcuni, crediamo che queste visioni originali possano anche essere state genuine (3). Abbiamo sentito parlare di Fatima nel 1976, stranamente da una fonte del samizdat russo, ricevuta dal defunto arciprete Lev Lebedev di Kursk (4). La credenza catacombale espressa in questa fonte era chiaramente che Fatima fosse un fenomeno autentico. Anche noi tendiamo a credere nelle visioni di Fatima, per i sette motivi seguenti:

1. Sono state concesse a figli di contadini innocenti e pii. Si dice che la più anziana di questi, Lucia, il cui nome significa 'luce', abbia parlato con la Madre di Dio e abbia ricevuto messaggi da lei. Questi bambini piccoli, analfabeti non avevano alcun secondo fine, a differenza della macchina vaticana istituzionalizzata. In effetti, la maggior parte del clero portoghese del periodo delle visioni non credeva nella loro autenticità ed era addirittura ostile a Lucia.

2. Le visioni riguardavano eventi futuri in Russia - un paese non cattolico, di cui i bambini portoghesi non avevano mai sentito parlare. Ancora una volta non c'era qui nessun secondo fine, tanto più che era stato proprio il mondo occidentale che aveva organizzato, finanziato e salutato la rivoluzione russa filo-occidentale dell'inizio del 1917. Dobbiamo ricordare che tutti gli eventi all'altro capo dell'Europa nella lontana Fatima hanno avuto luogo mesi prima che i bolscevichi atei usurpassero il potere a loro volta. Questo fu molto tempo prima che gruppi russofobi di destra si impadronissero di Fatima per le finalità dei cattolici militanti anti-comunisti della guerra fredda, creando, per esempio, 'la Blue Army' (Apostolato Mondiale di Fatima).

3. Gli eventi di Fatima ebbero tutti luogo dopo la rivoluzione russa, durante i mesi di malgoverno anarchico del governo provvisorio filo-occidentale, in altre parole, né nel 1916, né nel 1918, né in qualche altro anno, ma a metà del 1917. Questo era il punto di svolta più fatale della storia russa. Fu poco prima che le forze russe fossero probabilmente vittoriose nella guerra, liberando Vienna e Berlino e i popoli da loro oppressi, e prima che iniziasse la persecuzione comunista atea.

Ricordiamo che la Madre di Dio era già intervenuta nella storia della Russia in questo momento attraverso la sua icona 'Regnante' (Derzhavnaja), la cui apparizione ha avuto luogo subito dopo la cosiddetta abdicazione del futuro tsar-martire il 15 marzo 1917 secondo il calendario secolare. (Scriviamo 'cosiddetta abdicazione' in quanto i documenti in questione ora sono stati tutti dimostrati contraffatti dallo storico russo Piotr Multatuli; lo tsar non abdicò mai).

4. Le visioni ebbero tutte luogo in date significative del calendario ortodosso - allora universalmente rispettato. Questo è abbastanza trascurato dagli autori cattolici romani. Così:

La prima visione fu il 13 maggio. Nel calendario ortodosso nel 1917 era la Domenica della Samaritana. Questo era sicuramente un chiaro invito all'Occidente di pentirsi della rivoluzione che aveva provocato in Russia, che avrebbe portato alla più sanguinosa persecuzione della Chiesa mai vista nella storia umana. In termini semplici, questa visione era un appello ai samaritani spirituali a pentirsi per il loro crimine contro la seconda Gerusalemme di Mosca.

La seconda visione fu il 13 giugno, alla vigilia della festa di San Giustino il Filosofo di Roma, venuto dalla Palestina a Roma per predicare il modo di vita cristiano ortodosso, l'unica vera filosofia.

La terza visione fu il 13 luglio, la festa dei Dodici Apostoli, che avevano convertitpil mondo allora conosciuto all'Ortodossia. Questo simbolico del significato universale di Fatima.

La quarta visione fu domenica 19 agosto (non il 13 agosto, dal momento che allora i tre bambini erano trattenuti prigionieri e minacciati da un eminente massone locale che deteneva il potere politico). Il 19 agosto è, naturalmente, la festa della Trasfigurazione, la Trasfigurazione a cui la Madre di Dio chiamava il mondo occidentale, che fu poi coinvolto nel massacro della sua gioventù e della gioventù dei paesi dell'Europa orientale, della Russia e di lontane colonie.

La quinta visione fu il 13 settembre, alla vigilia del Capodanno ortodosso. Sicuramente la Madre di Dio stava chiamando le potenze occidentali a un nuovo inizio, un nuovo anno di pace.

La sesta e finora ultima visione fu il 13 ottobre, alla vigilia della festa della santa Protezione della Madre di Dio. In questa visione, a Lucia fu detto che 'la guerra sta per finire e le truppe arriveranno presto a casa'. Fu davvero così, in quanto, a seguito delle elezioni svoltesi il giorno dopo, il 14 ottobre, la festa della santa Protezione, i 40.000 soldati portoghesi che per primi erano entrati in azione in Francia proprio il 13 Maggio 1917, data della prima visione, furono rimpatriati in anticipo in Portogallo, nel mese di aprile 1918.

5. L'essenza delle parole della Madre di Dio era ogni volta una chiamata alla preghiera e alla penitenza. Queste erano le stesse parole di cui l'Europa occidentale aveva bisogno in un momento in cui era impegnata in una guerra suicida, che a causa della tecnologia moderna era di gran lunga la più sanguinosa nella storia del genere umano. Il fatto che le visioni ebbero luogo in Portogallo, piuttosto che in un paese che aveva originato o che era direttamente coinvolto nella guerra, fu un segno di neutralità. In effetti, il governo socialista portoghese non sfruttò le visioni a scopo di propaganda, come i governi con popolazione cattolica, come Francia, Germania, Austria-Ungheria e Italia, avrebbero sicuramente fatto.

6. Gli eventi a Fatima, che scendevano sempre dal cielo da est a ovest, includevano sempre diversi fenomeni atmosferici inspiegabili testimoniati da molti. Tali fenomeni sono stati testimoniati da decine, poi da migliaia, e il 13 ottobre, da decine di migliaia di persone, tra cui atei e massoni. L'ultima visione, già preannunciata dalla Madre di Dio il 19 agosto e il 13 settembre, incluse la famosa 'danza del sole', testimoniata da circa 70.000 persone. È molto difficile rifiutare il fatto di questo evento, razionalizzandolo in modo facile come una 'allucinazione di massa', come gli atei (e due convertiti ortodossi) hanno cercato di fare in modo poco convincente. Ecco una differenza fondamentale con le altre visioni - a Fatima sono state accompagnate da fenomeni inspiegabili testimoniati da folle di persone.

7. Il messaggio della Madre di Dio era formulato in modo che bambini piccoli cattolici romani potevano capire, ma che non è necessariamente in contraddizione con la dottrina ortodossa. Ciò riguarda in particolare i dettagli della visione del 13 luglio.

Per esempio, la Madre di Dio non ha menzionato le anime del purgatorio il 13 luglio - quella versione del messaggio era basata su un chiaro errore di traduzione, che è stato successivamente corretto. Per quanto riguarda la menzione del purgatorio, nella parte della visione del 13 maggio, per quanto riguarda l'anima di una contadina chiamata Amelia, suggeriamo che questo è solo un riflesso del condizionamento cattolico romano di Lucia. La Madre di Dio può aver detto che la ragazza aveva bisogno di preghiere, ma questo sarebbe stato interpretato dalla bambina Lucia nel senso che la sua anima era in purgatorio.

Il 13 luglio, la Madre di Dio aveva predetto un castigo, 'per mezzo di guerre, carestie e persecuzioni contro la Chiesa e il Santo Padre'. Non vi è alcun motivo per cui questo dovrebbe essere preso come un riferimento a un papa di Roma; si riferisce sicuramente a San Tikhon di Mosca, il Santo Padre installato come patriarca, nel novembre 1917. Egli si addormentò nel Signore nel 1925 dopo la terribile guerra civile, probabilmente martirizzato per mezzo di veleno, dopo di che ci fu la carestia artificiale in Unione Sovietica e le terribili persecuzioni degli anni '30. Il cattolicesimo romano non era perseguitato a quel tempo - la guerra civile spagnola è venuta dopo. Piuttosto fu il cattolicesimo romano che dagli anni '20 operò persecuzioni religiose, in Irlanda e in particolare sul territorio occupato dalla Polonia, o successivamente nella Slovacchia nazista e nella Francia di Vichy.

Allo stesso modo, la profezia del 13 luglio, che una guerra peggiore sarebbe scoppiata sotto il pontificato di Pio XI (1922 - Febbraio 1939), dopo la comparsa di 'una luce sconosciuta' in cielo, sicuramente non può fare riferimento alla seconda guerra mondiale, che ha avuto inizio nel mese di settembre 1939 per la maggior parte dei paesi europei. Né deve necessariamente riferirsi all'aurora boreale del gennaio 1938. L'aurora boreale si verifica ogni undici anni ed è stato dopo l'apparizione nel 1927 che la guerra atea contro l'Ortodossia in Russia ha peggiorato notevolmente.

Nella visione del giugno 1917, la Madre di Dio si è riferita al 'mio cuore immacolato', che, visto 'circondato di spine', 'sarà il vostro rifugio'. Nella visione del luglio 1917, la Madre di Dio ha parlato di 'peccati contro il cuore immacolato di Maria', ha detto che 'per salvare i peccatori' Dio ha voluto 'stabilire la devozione al mio cuore immacolato', ha richiesto 'la consacrazione della Russia al mio cuore immacolato' e ha detto che 'alla fine' il suo cuore immacolato avrebbe' trionfato'.

Questi riferimenti al cuore, tipico del piuttosto sentimentale pietismo cattolico romano del 'sacro cuore', sono estranei alla didattica ortodossa. Alcuni ortodossi pertanto respingono per questo la visione. Tuttavia, la Madre di Dio parlava a bambini cattolici, ai quali tale lingua era familiare. Da un punto di vista ortodosso, tali frasi potrebbero significare qualcosa? C'è un'interpretazione ortodossa di tali riferimenti al suo cuore?

Dal momento che la Chiesa è il Corpo di Cristo, perché non possiamo prendere l'espressione cattolica romana 'del sacro cuore di Gesù' e tradurlo in terminologia ortodossa con il significato 'l'essenza della Chiesa ortodossa'? Allo stesso modo, dal momento che la Madre di Dio è la Madre della Chiesa, perché non possiamo prendere l'espressione di Fatima del 'del cuore immacolato di Maria' a significare 'gli insegnamenti essenziali della Chiesa', cioè la purezza della santa Ortodossia? Che altro potrebbe esserci nel cuore della Madre di Dio, se non la purezza della santa Ortodossia? Sicuramente, dopo tutto, la santa Ortodossia è il nostro 'rifugio', l'istituzione di devozione alla santa Ortodossia 'salverà i peccatori', la Russia deve essere 'consacrata' alla santa Ortodossia e 'alla fine' la  santa Ortodossia 'trionferà'? Non è questo che tutti noi crediamo?

Furono proprio i peccati contro la Chiesa ortodossa e la santa Ortodossia che erano stati causati da atteggiamenti occidentali anti-ortodossi nei loro confronti, più chiaramente durante la rivoluzione russa. Questo evento fu accolto con entusiasmo dal Papato. Questo avrebbe quindi cooperato con il bolscevismo ateo per tutti gli anni '20 sotto il 'missionario' cattolico romano D'Herbigny in un tentativo inutile e insidioso di convertire la Russia al cattolicesimo. E tutto questo durante la feroce persecuzione della Chiesa indigena, la cui sorte il Vaticano non fece nulla per alleviare.

Questi atteggiamenti anti-ortodossi sono stati presenti in Europa occidentale fin dal tempo della iconoclastia giudaizzante e dell' eresia anti-trinitaria dell'assassino di massa Carlo Magno (768-814 - chiamato 'Beato Carlo Magno' dal Vaticano). Questa è stata la stessa serie di atteggiamenti che dissentivano dalla Chiesa in Europa occidentale e poi la combatterono. Con un processo di de-spiritualizzazione, tali atteggiamenti si sono evoluti nel cattolicesimo romano nel secolo XI, nel protestantesimo nel XVI secolo e, infine, nel secolarismo moderno.

Quest'ultimo si basa sulle ideologie essenzialmente atee dell'Ottocento e del Novecento, di Marx, Darwin, Nietzsche, Freud ecc. Questi pensatori in realtà non hanno scritto dell'umanità, ma solo del proprio vuoto spirituale, ovvero, la loro perdita di fede e miscredenza nell'esistenza dell'anima umana, riducendo così gli esseri umani ad animali. In questo modo, le loro ideologie hanno disumanizzato gli esseri umani attraverso 'lotta di classe', 'sopravvivenza del più forte' ed 'eugenetica' in "animali intelligenti", "scimmie nude", di fatto, in pezzi di carne. A loro volta, hanno provocato il risultato di guerre mondiali (uomini surplus ridotti a carne da macello), dell'olocausto dell'aborto (bambini surplus ridotti a carne da inceneritore), e nel moderno consumismo globale (esseri umani surplus in tutto il mondo ridotti a carne da debito).

Il 13 luglio e in altre occasioni, la Madre di Dio si riferì al rosario, così come alla pace e alla fine della guerra per mezzo della preghiera. Il rosario è un residuo dei nodi o grani di preghiera ortodossi, ereditati nel cattolicesimo romano dall'Occidente ortodossa del primo millennio. Anche se i dettagli della pratica contemporanea cattolica del rosario sono in disaccordo con la pratica ortodossa, non c'è nulla di non ortodosso circa l'uso dei grani di preghiera in sé. La preghiera sincera riceve sempre risposta.

Il 13 luglio la Madre di Dio ha detto che gli errori della Russia si sarebbero diffusi in tutto il mondo, se il mondo occidentale non l'avesse ascoltata. Gli errori della Russia furono di adottare il materialismo occidentale (al momento di Fatima non nella sua forma comunista, ma nella sua forma capitalistica borghese). È infatti proprio questo materialismo, esportato in Russia nel 1917, che è stato diffuso a livello mondiale nel corso del XX secolo, non tanto nella sua inefficiente e fallita forma comunista, ma nella sua forma capitalistica altamente efficiente.

Il 13 luglio la Madre di Dio ha detto che 'il Santo Padre mi consacrerà la Russia e sarà convertita' e che poi seguirà 'un tempo di pace'. E questo non è esattamente quello che è successo nel 2000, quando il patriarca russo ha finalmente confermato la glorificazione dei nuovi martiri e confessori delle terre russe e da quel momento la conversione è stata affrettata?

Così, possiamo vedere dalle precedenti interpretazioni delle visioni di Fatima che in loro non c'è nulla in contraddizione con la dottrina ortodossa. In questa luce, queste visioni possono essere viste in uno spirito ortodosso. Le persone semplici dell'Europa occidentale non sono da biasimare per l'eresia del cattolicesimo romano. Un pesce marcisce dalla testa, non dalla coda. Un eretico è per definizione colui che si oppone coscientemente alla Chiesa. I bambini contadini portoghesi di cento anni fa, che non sapevano nulla dell'Ortodossia, non possono essere accusati di essere eretici. Solo chi rifiuta coscientemente l'Ortodossia e insegna l'eresia può essere accusato di eresia. Questo è chiaramente visibile nella prassi pastorale di oggi, dove i non ortodossi vengono in chiesa per la prima volta, scoprono l'Ortodossia, e dicono: 'Questo è quello che ho sempre creduto', non avendo mai accettato gli insegnamenti della loro denominazione formale.

Né vi è nulla nel 'terzo segreto di Fatima', rivelato a Lucia nel luglio del 1917 e che sarebbe stato reso pubblico dal Vaticano nel giugno del 2000, che contraddice l'Ortodossia (5). Anche se è possibile che non tutti i dettagli del terzo segreto siano stati rivelati, per mancanza di prove dobbiamo lasciare questa possibilità ai teorici della cospirazione. Tuttavia, è notevole che nella prima apparizione, il 13 maggio, la Madre di Dio ha detto che sarebbe apparsa sei volte e poi, 'dopo sei volte, tornerò qui una settima volta'. È possibile che la Madre di Dio appaia di nuovo a Fatima, per la settima volta, e che avrà luogo un'altra rivelazione riguardo alle presenti e future relazioni dell'Occidente con la Russia e l'Ortodossia russa?

Conclusione

Tra il 1992 e il 1997 sono stato parroco della prima parrocchia ortodossa russa in Portogallo, che abbiamo fondato nel febbraio 1992. L'abbiamo dedicata alla santa Protezione della Madre di Dio, la cui festa cade il 14 ottobre nel computo secolare, il giorno dopo l'ultima e sesta apparizione a Fatima, la danza del sole, esattamente 75 anni prima. A quel tempo mi è stato suggerito di celebrare una liturgia nella chiesa uniate al santuario cattolico a Fatima. Ho categoricamente rifiutato questa proposta, in quanto non volevo allora, e non voglio ora, a dare credito a quell'interpretazione posteriore, imposta dall'alto, degli avvenimenti di Fatima. Tuttavia, credo davvero che ci sia un'interpretazione ortodossa degli eventi di Fatima.

Credo che questi eventi possono ben riguardare una Russia che in questo momento è in corso di conversione. Questo processo è iniziato quando le preghiere dei nuovi martiri e confessori hanno cominciato a distruggere l'ateismo dopo la loro glorificazione da parte della Chiesa libera fuori della Russia a New York nel 1981. Questo è ancor più significativo, dal momento che, secondo lo storico Piotr Multatuli, pronipote di uno dei martiri, fu proprio da New York che fu inviato l'ordine di uccidere i martiri imperiali nel 1918. Questo 1981 glorificazione, che ha ribaltato la condanna del 1918, è stata finalmente confermata e sostenuta nella Chiesa liberata all'interno della Russia dal Patriarca Alessio II di Mosca nel 2000. Tocca ora al mondo occidentale sempre più ateo di ascoltare il messaggio urgente e di grande rilevanza che gli manda la Russia post-atea, vale a dire che l'ateismo non funziona, ma la devozione all'Ortodossia funziona davvero.

Arciprete Andrew Phillips

Colchester, Inghilterra

Note

1. Teologia Pastorale, parte II, P.41, Jordanville 1961

2. Vedere A. Merzljukin, Sul dogma cattolico del 1854 (in russo 1960, in francese 1961).

3. Naturalmente, se fosse emessa una dichiarazione sinodale ufficiale contro l'autenticità di Lourdes o Fatima, vi obbediremmo ritirando qualunque osservazione fatta qui e i punti di vista che possono contraddirla. I nostri pensieri sono solo timidi suggerimenti, che ci auguriamo possano stimolare il pensiero e la preghiera su questo tema. Non sono certamente dichiarazioni supponenti e dogmatiche. I suggerimenti ci sembrano veri, ma rimaniamo aperti a idee nuove e contraddittorie sull'argomento.

Tuttavia, non possiamo fare a meno di notare che i russi più anziani come il metropolita Evlogij (Georgievskij), la cui ortodossia era irreprensibile, credevano a Lourdes e Fatima (vedi A. Merzljukin, anche nel suo libro russo 'La stella che ha partorito il sole' (Parigi, 1967), e padre Konstantin Zajtsev, cit., pp. 38-42). Le uniche due fonti a noi note che negli ultimi decenni suggeriscono che la Madre di Dio non può apparire ai non ortodossi e che nega categoricamente sia Lourdes e Fatima, appartengono a convertiti dall'eterodossia. Attraverso l'estremo di un eccesso di zelo, zelo senza conoscenza, e desiderio di essere 'più ortodossi che gli ortodossi', sono ora parte di gruppi che sono fuori della Chiesa ortodossa. Così, vediamo come un estremo, la 'super-ortodossia', porta all'estremo opposto, a essere al di fuori della Chiesa.

4. A metà degli anni '80 abbiamo inviato la fonte del samizdat in questione al vescovo (ora metropolita) Hilarion (Kapral). Padre Lev era allora un sacerdote della Chiesa patriarcale. Come molti sacerdoti patriarcali all'interno della Russia era anche coinvolto con i cristiani delle catacombe, come mi sono reso conto al nostro incontro nel 1976. È un mito moderno che le due parti della Chiesa in Russia nel periodo sovietico, la stragrande parte patriarcale e la minuta parte catacombale, fossero completamente separate.

5. Vedere Orthodox England Vol 4 No 2 (dicembre 2000).

 
Schiarchimandrita Gabriel (Bunge): sulla preghiera, la lettura delle Scritture, gli studi di teologia presso le università e le impressioni della Pasqua in URSS nel 1968.

La seguente conversazione con con lo schema-archimandrita Gabriel (Bunge), il noto studioso patristica dall'eremo della Santa Croce in Svizzera, si è tenuta durante la sua visita a Mosca ai primi di novembre 2012.

 

- Padre Gabriele, che cos'è per lei la cosa più preziosa nella comunicazione con un'altra persona?

Questo dipende dalla profondità della comunicazione. Per parlare in termini generali, è meraviglioso quando le persone sono in grado di trovare un linguaggio comune tra loro. Se vogliamo parlare di altri aspetti della comunicazione, allora la cosa più importante è quando si può trovare l'immagine di Dio in un'altra persona. Noi siamo stati tutti creati a immagine di Dio; in senso assoluto, questa immagine è Cristo. Se riusciamo a trovare quest'immagine in un'altra persona, allora questa diventa la cosa più preziosa che ci può essere nella comunicazione; questa è anche la base della vera amicizia. Quindi, non solo una sorta di naturale simpatia umana, ma il riconoscimento di un altro in quanto immagine di Dio.

- Quanto spesso, e quanto regolarmente, legge le Sacre Scritture?

- Ho cominciato a leggere le Sacre Scritture molto presto, molto prima di entrare in monastero. In seguito, quindi, mi è sembrato del tutto naturale che nel monastero si leggano le Scritture ogni giorno sia durante i servizi divini che nelle nostre celle. Sono un monaco da cinquant'anni. Ora, dopo aver semplicemente memorizzato molti testi, spesso li contemplo. Questo permette l'apertura di un significato più profondo di quello che può essere ottenuto nel corso di una semplice lettura. Puoi leggere un testo 100 o 1000 volte e poi puoi leggerlo una volta e improvvisamente vedere che non lo hai mai veramente letto una sola volta, perché ti si è dischiusa una nuova profondità che non aveva mai avuto prima. Il testo delle Sacre Scritture è come un pozzo insondabile.

- Si dice che è necessario leggere le Sacre Scritture con una disposizione particolare. È un buon consiglio?

- Naturalmente! Alcuni Padri della Chiesa dicono che si può leggere il Vangelo solo in ginocchio. Questo libro non deve essere letto come un testo ordinario. Cioè, se si legge la Bibbia come un libro normale, allora la rivelazione non sarà percepita correttamente.

- Che cos'è, in modo specifico, questa disposizione particolare? Come la si può spiegare a qualcuno che ha appena cominciato a leggere la Bibbia?

Questa disposizione è il forte desiderio di ascoltare la parola di Dio, e non semplicemente la curiosità o il desiderio di acquisire conoscenze. Naturalmente, lo studio formale dei testi biblici - lo studio filologico, per esempio, o di altri tipi - ha la sua ragione. Ma a un certo punto si ha la necessità di mettere tutto ciò da parte e ricevere la parola di Dio così com'è. La Bibbia spiega se stessa. Come si suol dire, la luce non ha bisogno di luce per essere quello che è.

Nella nostra tradizione ecclesiastica, le persone che si sono occupate di teologia erano quelle che avevano un'esperienza personale della comunione con Dio e della preghiera. Ma come si può essere uno studente in una facoltà teologica oggi, sia in un'unicersità ecclesiastica che secolare? Dopo tutto, il sistema educativo e il calendario accademico non contemplano in alcun modo un istruttore spirituale, per esempio, che potrebbe trasmettere questa esperienza o condurre ad essa.

Chi studa teologia senza la vita spirituale non capirà nulla. In Occidente ci sono professori di teologia che sono non credenti; ci sono anche sacerdoti che non credono in Dio, che vedono il loro ministero come lavoro, come un modo per guadagnare soldi. Questo potrebbe sembrare improbabile, ma ho le prove che è davvero così. Gloria a Dio, non ho mai incontrato tali persone, ma i miei amici hanno avuto l'esperienza di avere a che fare con loro. Alcuni vescovi che conosco dicono che hanno sacerdoti che hanno perso la loro fede e servono solo perché hanno bisogno di guadagnarsi da vivere e sostenere le loro famiglie. Questa è la fine.

Perché questo non accada, si deve imparare dai Santi Padri. Erano di livello di istruzione molto elevato, in termini laici: erano retori e filosofi che conoscevano la letteratura e le lingue. Ma questa conoscenza non era che uno strumento per loro. Gli stessi Padri conducevano una vita spirituale molto profonda.

La presenza della conoscenza non significa affatto che si comprenda rettamente la Scrittura; la questione è come fare uso di questa conoscenza. Sappiamo che la teologia ariana era interamente basata sulla Bibbia. Quando tentava Cristo, Satana citava le Sacre Scritture - cioè, conosceva questi testi, citandoli non per penetrare il loro significato, ma per sconvolgerli e pervertirli. Il modo migliore per abusare delle Sacre Scritture è citare solo versi a metà, e non versi completi.

- Si può imparare a pregare? Da una parte, si dice che c'è bisogno di imparare, e, dall'altro, che la preghiera è un dono di Dio e, di conseguenza, che non si può acquisirla con la propria volontà.

Nel suo trattato sulla preghiera, Evagrio Pontico dice che Dio concede la preghiera a coloro che la chiedono. Se qualcuno non chiede, non riceverà. Il miglior maestro di preghiera è la preghiera stessa.

- Lei è stato un monaco per cinquant'anni e un eremita per 32 anni. Ora è venuto in Russia, a Mosca. Quali sono le sue impressioni da ciò che ha visto?

- La prima cosa che vedo è un cambiamento incredibile nella società.

Sono stato a conoscenza della Chiesa della Gioia di tutti gli afflitti sulla Bolshaja Ordynka fin dal 1968. La chiesa era allora in condizioni terribili; sembrava un barattolo di latta. Ho trascorso qui la Pasqua quell'anno, quando ero un giovane monaco. Era impossibile entrare in chiesa, perché le donne si accalcavano e davano spintoni, tanto che ho dovuto uscire. Durante la processione dieci o quindici ubriachi si erano avvicinati e avevano iniziato a maltrattare e ridicolizzare i fedeli, tanto che la processione doveva correre attorno alla chiesa.

Negli ultimi anni sono venuto a Mosca più spesso, in questa chiesa, e vedo che la chiesa ristrutturata e restaurata. Nei giorni feriali - per esempio, sono stato qui al martedì - la chiesa è piena di fedeli. E la notte di Pasqua, anche il traffico si ferma per di consentire alla processione di passare.

Per me, le chiese e i monasteri restaurati sono i simboli della rinascita della Russia. Per il momento, si tratta di singoli punti sulla mappa, ma questi esempi dimostrano che il popolo russo è in grado di fare grandi cose quando vi si impegna. Ci sono molti monasteri in Russia; crediamo, speriamo, e confidiamo  che il sangue dei martiri sia il seme del futuro della Chiesa russa.

Credo che questi punti sulla mappa, in senso figurato, si estenderanno. Di conseguenza, la società sarà in grado di recuperare la salute. E questo ripristino è necessario, perché in Russia non c'è stata solo la distruzione di chiese, ma, cosa più importante, c'è stata la distruzione morale. Non sarei sorpreso di apprendere che quei teppisti degli anni sessanta ora frequentano questa chiesa.

Intervista condotta da Olga Bogdanova con l'assistenza di Vasilij Tereshchenko

 

 

 
Il peccato e l'eresia del separatismo razziale

icona di san Mosè l'Etiope, da una chiesa di monastero in Macedonia

Ci sono diversi gradi di pregiudizio razziale ed etnico. Per molti, è una cosa molto inconsapevole, ma che si manifesta con il desiderio di stare vicino a quelli del tuo stesso tipo e di escludere gli altri... almeno in certi contesti. Ci sono tuttavia alcuni nella Chiesa ortodossa che sono apertamente razzisti e antisemiti e che hanno ragioni ideologiche per le proprie opinioni. Tali persone sono fortunatamente una piccola minoranza, ma anche se non dovremmo esagerare la loro importanza, spingendo il problema al di fuori di ogni proporzione, non dobbiamo sottovalutarli. Come per ogni peccato, dobbiamo dire chiaramente ciò che dice la Chiesa. Inoltre, dobbiamo combattere anche le forme inconsce di razzismo e di etnocentrismo, perché queste cose sono barriere che impediscono alla gente di entrare nella Chiesa ortodossa.

Anche i più imperturbabili razzisti che affermano in generale di essere cristiani hanno abbastanza senso da sapere che non possono ammettere di odiare qualcuno e ancora fare una simile affermazione a viso aperto, perché la Bibbia è molto chiara sul tema (ad esempio, Levitico 19:17 ; Luca 6: 27-28; 1 ​​Giovanni 2: 9-11). Tuttavia, spesso sostengono che anche se non odiano le altre razze, il loro amore per la propria razza è quello che li motiva e che vogliono ciò che è meglio per loro – e vedono una qualche forma di separatismo razziale come parte necessaria per il loro amore." Ma una tale visione è coerente con le Scritture e con gli insegnamenti della Chiesa?

La Bibbia chiarisce che tutti gli uomini hanno un'origine comune in Adamo ed Eva, e quindi siamo tutti parte della stessa famiglia umana. Gli israeliti hanno certamente mantenuto una certa separazione dai gentili, ma non per ragioni razziali, bensì per la loro fede nell'unico vero Dio, che i loro vicini in genere non condividevano – e anche per la depravazione dei pagani da un lato, e dall'altro per la debolezza degli Israeliti nel resistere alle cadute nei loro peccati. I separatisti razziali fanno notare che Esdra vieta agli israeliti di avere mogli straniere (Esdra10), ma il problema era che queste donne erano pagane. Tuttavia, i gentili potevano diventare parte di Israele, se abbracciavano la fede, e questo accadeva spesso. C'è il caso in cui il profeta Mosè sposò, per esempio, una donna etiopica. La nonna di re Davide, Rut, era una gentile che aveva abbracciato la fede di Israele e un intero libro della Bibbia è dedicato a raccontare la sua storia, che la mostra come una donna virtuosa, la cui conversione era completamente sincera. E non fu solo un'antenata di Davide, ma anche di Cristo stesso. Quella stessa genealogia (sia di Davide che di Cristo) include anche Raab la prostituta, che era una cananea.

L'idea moderna della razza non si trova nemmeno nella Bibbia. In alcuni casi vi si trovano riferimenti a caratteristiche razziali, e c'è certamente una consapevolezza che la razza umana è divisa in nazioni che parlano lingue diverse, ma questo è un risultato del peccato. Alla torre di Babele, Dio ha confuso le lingue degli uomini e li ha divisi, per limitare la diffusione del peccato (Genesi 11). Ma queste divisioni sono annullate in Cristo, come ci insegna il Contacio della festa della Pentecoste:

"Quando discese a confondere le lingue, l'Altissimo divise le genti; quando distribuì le lingue di fuoco, convocò tutti all'unità. E noi glorifichiamo ad una sola voce lo Spirito tutto santo".

In Cristo non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù (Galati 3:28).

Se la Chiesa primitiva avesse funzionato sulla base del fatto che il separatismo razziale fosse accettabile, gli ebrei non si sarebbero mai mescolati con i gentili e probabilmente non ci sarebbe una Chiesa dei gentili di cui parlare. Tuttavia, il racconto della Scrittura e della storia mostra che non era questo a essere incoraggiato o addirittura permesso dagli apostoli. Sorsero sicuramente numerosi problemi a questo proposito, perché gli ebrei avevano una lunga tradizione di mantenere le loro distanze dai gentili, ma san Paolo continuava ad ammonire continuamente i credenti ebrei e gentili di mettere da parte le loro differenze e di avere comunione reciproca. Entro un paio di generazioni cessò ogni distinzione tra i cristiani provenienti da questi diversi ambiti.

Uno dei grandi padri del deserto nella Chiesa è san Mosè l'Etiope. Fu chiamato "l'Etiope" per la stessa ragione per cui san Giovanni il Russo fu chiamato "il Russo" e san Massimo il Greco fu chiamato "il Greco" – era un estraneo per la gente tra cui viveva, e san Mosè era notevolmente diverso da quelli intorno a lui perché era nero. Ma non solo gli fu permesso di vivere tra gli altri monaci che non erano neri: alla fine fu fatto prete e fu uno dei padri spirituali più rispettati del suo tempo. Le storie su di lui, insieme ai suoi detti, sono conservate nel testo "Le parole dei padri del deserto", uno dei più importanti classici spirituali della Chiesa ortodossa.

Non c'è nulla nella tradizione della Chiesa che sostenga una visione razzista o separatista. Ci sono, per esempio, canoni che vietano a un cristiano ortodosso di sposare un pagano o un ebreo non cristiano, ma nessuno che consideri in alcun modo la questione della razza. Un matrimonio misto nella Chiesa ortodossa è quando a un cristiano non ortodosso è consentito di sposare un cristiano ortodosso.

Nel 1872, un sinodo a Costantinopoli condannava specificamente come eresia il "filetismo", che era l'idea che la Chiesa dovrebbe essere divisa per linee etniche:

"Denunciamo, censuriamo e condanniamo il filetismo, vale a dire, la discriminazione razziale e le dispute, rivalità, e dissensi su basi nazionali nella Chiesa di Cristo, come antitetico agli insegnamenti del Vangelo e ai sacri Canoni dei nostri beati Padri, che sostennero la santa Chiesa e, ordinando l'intera ecumene cristiana, guidandola alla pietà divina" (Τὰ Δογματικὰ καὶ Συμβολικὰ Μνημεῖα τῆς Ὀρθοδόξου Καθολικῆς Ἐκκλησίας, Vol. II, pp. 1014-1015, citato in The Œcumenical Synods of the Orthodox Church, A Concise History, di p. James Thornton, (Etna, CA: Center for Traditionalist Orthodox Studies, 2012), p 152).

La posizione della Chiesa ortodossa russa su questo argomento è chiaramente indicata nel documento "I fondamenti della concezione sociale della Chiesa ortodossa russa":

Il popolo di Israele dell'Antico Testamento è stato il prototipo del popolo di Dio, della Chiesa di Cristo nel Nuovo Testamento. L'opera redentrice di Gesù Cristo ha dato inizio all'esistenza della Chiesa come umanità nuova, discendenza spirituale del patriarca Abramo. Con il suo sangue, Cristo ha riscattato per Dio "uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione" (Ap 5,9). La Chiesa per sua stessa natura ha un carattere universale e, di conseguenza, sovranazionale. Nella Chiesa "non c'è distinzione fra Giudeo e Greco" (Rm 10,12). Come Dio non è il Dio solo dei giudei, ma anche di coloro che provengono dai popoli pagani (Rm 3,29), così anche la Chiesa non opera divisioni di nazionalità o di classe sociale fra gli uomini : in essa "non c'è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti" (Col 3,11).

(...) Essendo per sua natura universale, la Chiesa nello stesso tempo è un organismo unitario, un corpo (1Cor 12,12). Essa è la comunità dei figli di Dio, "la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato... un tempo non-popolo, ora invece il popolo di Dio" (1Pt 2,9-10). L'unità di questo nuovo popolo è data non dall'unità nazionale, culturale o linguistica, ma dalla fede in Cristo e nel Battesimo. Il nuovo popolo di Dio "non ha quaggiù una città stabile, ma cerca quella futura" (Eb 13,14). La patria spirituale di tutti i cristiani non è la Gerusalemme terrena, ma quella "di lassù" (Gal 4,26). Il vangelo di Cristo viene predicato non in una lingua sacra, comprensibile a un solo popolo, ma in tutte le lingue (At 2,3-11). Il vangelo viene proclamato perché non il solo popolo eletto custodisca la vera fede, ma perché "nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre" (Fil 2,10-11).

Noi abbiamo chiese nazionali? Sì... e no. Abbiamo chiese locali. I confini di queste Chiese locali spesso corrispondevano a confini nazionali, ma non necessariamente. Nell'Impero Romano, c'erano diverse Chiese locali all'interno di una nazione e molte di queste chiese locali si estendevano oltre i confini dell'Impero Romano. Ma mentre una Chiesa locale può avere un carattere etnico predominante, non esclude quelli che non fanno parte dell'etnia della maggioranza. In Russia, per esempio, c'è un gran numero di gruppi etnici tutti ortodossi e tutti benvenuti alla comunione e alla vita comune in ogni parrocchia.

Oltre al fatto che il separatismo razziale è contrario sia alla Scrittura che alla Tradizione, ha anche un problema molto pratico, cioè l'effetto di escludere la gente dalla Chiesa. La nostra grande responsabilità di cristiani è quella di compiere il grande mandato di Cristo:

"Andate, ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e del santo Spirito, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato; ed ecco, io sono con voi, in ogni tempo, fino alla fine del mondo. Amen "(Matteo 28: 19-20).

La parola qui tradotta con "nazioni", in greco, è una forma plurale della parola "ethnos", da cui abbiamo le parole "etnico" ed "etnicità". Come possiamo fare discepoli di ogni gruppo etnico e insegnare loro a osservare tutte le cose che Cristo ci ha comandato se ci separiamo da loro a causa della loro etnia? Non è possibile. E poiché non è possibile, non è neppure cristiano.

 
Che cosa NON bisogna dire in confessione

CHE COSA NON BISOGNA DIRE IN CONFESSIONE

Ora, devo ammettere che non vi posso dire che cosa dovreste dire in confessione. Preparatevi, e quello che avete da dire vi sarà chiaro. Tuttavia, posso dirvi quello che non dovreste dire se volete fare una buona confessione.

1) Non ho peccati

Per un prete è molto frustrante sentire queste parole. Come potrà assolvere in nome di Cristo, il peccato di colui che non ne ha? Come farà a dare a quella persona il Corpo e il Sangue di Cristo "per la remissione dei peccati"? Ma questo è ancora più grave di quello che sembra; nel Nuovo Testamento, è scritto: "Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi... Se diciamo che non abbiamo peccato, facciamo [di Dio] un ​​bugiardo e la sua parola non è in noi." (I Giovanni 1:8,10)

Se questo è tutto ciò che riusciamo dire in confessione, devono essere poste delle domande più difficili. A che punto prendiamo sul serio la chiamata di Cristo alla conversione? A che punto prendiamo sul serio il sacramento della confessione? A che punto ci prepariamo seriamente? Sarebbe preferibile dire al nostro sacerdote: "Io non so quali sono i miei peccati. Padre, mi può aiutare?"

2) Sono un peccatore

Non voglio affatto dire che non si deve dire una cosa come questa, ma non dobbiamo fermarci qui. La confessione non deve diventare una formalità rituale che facciamo per adempiere a un obbligo religioso. Essa deve essere reale e personale. Quando ci avviciniamo alla confessione, dovremmo essere capaci di riecheggiare le parole di Davide: "Il mio sacrificio a Dio è uno spirito spezzato: un cuore affranto e umiliato, tu non lo disprezzerai (Salmo 50).

3) Ho un problema

Troppo spesso, facciamo della confessione una seduta di consultazione in cui parliamo con i nostri sacerdoti dei nostri problemi e speriamo di avere consigli, aiuto e incoraggiamento. Possiamo e dobbiamo discutere i nostri problemi con il nostro sacerdote, ma il posto per farlo è durante un incontro speciale dedicato a questi "problemi". La confessione si occupa dei peccati. C'è del vero nel concetto che la radice di tutti i problemi è il peccato: il nostro e/o quello degli altri. Il nostro stato di peccato è la radice dei nostri problemi. Questo è ciò che dobbiamo far venire a galla durante la nostra preparazione per portarlo alla confessione.

4) Scuse

Scuse come "Certo che bevo, padre, ma se conoscesse mia moglie..." non hanno posto nella confessione. Veniamo alla confessione per essere perdonati, e non per essere scusati. C.S. Lewis spiega la differenza:

"Il perdono dice: "Sì, hai fatto questa cosa, ma io accetto la tua difesa, non te ne farò più una colpa e tutto tra di noi sarà esattamente come prima". La scusa, invece, dice: "Posso vedere che non ti potevi trattenere o che non volevi farlo; non hai niente da biasimare". Se nessuno è da biasimare, allora non c'è nulla da perdonare... Dio conosce tutte le scuse meglio di noi. Se ci sono circostanze attenuanti genuine, non c'è da aver paura che egli le ignorerà. Scuserà tutto ciò che deve essere scusato. Tutto ciò che dobbiamo fare è portargli quella parte imperdonabile: il peccato "(C.S. Lewis, Sul perdono, ne Il peso della gloria).

5) I peccati degli altri

Scuse come: "Mio marito beve troppo", non sono neppure da presentare. Dobbiamo confessare i nostri peccati, non quelli dei nostri vicini, dei nostri amici o dei nostri genitori. Possiamo aver bisogno di confessare la nostra reazione peccaminosa rispetto ai fallimenti del nostro prossimo. Siamo diventati farisaici? Giudici ? Inclini alla vendetta? È solo dopo che ci siamo pentiati di tali peccati che possiamo iniziare a cercare una soluzione cristiana ai problemi che ci hanno causato i peccati dei nostri fratelli. Noi siamo liberi di discuterne con il nostro sacerdote, fuori dalla confessione, in un altro momento.

6) Io cerco di essere buono

I sacerdoti trovano anche queste parole frustranti. questo vale come dire: "Non ho ucciso nessuno" La risposta ovvia per una dichiarazione come questa è: "Riesci a essere buono?" È importante ricordarsi che tutti sono "buoni", perché fatti a immagine e somiglianza di Dio. Ma anche le persone che sono buone, per esempio, fanno, pensano e sentono anche cose peccaminose. Il sacerdote sa anche che se venite alla confessione, è perché cercate di essere buoni. La questione è piuttosto di sapere ciò in cui non riuscite nel tentativo di esserlo.

Finiamo su una nota positiva. C'è una cosa che si può dire, cioè gli stessi peccati confessati l'ultima volta. Non abbiate paura di ripetere confessione dopo confessione. E non diventate cinici, solo perché ti sembra sempre di avere gli stessi vecchi peccati da confessare! Perché?

Per prima cosa i Padri insegnano che ci sono certi peccati e passioni con la quale dobbiamo combattere la maggior parte della nostra esistenza, se non per tutta la vita. E allora possiamo essere incoraggiati dal fatto che ci assicuriamo almeno essere consapevoli dei nostri difetti. Confessare la prima volta che bramiamo le proprietà del nostro vicino, e la seconda volta che le abbiamo rubate, non indica un progresso spirituale, ma il comportamento opposto potrebbe essere un segno di crescita spirituale.

 
Cercatore della Verità: In memoria dello ieromonaco Seraphim (Rose)

"La chiamata di Cristo sta ancora arrivando a noi; cominciamo ad ascoltarla". Queste parole di padre Seraphim (Rose) - asceta, teologo e predicatore - sono rilevanti oggi più che mai. I suoi libri hanno aiutato molti a sentire questa chiamata. Scritto negli anni '70 e '80 per i suoi contemporanei persi nei deserti intellettuali, le sue opere sono oggi ancora più rilevanti, perché gli "intellettuali" di oggi vagano persi in deserti ancora più pericolosi di morbosità spirituale.

Padre Seraphim allo skit di sant'Elia, Noble Ridge, nei pressi del monastero di sant'Herman d'Alaska a Platina, California. Sullo sfondo è il monte s. Herman.

Padre Seraphim si è addormentato nel Signore il 2 settembre, 1982 - 30 anni fa. In onore di questa giornata, Pravoslavie.ru ha chiesto a diversi pastori della Chiesa ortodossa russa di parlare di ciò che padre Seraphim significa per loro.

Arciprete Vladimir Vigiljanskij

I libri di padre Seraphim (Rose) hanno svolto un ruolo molto importante durante il periodo della mia vita in cui stavo entrando nella Chiesa. Quando ho letto in samizdat durante i primi anni '80 L'Ortodossia e la religione del futuro e Segni della fine dei tempi, sono rimasto sbalordito dalla sua capacità di collegare e mettere in un contesto cristiano i fenomeni sparsi e multi-sfaccettati dei tempi moderni. Mi ha insegnato che la storia del genere umano, anzi la vita stessa di ogni persona, è piena di significato. Padre Seraphim è rimasto un esempio unico di un missionario nel quale si sono combinati una mente potente, l'ascetismo, e la capacità di parlare con fede fervente ai suoi lettori nella loro lingua. Il suo percorso verso l'Ortodossia è stato spinoso, ma attraverso la sua esperienza personale e la scelta sia di mente che di cuore, ha portato e continuerà a portare alla Chiesa un gran numero di persone.

Arciprete Andrei Tkachev

Il nome di quest'uomo e le informazioni su di lui sono entrati nella mia vita durante il tempo in cui la canzone, "Good-bye America" era un successo recente. Segretamente cresciuto con un amore per un paese di "frutti proibiti" e la sua cultura, molti di noi realmente vedevano l'America come un paese "dove non vivrete mai" e dove "potete trovare di tutto", ma non troverete l'Ortodossia, e probabilmente non la troverete mai. Nel nostro paese in quel periodo, intere generazioni stavano riscoprendo la fede ortodossa come una sorta di "Atlantide", e siamo rimasti molto sorpresi di apprendere che una scoperta simile era in corso in altri paesi da persone di altre culture, anche negli Stati Uniti.

Padre Seraphim mi è molto vicino come persona che ha cercato la verità senza compromessi. Era pronto a intraprendere qualsiasi sforzo fisico o intellettuale, solo per raggiungere tale obiettivo. Si tratta sempre di una qualità rara. Ma in questi tempi di ristagno spirituale, quando anche le anime più forti assomigliano spesso a un cavolo bollito due volte, è una qualità particolarmente rara. "Se i cinesi possiedono la verità, io imparerò la loro lingua e leggerò i loro libri", disse Eugene Rose. "Se gli hindu hanno la verità, voglio imparare il sanscrito e bere dalle loro fonti". Questo è quello che ha fatto, passando per l'esperienza di popoli e nazioni attraverso se stesso, studiando tutto ciò che di più importante questi popoli hanno dato all'umanità.

Tale comportamento è, lo ripeto, raro ai nostri giorni. Non tutti hanno una sete di verità, e ne conseguirebbe che non tutti cercano la fonte della vita. La gente pensa che dato che sono nati, per esempio, in Russia, allora saranno cristiani nominali per tutta la vita per diritto di nascita, proprio come se fossero nati in una panetteria e quindi fossero felici essere una pagnotta per tutta la vita. Fedi diverse si sono intrecciate con l'etnicità e si sono trasformate in una sorta di appendice nazionale e culturale. Tali manifestazioni sono altrettanto pericolose per la fede cristiana quanto lo scetticismo erosivo. La vera ricerca della verità è preceduta da un'angoscia esistenziale, la sensazione di essere strappati via dalle fonti dell'esistenza. E più una persona sembra esternamente di successo, più forte è questo sentimento.

Se Eugene avesse avuto fame, tutta la sua energia sarebbe andata nella ricerca di cibo per sé e per la sua famiglia. Se fosse stato privato della possibilità di studiare, di riposare, divertirsi e godersi la vita, tutta la passione della sua anima sarebbe andata nel pathos sociale, nella lotta per la giustizia, l'uguaglianza, ecc. Ma non aveva fame, era fortunato, giovane, bello, e non escluso dai comfort della vita. Così, invece di bruciare la sua vita passando da un piacere all'altro ha iniziato a cercare il Dio vivente. Trovavo tutto questo molto sorprendente un po' di tempo fa, e ancora mi stupisce ogni volta che ci penso.

Padre Seraphim Rose tiene una lezione alla New Valaam Academy, Platina, 1980.

Eugene accettò l’Ortodossia in una chiesa senza pretese ed ebbe la sensazione di tornare a casa. Anche questo è un momento molto importante concesso a molte persone. L'ingresso nella terra promessa dovrebbe essere evidenziato dal contrasto con il deserto senza vita che uno si lascia alle spalle. L’abbraccio del Padre è particolarmente caldo dopo la vita del figliol prodigo tra i porci, lontano da casa. È necessario il contrasto, che dice al cuore: "eccomi finalmente a casa". Questo contrasto è necessario non solo per coloro che sono nati e cresciuti in un paese non ortodosso. E necessario per tutti coloro che cercano Dio e lo trovano dopo un lungo sforzo, anche se egli non è lontano da nessuno di noi (Atti 17:27).

"Le porte della chiesa si sono letteralmente chiuse dietro la mia schiena", ricorda padre Seraphim. Per coloro che cercano solo Dio e la sua grazia, accadono simili cose senza la partecipazione di alcun forte mediatore, cioè, senza prediche potenti, grande architettura, o musica che smuove l’anima. D’intorno tutto potrebbe essere molto umile e quotidiano, ma il cercatore sperimenta un incontro memorabile con Colui che parimenti sta cercando il cercatore. Questo è il momento della conversione.

L’Ortodossia dovrebbe diventare una religione mondiale che contrasta le limitazioni etniche a cui siamo abituati. L’Ortodossia è per sua natura sovra-nazionale e universale. È opportuno che diventi tale. Se solo ci entriamo dentro, e non blocchiamo questi americani, brasiliani, thailandesi, congolesi, ecc. che vogliono entrare in comunione con Dio, questi entreranno nella Chiesa, ogni giorni. Porteranno le loro caratteristiche storiche e mentali, ci faranno dare un altro sguardo a ciò a cui siamo abituati, dal punto di vista dell'eternità. I primi tra questi saranno persone come padre Seraphim Rose - cioè quelli intellettualmente dotati e insaziabili nel loro desiderio di conoscere Dio, gli energici e intransigenti, che vogliono adorare il Padre in spirito e verità. Il Padre cerca tali adoratori (Gv 4:23). E non c'è nazione che sia assolutamente incapace di portare questo frutto.

Così, attraverso il nome di padre Seraphim Rose abbiamo appreso che la nazione americana non consiste solo di persone che masticano gomme e guardano insensibilmente la televisione (per noi era più facile pensare in questo modo), ma anche di coloro che cercano la verità e non si daranno pace fino a quando non l’avranno trovata. Questo solo ci obbliga a ricordare padre Seraphim nelle nostre preghiere.

Ieromonaco Simeon (Tomachinskij)

Nei primi anni '90 padre Seraphim Rose ha giocato un ruolo importante nella mia formazione cristiana. Abbiamo letto i suoi libri L'anima dopo la morte, L'Ortodossia e la religione del futuro, La rivelazione di Dio al cuore dell'uomo e gli altri, ma siamo rimasti particolarmente impressionati dalla sua biografia Non di questo mondo, scritta dallo ieromonaco Damascene. (Diversi anni fa, un'edizione molto ri-editata di questo libro è stata pubblicata da noi al monastero Sretenskij.) Un americano di nascita, intellettuale e ribelle, un tuffatore spirituale, prima di tutto tra le profondità delle pratiche orientali, un personaggio carismatico, ci ricorda molto Steven Jobs. Ma Eugene Rose ha cercato la verità e non l'esotico, non aveva alcun interesse per la gloria e il successo, non era veramente di questo mondo. E la sua conversione all'Ortodossia, soprattutto l'Ortodossia russa, fece una forte impressione su di noi giovani russi che solo di recente stavamo scoprendo la fede dei nostri padri.

Nel 1993 ho avuto la fortuna di conoscere gli ortodossi americani che hanno continuato l'opera di padre Seraphim. Ho anche lavorato con loro alla Valaam Society of America. Al tempo si trovavano sulla Pogodinskaja, sotto l’ospitale protezione del metropolita Pitirim, e io ero spesso da loro. Lì potevi trovare i libri di padre Seraphim in lingua originale, vedere come erano in corso di pubblicazione le versioni russe, ed entrare in contatto con la missione che quei monaci americani avevano iniziato in foreste selvagge con macchine da stampa antidiluviane.

Lo ieromonaco Seraphim (Rose)

In quei giorni ho avuto modo di rivedere la traduzione del libro di padre Seraphim sul beato Agostino - in russo si chiama Un assaggio di vera Ortodossia. (Questo è stato probabilmente una delle mie prime esperienze editoriali.) Mi ha fatto un piacere indescrivibile leggere l’ispirata difesa che padre Seraphim fa del beato Agostino, uno dei miei autori preferiti, dagli attacchi di persone ortodosse prese da "zelo non secondo la conoscenza". Considero ancora questo piccolo opuscolo molto importante per una corretta comprensione delle opere patristiche nel suo complesso, e della patristica latina in particolare.

E, naturalmente, la fanzine pubblicata in seguito dalla sua fratellanza, chiamata Death to the World (Morte al mondo) ha lasciato su di me un'impressione enorme. L'idea era che il cristianesimo, e soprattutto il monachesimo, soddisfa il desiderio dei "giovani arrabbiati" verso l'anticonformismo, la ribellione contro la falsità e l'ipocrisia. Questa è l'esperienza che ha ispirato me e Vladimir Legojda quando abbiamo discusso la futura pubblicazione di un periodico ortodosso per i giovani. Da queste discussioni sono state in seguito nacquero i periodici, Foma e Il giorno di Tatiana. [Foma significa "Tommaso", il periodico ha il sottotitolo, "Una rivista per quelli che dubitano". Il giorno di Tatiana prende il nome dalla martire Tatiana, a cui è dedicata anche una chiesa nell’Università statale di Mosca.]

In una parola, Padre Seraphim Rose significa molto per me, e lo ricordo sempre nei servizi divini e chiedo le sue preghiere.

* * *

Vorremmo includere qui alcuni dei commenti dei lettori di questo articolo, che dimostrano ulteriormente cosa pensano i cristiani ortodossi russi di padre Seraphim Rose.

"L'esempio della vita di Padre Seraphim e delle sue fatiche ascetiche mi hanno aiutato e continuano ad aiutarmi nei momenti più difficili della mia vita, e il suo libro, L'anima dopo la morte, ci rafforza quando vediamo i nostri cari partire per la vita eterna. Io credo che il Signore abbia preso padre Seraphim nelle sue dimore celesti. Padre Seraphim, intercedi presso Dio per noi!" - Galina

"I sorprendenti libri di padre Seraphim Rose mi hanno aperto la bellezza dell’Ortodossia, e sono ancora i miei libri preferiti. Chino il capo davanti ai suoi fatiche ascetiche, al suo percorso, e al suo zelo". - Natalia

"Padre Seraphim, intercedi presso Dio per noi... I suoi sono stati alcuni dei miei primi libri, e hanno formato in me una duratura immunità a ogni tipo di spazzatura orientale". - Vasilij

"Padre Seraphim ci ha mostrato come il cuore si apre a Dio. Che altro ci serve nella vita? Grazie!" - Aleksandr

 
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Intervista a Vladyka Mark (Golovkov) sulla pastorale dei giovani

Olga Kir’janova di Pravoslavie.ru ha intervistato nel febbraio del 2009 il vescovo (oggi arcivescovo) Mark di Egor’evsk a proposito del tema delicato e importante del lavoro della Chiesa con i giovani. L’intervista è interessante per i temi trattati (la missione, l’insegnamento, l’esempio, la responsabilità per i giovani e il loro impegno, la cultura religiosa, i club e le organizzazioni dei giovani, l’interesse per la politica, le preparazioni al matrimonio, le occasioni di incontro tra i futuri sposi, e altro ancora), e la presentiamo nella sezione “Pastorale” dei documenti, nell’originale russo e nella nostra traduzione italiana.

 
Una metafora sul ministero papale

Questa riflessione, tratta da un gruppo di discussione in Internet, è di Janet Bear, una nostra corrispondente di Portland (Oregon), scrittrice e giornalista, membro della Chiesa Ortodossa in America.

 

Penso che una grande fonte di disunione tra gli ortodossi e i cattolici romani non sia tanto il "ministero petrino" o il "primato del Papa", come se ciò fosse un dato positivo che gli ortodossi abbiano scelto di negare. Piuttosto, si tratta di un senso di conciliarità (sobornost) che viene rigettata dal primato papale.

Considerate come metafora un coro "a cappella". Tentiamo di cantare in armonia, ma tranne la nota di apertura, non c'è uno strumento "esterno" che ci mantiene in tono. Non c'è un organo che sommerge le voci o un pianoforte che dice a tutti noi esattamente su che nota dobbiamo intonarci: dobbiamo ascoltarci gli uni con gli altri.

Quando Chomjakov scrisse che tutti i protestanti sono cripto-papisti e tutti i papisti sono cripto-protestanti, stava affermando che la cristianità occidentale ha molti più punti in comune che punti di differenza. Il processo dell'autorità esterna (quale che sia l'organo, il Papa o la Bibbia) è differente dal processo della conciliarità nell'Ortodossia.

Per noi, per essere autentici nella nostra teologia, la Verità si trova nella pienezza della comunità.

Il prezzo della conciliarità è che richiede tempo; è disorganizzata, e sembra sempre che stiano vincendo i prepotenti. La sua forza è che, quando la risposta giunge veramente dalla pienezza della comunità, questa risposta rimane. Il vescovo locale (anche se in Occidente potrebbe essere più "locale" di quanto sia ora) ha un migliore senso della situazione locale di quanto lo abbia qualcuno in capo al mondo. Nonostante la nostra diversità di espressione, abbiamo una profonda unità di fede.

L'unità del ministero petrino, come si è giunti a definirla, è l'unità dell'organo in relazione al coro.

Janet Bear (Portland, OR - USA)

 
La Dormizione della Madre di Dio. Storia della festa e del digiuno. Sulle Lamentazioni funebri della Madre di Dio

 

Breve storia della festa della Dormizione

Troviamo le prime notizie sulla festa della Dormizione negli scritti di Melitone di Sardi (sec. II), Epifanio (IV) Giovenale di Gerusalemme (sec. V) e dello Pseudo-Dionigi l'Areopagita (cap. V). Più tardi ne hanno scritto san Massimo il Confessore (cap. VII) Giovanni Damasceno (sec. VIII), Simeone Metafraste (XI secolo) e altri. Tutte queste fonti e altre sconosciute (tra cui gli apocrifi) sono state raccolte e sintetizzate da Niceforo Callisto Xanthopoulos (esicasta del XIV secolo), che ha scritto una narrazione più dettagliata della festa.

Anche se la storia della glorificazione della Madre di Dio ha radici vicino al secolo apostolico, la festa della Dormizione è apparsa solo dopo il terzo Concilio ecumenico di Efeso (dell'anno 431) [1]. In Occidente, secondo il Sacramentario di papa Gelasio (V secolo), la celebrazione era già tenuta il 15 agosto; lo stesso in Oriente, ma senza un digiuno speciale. Solo nel 595 l'imperatore Maurizio, in onore della vittoria sui persiani con la mediazione della Madre di Dio, ha diffuso e onorato questa festa con grande fasto, componendo anche inni e cantici che troviamo nel Lezionario georgiano del VII secolo. I Tipici di Costantinopoli dei secoli IX-XI ci danno dettagli sulla funzione della Dormizione, e alcuni di loro parlano del "dopo-festa", con la conclusione dopo 3, 4 o anche 8 giorni. Il Tipico del monastero di san Sava, diffuso in tutto lo spazio ortodosso (nei secoli XIII-XIV), prevede che nei monasteri si faccia la Veglia (Vespro, Litia e Mattutino, senza menzionare le Lamentazioni funebri) e che la conclusione della festa si tenga all'ottavo giorno.

Storia del digiuno della Dormizione

Prima della festa della Dormizione la Chiesa ha un digiuno di due settimane (dal 1 agosto al 14), che segue quanto a rigore quello della Grande Quaresima. Le fonti storico-liturgiche (pubblicate da Cotelerius e Dmitrievskij e studiate da M. Skaballanovich, "Tolkovyj Tipikon" ecc) ci parlano della diffusione relativamente tarda di questo digiuno, e qui di seguito cercheremo di fare una succinta presentazione di tali dati storici.

Molti sono pronti a credere che la prima testimonianza del digiuno della Dormizione sia in san Leone di Roma (V secolo), ma san Leone, nella sua celebre omelia n. 16 (n. 15 secondo altri) parla della tradizione dei 4 digiuni dell'anno nelle quattro tempora (stagioni). Oltre al digiuno pre-pasquale e a quello di dicembre, egli cita un altro digiuno dopo la Pentecoste e in autunno nel mese di settembre (non sappiamo di quanti giorni) come ringraziamento per la raccolta dei frutti. Pertanto, non sta parla in alcun punto del mese di agosto dedicato alla Madre di Dio.

Altri credono che la prima menzione che abbiamo del digiuno della Dormizione sia nel VI secolo, per mano di Anastasio del Sinai, patriarca di Antiochia (561-600). La scienza teologica, di recente, ha dimostrato che il testo attribuito al patriarca Anastasio - "Sulle tre quaresime" - è un apocrifo del secolo IX-X, probabilmente proveniente dall'ambiente monastico di Costantinopoli, e che i suoi dati sono in contraddizione con tutte le altre testimonianze storiche del tempo [2] (basandosi anche su una leggenda quasi-cristiana della morte di san Filippo e del digiuno del Natale che comincia il giorno della sua commemorazione [3]).

È notevole il fatto che l'Hypotyposis di Teodoro Studita (IX secolo) e il Diatyposis di Atanasio l'Athonita (X secolo) e anche le loro copie successive (XIV secolo), allo stesso modo, non menzionano questo digiuno, pur dando regole sufficientemente dettagliate riguardo ai digiuni. Nessun altro tipico di origine studita, così come quello del monastero dell'Everghetinos (XI secolo) o di Pantokrator (XII secolo), offre una testimonianza del digiuno della Dormizione.

Il Tipico del monastero bizantino di Nicola Casole in Italia meridionale (sec. XII) menziona per la prima volta questo digiuno al 1 ° agosto, affermando che ne parla il "concilio dell'unione" di Costantinopoli (anno 920) [4]; solo che i padri di quel monastero lo iniziavano il 2 agosto a causa della celebrazione dei Maccabei. Tuttavia, al capitolo sulle regole generali del digiuno, il Tipico di Nicola Casole non fornisce alcuna indicazione riguardo al digiuno Dormizione.

Sappiamo che nell'anno 1085 alcuni monaci del Monte Athos si sono rivolti al patriarca Nicola III il Grammatico, mostrando preoccupazione per questo digiuno. Il patriarca, consultandosi con il sinodo, risponde ai monaci che ha trovato menzione di questo digiuno nel "concilio dell'unione", ma precisa che "questo digiuno è stato spostato [in un altro tempo - ndr], perché si sovrapponeva a digiuni pagani che si tenevano nello stesso tempo, e che tante persone rispettavano per purificarsi e per sbarazzarsi dalle malattie "[5] (cfr. Kormchaja kniga, I, scheda 156r).

Oggi si ritiene che il digiuno della Dormizione (e quello della Natività), con la durata che ha oggi, sia stato regolato solo nel 1166, in un sinodo tenuto dal patriarca Luca Chrisoverghis durante il regno di Manuele I Comneno. Abbiamo testimonianze più precise su questo Sinodo dal canonista Teodoro Balsamon, patriarca di Antiochia (sec. XII). Secondo Balsamon, alcuni partecipanti al concilio ritenevano che nei primi di agosto non si potesse tenere alcun digiuno, e se si teneva in alcune regioni, si doveva necessariamente spostare, come proponeva quasi un secolo prima Nicola il grammatico. Ma la maggior parte dei padri sinodali, guidata dal patriarca Luca, sostenendo che il sinodo organizzata da Nicola il Grammatico non aveva indicato il periodo in cui era bene spostarte il digiuno, hanno deciso che il digiuno iniziasse il 1 agosto e che durasse fino alla festa della Dormizione. Lo stesso patriarca Teodoro IV di Antiochia era d'accordo con la decisione presa e consigliava questo digiuno di 14 giorni anche ai suoi fedeli. D'altra parte, ecco cosa dice il Sintagma ateniese (IV, 488): "Per quanto riguarda la durata della Grande Quaresima tenuta oggi nella Chiesa ortodossa, nessuno ha mai dubitato, ma non si può dire lo stesso per gli altri digiuni. A suo tempo, il patriarca Marco di Alessandria si è rivolto a Balsamon chiedendo se si dovessero seguire con la stessa severità tutti i digiuni precedenti alle festività dei santi Apostoli, della Natività e della Dormizione, oppure se questi potevano essere accorciati. Rispondendo a questa domanda Balsamon cita il giudizio del sinodo patriarcale di Costantinopoli, tenuto sotto il Patriarca Nicola III (1084-1111), secondo il quale, prima di queste feste dovremmo digiunare solo sette giorni (πλην επταήμεροι) poiché un unico digiuno dura 40 giorni (μια γαρ τεσσαρακονθήμερος νηστεία εστίν), quello prima della Santa e Grande Pasqua. Tuttavia, coloro che vogliono digiunare più di sette giorni prima delle feste sopra citate, o possono aver trovato tali digiuni stabiliti nei Tipici lasciati dai loro fondatori, hanno completa libertà [di allungare i digiuni]".

Quindi, sulla base di tutte i dati storici, liturgici e canonici, possiamo dire che la durata del digiuno è stata ufficialmente determinata solo nel XII secolo, e si è diffusa nei secoli XIII e XIV assieme al Tipico del monastero di san Sava, che lo comprende nelle ordinanze di digiuno, stabilendo anche il suo rigore. Conformemente a queste regole di Tipico, che ben presto sono divenute normative anche per i laici, in questo digiuno si permette il pesce solo nella festa della Trasfigurazione (6 agosto), e l'olio e il vino solo il sabato e la domenica, e più di recente, anche nelle feste con rango di Polieleo, che in passato non esistevano.

Breve storia delle Lamentazioni della Madre di Dio

Nell'ordine del Mattutino domenicale a Gerusalemme, fin dall'antichità si leggeva o cantava il Salmo 118. Dai secoli VIII e IX, alcuni versetti di questo salmo sono stati intervallati da certi tropari, chiamati "Benedizioni della risurrezione", in cui il primo tropario si cantava appena dopo il versetto 12 ("Benedetto sei, Signore .."), che è rimasto in seguito l'unico versetto, che introduce anche i tropari successivi. Sembra che in questa fase tutti i versi intermedi erano letti e solo quelli immediatamente prima dei tropari erano cantati. [6]

Il rito del Mattutino del Sabato Santo (cantato la sera del Venerdì Santo) aveva anch'esso il Salmo 118 con le "Benedizioni della risurrezione", ma dal secolo XIV, le "Benedizioni" sono state collocate al termine, e tra i versi del Salmo 118 sono stati intercalati i tropari della sepoltura di Cristo. Alcuni specialisti ritengono che la devozione a cantare le Lamentazioni del Salvatore iniziò subito dopo la ricostruzione del complesso ecclesiale della tomba di Cristo sotto i crociati (1130-1147).

Nel caso di altri giorni festivi, a prescindere dal loro rango: del Salvatore, della Madre di Dio e dei santi, invece del Salmo 118 hanno cominciato a essere scelti altri salmi, con l'aggiunta di inni in lode ("megalinari = magnificazioni"), inclusa la festa della Dormizione, che ha anch'essa una magnificazione (consueta).

 

Nel corso del secolo XV, al Getsemani, con il completamento delle Lamentazioni del Salvatore con strofe dopo il numero dei versi del Salmo 118, le consuete magnificazioni della Dormizione sono state sostituite con tropari simili alle Lamentazioni del Salvatore e accompagnate dallo stesso Salmo 118. Nel secolo XVI, il numero dei tropari è stato completato (probabilmente da Manuele di Corinto), imitando la forma e le idee delle Lamentazioni del Sabato Santo. In quel tempo si sono notati alcuni tentativi di diffondere queste Lamentazioni della Madre di Dio in tutto il mondo ortodosso, ma senza molto successo, dato che le melodie erano estremamente lente (non come quelle odierne), e il Tipico non prevedeva alcuna moldalità di inquadramento delle Lamentazioni nel Mattutino, ma parla solo delle magnificazioni e del Vangelo prima del Canone (non dopo la Dossologia come al Sabato Santo). Proprio per questo, un'indicazione del Tipico dei Vecchi Credenti (Lipoveni) le introduce dopo il canto dell'Ode sesta del Canone, senza entrare nei dettagli o fornire il testo.

Nel corso del XVIII secolo, iniziano contatti più stretti con la Terra Santa dei russi e dei romeni, e dopo il 1821 dei greci. A quel punto nel mondo ortodosso appare l'idea di servire la Liturgia di san Giacomo (che si presumeva, in modo incorretto, che fosse stata servita continuamente a Gerusalemme) e di imitare anche le Lamentazioni della Madre di Dio del Getsemani. In questa occasione sono state fatte le prime traduzioni delle Lamentazioni della Madre di Dio (nel 1820 in romeno da parte di Ion Pralea; nel 1845 in russo da parte di M. Holmogorov), integrate con una versione mariologica, ancor più recente, delle "Benedizioni della risurrezione".

Inoltre, san Filarete (Drozdov), metropolita di Mosca, istituì nello "skit del Getsemani" accanto alla Lavra della santa Trinità, probabilmente durante gli anni 1845-1846, la festa della "Risurrezione e Ascensione della Madre di Dio" il 17 agosto (terzo giorno dopo la Dormizione) e decise che le Lamentazioni fossero cantate alla vigilia del 17 agosto. Questa nuova celebrazione non visse abbastanza per essere diffusa, soprattutto a causa delle polemiche circa il dogma mariologico del Vaticano dal 1854, ma l'abitudine di cantare le Lamentazioni il terzo giorno dopo la Dormizione si è mantenuta tra i russi fino a oggi. I romeni e i greci invece, come è consuetudine al Getsemani, le cantano alla vigilia della Dormizione, nel corso della Veglia (Vespro unito con il Mattutino), anche se non vi è alcun rito ufficiale per intercalarle nell'ordine del Mattutino e per combinarle con il Polieleo della festa.

Molti importanti liturgisti e dogmatisti ortodossi ritengono che tutti questi parallelismi tra il Sabato Santo e la Dormizione della Madre di Dio, specialmente nella variante di Filarete Drozdov, sono esagerati e ingiustificati. La funzione della Dormizione della Madre di Dio presenta un contenuto innografico più che sufficiente per venerare la Madre di Dio e il suo glorioso passaggio al Signore e non c'è più bisogno delle sue Lamentazioni. In queste circostanze, sarebbe meglio lasciare nel culto solo le Lamentazioni del Signore al Sabato Santo e mantenere la festa della Dormizione della Madre di Dio entro il rito attualmente presente nei Minei, che consideriamo sufficiente.

 

La cintura della Dormizione

Ogni evento nella vita del nostro Signore Gesù Cristo: l'ingresso in Gerusalemme, il tradimento, la cattura, il giudizio, la crocifissione, la morte, la deposizione nella tomba, la risurrezione e l'ascensione - tutti hanno un valore salvifico per il genere umano. Proprio per questo i Vangeli descrivono tutti questi eventi in dettaglio, e la Chiesa li celebra tutti a tempo debito. Nel caso della Madre di Dio, come per il ricordo dei santi [7], tutti gli eventi legati alla loro fine terrena sono concentrati in un solo giorno. Così la Chiesa commemora il 15 agosto (con gioia!) tutti gli eventi accaduti alla sua venerata dormizione: la venuta degli apostoli, la dormizione della Vergine, i funerali, la tomba ritrovata vuota (un simbolo della sua risurrezione e ascensione al cielo) ecc. Attraverso questa celebrazione congiunta, la Chiesa non nega l'importanza e il carattere straordinario di questi eventi della vita della Madre di Dio, ma neppure ha ritenuto necessario celebrare alcuni eventi separatamente a proclamare dogmi connessi con la dormizione della Madre di Dio o con la sua ascensione al cielo, perché da essi non dipende in alcun modo la nostra salvezza ed è per questo che non se ne fa menzione nelle sacre Scritture. Se, per esempio (!), la Madre di Dio non fosse risorta, ma il suo corpo fosse stato nascosto, questo significa che lei risorgerà insieme a tutte le persone alla risurrezione generale - e ciò non mette in alcun modo a repentaglio la nostra salvezza. Il fatto che il Salvatore l'abbia fatta risorgere e ascendere al cielo subito dopo la sua dormizione, è qualcosa in più, ma senza di questo la salvezza del genere umano non avrebbe nulla di meno. [8] Ma tutto è diverso quando si tratta della risurrezione e dell'ascensione di Cristo, senza le quali nessuna salvezza è possibile, neppure quella della Madre di Dio!

Circa la Madre di Dio noi diciamo che è "più insigne dei cherubini e senza confronto più gloriosa dei serafini", essendo "più onorata di tutti i santi", ma il suo maggior onore non regge alcun paragone con l'adorazione dovuta a Dio. In altre parole, di lei diciamo che è al di sopra i santi, ma non possiamo dire come o in cosa è inferiore a Dio, perché "tra creato e increato non vi è alcuna somiglianza" (Sant'Atanasio il Grande). Pertanto, anche i paralleli tra le Lamentazioni del Signore e quelle alla Madre di Dio possono essere pericolosi. Anche san Giovanni Maksimovich richiamava l'attenzione sullo "zelo senza conoscenza" mostrato dai cattolici romani che, volendo dare maggior onore alla Madte di Dio, di fatto la sminuiscono, perché la Madre di Dio non può essere considerata in termini di paragone a Dio e neppure sua "corredentrice", ma solo come "umile mediatrice" e "supplice incessante" per il mondo, in particolare perché "molto può la preghiera della Madre per la benevolenza del Sovrano".

Note

[1] Il culto della Vergine Maria e alcune preghiere a lei dedicate si trovano molto prima del Concilio di Efeso, e solo le feste mariologiche sono apparse e si sono diffuse dopo l'anno 431. Per esempio, il primo inno dedicato alla Vergine Maria - "Sotto la tua misericordia" - si trova in un papiro egiziano del III secolo, e possiamo rintracciare le idee di un culto mariologico fino al II secolo (сf. G. Giamberardini, Il culto mariano in Egitto, 1978, pp 96, C. Roberts, Catalogue of the Greek and Latin papiri in the John Ryland library, Princeton, 1938, p 150).

 [2] L'autore dice che, in tempi antichi, anche prima della Dormizione della Madre di Dio si digiunava per 40 giorni o anche più, dato che il digiuno estivo iniziava una settimana dopo la Pentecoste e terminava il 15 agosto, ma a causa della debolezza umana, il mese di luglio è stato escluso da questo digiuno, ottenendo due digiuni differenti. L'idea non è confermata da alcuna fonte liturgica, ed è anche contraddetta dalle più antiche testimonianze che abbiamo circa il digiuno dei santi apostoli.

[3] La leggenda vuole che alla sua morte san Filippo abbia pregato per la punizione dei suoi carnefici e che per questo motivo l'anima dell'apostolo non sia entrata in paradiso fino a quando gli altri apostoli digiunarono per 40 giorni. Sarebbe questo il motivo per cui anche noi dovremmo digiunare per 40 giorni, a partire dalla festa di san Filippo, per salvare le nostre anime. È chiaro che queste idee non sono coerenti con lo spirito del Vangelo.

[4] Il nome del concilio è legato alla riconciliazione dei due campi politico-religiosi di Costantinopoli. Questo concilio ha categoricamente vietato il quarto matrimonio, e ha permesso a quelli che si sono sposati per la terza volta di comunicarsi solo 3 volte all'anno: a Pasqua, alla Natività e all'Assunzione, "perché queste feste sono precedute da digiuni". Il concilio non menziona nient'altro su questo digiuno.

[5] Per lo stesso motivo la Chiesa ha vietato digiuno al mercoledì e al venerdì nella prima settimana del Triodio, dal momento che si sovrapponeva con il digiuno armeno chiamato "Artsivurion" dedicato alle persone o agli oggetti perduti.

[6] Al Monte Athos, nelle domeniche in cui non si canta il Polieleo (Salmi 134 e 135, integrali) il Salmo 118 è ancora letto prima delle Benedizioni della risurrezione, come un terzo Catisma, così come prevede il Tipico corrente.

[7] Anche alle commemorazioni dei santi, di regola, non celebriamo separatamente la cattura, il giudizio, le innumerevoli torture, i tentativi di ucciderli, la dormizione, la raccolta delle reliquie, i vari miracoli compiuti prima e dopo la morte, ecc.

[8] Questo è il motivo per cui la Chiesa ortodossa non può accettare la proclamazione dogmatica dell'ascensione corporale della Madre di Dio, come ha fatto la Chiesa cattolica romana, anche se gli ortodossi accettano quest'antica tradizione cristiana e hanno dipinto anche icone con l'ascensione della Madre di Dio al cielo.

 
Suor Vassa Larina su san Mamante

CAFFÈ CON SUOR VASSA

Canto del coro del monastero Sretenskij di Mosca: "Loderò il Signore in ogni tempo, sempre la sua lode sulla mia bocca..."

Salve! Sono sorella Vassa, e sto prendendo il caffè prima di andare al lavoro, qui a Vienna, in Austria (l'Austria non è il paese dei canguri!) Il caffè mi piace nero... ho questa passione per il nero, come potete vedere.

E così, prima di andare al lavoro, mi piace anche prendere la mia dose quotidiana del calendario della Chiesa. Diamo un'occhiata insieme a quello che succede in questa prima settimana di settembre. Quando dico "la prima settimana di settembre", quelli di noi che seguono il Vecchio Calendario faranno i loro calcoli, così come a scuola, usando lo strano numero 13 (1-7 settembre + 13 = 14-20 settembre). Ci sono molti santi, come sapete, celebrati nel calendario della Chiesa ogni giorno, ma cercherò di selezionare un santo da questa prima settimana di settembre (in modo piuttosto casuale, a dir la verità) e di riflettere sulla vita di questo santo prima di andare al lavoro oggi. Così, guardando nel mio calendario, noto che il 2 di settembre c'è il santo martire Mamante (in greco Mamas). Mamante era un ragazzo di quindici anni, e fu martirizzato nell'anno 275. Potete vedere che ha un aspetto molto esotico, dipinto sulla sua icona sul dorso di un leone. Ora, quando vediamo questo santo esotico da un passato tanto lontano - dal terzo secolo - molti di noi possono farsi la domanda: a che serve? E davvero, a cosa può servire alla mia vita cristiana moderna, alla mia vocazione odierna di vivere una vita in Cristo; a me, per esempio, in una grande città europea? Come può questo martire quindicenne del terzo secolo informare la mia fede? È una buona domanda, e pertanto vorrei rifletterci prima di tornare a parlare di questo santo. I vari eventi e personalità del giorno commemorati nel calendario della Chiesa su base quotidiana mi indicano, prima di tutto, che la Chiesa ha una storia. Questo è un sollievo su molti livelli, se ci pensiamo. E allora pensiamoci.

(pensandoci...) Oggi, come membro della Chiesa di Cristo, io sono parte di questa storia, così non sono sola. Ciascuno di noi, nella propria chiamata a vivere oggi una vita in Cristo, si trova in compagnia di molti, molti cristiani, come sembra. Cristiani di oggi, dei secoli passati e di varie epoche e regioni geografiche, culture, modi di vita, ecc, ecc. Connettersi con questa grande moltitudine e varietà di personalità giorno dopo giorno significa vivere la Tradizione. Vivendo la Tradizione come chiesa riceviamo motivazioni e informazioni per il nostro futuro ricordando oggi il nostro passato. Così, la Tradizione comporta passato, presente e futuro. Tre parti. Non una parte, non due parti, ma tutte e tre: passato, presente e futuro. Noi come Chiesa, siamo molto più ampi e interessanti, di fatto, rispetto alle particolari ossessioni e preoccupazioni del tempo moderno, del nostro presente. Il nostro presente a volte immagina di essere eterno, come se il modo in cui oggi stanno le cose fosse il modo in cui sono sempre state, o perfino il modo in cui dovrebbero sempre stare. Ma il fatto è che il presente non è eterno, perché la Chiesa ha una storia, vedete. E quella storia, e la consapevolezza di quella storia, ci libera dalla tirannia del presente.

Con tutto questo in mente, ritorniamo ora al giovane martire san Mamante. I suoi genitori, Teodoto e Rufina, erano cristiani, e anche patrizi, il che significa membri della nobiltà romana. Vivevano in Asia Minore, in Paflagonia, nella città di Gangra, indicata qui dal cerchio e dalla freccia rossi. Entrambi i genitori furono imprigionati perché erano cristiani. Furono imprigionati nella città di Cesarea di Cappadocia, a sud-est della Paflagonia, e anch'essa in Asia Minore, indicata qui dal cerchio e dalla freccia gialli. Entrambi i genitori di Mamante morirono in prigione, la madre dopo avere partorito prematuramente Mamante in prigione. Egli fu cresciuto come orfano nella fede cristiana da una ricca donna cristiana di nome Ammia, che lo chiamò Mamante ("Mamas") dopo che disse la sua prima parola, per la verità piuttosto tardi, all'età di 5 anni, e quella parola fu "mama". Da ragazzo Mamante fu diligente nei suoi studi, molto intelligente, e zelante per la sua fede cristiana. Si racconta che convertì molti dei suoi amici pagani al cristianesimo, e alla fine fu portato davanti alle autorità, perché lo faceva molto apertamente. Questo era il tempo dell'imperatore romano Aureliano, che regnò dal 270 al 275. Aureliano, anche se ebbe un regno breve, solo 5 anni, riuscì a riunire l'Impero romano nella sua interezza in Oriente e in Occidente, portando a termine quella che è chiamata crisi del terzo secolo. Così fu chiamato "Restitutor orbis" (il restauratore del mondo). Aureliano fu il primo imperatore romano a essere ufficialmente chiamato "deus" (dio) nei documenti governativi ufficiali. Era salutato come "Deus et dominus natus" (dio e dominatore nato). Nella sua politica religiosa, Aureliano era un riformatore. Rafforzò la posizione del dio solare, Sol Invictus, come divinità principale del pantheon romano. Aureliano sembra avere seguito il principio "un dio, un impero", in seguito adottato in pieno dall'imperatore Costantino sotto il Dio dei cristiani. Aureliano non mise ufficialmente fuori legge tutti gli altri dei, ma gli storici cristiani ricordano persecuzioni simili alla storia di san Mamante durante il regno di Aureliano. E così san Mamante fu portato davanti alle autorità, e alla fine fu portato perfino davanti all'Imperatore stesso, Aureliano, perché Mamante apparteneva alla nobiltà romana. Così fu interrogato, torturato severamente, e per un certo tempo rilasciato miracolosamente, quando di fatto andò nel deserto, a vivere in solitudine nelle montagne al di fuori di Cesarea, e in quel tempo si dedicò alla preghiera e al digiuno. Nel deserto non fu attaccato dagli animali selvaggi, che anzi lo servivano. Alla fine Mamante fu convocato di nuovo in città dalle autorità, e si mostrò alle porte della città accompagnato da un leone. Ecco perché è dipinto in compagnia di un leone, e talvolta di altri animali, sulle sue icone. Quindi fu di nuovo torturato, di nuovo rifiutò di rinnegare Cristo, e morì da martire nell'anno 275.

Un pensiero per oggi

Ora, un pensiero per oggi sulla vita di san Mamante. Era un adolescente, e all'età di 15 anni, quando la pressione di essere come tutti gli altri è enorme, come tutti sappiamo, non aveva paura di essere se stesso. Sicuramente, faceva cose normali come tutti gli altri; ha avuto un'istruzione; studiava, e faceva i compiti. Aveva amici e si preoccupava di loro. Forse era atletico e faceva sport. Beh, cavalcava leoni... non è esattamente uno sport che raccomanderei in questa trasmissione. Ma la morale della favola è che era un cristiano. Questa era la sua identità. Si identificava con Cristo, e questa identità era "non negoziabile", quando fu sfidato dai più famosi e potenti uomini del suo tempo.

Così, questo è il nostro pensiero del giorno e il nostro santo della settimana: a tutti voi, san Mamante! Grazie, grazie mille.

Un ringraziamento speciale al Fondo scientifico austriaco.

Nessun animale è stato maltrattato per produrre questo video.

 
L’ebraico nella Chiesa: celebrazioni a Gerusalemme

E’ evidente che, in Israele e in Gerusalemme, viviamo in un paese dove “i sogni diventano realtà” e devono diventare realtà, in modi che sono spesso imprevedibili. Queste sono le famose parole di Theodor Herzl Benyamin Ze’ev cui si celebrato nel paese il 150° anniversario della nascita. Come ho già accennato più volte, qualche tempo fa abbiamo potuto celebrare, in Bielorussia e in Lituania, il 153° anniversario della nascita nell’Impero di Russia di Eliezer Ben Yehuda, il rinnovatore della lingua ebraica moderna. E quest’anno potremmo anche citare Schalom Aleichem, il famoso scrittore yiddish e Scholem Asch, che avevo conosciuto negli anni ‘80, uno dei migliori scrittori yiddish e personaggio speciale del giudaismo, sull’orlo di una certa comprensione ebraica del cristianesimo orientale, come è stato anche il caso di Marc Chagall.

“Ich habe einen Traum = Ho un sogno” non suona esattamente come echeggia nel Talmud Berachot 55b “chalom chalamti = חלום חלמתי”: Ho sognato un sogno, e poi il sogno (da uno specifico incontro tra gli spiriti europeo orientale, slavo ed ebraico talmudico) permette di fare un salto verso sfide impossibili, perché i miracoli sono naturali. Soprattutto se procedono da una chiamata ad attuare e realizzare azioni “libere”, non cercano di mettere in mostra, di certo, il nostro orgoglio o arroganza. La rinascita di una lingua ha un significato enorme per tutte le scelte intellettuali e umane, psicologiche, religiose, comportamentali, e per il senso di ciò che dobbiamo fare.

Da bambino ebreo, ho studiato Herzl ed Eliezer Ben Yehuda (insieme a Joseph Trumpeldor e Rav Kook, con il quale si suppone che avessimo una connessione tramite Rav Frenkel) fin dalla giovane età. Ho incontrato Marc Chagall da bambino per legami di famiglia e molto più tardi come docente di yiddish, così come è successo anche con Scholem Asch, morto alla periferia del giudaismo a causa delle sue tendenze di descrivere, dall'interno, una vita cristiana speciale in pieno parallelo con il giudaismo tradizionale che aveva conosciuto e descritto.

Quando sono entrato nella Chiesa, la prima cosa che ho fatto è stata di tradurre le sante preghiere in yiddish. Ci possono essere diverse ragioni per questo. Lo scopo non era sicuramente collegato, per quanto riguarda la mia posizione, a un qualunque tipo di proselitismo tra gli ebrei di qualsiasi livello o età, la mia esperienza interiore di un profondo e ancora esistente giudaismo non avrebbe mai accettato cose del genere. Il cristianesimo per gli ebrei non deve certamente diventare o essere proposto come “un credo, fede o via di salvezza e redenzione da zulu o boscimani”. Allo stesso modo, è un po’ ridicolo pretendere, anche se è storicamente del tutto corretto e adatto, che gli ebrei siano i “nativi” della Chiesa. In effetti, i primi discepoli erano ebrei, forse le cose erano un po’ più sofisticate per quanto riguarda i fedeli. Ma questo paragone con “zulu e boscimani” mi era stato fatto dal mio collega e docente senior di yiddish, un linguista esperto, che, come molti ebrei nelle università, mai avrebbe accettato di convertirsi al cristianesimo, ma aveva una sorta di comprensione intensa e interna del Vangelo e della cristianità. Sentendo che mi sono convertito, mi ha dato uno schiaffo, che ho considerato come una cosa normale. Poi mi ha detto che avrei dovuto immediatamente aderire al “regolare Esercito della Salvezza del giudaismo” e indossare un cappello. Ne ho ottenuto un pagamento molti anni dopo.

Ha letto le traduzioni e le ha trovate belle e radicate nel giudaismo. Voglio dire che quando si parla yiddish, non si parla alcun dialetto o lingua indo-europea. La “Mume-laush’n” comprende circa 22 lingue e dialetti provenienti dall’Europa occidentale e orientale, tra cui bavarese, niederdeutsch, slavo, romeno, turco, greco, francese e anche bretone, e molto di più attraverso l’aramaico e l’ebraico e le lingue semitiche nel suo complesso. Ma queste sono per i suoni e le luci, o l’apparenza, diciamo spesso per i veri e falsi amici in termini di etimologia e significato. “Heint / היינט” apparentemente significa “oggi” e in effetti, viene dal tedesco “Heute”, ma si riferisce sostanzialmente a “oggi come vigilia del domani”, che ha un significato liturgico di “sera-mattina” e radica e spinge il giorno in un’altra Weltanschauung rispetto a quella che si trova o si comprende nello spazio culturale europeo... anche se per nulla estranea.

Il vero motivo per cui ho tradotto i testi in yiddish è stato perché in primo luogo ho fatto una specie di memoriale, anche se la Divina Liturgia e l’officio intendono sempre essere “memoriali” nella tradizione ebraica e cristiana, cosa che crea tra di loro un’immensa connessione spirituale che non si può valutare con qualche strano sistema di paragoni.

La lingua yiddish era caduta tra i terribili spargimenti di sangue della seconda guerra mondiale. In molti abbiamo pensato che sarebbe sopravvissuta a causa della sua enorme importanza nel campo di applicazione spirituale della concezione ebraica del mondo e per la sua l’analisi del Talmud e dell’insieme delle tradizioni orali e scritte. Ma non era così evidente circa 35 anni fa. Oggi, le cose sono più chiare, la lingua yiddish sopravvivrà e può anche svilupparsi, anzi potrebbe essere difficile continuarla sulla base della tradizione di Kanaan (Polonia ed Europa orientale).

In secondo luogo, potrei avere tradotto i testi delle preghiere perché era un modo per capire il loro significato spirituale in profondità. Io cito spesso l’esempio di una giovane catecumena affidata a mia moglie per essere battezzata. Era di una famiglia afghana molto colta e sua sorella, che non si è convertita ma ha accettato di essere presente al suo battesimo, parlava spesso con mia moglie. Una cosa che poteva difficilmente accettare come catecumena - anche se era sicuramente una piena “credente cristiana” - è che Dio possa perdonare i peccati. Il senso impresso nell’islam si mostrava subito in piena luce. Ho chiesto a un famoso orientalista una versione persiana del Vangelo e credo che siamo anche riusciti a ottenere una versione breve in lingua pashtun. Lo ha letto attentamente e ha iniziato a fare domande a mia moglie e molto rapidamente ha capito il significato del peccato e del perdono dei peccati nel Vangelo e nelle parole di Gesù. Ci sono cose che devono essere chiarite nella tua lingua madre culturale, altrimenti le idee possono continuare ad altalenare in modo sbagliato. Questo accade molto spesso con molti convertiti e lo si deve prendere attentamente in considerazione prima di avvicinarsi a una qualsiasi anima ebraica.

Io dedico la mia vita all’ebraico nella Chiesa. Ciò include la lingua e le lingue ebraiche, ma soprattutto l’approccio culturale, la tradizione, il modo di pensare, di analizzare, di considerare il mondo e l’ambiente, i nostri contesti - anche la realtà cristiana - come conseguenza della specifica concezione ebraica sempre esistente, significativa e pertinente della fede e delle realtà divine. Abbiamo formato catene di generazioni di diversi sacerdoti e insegnanti, professori che hanno deciso di mettersi in una posizione di “linea di confine”. È per questo che ho avuto la grande opportunità di collaborare con p. Kurt Hruby e Mons. Georgyi Rochcau. Entrambi mi hanno fatto conoscere una situazione limite e mi hanno fatto capire come affrontarla con fede, coraggio, fiducia e un po’ di realismo. Ma ancora una volta, ho potuto farlo perché erano gli “storici” anelli della catena che risale ai primi secoli e che sarà sempre trasmessa in futuro.

Ho sempre creduto nell’ “ebraico nella Chiesa” e ho composto su richiesta del defunto Cardinale J.-M. Lustiger un libro specifico, un Eucologio orientale (“Il sacrificio del rendimento di grazie”), radicato nelle tradizioni orientali e pubblicato per l’uso di speciali gruppi giudeo-cristiani nella Chiesa (1989). Ho ricevuto la promessa di venire in Israele, che ho sempre considerato come il mio solo paese, e di servire qui. Ci è voluto più tempo del previsto. Ma la mia linea è sempre stata fiduciosa nella linea dell’unità attraverso il raduno degli esiliati in Eretz Israel, in primo luogo, poi attraverso il raduno di alcuni raggruppamenti di vari riti di tradizione occidentale e orientale della Chiesa, che solo a Gerusalemme possono essere “cattolici e ortodossi = aperti alla pienezza / realizzazione-pleromi” dando il senso della “vera fede, la fede autentica”.

Mi sono anche focalizzato su un possibile significato della Chiesa, che non è quello comune per il momento, ma deve essere studiato nei prossimi decenni e generazioni, in particolare in Israele. Questo significato è che il Klal Israel / כלל ישראל o “Grande Assemblea del compimento delle comunità di Israele” si sta estendendo alle nazioni del mondo e si sta muovendo avanti e non indietro, verso il compimento della comunità divina di Israele che invisibilmente e senza molta consapevolezza da entrambi i lati include la Chiesa e il popolo ebraico come una totalità e come una realizzazione UNA e unica.

Così, la lingua ha un ruolo immenso in questo sviluppo. Il linguaggio è il mezzo che gli esseri umani hanno a loro disposizione per scrutinio e scansione, indagine, studio, esame, rilevamento, intuizione circa gl’interi ambiti mentali e invisibili di realtà diverse che non devono mai essere incastonate o sterilizzate in dogmi. Questo conferisce una grande importanza ai discorsi religiosi antichi, alle parlate, parole e lingue. Questo ha sicuramente segnato la nostra “tekufah / תקופה - epoca e civiltà”, come al tempo della civiltà sumerica per quanto riguarda “l’Unità di Dio e la Rivelazione Divina”.

Per tutta la mia vita ho studiato i diversi significati che collegano i traumi e i danni psichici (nezikin / נזיקין) e la “sopravvivenza” spirituale. Questa è una caratteristica importante. Spesso - soprattutto in Israele - consideriamo la storia come una serie di eventi frammentati che sono collegati in una linea di fatti storicamente rintracciabili. Non sentiamo quanto i nostri cervelli “sopravvivono” a varie frazioni e divisioni e non abbiamo il diritto di giudicare chi è il primo o l’ultimo o perché questo accade qui e non là. Questa è per il momento la parte o porzione invisibile del nostro sviluppo umano.

È per questo che gli strati molteplici che costituiscono la nostra storia sono spesso dispersi molto più ampiamente in altre divisioni perché non consideriamo il fattore di memoria o cambiamo l’”elezione” in un elemento rigido, semplicemente un “elemento per il futuro” o “per la scena avanzata”!

Per la maggior parte, le lingue “sante, sacre, divinamente ispirate” hanno mostrato una rara tendenza a diventare fossili o rigide, bloccate, normalizzate, standardizzate in base a modelli sofisticati. Alcuni linguaggi sono scomparsi, altri sono mantenuti artificialmente o assieme ad altre forme più vive di dialetti. Si suppone che, nel mondo monoteista, certe lingue si siano estinte. Di solito questo (in parte erroneamente) si riferisce a latino, sanscrito, copto, ge’ez, armeno ecclesiastico, siriaco, alcune forme di aramaico e altre lingue. Ciò non si applica all’arabo o allo slavonico. Naturalmente, il latino ha cessato di essere una lingua colloquiale, ma, di solito, nella Chiesa e in diversi paesi a seconda delle occupazioni, può essere utilizzato per la scrittura o anche per la condivisione di idee: sacerdoti, medici russi… ho spesso incontrato avvocati tedeschi che avevano il più “fluente latino possibile”. Capita  di parlare latino nella Città Vecchia di Gerusalemme.

Il caso del greco è molto interessante perché come si suppone e fino ad ora è il vero linguaggio del Vangelo dal momento che sappiamo che i Vangeli furono scritti in greco. Non abbiamo trovato alcuna versione siriaca paragonabile. D’altra parte, i testi aramaici sembrano dimostrare un vero e proprio substrato aramaico del greco, anche se i testi furono scritti molto più tardi.

La lingua greca della Bibbia e del Vangelo è dovuta a ebrei. Ciò è evidente per la Settanta. Nel caso del Vangelo, delle Epistole e degli Atti degli Apostoli, la lingua greca del Nuovo Testamento è pieno di semitismi e di errori per quanto riguarda le regole grammaticali del greco classico. Non possiamo parlare di un Vangelo giudeo-greco così come c’era un dialetto giudeo-greco a Corfù, per esempio. D’altra parte, è del tutto possibile che molti parametri mentali indotti nell’ebraico semitico e nella parlata ebraica siano entrati nel Vangelo in lingua greca, così come la lingua greca è entrata in modo significativo nella lingua del Talmud.

È interessante notare che lo slavonico è stato creato da Cirillo e Metodio da un dialetto bulgaro o “simil-ucraino”, piuttosto che da un dialetto slavo centrale, se non dalmata, e si è sviluppato nel corso di secoli di inculturazione e di cristianità in una lingua vera e propria. La lingua continua ad alimentare i fedeli in modo vivido. Ha un impatto mentale e culturale che mostra quella linea di divisione di civiltà che è persistente tra l’Europa occidentale e il cristianesimo orientale, ma anche, abbastanza curiosamente, all’interno dei modi di pensare giudaico-europei.

I testi liturgici in slavonico sono sostanzialmente - anche se sicuramente non sempre - una copia parola per parola della versione originariamente proposta in greco. Una delle maggiori difficoltà per i fedeli slavi della Chiesa ortodossa di oggi, nel contesto di una maggiore libertà, è quello di far passare la parola di Dio con precisione e adeguatezza dall’antico slavonico unificato alle lingue locali. La Chiesa russa è stata molto attenta in questo processo. E ha avuto, nel secolo scorso, diverse personalità e individui che hanno abbozzato il modo di produrre una traduzione corretta e adeguata.

Molti traduttori sono alla deriva verso il latino e la Chiesa cattolica romana. È interessante notare che la versione russa del Credo per il rito cattolico latino è un duplicato della versione polacca. Di per sé, la cosa si può forse capire. Si potrebbe proporre una comune versione cattolica / ortodossa in russo per risolvere il Filioque come si è sempre fatto in Ucraina, per esempio. In realtà, ogni versione non si riferisce solo a una Chiesa particolare in quanto tale, ma a una specifica “mentalità”. Questo fa una grande differenza.

La lingua è un segno vivente e vivificante della vita. Ecco perché i linguaggi tradizionali della Chiesa mirano a preservare, mantenere e conservare l’unità tra i fedeli. Si tratta di una sorta di cura spirituale, fondata sulla parola fissa e viva di Dio. L’ebraico ha le stesse caratteristiche, come in Sota 1,7 che indica che Dio capisce tutte le lingue, ma preferirebbe che ci si rivolga a lui in ebraico. Al di là dell’aspetto mentale, dobbiamo prendere in considerazione la prospettiva di “ispirazione divina”, che è un fattore importante.

Recentemente un prete greco mi ha chiesto di insegnargli un po’ di Talmud. La sua spiegazione va molto al cuore di tutto il problema della preghiera libera e dell’atteggiamento verso Dio e di alcuni aspetti rigidi dovuti alla “preferenza di elezione”. Mi ha spiegato che desiderava imparare il Talmud, per comprendere come pensano gli ebrei e per procedere a pensare nel loro modo!

Questo atteggiamento dovrebbe essere rispettato perché tutti ci comportiamo, fino a un certo punto, nello stesso modo. Egli parla l’ebraico moderno. Non vi è alcun motivo perché non capisca l’ebraico che sente parlare all’interno della società israeliana. Eppure, sente che c’è qualcosa di più. Gli ho chiesto perché voleva imparare il Talmud e l’ebraico talmudico. Mi ha detto che “vuole capire il modo in cui pensano gli ebrei, perché è compito dei Greci, dato che hanno ricevuto in greco il messaggio di Gesù Cristo, di penetrare nel modo speciale di ragionare degli ebrei. E una volta arrivati ​​al cuore di questo modo, di essere in grado di “tradurre e spiegare” loro la realtà di Gesù Cristo come Messia e Salvatore. “

Una discussione simile appartiene a momenti di grazia: questi ci permettono di comprendere la procedura di profondo straniamento che non riguarda soltanto i greci. Almeno è onesto, e questo atteggiamento è più che attuale nel mondo slavo di oggi o nel modo ortodosso di cercare di convertire qualsiasi anima. Non è affatto scomparso dalla Chiesa cattolica romana occidentale e non può scomparire, perché si tratta di un’enorme reazione riflessiva mentale e spirituale. Ha messo in chiaro dove sono e dove restano immobili le lacune.

Nel caso dell’ebraico, la lingua che parliamo oggi nello Stato di Israele è naturalmente una lingua o un dialetto di base fortemente semitica. È una cosa nuova. È stata scelta per non obbligare a prendere direzioni speciali. Nel corso dei decenni, ho potuto percepire un importante sviluppo del discorso e della scrittura all’interno della società. Il caso è considerato come unico e lo è davvero a causa del fatto che esso consente oggi di gettare ponti tra persone di ogni possibile estrazione e biografia personale. Questo è sicuramente un miracolo particolare riguardo al giudaismo come corpo del Klal Israel. Improvvisamente ha risvegliato qualcosa che è sempre stata mantenuta in vita (e questo è il punto principale) e germina ora di fronte a qualcosa che difficilmente siamo in grado di anticipare. È un linguaggio sia teologico che colloquiale. Quando partecipiamo ad un dibattito pubblico, è interessante notare il forte legame tra il discorso secolare e spirituale, tra l’ebraico storico, biblico, talmudico e il nuovo “dialetto semi-slavo o est-europeo di origine ebraica” che si sta sviluppando.

Questo è il secondo aspetto della lingua ebraica di oggi. È la lingua biblica o è qualcosa d’altro? Il Prof. Wexley suggerisce che l’ebraico è stato fatto rivivere con forti influenze slave ed est-europee e yiddish. Eliezer Ben Yehuda, come anche coloro che hanno deciso di parlare l’ebraico, veniva dalla Yiddishland. Non c’è dubbio che ci sia davvero una interconnessione straordinaria che si è mostrata storicamente tra questa parte di substrati europei multi-culturali e pluri-religiosi. Infatti, l’ebraico moderno suona molto spesso più vicino a qualche dialetto tradotto in yiddish con alcune infarinature di influssi pan-semitici.

Sono sempre stato convinto di questo legame molto profondo e significativo che potrebbe anche collegare giudaismo e cristianesimo. Di solito le persone possono fraintendere. Da un lato, ci sono davvero collegamenti molto importanti tra l’esicasmo e la Chiesa russa bizantina. Questo si può sentire anche nei testi greci. Ma poi parliamo di una vicinanza spirituale tra due religioni diverse e separate. Non sono solo separate, sono estraniate e bloccate da reciproca ignoranza e più spesso da “sistemi di odio a lunga distanza”.

Ma lo yiddish è molto di più il possibile legame linguistico che avrebbe potuto consentire una sorta di incontro tra giudaismo e cristianità in queste regioni d’Oriente. Non c’è riuscito. Resta il fatto che, anche nella sua avversione al cristianesimo, lo yiddish ha una gran quantità di frasi, espressioni, parole, spesso presenti anche nel Talmud o utilizzate per spiegarlo, che si trovano nella parlata quotidiana e nel normale uso linguistico. L’ebraico è troppo “ieratico” e “fuori strada” per qualsiasi pertinenza. È  la lingua del popolo ebraico e lo è sempre rimasta. Lo yiddish è la lingua che gli ebrei hano preso tra le nazioni e hanno combinato con il Talmud e con il loro spirito speciale, al fine di comprendere il mondo del giudaismo in una realtà che riunisce i due popoli dei giudei e dei gentili. Questo ha un potente aspetto di pienezza ecclesiale e spirituale e per la Comunità di Israele.

Non è sicuro che le Chiese siano in grado di comprendere una tale dimensione, e sicuramente non al presente nello Stato di Israele. D’altra parte c’è qualcosa di più che può avere un significato molto più profondo nel corso dei decenni a venire.

Verso la metà del 19° secolo, la maggior parte delle Chiese ha cercato di convertire tutte le nazioni “pagane” e gli ebrei. La Chiesa cattolica è arrivata in gran parte in ritardo per l’importanza del latino, che aveva cancellato le lingue locali e i riti ecclesiastici. Nel 1841, il Sinodo ortodosso russo di Mosca, vale a dire prima della re-installazione del Patriarcato di Mosca al momento della rivoluzione bolscevica, aveva accettato e benedetto la celebrazione della Divina Liturgia e dell’Officio della Chiesa ortodossa russa sia in ebraico che in russo. Il testo del 1841, è dovuto al padre D. Levinson che allora serviva a Gerusalemme. Questo è il testo che ho sempre usato per la preghiera per due ragioni principali.

Per cominciare, il testo è e rimane ufficiale ed è stato accettato da un grande e ufficiale organismo della Chiesa ortodossa e apparentemente fu accettato anche dal Patriarcato greco di Gerusalemme a quel tempo.

Ha più senso utilizzare con leggeri aggiornamenti un testo ufficiale, piuttosto che abbozzare differenti traduzioni. Si tratta di un atto di fede nell’ “unità” della Chiesa, fino a quando nuove versioni - forse solo una - potranno essere accettate e benedette dalle autorità ufficiali della Chiesa.

Vi è di più: 169 anni fa, con un progetto di conversione dei giudei che è profondamente in discussione in quanto tale nello Stato di Israele per motivi diversi, p. Levinson poteva istintivamente fare uso del linguaggio talmudico e rabbinico per tradurre i testi liturgici della Chiesa ortodossa russa. Il Vescovo Salomon Alexander Pollack, il primo vescovo anglicano di Gerusalemme negli stessi anni (un ex chasan, o cantore), aveva utilizzato anche il lessico tradizionale e talmudico. Questo dà alla loro traduzione un suono e uno spirito di autenticità e non di qualche strano saggio di inculturazione in una lingua creola “di tipo zulu”.

Le altre Chiese di rito occidentale non sono in tale posizione. Esse per lo più “rifiutano, se non respingono” i riti orientali nati a Gerusalemme e nel Medio Oriente. Ho il testo in aramaico della Liturgia di Mar Yaakov / San Giacomo in scrittura ebraica, che è stato utilizzato dal primo piccolo gruppo di cattolici attorno al 1952. Mons. Eugène Tisserant aveva convinto il Papa Pio X che avrebbero dovuto essere autorizzati a pregare in ebraico. Il Papa chiese poi: “ma l’ebraico è una lingua liturgica”? Il cardinale risposte con una domanda: “Santo Padre, in che lingua è stato scritto sulla croce che Gesù è il re dei Giudei?”. Il Papa ammise che era in ebraico, in latino e in greco (Giovanni 19: 19) e successivamente decise di accettare che i fratelli potessero pregare secondo il rito assiro-caldeo che è il più vicino alla tradizione ebraica. La comunità scelse piuttosto in fretta di passare al rito latino occidentale e al linguaggio comune.

L’ebraico è una lingua liturgica per il cristianesimo? Questo è davvero un problema reale. Ci interroga su come i cristiani possono utilizzare i termini ebraici per confessare, spiegare, insegnare e discutere la realtà della fede che è stata condannata e respinta dalla Comunità ebraica. Questa “scomunica” non è stata cancellata o negata dagli ebrei ed è troppo presto per prendere in considerazione ogni possibile e sostanziale cambiamento in questa materia.

D’altra parte, qualcosa di speciale accade e continua a mostrarsi nel nuovo, recente e moderno Stato d’Israele. La lingua, l’ebraico, sta tornando viva e si sta rinvigorendo. La si può far risalire ai tempi più antichi e lo si fa in un modo che, evidentemente, pone domande al mondo. Quale nazione ha mai preteso di essere a casa in un posto che i loro antenati avevano lasciato più di duemila anni fa? Al di là di tutte le opinioni politiche, ciò sfida semplicemente la nostra comprensione di “appartenenza, essere a casa nel corso del tempo, inculturazione, sopravvivenza e sviluppo, cancellazione apparente e nuova germinazione”.

Ma anche la Chiesa ortodossa è posta in un contesto speciale, come anche le società dell’Europa dell’Est. L’ebraico è stato usato nella Chiesa ortodossa prima della nascita di Eliezer Ben Yehuda e Theodore Herzl (che non è sempre stato un sostenitore dell’uso della lingua ebraica)!

Quando abbiamo servito in ebraico secondo la versione benedetta alla Cattedrale della Santissima Trinità a Gerusalemme, il 12 giugno 2010, con la benedizione del Patriarca Teofilo III e del Patriarcato di Mosca, è stata la prima volta, a nostra comune conoscenza, che il testo è stato fatto “rivivere” con membri del coro israeliano locale, in un vivo spirito ebraico e con un ponte sulle culture slave che sono così intimamente intrecciate con questa terra.

Ci siamo sentiti completamente a casa e non come ospiti, completamente benvenuti, e sono arrivati più fedeli proprio perché era un sabato con la possibilità di partecipare alla Divina Liturgia. C’era una sensazione visibile e molto emotiva di fare qualcosa che non riuscivamo nemmeno a prevedere. Non siamo in un periodo di grande dialogo teologico o ecumenico. Ma qui, non era questo il punto: tutti sentivano che era “normale”, “ovvio”.

Era normale sentire le parti principali della liturgia in ebraico e alcune litanie e preghiere in slavonico. Era normale leggere il Vangelo in ebraico ed era normale sentire alcune parole di un sermone in russo e in ebraico. Era più un vero momento di una “Chiesa unica in Gerusalemme”. Dando un semplice sguardo ai fedeli, era ovvio che erano mescolati, ebrei, ebreo-cristiani, gentili, ex sovietici e altri, sicuramente persone che vanno in posti diversi. Ma quella mattina, il loro posto era semplicemente lì.

Cosa accadrà in futuro? Dio dà a tempo debito. Ma il punto è che, in quel sabato, la memoria della Chiesa locale di Gerusalemme risaliva, al di là di tutti gli atti di odio, le persecuzioni, i pogrom, lo sterminio, l’ignoranza, la calunnia, la distruzione, al testo originale che aveva preceduto la nascita di Eliezer Ben Yehudah, il restauratore dell’ebraico moderno, egli stesso un uomo di quest’area slava.

E’ importante che la memoria possa anche essere fatta “rivivere” in un senso positivo: abbiamo preso dal vecchio e abbiamo sentito che è nuovo.

Av Aleksandr (Winogradsky Frenkel)

Mercoledì 16 giugno 2010

 

 

Liturgia in ebraico a Gerusalemme

 

Qadosh (Sanctus) dalla Liturgia in ebraico

 
La delusione spirituale
Dopo avere recentemente scoperto che per gran parte della mia vita cristiana sono stato coinvolto dalla "delusione spirituale", trovo necessario ora cercare modi per comprendere appieno e respingere totalmente questo errore.
Il mio inganno è iniziato con un pastore ben intenzionato alla Chiesa Metodista Unita, nella quale sono cresciuto. Gli ho chiesto: "Perché ci sono così tante religioni diverse? Come possiamo dire che quella cristiana è la migliore?" La sua risposta è stata: "Ci sono molti percorsi a Dio. Il nostro è la via più diretta e più facile". Non sapeva come rispondere a questa domanda da una vera prospettiva cristiana e come consigliarmi la lotta che avrei necessariamente affrontato. Ora so che quello che mi ha insegnato era un grave inganno. Ora mi è molto chiaro che gli altri sentieri non porteranno a una vita spirituale orientata a Dio e all'unione con Dio. Porteranno solo a una vita di auto-soddisfazione e di maggiore orgoglio. Gesù Cristo è venuto dopo questi tentativi primitivi e insufficienti di raggiungere Dio e ha mostrato a tutta l'umanità come ottenere l'unione con Dio. Ci ha mostrato la necessità di un'estrema umiltà nel nostro rapporto con Dio. Ci ha mostrato un percorso che coinvolge la purificanione di noi stessi e una continua lotta contro molte cose, ma sempre basandosi sulla volontà di Dio. Ho scoperto che il percorso da lui aperto per noi non è un percorso facile. Si tratta di un sentiero aspro il quale siamo facilmente ingannati cercando piaceri attraverso varie forme di meditazione, yoga e altre attività, insegnate da ben intenzionati docenti di altre religioni orientali, che non hanno scoperto la via di Gesù Cristo.
Ora so per esperienza, avendo sperimentato il Vedanta, una parte della religione indù, il buddismo e le forme orientali di meditazione. Purtroppo, ho anche fatto uno sforzo di trovare i "principi universali" di tutte le religioni e di fondare una organizzazione (formalmente organizzata come chiesa secondo le regole fiscali, nientemeno) per insegnare queste cose ad altri. Oh, quanto facilmente siamo ingannati da esperienze religiose a livello psichico che servono solo per aumentare il nostro orgoglio e il nostro senso di autosufficienza.
Attraverso questa esperienza, ho imparato che è essenziale riconoscere che siamo impegnati in una guerra spirituale, come ci dice così chiaramente san Paolo. Nella mia giovinezza non sono mai stato preparato per questa battaglia né adeguatamente istruito nelle discipline spirituali. Non ho apprezzato la forza dei sacramenti che Cristo ci ha offerto per aiutarci in questa battaglia. Crescendo come metodista, la comunione era simbolica. Era composta di succo d'uva e un pezzo di pane che simboleggiano il sangue e il corpo di Gesù Cristo. Impotenti rispetto al sangue e al corpo reale di Gesù Cristo, offerti nella Chiesa ortodossa per la remissione dei peccati e la vita eterna in unione con lui. Ho affrontato molti di questi inganni lungo il percorso. Per fortuna, ho un forte angelo custode che mi ha tenuto su un percorso di ricerca di Dio e che mi ha insegnato la Preghiera di Gesù in mezzo a questi inganni. È stata questa preghiera che mi ha protetto e mi ha ricondotto all'Ortodossia.
Seraphim Rose vide questo atteggiamento che io ho vissuto come un'attitudine che permea gran parte del cristianesimo di oggi. Ha scritto di questa triste condizione dei "cristiani" nel suo libro, L'Ortodossia e la religione del futuro. Eccone un estratto.
 
ieromonaco Seraphim (Rose)
La vita di egocentrismo e di auto-soddisfazione vissuta dalla maggior parte degli odierni "cristiani" è così onnipervadente che li blocca efficacemente da ogni comprensione della vita spirituale, e quando queste persone si impegnano nella "vita spirituale", è solo come un'altra forma di auto-soddisfazione. Questo si può vedere chiaramente nell'ideale religioso totalmente falso sia del movimento "carismatico" sia delle varie forme di "meditazione cristiana": tutti promettono (e danno molto rapidamente) un'esperienza di "appagamento" e di "pace". Ma questo non è affatto l'ideale cristiano, che se può essere riassunto in breve è una feroce battaglia e una lotta. La "soddisfazione" e la "pace" descritte in questi movimenti contemporanei "spirituali" sono abbastanza palesemente i prodotti dell'inganno spirituale, dell'autocompiacimento spirituale - che equivangono alla morte assoluta della vita spirituale orientata a Dio. Tutte queste forme di "meditazione cristiana" operano esclusivamente sul piano psichico e non hanno nulla in comune con la spiritualità cristiana. La spiritualità cristiana è formata nella lotta ardua per acquisire l'eterno Regno dei Cieli, che inizia pienamente solo con la dissoluzione di questo mondo temporale, e il vero lottatore cristiano non trova mai riposo, neppure nelle anticipazioni della beatitudine eterna, che gli potrebbero essere concesse in questa vita, ma le religioni orientali, a cui il Regno dei Cieli non è stato rivelato, si sforzano solo di acquisire stati psichici che iniziano e finiscono in questa vita.
Da L'Ortodossia e la religione del futuro di Seraphim Rose, pp 187-188.
 
Alcuni dei miei amici penseranno che tutto questo è un po' duro, e non è mia intenzione condannare coloro che cercano sinceramente l'unione con Gesù Cristo, non importa quale sia la loro forma di cristianesimo. Ma posso dire senza ombra di dubbio, che possiamo essere ingannati, come so di esserlo stato io. Per quanto mi riguarda, ho trovato la pienezza della verità nella Chiesa ortodossa, dove la vita sacramentale è sottolineata e praticata con regolarità. È nel contesto della Chiesa ortodossa che ho trovato che potevo arrendermi e poi cercare, non la mia strada, ma invece seguire la via che la Chiesa stabilisce per tutti noi.
 
diacono Charles Joiner
 
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Amore, infatuazione, matrimonio, rapporti sessuali, contraccezione e divorzio

Questi sono tutti temi essenziali, eppure in pochi sembrano scrivere a questo proposito. Queste brevi note sono presentate in quest'ordine, poiché se fossero presentate in un altro ordine, ciò significherebbe che ci sono dei problemi. Questo è l'ordine logico.

Amore

Che cos'è l'amore? Che cosa vuol dire innamorarsi? E che cosa vuol dire non essere più innamorati?

Il cuore umano può essere paragonato a una stazione radio. Ogni stazione radio funziona a una certa frequenza ed è captata solo da una radio che funziona sulla stessa frequenza. Tra gli esseri umani ci sono milioni di frequenze. Innamorarsi significa semplicemente essere sulla stessa frequenza. Cosa fa poi smettere di innamorarsi? Succede quando uno o l'altro nella coppia cambiano le frequenze. E questo cambiamento accade spontaneamente quando siamo prima immaturi e poi diventiamo maturi. Da qui l'importanza di sposarsi quando siamo maturi. E la maturità è spesso, ma non sempre, una questione di età. Alcune persone sono mature a 16 anni, altre non sono ancora mature a 50 anni. Sì, c'è qualcosa come 'l'amore a prima vista'. Ma fate attenzione, perché c'è anche qualcosa come 'l'infatuazione a prima vista'.

Infatuazione

L'infatuazione, o "avere una cotta per qualcuno", significa confondere l'amore con meri sentimenti, emozioni, sentimentalismo, ciò che si chiama "amore da cucciolo". Così un adolescente, cinque minuti dopo avere incontrato una ragazza, dice: 'io la amo'. Ma una settimana dopo prova la stessa cosa per un'altra ragazza. Come si fa a sapere la differenza? L'amore dura ed è disposto a fare sacrifici reali e a lungo termine. Alla fine dei film romantici, mettono la parola 'Fine'. Non dovrebbero farlo. Dovrebbero mettere la parola: 'Inizio'.

Come si fa a sapere la differenza tra amore e infatuazione? Due cose: In primo luogo, l'amore è felice di sacrificarsi. In secondo luogo, l'amore ama anche i difetti dell'altro. Se non puoi sopportare i difetti dell'altra persona, non sposarla. E se non sai che l'altra persona ha dei difetti, è tempo di svegliarti alla realtà. Come dice un altro vecchio proverbio: "L'amore è cieco, ma il matrimonio ci vede bene". Soluzione: Cerca di vederci prima di sposarti.

Matrimonio

C'è un altro proverbio inglese che dice che 'il matrimonio è fatto in cielo'. È vero, ma 'il matrimonio è costruito sulla terra'. È incredibile quante coppie non discutono delle cose essenziali prima di sposarsi. In qualsiasi matrimonio, qualcuno deve provvedere i soldi, acquistare i mobili, fare la spesa, cucinare, pulire, trascorrere il tempo libero ecc. Questo deve essere discusso prima di sposarsi. Inoltre, nella maggior parte dei matrimoni, prima o poi ci saranno dei figli. Chi pagherà per loro, si prenderà cura di loro, li nutrirà, li farà crescere, li porterà a scuola? Questo deve essere discusso prima di sposarsi. In questo modo scoprirai presto se ami l'altra persona o se sei semplicemente infatuato di lei.

Il matrimonio è fatto di compromessi. In inglese questo è chiamato 'dare e prendere'. I francesi hanno un'espressione ancora migliore: 'dare e dare'. È così che funziona il matrimonio. Le persone egoiste non devono sposarsi. Sono inadatte al matrimonio e ancor più incapaci di avere figli. Alcuni chiedono: chi è il capo in una coppia sposata? La risposta è ancora in un altro vecchio proverbio: 'il marito è il capo, ma la moglie è il collo'. Ecco come funziona. Nient'altro funziona! Posso assicurarvelo.

Rapporti sessuali

Se ami l'altra persona, la desidererai fisicamente. Ora, l'impulso sessuale di molti uomini è molto più elevato che nella maggior parte delle donne (anche se ci sono eccezioni). Qui c'è un pericolo. È una delle storie più antiche del mondo per un uomo mentire e dire 'ti amo', quando tutto quello che vuole è il sesso. Dopo averla messa incinta, scompare. Naturalmente, ci sono anche le giovani donne che rimangono incinte, pensando di aver intrappolato un uomo. Anch'esse finiscono per essere madri singole. Essere una madre singola non è uno scherzo. In genere significa essere povera. Siate avvertite.

Il vecchio modo era quello di trovare prima l'uomo e poi rimanere incinta. Questo ha senso perché un bambino (e prima o poi il risultato del sesso sarà un bambino) ha bisogno di due genitori, maschio e femmina, come tutti sapevano prima che il buon senso fosse abbandonato. Non solo per i modelli di ruolo maschile e femminile, ma perché per i bambini sono necessari soldi e qualcuno deve essere provvedere i soldi e qualcuno deve prendersi cura dei bambini. Qualunque sia la situazione, ci sarà un periodo, per quanto breve, in cui una madre non può lavorare e avere un reddito perché il bambino ha bisogno di attenzione intensiva.

Alcune giovani coppie chiedono: con quale frequenza possiamo avere rapporti sessuali? La risposta è sempre diversa. Alcune nuove coppie inizialmente hanno e desiderano rapporti più volte al giorno. Questo cambia presto in più volte una settimana, poi diventa più volte al mese e, con l'età, può cambiare in più volte all'anno. Questo dipende dalla coppia. Ma la moglie dovrebbe sapere che suo marito ha generalmente bisogno di rapporti più spesso di lei ed è suo dovere fornirle. Una moglie che rifiuta costantemente il marito può perderlo. Ci sono sempre altre donne là fuori. Ma il marito deve anche sapere che a volte la moglie può non avere la forza o il desiderio di rapporti, e deve essere ragionevole. La necessità biologica non dovrebbe mai decidere la frequenza dei rapporti. È l'amore che dovrebbe decidere.

Contraccezione

L'ideale della Chiesa è di non usare la contraccezione. L'ideale della Chiesa è di astenersi dalle relazioni coniugali nei giorni di digiuno (mercoledì, venerdì, durante i quattro periodi di digiuno e alla vigilia della comunione, per esempio al sabato sera, se riceviamo la comunione alla domenica mattina). Tuttavia, in realtà, a parte l'astensione dalle relazioni prima della comunione, che è assoluta, non funziona così.

Il fatto è che il 99,9% delle coppie ortodosse utilizza una qualche forma di contraccezione non abortiva (l'aborto è un no assoluto) a un certo punto del loro matrimonio. E la Chiesa chiude un occhio su questo uso della contraccezione perché sappiamo che questo è un male minore. Un male minore? Sì, perché la maggior parte delle coppie non può avere e crescere 20 figli in condizioni moderne. E alcune donne moriranno se hanno più di un certo numero di figli. E alcuni uomini abbandoneranno le loro mogli e alcune donne abbandoneranno i loro figli, se hanno più figli di quelli a cui possono far fronte. Lo abbiamo visto. È una realtà. La contraccezione al giorno d'oggi è un male minore. Non è l'ideale, ma è reale. In genere non è così difficile avere figli, ma crescerli...

Per quanto riguarda l'astensione coniugale durante i digiuni, questa è una cosa delicata che può anche diventare pericolosa. Le coppie giovani non dovrebbero provarci. In ogni caso, come dice l'apostolo Paolo, è sempre una questione volontaria e di comune accordo. Conosciamo un caso di una donna che l'ha imposto al marito. Il risultato è che ha distrutto il suo matrimonio. Se è in dubbio, la coppia dovrebbe parlare con il proprio sacerdote.

Divorzio

Il divorzio ecclesiastico, o meglio l'annullamento, esiste. E si verifica. Ci sono uomini che prendono a bere. Ci sono uomini violenti che picchiano le loro mogli, o le maltrattano in altri modi. Ci sono uomini e donne che sono infedeli l'uno all'altra. Ogni caso è diverso. Il fatto è che ci sono casi in cui è meglio per una coppia divorziare piuttosto che continuare in una relazione che porta più male che bene. Se non per altro, per amore dei figli.

 
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Commemorato nel nord del Kosovo il 110° anniversario della tragica morte di un console russo

Il 31 marzo, il 110° anniversario della morte del console russo Grigorij Stepanovich Shcherbina (1868-1903) è stato commemorato nella parte nord di Kosovska Mitrovica.

Aleksandr Chepurin, l'attuale ambasciatore russo in Serbia, e Aleksandr Vulin, il direttore dell'Ufficio del governo del Kosovo e Metochia, hanno deposto fiori nella parte nord di Kosovska Mitrovica al monumento al console russo ucciso in Kosovo e Metochia. Il vescovo Teodosije di Rash e Prizren, tutti i capi dei distretti del Kosovo e Metochia, i capi dei comuni del nord, i rappresentanti dell'università di Pristina, nonché numerosi cittadini e altre persone erano presenti a questo evento.

Nell'Istituto Tecnico a Kosovska Mitrovica si è tenuto un incontro con una discussione sul tema "missione del console russo Shcherbina sullo sfondo delle moderne relazioni russo-serbe", tra cui un cortometraggio sulla vita del console russo.

Grigorij Stepanovich Shcherbina fu nominato console nella città di Kosovska Mitrovica ai primi di marzo 1903. Si decise di inviare questo diplomatico esperto a Kosovska Mitrovica, al fine di ottenere informazioni reali sulla sofferenza del popolo serbo al culmine di pogrom e attentati commessi da albanesi a cavallo tra i secoli XIX e XX. Nel 1903 Shcherbina morì per le ferite dopo che un albanese gli aveva sparato a bruciapelo nella parte meridionale di Kosovska Mitrovica. I serbi del Kosovo e Metochia presero la morte di Shcherbina come tragedia nazionale. Secondo i rapporti di quel tempo, Shcherbina "ha dato la sua vita per la preziosa Croce, ha sofferto per la santa Ortodossia e per la libertà del popolo serbo".

 
Il futuro del borgo attorno alla nostra chiesa

Le case attorno alla nostra chiesa hanno ospitato per oltre un secolo le Suore del Buon Pastore, che avevano fatto costruire la chiesa negli ultimi anni del secolo XIX. Oggi il complesso di case è in fase di trasformazione in unità abitative, concepite come un borgo che fa idealmente corona attorno alla chiesa. Il silenzio e la pace che caratterizza queste nuove case ha buone fondamenta su decenni di preghiere nelle case religiose, che continuano oggi con le preghiere dei fedeli ortodossi. Scopriamo come si presenterà il nuovo borgo attraverso il suo sito, http://www.borgohermada.com/, con progetti, video, riprese aeree e un'accurata descrizione di quello che si realizzerà nei prossimi anni attorno a noi.

 
Come trovare un terreno comune tra ortodossi e protestanti

L'autore di questo testo, Daniel Lieuwen, lettore della Chiesa Ortodossa Russa all'Estero, è un convertito all'Ortodossia dal Protestantesimo. Di professione ricercatore informatico nel campo dei sistemi operativi, è autore di uno studio storico sulla nascita del Canone del Nuovo Testamento, che esamina molte pratiche a cui i protestanti muovono obiezioni, mostrando come tali pratiche siano anteriori all'accettazione comune del Libro dell'Apocalisse e alla rimozione di altri libri (come Il Pastore di Erma) dal Canone. In questo saggio si occupa di due tipiche obiezioni protestanti all'Ortodossia: la natura della fede e il valore delle icone.

Il testo originale inglese appare sul sito della Chiesa Ortodossa di San Nicola, www.orthodox.net; la traduzione italiana è stata riveduta dall'autore.

 

La questione del Protestantesimo classico e dell'Ortodossia sulla fede:

Qual è la relazione tra fede e opere? Mentre vi sono forti differenze teoriche tra gli ortodossi e i protestanti classici sulla fede, esistenzialmente, il divario è meno severo. (Abbrevierò talvolta i "protestanti classici" come "protestanti" in questo brano: vi sono molti protestanti non classici di cui non considererò le idee. Coloro che pensano di poter avere Cristo come Salvatore ma non come Signore, mostrano uno spirito antinomico così estremo che è difficile considerarli cristiani anche nel senso più nominale della parola. I musulmani e gli ebrei ortodossi, con la loro riverenza per la legge di Dio sembrano più vicini allo spirito del cristianesimo di quanto lo siano questi "cristiani"). Sia gli ortodossi che i protestanti sono teoricamente d'accordo che senza l'azione di Dio nell'Incarnazione, l'uomo non può lasciare il proprio stato innaturale e peccaminoso, e giungere a Dio: ha bisogno della grazia. Avendo concordato su questo punto, essi sono in disaccordo sulla funzione delle opere. Parte del problema è che gli ortodossi sono ben più reticenti dei protestanti a parlare della salvezza come di un evento singolo. Piuttosto, la nostra salvezza e la nostra santificazione sono viste come parte di un processo continuo, cosicché per essere tecnicamente corretti non si potrebbe parlare di essere stati salvati senza parlare di essere nel processo della propria salvezza, e sperando infine di essere salvati al Giudizio Finale in modo conclusivo e decisivo.

È chiaro sia ai protestanti che agli ortodossi che le buone opere sono essenziali nel processo di santificazione. Esistenzialmente, i protestanti riconoscono che la vera fede deve necessariamente produrre buone opere. Se la fede di una persona non produce opere, essi avvertirebbero tale persona di considerare che potrebbe non avere una vera fede. Ciò a cui muovono obiezioni è il dire che queste buone azioni ci salvano. È pericoloso essere troppo precisi in queste materie. Sappiamo che Cristo dice che se lo amiamo gli obbediremo. Dobbiamo amarlo per entrare nel suo regno. Non possiamo amarlo senza fede. Non possiamo essere salvati senza la sua salvifica Passione e Risurrezione. Sappiamo che senza le opere la fede è morta. In tutti questi punti, protestanti e ortodossi sono d'accordo.

Le due posizioni sull'elezione dei protestanti partono con la stessa premessa di "Sola Fide'' (per fede sola). Tuttavia, in pratica, per strade molto differenti, entrambi rendono questa dichiarazione molto meno estrema di quanto sembri a prima vista agli ortodossi.

Quei protestanti che credono (così come gli ortodossi) nella possibilità di perdere la propria salvezza, riconoscono che il peccato ripetuto e impenitente causerà la perdita della propria salvezza, perché coloro che vi indulgono alla fine si ritroveranno con una coscienza così indurita che la fede morirà. Pertanto, in tale posizione, le opere sono necessarie per la salvezza. (Giungeremo in seguito al caso speciale delle conversioni sul letto di morte.) Quelli che credono che non si possa perdere la propria salvezza usano un espediente differente. È chiaro che molte persone che vivono inizialmente in modo molto devoto finiscono per voltare le spalle a Dio. Coloro che credono nella sicurezza eterna di solito affrontano questi casi dicendo che chi si trova in queste circostanze non aveva mai avuto una vera fede. Tuttavia, sul piano esistenziale, tale persona è indistinguibile, nel proprio periodo pio, da chi di fatto persevererà sino alla fine. Uno non può sapere se si sta meramente ingannando o se ha una vera fede. Solo la perseveranza sino alla fine, che comporta buone opere compiute per gratitudine a Dio, dimostra la genuinità della fede in tale posizione. Tuttavia, ciò non è lungi da dire che le opere sono necessarie alla salvezza, per lo meno esistenzialmente.

Inoltre, gli ortodossi sono d'accordo nel dire che la fede è la più grande delle opere. Perciò, la persona che si converte sul proprio letto di morte o sulla croce, benché non abbia opere materiali, ha di fatto l'opera della fede. Ciò non è distante, nel concetto se non nella terminologia, dalla posizione sostenuta in materia da entrambe le scuole del protestantesimo.

Non ne derivo alcuna grande teoria riguardo a ciò che avviene nei progetti eterni di Dio. Certamente, le briciole di opere della nostra vedova non aggiungono niente all'infinita riserva di bontà di Dio. E tuttavia, Egli le onora. Sulla terra, vediamo la necessità per noi stessi delle buone opere per appropriarci del libero dono di Dio che è la salvezza. Inoltrarci in speculazioni sulla funzione esatta della grazia e delle opere sembra ricondurci alla fine a questa conclusione.

 

La questione del valore delle icone nella vita cristiana

Com'è che le icone sono di beneficio al vostro cammino con Dio? Potrei procedere parlando della teologia dell'Incarnazione e di come l'apparizione di Cristo nella carne santifichi tutta la materia. Potrei raccontare di come certe parti del giudaismo nell'era del Nuovo Testamento usassero le icone, e come l'uso cristiano possa essere considerato un proseguimento della pratica ebraica della Chiesa, molto simile all'uso dei Salmi nel culto pubblico e nelle ore di preghiera (Atti 3:1), continuato fino a oggi nella Chiesa ortodossa e nei monasteri cattolici romani, e reintrodotto nel protestantesimo al Taizé, in Francia. Potrei parlare dell'importanza dell'obbedienza alla Chiesa. Tuttavia, temo che questi punti non vi impressionerebbero molto, cosicché userò un approccio differente. Le icone ci rimandano alla "grande nube di testimoni" che ci circonda. Vedere le icone ci ricorda vite cristiane eroiche e ci stimola a emularle. Per esempio, io possiedo icone dei due grandi santi missionari, i Santi Innocenzo d'Alaska e Nicola del Giappone. Questi uomini diedero tutto di se stessi al Vangelo, soffrendo molte privazioni, benché in modi differenti. le loro tecniche missionarie sono studiate ancor oggi anche dai missiologi protestanti. Vedere le loro icone dovrebbe ricordarmi (e talora mi ricorda) dell'importanza dell'opera missionaria e di dare tutto di se stessi al Regno. Ho un'icona dell'Apostolo Sila, il compagno dei viaggi di San Paolo. È il patrono del Ministero Ortodosso delle Prigioni e delle Strade, e nell'icona indossa catene di ferro. La sua icona mi ricorda di pregare per i prigionieri. Ho un'icona di San Serafino di Sarov, donatami al convento che ho visitato a San Francisco. Mi ricorda il convento. Mi ricorda pure il detto di San Serafino: "Acquisisci lo Spirito Santo, e migliaia intorno a te acquisiranno la salvezza." Potrei espandere questi esempi all'infinito. In breve, le icone fanno la stessa cosa delle Feste della Chiesa (il Natale, la Pasqua, l'Epifania che celebra il battesimo di Cristo): ci richiamano le parti importanti della storia della salvezza, una storia che continua fino a oggi. Ci ricordano che altri hanno fatto cose meravigliose per Dio, e ci incoraggiano a farle a nostra volta, sapendo da questi esempi che ne abbiamo la possibilità, se vorremo sforzarci a tal fine con l'aiuto di Dio, ma solo se siamo disposti a dare in cambio non meno di tutto. In più, le icone servono alla funzione di ritratti di famiglia. Così come ho i ritratti della mia famiglia a casa mia, e i miei genitori hanno i quadri dei loro antenati, così le icone sono i ritratti dei nostri progenitori spirituali. Le custodiamo perché amiamo e rispettiamo e abbiamo un grande debito nei confronti di coloro che ci hanno aiutato a giungere alla fede, anche se molto indirettamente, convertendo qualcuno che ha convertito qualcun altro... che ha convertito (o aiutato a rafforzare nella fede o accrescere nella propria convinzione) qualcuno che ci è stato di beneficio spirituale. Siamo tutti una famiglia, sia in cielo che in terra. I membri di una famiglia amano avere i ritratti degli altri membri della famiglia, perché vogliono loro bene. La conoscenza del mio debito mi rende molto interessato a San Bonifacio, missionario in Frisia, da dove proviene mia madre. Egli fu martirizzato là. Pertanto, ho comprato libri che parlavano di lui. I miei genitori hanno trovato del materiale che parlava di lui a Dokkum (dove fu martirizzato) mentre visitavano i Paesi Bassi. Ho nei suoi confronti un grande debito, perché fu la figura di punta della conversione dei miei antenati. Anche se non ho ancora acquistato una sua icona (la sto cercando), ho trovato alcune belle litografie nei libri che ho comprato. Vorrei acquistare un'icona, ma non ne ho ancora trovata una. Potrei commissionarne una, così come qualcuno potrebbe commissionare un ritratto di un distinto antenato, poiché si tratta del mio antenato spirituale. Tuttavia, le icone non sono solo i simboli del nostro amore. Non si limitano a richiamarci la "grande nube di testimoni", ma ci aiutano a sperimentarla. La grande nube di testimoni è là sia che ne siamo consapevoli o no. La sua presenza ci è di beneficio sia che lo comprendiamo o no, poiché la Chiesa militante e la Chiesa trionfante sono una Chiesa sola, e le preghiere in cielo ci aiutano. Tuttavia, la nostra consapevolezza della "grande nube di testimoni" ci aiuta in altri modi. Ci dà coraggio, poiché ci sono intorno a noi coloro che ci amano e che vogliono ciò che è meglio per noi. Scoraggia il vizio, poiché un ricordo che siamo circondati da coloro che ci amano ci fa desiderare di evitare di fare cose che potrebbero deluderli. Sperimentare la presenza dei santi ci richiama la presenza di Dio: una cosa che dovremmo sempre avere in mente, ma che frequentemente dimentichiamo.

 
La comunione non è un premio per il “buon comportamento”

Abbiamo discusso la vita parrocchiale e le tradizioni della Chiesa ortodossa russa all'estero con il sacerdote Alexy Chumakov, il rettore della Chiesa della Protezione della Santa Vergine a Los Angeles.

- Padre Alexy, quali differenze notano gli ordinari parrocchiani russi se partecipano alla Liturgia in una chiesa ortodossa qui in America?

- Se vengono in una parrocchia della Chiesa ortodossa russa non ci saranno molte differenze. Tenendo conto della diversità esistente di tradizioni parrocchiali, anche solo a Mosca, le nostre differenze non sono sorprendenti, anche se ci sono. Di solito la chiesa non è sempre aperta, ma si apre solo quando si tengono i servizi divini (questo delude molti di quelli che vogliono "solo mettere una candela"). I servizi si svolgono la domenica e nei giorni di feste importanti, ma non tutti i giorni. Non vi è praticamente "atmosfera parrocchiale" e la corrispondente sottocultura che è ben visibile nelle chiese russe. I parrocchiani (soprattutto le donne) di solito non seguono il codice di abbigliamento utilizzato in Russia - una gonna lunga e un abito molto semplice dal collo alto. L'enfasi principale qui è sulla formalità degli abiti, non sulla loro modestia. Qui ci si aspetta di indossare i vestiti migliori per andare alle funzioni. Invece di un fazzoletto le donne di solito indossano cappelli (se mai lo fanno). Non verrà in mente a nessuno di ammonire una donna che non ha un copricapo. Per il resto non ci sono così tante differenze se non si passa a parrocchie greche, arabe o di altri tipi.

- C'è una scuola domenicale nella vostra chiesa? Che cosa fanno i bambini?

- La nostra parrocchia è stata fondata oltre 55 anni fa e per molti decenni vi è stata in funzione una scuola domenicale in cui i bambini studiavano lingua, letteratura, storia e geografia russa e la Legge di Dio. Il numero degli alunni ha oscillato da una dozzina a una cinquantina, ma dieci anni fa la nostra scuola si è trasferita in un edificio speciale più spazioso in una chiesa russa del quartiere e quindi la nostra parrocchia non se ne occupa direttamente. Al contrario, abbiamo una più modesta scuola domenicale, a cui partecipano solo i figli dei nostri parrocchiani. Hanno entrambe quasi lo stesso programma. L'obiettivo principale di questo programma è quello di preservare un’educazione religioso-culturale. La questione riguarda in particolare quelle famiglie in cui uno dei coniugi è americano e l'altro è russo.

- Quali opere caritative si svolgono nelle vostre parrocchie?

- Nella nostra parrocchia c’è la sorellanza dedicata alla Protezione della Santa Vergine, un’associazione che è esistita fin dal primo giorno della fondazione della parrocchia. Le sorelle non solo si prendono cura della chiesa, ma preparano anche diverse cene di beneficenza. Raccolgono le donazioni per ortodossi russi russo soli, poveri e anziani sono sparsi in tutto il mondo, e che sono spesso in situazioni difficili. Le sorelle inviano loro regali per i giorni di festa, e li aiutano in qualche altro modo. Capita spesso che le persone che si trovano lontane dalla loro patria, in situazioni difficili senza denaro e lavoro, ricorrano alle sorelle. Si può a ragione considerare la vecchia regola di vita ora et labora, prega e lavora, come se fosse il motto della Sorellanza.

- I parrocchiani si riuniscono dopo la funzione a prendere il tè, per esempio? Si fanno pellegrinaggi?

- Sì, ogni domenica dopo la Liturgia la sorellanza offre una cena e del tè. A tal fine abbiamo un frutteto piuttosto spazioso e ombreggiato, che è a fianco della cucina, e ha molti tavoli. Le sorelle responsabili di questa cena cucinano più portate. Di solito si tratta di una borsch o un’altra zuppa, diverse varianti di secondi piatti e insalate, dessert, piroshky e dolci, caffè, tè e altre bevande. I parrocchiani pagano circa 8 o 10 dollari a seconda della cena, e si tengono conversazioni durante e dopo la cena. I proventi di queste cene appartengono alla sorellanza e sono utilizzati solo per fini caritativi.

Per quanto riguarda i pellegrinaggi, in questi ultimi anni sono stati organizzati in modo più centralizzato. I gruppi di pellegrini vanno in Terra Santa, Grecia, Roma, Egitto e diversi luoghi in Russia. Questo è avvenuto più volte in anni recenti. In generale, il mondo "è diventato più piccolo". Inoltre, molti parrocchiani si recano in pellegrinaggio da soli.

- La necessità della comunione frequente si sta discutendo più spesso nella Chiesa ortodossa russa. Si riconsidera la confessione frequente anche prima di prendere la Comunione per coloro che si comunicano spesso. Che cosa pensa la Chiesa russa all’estero?

- È difficile rispondere a questa domanda in generale. Come in Russia, ci sono sacerdoti che seguono idee diverse per quanto riguarda questo problema. Inoltre, abbiamo spesso a che fare con i fedeli delle altre Chiese ortodosse, per esempio, con i greci, che hanno una tradizione completamente diversa nel confessarsi e nel ricevere la comunione. Seguo le istruzioni del mio maestro di lunga data e predecessore della nostra parrocchia, il defunto vescovo Alexander (Mileant), che ha cercato di promuovere la comunione più frequente senza trascurare la confessione preliminare. Solo se una persona conduce una vita cristiana attiva e stabile, e riceve la comunione una volta alla settimana, allora è autorizzata a confessarsi una volta ogni tre settimane o quando ha qualcosa sulla coscienza. La comunione non è un premio per il "buon comportamento", ma una cura che ci può guarire; è come il pane per la nostra anima che ci può dare la forza. Dopo tutto, questo è secondo l'ordine diretto di Cristo. La confessione prima della comunione a volte è l'unica possibilità per noi di parlare seriamente con persone che raramente hanno la possibilità di andare in chiesa, di risvegliarle in qualche modo, di consolarle. Quasi ogni domenica alla confessione ci sono tre o quattro persone che non si sono confessate da oltre dieci anni, e certamente non si può rifiutare questo preziosissimo strumento della nostra pratica pastorale.

- È noto che le chiese ortodosse hanno tradizioni diverse di una regola di preghiera quotidiana. Ad esempio, i greci hanno accorciato i servizi canonici (Orthros e Compieta) con le preghiere affiliate. Quale regola di preghiera ha un parrocchiano medio della vostra chiesa?

- Non abbiamo una singola regola per tutti. I parrocchiani sono troppo differenti in termini di ordine e stato spirituale. Ci sono libri di preghiera pubblicati in Russia nella nostra libreria. Inoltre abbiamo libri di preghiere in lingua russa per coloro che non ce la fanno con lo slavonico ecclesiastico e, ovviamente, libri di preghiere in lingua inglese. Discutendo la regola di preghiera con i parrocchiani, di solito cerco di spingerli a non affrettarsi a seguire una regola lunga, ma di cercare di leggere almeno le parti più importanti dal profondo del loro cuore. So per esperienza che quasi nessuno legge "la regola dei tre canoni", ma molte persone leggono le preghiere preparatorie alla Santa Comunione, sebbene anche in questo caso molti rimangano bloccati a causa delle preghiere molto lunghe. Tuttavia, nella nostra chiesa il lettore legge le preghiere di preparazione per la Santa Comunione, mentre il clero sta ricevendo la Comunione.

- I sacerdoti in America devono lavorare per guadagnarsi da vivere? Come riescono a combinare il lavoro con il ministero?

- La maggior parte dei nostri sacerdoti ha sia il lavoro "civile" sia qualche campo di esperienza professionale. Solo i rettori delle più grandi parrocchie sono interamente coinvolti nel servizio parrocchiale e sono in grado di sopravvivere con il reddito della loro parrocchia. Di solito sia il prete che sua moglie lavorano, per non parlare dei diaconi. Non ci sono funzioni ogni giorno, quindi è del tutto possibile avere un lavoro e un ministero nella parrocchia. Stiamo cercando di trovare lavori con un programma di 'congedo aperto', naturalmente, ma non è sempre possibile. Alcuni sacerdoti lavorano per poter garantire un’assicurazione medica alle loro famiglie. Questa è molto costosa in America, tanto che solo poche parrocchie sono in grado di fornirne una a un sacerdote. D'altra parte, il lavoro civile porta sicuramente benefici. Aiuta a capire le persone, le loro preoccupazioni e problemi; porta comunicazione con il mondo laico all’esterno e aiuta anche a rimanere realisti circa la propria posizione nel mondo. Un tale lavoro può immunizzare dalla malattia del clericalismo.

- Qual è l'atteggiamento degli americani medi verso la Chiesa ortodossa? La notano? Come la trattano le autorità?

- Gli americani medi non sanno molto dell’Ortodossia, di regola. La trattano come una sorta di versione esotica, etnica del cattolicesimo. Ci sono un sacco di diverse confessioni e sfumature do cristianesimo qui. Questo problema è personale; non si accetta di discutere la fede individuale. Gli americani considerano questo soggetto come qualcosa in cui non si deve ficcare il naso.

Le autorità di qui hanno rispetto per la Chiesa ortodossa come per qualsiasi religione. Le autorità locali e la polizia ci inviano sempre inviti a diversi incontri, dibattiti e altri eventi sociali. Ci sono cappellani negli ospedali che chiedono sempre ai sacerdoti di celebrare servizi di preghiera, di dare la Comunione ai pazienti o semplicemente di parlare con loro su richiesta dei pazienti o dei loro parenti. Gli ospedali offrono di effettuare tali chiamate e cercano sacerdoti per telefono. Inoltre, abbiamo libero accesso ovunque, inclusi i reparti di emergenza; il parcheggio per i sacerdoti è gratuito. La Chiesa è separata dal governo ma non dalla società. Inoltre, probabilmente, la sua separazione dal governo ha permesso di mantenere e di rafforzare l'influenza della Chiesa nella società, in contrasto con la maggior parte dei paesi europei (ci sono più dell’80% di fedeli negli Stati Uniti).

- C'è qualche lavoro missionario che si svolge?

- Il rettore precedente della Chiesa della Protezione della Santa Vergine, il defunto vescovo Alexander (Mileant) ha composto, pubblicato e diffuso un gran numero di volantini missionari a partire dagli inizi degli anni ‘80 fino alla sua morte nel 2005. Sono disponibili sul suo sito web http://www.fatheralexander.org in diverse lingue. Anche io cerco di continuare questo lavoro, per quanto possibile. Ripubblichiamo vecchi volantini, ne modifichiamo e ne componiamo di nuovi - ce n’è veramente bisogno. Era fatto allora ed è fatto ora a nostre spese, con le nostre mani e con le mani di volontari tra i parrocchiani. Sfortunatamente, non abbiamo i mezzi per diffondere tale letteratura in grandi quantità.

- Gli americani partecipano alle funzioni? Che cosa li attrae nella Chiesa ortodossa?

- Sì, c'è stato un cosiddetto "gruppo americano" nella nostra chiesa per oltre 20 anni. Ogni Domenica viene servita al mattino presto una liturgia in lingua inglese nella navata laterale. Ci sono circa 50-60 persone a questa liturgia - questo è un numero cinque volte minore che in quella slava, ma anch’esso è abbastanza buono. Ci sono nella nostra chiesa due sacerdoti americani che non parlano russo. Gli americani vengono all’Ortodossia in tutti i modi in cui ci arrivano i russi. Qualcuno è stato attratto dall’antichità della Chiesa e dalla fede immutata. Qualcuno è stato attratto dalla bellezza della chiesa e del culto divino, qualcuno ha sposato una donna russa e si è integrato nella sua religione.

- Recentemente si sente spesso di molte persone negli Stati Uniti che entrano nell’Ortodossia. È vero?

- Probabilmente un tale movimento esiste, ed è esistito da lungo tempo, ma difficilmente può essere chiamato un movimento su vasta scala. Eppure, oggi la gente sente poco parlare dell’Ortodossia ora, e abbiamo alcuni problemi organizzativi, come al solito. Purtroppo, molti russi battezzati nell’Ortodossia si perdono dopo l'emigrazione, si fondono tra la folla. E il numero di queste persone è più alto di quello degli americani che si uniscono alla Chiesa ortodossa.

- Che difficoltà si trovano ad affrontare gli americani, se vogliono conoscere meglio l’Ortodossia?

- Il piccolo numero di persone nelle chiese ortodosse, le barriere linguistiche (non ci sono così tante parrocchie di lingua inglese e la maggior parte degli americani non conoscono alcuna lingua straniera), le divisioni tra noi basate sulla nazionalità, e un piccolo numero di monasteri.

- Cosa ne pensa, la libertà di religione negli Stati Uniti è reale? I cristiani ortodossi devono affrontare sfide a causa della loro religione?

- Io non ho affrontato sfide anche se ho vissuto qui per oltre 18 anni. Penso che la libertà di religione sia del tutto reale, anche se questa libertà è dato a tutti, anche alle persone le cui fedi o principi morali ci risultano intollerabili come cristiani ortodossi.

- Jerry Bergman, docente alla North-West University, Ohio, dice: "Se la comunità cristiana non si unisce immediatamente nella lotta per la libertà religiosa, i neonati di oggi saranno perseguitati fisicamente per il fatto di essere cristiani". È d'accordo con questa affermazione?

- Sono d'accordo, ma non del tutto. Probabilmente, Bergman intende quanto segue. I cambiamenti nella società, i cambiamenti sociali procedono con lo scostamento da quelle norme morali tradizionali che sono sempre esistite nella vita della società e delle nazioni a partire dall'età medievale. Qui intendo anche dimostrazioni pubbliche contro i simboli cristiani sponsorizzate dal governo e il trattamento dei discorsi contro gli omosessuali come "incitamento all'odio", per esempio. A volte è piuttosto difficile, per i medici che hanno a che fare con le assicurazioni pubbliche, di rifiutare di eseguire alcune procedure mediche che trovano immorali (aborti, per esempio). In generale, il cristianesimo viene sistematicamente spinto fuori della vita sociale. Certo, questo richiede una certa reazione, anche se non sono sicuro che chiunque sarà perseguitato fisicamente per essere un cristiano, anche se tutto è possibile. Tuttavia, si è notato anche nei primi secoli del cristianesimo, i nemici principali che impediscono la diffusione del cristianesimo sono i cristiani stessi, che non vivono secondo la loro religione. Così una famosa frase, "Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli", non funziona. Dopo aver scacciato la trave dal tuo occhio sarà più facile raggiungere la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello. Certo, questo non significa che i cristiani non devono fare del loro meglio per evitare la de-cristianizzazione della società.

 
Un amore sacrificale: La neomartire granduchessa Elisabetta

Una delle stelle più luminose del firmamento celeste dei Nuovi Martiri della Russia è la santa granduchessa Elisabetta. Una convertita all'Ortodossia, la sua luce ha eclissato molti di coloro la cui fede aveva così ardentemente abbracciato. Era come un sole i cui raggi penetranti riscaldano i cuori divenuti freddi e rinnovano la fede perduta di un'umanità decaduta e disperata, come a dire che non tutti hanno ceduto a un amore di sé egoista, e che ci sono ancora quei servi dell'Amore, il cui esempio punta alla vera via, alla felicità sia su questa terra sia per tutta l'eternità. Mise una legge nel suo cuore: che i forte sopportino le debolezze dei deboli. L'amore era la pietra angolare della sua vita e di tutte le sue attività. Questo amore le rese facili le cose più difficili, rese il servizio del suo prossimo una preghiera gradita, e attraverso di esso fu reso possibile il perdono dei nemici. Per il bene di questo amore, lei si è sacrificata per gli altri, adempiendo in tal modo il più grande dei comandamenti secondo l'apostolo dell'amore, che noi dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli (1 Giovanni 3:16).

Non esiste forse nessun tributo più eloquente alla santa granduchessa del ritratto spirituale così ben disegnato dal compianto metropolita Anastasij:

"Era una rara combinazione di esaltato spirito cristiano, nobiltà morale, mente illuminata, cuore gentile, e gusto raffinato. Possedeva una composizione spirituale estremamente delicata e sfaccettata e il suo aspetto esteriore rifletteva la bellezza e la grandezza del suo spirito. Sulla sua fronte giaceva il sigillo di un'innata, elevata dignità che la distingueva da quelli intorno a lei. Sotto un velo di pudore, spesso si sforzava, ma invano, di nascondersi dallo sguardo degli altri, ma non si poteva scambiare per un'altra. Dovunque appariva, ci si poteva sempre chiedere: Chi è colei che ha l'aspetto dell'alba, chiara come il sole (Cantico dei Cantici 6:10)? Ovunque andasse emanava la pura fragranza del giglio. Forse era per questo che amava il colore bianco - era il riflesso del suo cuore. Tutte le sue qualità spirituali erano rigorosamente equilibrate, una accanto all'altra, senza mai dare l'impressione di unilateralità. La femminilità era unita in lei a un carattere coraggioso, la sua bontà non portava mai alla debolezza e alla cieca, incondizionata fiducia nella gente. Anche nelle sue migliori ispirazioni del cuore aveva quel dono di discernimento che è sempre stato così altamente stimato dagli asceti cristiani..."

La Granduchessa nacque il 20 ottobre 1861, figlia della principessa Alice d'Assia e nipote della regina Vittoria d'Inghilterra, sotto la cui tutela rigorosa ricevette una vasta e pratica formazione. Sua madre morì quando lei era ancora giovane, la prima tragedia in una vita segnata dalla sofferenza interiore. Ma attraverso la grandezza di spirito, il suo dolore per l'assenza dell'amore materno fu poi trasformata in una tenera e premurosa compassione per gli altri che non avevano questo amore.

Scelta come futura moglie del granduca Sergej Aleksandrovich, la granduchessa arrivò a Mosca e si mise a imparare tutto il possibile sulla sua patria appena adottata, la sua gente e la sua cultura. Il suo cuore fu presto catturato dalla bellezza e dall profondità spirituale dell'Ortodossia che scoprì così strettamente intrecciata al ricco tessuto dell'anima russa. Non fu una semplice formalità che spinse la sua decisione di diventare ortodossa, ma una forte convinzione interiore. Nell'Ortodossia trovò piena espressione per il tipo spirituale naturale del suo carattere. Gli obblighi sociali a palazzo, tuttavia, impedivano a questa disposizione di fiorire, anche se in linea con la sua nuova posizione fu in grado di dedicare più tempo ad attività filantropiche. Fu solo con il tragico assassinio del marito nel 1905, che la Provvidenza le concesse la possibilità di recedere dal tumulto di un mondo che la sua anima trovava così faticoso. Ma per la sua paziente sopportazione aveva già raggiunto una misura di perfezione cristiana. Questo era evidente nel suo pronto perdono dell'assassino di suo marito, che si spinse a visitare, nella speranza di intenerire il suo cuore. Sulla croce commemorativa eretta sul luogo della morte del marito, fece iscrivere le parole del Vangelo, Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno. Aveva già iniziato la salita per la scala della virtù cristiana.

Ignorando lo scandalo provocato da una simile mossa, la granduchessa lasciò gli appartamenti reali e si stabilì in un edificio che aveva acquistato a Ordinka. Qui, con il consiglio degli anziani dell'eremo di Zosima in cui si era posta in totale obbedienza, gettò le basi per una sorellanza che combinava in sé le fatiche ascetiche della vita monastica e le opere di carità. Questo rifugio tranquillo nel bel mezzo di una città vivace fu dedicato a Maria e Marta, le sorelle di Lazzaro, le cui due nature di servizio e di preghiera erano così meravigliosamente intrecciate nella missione della nuova comunità. "Essere non di questo mondo e allo stesso tempo vivere e agire nel mondo per trasformarlo - questa era la base su cui desiderava stabilire il suo convento".

La Granduchessa fu personalmente coinvolta in tutti i progetti per gli edifici della comunità, che riflettevano le sue raffinate sensibilità estetiche. La chiesa principale fu costruita nel tradizionale stile di Novgorod-Pskov e dipinta dal noto artista russo Nesterov. Le austere pareti bianche erano bilanciate da squisite decorazioni scolpite. L'armonia architettonica degli edifici, l'atmosfera tranquilla, la bellezza delle funzioni religiose - tutto si combinava per sollevare l' anima stanca dalle preoccupazioni terrene e dare un assaggio di paradiso. Anche i membri della società russa contemporanea, lontani dalla Chiesa, la cui rieducazione spirituale era una grande preoccupazione della granduchessa, erano attratti da questa comunità unica.

 

La chiesa della santa Protezione al convento della Misericordia di Marta e Maria

"Non è sorprendente che il convento sia rapidamente sbocciato e abbia attirato molte sorelle dall'aristocrazia così come dalla gente comune. Un ordine quasi monastico regnava nella vita interna della comunità e dentro e fuori dal convento le attività della Granduchessa consistevano nella cura di coloro che visitavano i malati alloggiati nel convento, nell'aiuto materiale e morale dato ai poveri, e in un ospizio per bambini orfani e abbandonati che si trovano in ogni grande città. La Granduchessa prestava particolare attenzione ai bambini sfortunati che portavano dentro di sé la maledizione dei peccati dei loro padri, i bambini nati nei torbidi quartieri poveri di Mosca solo per appassire prima che avessero la possibilità di fiorire. Molti di loro furono portati in un orfanotrofio costruito per loro dove potevano rapidamente rivivere spiritualmente e fisicamente. Per altri, fu stabilita una vigilanza costante al loro luogo di residenza. Lo spirito di iniziativa e di morale che accompagnava la granduchessa in tutte le sue attività, la ispirò e la spinse a cercare nuove vie e forme di attività filantropica, che a volte riflettevano l'influenza della sua terra d'origine occidentale, e delle sue organizzazioni avanzate per il miglioramento sociale e l'aiuto reciproco... "

Dovunque ci fosse un bisogno la granduchessa cercava di rispondere, e solo il suo spirito forte è era in grado di proteggerla dal totale easurimento fisico per tutto ciò che nella sua volontà era pronta a intraprendere. Tutte le sue attività, tuttavia, non la facevano deviare dalla "sola cosa necessaria", e mentre serviva il più piccolo dei fratelli di Cristo, era sempre ai piedi di Cristo, ad ascoltare le sue parole.

Le tribolazioni dolorose che hanno visitato la Russia quando la rivoluzione ha steso la sua ombra sulla terra fecero solo brillare più luminose le sue virtù di amore e di sacrificio di sé. Insieme a sua sorella minore, l'imperatrice Alessandra, fu calunniata, a causa del suo sangue tedesco. Ma non nutrì rancore né odio verso i suoi nemici, e anche i rivoluzionari riconobbero la sua grandezza di spirito e risparmiarono lei e la sua comunità per un certo tempo.

 

Reliquie di santa Elisabetta

Alla fine, comunque, la corona del martirio giunse su di lei. Alla Pasqua del 1918, la granduchessa fu improvvisamente arrestata e portato prima a Ekaterinburg e poi a Alapaevsk dove, con la sua sempre fedele consorella Barbara, fu imprigionata in una delle scuole della città. Nella fatidica notte del 5/18 luglio, insieme ad altri prigionieri reali, fu portata in automobile fuori città e gettata viva nel pozzo di una miniera. Anche qui, nelle viscere della terra, non smise di manifestare il suo amore sacrificale. Gli scavi dimostrarono che fino all'ultimo momento si era impegnata per soccorrere i granduchi gravemente feriti per la caduta.

Finalmente i suoi preziosi resti - che, secondo testimoni oculari sono stati trovati nella miniera completamente intatti dalla corruzione - sono stati accolti con trionfo a Gerusalemme e deposti in un sepolcro della chiesa di santa Maria Maddalena, appena sopra la collina da Betania dove le sorelle Marta e Maria avevano servito e glorificato il Signore.

(Citazioni da "La santa neomartire, granduchessa Elisabetta Feodorovna", del Metropolita Anastasij, in Orthodox Life, settembre - ottobre 1981).

 
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Una parabola - la conversazione di un uomo con Dio

Dio risponde sempre alle preghiere? Ebbene sì, le preghiere sono SEMPRE esaudite... anche se non sempre nel modo che noi vorremmo. Dal sito russo Смысл жизни (Smysl zhizni, “Il senso della vita”), presentiamo un testo breve ma intenso nella sezione “Preghiera” dei documenti, nell’originale russo e nella traduzione italiana.

 
6 modi per essere un padrino di qualità

Quale sarà il compito di un padrino dopo il battesimo? Forse il compito del padrino richiede una montagna di soldi per poter acquistare per i figliocci doni speciali in continuazione? O l'aspetto spirituale è più importante?

Mio fratello e sorella hanno avuto padrini di qualità, che mandavano loro regali a ogni festa, a volte con koulourakia e kourabiedes fatti in casa. Il mio padrino non era così attento, anche se so che mi voleva bene e si prendeva cura di me. Era scapolo, e non sapeva come essere un buon padrino. Crescendo, mi sentivo tagliata fuori. Ora, non mi preoccupo più tanto, ma credo che sia importante per padrini sapere quale impatto possono avere sulla vita dei loro figliocci. È fondamentale avere un legame con loro.

Dal momento in cui accettate il dovere e il ruolo di padrini, diventate una persona speciale nella vita di quell'adulto o di quel bambino. Siete parte della famiglia.

1. Riconoscete questo ruolo ogni volta che li vedete. Fate tutto il possibile per mostrare loro affetto ed essere coinvolti nella loro vita. Questo non solo significa qualcosa per i loro genitori, ma anche loro cresceranno vedendovi come un esempio spirituale e qualcuno che pensa a loro e si prende cura di loro.

2. Pregate per loro. Come padrini, il vostro compito è di intercedere per loro e chiedere a Dio di aver cura di loro nel loro viaggio attraverso la vita. Non prendete questo compito alla leggera. Ricordateli ogni giorno nelle vostre preghiere.

3. Ricordateli in occasione delle feste, dei loro compleanni e dei loro onomastici. La madrina di mia figlia maggiore manda messaggi di auguri, telefona e viene in visita regolarmente. I padrini di mia figlia minore le inviano e-mail e regolarmente le fanno regali ben studiati. Entrambi i padrini delle mie figlie hanno sempre pronto un grande abbraccio e un bacio per le loro figlioccie quando le vedono. Invece di doni materiali, alle mie figlie danno spesso libri spirituali e tutte quelle cose che le aiutano a essere più vicine a Dio, come i braccialetti di corda da preghiera. Se siete a corto di soldi, va bene. La cosa principale è prendervi il tempo di andare da loro – che si tratti di un biglietto, una telefonata, o un piccolo regalo poco costoso che dice che vi preoccupate. Ciò che conta è che troviate il tempo.

4. Non prendete troppi figliocci. Questa è una regola dura. Mio marito e io abbiamo un sacco di figliocci, e abbiamo sponsorizzato un sacco di matrimoni e di nuovi convertiti all'Ortodossia. Non mi pento di aver detto di sì a nessuno. Tuttavia, se non siete sicuri di avere tempo da passare con un potenziale figlioccio, potreste volerci pensare due volte prima di accettare un invito a essere un padrino. È difficile dire di no, ma non è neanche giusto sponsorizzare qualcuno se non si può essere coinvolti nella loro vita.

5. Siate fonte di ispirazione e di buon esempio. Andate in chiesa. Regolarmente! Portate i vostri figliocci alla comunione, parlate con loro ogni domenica. Invitateli (con le loro famiglie) in chiesa. Siate lì per loro quando hanno bisogno di voi.

6. Non scomparite. Non posso dirvi quante storie ho sentito di persone che stanno male perché la persona che ha portato al battesimo il loro bambino non si tiene in contatto con loro o con i loro figliocci. Non fatelo! È doloroso e fa pensare alla gente pensa che non ve ne curate. Se siete occupati, fate quello che potete. È meglio che non fare nulla.

Essere un padrino è una grande benedizione. È una delle tante cose impressionanti dell'essere ortodossi. Non solo avete la vostra famiglia, ma avete questa enorme famiglia allargata, che è la famiglia che vi è affidata da Dio. Saper essere un padrino di qualità rende la vita più felice e più spiritualmente appagante per voi e per i vostri figliocci.

 
Tre Sorrisi: Sul ventesimo anniversario degli omicidi di Optina

Il 18 aprile del 1993, tre monaci sono stati uccisi durante la notte pasquale a Optina Pustyn: lo ieromonaco Vasilij (Rosljakov, n. 1960) e i monaci Ferapont (Pushkarev, n. 1955) e Trofim (Tatarnikov, n. 1954). Georgij Gupalo, che conosceva tutti e tre i monaci ed era lì la notte della loro uccisione, offre i seguenti ricordi.

Da sinistra a destra: monaco Ferapont, monaco Trofim e ieromonaco Vasilij

Venti anni sono passati dagli omicidi a Optina Pustyn, quando tre uomini buoni sono morti e sono nati tre santi martiri. Mi è capitato di essere in quel giorno a Optina, a vedere la morte di padre Trofim, e di calare le tre bare nella terra umida di primavera a Kaluga. Molto è accaduto negli anni successivi, ma mi sembra di poter ricordare in dettaglio ogni momento di quella tragedia, dal momento che ha scosso tutti i testimoni.

Il mio breve resoconto parlerà di diversi momenti di quel grande giorno.

Non vivevo più a Optina, ma ero venuto per una visita a Pasqua. La sera prima di Pasqua era bella e tranquilla: il tramonto del sole rosso, diffondendo incantevoli, colori caldi, non lasciava alcun presentimento a riguardo. Era anche strano che, nonostante il rossore, non poteva essere chiamato un tramonto di sangue, tanto era dolce e piacevole agli occhi. Nulla faceva presagire guai, anche se il problema era già nelle vicinanze, vicino a ciascuno di noi. L'assassino aveva preparato il suo crimine e aspettava solo una spinta dalla "voce a cui non poteva disobbedire." Era a Optina, vicino, molto vicino, e cercava la sua preda. Ma nessuno lo sapeva, nessuno ne aveva alcuna idea.

Lo ieromonaco Vasilij

Passeggiando intorno al monastero, ho notato padre Vasilij che lasciava la cattedrale dell’Ingresso al tempio della Madre di Dio. Era in piedi all'ingresso nord della chiesa e ammirava la bellezza del tramonto. E io, a mia volta, mi sono fermato e ho cominciato ad ammirare il paesaggio con lui incluso: un bel monaco a fianco della chiesa candida come la neve. Russo, magro, atletico, tranquillo e silenzioso, saggio al di là dei suoi anni, chiaramente la gloria futura di Optina.

Molti anni dopo, diventerà ancora più saggio e più esperto. Migliaia di persone verranno a lui per consiglio e conforto. Diventerà un nuovo anziano di Optina. Dopo tutto, ci era stato promesso che ci sarebbero stati sette luminari. Forse sarà uno di loro. "Oh, quanto è bravo, questo guerriero di Cristo", ho pensato. "Voglia Dio, mio caro, che tu non abbandoni il sentiero, che tu rimanga un uomo, e che accumuli sapienza e amore, donandoli al popolo di Dio". Padre Vasilij, intuendo che qualcuno lo stava osservando, si è voltato, sorridendo quando mi ha visto. Non ci vedevamo da qualche mese. Ci siamo scambiati un inchino da lontano e abbiamo deciso di rimanere tranquilli. Ma il suo sorriso, il suo sorriso radioso, è affondato nella mia memoria e ora vivrà con me fino alla mia morte.

È iniziata la funzione. I fratelli del monastero sono entrati in chiesa, padre Ferapont tra di loro. Nessuno aveva fatto amicizia con padre Ferapont. Questo non era affatto perché fosse una persona cattiva o meschina. Era semplicemente perché, nonostante la sua giovane età e poca anzianità nel monachesimo, era riuscito a diventare un vero monaco: non apparteneva a nessuno dei gruppi o circoli di interesse che spesso si formano nei monasteri, ma viveva una vita monastica molto nascosta e genuina, senza litigi o conflitti, senza conversazioni vuote attorno a tazze di tè o pettegolezzi durante le obbedienze. La vita di questi monaci è di solito descritta dalla bella parola russa sokrovennoj [nascosto], come indicato nell’apostolo: cercate piuttosto di adornare l'interno del vostro cuore con un'anima incorruttibile piena di mitezza e di pace: ecco ciò che è prezioso davanti a Dio (1 Pietro 3:4).

Monaco Trofim

Padre Trofim è entrato in chiesa. Era arrivato un po’ tardi al servizio, in quanto aveva lavorato molto alle pulizie. Dalla mattina fino a tarda sera poteva essere visto su un trattore o dietro a una motozappa. Era sempre allegro, energico, e incredibilmente vivo - l'esatto contrario del riservato e silenzioso padre Ferapont. Intorno a padre Trofim ribolliva sempre la vita e il lavoro erain piena attività. Aveva molti amici, era una persona molto socievole e ottimista. Si è avvicinato al kliros [coro] di sinistra, dove mi trovavo, ha sorriso con il suo sorriso aperto, e abbiamo calorosamente scambiato abbracci e baci. Un rapido scambio di notizie, strette di mano ferme. Chi avrebbe immaginato che in poche ore non sarebbe più stato tra i vivi? Vivace, energico, allegro. Beh, non poteva morire giovane. Aveva ancora molti, molti anni davanti a lui. Ma l'uomo propone e Dio dispone.

Così questi tre sorrisi si sono bloccati nella mia memoria. Così diversi, ma ognuno tanto bello a modo suo. Più tardi ci sono stati sorrisi diversi, e si sono impressi ancora più saldamente nella mia memoria.

La liturgia pasquale si è conclusa. Tutti i fratelli sono andati al refettorio, hanno rotto il digiuno, la maggior parte è andata a riposarsi un po', e i campanari Trofim e Ferapont sono andati al campanile, mentre padre Vasilij è andato alla Liturgia presso lo skit a confessare la gente. Io ero allo skit in questo momento, e mi riposavo nella cella del superiore. La liturgia allo skit era appena iniziata quando qualcuno ha bussato alla porta. I colpi sono divenuti più insistenti e ho deciso di aprire la porta. Sulla soglia stava la guardia della foresteria dello skit in uno stato terribilmente nervoso. Mi ha detto che c'era stato un omicidio nel monastero - che alcuni monaci erano stati uccisi. Aveva ricevuto una telefonata dalla guardiola del monastero e gli era stato chiesto di avvisare il superiore e tutti i fratelli dello skit. Ho portato la guardia in chiesa, ho raccolto le mie cose e sono andato al monastero. C'era qualcosa di assurdo nella notizia: come poteva esserci un omicidio nel monastero, a Optina?! Era un’evidente assurdità e uno scherzo di cattivo gusto. Chi poteva sapere che l'assassino era in quel momento sul marciapiede con me, solo nascondendosi tra i cespugli e diretto dalla parte opposta?

Optina era deserta. Nessuno poteva nemmeno aver visto l'assassino, in quanto tutti se n’erano andati. Avendo sentito parlare del delitto, i fratelli hanno cominciato a radunarsi. La prima cosa che ho visto è stato padre Ferapont. Era sdraiato sul campanile, trafitto da una spada corta costruita da paraurti di automobili. Come si è poi scoperto, "lavorare" con una tale arma è molto difficile - si deve possedere una forza enorme o un grande addestramento.

Il killer, Averin, era gracile, ma qui era stato chiaramente assistito dal vero ed eterno assassino dell'uomo. Solo questa forza disumana può spiegare la forza del colpo di Averin: oltre al corpo, la cintura monastica di cuoio era stata trafitta in tre punti. Dopo aver inflitto un unico colpo direttamente nel fegato, ha lasciato cadere il corpo di Ferapont a terra e gli ha coperto la testa con il suo klobuk. Lui stesso non ha saputo spiegare perché lo ha fatto. Poi si è rapidamente alzato e, con un secondo colpo, ha ferito a morte padre Trofim. Non è nemmeno riuscito a capire che cosa stava succedendo: entrambi i monaci erano in piedi quasi schiena a schiena e Trophim non aveva visto quello che era successo. Ha sentito solo che il suono delle campane si era fermato e si è voltato verso il suo compagno, ma era già troppo tardi - la lama fredda, insanguinata, aveva trafitto il suo fegato. Averin ha lasciato cadere anche Trofim, ha coperto anche a lui la testa con il klobuk, e poi con calma si è diretto verso lo skit, sulla scia di padre Vasilij. Un terzo colpo, e una terza persona è caduta a terra. Poi l'assassino è corso dietro la casa vicino alla torre dello skit, ha gettato lì la sua terribile spada, ha scavalcato la recinzione ed è corso nel bosco. Tre pellegrine hanno potuto appena distinguere una figura in fuga vestita con un cappotto grigio. Non c'erano altre tracce o segni (a parte la spada). Ma il terzo giorno un’imboscata stava aspettando Averin nella sua casa e una caccia all'uomo era in corso nei boschi vicini. (Da allora ho saputo per certo che se le nostre autorità vogliono risolvere un omicidio, allora possono farlo in fretta. Lo possono fare (e lo potevano fare allora), se lo vogliono.

I monaci Ferapont e Trofim

Non ho visto l'omicidio in sé, ma padre Trofim è spirato tra le mie braccia. Il suo volto era pieno di tristezza e di dolore. Era evidente che stava provando una grande sofferenza. Si è dipartito tranquillamente. Si è semplicemente fermato - ed è stato tutto. Padre Vasilij è sopravvissuto più lungo, morendo in ambulanza sulla strada per Kozelsk. Il suo corpo atletico ha fatto di tutto per resistere alla morte, ma la ferita era troppo profonda.

Più tardi è arrivata la polizia, sono iniziate le indagini, e tutti i morti sono stati portati via per le autopsie. Dopo qualche ora sono stati portati alla Chiesa di sant’Ilarione. Per quanto mi ricordo, ero l'unico laico presente a queste prime preghiere presso i corpi dei fratelli uccisi; ho visto i loro corpi, mentre ancora scoperti, senza paramenti. Secondo la tradizione, i laici non dovrebbero essere presenti alla vestizione dei monaci, ma è stata fatta un'eccezione per me. E sono grato di essere stato presente a queste preghiere. Credetemi, non ho mai più visto o sentito niente di simile. Prima di tutto, dovrei dire qualcosa sui volti dei fratelli uccisi.

Sapete cosa mi ha colpito allora? Tutti e tre sono morti in terribile agonia, di dolore inimmaginabile, e al momento della morte, questo dolore è rimasto sui loro volti. Ma poi sono passate un paio d'ore e ho visto facce completamente diverse. Potrebbero anche essere chiamati volti iconici [liki], tanto erano brillanti e luminosi. Questa non era solo la mia percezione esaltata: tutti hanno notato la strana trasfigurazione dei loro volti. C'era un sorriso luminoso, silenzioso, pacifico su ognuno di esse. Molto riposante e fiducioso. C'era la sensazione che avessero visto qualcosa di gioioso. La cosa sorprendente è che lo spirito ha lasciato il corpo, ma lo ha trasformato dopo la morte. Questi sono i tre sorrisi di cui ho parlato all'inizio del mio racconto. Sono questi i sorrisi che non dimenticherò mai. Qui c’è una prova evidente dell'esistenza della vita dopo la morte.

È difficile esprimere a parole lo stato dei fratelli del monastero. Penso che qualcosa di simile deve essere stato provato dagli Apostoli dopo l'esecuzione di Cristo e dai discepoli degli anziani di Optina dopo le morti di questi ultimi. Da un lato, orrore per quanto era avvenuto e l'amarezza della separazione, ma, d'altro canto, gioia per loro fratelli. Dopo tutto, erano ormai tutti davanti al Trono di Dio. Hanno iniziato a celebrare la Pasqua sulla Terra e l’hanno completata nel Cielo. E crediamo che là la loro gioia pasquale sarà eterna. Hanno meritato con la loro vita terrena, di essere fatti degni di accettare la corona del martirio.

Quella sera molti hanno pronunciato queste parole: Non sono stato trovato degno, a causa dei miei peccati.

***

Prima di scrivere queste brevi memorie, ho trovato una trascrizione del discorso tenuto dallo ieromonaco Teofilatto di Optina al funerale dei monaci di Optina uccisi. Non so quanto sia accurata la trascrizione, ma è molto fedele nella sostanza e trasmettere molto bene le nostre esperienze di quei giorni:

Il funerale dei tre monaci uccisi

"Oggi stiamo compiendo qualcosa di insolito, miracoloso, e meraviglioso... Ogni cristiano che conosce bene l'insegnamento della Chiesa sa che chi muore a Pasqua non si limita a morire, che non vi è nulla di casuale nella nostra vita. Andare al Signore nel giorno della Santa Pasqua è un particolare onore e una misericordia del Signore. Dal giorno in cui sono stati uccisi i tre fratelli, la campana di Optina Pustyn ha suonato in modo diverso. Preannuncia non solo la vittoria di Cristo sull'Anticristo, ma anche che ora la terra di Optina Pustyn è stata abbondantemente irrigata non solo con il sudore di asceti e monaci, ma anche con il sangue dei fratelli di Optina. Questo sangue è una speciale protezione e di testimonianza per la storia futura di Optina Pustyn. Ora sappiamo che abbiamo intercessori speciali davanti al trono di Dio ".

 
Perché non ci scandalizziamo

Conosco due o tre persone che riescono solo a fare pettegolezzi su individui e eventi marginali nella vita della Chiesa, quanto più scandalosi, tanto meglio per quanto li riguarda. Io cerco di evitarli perché le loro conversazioni e persino, in un caso, un blog, sono così negativi. Essi mi accusano pertanto di essere ingenuo. Di fatto potrei raccontare loro molto più scandali di quelli di cui essi sono a conoscenza. Ma non li racconto e anzi cerco di dimenticare ciò che conosco e gli scandali di cui sono stato personalmente vittima. Perché?

Innanzitutto, credo nell'essere edificante per quanto possibile. Esiste anche il letame, io ma preferisco trascorrere del tempo con le api che raccolgono il nettare dai fiori piuttosto che andare con le mosche. Se ripetiamo storie negative, macchieremo solo le nostre anime e le anime degli altri.

In secondo luogo, supponiamo che alcune di queste storie siano solo calunnie. Ripetendo calunnie, non faremo che macchiare le nostre anime e le anime degli altri.

In terzo luogo, tali storie non riescono a considerare la realtà in proporzione. In ogni cesto di mele ci sarà sempre una mela marcia, ma gli amanti degli scandali e dei lanci di fango danno l'impressione che tutte le mele nel cestino siano bacate. Ecco perché gli amanti degli scandali sono così deprimenti. Sono così intenti a guardare l'oscurità che non riescono a vedere la luce. La disperazione è il loro destino.

In quarto luogo, coloro che si occupano di scandali soffrono di malattie spirituali e psicologiche, di malattie dell'anima, che non condivido e non voglio condividere. Se vogliono dimostrare la loro conoscenza, allora soffrono di vanità. Se le loro rivelazioni li fanno sentire superiori, allora soffrono di orgoglio. In ogni caso soffrono di un amore per la sporcizia che rende le loro anime ciniche, dure, aride e ipercritiche. Rischieranno di perdere la loro fede già debole. Questo non è il cammino verso la salvezza.

Noi non ci scandalizziamo, perché siamo cristiani ortodossi. Noi andiamo in Chiesa non per un vescovo o un sacerdote, ma per amore di Cristo. Non seguiamo le preoccupazioni degli uomini, ma gli insegnamenti di Cristo, della sua santa Madre e dei suoi santi.

 
Qual è la Bibbia della Chiesa Ortodossa?

La Chiesa Ortodossa usa come base dell'Antico Testamento la versione detta dei Settanta (indicata con la sigla del numerale romano, LXX), ovvero il testo alessandrino in greco, risalente al terzo secolo prima dell'era cristiana. Questa, assieme al Nuovo Testamento greco (il textus receptus che è rimasto immutato - per lo meno nella versione greca - fino a oggi), è la Bibbia che gli ortodossi ritengono ispirata.

Nel mondo protestante (e più recentemente in certe tendenze esegetiche all'interno del cattolicesimo romano) si è venuta a radicare l'idea che il testo ispirato dell'Antico Testamento sia quello originale ebraico, che oggi si vuole ravvisare nel Testo Masoretico (T.M.). La conseguenza è quella di ridurre la LXX a una mera creazione umana.

La Bibbia dei Settanta, indubbiamente opera di ebrei (per quanto commissionata da un'autorità statale pagana), rivela non solo i pensieri dei traduttori, ma anche il loro sforzo di esprimere le Scritture in una lingua che fino a quel punto non aveva parole appropriate per molte idee religiose del popolo ebraico. È proprio a causa di queste difficoltà di traduzione che si fa strada - a partire dalle parole nel prologo del libro del Siracide fino alle teorie di san Girolamo - l'idea che il testo ebraico vada conservato come base di ogni futura traduzione dell'Antico Testamento. Purtroppo, questa soluzione crea più problemi di quanti ne risolva.

Innanzitutto, la versione dei Settanta possiede una serie di libri (soprattutto sapienziali) che non si trovano nelle precedenti versioni in ebraico (il cosiddetto canone palestinese) dell'Antico Testamento. Questi testi, detti deuterocanonici, ovvero del solo "secondo canone" (alessandrino) delle Scritture, sono espunti da ogni Bibbia cristiana che pretenda di rifarsi al solo testo originale ebraico. In questo modo, però, non si tiene conto che i testi deuterocanonici facevano davvero parte delle Sacre Scritture per una consistente parte del popolo ebraico, e che vengono citati come tali anche nel Nuovo Testamento. La loro esautorazione è frutto di decisioni prese nel mondo ebraico dopo la nascita della Chiesa cristiana, e tali decisioni non furono immuni da intenti polemici con i cristiani.

Al tempo della nascita del Signore, la LXX era la versione comunemente diffusa dell'Antico Testamento, anche in Palestina, dove nessuno metteva in dubbio la sua autorità. Non è pertanto una sorpresa che, al momento della stesura dei propri scritti, gli Apostoli l'abbiano usata di frequente per fare le citazioni (circa l'80% di quelle presenti nel Nuovo Testamento). Questo stesso fatto - assieme alla maggiore aderenza teologica (se non testuale) delle traduzioni della LXX ai fondamenti della fede cristiana - richiama il valore dell'ispirazione dell'Antico Testamento greco alla luce dell'ispirazione del Nuovo Testamento.

La LXX ha una evidente connessione con il Nuovo Testamento quanto a fraseologia generale: un punto che deve essere considerato per chi desidera fare una valutazione adeguata del linguaggio biblico. In molti passi neotestamentari, anche se non vi sono dirette citazioni, si ritrova l'uso di catene di espressioni prese da parole e frasi della LXX.

Bisogna tenere altresì presente la crescente avversione degli ebrei, che fino ai tempi di Cristo avevano trattato la LXX con grande venerazione (come testimoniano gli scritti di Filone e Giuseppe Flavio), quando si accorsero il testo poteva essere usato contro di loro nelle argomentazioni teologiche. Il loro tentativo di privare il testo di ogni autorità segnò un ulteriore distacco dai cristiani provenienti dal paganesimo, che generalmente non avevano familiarità con la lingua ebraica. Allo stesso modo, il rigetto della LXX da parte degli ebrei veniva visto dai cristiani come prova di irriverenza e di cecità.

Un altro punto da considerare è la datazione storica dei testi giunti fino a noi: la LXX, per quanto molto posteriore al testo ebraico nella sua stesura iniziale, è oggi attestata in manoscritti (come il Codice Vaticano a Roma, i Codici Alessandrino e Sinaitico al British Museum, e i frammenti Washington e Chester Beatty) che precedono di oltre sei secoli la versione più antica del Testo Masoretico (il Codice di San Pietroburgo) oggi conservata.

La scoperta dei rotoli del Mar Morto a Qumran, da alcuni salutata come il trionfo dell'autorevolezza del Testo Masoretico, ha di fatto riproposto il problema dell'importanza della LXX presso gli ebrei ai tempi di Cristo: infatti, circa il 5% dei testi biblici in ebraico di Qumran segue la versione della LXX, con una sorprendente aderenza testuale. Questo potrebbe indicare che l'autorità della LXX era tale da giustificare una sua ri-traduzione letterale nella lingua di origine.

Una delle ragioni per un ritorno all'uso della LXX è la comprensione dei Padri della Chiesa. Molte allusioni nei loro scritti sono totalmente incomprensibili al di fuori di una familiarità con il testo dei Settanta, e senza questa base di partenza non si riesce più a seguire importanti discussioni dottrinali (come quelle relative alla controversia ariana).

Sul cammino ecumenico, bisogna ragionare attentamente sul fatto che gli sforzi di introdurre versioni dell'Antico Testamento basati sulla versione ebraica hanno incontrato presso i cristiani d'Oriente un completo fallimento. Una delle ragioni portate da San Girolamo per la preferenza al testo ebraico dell'Antico Testamento (che egli usò per la sua Vulgata latina) era la necessità di mantenere una continuità di dialogo con gli ebrei. Sarebbe quanto meno deludente che le stesse ragioni portassero a un'impasse nel dialogo tra i cristiani.

 
Perché i cristiani ortodossi preferiscono la Bibbia dei Settanta

Prefazione

Lo scopo di quest'articolo è di spiegare ai nostri fedeli, in modo semplice e facilmente comprensibile, alcune delle differenze che esistono tra il testo (masoretico) dell'Antico Testamento utilizzato dalla maggior parte dei cattolici e dei protestanti di oggi e il testo dei Settanta dell'Antico Testamento usato dai cristiani ortodossi sin dal tempo di Cristo. In tutto, ci sono circa 300 differenze testuali tra il testo masoretico e quello dei Settanta, alcune delle quali importanti e alcune insignificanti. Quest'articolo spiegherà perché i cristiani ortodossi preferiscono la Settanta, nonostante alcuni passaggi certamente belli ed eloquenti presenti nel testo masoretico. Gli articoli del metropolita Ephraim sono stati originariamente pubblicati in Internet nella primavera del 2009, e appaiono qui in una forma leggermente modificata e ampliata.

1. Onora il medico

Nella Sapienza di Siracide, si dice:

"Onora il medico come si deve secondo il bisogno, anch'egli è stato creato dal Signore... La scienza del medico lo fa procedere a testa alta, egli è ammirato anche tra i grandi. Il Signore ha creato medicamenti dalla terra, l'uomo assennato non li disprezza... Dio ha dato agli uomini la scienza perché potessero gloriarsi delle sue meraviglie. Con esse il medico cura ed elimina il dolore e il farmacista prepara le miscele. Non verranno meno le sue opere! Da lui proviene il benessere sulla terra". (Sapienza di Siracide 38:1-8).

Quando ero un bambino di circa sette o otto anni, in California, uno dei miei compagni di gioco [che era protestante] mi chiese se volevo venire a casa sua quella sera per una classe sulla Bibbia. Dal momento che mia madre spesso mi leggeva le storie della Bibbia, e mi piacevano, ero molto propenso ad andare a casa del mio amico quella sera. Ma prima dovevo ottenere il permesso della mamma. Più veloce di quanto potessero dirmi, corsi a casa a prendere il permesso dalla mamma. Lei ascoltò il racconto dell'invito del mio amico, e poteva vedere che ero ovviamente entusiasta. Poi piegò la testa in segno di disapprovazione, e disse: "No, non sono d'accordo. Vedi, figlio, loro non hanno la nostra stessa Bibbia". "Oh, che sciocchezza! Dai, mamma! Andrà tutto bene!" Insistetti. "No, non credo che andrà bene. Ti comprerò un libro con alcune storie della Bibbia", concluse, ribadendo saldamente la sua convinzione.

Sono uscito dalla porta sul retro, imbronciato e pensando tra me e me, "Ha detto che non hanno la nostra stessa Bibbia solo perché non vuole che io vada alla classe sulla Bibbia".

Ma la mamma aveva ragione.

Era una donna semplice. Non era molto istruita, ma era tagliente come una lama [doveva esserlo: aveva dato alla luce sette furfanti, ed è stato solo a prezzo di sforzi disperati e sovrumani che è stata in grado di impedire a due di loro, in particolare, di compromettere l'intero quartiere. Era solita dirmi: "Se tu fossi stato un asino da giovane, saresti morto per le botte che hai ricevuto!"] Comunque, ritorniamo al tema principale della nostra storia.

Aveva ragione, naturalmente, sui non ortodossi che hanno una Bibbia diversa. Con la parola "diverso", poteva voler dire due cose: 1] i libri nelle Scritture non ortodosse sono di fatto diversi da quelli che abbiamo nelle nostre Scritture [e questo è vero], oppure 2] i protestanti e i cattolici romani interpretano i libri delle Sacre Scritture diversamente da noi [e anche questo è vero]. La citazione che è stata utilizzata all'inizio di questo articolo è un esempio calzante. La Sapienza di Siracide [o Ecclesiastico] non si trova nella Bibbia protestante, ed è uno dei libri che i cattolici chiamano "deuterocanonici" [qualunque cosa vogliano dire con questo termine]. La cosa strana, però, è che, al tempo del nostro Salvatore, il popolo ebraico onorava questi testi come "Sacre Scritture". Prova di ciò sono le numerose citazioni di questi libri sacri che si trovano nel Nuovo Testamento. Inoltre, se i protestanti non avessero respinto così tanti libri delle Sacre Scritture, non avrebbero potuto mai sorgere tra di loro le strane sette del XIX secolo come i cosiddetti scientisti cristiani, che, come sappiamo, rifiutano l'uso della medicina umana - spesso con risultati disastrosi.

Dopo tutto, chiara come una campana, la Sapienza di Siracide ci insegna:

"Onora il medico con l'onore a lui dovuto per il bisogno che puoi avere di lui: il Signore lo ha creato..."

Ci sono anche altri insegnamenti preziosi in questi libri sacri. Per esempio, c'è un testo profetico che, in meno di cinquanta parole, riassume l'intero scopo dell'incarnazione del Figlio di Dio. In una frase, infatti, risponde alla domanda: perché Dio si è fatto uomo? Questo testo meraviglioso è nel libro, la Sapienza di Salomone, e nei termini più chiari possibili ci dice:

"Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose, e la notte era a metà del suo corso, la tua parola onnipotente dal cielo, dal tuo trono regale, guerriero implacabile, si lanciò in mezzo a quella terra di sterminio, portando, come spada affilata, il tuo ordine inesorabile". (Sapienza di Salomone, 18:14-15)

Di fatto, noi abbiamo una Bibbia molto diversa da quella dei nostri amici cristiani non ortodossi.

Grazie, mamma.

2. La neutralizzazione degli inferi

Se cercate di parlare con qualcuno della "neutralizzazione degli inferi", il vostro interlocutore potrebbe davvero non sapere di che cosa state parlando. D'altra parte, se faceste riferimento al "tormento dell'inferno", la gente potrebbe capire oppure no. I cristiani ortodossi la conoscono come la "discesa agli inferi". La maggior parte degli americani che "credono nella Bibbia" - anche quelli che vivono nella cosiddetta Bible Belt - probabilmente ti guarderebbero con aria interrogativa, se ne dovessi parlare, nonostante il fatto che è citata nelle Sacre Scritture (I Pietro 3:18-20).

In effetti, questo è quello che è successo una volta al nostro monastero a Boston. Forse una trentina di anni fa, un pastore protestante e sua moglie stavano visitando il monastero e io fui assegnato ad accompagnarli nel "tour". Avevamo visto i laboratori, il refettorio, la cappella e infine eravamo arrivati alla zona in cui si esponevano le icone, e dicevo alla coppia che il monastero era autosufficiente. "Uno dei modi in cui sosteniamo il nostro monastero è la produzione e la vendita di queste icone", spiegavo loro. Sapevano dell'uso tradizionale delle sante icone nella Chiesa ortodossa, quindi avevano un po' di dimestichezza con ciò che stavano vedendo. Dato che era la stagione pasquale, l'icona della Discesa agli inferi era in un posto di rilievo sull'analoghio e, pertanto, catturò l'attenzione della moglie del ministro. «Oh, che cos'è quell'icona?" chiese lei. "Raffigura la discesa del Salvatore nell'ade," risposi io.

"E che cosa sarebbe?" chiese lei, incredula.

Imbarazzato dalla reazione di sua moglie, il ministro mi guardò nervosamente, e poi guardò di nuovo la moglie, e disse: "Ma sì, cara. Lo sai, ovviamente. È menzionata in una delle epistole di Pietro". Ah! se gli sguardi potessero uccidere, il ministro sarebbe stato accusato di omicidio! Che momento imbarazzante.

Mi fu evidente che l'insegnamento sulla discesa del Salvatore nello sheol, il luogo dei morti, non è una caratteristica importante nelle scuole domenicali protestanti.

Eppure, come abbiamo già detto, è chiaramente citato nel Nuovo Testamento: "Anche Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito. E in spirito andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione; essi avevano un tempo rifiutato di credere..." (I Pietro 3:18-20)

Inoltre, questo evento è anche chiaramente profetizzato nell'Antico Testamento. Nei servizi della Chiesa, un elemento di spicco è il "polieleo" del Mattutino. Una porzione del polieleo è una selezione di versetti dei Salmi del profeta Davide appropriato a ogni festa importante. Per la festa della Domenica di Tommaso, la risurrezione di Cristo è ovviamente il grande evento che si celebra, e questi sono alcuni dei versi dei Salmi che sentiamo nel polieleo:

"Per quelli che stanno nelle tenebre e nell'ombra di morte. Incatenati con mendicità e ferro. Essi hanno gridato al Signore nella loro afflizione. E dalle loro angosce li ha salvati. Ed egli li ha fatti uscire dalle tenebre e dall'ombra della morte. Egli infatti ha infranto le porte di bronzo. E ha spezzato le sbarre di ferro. Ed egli li ha liberati dalla loro corruzione. E ha spezzato i loro legami. Per ascoltare il gemito di quelli che erano in catene. E per rilasciare i figli degli uccisi. "

"Ed egli li ha fatti uscire dalle tenebre e dall'ombra della morte". Tutti questi versetti dell'Antico Testamento si riferiscono al nostro Salvatore, il "guerriero implacabile" di cui parla la Sapienza di Salomone, che "si lanciò dal cielo" in una "terra di sterminio" per redimere l'umanità e far uscire le anime prigioniere nell'ade "dalle tenebre e dall'ombra della morte. "

Nel Libro di Giobbe, Dio parla a Giobbe da un turbine e gli chiede: "Dov'eri tu quand'io ponevo le fondamenta della terra? Dillo, se hai tanta intelligenza! Chi ha fissato le sue dimensioni, se lo sai, o chi ha teso su di essa la misura? ... Da quando vivi, hai mai comandato al mattino e assegnato il posto all'aurora perché essa afferri i lembi della terra e ne scuota i malvagi?... Ti si sono aperte per paura le porte della morte e i guardiani degli inferi hanno tremato quando ti hanno visto?" (Giobbe 38:4-16) Il testo è vivido e sorprendente.

Ma c'è un problema: questa ultima parte della citazione dal Libro di Giobbe è molto diversa nei testi non ortodossi. Nel testo CEI, per esempio, si legge quanto segue: "Ti sono state indicate le porte della morte e hai visto le porte dell'ombra funerea?" Molto diversa, e non tanto una "profezia" dell'evento effettivo. Si potrebbe dire che, come profezia della discesa del nostro Salvatore allo sheol e della sua distruzione, quest’ultimo testo ha tutto il vigore e la verve di una pasta stracotta.

Nella parte precedente, "Onora il medico", ho raccontato come mia madre non mi permise di frequentare le lezioni sulla Bibbia protestante del mio compagno di giochi quando ero ragazzo in California. Il motivo che mi ha dato per non permettermi di andare era che "i protestanti avevano una Bibbia diversa" di quella che abbiamo noi. Al momento, ho pensato che stesse solo cercando di trovare una scusa per non lasciarmi andare alla classe sulla Bibbia. Ma, come ho scritto in questa parte, ho scoperto che aveva ragione, e sono giunto a capirlo quando ho imparato di più sulla nostra fede cristiana ortodossa. Ho scritto anche che vi erano due differenze tra le nostre Sacre Scritture e le Scritture usate dai protestanti: 1) i libri che abbiamo nelle nostre Sacre Scritture sono diversi, e 2) le interpretazioni che i protestanti danno sono diverse dalle interpretazioni dei Padri della Chiesa.

Tuttavia, si scopre, c'è anche una terza differenza. Anche all'interno dei libri che abbiamo in comune con i non ortodossi, i testi sono diversi, come si può vedere, per esempio, nella citazione fatta sopra dal libro di Giobbe. Una delle principali ragioni di queste differenze è che la Chiesa ortodossa utilizza il testo della Settanta dell'Antico Testamento [vedi sotto], che era anche il testo utilizzato dai santi apostoli al tempo del nostro Salvatore.

Il tema della discesa nell'ade - la "neutralizzazione degli inferi" - è di vitale importanza. Le implicazioni di tale evento nell'opera di salvezza di Cristo sono state gravemente sottovalutata in Occidente, ma questo è un argomento che richiede ancora un altro articolo. Quindi, rimanete sintonizzati.

Il testo dei Settanta - una nota a piè di pagina

Quello che molti non capiscono è che, fino a quando siamo in grado di determinare, ci sono state varianti nei testi scritturali giunti fino a noi. I nostri lettori noteranno che abbiamo sottolineato che i testi dell'Antico Testamento che i protestanti e cattolici romani usano oggi sono diversi dal testo dei Settanta che la Chiesa ortodossa ha utilizzato fin dai tempi del nostro Salvatore. Perché?

Qui può essere utile un po' di storia. Per decreto regale, il testo dei Settanta fu preparato nel terzo secolo avanti Cristo ad Alessandria d'Egitto dai migliori studiosi ebrei del tempo. (1) Al momento, Alessandria era il più grande centro di studio nel mondo conosciuto, e la sua biblioteca era famosa per la sua completezza e per i manoscritti preziosi che conteneva. La traduzione dei Settanta fu un'occasione di grande festa, e un giorno speciale fu messo da parte per commemorare questo evento nella comunità ebraica, che, per la maggior parte, non parlava più l'ebraico, soprattutto nella diaspora. (In Palestina gli ebrei parlavano solo l'aramaico). Ora, con la traduzione dei Settanta, i rabbini potevano istruire di nuovo il loro popolo facilmente in una lingua parlata dalla maggior parte di loro (il greco), e, in aggiunta, potevano rendere la loro fede più facilmente accessibile al mondo pagano che li circondava. Di conseguenza, la versione dei Settanta era tenuta in grande considerazione, e al tempo del nostro Salvatore, era in largo uso nella comunità ebraica (come testimoniano le molte citazioni nel Nuovo Testamento). È anche degno di nota che Filone, uno dei più grandi studiosi ebrei dell'antichità, è stato anche uno dei più importanti apologeti della religione ebraica tra i pagani. Attraverso i molti trattati da lui scritti (tutti sulla base del testo dei Settanta), condusse molte migliaia di pagani a convertirsi alla fede ebraica. Eppure, Filone, contemporaneo del nostro Salvatore, non parlava l'ebraico. Sapeva solo il greco.

Con la comparsa del cristianesimo, però, le cose cominciarono a cambiare. Le molte migliaia di pagani che in precedenza si erano convertiti al giudaismo ora cominciavano a orientarsi verso la fede cristiana. Inoltre, anche migliaia di ebrei si convertivano al cristianesimo. Attraverso il lavoro dei santi Apostoli, l'evangélion, la "buona notizia" del nostro Salvatore e del suo trionfo sul nemico ultimo del genere umano - la morte - iniziò a diffondersi a macchia d'olio in tutto il mondo mediterraneo e oltre. Inoltre, gli Apostoli erano armati di prove: le profezie dell'Antico Testamento che predicevano l'arrivo del nostro Salvatore. Grazie alla traduzione dei Settanta delle Scritture Ebraiche, quelle profezie erano in una lingua che quasi tutti potevano capire. Nel frattempo, l'intero  mondo ebraico fu scosso da una terribile catastrofe - la caduta e la distruzione di Gerusalemme nel 70 d. C. da parte delle legioni romane. Questo evento, profetizzato dal nostro Salvatore, causò costernazione nella comunità ebraica, perché non solo ha avuto il centro politico del paese era scomparso in mezzo ad atrocità disumane e a barbarie, ma era scomparso il tempio stesso! Letteralmente, non fu lasciata pietra su pietra, il centro e il cuore della fede ebraica fu spietatamente tagliato fuori dai Romani, e anche il sacerdozio ebraico fu sterminato. I pochi brandelli rimasti della popolazione della città furono banditi e gli ebrei iniziarono un lungo esilio. Nel tentativo di ristabilire un po' di ordine in questa devastazione totale, all'incirca nell'anno 90 o 100 una prestigiosa scuola di rabbini nella città di Jamnia (o Jabneh), che è circa tredici miglia a sud di Jaffa, costituì un nuovo Sinedrio e discusse e determinò il canone del Vecchio Testamento. In considerazione del fatto che la Settanta era utilizzata in modo tanto estensivo (ed efficace) dalla "nuova fede" (cristianesimo) per conquistare molte migliaia di convertiti dal paganesimo e dal popolo ebraico stesso, la scuola rabbinica prese la decisione di condannare il testo dei Settanta e di vietarne l'uso tra gli ebrei. Il giorno che era stato precedentemente scelto come un giorno di festa per commemorare la traduzione dei Settanta fu ora dichiarato un giorno di lutto. Anche i preziosi trattati di Filone in difesa della fede ebraica furono rigettati, in quanto basati sulla traduzione dei Settanta.

Il testo dell'Antico Testamento usato oggi dai cristiani non ortodossi è il testo masoretico, preparato da studiosi ebrei nei secoli dopo Cristo. Quando sceglievano tra le molte varianti testuali per preparare la propria versione dell'Antico Testamento, questi studiosi ebrei, come si può facilmente comprendere, avevano un pregiudizio già deciso contro ogni variante scritturale che si potesse prestare a un'interpretazione cristiana. Col passare dei secoli, le varianti testuali non utilizzate dai rabbini caddero nell'oblio, o più spesso furono distrutte, e, quindi, circa un millennio dopo Cristo, questi studiosi finalmente arrivarono ​​a quello che oggi è conosciuto come il testo masoretico.

Con la scoperta dei rotoli del Mar Morto alla metà del ventesimo secolo, tuttavia, le numerose varianti antiche dei testi sacri ebraici sono venute di nuovo alla luce e, in molti casi, il testo dei Settanta ha dimostrato di riflettere il testo ebraico originale meglio del testo che è giunto fino a noi nella successiva versione masoretica.

Inoltre, molte antiche parole ebraiche non possono più essere comprese o addirittura pronunciate. Possono essere tradotte e comprese solo con l'aiuto dei Settanta.

Grazie ai rotoli del Mar Morto, il testo dei Settanta è ora tenuto in ben più grande stima tra gli studiosi non ortodossi di quanto non fosse fino a pochi anni fa. Il testo dei Settanta può avere i suoi problemi, ma rappresenta una tradizione ebraica antica e autentica. Per secoli, è stato amato e celebrato dal popolo ebraico, e questo è uno dei motivi per cui è stato, ed è tuttora, fatto proprio e venerato dalla Chiesa cristiana.

3. Il caso del profeta mancante

Abbiamo scritto nella parte precedente ("La neutralizzazione degli inferi") che la traduzione dei Settanta dell'Antico Testamento rappresenta una tradizione ebraica antica e autentica. A causa del fatto che ci sono stati scostamenti nei testi ebraici, la tradizione testuale che presenta la traduzione dei Settanta spesso differisce ampiamente dal testo ebraico masoretico di oggi.

Ma ci sono anche alcune sorprese.

In tempi molto antichi, a quanto pare alcuni anonimi rabbini sentivano che avevano bisogno di prendersi qualche libertà con i testi sacri, per lo più - sembra - per imbarazzo. Per esempio, nel libro dei Giudici, ci viene detto che i figli di Dan caddero nell'idolatria (Giudici 18:30-31). Questo è quello che dice la Bibbia dei Settanta:

"E i figli di Dan fecero per sé immagini scolpite, e Gionata, figlio di Gerson [Gershom], figlio di Manasse, lui e suo figlio erano sacerdoti della tribù di Dan fino al tempo della deportazione della nazione [letteralmente: della terra]. E fecero per sé l'immagine scolpita che aveva fatto Michaias [Michea], tutti i giorni in cui la casa di Dio era in Selom [Shiloh]".

Questo, in sostanza, è ciò che dice anche il testo masoretico. L'unico problema qui è che Gerson [Gershom] non era il figlio di Manasse. Era il figlio del profeta Mosè! Che imbarazzo! Il nipote del più importante profeta di Israele è caduto nell'idolatria! Questo è ciò che scrive l'autore Charles D. Provan (Christian News, 7 maggio 2007):

"... I rabbini stessi scrissero di aver deliberatamente cambiato alcuni passaggi [dell'Antico Testamento]. Tra le più evidenti [modifiche] c'è Giudici 18:30, dove i rabbini ammettono di aver cambiato il testo da Mosè a Manasse, al fine di proteggere Mosè!" (2)

I maestri di Israele sentirono che questa caduta da parte del nipote del profeta avrebbe gettato vergogna sulla reputazione del grande Mosè, così hanno cambiato il nome. I traduttori della Settanta hanno ereditato questa variante nel testo ricevuto, e hanno reso fedelmente questa antica redazione rabbinica in greco.

Pertanto, applausi ai traduttori della Settanta per la loro fedeltà al testo ricevuto.

4. Il caso della profezia mancante

Nel Vangelo di san Matteo, leggiamo il seguente brano profetico:

"Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese. Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo». Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Dall'Egitto ho chiamato il mio figlio". (Matteo 2:12-15)

Molti protestanti ritengono che questa profezia si trovi nel libro veterotestamentario del profeta Osea (capitolo 11, versetto 1). Ma questo non può essere vero. Perché? Se si legge il passo di Osea nella sua interezza, si rende conto che questo particolare passo sta parlando del figlio disobbediente di Dio, la nazione di Israele. Questo non si può dire del nostro Salvatore Gesù Cristo, il Figlio di Dio.

C'è solo un passo veterotestamentario che soddisfa chiaramente tutte le qualifiche per essere la profezia a cui il Vangelo di san Matteo si riferisce. Cioè Numeri 24:2-9, nel testo dei Settanta:

"E Balaam alzò gli occhi, e vede Israele accampato tribù per tribù, e lo Spirito di Dio venne su di lui e pronunciò il suo oracolo e disse: Balaam dice ai figli di Beor, l'uomo che vede veramente, dice, lui che sente l'oracolo del potente parla, lui che vide una visione di Dio nel sonno, i suoi occhi si aprirono: Come sono belle le tue dimore, Giacobbe, le tue tende, Israele come boschetti ombrosi, e come giardini lungo un fiume, e come tende che Dio ha piantato, e come cedri lungo le acque. Uscirà un uomo dal suo seme, ed egli dominerà su molte nazioni, e il regno di Gog sarà esaltato, e il suo regno sarà aumentato. Dio lo ha fatto uscire dall'Egitto, ha la gloria di un unicorno: egli consumerà le nazioni dei suoi nemici, ed esaurirà il loro midollo, e scaglierà i suoi dardi contro il nemico Si è sdraiato, ha riposato come una leone, e come un leoncello; chi lo ha risvegliato? Quelli che ti benedicono sono benedetti, e quelli che ti maledicono sono maledetti".

Lo studioso Charles Provan scrive: "... Anche se il soggiorno [in Egitto] può essere desunto dal testo masoretico, è molto più facile ricavarlo dalla versione greca. In effetti, il fatto che Numeri 24 sia una profezia messianica è così evidente che salta fuori dalla pagina, come lo fa il soggiorno del Messia in Egitto".

E anche:

"Si noti anche che un nome [del nostro Salvatore] nel Nuovo Testamento è il leone della tribù di Giuda (Apocalisse 5,5). Anche se ci sono profezie messianiche in cui si afferma che Cristo sarebbe venuto dalla tribù di Giuda, non sono a conoscenza di nessuna che si riferisca direttamente a Cristo come un leone, tranne la profezia di Balaam in Numeri 24. Questa si può dedurre dal testo masoretico, ma è inevitabile nel greco".

Ancora applausi per il testo dei Settanta!

5. Il caso dei parenti mancanti

Come C. Provan sottolinea: "Ci sono differenze... tra l'Antico Testamento dei Settanta l'Antico Testamento degli ebrei rabbinici [il testo masoretico]. Per peggiorare le cose, molti cristiani oggi suppongono che, poiché l'Antico Testamento è stato scritto in ebraico, la Bibbia ebraica mantenuta dagli ebrei rabbinici è, di fatto, 'l'originale ebraico'. Non solo non è l'originale ebraico, non è neppure molto antico. Vedete, i rabbini avevano ordini molto particolari per quanto riguardava la copiatura  dell'Antico Testamento. Tra le loro regole c'è il comando che tutte le copie vecchie e usate dell'Antico Testamento dovevano essere distrutte. Per questo, la più antica copia completa dell'Antico Testamento ebraico risale a circa il 1100 d. C., mentre l'Antico Testamento greco è molto più antico".

Alcune delle differenze che troviamo tra i Settanta e il testo masoretico sono le seguenti:

Nel Vangelo di San Luca, nella genealogia di Cristo nel terzo capitolo, ai versetti 36 e 37, sono citati due Cainam. Anche l'Antico Testamento greco dei Settanta menziona due Cainam in Genesi 10:24. Il testo masoretico ebraico, tuttavia, ne cita uno solo.

Quando i rotoli del Mar Morto sono stati scoperti a metà del secolo scorso, il testo ebraico di circa 2000 anni fa è stato esaminato e quel testo - come il testo del Nuovo Testamento e dei Settanta - aveva due Cainam! Che cos'è successo?

C. Provan ci dice quanto segue: "Secondo l'antica letteratura ebraica, il secondo Cainam fu coinvolto nella reintroduzione dell'astrologia nel mondo dopo il diluvio. Eliminando il secondo Cainam [dalle genealogie], il pronipote di Noè è eliminato come un problema dato che era considerato un grande peccatore". Ecco come il secondo Cainam scomparve dalla genealogia del testo masoretico! Non vi ricorda il metodo sovietico di cancellare i "nemici del popolo" dalle vecchie fotografie? A quanto pare, alcuni rabbini che hanno lavorato sul testo masoretico sentivano di avere un'autorità ancora più divina di quella di Dio!

Poi c'è Atti 7:14. Lì, santo Stefano il primo martire ispirato da Dio, "pieno di Spirito Santo" (Atti 7:54), ci dice che tutti i membri della famiglia del patriarca Giacobbe erano settantacinque di numero. Anche il testo dei Settanta dice "settantacinque". Ma il testo masoretico ebraico in Genesi 46:27 dice: "settanta". Quale dei due è corretto? Se controlliamo i rotoli del Mar Morto, scopriamo che essi confermino ciò che dicono i Settanta e il Nuovo Testamento: "settantacinque"!

Tre urrà per il testo dei Settanta!

6. Il caso del verso mancante

Il Salmo 144 (Salmo 145 nel testo masoretico) è un " Salmo acrostico " in ebraico, cioè, ciascuno dei suoi versi inizia con una lettera dell'alfabeto ebraico. Ma c'è un problema nel testo masoretico ebraico di oggi. Il verso che dovrebbe iniziare con la lettera ebraica "N" è mancante.

Allo stesso tempo, alcuni hanno notato che nella versione greca del libro dei Salmi (cioè nel testo dei Settanta), c'è un versetto "extra" dove dovrebbe esserci la lettera mancante "N" nel testo ebraico. Con una "traduzione inversa", riportando di nuovo questo versetto dal greco in ebraico, il versetto inizia con la lettera mancante "N"! Inoltre, quando sono stati scoperti i Rotoli del Mar Morto, l'antico testo ebraico dei Salmi aveva il versetto esattamente dove lo aveva la Settanta.

Nei Settanta, il cosiddetto verso "extra" è:

"Fedele è il Signore in tutte le sue parole, e santo in tutte le sue opere." (Salmo 144:14)

Nei Rotoli del Mar Morto, il cosiddetto versetto ebraico "mancante" dice:

"Dio è fedele nelle sue parole, e generoso in tutte le sue opere".

Un omaggio alla Settanta!

7. Il caso della festa mancante

Il popolo ebraico ama la festa di Hanukkah. È la loro risposta a Babbo Natale e alle renne.

Ma qui c'è un piccolo problema. La festa di Hanukkah è introvabile nelle Scritture ebraiche attuali. Oy! Beh, dove possiamo trovarla? Avete indovinato: Si basa su una tradizione orale che, a sua volta, si basa su un evento che si trova solo nel testo greco dei Settanta! Il primo libro dei Maccabei (4:36-59).

Sì, una delle feste più amate dal popolo ebraico di oggi si basa su un testo che si trova solo nelle Scritture sacre dei cristiani ortodossi, il nuovo Israele.

Felice Hanukkah a tutti!

8. La lingua di Dio

Abbiamo scritto delle differenze tra testo masoretico di oggi dell'Antico Testamento e l'antica traduzione dei Settanta dell'Antico Testamento. In realtà, dal momento che la traduzione dei Settanta fu terminata circa 290 anni prima di Cristo, e il testo masoretico ebraico contemporaneo è stato completato solo un millennio dopo Cristo, la versione dei Settanta è quasi 1300 anni più antica dell'attuale edizione masoretica!

I rotoli del Mar Morto, scoperti a metà del secolo scorso, a volte favoriscono il testo dei Settanta e a volte il testo masoretico. Per quanto riguarda la Settanta, è importante ricordare che è stata fatta da studiosi di fede ebraica quasi 300 anni prima di Cristo. Quindi non si può assolutamente sostenere che abbia una tendenza pro-cristiana. Tuttavia, nel caso del testo masoretico, fatto nei secoli dopo Cristo, ci sono sempre sospetti su un pregiudizio anti-cristiano nella scelta delle varianti testuali ebraiche che sono state raccolte per creare l'edizione masoretica. Questi sospetti sono particolarmente forti quando passi della Settanta che si prestano facilmente ad una interpretazione cristiana sono sostanzialmente diversi, o addirittura scompaiono del tutto, nel testo masoretico.

Ma per la verità, e per essere onesti, ci sono passi nel testo masoretico che sono davvero molto belli e più eloquenti di quelli della versione dei Settanta. E il punto della questione è che la Settanta è, dopo tutto, una traduzione del testo ebraico. Come sappiamo, ogni traduzione da una lingua a un'altra è, in realtà, un'interpretazione. Ogni lingua ha parole la cui piena gamma di sfumature e implicazioni non può essere tradotta con precisione in un'altra lingua.

Ciò è particolarmente vero quando parliamo della lingua di Dio. Che lingua parla Dio? Beh, sarebbe utile per noi sapere, prima di tutto, che Dio parla in una lingua molto antica. Questa lingua è conosciuto con il nome di "grazia divina increata". Questo linguaggio non si traduce bene nelle nostre lingue semitiche o indo-europee, o, se per questo, in qualsiasi lingua creata da uomini. Molti ottimi uomini e donne si sono arresi per la disperazione cercando di tradurre la lingua di Dio (eppure, stranamente, i bambini a volte non hanno alcun problema a comprenderlo). Inoltre, nessuno può duplicare i suoni della lingua di Dio; non sembra avere vocali o consonanti che gli esseri umani possono articolare.

Nel nostro articolo "Razionalismo e fondamentalismo", abbiamo citato ciò che alcuni santi della Chiesa hanno detto riguardo al tradurre la lingua di Dio nella nostra.

Nella sua opera, l'Hexaemeron, san Basilio il Grande dice quanto segue:

"Deve essere ben chiaro che quando si parla della voce, della parola, del comando di Dio, questo linguaggio divino non significa per noi un suono che fuoriesce da organi della parola, una collisione dell'aria colpita dalla lingua; è un semplice segno della volontà di Dio, e, se gli diamo la forma di un ordine, è solo per fare migliore impressione sulle anime che istruiamo". (Hexaemeron II: 7)

San Gregorio di Nissa, da parte sua, ha da dire questo:

"... Il linguaggio umano si trova nell'impossibilità di esprimere la realtà che trascende ogni pensiero e ogni concetto, e chi tenta ostinatamente di esprimerla a parole, inconsciamente offende Dio". (Commento all'Ecclesiaste, Omelia 7)

E, ancora, egli scrive:

"Elevato fuori di sé nello Spirito, (il Profeta Davide) ha intravisto in tale estasi benedetta l'infinità di Dio e la bellezza incomprensibile. Ha visto tanto quanto un semplice mortale può vedere, lasciando il rivestimento della carne, e con il solo pensiero è entrato nella visione divina di quel regno immateriale e spirituale. E sebbene desiderasse dire qualcosa che rendesse giustizia alla sua visione, egli poteva solo piangere (in parole che tutti possono echeggiare dopo di lui): Ho detto nella mia estasi, ogni uomo è bugiardo. (Salmo 115:2) E nella mia interpretazione questo significa che chiunque tenti di ritrarre quella luce ineffabile nel linguaggio umano è veramente un bugiardo - non a causa di un qualsiasi orrore della verità, ma semplicemente a causa della debolezza della sua spiegazione". (dall'Omelia sulla verginità)

Che cosa ha a che fare tutto questo con la Settanta e con il testo masoretico? Semplicemente questo: come deboli tentativi di tradurre il linguaggio di Dio nelle nostre lingue artificiali, entrambe le versioni sono inadeguate. Ognuna ha i suoi punti di forza e i suoi punti deboli, ma nessuna delle due può adeguatamente esprimere la rivelazione della grazia ineffabile di Dio nelle nostre lingue legate alla terra. Per quanto riguarda le differenze tra i testi greci ed ebraici - fatta eccezione per il fatto che c'è stata qualche aperta manomissione dei testi dell'Antico Testamento nella versione masoretica - entrambe le versioni, con alcune qualifiche, potrebbero semplicemente rappresentare diverse tradizioni testuali dell'Antico Testamento ebraico.

Avendo a mente ciò che i santi della Chiesa hanno detto circa i limiti dei nostri linguaggi umani nel gestire la rivelazione divina (vedi sopra), non è una sorpresa che i cristiani ortodossi non si lasciano sconvolgere, come sembrano fare i critici testuali cattolici o protestanti, da differenze testuali e da variazioni nelle Sacre Scritture.

Tuttavia, il motivo per cui i cristiani ortodossi preferiscono la Settanta è semplicemente perché rappresenta un testo antico, autentico e imparziale dell'Antico Testamento, tradotto e fatto proprio dal popolo ebraico stesso per quasi 400 anni. Dal momento che sosteniamo noi stessi di essere il nuovo Israele, ci sentiamo abbastanza forti da mantenere questa tradizione del Dio dei nostri Padri. Amen. Così sia.

Note

(1) Diciamo "per decreto regale" perché, inizialmente, gli ebrei si sono opposti ad avere i loro testi sacri "contaminati" da una traduzione in un linguaggio dei gentili. Quindi, fu necessario un decreto di Tolomeo per avere questo lavoro compiuto. Secondo le fonti antiche, il testo utilizzato per il lavoro di traduzione fu fornito dal sommo sacerdote di Gerusalemme.

(2) Lo studioso biblico Charles D. Provan ha scritto molti buoni articoli sulla necessità di correggere il testo dell'Antico Testamento masoretico contemporaneo secondo i testi della Settanta e i rotoli del Mar Morto. Egli cita molti passi in cui l'Antico Testamento dei Settanta è corretto, mentre il testo masoretico è difettoso o è stato alterato.

 
La cattedrale di Cristo Salvatore - la chiesa principale della Russia

La rivista "Foma" ha già scritto a proposito della Cattedrale di Cristo Salvatore nel maggio 2012. La storia della costruzione, demolizione e ricostruzione del tempio, che è un simbolo degli ultimi 200 anni di storia russa, e la sua vita sono diventate oggetto di un numero della rivista. Questo testo sulla chiesa principale della Russia, illustrato con numerosi disegni, è stato pensato per i bambini e per la lettura in famiglia.

E sapete perché la chiesa di Cristo Salvatore è chiamata la chiesa principale della Russia? Non perché è la più grande chiesa ortodossa nel paese, con una capienza di diecimila persone, un’intera divisione dell’esercito! E nemmeno perché è il tempio più alto del mondo: 104 metri! (Le nuvole basse stanno a un'altezza di 120 metri - un tiro di schioppo!) Ma perché la Cattedrale di Cristo Salvatore è la principale chiesa cattedrale della capitale, dove celebra le funzioni il primo dei vescovi della Chiesa ortodossa russa, il patriarca.

Questo tempio ha avuto un complesso destino: i suoi lavori sono iniziati tre volte ed è stato costruito due volte. Come è successo? ...andiamo con ordine.

Così, secondo il progetto di A. L. Vitberg, doveva apparire la Cattedrale di Cristo Salvatore sulle Colline dei passeri

Come rendere grazie a Dio?

Quando vogliamo ringraziare una persona, il più delle volte le facciamo un regalo. Come ringraziare Dio? Che regalo si può dare a chi è invisibile e onnipotente? A lui non si possono spedire pacchi o fiori con un corriere. Ma è possibile costruire un tempio. E, naturalmente, sarà il miglior regalo a Dio.

Così hanno sempre fatto i nostri pii antenati. Hanno costruito templi e con questi hanno ringraziato il Salvatore e la santa Madre di Dio. Per che cosa? Per l'aiuto della grazia nella vita, per i miracoli che hanno salvato dalla morte, per le vittorie in battaglie con nemici formidabili. I nostri antenati hanno fatto a Dio dei voti (promesse) di costruire un tempio in segno di gratitudine e hanno chiamato tali templi votivi (di adempimento delle promesse).

Tra i templi votivi c’è anche il tempio di Cristo Salvatore. Promise di costruirlo l'imperatore Alessandro I il giorno di Natale, il 25 dicembre (secondo il vecchio stile) del 1812. Tra l'altro, questa fu la dedicazione della chiesa - la Cattedrale della Natività di Cristo.

Ma cosa stava accadendo di così straordinario allora, in quel giorno di dicembre? È stato l'ultimo giorno della guerra patriottica del 1812. In quel giorno, gli ultimi soldati dell'esercito di Napoleone Bonaparte hanno lasciato i confini la Russia. Fu una guerra terribile. E fu una vittoria niente affatto facile. Più di duecentomila russi vi lasciarono la vita. Mosca era stata bruciata e ridotta in cenere, ma già si iniziava a ricostruirla. Alessandro scrisse questo nel suo manifesto per la costruzione del tempio, "in ricordo di gratitudine alla Divina Provvidenza per aver salvato la Russia dalla sua minaccia di morte." E fu annunciato un concorso di progettazione architettonica.

Konstantin Ton costruì le stazioni gemelle di Mosca e di Nicola in entrambe le capitali russe, il terrapieno di San Pietroburgo con le famosa sfingi di fronte all'Accademia di Belle Arti e il palazzo dell'Armeria del Cremlino.

Il primo progetto

La gara fu vinta da un giovane architetto sconosciuto, uno svedese russificato di nome Vitberg. Egli indovinò il desiderio segreto dell'imperatore: il tempio doveva essere non solo monumentale, ma grandioso! Vitberg progettò enormi colonnati, massicce scale in marmo per le tombe dei soldati russi. Monumenti a monarchi e a importanti leader militari e trofei di armi, catturate in battaglie con i francesi, dovevano decorare le sue stanze. I costruttori scelsero le Colline dei passeri - il punto più alto di Mosca, che è stato chiamato la "corona della capitale". È significativo che sia il punto a metà strada tra la strada di Smolensk in cui i francesi erano venuti a Mosca e la strada di Kaluga lungo la quale erano fuggiti dalla capitale. Quarantotto campane avrebbero proclamato l'inizio e la fine delle funzioni. A causa dell’acustica naturale (la proprietà di propagazione del suono), il suono di quelle campane si poteva sentire in tutta Mosca!

Vedendo il progetto, l'imperatore Alessandro disse commosso: "Avete saputo far parlare le pietre!"

Esattamente il quinto anniversario della cacciata dei francesi da Mosca, il 12 ottobre 1817, ci fu la posa solenne della prima pietra del tempio. Ma ...c’è sempre un "ma"...

Come già accennato, Vitberg era un architetto giovane e... inesperto. Non preso in considerazione tutti i fattori. Gli smottamenti del terreno e le acque sotterranee delle Colline dei passeri crearono ostacoli enormi alla costruzione. Ma questa non era la cosa peggiore: il giovane era un organizzatore inesperto e, peggio di tutto, nelle questioni finanziarie. Dopo la morte del suo protettore, l'imperatore Alessandro, Vitberg fu ingiustamente accusato di appropriazione indebita (furto di denaro pubblico) ed esiliato a Vjatka. La costruzione fu fermata per molti anni. E la promessa fatta a Dio rimase insoddisfatta.

Il secondo progetto

Il nuovo imperatore Nicola I non si dimenticò di questo voto. Ma si dovette ricominciare tutto da capo. Tuttavia, il sovrano non indisse un concorso. Incaricato semplicemente il suo architetto preferito e distinto ingegnere, Konstantin Andreevich Ton, di fare un nuovo progetto.

Ton si distingueva per straordinari poteri di osservazione. Di origine tedesca, egli amava veramente tutto ciò che è russo. Nelle antiche chiese russe vide tanta bellezza e armonia che pensò a un progetto concepito in stile antico. Su un foglio di carta, abbozzò una costruzione sublime e semplice allo stesso tempo. Incoronò la costruzione con una cupola d'oro, simile ai caschi degli antichi guerrieri russi – Il’ja Muromets, Aljosha Popovich, Dobrynja Nikitich.

Scelse un altro luogo per la sua chiesa - più vicino al centro della capitale, vicino al Cremlino, sulle rive del fiume Moscova.

Nel giorno del 25° anniversario della battaglia di Borodino, il 10 Settembre 1839, ci fu la posa solenne della prima pietra della nuova chiesa. La celebrò il futuro santo, al tempo metropolita di Mosca, Filarete (Drozdov).

Per la chiesa tutta la Russia raccolse soldi. In tutte le chiese c’erano cassette delle offerte con le parole "per la costruzione del tempio di Cristo Salvatore a Mosca". E tutti davano ciò che potevano. Una significativa parte del denaro proveniva dalla tesoreria dello Stato.

Il tempio fu  costruito in quasi mezzo secolo, per l'esattezza - 44 anni. E per sciogliere il voto di Alessandro I ci vollero 70 anni.

La parola "cattedrale" deriva dal latino cathedra, che letteralmente significa "il luogo in cui si siede il vescovo". Per gestire facilmente il territorio, la Chiesa ortodossa russa è divisa in aree chiamate diocesi. Ogni diocesi ha un leader (vescovo, arcivescovo, metropolita), che serve nella sua chiesa cattedrale. Il primo vescovo di tutta la Chiesa - il patriarca - serve nella cattedrale principale del paese.

Monastero di sant’Alessio sul sito in cui più tardi fu costruita la cattedrale di Cristo Salvatore

In tutto il mondo

Il caso volle che alla creazione della chiesa abbiano lavorato molti artisti e scultori i cui nomi rimarranno per sempre nella storia della cultura russa. Chi sono? Qui ce ne sono solo alcuni.

I bozzetti per i dipinti furono preparati da Aleksandr Ivanov, autore del famoso quadro "L'apparizione di Cristo al popolo".

I dipinti sulla storia di quattro concili ecumenici sono di Vasilij Surikov. Egli prese sul serio il lavoro e prima di cominciare andò a pregare alla Lavra della Trinità e di san Sergio presso le reliquie del famoso santo russo Sergio di Radonezh. Allo stesso modo il santo aveva ispirato  l’iconografo Andrej Rublev a creare la sua grande opera - la santa Trinità.

E il creatore dei famosi cavalli sul ponte Anichkov a San Pietroburgo, lo scultore Pjotr Klodt ha lavorato con altri alle sculture del tempio-memoriale.

La cattedrale era molto bella. Sculture, dipinti, icone, bassorilievi, intagli, fusioni - quanti talenti misero in opera le persone per commemorare gli antenati coraggiosi e dare lode a Dio. Sulle lastre di marmo nella galleria inferiore del tempio furono incisi i nomi degli eroi della guerra.

Il compositore Pjotr Il’ich Chaikovskij scrisse appositamente per la consacrazione del tempio una ouverture patriottica di sorprendente profondità dal titolo "1812."

La consacrazione della Cattedrale di Cristo Salvatore, ha avuto luogo il giorno dell'Ascensione del Signore, 26 maggio (8 giugno) nel 1883. Il giorno coincideva con l’incoronazione del nuovo zar Alessandro III. All’ascesa al trono del terzo imperatore, erano ancora vivi alcuni veterani della guerra patriottica. Con l’ordine di san Giorgio sul petto, erano presenti alla dedicazione del tempio.

La Cattedrale fu di grande importanza per tutta la vita di Mosca: ci furono celebrazionii in relazione con il 100° anniversario della guerra patriottica del 1812, il 500° anniversario della morte di San Sergio di Radonez, il 300° anniversario della casa reale dei Romanov.

O tempora, o mores!

Il tempio fu costruito per durare nei secoli. Ma durò in tutta la sua gloria solo 48 anni. Perché? Dopo il 1917, i bolscevichi salirono al potere e cominciarono a distruggere sistematicamente tutto ciò che era associato con la religione e la fede in Dio, vietarono alle persone di indossare una croce sul petto, perseguitarono i sacerdoti e chiusero i templi. Decisero di demolire la chiesa principale della Russia – la cattedrale di Cristo Salvatore.

Il 5 Dicembre 1931 il tempio fu fatto saltare in aria. Al suo posto cercarono di costruire il Palazzo dei Soviet. Il gigantesco edificio di 420 metri d’altezza (cioè quattro volte più alto del tempio) è doveva terminare in’un enorme statua del leader della rivoluzione - Lenin. Il Palazzo dei Soviet doveva diventare l'edificio più alto del mondo. Nella testa di Lenin, delle dimensioni di un palazzo di cinque piani, ci sarebbe stata una biblioteca, e il dito indice della statua sarebbe stato lungo 4 metri.

Ma tutti questi piani non si materializzarono. Mentre si distruggeva la memoria della guerra patriottica del 1812, e si gettando le basi del nuovo edificio gigante, ebbe inizio la Grande Guerra Patriottica (1941-1945). Ancora una volta furono minacciate Mosca e tutta la Russia. Le parti metalliche del nuovo edificio sovietico furono usate per la produzione di strutture anti-carro per la difesa della capitale.

I credenti videro sempre in tutte le disgrazie una ragione - l’allontanamento da Dio. Ma gli atei non ci hanno mai nemmeno pensato. Le lastre di marmo del tempio finirono sulle pareti delle stazioni della metropolitana, le targhe con i nomi degli eroi della Patria divennero i gradini del guardaroba della Galleria Tretjakov.

Dopo la fine della guerra, sul sito del tempio distrutto fu costruita la piscina coperta "Mosca". E la memoria popolare della chiesa-memoriale fu gradualmente cancellata. Così siamo stati lasciati idioti e immemori dei nostri antenati, ma sono giunte persone che non volevano dimenticare la propria storia.

Per la rinascita della cattedrale di Cristo Salvatore si è raccolto denaro in tutto il mondo, sono state messe cassette delle offerte nelle chiese di tutta la Russia.

Seconda nascita

Sapete chi per primo ha proposto pubblicamente di ripristinare la cattedrale di Cristo Salvatore? È stato il primo cosmonauta del mondo, Jurij Gagarin. Un giorno andò alla Lavra della Trinità e di san Sergio (uno dei pochi monasteri non distrutti durante l'era sovietica). Nel piccolo museo presso il monastero, Jurij Alekseevich vide il modello del tempio perduto. Fu colpito dalla bellezza e dalla grandezza degli edifici. Subito dopo intervenne al plenum del Comitato Centrale per l’educazione della gioventù. E improvvisamente, inaspettatamente propose di ripristinare la Cattedrale di Cristo Salvatore. I membri del presidium dei comunisti rimasero letteralmente intorpiditi da queste parole. In un paese ateo, questa era un’audacia senza precedenti. Ma non si poteva mettere in prigione un uomo che era una leggenda! Si cercò di mettere a tacere il discorso di Gagarin. Nei giornali, alla radio e in televisione le sue parole furono tagliate fuori.

Ci vollero altri venti anni. I tempi erano cambiati, gli anni senza Dio si erano conclusi. Alla fine degli anni ‘80, iniziò tutto il movimento sociale per il restauro del tempio.

Nel 1990, il Santo Sinodo della Chiesa russa si appellò al governo russo per il permesso di ricostruire la cattedrale di Cristo Salvatore nello stesso luogo. Il permesso fu dato dopo quattro anni e mezzo.

Anche in questo caso, i soldi sono stati raccolti in tutto il ​​mondo! Ma la parte più attiva nella realizzazione di ricostruire la cattedrale la ebbe il governo di Mosca. Questa volta il tempio è stato costruito in soli 6 anni. Esso contiene gli spazi liturgici, una moderna sala di riunioni, e un museo di storia della città di Mosca.

Il 19 agosto 2000 sua Santità il patriarca Alessio II ha celebrato la grande consacrazione del tempio. Oggi, vi conduce il culto il primo ierarca della Chiesa ortodossa russa, il patriarca Kirill.

Il tempio nato due volte vive una nuova vita, che si riflette nelle cupole dorate della Moscova, custodisce i nomi, le date, i numeri, la vita delle persone. E ogni giorno vi si prega per la custodia della nostra patria.

San Sergio di Radonezh benedisse non solo Andrej Rublev per creare l'immagine della santa Trinità, ma anche il principe Dmitrij Donskoy - per la battaglia di Kulikov con i tartaro-mongoli. La battaglia si concluse con la vittoria delle truppe russe.

Il tempio è stato progettato nella forma di una croce equilatera. È diviso in tre parti - la parte centrale con l'altare, la galleria superiore a due navate e la galleria inferiore con un memoriale in onore degli eroi della campagna militare del 1812-1814.

La facciata meridionale del tempio (sul lato del fiume Moscova) racconta la storia del periodo di guerra da giugno a dicembre 1812. L’adormbra l’icona della Madre di Dio di Smolensk nel medaglione centrale superiore. Questa immagine è stata per tre mesi nell'esercito russo, e prima della battaglia di Borodino, è stata portato in mezzo a filari di truppe.

Sulle gallerie superiori ci sono le cappelle di san Nicola di Mira il Taumaturgo (a sud, sul lato del fiume Moscova) e di sant’Aleksandr Nevskij (a nord).

Sul lato orientale del tempio nel 2005 è stato inaugurato un monumento all'imperatore Alessandro II il Liberatore.

A ovest della parte principale della Cattedrale di Cristo Salvatore c’è una cappella di legno dedicata all’icona della Madre di Dio "Derzhavnaja" (Sovrana). All’interno si trova il venerato elenco dell’icona "Derzhavnaja".

La cappella è stata eretta nel 1995 (ancor prima che fosse posta la pietra di fondazione). Qui sono state fatte preghiere per la rapida rinascita della cattedrale di Cristo Salvatore, per i suoi costruttori e benefattori.

A differenza della vecchia chiesa, ora nel complesso del tempio si trova la chiesa della Trasfigurazione, costruita nella parte inferiore della chiesa in memoria del monastero femminile Alekseev, che si trovava in questo luogo e la cui cattedrale principale era dedicata alla Trasfigurazione.

Nella parte bassa del tempio sono anche le sale del Santo Sinodo e del Concilio della Chiesa, e le sale del Refettorio.

Nella parte inferiore del tempio si trova pure il museo della chiesa di Cristo Salvatore.

Nella galleria inferiore del tempio si trova un memoriale della guerra patriottica. Vi sono poste 177 lastre di marmo con incisi i nomi dei cavalieri d'oro di San Giorgio e la descrizione delle più importanti battaglie della campagna militare del 1812-1814.

In questa parte del tempio, che racconta le battaglie e gli eroi di quella campagna, si preparano per gli esami di storia anche gli studenti dell’Università di Mosca.

La facciata nord della cattedrale di Cristo Salvatore è dedicata al periodo estero della guerra patriottica. Nei medaglioni laterali superiori ci sono i santi le cui feste sono state celebrate nei giorni della più importante campagna di battaglie all'estero. Nel medaglione centrale superiore è raffigurata Madre di Dio di Iviron. Sugli altorilievi sono raffigurate immagini dei grandi apostoli e dei santi vissuti nei primi secoli della Chiesa.

Sulla facciata est del tempio agli angoli sono raffigurate la Natività e la Risurrezione del Salvatore. Le sculture di questa parte del tempio rappresentano intercessori in preghiera per Mosca e per la Russia. Vi sono i metropoliti di Mosca - i santi Pietro, Alessio, Giona e Filippo, Sergio di Radonezh, Stefano di Perm e altri santi. Nel medaglione centrale superiore è l’icona della Madre di Dio Vladimir, qui collocata in memoria della battaglia di Borodino, avvenuta il 26 agosto (8 settembre) - nel giorno della festa dell'icona.

Il posto più grande nel tempio è occupato dalla parte centrale con l'altare a forma di tenda, avvolto in un poliedro circolare a otto facce. Il metropolita Filarete fece un appello personale al santo Sinodo perché fosse permesso di fare un’iconostasi non tradizionale all'interno del quale si trova la tavola dell’altare.

Questo altare è un simbolo della grotta del Santo Sepolcro, dove fu sepolto il Salvatore. Ha anche un altro significato simbolico. In senso figurato, l'altare-cappella simboleggia la Chiesa dell'Intercessione della Madre di Dio sul fossato (San Basilio), e la vasta area del tempio intorno ad esso - la Piazza Rossa.

 
Celebrata a Roma la festa patronale della chiesa di Santa Caterina

L'8 e il 9 dicembre a Roma si sono tenute le celebrazioni in occasione della festa patronale della Chiesa stavropigiale di Santa Caterina. Su invito del rettore, lo ieromonaco Antoniy (Sevryuk) in questi giorni nella capitale italiana sono giunti numerosi ospiti per condividere la gioia della comunità romana del Patriarcato di Mosca in occasione del giorno memoriale della protettrice celeste della Chiesa russa in Italia.

Alla sera dell'8 dicembre padre Antoniy ha celebrato la Vigilia con la Litia. Assieme al rettore hanno concelebrato il chierico del Patriarcato Ecumenico archimandrita Cornelio, il chierico della chiesa di santa Caterina ieromonaco Afanasiy (Potapov) e lo ieromonaco Ambrogio (Matsegora). I canti della funzione sono stati eseguiti dal coro riunito del clero dell'eparchia e della regione di Mosca e del seminario teologico di Kolomna, venuto alla festa con il contributo "della Direzione dei Programmi Internazionali" e della "Fondazione META".

Lo stesso coro ha cantato alla Divina Liturgia, servita da un insieme del clero - il rettore della chiesa ieromonaco Antoniy, il rettore della parrocchia stavropigiale di San Nicola di Roma, arciprete Vyacheslav Bachin, il rettore della chiesa dei Santi Pietro e Paolo a Karlovy Vary, arciprete Nikolai Lischenyuk, il rettore del seminario ortodosso russo di Parigi, ieromonaco Alexander (Sinyakov), il rettore del podvorye di San Nicola a Bari, sacerdote Andrey Boytsov, Il rettore della chiesa dei tre Gerarchi a Parigi, ieromonaco Mark (Svyatogorov), i chierici della chiesa di santa Caterina, il clero delle parrocchie del Patriarcato di Mosca in Italia. Alla funzione hanno partecipato il rappresentante del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, sacerdote Milan Žust, il Segretario Generale della Comunità di Sant'Egidio, Prof. Adriano Roccucci, insegnanti e studenti delle università cattoliche di Roma e altri ospiti.

Al termine della funzione sono seguiti il moleben alla santa grande martire Caterina e la processione intorno alla chiesa. Accogliendo gli ospiti della festa e i parrocchiani, il rettore ha detto nella sua omelia che il giorno della festa della chiesa è, prima di tutto, un'opportunità per tutti quelli che sono coinvolti con la parrocchia di Santa Caterina, di elevare una preghiera di ringraziamento a Dio per il miracolo che ha mostrato e che continua a mostrare nella vita della comunità ortodossa russa in Italia. Il fatto che la Chiesa russa ha in Roma la sua casa - dove sono offerte preghiere, dove è nata una comunità, dove si sta vivendo una piena vita parrocchiale - questo è veramente un miracolo per il quale dobbiamo sempre rendere grazie a Dio. Padre Antoniy ha anche detto che lo sforzo ascetico della grande martire - patrona celeste del tempio di Santa Caterina - dovrebbe ispirare i parrocchiani della Chiesa Russa di Roma al compimento di quella chiamata che il Signore stesso ha comandato - di essere suoi testimoni. Non è un caso che la parola greca "martirio" si traduce con "testimonianza". Stando in Italia, ha ricordato il rettore, gli ortodossi dovrebbero attuare questa testimonianza ogni giorno della loro vita, mostrando attorno a loro la bellezza della fede ortodossa.

Dopo la funzione si è tenuto un ricevimento festivo nella sala del refettorio della chiesa. Parole di benvenuto al rettore e ai parrocchiani sono state rivolte dal sacerdote Milan Žust (che ha trasmesso a padre Antoniy le congratulazioni da parte del Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, il Cardinale Kurt Koch), dal professor Adriano Roccucci, dall'arciprete Vyacheslav Bachin, dall'arciprete Nikolai Lischenyuk. A sua volta, lo ieromonaco Antoniy si è congratulato con il professor Roccucci che ha ricevuto il giorno prima a Mosca un'alta onorificienza patriarcale alta, e con l'arciprete Nikolai Lischenyuk per il suo quarantesimo compleanno. Durante il pasto, il padre rettore ha letto pure i saluti da parte del rappresentante del Patriarca di Mosca e di tutta la Rus' presso il Patriarca di Bulgaria, l'igumeno Filipp (Vasiltsev), che ha precedentemente servito in qualità di chierico della chiesa di Santa Caterina a Roma.

 
Come comprendere l'icona di san Cristoforo dalla testa di cane

 

L'icona di san Cristoforo è una delle immagini più stupefacenti nella tradizione ortodossa. Mostrando un santo guerriero dalla  testa di cane, evoca storie fantastiche di lupi mannari o di razze mostruose dai racconti di Plinio sul bordo del mondo. A causa di tutte le difficoltà che presenta, l' icona fu proibita nel XVIII secolo a Mosca.

 

L'icona ortodossa di san Cristoforo lo presenta come un guerriero cinocefalo, un uomo dalla testa di cane dalla Licia. A volte è anche di dimensioni gigantesche. Secondo questa tradizione, era un soldato romano proveniente dai confini del mondo che si è convertito ed è stato martirizzato da un imperatore.

Nella Chiesa cattolica romana, la festa di san Cristoforo è stata del tutto soppressa con la modernizzazione del Vaticano II, anche se continua ad essere uno dei santi più popolari nel cattolicesimo - la sua immagine adorna il cruscotto delle automobili di tutto il mondo. Credo che la comprensione di san Cristoforo e della sua iconografia sia di primaria importanza oggi, e spero che il motivo sarà chiaro quando avremo fatto un viaggio attraverso la Bibbia, la Tradizione e l'iconografia per vedere se siamo in grado di decifrare questo santo, che è come un affronto alla sensibilità moderna.

 

Le immagini occidentali di san Cristoforo lo presentano come un gigante cananeo, la cui storia principale lo descrive mentre aiuta le persone ad attraversare un fiume portandole sulla schiena. Un giorno porta un bambino che diventa sempre più pesante, man mano che Cristoforo avanza nell'acqua, tanto che ha paura che annegherà. Quando ne chiede il motivo al bambino, Cristoforo scopre che il bambino ad essere Cristo, da qui il suo nome: Cristoforo, il "portatore di Cristo" [1].

Sono disponibili studi accademici sull'origine di san Cristoforo [2]. Ma in questi, si devono sopportare le solite noiose conclusioni che la tradizione cristiana si sviluppa fondamentalmente come una serie di incomprensioni, confusioni ed esagerazioni fantastiche. Gli studiosi moderni sembrano credere che un significato coerente e un'analogia non possono esistere senza una sorta di sviluppo storico meccanico di causa-effetto. Quando vedono le sovrapposizioni che si verificano nella tradizione tra i termini "cainita" - figlio di Caino, "cananeo" (cananeus) - gigante di Canaan, e "caninita" (canineus) - uomo-cane, questi studiosi ci illuminano immediatamente sulle errate trascrizioni in quelle caverne di Cro-Magnon che furono il Medioevo. Eppure questi stessi studiosi rimangono ciechi su quanto possano essere profonde e intuitive alcune di queste relazioni.

Iconografia dei mostri

L'uso di uomini dalla testa di cane nell'iconografia non si limita all'icona di san Cristoforo. Essi appaiono anche più comunemente nelle immagini di Pentecoste, ben visibili nei manoscritti armeni, ma anche in immagini occidentali.

 

Manoscritti miniati di Pentecoste con un uomo dalla testa di cane

Gli uomini dalla testa di cane sono visti come la razza più lontana presente alla Pentecoste. Proprio perché sono i più lontani, in alcune immagini armene appaiono nel centro della porta o altrimenti appaiono soli, a rappresentare un'immagine distillata dello straniero più remoto. Ci sono alcune altre immagini, per esempio una nota immagine dove gli uomini dalla testa di cane sono rappresentati come i nemici barbari che minacciano Cristo. A volte sono visti come una delle razze incontrate nella missione degli Apostoli.

 

Cristo circondato da guerrieri cinocefali. Salterio di Kiev. XV secolo

Infine, gli uomini dalla testa di cane compaiono nella storia di san Mercurio [3], un santo guerriero il cui padre era stato mangiato da due uomini dalla testa di cane, in seguito convertiti da san Mercurio. La natura selvaggia di questi uomini dalla testa di cane poteva essere scatenata da san Mercurio sui nemici dell'impero romano in un modo analogo a come i Romani e più tardi i cristiani utilizzavano i barbari nelle loro guerre. Gli esempi più evidenti di questa pratica sono i barbari germanici recentemente convertiti che fermarono l'avanzata dell'Islam in Europa o i principi scandinavi di Kiev, recentemente convertiti, che fornivano all'imperatore a Costantinopoli una guardia personale di variaghi.

 

La tradizione di san Mercurio è viva e vegeta in Etiopia, dove ho documentato queste immagini contemporanee di san Mercurio e dei suoi due compagni al di fuori di una chiesa

Questi esempi iconografici mostrano gli uomini dalla testa di cane come rappresentanti per eccellenza dei barbari stranieri, che vivono ai margini del mondo, al bordo della stessa umanità. Sono cannibali, selvaggi, creature ibride, che in seguito saranno concepiti come discendenti di Caino caduti in uno stato mostruoso. Il gigante cananeo delle immagini cattoliche, che ora si è spesso integrato nell'iconografia ortodossa, anche se meno visivamente scioccante per aver perso il suo volto mostruoso, significa la stessa realtà degli uomini dalla testa di cane. I giganti nella Bibbia e nella tradizione cristiana sono spesso interpretati anche come discendenti di Caino e barbari cannibali mostruosi, che con i loro corpi eccessivi rappresentano l'estremo della corporeità stessa.

Il rapporto tra l'estremità e la marginalità con la corporeità eccessiva, l'animalità e le passioni disordinate come il cannibalismo deve essere visto all'interno di una conoscenza tradizionale generale della periferia. In una visione tradizionale del mondo, vi è un'analogia tra la periferia personale e quella sociale, entrambe dipinte in termini patristici come le tuniche di pelle, i capi d'abbigliamento dati ad Adamo ed Eva, che incarnano l'esistenza corporale. Ciò che appare ai margini dell'uomo è analogo a ciò che appare ai margini del mondo, in termini sia spaziali sia temporali, così i barbari, gli uomini dalla testa di cane o altri mostri ai confini spaziali della civiltà e alla fine temporale della civiltà sono simili alla morte e all'animalità che è il limite spaziale corporale di un individuo e il termine ultimo temporale della vita terrena. I mostri, così come le tuniche di pelle, sono sospesi sul bordo del mondo, e anche se sono pericolosi, come Cerbero alle porte dell'Ade, agiscono anche come una sorta di cuscinetto tra l'uomo e le tenebre esterne. Proprio come i nostri corpi e i loro cicli sono la fonte delle nostre passioni, sono anche il nostro "guscio mortale " ci protegge dalla morte. Sarà quindi per mezzo di una visione più profonda delle tuniche di pelle attraverso i diversi livelli ontologici della creazione decaduta, che saremo in grado di dare un senso a san Cristoforo [4].

San Cristoforo nella Bibbia

La relazione del cane con la periferia appare in più luoghi nella Bibbia. I cani sono naturalmente animali impuri. Sono visti leccare le ferite sulla pelle di Giobbe [5]. Sono esclusi dalla Nuova Gerusalemme [6]. Mangiano il corpo della regina straniera Gezabele dopo che è stata gettata dalle mura della città [7]. Il gigante Golia stesso crea l'analogia San Cristoforo / cane / gigante / straniero quando chiede a Davide: Sono forse un cane, perché tu vieni a me con un bastone? [8] Il cane è utilizzato da Cristo come una sostituzione per uno straniero quando dice alla cananea che non si dovrebbe dare ai cani ciò che è rivolto ai bambini [9]. La risposta della donna è anche rivelatrice, mentre parla di briciole che cadono dal bordo della tavola, indicando chiaramente il cane come lo straniero che è sul bordo. Proprio questi esempi potrebbero essere sufficienti a spiegare san Cristoforo simbolicamente, ma c'è ancora di più.

La chiave per trovare san Cristoforo più profondamente nella Bibbia è la storia del suo attraversamento del fiume. Nella Scrittura, ci sono diverse storie significative di attraversamenti di corsi d'acqua, e attraverso questi appaiono gli elementi essenziali della storia di San Cristoforo, collegata alla periferia e alle tuniche di pelle. Mentre cerchiamo dobbiamo ricordare che le tuniche di pelle sono sia la morte sia la cura per la morte, sia la causa sia la soluzione per il mondo della caduta. Ciò significa che i simboli saranno tutti lì nelle storie diverse, ma a volte possono scivolare da un lato all'altro. Il primo esempio viene nella storia del diluvio, dove Noè costruisce un'arca, un guscio pieno di animali per sfuggire al mondo dei giganti caduti [10]. Poi nel passaggio del Mar Rosso, gli israeliti si mescolano con una serie di nazioni straniere per sfuggire gli stranieri egiziani [11]. Quest'ultimo passo potrebbe non sembrare così chiaro, ma lo diventa al successivo "passaggio". Quando il mix di israeliti e stranieri provenienti da Egitto, infine, passa il Giordano per entrare nella terra di Canaan, dove vivono i giganti, ci sono solo due persone hanno lasciato degli adulti nel gruppo originario. Di tutti coloro che sono fuggiti in Egitto, gli unici adulti del gruppo originale che attraversano il Giordano mentre l'Arca dell'Alleanza separa le acque sono le due spie Giosuè e Caleb [12]. Giosuè, che significa "salvatore", è, naturalmente, il nome di Gesù, e sarebbe diventato il leader di Israele all'ingresso in Canaan. Come per gli altri compagni, uno dei significati del nome Caleb è "cane". Questo significato è sottolineato nel testo, perché Caleb è uno straniero, un kenizita a cui si dice che viene assegnata la "periferia" della terra presa da Israele [13]. Ed ecco che abbiamo due persone che entrano nella terra promessa, attraversando il Giordano, Gesù e il cane, Cristo e lo straniero, la "testa" e il "corpo". Il termine kenizita è uno di quei termini che infastidiscono gli studiosi moderni, quando dico che ha anche il suono "K-N" di Caino, Canaan, e canino - solo una coincidenza che vale la pena menzionare.

I prossimi esempi di attraversamento di acque che riporteranno la nostra discussione sul tema sono i passaggi del Giordano di Elia e di Eliseo [14]. Questi avvengono nello stesso luogo dei loro antenati, nei pressi di Gerico, la prima città presa da Giosuè. Elia usa la sua veste, che era un "mantello di pelo" [15], una veste di pelle, per separare le acque e poi lasciare questo mondo fisico (proprio come fecero Enoc prima del diluvio e Mosè prima dell'entrata in Canaan), e quindi Eliseo, dopo aver ricevuto gli indumenti di Elia con una doppia porzione del suo potere, usa le vesti di pelle per tornare al lato di Gerico. Questa storia è naturalmente simbolicamente legata al diluvio e all'arca, nonché al passaggio di Giosuè e di Caleb con l'arca dell'allenaza, e così quando abbiamo messo tutti questi insieme abbiamo: i giganti, gli indumenti di pelle, le arche, i cani, gli stranieri, e "il salvatore" che usa tutte queste cose per attraversare le acque caotiche. Quello che abbiamo davanti a noi è l'immagine del battesimo, ma in un modo più profondo l'immagine di san Cristoforo che attraversa il fiume con Cristo sulle spalle è anche immagine della Chiesa stessa.

 

Elia ascende mentre Eliseo afferra i suoi abiti di pelle. Icona di Novgorod.

La relazione tra l'attraversamento delle acque e il battesimo è messa in evidenza in diverse storie del Nuovo Testamento, ma per quanto riguarda san Cristoforo e la relazione della Chiesa con lo straniero, dobbiamo guardare la storia dell'eunuco etiope [16]. Di tutte le conversioni nella Chiesa primitiva, San Luca ha scelto questa storia per un motivo. Il pieno significato può essere compreso solo se sappiamo che cosa significavano un etiope e un eunuco nel mondo antico. Gli eunuchi svolgevano un ruolo molto simile a quello che abbiamo descritto finora. Proprio come i cani, erano esclusi dal tempio. Con la loro castrazione divenivano strane creature ibride, né maschi né femmine. Erano emarginati, sterili e senza discendenza. Questo è naturalmente rafforzato dal fatto che gli eunuchi erano spesso schiavi. Ma perché non avevano posto nella società, senza posterità per favore, diventavano spesso i "guardiani" dei re o degli imperatori. Anche fino a Giustiniano, non era raro trovare un "cuscinetto" di eunuchi intorno all'imperatore che proteggeva la sua persona ed i suoi affari. Anche gli stranieri potevano svolgere questo ruolo, come i variaghi che ho menzionato in precedenza. Questo, naturalmente, è il ruolo del nostro eunuco etiope, che era descritto come il  responsabile del tesoro della regina d'Etiopia. L'Etiopia nel mondo antico era la dimora di razze lontane, anche di razze mostruose, ed era la terra d'origine della Sfinge. Il dettaglio che l'etiope faceva parte della corte di Candace, regina degli etiopi, vuole evocare per noi la regina di Saba che venne a porre i suoi indovinelli a Salomone. E così il nostro eunuco etiope rappresenta tutto ciò che rappresentano le tuniche di pelle. E nel caso che rimanga qualche dubbio, ci può convincere un interessante dettaglio nella storia. Si dice che dopo che Filippo ebbe battezzato l'etiope, "Lo spirito del Signore rapì Filippo, e l'eunuco non lo vide più... " Questa è ovviamente la stessa frase della storia di Elia ed Eliseo: dopo che Elia fu asceso, Eliseo "non lo vide più". L' uso della stessa frase è lì a ricordarci la connessione, di come la storia dell'eunuco e del suo battesimo è legata a tutte le storie di "attraversamento delle acque" che ho menzionato, molti dei quali comprendono l'episodio qualcuno che ascende, che hanno tutti come "veicolo" l'attraversamento di qualche aspetto della periferia, qualche immagine delle tuniche di pelle. Questa ascesa, lasciando dietro di sé un "corpo", è legata anche all'Ascensione di Cristo che lascia dietro di sé la Chiesa.

 

Filippo e l' eunuco etiope dal Menologio di san Basilio

Ci sono molte altre storie, tratte anche da altre culture, in cui appare questa struttura. Dall'incontro di Ulisse con il Ciclope, al gigantesco "Little John" che combatte Robin Hood su un fiume alla fiaba norvegese delle tre capre, gli esempi abbondano mostrando quanto sia profonda e noetica questa storia nell'esperienza umana. Il più recente esempio chiaro di questa struttura è il libro di grande successo "Vita di Pi". Come al solito nel raccontare la storia contemporanea, che vuole spingere ulteriormente le cose, qui il movimento delle tuniche di pelle è portato al suo estremo. Al fine di assicurare la sua "traversata", il personaggio principale deve fare affidamento sul cannibalismo immaginato come una tigre sul fondo della sua barca. Il cannibalismo è ovviamente uno degli attributi più comuni dati delle razze estere mostruose ed è una immagine molto forte della morte.

Speriamo che il nostro viaggio avrà dimostrato quanto, piuttosto che essere semplicemente una serie di incidenti e di esagerazioni, la storia di base e l'iconografia di san Cristoforo siano perfettamente coerenti con la narrazione e la tradizione biblica. Sia il guerriero dalla testa di cane sia il gigante che attraversa il fiume, entrambe le tradizioni di iconografia puntano al significato profondo della carne essere portatrice di Cristo, all'essere "Cristofori", allo straniero che è veicolo per l'avanzare della Chiesa fino ai confini del terra. In effetti, la storia di san Cristoforo è di fatto un'immagine della Chiesa stessa, del rapporto di Cristo con il suo Corpo, del nostro cuore con i nostri sensi, del nostro logos con il suo guscio.

Nonostante tutto questo, alla fine, la grande obiezione persiste ancora: sì, queste storie sono cosa buona e giusta, ma nella nostra epoca scientifica di buon senso, nessuno crede più agli uomini dalla testa di cane e alle razze di giganti. San Cristoforo rimane una traccia imbarazzante di convinzioni errate mantenute nel passato e dovrebbe, per questo solo motivo, essere abbandonato.

Nel mio prossimo articolo, pertanto, cercherò di portare il lettore a un incontro con san Cristoforo.

 

Affresco di origine sconosciuta che mostra san Cristoforo come un mix dei suoi racconti orientali e occidentali.

Note

[1] La versione più completa di questa storia è nella Legenda aurea : http://www.catholic-forum.com/saints/golden234.htm

[2] David Woods, L'origine del culto di San Cristoforo, 1999

[3] Per un resoconto della leggenda, vedere Myths of the Dog-Man di David Gordon White, p.37-38, The University of Chicago Press, 1991.

[4] Per una trattazione generale delle tuniche di pelle in san Gregorio di Nissa e altri Padri della Chiesa, vedi il mio articolo sul tema: http://pageaucarvings.com/2/post/2012/9/the-garments-of-skin.html

[5] Giobbe 30:1

[6] Apoc 22:15

[7] 2 Re 9: 33-37

[8] 1 Sam 17:43

[9] Mat 15:26

[10] Gen 6-7

[11] Ex. 14. Gli egiziani sono visti in modo molto esplicito come simboli delle tuniche di pelle da san Gregorio di Nissa, mettendoli in relazione con la nozione generale dello straniero e del prepuzio. Si veda ad esempio la Vita di Mosè, libro II, sezione 38-39.

[12] Num 14:29-30

[13] Giosuè 21:11-13

[14] 2 Re 2

[15] 2 Re 1:8

[16] Atti 8:26-40

 
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VIDEO - Ostrov ("L'isola"), 2006

Nella nostra sezione dei Video, presentiamo il film del 2006 Ostrov ("L'isola"), diretto da Pavel Lungin e interpretato magistralmente da Pjotr Mamonov. Potrete trovare tra i Video il film completo doppiato in italiano, e il film in russo con i sottotitoli in romeno. Un piccolo capolavoro di spiritualità russa contemporanea disceso nel mondo del cinema, da vedere, da rivedere e da far vedere. Buona visione!

 
La mente ortodossa

I. Introduzione

Immaginate per un momento che cosa sarebbe questo congresso e come staremmo parlando se si trattasse di un congresso missionario evangelico piuttosto che uno ortodosso. A parte l'ovvia differenza di aspetto – meno barbe, più persone in giacca e cravatta... forse avremmo avuto un gruppo rock che ci suonava gli ultimi successi tra i brani di culto – ma oltre a questo, i temi che stiamo discutendo sarebbero quasi completamente diversi.

Non ci staremmo concentrando sulla formazione spirituale, e probabilmente non tanto sul culto – certamente non sul culto cristiano storico. È improbabile che il digiuno o la disciplina spirituale sarebbero scelti come argomenti – più probabilmente staremmo a parlare di quello che dobbiamo fare per accomodare le nostre chiese e il culto alla società, in modo da renderli più attraenti e vendibili. Se vi sembra che io sia ingiusto, allora probabilmente non avete letto molto in termini di materiale protestante sulla crescita delle chiese.

Supponiamo ora che un evangelico abbandoni uno dei suoi congressi e arrivi qui da noi. Oltre a non avere familiarità con le differenze esteriori, una tale persona non capirebbe bene la maggior parte di quello che si dice qui. Non sarebbe per ostinazione da parte sua: sarebbe perché, in un certo senso, noi non parliamo la stessa lingua. Tutti i suoi schemi di riferimento sono estranei alla visione del mondo ortodosso. Certamente ci sono molti punti di contatto tra protestantesimo e Ortodossia – usiamo molti degli stessi termini, entrambi usiamo le Scritture, parliamo di Gesù Cristo e della Trinità – ma questi punti di contatto, in qualche modo, rendono più difficile a un protestante comprendere e accettare l'Ortodossia e, forse in misura ancora maggiore, sono un enorme ostacolo nel percorso verso lo sviluppo di una mente veramente ortodossa.

Quando ero al liceo, ero un appassionato di arti marziali. Lo stile che ho studiato era una forma di Kung Fu cinese. Ora, nella mia scuola di arti marziali abbiamo avuto un numero di convertiti dal Tae Kwon Do, che avevano visto la luce e cercato rifugio nell'antica tradizione del Kung Fu. La cosa interessante, però, era che un pagano di arti marziali poteva entrare dalla strada e fare un percorso più facile per imparare a fare correttamente le forme e posizioni.

Il problema era che molte delle posizioni e delle forme, così come dei pugni e dei calci erano molto simili – ma abbastanza diversi da rendere molto difficile imparare a fare le stesse cose nel modo del Kung Fu. Ma quando arrivava il momento di mettere in pratica queste tecniche – quando lottavamo – questo problema diventava ancor più evidente. Con il tempo, molti di questi convertiti imparavano a fare correttamente le posizioni e le forme (anche se a volte si poteva ancora vedere l'influenza del Tae Kwon Do), ma quando lottavano – molti di loro lottavano come se non avessero mai studiato il Kung Fu.

L'istruttore fermava spesso l'azione, e diceva a queste persone, "Guardate, il Tae Kwon Do va bene, se volete imparare il Tae Kwon Do, ma voi siete qui per imparare il Kung Fu – se volete imparare il Kung Fu, dovete mettere da parte quello che sapete del Tae Kwon Do e utilizzare le tecniche che avete imparato qui".

La ragione per cui queste persone, mentre lottavano, ritornavano di nuovo al Tae Kwon Do è semplice – quando stai lottando, devi pensare e agire in fretta, e il Tae Kwon Do veniva loro come una cosa naturale – ma di fatto impediva loro di arrivare al punto in cui il Kung Fu sarebbe diventato naturale, e così fino a quando potevano arrivare al punto in cui avrebbero messo da parte le loro tecniche di Tae Kwon Do – potevano fare ben pochi progressi nel Kung Fu.

Allo stesso modo, nella Chiesa ortodossa oggi di ci sono molti convertiti dal protestantesimo. Hanno visto nell'Ortodossia quello che hanno trovato carente nella loro precedente esperienza protestante, ma molto spesso parlano e agiscono in modi ancora molto protestanti.

Questo significa che un convertito dal protestantesimo non può mai davvero diventare autenticamente ortodosso? Io spero certamente che non sia così. Ciò che vuol dire, però, è che abbiamo una strada più difficile davanti a noi, rispetto a un convertito dal paganesimo.

Gli ex protestanti hanno il vantaggio di avere più familiarità con le Scritture, e di conoscere molto della terminologia ortodossa, ma spesso non si muovono oltre la loro comprensione protestante di queste cose verso una ortodossa, oppure ritornano alla loro comprensione precedente, in situazioni di urgenza.

Il convertito dal paganesimo non crede di aver già capito qualcosa che non ha ancora capito – e quindi è più facile da istruire.

Ciò che i convertiti devono capire è che devono diventare cinture bianche nella Chiesa ortodossa – indipendentemente dal fatto che fossero stati o no cinture nere di quinto grado nel protestantesimo.

La gente spesso chiede come sia possibile che i missionari russi in Alaska siano stati in grado di evangelizzare gli indiani locali molto velocemente e di convertire intere tribù, eppure qui nell'America protestante, i convertiti sono divenuti numerosi solo negli ultimi decenni, e persino ora per la maggior parte arrivano solo dopo una seria e lunga lotta.

La ragione è molto semplice. Quando gli aleutini ascoltavano il Vangelo ortodosso dai missionari russi, non pensavano erroneamente di sapere già di che cosa questi missionari stavano parlando, e così hanno compreso rettamente la prima volta, e quindi non hanno mai dovuto lottare contro errate interpretazioni eterodosse della Fede. I protestanti, d'altra parte, sono stati in un certo senso inoculati contro la verità, essendo stata iniettata in loro una forma morta della fede cristiana. Essi hanno quindi un'immunità che si supera solo con difficoltà. Un protestante non sarà quasi mai in grado di accettare l'Ortodossia subito dopo la sua prima esposizione ad essa – di solito, solo dopo un lungo e doloroso periodo in cui affronta le questioni che lo separano dall'Ortodossia potrà venire a patti con essa.

Ma questo ci porta solo fino al punto della conversione – il punto in cui un protestante è disposto ad accettare l'Ortodossia come la vera fede. Ciò che deve essere capito, ma che troppo spesso non lo è, è che questo è solo l'inizio. L' intero processo di conversione è un argomento a sé, ma quello che vorrei mettere a fuoco oggi è cosa succede dopo, dopo che si arriva ad accettare l'Ortodossia come la vera fede, si diventa un catecumeno, e ciò che continua anche dopo il battesimo.

Diventare convinto che l'Ortodossia è la vera fede è un cambiamento rivoluzionario in sé e per sé per un protestante – ma diventare ortodosso in mente e spirito è per molti versi ancor più una rivoluzione, e certamente è un processo molto più complesso. Anche quelli che sono cresciuti nella Chiesa devono sviluppare una mente ortodossa – se ne dubitate, vi basta prendere in considerazione per un attimo quelli che hai incontrato che sono stati cresciuti come ortodossi, ma che non hanno una mente ortodossa. Molte persone che sono state ortodosse tutta la loro vita hanno più una mente protestante di quanto non ne abbiano una ortodossa – e alcuni hanno più una mente pagana di ogni altra cosa. Così nessuno nella Chiesa è esente da questa lotta.

Essenzialmente ciò che questa trasformazione richiede è uno spostamento della visione del mondo – e questo è vero anche per i convertiti dal paganesimo – con la differenza che, poiché la visione del mondo ortodosso è così radicalmente distinta da una visione del mondo pagano, risulta chiaro quali modifiche devono essere effettuate e vi è poco spazio per la confusione. Con i protestanti, c'è molto spazio per la confusione – sono in molti modi così vicini, ma come risultato, sono così lontani.

Cosa voglio dire con visione del mondo?

Una visione del mondo è un insieme di paradigmi mentali con cui valutiamo le nostre esperienze.

La nostra visione del mondo determina le nostre aspettative della realtà, e le nostre aspettative in gran parte determinano la nostra percezione della realtà. Se siamo di fronte a qualcosa che non rientra nel nostro paradigma, allora è probabile che saremo ciechi nei confronti di questa cosa, o che cercheremo di adattarla artificialmente alla nostra visione del mondo.

Per esempio, in alcune culture si distingue solo tra due o tre colori, per esempio chiaro e scuro – così per una simile persona, blu e nero non sono altro che buio, e non si riesce a fare una distinzione. O per fare un esempio più vicino a noi: quello che la visione del mondo predominante nelle nostre culture chiamerebbe una persona emotivamente disturbata, altre visioni (come quella della Bibbia) potrebbe chiamarlo indemoniato. Le aspettative di queste visioni del mondo apriranno gli occhi oppure accecheranno una persona nei confronti di certe possibilità.

Un animista potrebbe essere accecato rispetto al ruolo che i germi svolgono in una malattia, o a ciò che una ferita alla testa o un danno cerebrale potrebbero svolgere in una malattia mentale – un animista vedrebbe tutto in termini di forze spirituali.

Un empirista moderno, d'altra parte, sarebbe completamente cieco alla possibilità stessa che forze spirituali possano anche solo avere un ruolo in cose come le infermità o le malattie mentali.

La nostra visione del mondo è il modo in cui pensiamo. È il modo in cui guardiamo le cose, elaboriamo le informazioni, sono i paradigmi che ordinano le cose. Soprattutto per i convertiti, ma per chiunque vive in una cultura protestante come questa, dobbiamo capire chiaramente ciò è che la visione protestante del mondo e come si differenzia dalla visione ortodossa del mondo.

II. L'ethos protestante

Ora qualcuno potrebbe contestare la necessità di studiare il modo di pensare protestante – forse potrebbe essere d'accordo di farlo con lo scopo di ottenere convertiti, ma perché quelli che sono già ortodossi dovrebbero disturbarsi a impararlo? Il motivo è semplice: viviamo in una società che è completamente protestante. Inoltre, l'ethos protestante si trova anche tra molti che sono stati ortodossi per tutta la loro vita.

C'è un proverbio cinese che dice: "Conosci il nemico e conosci te stesso, e in mille battaglie non vedrai la sconfitta" [Queste parole sono state scritte più di 2.000 anni fa dal grande stratega militare cinese Sun Zi nel suo libro che è di solito chiamato L'arte della guerra].

Il primo dovere di ogni cristiano ortodosso è quello di "conoscere se stesso", in altre parole, di conoscere la fede ortodossa, così come di essere a conoscenza dei nostri punti di forza e di debolezza e camminare così con umiltà – che non è una falsa umiltà, ma in realtà è una valutazione molto realistica di noi stessi a confronto con gli esempi dei santi e alla luce degli standard di santità e giustizia di Dio.

Oltre a conoscere noi stessi, dobbiamo conoscere il nemico – le Scritture ci insegnano in molti punti che dobbiamo essere vigili e pienamente consapevoli degli stratagemmi satanici.

Per avere una comprensione del sulla visione del mondo protestante / secolare prevalente, vorrei concentrarmi su quattro principali caratteristiche che la identificano e la distinguono da uno schema di riferimenti ortodosso.

A. Umanesimo / individualismo / secolarismo

La prima caratteristica della visione del mondo protestante è che è umanistica.

Ora, questa dichiarazione sarà come uno shock per i protestanti conservatori, e non c'è dubbio che vi controbatteranno in modo acceso – ma l'affermazione è una verità storica, così come un fatto osservabile. Il protestantesimo è nato ed è diventato l'espressione religiosa dell'umanesimo del Rinascimento e, come ha fatto notare Frank Schaeffer, è stato il motore della secolarizzazione della cultura occidentale. L'umanesimo è caratterizzato dalla sua idealizzazione dell'autonomia individuale e dalla promulgazione della secolarizzazione. L'autorità della Chiesa è stata respinta a favore del giudizio soggettivo del singolo. L'idea di una nazione cristiana è stata sostituita dal concetto di separazione tra Chiesa e Stato – e per coloro che sostengono che questo è stato uno sviluppo successivo, se è vero che Lutero e Calvino non hanno ritenuta necessaria la separazione di Stato e Chiesa (perché erano al potere) i primi anabattisti si sono battuti per questo fin dall'inizio.

Ciò che è sorprendente è come i protestanti conservatori hanno visto l'umanesimo e la secolarizzazione come un invasore straniero completamente in contrasto con la loro fede – quando in realtà si tratta del frutto del loro grembo intellettuale.

Per esempio, a ogni Natale occidentale, è possibile ascoltare i protestanti lamentarsi ad alta voce del fatto che Cristo è stato scacciato fuori dal Natale e sostituito con Babbo Natale – ma questo da dove viene? Sono stati i Puritani inglesi che si opponevano all'idea di un calendario religioso, e che si opponevano al Natale e a tutte le altre feste come cose "pagane" e così hanno cercato di sostituire quelle feste con osservanze secolari. Sono questi puritani che hanno inventato Nonno Gelo, e hanno sostituito l'idea di andare in chiesa a Natale per celebrare la nascita di Cristo con divertimenti in famiglia, giochi, regali e cibo che caratterizzano la comune osservanza protestante del Natale. Così, nel loro tentativo di sbarazzarsi del "pagano" calendario cristiano delle feste, sono di fatto i protestanti che hanno sviluppato il calendario secolare veramente pagano che la nostra cultura ha imparato a conoscere e amare.

La tendenza protestante verso l'individualismo si vede anche in modo manifesto nel movimento carismatico e in altri ambienti pietisti sotto forma di un aumento di emotività. Nel protestantesimo delle denominazioni contemporanee, i servizi di culto non sono tanto un servizio a Dio, ma un servizio che soddisfa le esigenze della gente. La gente cerca la chiesa che serva meglio loro stessi, piuttosto che una Chiesa in cui si può meglio servire Dio. Se date un'occhiata alle moderne "mega-chiese" protestanti troverete piste da bowling, piscine, corsi di Karate, gruppi per singoli che aiutano a trovare l'anima gemella, gruppi giovanili che faranno divertire i vostri bambini – che cosa potrebbe avere di più da offrire l'industria della pubblicità?

L'attenzione per l'intrattenimento può essere vista nel modo in cui è costruita la maggior parte delle moderne chiese evangeliche – disposte come sale teatrali. Si può fare una scelta tra chiese che offrono un culto country western, pop, rock and roll, o classico, se lo si preferisce. È facile come la scelta di sintonizzarsi su una stazione radio. Quanto è lontano questo dalla visione biblica del culto in termini di sacrificio e di servizio al Signore. Non troverete nessuno dei Salmi che racconta come lo scrittore è stato intrattenuto nel tempio, o come sono state soddisfatte le sue esigenze.

Non c'è bisogno di leggere con attenzione nella Bibbia per vedere quanto i concetti di laicità, umanesimo e individualismo sono stranieri per le menti degli scrittori biblici.

Non c'era separazione tra Chiesa e Stato nell'Antico Testamento. In realtà i re di Israele e di Giuda erano giudicati per la loro difesa della fede contro i pagani e le espressioni religiose eretiche. Più volte leggiamo nelle Scritture, "il re tal dei tali fece ciò che era giusto agli occhi del Signore, fece demolire i santuari sui luoghi alti che il Signore aveva proibito...", eccetera.

La visione del mondo della Bibbia non è centrata sull'uomo, ma è chiaramente teocentrica. L'individualismo sarebbe stato un concetto completamente estraneo – un fatto che anche gli studiosi biblici protestanti non esitano ad ammettere. In realtà essi sottolineano che gli israeliti avevano un concetto di personalità corporativa. Certo, credevano nella responsabilità individuale, ma è chiaro che gli Israeliti si consideravano come parti del loro nucleo familiare, del clan, della tribù, e della loro nazione – e riconoscevano che Dio trattava con loro non solo come individui ma come gruppi.

B. Modernismo

La seconda caratteristica principale del protestantesimo è il modernismo.

Fin dall'inizio il protestantesimo è stato segnato da un totale disprezzo per il cristianesimo antico e la tradizione. Si deve ammettere che il protestantesimo non era senza giustificazioni nel protestare contro le forme di tradizione che affrontava – perché lungi dall'essere fedele al cristianesimo antico, il papismo era in sé un'innovazione. Ma piuttosto che il ritorno al cristianesimo autentico dell'Ortodossia, il protestantesimo ha cercato di porre rimedio alla situazione tornando apparentemente all'antica purezza delle Scritture, ma in realtà semplicemente sostituendo l'arbitrarietà di un unico papa con un papismo democratico, in cui ogni individuo è il papa infallibile di se stesso, ricevendo rivelazione diretta dallo Spirito Santo.

I protestanti affermavano di avere la Scrittura come unica autorità, e respingevano le interpretazioni dei Padri ogni volta che queste contraddicevano le Scritture – ma in realtà stavano veramente ponendo le loro interpretazioni delle Scritture al di sopra di quelle dei Padri, e in sostanza dicevano che quando i Padri contraddicono le loro interpretazioni individuali – le loro interpretazioni devono essere considerate più autorevoli.

Nella sua lotta contro il romanesimo, il protestantesimo ha cercato di screditare tutta l'antica sapienza della Chiesa. Il periodo precedente è stato definito spregiativamente come "secoli bui". "Nuovo" è diventato sinonimo di "buono", "più nuovo" di migliore e "nuovo e migliorato", come ancora meglio. Il termine "cambiamento" è usato quasi come un amuleto magico, che giustifica qualunque cosa ad esso associata. L'antica visione cristiana era che la novità e l'innovazione sono prove assolute di errore, ma nel protestantesimo questa visione è stata rovesciata al punto che l'innovazione è per loro la prova della verità. Mentre i protestanti attaccavano (spesso con motivazioni) la tradizione romana per le sue aggiunte post-apostoliche – sviluppavano nuove tradizioni a un tasso che avrebbe fatto girare la testa di ogni papista.

In fondo, il modernismo non è realmente in guerra con il passato tanto quanto è in guerra con Dio.

Il modernismo è semplicemente la leva con cui gli umanisti e laici hanno cercato di spodestare Dio dal suo trono e porre l'uomo al suo posto.

L' umanesimo secolare che i protestanti conservatori vedono come il loro nemico mortale è semplicemente una forma più finemente evoluta del protestantesimo. Il protestantesimo pietista del passato ha ormai esaurito la sua utilità per il processo di secolarizzazione, e così è stato scartato dai più avanzati protestanti secolarizzati.

I riformatori hanno respinto la tradizione, e hanno detto di avere solo bisogno della Bibbia e della propria ragione come guida. I protestanti successivi hanno rivolto i loro coltelli sulla Bibbia stessa, erodendola fino ad avere ora solo la propria ragione e il sentimentalismo come loro guida. I più primitivi protestanti religiosi, disprezzati dalla modernità, hanno cercato fino a ora di rimettersi al passo con lo spirito dei tempi, diventando "rilevanti". Per diventare "rilevanti" hanno cercato di accomodare ulteriormente la loro religione ricorrendo alla cultura più superficiale. Oggi, anche tra gli evangelici conservatori, è l'industria della pubblicità che determina il loro culto – non i mandati scritturali. C'è stata una sfilata continua di mode che hanno spazzato questo paese mentre i protestanti cercavano di mantenere le cose divertenti e "nuove".

C. Arroganza / superbia / prelest

Strettamente associate sia al'individualismo antropocentrico e al secolarismo, così come al modernismo, arrivano l'arroganza, la superbia, e l'illusione spirituale (o prelest). Questo si vede più chiaramente quando si esamina il mondo accademico biblico protestante.

Quando ero studente alla Southern Nazarene University, preparandomi a diventare un ministro protestante, quando ci è stato insegnato come studiare la Bibbia, ci hanno insegnato a non consultare la santa tradizione o gli scritti dei Padri – nemmeno quei padri che avevano conosciuto gli apostoli personalmente. Ci hanno detto che i Padri della Chiesa erano tutti allegoristi, e che in realtà non avevano idea di ciò che la Bibbia stava davvero dicendo.

In realtà, mi era chiaro che nemmeno gli apostoli seguivano principi protestanti di esegesi nell'interpretazione dell’Antico Testamento – e in effetti i miei professori liberali non esitavano a sottolineare punti in cui gli apostoli avevano male interpretato l'Antico testamento. Quando ho chiesto a uno dei miei professori se pensava di aver capito la Bibbia meglio degli apostoli – ha risposto senza esitazione: "Sì!"

Gli studiosi protestanti più conservatori potrebbero spiegare questa discrepanza tra esegesi apostolica ed esegesi protestante dicendo che gli apostoli furono ispirati a trovare nell'Antico Testamento un significato spirituale che andava oltre il suo significato reale per gli scrittori dell'Antico Testamento – ma che noi non dobbiamo interpretare in quel modo l'Antico Testamento perché non siamo così ispirati.

La conclusione, comunque, è che l'esegesi protestante è chiaramente NON biblica, e coloro che la sostengono devono riconoscere, come aveva fatto il mio onesto professore, che pensano effettivamente di conoscere la Bibbia meglio di quelli che l'hanno scritta.

Gli studiosi protestanti più liberali, come Rudolph Bultmann, hanno affermato di sapere di più su chi era Gesù di quanto sapesse Gesù stesso. Essi affermano di essere in grado di distinguere ciò che Gesù ha veramente detto, da quello che non ha detto. In sostanza, 2.000 anni dopo il fatto – essi sostengono che solo ora la Bibbia è stata davvero capita. La Chiesa primitiva, i Padri dei Concili ecumenici, ecc ecc, tutti sono stati ingannati e delusi – ci sono voluti questi brillanti studiosi biblici moderni per smascherare la verità.

D. riduzionismo / empirismo

La quarta e ultima caratteristica del protestantesimo che voglio sottolineare è il suo riduzionismo, e i suoi presupposti razionalisti ed empiristi.

Il protestantesimo è riduzionista in vari modi. Ha sempre cercato di tornare alla Chiesa "primitiva" del Nuovo Testamento, scartando qualsiasi aspetto della fede che non può essere dimostrato in vigore nel Nuovo Testamento. I protestanti usano l'Antico Testamento troncato, canonico per gli ebrei – in realtà se Lutero avesse potuto fare a modo suo, avrebbe troncato il Nuovo Testamento scartando particolare la lettera di Giacomo, insieme ad alcuni altri libri che non gli piacevano.

I protestanti hanno inoltre cercato di definire la fede cristiana in termini di "elementi essenziali" – ossia qual è il minimo che si deve credere e fare per essere un cristiano.

In sostanza, i protestanti sono sempre stati segnati dal razionalismo, e i razionalisti occidentali hanno sempre cercato di ridurre la realtà fino a ciò che potrebbe servire come base più solida su cui costruire una struttura razionalista.

Per esempio Cartesio, utilizzando il dubbio metodologico, scoprì che poteva dubitare di tutto l'universo, tranne della propria esistenza – così la famosa frase: penso, dunque sono. Su questa base sicura – la sua esistenza – ha poi proceduto a costruire il suo sistema filosofico.

I riformatori si accontentarono in un primo momento di vedere la Bibbia come base irriducibile per costruirvi sopra il loro razionalismo, ma i protestanti successivi, come fece Cartesio, utilizzarono il dubbio metodologico e il criterio del sospetto, cominciando a esaminare la Bibbia per vedere quello che in essa poteva essere noto con certezza. Alla fine, usando i loro strumenti critici, il loro fondamento della Sola Scriptura sfuggì loro di mano come una manciata di polvere. Tolta dal suo contesto all'interno della santa Tradizione, la Bibbia era un castello costruito sul nulla – non ci volle molto per farlo crollare.

I modernisti, nella loro arroganza, hanno presunto di analizzare criticamente i presupposti di tutti gli scrittori e filosofi precedenti – ma non sono riusciti a valutare criticamente i loro stessi presupposti.

Quando facevo i miei studi per il ministero pastorale, mi è stato dato l'incarico di scrivere sul rapporto tra l'empirismo e gli studi biblici – un tema che si è rivelato uno degli studi più ricchi di rivelazioni che io abbia mai condotto. La prima scoperta sorprendente che ho fatto era che non c'era quasi nulla di scritto sull'argomento. Mi è diventato molto chiaro che il pensiero empirista e positivista era un presupposto di base negli studi biblici protestanti, ma non ho trovato nulla che esaminava direttamente il rapporto tra i due. Un'altra scoperta, che è stata come uno shock per me a quel tempo, era che l'estremo razionalismo e modernismo che io personalmente avevo rifiutato quando l'avevo incontrato nel campo degli studi biblici, in realtà era molto affine alle ipotesi umanistiche che erano sempre state presenti nel protestantesimo. Quello di cui mi sono reso conto era che i liberali erano semplicemente protestanti più coerenti di me che come conservatore cercavo di attaccarmi ad alcune verità assolute.

L'empirismo si basa sul presupposto che il fondamento ultimo della conoscenza è l'esperienza, o la percezione sensoriale. L'empirismo, come il termine viene più comunemente usato, non fa riferimento ad una filosofia specifica, ma piuttosto alle ipotesi più fondamentali della visione del mondo occidentale moderno. L'empirismo cerca di conoscere ciò che può essere conosciuto con "certezza" e può essere "verificato" "scientificamente".

Il più grande presupposto della visione empirista del mondo è che possa esserci un metodo scientifico che opera senza ipotesi. Questo suona ridicolo, ma ricordate che una visione del mondo è un insieme di ipotesi di cui di solito siamo inconsapevoli. Un'ulteriore estensione del presupposto che tutta la conoscenza deriva dall'esperienza è che la realtà è determinata da ciò che possiamo osservare con i nostri sensi e possiamo testare empiricamente. Il risultato di questa credenza [!] è che si deve negare la possibilità che si possa sapere qualcosa di trascendente o soprannaturale – così la realtà del trascendente e del soprannaturale viene negata. Gli empiristi non producono prove che dimostrino la falsità della realtà trascendente, o dei miracoli, ma piuttosto i loro presupposti, fin dall'inizio, negano la possibilità di tali cose.

La maggior parte dei protestanti conservatori potrebbe obiettare che non pensano affatto in questo modo. Essi credono nella Bibbia, e credono nei miracoli della Bibbia. Naturalmente, se sei un cristiano, allora non potresti mai accettare tutte le conclusioni dell'empirismo, ma la maggior parte dei cristiani occidentali hanno adottato molti dei suoi presupposti – a vari livelli. Ad esempio, un cristiano non potrebbe avere una visione del mondo che nega il trascendente, ma molti sostengono un dualismo radicale, in cui il trascendente e il regno empirico sono radicalmente separati, raramente entrano in contatto, e quando lo fanno, ciò avviene solo su scala molto limitata.

Un empirista puro vede solo il livello empirico come conoscibile o reale.

Un cristiano non può negare il livello trascendente, perché per essere un cristiano deve credere in Dio, ma un cristiano che opera con le ipotesi empiriche è accecato al livello medio. È principalmente sul livello del soprannaturale che il trascendente e l'empirico entrano in contatto, ma un empirista cristiano non può accettare il trascendente che viene a rovinare il regno empirico, e così vede Dio come qualcuno che ha poco a che fare con la vita di tutti i giorni nel mondo reale. Questa visione del mondo è in gran parte responsabile per la compartimentazione della religione nella vita di tanti cristiani occidentali.

Un animista, d'altra parte, è culturalmente cieco alla realtà empirica.

Se qualcuno è malato, allora è uno spirito maligno all'opera. Tutto è collegato al soprannaturale. Per lo stesso motivo, un empirista cristiano assegna immediatamente la malattia a cause naturali, e così è cieco a eventuali fattori soprannaturali all'opera. Una visione ortodossa del mondo, invece, prende entrambi i fattori in considerazione – non ogni malattia è correlata a spiriti, ma non ogni malattia è causata da soli fattori naturali.

Nonostante i problemi evidenti dell'uso dei presupposti empirici nel campo presumibilmente teologico degli studi biblici, i protestanti hanno abbracciato le metodologie fondate sul pensiero empirista senza esaminarne l'incoerenza, perché erano in cerca di una boccata d'aria di oggettività scientifica in quello che sarebbe altrimenti uno sforzo soggettivo e individualista – che chiaramente non aveva alcuna pretesa di coerenza.

Il grande errore in questo approccio cosiddetto "scientifico" alle Scritture sta nell'applicazione fallace dei presupposti empirici allo studio della storia, delle Scritture e della teologia. I metodi empirici funzionano ragionevolmente bene quando sono applicati correttamente alle scienze naturali, ma quando sono applicati laddove non possono operare, come nella storia (che non può essere ripetuta o soggetta ad esperimenti) non possono produrre risultati coerenti né accurati.

Gli scienziati devono ancora inventare un telescopio capace di scrutare nel mondo spirituale, e tuttavia molti studiosi protestanti affermano che, alla luce della scienza l'idea dell'esistenza di demoni o del diavolo è stata smentita – dove si trova lo studio scientifico che ha provato questo? Se diavolo comparisse davanti a un empirista con il forcone in mano e vestito di biancheria intima rossa fiammeggiante, la sua comparsa sarebbe razionalizzata ordinatamente in qualche modo, per adattarsi facilmente alla visione del mondo dell'empirista; infatti, anche se gli empiristi sono orgogliosi della loro apertura alla verità, sono accecati dai loro presupposti a tal punto da non poter vedere nulla che non si adatta la loro versione della realtà.

Se i metodi dell'empirismo fossero applicati in modo coerente, questo screditerebbe ogni conoscenza (compreso l'empirismo stesso), ma all'empirismo è permesso di essere incoerente da parte di coloro che lo sostengono perché "la sua spietata mutilazione dell'esperienza umana gli conferisce una reputazione di rigore scientifico tanto elevata, che il suo prestigio fa trascurare la difettosità dei suoi stessi fondamenti". [Rev. Robert T. Osborn, "La fede come conoscenza personale", Scottish Journal of Theology 28 (febbraio 1975): 101-126]

I protestanti conservatori, per fortuna, sono stati molto meno coerenti nel loro approccio razionalista, e quindi hanno conservato un rispetto per le Scritture e una fede nella loro ispirazione – nondimeno il loro approccio (anche tra i fondamentalisti più ostinati) è ancora essenzialmente radicato nello stesso spirito del razionalismo dei liberali.

Un primo esempio di questo si può trovare tra i fondamentalisti dispensazionali, che sostengono una teoria complessa che presuppone che nelle varie fasi della storia Dio ha trattato con l'uomo in base a diverse "dispensazioni", come la "dispensazione adamitica", la "dispensazione noachita", la "dispensazione mosaica", la "dispensazione davidica", e così via. Fino a questo punto, si può vedere che c'è un grado di verità in questa teoria, ma al di là di queste dispensazioni dell'Antico Testamento essi insegnano che attualmente siamo sotto una dispensazione diversa da quella sotto cui erano i cristiani del primo secolo, e così anche se i miracoli continuarono attraverso tutto il periodo del nuovo Testamento, non si verificano più oggi.

Ora questo è molto interessante, perché (in aggiunta a mancare di ogni fondamento scritturale) tale teoria consente ai fondamentalisti di affermare i miracoli della Bibbia, mentre allo stesso tempo permette loro di essere empiristi nella loro vita di ogni giorno. Così, anche se la discussione di questo approccio può sembrare a prima vista solo di interesse accademico e lontano dalla realtà del protestante medio, in realtà anche un laico protestante medio, piamente conservatori, non è immune da questa sorta di razionalismo.

I collegamenti tra le conclusioni estreme a cui sono giunti i moderni studiosi protestanti liberali, e i protestanti più conservatori o fondamentalisti, non sembrano chiare a molti – meno di tutti ai fondamentalisti conservatori! Anche se questi conservatori si vedono in quasi totale opposizione al liberalismo protestante, nondimeno usano essenzialmente nel loro studio delle Scritture gli stessi metodi dei liberali, e insieme a queste metodologie ci sono i presupposti filosofici sottostanti che i conservatori hanno inconsapevolmente adottato.

Quindi la differenza tra i liberali e i conservatori non è in realtà una differenza di presupposti di base, ma piuttosto una differenza in quanto hanno portato tali presupposti alle loro logiche conclusioni. Come i porci del paese dei Gadareni, si stanno affrettando insieme a capofitto verso il bordo di un precipizio – anche se i liberali possono essere già andati oltre il bordo, i conservatori si stanno dirigendo nella stessa direzione, solo che non sono andati ancora tanto lontano. Le denominazioni protestanti che oggi ordinano omosessuali come ministri erano altrettanto conservatrici cent'anni fa, e le denominazioni più conservatrici di oggi stanno seguendo lo stesso percorso.

Se l'esegesi protestante fosse veramente scientifica, così come pretende, i suoi risultati mostrerebbero coerenza. Se i suoi metodi fossero solo imparziali "tecnologie" (come molti li considerano) allora non importa chi li usa, dovrebbero funzionare allo stesso modo per tutti, ma cosa troviamo quando esaminiamo lo stato attuale degli studi biblici protestanti? Nella valutazione degli "esperti" stessi, lo studio biblico protestante è in crisi. In realtà questa crisi è forse meglio illustrata dall'ammissione di un riconosciuto studioso protestante dell'Antico Testamento, Gerhad Hasel [nella sua indagine sulla storia e lo stato attuale della disciplina della teologia dell'Antico Testamento, Teologia dell'Antico Testamento: Problemi nel dibattito attuale], che nel corso gli anni '70 cinque nuove teologie dell'Antico Testamento sono state prodotte, "ma nessuna di loro concorda per approccio e per metodo con tutte le altre". In effetti è sorprendente, considerando l'auto proclamato elevato standard accademico degli studi biblici protestanti, che si può fare la propria scelta con conclusioni illimitate su quasi ogni questione e trovare per ciascuna un buon supporto accademico. In altre parole, si può giungere a qualsiasi conclusione che fa al proprio caso su una particolare questione, e si può trovare un accademico che la sosterrà. Questo non è certamente scienza nello stesso senso della matematica o della chimica! Quello che stiamo trattando è un campo di apprendimento che si presenta come scienza oggettiva, ma che in realtà è una pseudo-scienza, che nasconde una serie di prospettive filosofiche e teologiche in competizione. Si tratta di pseudo-scienza, perché finché degli scienziati non svilupperanno strumenti in grado di esaminare e comprendere Dio, una teologia o un'interpretazione biblica scientifica e oggettiva impossibile. Questo non vuol dire che non c'è nulla che sia autenticamente scientifica o utile al suo interno, ma certamente, mimetizzati con questi legittimi aspetti dell'apprendimento storico e linguistico, e nascosti dalle macchine del fumo e dagli specchi della pseudo-scienza, scopriamo in realtà, che i metodi protestanti dell'interpretazione biblica sono sia i prodotti sia i servi dei presupposti teologici e filosofici protestanti – e, come tubi, semplicemente riversano tutto ciò che viene pompato in loro.

Con una soggettività che supera quella dei più speculativi psicoanalisti freudiani, gli studiosi protestanti scelgono selettivamente i fatti e le prove che si adattano al loro ordine del giorno e poi procedono (con le loro conclusioni essenzialmente predeterminate dai loro assunti di base) ad applicare i loro metodi sulle sacre Scritture, ritenendosi per tutto il tempo scienziati spassionati. E poiché le università moderne non danno dottorati a coloro che si limitano a trasmettere la verità genuina, questi studiosi cercano di superarsi l'un l'altro inventando nuove teorie strampalate. Questa è l'essenza dell'eresia: novità, opinione personale arrogante e auto-inganno.

Invece di screditare l'antico cristianesimo patristico o la Tradizione, il protestantesimo è diventata la più viva rivendicazione della Tradizione che la Chiesa avrebbe potuto sperare. Il protestantesimo stesso ora si trova completamente screditato. Ventitremila denominazioni dopo la Riforma, i protestanti stanno diventando consapevoli del fallimento spirituale che costituisce il cristianesimo denominazionale. Credo che questo sia uno dei principali motivi per il ritorno dei protestanti nella Chiesa.

III. La mente ortodossa

Arrivare al punto in cui un protestante realizza il fallimento spirituale della visione occidentale del mondo potrebbe portarlo alle porte della Chiesa, ma limitarsi a rifiutare il protestantesimo non è sufficiente. Essere convinto che l'Ortodossia è la vera fede è abbastanza buono per diventare un catecumeno, ma è necessario molto di più. Bisogna entrare nello spirito dell'Ortodossia. Anche quando si raggiunge il punto in cui è pronti a ricevere il santo battesimo, questo processo deve continuare – il battesimo è l'inizio della vostra vita nella Chiesa, è una nascita spirituale, ma solo un bambino nato morto non continuerà la crescita spirituale. Un convertito deve lottare non solo contro i demoni e contro la carne per raggiungere questo obiettivo, ma deve ancora vedersela con i modi di pensare che utilizzava prima della conversione.

Prima di occuparci di come si acquisisce una mente ortodossa, però, permettetemi di descrivere brevemente ciò che è una mente ortodossa, in particolare in quanto distinta dalla mentalità protestante che abbiamo discusso.

A. Corporativa / teocentrica

A differenza dell'umanesimo e dell'individualismo del protestantesimo – l'Ortodossia è teocentrica e corporativa.

Il centro del culto ortodosso non è la personalità del sacerdote, né la soddisfazione delle esigenze degli individui, né le esperienze emotive artificiose – il centro è Dio. A differenza delle chiese protestanti, in cui la chiesa fa fortuna o fallisce in base alla personalità del ministro – non è necessario nemmeno apprezzare il sacerdote personalmente, e si può ancora celebrare in quella parrocchia, perché noi siamo lì per adorare Dio, non per sentire un buon sermone che ci ispira. È sicuramente una buona cosa avere un prete con una buona personalità e che può fare una buona predica – ma questa è la ciliegina sulla torta, non la torta stessa.

La Chiesa non è la somma totale degli individui cristiani, è una comunità. Cristo è venuto per costruire la sua Chiesa, non per fondare una scuola di pensiero, o per salvare le persone lontano da una comunità. Questo non nega la responsabilità individuale - la Chiesa ortodossa crede fermamente che si può andare all'inferno tutto da soli, se si vuole, senza alcun aiuto da parte di chiunque altro - ma se si vuole essere salvati, la Scrittura è chiara... c'è bisogno della Chiesa.

Un cristiano ortodosso è anche ritenuto responsabile da parte della Chiesa. Cristo ha parlato della disciplina della Chiesa, e ha detto che se qualcuno non "ascolta la Chiesa, sia per voi come un pagano e un pubblicano" (Matteo 18:17).

Cristo ha anche dato agli apostoli il potere di perdonare i peccati in Giovanni 20:23 quando disse: a chi rimetterete i peccati, saranno rimessi a loro, e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi. È incredibile come i protestanti, che dicono di prendere la Bibbia alla lettera, spazzino via questo versetto – e quando sono messi alle strette, negheranno categoricamente il significato letterale del versetto.

Ma lungi dall'essere la cosa orribile che i protestanti pensano, la confessione è biblica, ed è anche un grande dono. Perché dobbiamo umiliarci, otteniamo vittoria sull'orgoglio, e perché siamo ritenuti responsabili ci viene dato un potente strumento per aiutare a progredire nella vita cristiana.

Una delle più grandi critiche di marca protestante alla confessione è che essi sostengono che siamo in grado di tornare a peccare quanto vogliamo, e poi farci perdonare tutto alla confessione – e che, pertanto, la confessione è una licenza di peccare. Ovviamente nessuno che sia mai andato a confessarsi potrebbe pensare una cosa del genere – perché anche se dovremmo essere pieni di vergogna solo per il fatto che Dio sa che abbiamo peccato, di fatto, nella nostra carne siamo più pieni di vergogna quando altri uomini sanno dei nostri peccati. Quando si va alla confessione settimana dopo settimana dallo stesso sacerdote – abbiamo aggiunto al nostro timore di Dio (che è qualcosa che dobbiamo sviluppare) un testimone che ci chiama a questo compito. Quando arriva la tentazione, il fatto che sappiamo che saremo pieni di vergogna a confessare questo peccato la settimana dopo aggiunge ulteriore forza alla nostra resistenza.

B. Antica / immutabile

Piuttosto che il continuo desiderio modernista di essere rilevanti, e la loro valorizzazione dell'innovazione, nella Chiesa ortodossa consideriamo l'innovazione come il segno dell'eresia. San Giuda dice che la Fede è stata trasmessa ai santi una volta per tutte – non possiamo aspettarci alcuna nuova rivelazione fino alla seconda venuta.

Ci viene insegnato che è nostro dovere di vivere e trasmettere la fede ortodossa nella sua purezza – così come l'abbiamo ricevuta senza cambiarla né con aggiunte, né con sottrazioni. Noi ortodossi non abbiamo bisogno di essere rilevanti, nello spirito modernista, perché abbiamo visto che le eresie vanno e vengono. Molto tempo dopo che il modernismo sarà stato completamente screditato e sarà un vago ricordo – l'Ortodossia sarà ancora in piedi. Piuttosto che cercare di attaccare il nostro carro all'ultima moda (per esempio l'ambientalismo) manteniamo con forza le tradizioni che abbiamo ricevuto dagli Apostoli, così come le abbiamo ricevute.

C. Umiltà, pentimento

Poiché l'Ortodossia non è individualistica, piuttosto che usare l'arroganza che accompagna l'individualismo, nell'Ortodossia ci viene insegnato ad ascoltare umilmente gli insegnamenti dei Padri della Chiesa. Ci viene insegnato a non pensare a noi stessi come più santi o più intelligenti dei Padri della Chiesa, che hanno chiaramente dimostrato di aver messo in pratica la Parola, e degli uomini di santità – e così quando leggiamo la Bibbia, la leggiamo in conformità con la testimonianza della Chiesa, piuttosto che nella vanità delle nostre menti individualistiche.

Come ho detto prima, questa non è falsa umiltà, ma è semplicemente una valutazione realistica delle cose. Quando ci sono 23.000 denominazioni che sostengono tutte di credere nella Bibbia, ma che non può essere d'accordo su che cos'è che la Bibbia dice – è l'umiltà che è realistica, ed è l'arroganza che è fantasiosa. Ovviamente non possono avere ragione tutti, e così l'umiltà riguardo alle proprie interpretazioni delle Scritture è l'unico approccio ragionevole alla questione.

Questo non vuol dire che tutti i cristiani ortodossi siano veramente umili, o che tutti i protestanti siano arroganti e manchino di umiltà. Ho conosciuto molti protestanti che sono molto umili, e so che io stesso sono spesso molto orgoglioso. Ma avendo operato in entrambi i modi di pensare, posso dire per esperienza che l'approccio ortodosso alla teologia e spiritualità è il sentiero dell'umiltà e del pentimento.

D. Massimalismo / visione del mondo piena

Piuttosto che il minimalismo del protestantesimo, che fa domande come: "Quali sono gli elementi essenziali? Quali sono i requisiti minimi per essere un cristiano?", gli ortodossi chiedono: "qual è il massimo che posso fare come un cristiano?"

La fede ortodossa è uno stile di vita, piuttosto che un hobby da fine settimana. Affermiamo l'ispirazione della Scrittura tanto fermamente quanto ogni protestante, ma affermiamo anche la Tradizione apostolica che, come ci diceva san Paolo, include sia la Scrittura sia la tradizione orale – che dobbiamo mantenere entrambe salde. Il cristianesimo non si riduce a un libro, noi abbiamo ricevuto il nostro culto, così come la nostra teologia dagli apostoli.

Piuttosto che l'empirismo del razionalismo occidentale, che riduce Cristo e gli apostoli a primitivi pensatori che erano abbastanza stupidi da credere a fenomeni come possessione demoniaca e miracoli, la Chiesa ortodossa afferma Cristo come creatore di tutte le cose visibili e invisibili – sia quelle empiriche sia quelle soprannaturali. Noi preghiamo per la guarigione e chiamiamo i medici – perché Dio non si limita ai mezzi naturali o soprannaturali per raggiungere i suoi scopi. Dio può guarire attraverso la sapienza e l'abilità di un medico, e anche attraverso l'unzione dell'olio dalla tomba di San Giovanni Maksimovich.

Nella Chiesa ortodossa, noi affermiamo che ci sono demoni che influenzano le persone e che le persone sono responsabili delle proprie azioni. La nostra visione del mondo può ammettere che un uomo possa essere guidato folle da demoni, e che un uomo possa essere pazzo a causa di una malattia fisica. Noi vediamo alcuna contraddizione tra l'empirico e il soprannaturale - e quindi non siamo ciechi a una di queste realtà. I miracoli sono in realtà un fatto di vita nella Chiesa tanto accettato, che non andiamo in estasi solo perché avviene un miracolo – perché ci rendiamo conto che non è solo Dio che opera miracoli, ma pure i demoni. La nostra società in generale è stata così chiusa al soprannaturale, che quando ci si trova di fronte a un avvenimento soprannaturale innegabile – si presume automaticamente che sia divino, e così molti sono caduti in un inganno demoniaco nei nostri tempi.

IV. Il viaggio

A. Le insidie

Posso descrivere brevemente una visione ortodossa del mondo in pochi minuti, ma non posso offrire soluzioni facili quando si tratta di acquisirne di fatto una. Lo sviluppo di una mente ortodossa è un lavoro duro, e richiede tempo. Ma prima di entrare nel merito dei mezzi che Dio ha previsto per questo lavoro, vorrei brevemente menzionare alcune delle trappole che ostacolano il nostro cammino. Si può sempre essere certi che i demoni si oppongono a qualsiasi sforzo spirituale – in realtà se non siete in lotta con i demoni, allora molto probabilmente non state facendo alcun progresso spirituale.

Una delle più grandi insidie ​​che Satana ci tende ai nostri tempi è l'Ortodossia modernista. Questo è un problema soprattutto per i convertiti dal protestantesimo, perché la mentalità modernista ortodossa è di origine protestante, e quindi il convertito rischia di essere attratti in un primo momento verso alcuni suoi aspetti, perché lì si troverà a casa – sentirà una nota di familiarità. Sorprendentemente, l'origine dell'Ortodossia modernista non si trova in primo luogo tra convertiti che hanno portato tale pensiero nella Chiesa, ma piuttosto tra persone di famiglia ortodossa che sono state sedotte dalle false promesse della modernità e hanno cercato di rendere anche l'Ortodossia rilevante.

Come i protestanti che nella loro arroganza si sono ritenuti più informati degli stessi apostoli, ci sono ortodossi modernisti che si credono più patristici dei Padri, e che pensano di essere più fedeli alla liturgia della Chiesa rispetto al Tipico stesso – e che solo ora, con il loro arrivo, il significato reale delle funzioni è stato portato alla luce. In maniera tipicamente protestante, pensano di essere in grado di ricostruire le funzioni in modo da migliorarle.

Pensano di essere in grado di discernere da soli a quali tradizioni della Chiesa e a quali canoni vale la pena di aderire e quali possono essere scartati. In realtà, troverete moderni "studiosi ortodossi della Bibbia" che hanno inghiottito all'ingrosso tutte le ipotesi delle metodologie esegetiche protestanti e che hanno scritto commentari e introduzioni alle Scritture – opere completamente protestanti, solo non buone come avrebbe scritto la maggior parte degli studiosi protestanti.

I modernisti hanno adottato alcune delle peggiori delle teorie liberali circa l'origine della Bibbia, come per esempio la teoria JEDP [una teoria della paternità del Pentateuco, che sostiene che quattro fonti distinte possono essere identificate come base del testo. Questa teoria è stata messa in seria discussione da altri studiosi protestanti come Ivan Egnell], e quindi procedere a interpretare il Pentateuco in termini di singole fonti isolate e in spregio dell'effettiva forma canonica del testo. Anche il buon mondo accademico protestante ha respinto la teoria [anche tra gli studiosi protestanti che accettano alcune delle idee di una forma di teoria JEDP, quelli migliori, come Brevard Childs, riconoscono che non è la teologia della fonte "J" o della fonte " D", ma la teologia di J, E, D e P che dobbiamo affrontare - nella forma che abbiamo ricevuto come canone].

Questi studiosi ignorano anche del tutto quello che i Padri della Chiesa hanno detto circa le Scritture – che cosa ci potrebbe essere di più protestante, o di più antitetico all'Ortodossia. I modernisti, ostentando questa tradizione, o quel canone, protestano dicendo che nessuno di questi è l'essenza della fede ma è vero che è scritto di loro: "Chi disprezza le piccole cose cadrà a poco a poco. "

Un altro trabocchetto correlato e a cui i convertiti devono stare attenti, è l'Ortodossia del convertismo.

Con questo intendo quell'Ortodossia che di solito si troverà in tutte o quasi tutte le parrocchie di convertiti. Questo tipo di Ortodossia non è consapevolmente modernista – in realtà la maggior parte delle persone in queste parrocchie desidera sinceramente un'Ortodossia autentica, ma perché sono in giurisdizioni infettate di modernismo, spesso vengono date loro pietre al posto del pane. Qui non voglio generalizzare – non tutte le parrocchie di convertiti agiscono in questo modo, e infatti nelle giurisdizioni infettate di modernismo, sono stati per lo più i convertiti che hanno cominciato a resistere a queste tendenze.

La causa del convertismo è una negligenza del soggetto in questione – è il risultato di un'incapacità di riconoscere la necessità di sviluppare una mente ortodossa, e di cercare consapevolmente di liberarsi dei modi di pensiero protestanti. Ai convertiti che sono caduti in questa trappola si può generalmente insegnare, anche se non a tutti, e quando vedono l'autentica Ortodossia ne sono attratti.

La terza e ultima insidia principale per i convertiti è l'Ortodossia estremista o settaria.

Le eresie hanno la tendenza a venire a coppie, per esempio nestoriani e monofisiti. Modernismo ed ecumenismo sono gli errori principali con cui la Chiesa sta lottando, ma il suo estremo opposto si trova tra i gruppi ortodossi estremisti o settari, che sono di solito incentrati intorno a un culto della personalità, e spesso sostengono di essere gli unici ortodossi. Alcune forme di questo estremismo sono molto facilmente identificabili perché si trovano in gruppi scismatici – altre forme di estremismo si trovano anche tra di noi. Questa è un'Ortodossia farisaica, che in reazione al disprezzo dei modernisti per la tradizione, è diventata così fissata su certi elementi esterni da trascurare le cose più importanti della legge – come l'amore e la misericordia.

Cristo ha detto ai farisei che arano sicuri di contare i loro semi per garantire di pagare la decima, ma che trascuravano la misericordia, l'amore, la fede; imponevano pesanti fardelli sugli altri, ma non muovevano un dito per sollevare loro stessi. Questo non significa che l'adesione agli aspetti esteriori della Tradizione non sia importante: Cristo ha detto che non si dovrebbero trascurare né le questioni interne né quelle esterne della legge.

Alcuni convertiti venuti nella Chiesa in una giurisdizione in cui il modernismo era prevalente, sono ad alto rischio di andare all'estremo opposto e finiscono nell'errore opposto. Ciò che deve essere chiaro è che l'Ortodossia è la strada stretta – non possiamo deviare né a destra, né a sinistra – dobbiamo andare diritto, lungo il sentiero ben tracciato della santa Tradizione.

B. Le armi della nostra guerra

Dio ci ha fornito i mezzi di trasformazione e il rinnovamento della mente. Nella Chiesa e nella santa Tradizione ci sono stati dati numerosi mezzi di grazia – canali che Dio ha fornito, e se ci avvaliamo di loro ci verrà data grazia in abbondanza.

1. I Misteri

Il primo fra questi mezzi di grazia sono i Misteri.

Ci è stato dato il santo Battesimo per unirci a Cristo e al suo Corpo. Ci è stata data la Crismazione, per mezzo del quale siamo ricolmati dello Spirito Santo. La santa Eucaristia – l'antidoto di immortalità – attraverso cui partecipiamo di Cristo stesso e attraverso il quale diventiamo il suo corpo. La Penitenza – attraverso la quale ci è concessa la remissione dei peccati, e ci è data la grazia di superare quei peccati. Il santo Matrimonio – che crea il fondamento della Chiesa locale – la famiglia. La santa Unzione – per la guarigione dell'anima e del corpo. E il sacerdozio - attraverso il quale il ministero apostolico è conservato e tutti gli altri misteri sono resi disponibili.

Se trascuriamo i Sacramenti o li prendiamo alla leggera, allora non dovremmo meravigliarci di essere carnali e lontani dallo Spirito Santo.

2. I servizi divini e il servizio a Dio

Dio ci ha anche fornito i servizi divini – che elevano la nostra mente a Dio, e attraverso i quali lo Spirito Santo ci istruisce. Le funzioni della Chiesa sono il campo di allenamento dei martiri, sia coloro che hanno versato il loro sangue e quelli che danno testimonianza offrendo la loro vita a Dio. I servizi divini ci autorizzano al servizio a Dio – i due non possono essere separati. Non possiamo fare il male e venire ad adorare Dio – trascurarne uno significa fare dell'altro un atto di ipocrisia.

3. Preghiera e digiuno

Probabilmente due degli strumenti più trascurati per lo sviluppo di una mente ortodossa sono la preghiera e il digiuno.

Neppure questi possono essere separati l'uno dall'altro. Dio non ha bisogno delle nostre preghiere, né ha bisogno del nostro digiuno – siamo noi che abbiamo bisogno di pregare, non per cambiare Dio, ma per cambiare noi stessi. Siamo noi che abbiamo bisogno di digiunare – non per impressionare Dio, ma per imparare a superare i desideri della carne nel digiuno. Resistere ai nostri desideri naturali diventa un'abitudine, una capacità. Di fronte a una maggiore tentazione abbiamo imparato a resistere al diavolo. Trascurare il digiuno, vuol dire trascurare la lotta spirituale. Se non digiunate mai, non avrete problemi a combattere i demoni: sarete territorio occupato da loro, ed essi spenderanno le proprie energie su qualcuno che sta in realtà cercando di essere un cristiano.

La dichiarazione più forte sul digiuno che io abbia mai sentito viene da san Serafino di Sarov – che quando una ragazza gli chiese come fare per scegliere un marito, le disse di scegliere un uomo che digiuna, perché "se un uomo non digiuna, non è un cristiano, non importa come possa chiamarsi".

La preghiera e il digiuno sono come l'allenamento fisico per un soldato. Sono esercizi e flessioni spirituali. La stessa parola ascesi significa esercizio, e l'ascesi è l'esercizio spirituale che ci farà spiritualmente forti. Trascurare questo esercizio significa essere poltroni spirituali. Non aspettatevi di arrivare da qualche parte senza preghiera e digiuno.

4. I Padri

Gli scritti dei Padri sono guide sicure per la teologia e per la vita spirituale. Gli scrittori moderni possono essere utili, alcuni più di altri, ma non trascurate gli scritti dei Padri. Non accontentatevi di leggere qualcosa sui Padri – leggete i Padri stessi.

5. Le vite dei santi

I convertiti spesso sprecano la maggior parte del loro tempo a leggere scrittori moderni – spesso scrittori modernisti, e ignorano totalmente le vite dei santi. Nelle vite dei santi ci viene mostrato quello che un cristiano ortodosso dovrebbe essere. Quando leggiamo i loro esempi e come hanno superato processi e torture ci sono dati i modelli da seguire. Durante la persecuzione della Chiesa in Russia, i pii non erano perplessi su come trattare con un governo che dava loro la scelta tra Cristo o la vita – conoscevano bene la risposta di un cristiano, e hanno dato volentieri le loro vite.

6. Gli ortodossi fin dalla culla

Una benedizione che molti convertiti vedono come più un flagello che una benedizione è essere circondati da persone che sono state ortodosse tutte le loro vite. I convertiti sono davvero zelanti, e spesso il loro zelo è spento da coloro che sono cresciuti nella Chiesa, ma che mancano del loro entusiasmo. C'è una grande tentazione di giudicare queste persone, ma quello che un convertito deve imparare a fare è ignorare gli empi, e di imparare dai pii. Idealmente un po' dello zelo del convertito si trasmetterà alla persona che è sempre stata ortodossa, e la saggezza e l'esperienza dell'ortodosso fin dalla culla potrà temperare e dirigere correttamente il convertito.

Conclusione

Come ho detto, è molto più facile descrivere una mente ortodossa, che non acquisirne una. Non vi è alcuna scorciatoia facile. È un lavoro duro. Riconoscere il problema però è un passo importante nella giusta direzione. Renderci conto di ciò che stiamo facendo e fermarci quando cadiamo di nuovo in un modo di pensiero protestante è una mossa importante verso il superamento di queste trappole e per proseguire oltre.

Spero che abbiate trovato qualcosa di utile in questa discussione, e che vorremo sforzarci di "Non conformarci a questo mondo, ma trasformarci mediante il rinnovamento delle nostre menti..." (Romani 12:2).

 
Sola Scriptura - "Nella vanità delle loro menti"

Da The Christian Activist - A Journal of Orthodox Opinion

Nostra traduzione italiana, pubblicata con il cortese permesso dell’autore

Padre John Whiteford è il rettore della Chiesa di San Giona della Manciuria a Houston, Texas (http://www.saintjonah.org/); prima di convertirsi alla Fede ortodossa, era un Pastore associato della Chiesa Evangelica del Nazareno, poco dopo avere completato il suo baccalaureato in scienze religiose alla Southern Nazarene University di Bethany, Oklahoma. Il suo primo incontro con l'Ortodossia fu un risultato del suo coinvolgimento con il locale Movimento per la Vita, che includeva anche Padre Anthony Nelson e diversi dei suoi parrocchiani. Dopo oltre un anno di ricerche nelle Sacre Scritture e negli scritti della Chiesa primitiva, e attraverso l'amore, le preghiere e la pazienza di Padre Anthony e dei parrocchiani di San Benedetto, John Whiteford fu ricevuto nella Santa Chiesa Ortodossa. Quando scrisse questo articolo era in servizio come Lettore alla Parrocchia di San Vladimir a Houston, Texas, e stava continuando i suoi studi.

Nella foto: Padre John Whiteford

Un esame ortodosso dell'insegnamento protestante  

Introduzione: I protestanti sono al di là di ogni speranza?

Dalla mia conversione dal protestantesimo evangelico alla Fede ortodossa, ho notato uno stupore generale, tra molti di quelli che erano cresciuti come ortodossi, che un protestante potesse convertirsi. Questo non è perché essi siano incerti della propria fede, di solito sono soltanto stupiti che qualcosa possa fare breccia nell'ostinata insistenza di un protestante a essere nel torto! Sono giunto a comprendere che la maggior parte degli ortodossi hanno una comprensione confusa e limitata di ciò che è il protestantesimo, e di dove vengono i suoi aderenti. Così quando i fedeli ortodossi "etnici" hanno i loro incontri con i protestanti, anche se spesso usano le stesse parole, generalmente non comunicano, perché non parlano lo stesso linguaggio teologico e, in altre parole, non hanno basi teologiche comuni per discutere le loro differenze. Naturalmente, quando si considerano i circa ventimila o più differenti gruppi di protestanti oggi esistenti (con la sola e unica costante che ogni gruppo sostiene di comprendere rettamente la Bibbia), uno può sentirsi certamente solidale con coloro che ne sono un po' confusi.

Nonostante tutti gli ostacoli sul loro cammino, c'è decisamente speranza per i protestanti. I protestanti in cerca di sanità teologica, di vero culto, e dell'antica Fede cristiana stanno praticamente battendo alla porta della nostra Chiesa (naturalmente questa può sembrare una strana asserzione a quanti non vi prestano attenzione). Non sono più soddisfatti delle contraddizioni e della mutevolezza dell'America protestante contemporanea, ma quando apriamo le porte a questi ricercatori dobbiamo essere preparati. Questa gente ha domande da fare! Molti tra questi ricercatori sono ministri protestanti, o sono tra i laici meglio informati; sono sinceri ricercatori della Verità, ma hanno molto da disimparare, e ci vogliono cristiani ortodossi informati per aiutarli a districarsi in tali questioni; cristiani ortodossi che sanno da dove vengono i protestanti, ma, cosa anche più importante, che sanno ciò in cui credono essi stessi!

Ironicamente (o provvidenzialmente) questa crescita di interesse per l'Ortodossia tra gli americani di ceppo protestante è arrivata allo stesso tempo in cui l'apertura delle porte del ex-blocco comunista ha portato sui suoi popoli ortodossi una invasione senza precedenti da parte di ogni setta o gruppo religioso. All'avanguardia, gli evangelici e pentecostali americani sono entrati inciampandosi gli uni sugli altri e su ciascuno dei propri scismi, cercando di vantare la prestigiosa pretesa di essersi attestati anch'essi tra i russi senza Dio! Così a noi ortodossi si presenta una doppia urgenza: da un lato, c'è l'impegno missionario di presentare la nostra fede ai protestanti qui in Occidente; ma dall'altro lato, dobbiamo combattere con zelo la diffusione delle eresie tra gli ortodossi, sia qui che nei paesi tradizionalmente ortodossi. In entrambi i casi, il primo compito è di equipaggiarsi con una sufficiente conoscenza e comprensione delle questioni che ci confrontano.

Forse l'aspetto più scoraggiante del protestantesimo - quello che gli ha dato una reputazione di ostinata elasticità - sono le sue numerose differenze e contraddizioni. Come la mitica idra, le sue teste non fanno che moltiplicarsi, e benché sia un degno compito quello di cercare di comprendere e di confrontare individualmente tali eresie, questa non è la chiave alla loro sconfitta. Per comprendere le credenze particolari di ogni singolo gruppo, ci vuole una conoscenza della storia e dello sviluppo del protestantesimo in generale, un grande sforzo di ricerca in ciascun filone principale della teologia protestante, del culto, e via dicendo, oltre a molte letture di attualità per comprendere alcune delle più importanti tendenze oggi all'opera (quali il liberalismo, o l'emozionalismo). E anche con tutto ciò, non si può sperare di restare al corrente dei nuovi gruppi che nascono quasi quotidianamente. Eppure, per tutte le loro differenze, c'è un solo assunto di base che unisce la massa amorfa di queste migliaia di gruppi disparati nella categoria generale dei "protestanti." Tutti i gruppi protestanti (con qualche qualificazione minore) ritengono che il proprio gruppo abbia rettamente compreso la Bibbia, e anche se nessuno è d'accordo su quanto la Bibbia dice, sono generalmente d'accordo su come uno debba interpretare la Bibbia: da sé, e non tramite la Tradizione della Chiesa. Se si può arrivare a capire questa credenza, il perché è sbagliata, e come sia un corretto approccio alle Scritture, allora si può chiamare alla comprensione ogni protestante, di qualsiasi sfumatura. Anche gruppi tanto differenti tra loro come i battisti e i testimoni di Geova non sono in realtà tanto diversi quanto appaiono esteriormente, una volta che si sia compreso questo punto essenziale, e per la verità se avrete mai un'opportunità di vedere un battista e un testimone di Geova argomentare sulla Bibbia, noterete in ultima analisi che finiscono per citare passi differenti delle Scritture avanti e indietro l'uno all'altro. Se sono di pari calibro intellettuale, nessuno dei due otterrà risultati dalla discussione; poiché entrambi concordano essenzialmente sul loro approccio alla Bibbia, e poiché nessuno dei due mette in questione questa assunzione comune di base, nessuno può vedere che il vero problema è il loro approccio mutuamente erroneo alle Scritture. Qui sta il cuore dell'idra delle eresie: colpite il suo cuore, e le sue molte teste cadranno subito senza vita al suolo.  

Perché la Scrittura da sola?

Se dobbiamo comprendere ciò che pensano i protestanti, dobbiamo prima sapere perché credono quello che credono. Di fatto dobbiamo metterci al posto di quei primi riformatori, come Martin Lutero, e dobbiamo certamente avere un certo apprezzamento per le loro ragioni di sostenere la dottrina della Sola Scriptura. Quando si considera la corruzione nella chiesa romana del tempo, gli insegnamenti degenerati da questa promossi, e la comprensione distorta della tradizione che usava per difendere se stessa - oltre al fatto che l'Occidente era da diversi secoli rimosso da qualunque contatto significativo con il proprio retaggio ortodosso - è difficile immaginare come uno quale Lutero avesse potuto rispondere, entro tali limitazioni, con risultati significativamente migliori. Come avrebbe potuto Lutero appellarsi alla tradizione per combattere questi abusi, quando la tradizione (come tutti nell'Occidente romano erano indotti a pensare) era personificata da quello stesso papato che era responsabile di tali abusi? Per Lutero, era la tradizione che aveva sbagliato, e dovendo riformare la Chiesa avrebbe dovuto farlo con il sostegno sicuro delle Scritture. E tuttavia, Lutero non cercò mai veramente di eliminare del tutto la tradizione, né mai usò le Scritture realmente "da sole"; ciò che cercò davvero di fare fu di usare la Scrittura per sbarazzarsi delle parti corrotte della tradizione romana. Sfortunatamente la sua retorica superò di gran lunga la sua pratica, e riformatori più radicali portarono l'idea della Sola Scriptura alle sue logiche conclusioni.  

Problemi con la dottrina della Sola Scriptura  

A. È una dottrina basata su di un numero di falsi assunti

Un assunto è qualcosa che diamo per scontato fin dall'inizio, di solito in modo piuttosto inconsapevole. Fintanto che un assunto è valido, tutto va bene; ma un falso assunto inevitabilmente conduce a false conclusioni. Si potrebbe sperare che, quando uno è partito da un falso assunto inconscio, al momento in cui le sue conclusioni vengono provate false, si chieda a quel punto dove fosse il suo errore di partenza. I protestanti che hanno voglia di valutare onestamente lo stato attuale del mondo protestante, devono chiedersi il perché, se il protestantesimo e il suo insegnamento basilare della Sola Scriptura vengono da Dio, ciò ha dato per risultato oltre ventimila gruppi differenti che non riescono a essere d'accordo su aspetti di base di quanto la Bibbia dice, o persino su che cosa mai significhi essere cristiano. Perché (se la Bibbia è sufficiente, e distinta dalla Santa Tradizione) un battista, un testimone di Geova, un pentecostale e un metodista possono tutti sostenere di credere a quello che la Bibbia dice, eppure non riuscire a essere d'accordo tra loro su che cosa sia quello che la Bibbia dice? Ovviamente, questa situazione in cui i protestanti si sono trovati è sbagliata sotto ogni punto di vista. Sfortunatamente, la maggior parte dei protestanti è disposta a dare la colpa di questo triste stato di cose a pressoché qualsiasi causa, tranne il problema di fondo. L'idea della Sola Scriptura è tanto basilare per il protestantesimo, che per loro metterla in discussione è pari a negare Dio, ma come disse il nostro Signore, "ogni albero buono produce frutti buoni; ma l'albero cattivo produce frutti cattivi." (Matteo 7:17). Se giudichiamo la Sola Scriptura dal suo frutto, non ci resta altra conclusione che questo albero deve essere "tagliato, e gettato nel fuoco." (Matteo 7:19).  

Falso assunto # 1:  

La Bibbia doveva essere l'ultima parola su fede, pietà e culto.

a) La Scrittura insegna che essa stessa è "sufficiente in tutto?"

L'assunto più ovvio alla base della dottrina della Sola Scrittura è che la Bibbia abbia in sé tutto quanto è necessario per tutto quanto concerne la vita del cristiano, e tutto quanto sarebbe necessario per la vera fede, pratica, pietà e culto. Il passo scritturale più usualmente citato per sostenere questa nozione è:

"...sin da bambino hai conosciuto le sacre Scritture, le quali ti possono rendere savio a salvezza, per mezzo della fede che è in Cristo Gesù. Tutta la Scrittura è divinamente ispirata e utile a insegnare, a convincere, a correggere e a istruire nella giustizia, affinché l'uomo di Dio sia completo, pienamente fornito per ogni buona opera." (II Timoteo 3:15-17).

Coloro che vorrebbero usare questo passo per suffragare la Sola Scriptura argomentano che il passo insegna la "totale sufficienza" della Scrittura - poiché, "se, in verità, le Sacre Scritture sono in grado di rendere perfetto l'uomo pio... allora, invero per ottenere completezza e perfezione, non c'è bisogno di tradizione."(1) Ma che cosa si può dire di reale su questo passo?

Per iniziare, dovremmo chiederci di che cosa stia parlando Paolo quando parla delle Scritture che Timoteo ha conosciuto sin da bambino. Possiamo essere sicuri che Paolo non si riferisca al Nuovo Testamento, poiché il Nuovo Testamento non era ancora stato scritto quando Timoteo era un bambino - di fatto non era neppure stato completato mentre Paolo scriveva questa epistola a Timoteo, né tanto meno raccolto assieme nel Canone del Nuovo Testamento così come lo conosciamo. Ovviamente qui, e nella maggior parte dei riferimenti alle "Scritture" che troviamo nel Nuovo Testamento, Paolo sta parlando dell'Antico Testamento; così, se il passo deve essere usato per fissare i limiti dell'autorità ispirata, non ne verrebbe esclusa solo la Tradizione, ma questo passo stesso e l'intero Nuovo Testamento.

In secondo luogo, se Paolo intendeva escludere la tradizione come una cosa non profittevole, allora dovremmo chiederci perché Paolo usa tradizione orale non-biblica in questo stesso capitolo. I nomi Ianne e Iambre non si trovano nell'Antico Testamento, eppure in II Timoteo 3:8 Paolo riferisce che si opposero a Mosè. Paolo sta traendo dalla tradizione orale che i nomi dei due più prominenti maghi egiziani del racconto dell'Esodo (cap. 7-8) fossero "Ianne" e "Iambre."(2) E questa non è in alcun modo l'unica volta in cui una fonte non-biblica è usata nel Nuovo Testamento: l'istanza più nota è nell'Epistola di San Giuda, che cita dal Libro di Enoch (Giuda 14,15 cf. Enoch 1:9).

Quando la Chiesa canonizzò ufficialmente i libri della Scrittura, il proposito principale per stabilire una lista autorevole di libri da ricevere come Sacra Scrittura era quello di proteggere la Chiesa da libri spurii che vantavano un'autorità apostolica, ma che erano di fatto opera di eretici (per esempio, il Vangelo di Tommaso). I gruppi eretici non potevano basare i loro insegnamenti sulla Santa Tradizione, poiché i loro insegnamenti avevano origine dal di fuori della Chiesa, cosicché l'unico modo di vantare una base di autorità per le loro eresie era di distorcere il significato delle scritture e di fabbricare nuovi libri a nome di apostoli o di santi dell'Antico Testamento. La Chiesa si difese contro gli insegnamenti eretici appellandosi alle origini apostoliche della Santa Tradizione (provata dalla Successione Apostolica, ovvero il fatto che i vescovi e i dottori della Chiesa possono dimostrare storicamente la loro discendenza diretta dagli Apostoli), e appellandosi alla universalità della Fede ortodossa (e cioè che la fede ortodossa sia la stessa fede che i cristiani ortodossi hanno sempre accettato attraverso tutta la storia e in tutto il mondo). La Chiesa si difese da libri spurii ed eretici stabilendo una lista autorevole di libri sacri, che furono ricevuti dalla Chiesa come divinamente ispirati e di genuina provenienza dall'Antico Testamento o dagli apostoli.

Stabilendo la lista canonica delle Sacre Scritture, la Chiesa non intendeva implicare che tutta la Fede cristiana e tutte le informazioni necessarie al culto e al buon ordine nella Chiesa vi fossero contenute.(3) Un dato al di là di seri dubbi è che al tempo in cui la Chiesa stabilì il Canone delle Scritture, essa era essenzialmente nella propria fede e culto indistinguibile dalla Chiesa dei periodi successivi: questa è una certezza storica. Per quanto riguarda la struttura dell'autorità della Chiesa, la questione del Canone fu risolta da vescovi ortodossi, riuniti in vari concili - e questo è fino a oggi il modo in cui nella Chiesa ortodossa si risolve qualsiasi questione di dottrina o disciplina.  

b) Qual'era il proposito degli scritti del Nuovo Testamento?

Negli studi biblici protestanti si insegna (e in questo caso penso che sia un insegnamento corretto) che quando studi la Bibbia, tra molte altre considerazioni, devi considerare il genere (o tipo letterario) della letteratura che stai leggendo in un passo particolare, poiché generi differenti hanno usi differenti. Un’altra considerazione, naturalmente, è il soggetto e proposito del libro o passo di cui stai trattando. Nel Nuovo Testamento abbiamo quattro ampie categorie di generi letterari: vangelo, narrazione storica (Atti), epistola, e il libro apocalittico/profetico, la Rivelazione. I Vangeli furono scritti per testimoniare la vita, morte e risurrezione di Cristo. Le narrazioni storiche bibliche raccontano la storia del popolo di Dio e anche le vite di figure significative in tale storia, mostrando la provvidenza di Dio in mezzo a tutto ciò. Le Epistole furono scritte soprattutto per rispondere a problemi specifici sorti in varie Chiese; pertanto, le cose che erano date per scontate e capite da tutti, e non erano considerate problemi, non venivano generalmente trattate in dettaglio. Le questioni dottrinali che venivano trattate erano di solito dottrine discusse o mal comprese.(4) Le questioni di culto venivano trattate solo quando c’erano problemi ad esse legati (per esempio, I Corinzi 11-14). Gli scritti apocalittici (come la Rivelazione) furono scritti per mostrare il trionfo ultimo di Dio nella storia.

Prima di tutto, notiamo che nessuno di questi generi letterari presenti nel Nuovo Testamento hanno il culto come oggetto principale, e che essi non avevano lo scopo di offrire dettagli sul culto nella Chiesa. Nell’Antico Testamento vi sono trattati dettagliati (anche se non del tutti esaustivi) sul culto del popolo di Israele (e.g. Levitico, Salmi) e nel Nuovo Testamento vi sono solo magri cenni al culto dei primi cristiani. E perché? Certamente non perché mancassero di una regola nei propri servizi: gli storici della liturgia hanno accertato che i primi cristiani continuavano a compiere atti di culto rigidamente basati sullo schema del culto ebraico ereditato dagli Apostoli.(5) Tuttavia, anche i pochi riferimenti al culto della Chiesa primitiva nel Nuovo Testamento mostrano che, lungi dall’essere un gruppo selvaggio di "pentecostali" di libero spirito, i cristiani nel Nuovo Testamento avevano lo stesso culto liturgico dei loro antenati: osservavano le ore di preghiera (Atti 3:1); partecipavano al culto del tempio (Atti 2:46, 3:1, 21:26); e nelle sinagoghe (Atti 18:4).

Dobbiamo anche notare che nessuno dei tipi di letteratura presenti nel Nuovo Testamento ha come proprio scopo l’istruzione dottrinale completa, e che non vi si trovano un catechismo o una teologia sistematica. Se tutto ciò di cui abbiamo bisogno come cristiani è la Bibbia da sola, perché non vi si trova qualche dichiarazione dottrinale completa? Immaginate quanto facilmente tutte le varie controversie si sarebbero risolte se la Bibbia avesse dato una risposta chiara alle domande dottrinali. Ma per convenienti che fossero, queste cose non si trovano tra i libri della Bibbia.

Che nessuno fraintenda il ragionamento che stiamo facendo: niente di quanto diciamo è inteso a minimizzare l’importanza delle Sacre Scritture: che Dio ce ne scampi! Nella Chiesa Ortodossa le Scritture sono ritenute pienamente ispirate, inerranti e autorevoli; ma il fatto è che la Bibbia non contiene in sé un insegnamento su ogni punto di importanza per la Chiesa. Come già detto, il Nuovo Testamento dà pochi dettagli sul culto: ma questa non è certo una questione minore. Inoltre, la Chiesa che ci ha tramandato le Sacre Scritture, e le ha conservate, è la stessa Chiesa dalla quale abbiamo ricevuto i nostri modelli di culto. Se mettiamo in discussione questa fedeltà della Chiesa nel conservare il culto apostolico, allora dobbiamo mettere anche in discussione la sua fedeltà nel conservare le Scritture.(6)  

c) La Bibbia, in pratica, è davvero "sufficiente a tutto" per i protestanti?

I protestanti sostengono spesso di credere "soltanto alla Bibbia," ma quando uno esamina il loro uso di fatto della Bibbia sorgono un numero di domande. Per esempio, perché i protestanti scrivono tanti libri di dottrina e di vita cristiana in generale, se in verità tutto ciò che è necessario è la Bibbia? Se Bibbia è da sola sufficiente allora perché i protestanti non si limitano a distribuire Bibbie? E se è "sufficiente a tutto," perché non produce risultati coerenti, vale a dire, perché i protestanti non credono tutti le stesse cose? A che scopo le tante Bibbie di studio annotate dei protestanti, se tutto quanto è necessario è la Bibbia stessa? Perché distribuiscono trattati e altro materiale? Perché, in fin dei conti, insegnano o predicano, e non si limitano a leggere la Bibbia alla gente? La risposta è questa: anche se di solito non sono disposti ad ammetterlo, i protestanti sanno istintivamente che la Bibbia non può essere compresa da sola. E di fatto ogni denominazione protestante ha il suo corpo di tradizioni, anche se di solito non verranno chiamate così. Non è un caso fortuito che tutti i testimoni di Geova credono le stesse cose, e che i battisti del Sud generalmente credono le stesse cose, ma decisamente i testimoni di Geova non credono le stesse cose dei battisti del Sud. Né i testimoni di Geova né i battisti del Sud pervengono individualmente alle loro conclusioni partendo da uno studio indipendente della Bibbia; piuttosto, a tutti i membri di ciascun gruppo viene insegnato a credere in un certo modo e partendo da una tradizione comune. Così la questione non è realmente se crediamo solo alla Bibbia o se usiamo anche la tradizione. La vera questione è: quale tradizione usiamo per interpretare la Bibbia? A quale tradizione possiamo dare fiducia: alla tradizione apostolica della chiesa ortodossa, o alle tradizioni confuse, e moderne, del protestantesimo, che non hanno radici al di là dell’avvento della riforma protestante?  

Falso assunto # 2:  

Le Scritture erano la base della Chiesa antica, mentre la Tradizione è semplicemente una "corruzione umana" che venne molto dopo.

Soprattutto tra evangelici e pentecostali troverete che la parola "tradizione" è un termine negativo, ed etichettare qualcosa come una "tradizione" è più o meno equivalente a dire che è "carnale," "spiritualmente morta," "distruttiva," e/o "legalistica." Così come i protestanti leggono il Nuovo Testamento, sembra loro chiaro che la Bibbia condanna decisamente la tradizione come qualcosa di opposto alla Scrittura. La loro tipica immagine dei primi cristiani è essenzialmente che i primi cristiani fossero molto simili agli evangelici o pentecostali del ventesimo secolo! Il fatto che i cristiani del primo secolo avessero un culto liturgico, o che aderissero a qualche tradizione, è inconcepibile: solo più tardi, “quando la Chiesa divenne corrotta,” ci si immagina che tali cose siano entrate nella Chiesa. È un brutto colpo per tali protestanti (come lo fu per me) mettersi a studiare la Chiesa primitiva e gli scritti dei primi Padri, e iniziare a vedere un quadro nettamente distinto da quello che si è sempre stati portati a considerare. Si trova, per esempio, che i primi cristiani non portavano con sé le proprie Bibbie ogni domenica per uno studio biblico: di fatto, era tanto difficile acquisire una copia o persino una porzione della Scrittura, a causa del tempo e delle risorse che ci volevano per farne delle copie, che ben pochi individui ne possedevano una copia personale. Invece, le copie delle Scritture erano custodite da membri designati della Chiesa, o tenute nel luogo in cui la Chiesa si riuniva per il culto. Per di più, molte chiese non avevano copie complete di tutti i libri dell’Antico Testamento, e tanto meno del Nuovo Testamento (che non fu completato prima della fine del primo secolo, e non trovò la sua forma canonica finale prima del quarto secolo). Ciò non significa che i primi cristiani non studiassero le Scritture: lo facevano con zelo, ma come gruppo, non individualmente. E per la maggior parte del primo secolo, i cristiani erano limitati allo studio dell’Antico Testamento. E così, com'è che conoscevano il Vangelo, la vita e gli insegnamenti di Cristo, la vita di culto, che cosa credere sulla natura di cristo, e così via? Avevano solo la Tradizione orale tramandata dagli Apostoli. Di sicuro, molti nella Chiesa primitiva udirono queste cose direttamente dagli Apostoli stessi, ma molti di più erano quelli che non lo avevano fatto, soprattutto con il passare del primo secolo e la morte degli Apostoli. Le generazioni successive avevano accesso agli scritti degli Apostoli attraverso il Nuovo Testamento, ma la Chiesa primitiva dipendeva quasi interamente per la propria conoscenza della fede cristiana dalla Tradizione orale.
Questa dipendenza dalla tradizione è evidente negli scritti stessi del Nuovo Testamento. per esempio, San Paolo esorta i tessalonicesi:

Perciò, fratelli, state saldi e ritenete le tradizioni che avete imparato tramite la parola [i.e. tradizione orale] o la nostra epistola (II Tessalonicesi 2:15).

La parola qui tradotta con "tradizione" è la parola greca paradosis: anche se viene tradotta in modo differente in certe versioni protestanti, è la stessa parola che gli ortodossi greci usano quando parlano della Tradizione, e pochi studiosi biblici competenti metterebbero in discussione questo significato. La parola stessa significa letteralmente "ciò che è trasmesso." È la stessa parola usata quando ci si riferisce in negativo ai falsi insegnamenti dei farisei (Marco 7:3, 5, 8), e anche quando ci si riferisce all’insegnamento cristiano autorevole (I Corinzi 11:2, II Tessalonicesi 2:15). E così che cos'è che rende falsa la tradizione dei farisei, e vera quella della Chiesa? La fonte! Cristo disse chiaramente qual'era la fonte delle tradizioni dei farisei quando le chiamò "tradizione degli uomini" (Marco 7:8). San Paolo, d'altra parte, riferendosi alla Tradizione cristiana dichiara, "vi lodo, fratelli, perché vi ricordate di tutte le cose che provengono da me, e perché ritenete le tradizioni [paradoseis] come ve le ho trasmesse [paredoka, una forma verbale di paradosis]" (I Corinzi 11:2): ma dove ricevette queste tradizioni in primo luogo? "Ho ricevuto dal Signore ciò che vi ho anche trasmesso [paredoka]" (I Corinzi 11:23). È a questo che si riferisce la Chiesa ortodossa quando parla della Tradizione Apostolica: "la fede che è stata trasmessa [paradotheise] una volta per sempre ai santi" (Giuda 3). La sua fonte è Cristo, e fu consegnata personalmente da lui agli Apostoli attraverso tutto quanto Egli disse e fece, cosa che se fosse scritta tutta, "non basterebbe il mondo intero a contenere tutti i libri che si potrebbero scrivere" (Giovanni 21:25). Gli Apostoli consegnarono questa conoscenza alla Chiesa intera, e la Chiesa, essendo il ricettacolo di questo tesoro, divenne così "colonna e sostegno della verità" (I Timoteo 3:15).

La testimonianza del Nuovo Testamento è chiara su questo punto: i primi cristiani avevano tradizioni sia orali che scritte, che avevano ricevuto da Cristo attraverso gli Apostoli.

Per tradizione scritta essi avevano all'inizio solo dei frammenti: una chiesa locale aveva un’epistola, un’altra forse un vangelo. Gradualmente questi scritti furono messi assieme in raccolte, e alla fine divennero il Nuovo Testamento. E com’è che questi primi cristiani sapevano quali libri erano autentici e quali non lo erano - dato che (come si è già notato) c’erano numerose epistole e vangeli spurii che gli eretici sostenevano essere stati scritti dagli Apostoli? Fu la Tradizione apostolica orale che aiutò la Chiesa a compiere questa determinazione.

I protestanti reagiscono violentemente all’idea della Santa Tradizione semplicemente perché l’unica forma che hanno generalmente incontrato è il concetto di Tradizione che si trova nel cattolicesimo romano. Al contrario della visione romana della Tradizione, che è personificata dal papato, e che sviluppa nuovi dogmi prima sconosciuti alla Chiesa (come l’infallibilità papale, per citare solo uno degli esempi più odiosi) gli ortodossi non credono che la Tradizione cresca o cambi. Certamente la Chiesa, quando si trova di fronte a un’eresia, è forzata a definire con maggior precisione la differenza tra la verità e l’errore, ma la Verità non cambia. Si può dire che la Tradizione si espande nel senso in cui, muovendosi attraverso la storia, la Chiesa non dimentica le proprie esperienze, ricorda i santi che sono sorti nel suo grembo, e custodisce gli scritti di quanti hanno accuratamente dichiarato la sua fede; ma la Fede in sé fu “trasmessa ai santi una volta per sempre”. (Giuda 3).

Ma noi come possiamo sapere che la Chiesa ha conservato la Tradizione apostolica nella sua purezza? La risposta breve è che Dio ha conservato la Tradizione nella Chiesa perché aveva promesso di farlo. Cristo disse che avrebbe costruito la sua Chiesa e che le porte degli inferi non avrebbero prevalso su di essa (Matteo 16:18). Cristo stesso è il capo della Chiesa (Efesini 4:16), e la Chiesa è il suo Corpo (Efesini 1:22-23). Se la Chiesa avesse perso la pura Tradizione Apostolica, allora la Verità avrebbe dovuto cessare di essere la Verità: la Chiesa è infatti la colonna e sostegno della verità (I Timoteo 3:15). La concezione comune che hanno i protestanti della storia della Chiesa, e cioè che la Chiesa sia caduta nell’apostasia dal tempo di Costantino fino alla Riforma, certamente rende privi di significato questi e molti altri passi delle Scritture. Se la Chiesa ha cessato di essere, anche per un solo giorno, allora le porte degli inferi hanno prevalso in quel giorno su di essa. E se così fosse, quando Cristo ha descritto la crescita della Chiesa nella sua parabola del seme di senapa (Matteo 13:31-32), avrebbe parlato di una pianta che dopo una crescita iniziale veniva calpestata, e di un nuovo seme germogliato al suo posto: al contrario, usò l’immagine di un seme di senapa che all’inizio è piccolo, ma cresce fino a diventare il più grande degli alberi.

Quanto a coloro che suppongono che vi sia stato qualche gruppo di veri credenti protestanti vissuto in qualche caverna per un migliaio di anni, dove sono le prove? I Valdesi, che ogni setta dai pentecostali ai testimoni di Geova vanta come propri progenitori, non esistevano prima del XII secolo.(7) Per dire il meno, è un po’ azzardato ritenere che questi veri credenti abbiano sofferto coraggiosamente sotto le feroci persecuzioni dei romani, e che se ne siano fuggiti sui colli appena il cristianesimo divenne una religione legale. Eppure anche questo sembra plausibile, a paragone della nozione che tele gruppo abbia potuto sopravvivere per mille anni senza lasciare una singola traccia di prova storica della sua stessa esistenza.

A questo punto si può obiettare che vi furono di fatto esempi di persone nella storia della Chiesa che insegnarono cose diverse da quelle insegnate da altri, e così chi può dire quale sia la Tradizione Apostolica? E per di più, che succede qualora sia sorta una pratica corrotta: come avrebbe potuto in seguito essere distinta dalla Tradizione Apostolica? I protestanti fanno queste domande, dato nella Chiesa cattolica romana sorsero per davvero "tradizioni" nuove e corrotte, ma ciò avvenne perché l’Occidente latino aveva già corrotto la sua comprensione della Tradizione. La comprensione ortodossa, dapprima prevalente in Occidente e mantenuta nella Chiesa ortodossa, è basata sul fatto che la Tradizione è in essenza immutabile, ed è nota per la propria universalità o cattolicità. La vera Tradizione Apostolica si trova nel consenso storico dell’insegnamento della Chiesa. Trova ciò che la Chiesa ha sempre creduto, attraverso tutta la storia, e ovunque nella Chiesa, e avrai trovato la Verità. Se si può dimostrare che qualche credenza non è stata ricevuta dalla Chiesa nella sua storia, allora questa è eresia. Attenzione, però, stiamo parlando della Chiesa, non di gruppi scismatici. Vi furono scismatici ed eretici che si staccarono dalla Chiesa nel periodo del Nuovo Testamento, e ve ne è stata fin da allora una continua scorta, poiché come dice l’Apostolo, "è necessario che ci siano tra voi anche delle eresie, perché quelli che sono approvati siano riconosciuti tali in mezzo a voi." (I Corinzi 11:19)  

Falso assunto # 3:  

Chiunque può interpretare da sé le Scritture senza l'aiuto della Chiesa.

Anche se molti protestanti obietterebbero al modo in cui è formulato questo assunto, questa è essenzialmente l’opinione che prevaleva quando i riformatori sostennero per la prima volta la dottrina della Sola Scriptura. La linea di ragionamento era essenzialmente che il significato della Scrittura è abbastanza chiaro perché chiunque possa capirlo semplicemente leggendola da sé; in tal modo rigettarono l’idea che il processo avesse bisogno dell’aiuto della Chiesa. Questa posizione è affermata con chiarezza dagli studiosi luterani di Tubinga nel loro scambio di lettere con il Patriarca Geremia II di Costantinopoli circa trent’anni dopo la morte di Lutero:

"Forse qualcuno dirà che da una parte le Scritture sono assolutamente prive di errore; ma d’altra parte, esse sono state nascoste da molta oscurità, così che senza l’interpretazione dei Padri portatori di Spirito esse non possono essere comprese con chiarezza.... Ma allo stesso tempo è verissimo che ciò che è stato detto in modo scarsamente percettibile in alcuni punti delle Scritture, in altri punti è stato dichiarato in modo quanto mai esplicito e chiaro, così che anche la persona più semplice può comprenderle."(8)

Benché questi studiosi luterani si vantassero di usare gli scritti dei Santi Padri, sostenevano che questi non erano necessari, e che, laddove essi ritenevano che le Scritture e i Santi Padri fossero in conflitto, i Padri dovevano essere scartati. Ciò che di fatto sostenevano, tuttavia, era che quando gli scritti dei Santi Padri erano in conflitto con le loro opinioni private delle Scritture, le loro opinioni private dovevano essere considerate più autorevoli dei Padri della Chiesa. Piuttosto che ascoltare i Padri, che si erano dimostrati retti e santi, la priorità doveva essere accordata ai ragionamenti umani di un individuo. La stessa ragione umana che ha condotto la maggioranza degli studiosi luterani moderni a respingere quasi tutti gli insegnamenti della Scrittura (inclusa la divinità di Cristo, la Risurrezione, etc.), e persino a respingere l’ispirazione delle stesse Scritture, è la ragione sulla quale i primi luterani sostenevano di basare tutta la loro fede. Nella sua risposta, il Patriarca Geremia II mise chiaramente in mostra il vero carattere degli insegnamenti luterani:

Accettiamo, pertanto, le tradizioni della Chiesa con un cuore sincero, e non con una moltitudine di razionalizzazioni. Dio infatti ha creato l’uomo per la rettitudine; questi invece ha cercato molti sotterfugi (Ecclesiaste 7:29). Non permettiamoci di imparare un nuovo tipo di fede condannato dalla tradizione dei Santi Padri. Il divino apostolo infatti dice, "Se qualcuno vi annunzia un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anatema " (Galati 1:9).(9)  

B. La dottrina della Sola Scriptura non incontra i propri stessi criteri

Potete immaginarvi che un sistema di fede come il protestantesimo, che ha come cardine la dottrina che la sola Scrittura è autorevole in questioni di fede, voglia prima cercare di provare che questa dottrina cardinale incontri i propri stessi criteri. Ci si aspetta probabilmente che i protestanti possano brandire centinaia di testi-prova dalle Scritture per sostenere questa dottrina, sulla quale essi ritengono che sia basato tutto il resto. Quanto meno si spera di trovare due o tre testi solidi che insegnino chiaramente questa dottrina, dato che le stesse Scritture dicono, "Ogni parola sarà confermata dalla bocca di due o tre testimoni" (II Corinzi 13:1). Eppure, come il bambino della fiaba che dovette far notare che l’imperatore non aveva vestiti addosso, devo far notare che non esiste in tutta la Sacra Scrittura un singolo verso che insegni la dottrina della Sola Scriptura. Non ce n’è neppure uno che vi vada vicino. Oh sì, vi sono innumerevoli passi nella Bibbia che parlano della sua ispirazione, della sua autorità e della sua utilità: ma non esiste un passo nella Bibbia che insegni che sono la Scrittura abbia autorità per i fedeli. Se un tale insegnamento fosse anche solo implicito, allora di sicuro i primi Padri della Chiesa avrebbero insegnato anche questa dottrina, ma quale tra i Santi Padri ha mai insegnato una cosa simile? Così il più basilare insegnamento del Protestantesimo si autodistrugge, in quanto contrario a se stesso. Ma non solo la dottrina protestante della Sola Scriptura non è insegnata nelle Scritture: di fatto, è specificamente contraddetta dalle Scritture (che abbiamo discusso sopra), che insegnano che anche la Santa Tradizione è normativa per i Cristiani (II Tessalonicesi 2:15; I Corinzi 11:2).  

C. Approcci interpretativi protestanti che non funzionano

Già dai primi giorni della Riforma, i protestanti sono stati forzati alla conclusione che, con la sola Bibbia e la sola ragione dell’individuo, la gente non riesce ad andare d’accordo sul significato di molte delle questioni più basilari della dottrina. Nel corso della stessa vita di Martin Lutero erano sorte dozzine di gruppi in competizione, tutti che pretendevano di "credere solo alla Bibbia," ma nessuno dei quali era d’accordo su quanto la Bibbia diceva. Lutero si era coraggiosamente presentato alla Dieta di Worms dicendo che, a meno di non essere persuaso dalla Scrittura, o dalla semplice ragione, non avrebbe ritrattato alcun suo insegnamento; tuttavia, quando in seguito gli anabattisti, che erano in disaccordo con i luterani su un numero di punti, chiesero semplicemente la stessa misura di indulgenza, i luterani li macellarono a migliaia: tanto valeva la retorica del "diritto di un individuo a leggere da se stesso le Scritture." Nonostante gli ovvii problemi che la rapida frammentazione del Protestantesimo presentava alla dottrina della Sola Scriptura, per non voler ammettere di essere stati sconfitti dal Papa, i protestanti conclusero invece che il vero problema doveva essere che quelli in disaccordo con loro, in altre parole tutte le sette al di fuori della propria, dovevano leggere la Bibbia in modo non corretto. E così è stato proposto un certo numero di approcci come soluzioni a questo problema. Ovviamente si deve ancora trovare l’approccio che metta fine all’illimitata moltiplicazione di scismi, eppure i protestanti sono ancora alla ricerca dell’elusiva “chiave” metodologica che risolverà il loro problema. Esaminiamo ora gli approcci più popolari che sono stati tentati finora, e ciascuno dei quali è ancora proposto da un gruppo o da un altro.  

Approccio # 1  

Prendi soltanto la Bibbia letteralmente, e il significato è chiaro.

Questo fu senza dubbio il primo approccio usato dai riformatori, anche se ben presto essi giunsero a comprendere che da solo era una soluzione insufficiente ai problemi presentati dalla dottrina della Sola Scriptura. Anche se si trattò di un fallimento fin dal principio, questo approccio è ancora quello che si trova più comunemente tra i fondamentalisti, evangelici e pentecostali meno istruiti: "La Bibbia dice ciò che intende e intende ciò che dice" è una frase che si sente spesso. Ma quando si giunge a testi scritturali con cui i protestanti generalmente non sono d'accordo, come quando Cristo diede agli Apostoli il potere di perdonare i peccati (Giovanni 20:23), o quando disse dell'Eucaristia "questo è il mio corpo... questo è il mio sangue" (Matteo 26:26,28), o quando Paolo insegnò che le donne dovevano coprirsi il capo in chiesa (I Corinzi 11:1-16), allora tutto d'un tratto la Bibbia non dice più quello che intende, e "Naturalmente, questi versi non sono letterali..."  

Approccio # 2  

Lo Spirito Santo fornisce la corretta interpretazione.

Di fronte ai numerosi gruppi sorti sotto lo stendardo della Riforma, che non potevano andare d’accordo nelle loro interpretazioni delle Scritture, senza dubbio la seconda soluzione al problema fu l’asserzione che lo Spirito Santo avrebbe guidato il pio protestante a interpretare rettamente le Scritture. Naturalmente, chiunque dissentiva da te non poteva essere guidato dallo stesso Spirito. Il risultato fu che tutti i gruppi protestanti scristianizzavano quelli che differivano da loro. Ora, se questo approccio fosse valido, la storia ci avrebbe lasciato un singolo gruppo di protestanti che avevano rettamente interpretato le Scritture. Ma quale delle migliaia di denominazioni poteva essere? Ovviamente la risposta dipende da quale protestante avete come interlocutore. Di una cosa possiamo essere sicuri: ciascuno ritiene che probabilmente il proprio gruppo sia nel giusto.

Oggi, tuttavia (a seconda della sfumatura di protestante con cui si viene in contatto) c’è più probabilità di imbattersi in protestanti che hanno relativizzato a un certo livello la Verità, piuttosto che trovare coloro che ancora credono che la loro setta o gruppo distaccato sia il "solo" a essere "nel giusto." Con l‘accatastarsi di sempre nuove denominazioni divenne sempre più difficile per ciascuna di esse di dire, a viso aperto, di essere la sola ad avere rettamente compreso le Scritture, anche se ve ne sono ancora alcune che lo fanno. È divenuto sempre più comune per ogni gruppo protestante minimizzare le differenze tra le denominazioni e concludere semplicemente che "nel nome dell’amore" tali differenze "non contano." Forse ogni gruppo ha "un pezzo della Verità," ma nessuno ha la Verità intera (così conclude il ragionamento). E così ha avuto origine la pan-eresia dell’ecumenismo. Ora molti "cristiani" non fermeranno i loro sforzi ecumenici a permettere ai soli gruppi cristiani di avere un pezzo della Verità. Molti "cristiani" ora credono anche che tutte le religioni hanno "pezzi della Verità." L’ovvia conclusione a cui devono arrivare i moderni protestanti è che per trovare la Verità completa ogni gruppo dovrà eliminare le proprie "differenze," gettare nel calderone il loro "pezzo di Verità", e presto fatto, si scoprirà alla fine la piena Verità!  

Approccio # 3  

Lasciate che i passi chiari interpretino quelli oscuri.

Questa dev’essere sembrata la soluzione perfetta al problema di come interpretare la Bibbia da se stessa: lasciate che i passi che si comprendono facilmente "interpretino" quelli che non sono chiari. La logica di questo approccio è semplice: anche se un passo può affermare una verità in modo oscuro, sicuramente la stessa verità sarà affermata chiaramente in qualche altro punto della Scrittura. Non si dovrà far altro che usare questi "passi chiari" come chiave, e si dischiuderà il significato dei "passi oscuri." Come argomentavano gli studiosi luterani di Tubinga nel loro primo scambio di lettere con il Patriarca Geremia II:

"Pertanto, non si potrebbe mai trovare un modo migliore di interpretare le Scritture, che non lasciare che la Scrittura sia interpretata dalla Scrittura, vale a dire, da se stessa. L’intera Scrittura è stata infatti dettata dallo stesso e unico Spirito, che è colui che meglio comprende la propria volontà, ed è il più capace di dichiarare il proprio significato."(10)

Per quanto promettente sembrasse questo metodo, si rivelò presto una soluzione insufficiente al problema del caos e delle divisioni dei protestanti. Il punto in cui questo approccio si disintegra è la determinazione di quali passi siano "chiari" e quali siano "oscuri." I battisti, che credono che sia impossibile che un cristiano perda la propria salvezza una volta "salvato," vedono un numero di passi che, a loro detta, insegnano piuttosto chiaramente la loro dottrina di "eterna sicurezza": per esempio, "perché i doni e la vocazione di Dio sono irrevocabili" (Romani 11:29), e "Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono; e io do loro la vita eterna e non periranno mai e nessuno le rapirà dalla mia mano" (Giovanni 10:27-28). Ma quando i battisti incappano in versi che sembrano insegnare che la salvezza può essere perduta, come "La giustizia del giusto non lo salverà nel giorno della sua trasgressione" (Ezechiele 33:12), allora usano i passi per loro "chiari" per risolvere i passi "oscuri." I metodisti, che ritengono che i credenti possano perdere la propria salvezza se voltano le spalle a Dio, non trovano in questi passi alcuna oscurità, e al contrario, vedono i summenzionati "testi-prova" dei battisti alla luce dei passi che essi ritengono "chiari." E così metodisti e battisti si scagliano addosso a vicenda versetti della Bibbia, meravigliandosi entrambi che gli altri non riescano a "vedere" ciò che a loro sembra così "chiaro."  

Approccio # 4  

Esegesi storico-critica

Annegando in un mare di opinioni soggettive e di divisioni, i protestanti iniziarono rapidamente a cercare un qualsiasi metodo intellettuale dotato di una foglia di fico di obiettività. Con il passare del tempo e il moltiplicarsi delle divisioni, la scienza e la ragione divennero sempre più la base sulla quale i teologi protestanti speravano di creare coerenza nelle loro interpretazioni bibliche. Questo approccio "scientifico", che ha ottenuto il predominio tra gli studiosi protestanti, e in questo secolo ha iniziato a predominare perfino tra gli studiosi cattolici romani, è generalmente chiamato "esegesi storico-critica." All’alba del cosiddetto “illuminismo,” la scienza sembrava capace di risolvere tutti i problemi del mondo. Gli studiosi protestanti iniziarono ad applicare la filosofia e la metodologia delle scienze alla teologia e alla Bibbia. Dai tempi dell’illuminismo, gli studiosi protestanti hanno analizzato ogni aspetto della Bibbia: la sua storia, i suoi manoscritti, i linguaggi biblici, etc. Come se le Sacre Scritture fossero state un sito archeologico, questi studiosi tentarono di analizzare ogni frammento e osso con i metodi migliori e più recenti che la scienza aveva da offrire. Per essere onesti, bisogna ammettere che tale ricerca ha prodotto molte conoscenze utili. Sfortunatamente questa metodologia ha anche prodotto sbagli, gravi e fondamentali, ma è stata presentata con una tale aura di obiettività scientifica da tenere molti incantati.

Come tutti gli altri approcci usati dai protestanti, anche questo metodo cerca di comprendere la Bibbia ignorando la Tradizione della Chiesa. Anche se non esiste alcun metodo esegetico tipico dei protestanti, tutti questi metodi hanno come scopo presunto quello di "lasciare che la Bibbia parli da se stessa." Naturalmente, nessuno che sostenga di essere cristiano potrebbe essere contrario a quanto la Scrittura "dice" se questa stesse davvero "parlando da se stessa" attraverso questi metodi. Il problema è che coloro che si propongono come lingue per la Scrittura la filtrano attraverso i propri assunti protestanti. Mentre sostengono di essere obiettivi, essi piuttosto interpretano le Scritture secondo i loro schemi di tradizioni e dogmi (siano essi fondamentalisti o razionalisti liberali). Ciò che gli studiosi protestanti hanno fatto (se posso prendere liberamente a prestito una frase di Albert Schweitzer) è di guardare nel pozzo della storia per trovarvi il significato della Bibbia. Hanno scritto volumi su volumi in materia, ma purtroppo hanno visto soltanto il proprio riflesso.

Gli studiosi protestanti (sia "liberali" che "conservatori") hanno errato nell’applicazione delle metodologie empiriche al regno della teologia e degli studi biblici. Uso il termine "empirismo" per descrivere questi sforzi e, in senso lato, la visione razionalista e materialista che ha preso possesso della mentalità occidentale, continuando a spandersi in tutto il mondo. I sistemi di pensiero positivisti (uno dei quli è l’empirismo) tentano di ancorarsi su qualche base di conoscenza "certa".(11) L’empirismo, in senso stretto, è la credenza che tutta la conoscenza sia basata sull’esperienza, e che solo le cose che possono essere stabilite per mezzo di osservazione scientifica possano essere conosciute con certezza. Di pari passo con i metodi di osservaione empirica, venne il principio del dubbio metodologico, il cui primo esempio fu la filosofia di Rene Descartes. Questi iniziò la sua discussione della filosofia mostrando come di tutto nell’universo si può dubitare, eccetto della propria esistenza, ecosì, sulla salda base di questa singola verità indubitabile ("penso, dunque sono") tentò di costruire il proprio sistema filosofico. Ora i riformatori, al principio, si accontentavano dell’assunto che la Bibbia fosse la base di certezza su cui la teologia e la filosofia potevano riposare. Ma quando lo spirito umanistico dell’illuminismo conquistò un ascendente, gli studiosi protestanti convertirono i propri metodi razionalisti alla Bibbia stessa, tentando di scoprire ciò che di essa poteva essere conosciuto con "certezza". Gli studiosi protestanti liberali hanno già terminato questo sforzo, e dopo avere terminato di "pelare la cipolla" sono ora rimasti con null’altro che le loro opinioni e sentimentalismi come base per quel poco di fede che è loro rimasto.

I protestanti conservatori sono stati molto meno coerenti nel loro approccio razionalista. Così hanno mantenuto tra loro una riverenza per le Scritture e una fede nella loro ispirazione. Nondimeno, il loro approccio (anche tra i più biechi fondamentalisti) è ancora essenzialmente radicato nello stesso spirito di razionalismo dei liberali. Un primo esempio si può trovare tra i cosiddetti fondamentalisti dispensazionali, la cui elaborata teoria suppone che Dio, nelle varie fasi della storia, abbia trattato gli uomini secondo differenti "dispensazioni," come quella "adamica," quella "noachita," quella "mosaica," quella "davidica," e così via. Si può notare un certo grado di verità in questa teoria, ma al di là di queste dispensazioni dell’Antico Testamento essi insegnano che noi ora siamo sotto una "dispensazione" diversa da quella dei cristiani del primo secolo. Anche se i miracoli continuarono lungo il "periodo del Nuovo Testamento," oggi non accadono più. Ciò è molto interessante, poiché (oltre a mancare di qualsiasi base scritturale) tale teoria permette a questi fondamentalisti di affermare i miracoli della Bibbia, e allo stesso tempo di essere empiristi nella loro vita quotidiana. Pertanto, anche se la discussione di questo approccio può sembrare a prima vista di interesse meramente accademico, e molto distante dalla realtà di vita del tipico protestante, di fatto anche il laico protestante medio, piamente "conservatore," non è immune da questa sorta di razionalismo.

La grande fallacia in questo cosiddetto approccio "scientifico" alle Scritture sta nell’applicazione erronea di assunti empirici allo studio della storia, della Scrittura, e della teologia. I metodi empirici funzionano ragionevolmente bene quando sono correttamente applicati alle scienze naturali, ma quando sono applicati laddove non riescono a funzionare, come nei momenti unici della storia (che non possono essere ricreati o sperimentati) non possono produrre risultati coerenti o accurati.(12) Gli scienziati devono ancora inventare un telescopio capace di scrutare nel mondo spirituale, e tuttavia molti studiosi protestanti asseriscono che alla luce della scienza l’idea dell’esistenza dei demoni o del Diavolo è stata provata falsa. Se il Diavolo apparisse di fronte a un empirista con il forcone in mano e vestito di una brillante calzamaglia rossa, verrebbe spiegato in qualche modo che si possa facilmente adattare alla visione teoretica dello scienziato. Anche se alcuni empiristi si gloriano della propria "apertura," essi sono accecati dai propri assunti a tal modo da non poter vedere ciò che non si adatta alla loro visione della realtà. Se i metodi dell’empirismo fossero coerentemente applicati, screditerebbero ogni conoscenza (inclusi se stessi), ma all’empirismo è convenientemente permesso essere incoerente da parte dei propri sostenitori "poiché la sua spietata mutilazione dell’esperienza umana gli offre una tale fama di severità scientifica che il suo prestigio supera i difetti dei sui fondamenti."(13)

Le connessioni tra le conclusioni più estreme raggiunte dai moderni protestanti liberali, e i protestanti più conservatori o fondamentalisti, sembreranno oscure a molti, e soprattutto agli stessi conservatori o fondamentalisti! Anche se questi ultimi si considerano in opposizione quasi completa al liberalismo protestante, nondimeno essi usano nel loro studio delle Scritture essenzialmente lo stesso tipo di metodi dei liberali, e assieme a queste metodologie vengono i loro principi filosofici sottostanti. Perciò la differenza tra i "liberali" e i "conservatori" non è in realtà una differenza di principi di base, ma piuttosto una differenza nel modo in cui questi principi sono stati portati alle loro inerenti conclusioni.

Se l’esegesi protestante fosse davvero "scientifica," così come si presenta, i suoi risultati mostrerebbero coerenza. Se i suoi metodi fossero mere e neutrali "tecnologie" (come molti li considerano), allora non importerebbe chi li usa, e "funzionerebbero" allo stesso modo per chiunque. Ma che cosa troviamo, quando esaminiamo lo stato corrente degli studi biblici protestanti? Secondo la stima degli stessi "esperti," il mondo accademico biblico protestante è in crisi.(13) Di fatto tale crisi è forse illustrata nel modo migliore dall’ammissione di un celebre studioso protestante dell’Antico Testamento, Gerhad Hasel [nella sua rassegna della storia e dello status attuale delle discipline di teologia dell’Antico Testamento, Old Testament Theology: Issues in the Current Debate], che durante gli anni '70 sono state prodotte cinque nuove teologie dell’Antico Testamento "ma nessuna, per approccio e metodo, è in accordo con una delle altre."(15) Di fatto è sorprendente, considerato il sedicente alto standard accademico negli studi biblici protestanti, che uno possa fare la propria scelta di conclusioni illimitate su quasi tutti i temi, e trovare "buoni studiosi" a proprio sostegno. In altre parole, potresti arrivare più o meno a qualsiasi conclusione che ti piaccia in un giorno particolare su una questione particolare, e potrai trovare un accademico che ti asseconderà. Questa non è certamente scienza nello stesso senso della matematica o della chimica! Ciò di cui trattiamo è un campo del sapere che si presenta come "scienza obiettiva," ma che è di fatto una pseudo-scienza, che nasconde una varietà di prospettive teologiche e filosofiche in competizione. È una pseudo-scienza perché, finché gli scienziati non svilupperanno strumenti capaci di esaminare e comprendere Dio, una teologia o interpretazione biblica scientificamente obiettiva sarà un’impossibilità. Ciò non vuol dire che non vi sia nulla di genuinamente scientifico o di utile al suo interno; ma vuol dire che, camuffati con questi legittimi aspetti di apprendimento storico e linguistico, e nascosti dagli specchi e cortine fumogene della pseudo-scienza, scopriamo in realtà come i metodi protestanti di interpretazione biblica sono sia il prodotto che servitore degli assunti teologici e filosofici protestanti.(16)

Con una soggettività che sorpassa quella dei più speculativi psicoanalisti freudiani, gli studiosi protestanti scelgono selettivamente i "fatti" e le "prove" che si adattano al oro programma, e quindi procedono, con conclusioni essenzialmente predeterminate dai loro assunti di base, ad applicare i loro metodi alle Sacre Scritture. E intanto, gli studiosi sia "liberali" che "conservatori," si descrivono come spassionati "scienziati."(17) Poiché le università moderne non elargiscono dottorati a coloro che si limitano a tramandare la Verità incorrotta, questi studiosi cercano di sopraffarsi a vicenda ideando nuove teorie "creative." Questa è l’essenza stessa dell’eresia: novità, arroganti opinioni personali, e auto-inganno. 

L'approccio ortodosso alla verità

Quando, per la misericordia di Dio, trovai la Fede ortodossa, non avevo alcun desiderio di dare al Protestantesimo e a i suoi "metodi" biblici un altro sguardo. Sfortunatamente, ho trovato che i metodi e gli assunti protestanti sono riusciti a infettare anche alcuni circoli all’interno della Chiesa ortodossa. La ragione, come ho detto sopra, è che l’approccio protestante alla Scrittura è stato presentato come "scienza." Alcuni nella Chiesa ortodossa sentono di fare alla Chiesa un grande favore introducendo questo errore nei nostri seminari e parrocchie. Ma in questo non c’è nulla di nuovo: è il modo con cui l’eresia ha sempre cercato di ingannare i fedeli. Come dice Sant’Ireneo, iniziando ad attaccare gli eretici del suo tempo:

"Per mezzo di parole speciose e plausibili, essi invitano con astuzia i semplici a indagare nel loro sistema; ma nondimeno li distruggono rozzamente, quando li iniziano alle loro blasfeme opinioni...."(18)

L’errore, in verità, non viene mai presentato nella sua nuda deformità, per non essere subito scoperto. Ma è rivestito ad arte in vesti eleganti, così da renderlo nella sua forma esteriore agli occhi dell’inesperto (per ridicola che l’espressione possa sembrare) più vero della verità stessa.

Perché nessuno venga fuorviato o confuso, lasciatemi chiarire: l'approccio ortodosso alle Scritture non è basto sulla ricerca "scientifica" nelle Sacre Scritture. La sua pretesa di comprendere le Scritture non risiede nel possesso di dati archeologici superiori, ma piuttosto nella sua relazione unica con l’Autore delle Scritture. La Chiesa Ortodossa è il corpo di Cristo, la colonna e fondamento della Verità, ed è sia il mezzo tramite il quale Dio ha dato le Scritture (attraverso i suoi membri), sia il mezzo tramite il quale Dio le ha conservate. La Chiesa Ortodossa comprende la Bibbia poiché è l’erede di una tradizione vivente che inizia con Adamo e si estende attraverso il tempo a tutti i suoi membri di oggi. Non si può "provare" in laboratorio che ciò sia vero. Uno deve esserne convinto dallo Spirito Santo e sperimentare la vita di Dio nella Chiesa.

La domanda che i protestanti porranno a questo punto è: chi ci dice che la tradizione ortodossa sia quella corretta, o persino che esista una tradizione corretta? In primo luogo, i protestanti hanno bisogno di studiare la storia della Chiesa. Vi troveranno che esiste una sola Chiesa. Questa è sempre stata la posizione della Chiesa dai suoi inizi. Il Credo di Nicea lo puntualizza chiaramente, "Credo in... una Chiesa, santa cattolica e apostolica." Questa dichiarazione, che quasi tutte le denominazioni protestanti tuttora sostengono di accettare come vera, non fu mai interpretata nel senso di qualche confusa, pluralistica "chiesa" invisibile che non riesce ad andare dottrinalmente d'accordo in nulla. I concili che canonizzarono il Credo (così come le Scritture) lanciarono anche anatemi contro coloro che erano al di fuori della Chiesa, sia che fossero eretici, come i montanisti, o scismatici come i donatisti. E non dissero, "ebbene, non possiamo andar d’accordo con i montanisti dottrinalmente, ma essi sono parte della Chiesa tanto quanto noi." Piuttosto, essi venivano esclusi dalla comunione della Chiesa fino al loro rientro, in cui venivano ricevuti nella Chiesa attraverso il Santo Battesimo e la Cresima (nel caso degli eretici) o semplicemente con la Cresima (nel caso degli scismatici) [Secondo Concilio Ecumenico, Canone VII]. Anche unirsi nella preghiera con coloro che sono al di fuori della Chiesa era, ed è tuttora, proibito [Canoni dei Santi Apostoli, XLV, XLVI]. A differenza dei protestanti, che trattano come eroi coloro che si staccano da un gruppo per formarne uno proprio, nella Chiesa primitiva questo era considerato un peccato dei più condannabili. Come avvertiva Sant’Ignazio di Antiochia [un discepolo dell’Apostolo Giovanni], "Non ingannatevi, fratelli, nessuno di quanti seguono altri in uno scisma erediterà il Regno di Dio, nessuno di quanti seguono dottrine eretiche è dalla parte della passione" [Lettera agli abitanti di Filadelfia, 5:3].

La ragione stessa della nascita di un movimento protestante era la protesta contro gli abusi papali, ma prima della rottura dell’Occidente romano dall’Oriente ortodosso questi abusi non esistevano. Molti teologi protestanti moderni hanno recentemente preso a rivedere questo primo millennio di cristianità indivisa, e stanno iniziando a riscoprire il grande tesoro che l’Occidente ha perduto (e non pochi stanno diventando ortodossi come risultato).(19)

Ovviamente, solo una di queste tre dichiarazioni può essere vera: o (1) non esiste alcuna corretta Tradizione e le porte dell’inferno hanno prevalso sulla Chiesa, e perciò sia i Vangeli che il Credo di Nicea sono in errore; o (2) la vera fede si trova nel papismo, con i suoi dogmi sempre crescenti e mutevoli emanati dall’infallibile "vicario di Cristo;" o (3) la Chiesa ortodossa è la Chiesa fondata da Cristo e ha mantenuto fedelmente la Tradizione apostolica. E così la scelta per i protestanti è chiara: il relativismo, il Romanismo, o l’Ortodossia.

La maggior parte dei protestanti, siccome la loro base teologica della Sola Scriptura può produrre solo disunione e litigi, ha abbandonato da lungo tempo l’idea della vera unità cristiana, e ha considerato come ipotesi ridicola l’esistenza di un’unica Fede. Di fronte ad affermazioni tanto forti sull’unità della Chiesa come quella sopra citata, reagiscono spesso con orrore, sostenendo che tali attitudini sono contrarie all’amore cristiano. Trovandosi privi di una vera unità si sono sforzati di crearne una falsa, sviluppando la filosofia relativistica dell’ecumenismo, in cui la sola fede da condannare è quella che avanza pretese esclusive alla Verità. Però questo non è l’amore della Chiesa storica, ma sentimentalismo umanistico. L’amore è l’essenza della Chiesa. Cristo non venne a mettere le basi di una nuova scuola di pensiero, ma piuttosto disse Egli stesso di essere venuto a edificare la sua Chiesa, contro la quale le porte dell’inferno non prevarranno (Matteo 16:17). Questa nuova comunità della Chiesa creava "un’unità organica, piuttosto che un’unificazione meccanica di persone internamente divise."(20) Quest’unità è possibile solo tramite la nuova vita portata dallo Spirito Santo, e misticamente sperimentata nella vita della Chiesa.

La fede cristiana unisce il fedele a Cristo, componendo così un corpo armonioso da individui separati. Cristo costituisce il corpo comunicandosi a ogni membro e donando loro lo Spirito della Grazia in un modo efficace e tangibile.... Se il legame con il corpo della Chiesa viene reciso, allora la personalità che viene in tal modo isolata e racchiusa nel proprio egoismo sarà privata della benefica e abbondante influenza dello Spirito Santo che dimora nella Chiesa.(21)

La Chiesa è una poiché è il Corpo di Cristo, ed è un’impossibilità ontologica che si possa dividere. La Chiesa è una, così come Cristo e il Padre sono uno. Anche se questo concetto di unità può sembrare incredibile, così non sembra a quanti sono andati al di là del concetto e sono entrati nella sua realtà. Anche se questa può essere una di quelle "parole dure" che non tanti sanno accettare, è una realtà nella Chiesa ortodossa, per quanto richieda a tutti molto diniego di sé, umiltà e amore.(22)

La nostra fede nell’unità della Chiesa ha due aspetti: è un’unità al tempo stesso storica e presente. ciò significa che quando gli Apostoli, per esempio, lasciarono questa vita, non lasciarono l’unità della Chiesa. Essi sono parte della Chiesa ora tanto quanto lo erano quando vi erano presenti nella carne. Quando celebriamo l’Eucaristia in qualsiasi Chiesa locale, non la celebriamo da soli, ma con l’intera Chiesa, sia in terra che in cielo. I Santi del cielo ci sono perfino più vicini di coloro che possiamo vedere e toccare. Così, nella Chiesa Ortodossa non abbiamo come insegnanti solo quelle persone che Dio ci ha messo accanto nella carne, ma tutti gli insegnanti della Chiesa in cielo e in terra. Siamo oggi alla scuola di San Giovanni Crisostomo allo stesso modo che a quella del nostro vescovo. Tutto ciò fa sì che il nostro approccio alla Scrittura non sia di interpretazione privata (II Pietro 1:20), ma come Chiesa. Questo approccio alla Scrittura ebbe la sua definizione classica per mano di San Vincenzo di Lerino:

"Qui, forse, qualcuno può chiedere: Poiché il canone della Scrittura è completo e più che sufficiente in sé, perché è necessario aggiungervi l’autorità dell’interpretazione ecclesiastica? Di fatto, [dobbiamo rispondere,] la Sacra Scrittura, a causa della sua profondità, non è universalmente accettata nello stesso senso. Lo stesso testo è interpretato in modo differente da persone differenti, cosicché può quasi venire l’impressione che vi siano tante interpretazioni diverse quanti sono gli uomini.... Così, è a causa delle molte e grandi distorsioni causate da vari errori, che è invero necessario che l’interpretazione degli scritti profetici e apostolici sia diretta in accordo con la regola del significato ecclesiastico e cattolico.

Nella stessa Chiesa Cattolica, bisogna preoccuparsi con ogni cura di mantenere ciò che è stato creduto sempre, ovunque e da tutti. Ciò è veramente e propriamente 'cattolico,' come indicano la forza e l'etimologia del nome stesso, che comprende tutto ciò che è veramente universale. Questa regola generale verrà realmente applicata se seguiamo i principi di universalità, antichità e consenso. Seguiamo il principio di universalità se confessiamo vera solo quella fede che l’intera Chiesa confessa in tutto il mondo. Seguiamo il principio di antichità se non deviamo in alcun modo da quelle interpretazioni che i nostri antenati e padri hanno manifestamente dichiarato inviolabili. Seguiamo il principio di consenso se, in questa stessa antichità, adottiamo le definizioni e proposte di tutti, o quasi tutti, i vescovi."(23)

In questo approccio alle Scritture, non è compito dell’individuo sforzarsi di essere originale, ma piuttosto di comprendere quanto è già presente nelle tradizioni della Chiesa. Noi siamo obbligati a non andare al di là dei limiti posti dai Padri della Chiesa, ma a tramandare fedelmente la tradizione che abbiamo ricevuto. Fare ciò richiede molto studio e pensiero, ma ancor più, se vogliamo davvero comprendere le Scritture, dobbiamo entrare profondamente nella vita mistica della Chiesa. Ecco perché, quando Sant’Agostino spiega come si dovrebbero interpretare le Scritture [La Dottrina Cristiana, Libri i-iv], passa più tempo a parlare del tipo di persona che ci vuole per studiare la Scrittura, che sulla conoscenza intellettuale che questa persona dovrebbe possedere:(24)

1. Uno che ama Dio con tutto il suo cuore, e che è privo di orgoglio,

2. Che è motivato alla ricerca della conoscenza della volontà di Dio da fede e riverenza, piuttosto che da orgoglio o avidità,

3. Che ha un cuore soggiogato dalla pietà, una mente purificata, e morta al mondo; e che non teme gli uomini, né cerca di compiacerli,

4. Che non cerca altro che conoscenza e unione con Cristo,

5. Che ha fame e sete di giustizia,

6. E che si adopera con diligenza in opere di misericordia e di amore.

Con requisiti così alti, dovremmo tanto più umilmente appoggiarci alla guida dei santi Padri che hanno evidenziato tali virtù, e non deluderci pensando di essere più capaci di loro in un’acuta interpretazione della Santa Parola di Dio.

Ma che fare dell’opera degli studiosi biblici protestanti? Finché ci aiuta a comprendere il contesto storico e il significato dei punti oscuri, in questo è in linea con la Santa Tradizione e può essere usata.

Come dice San Gregorio Nazianzeno quando parla di letteratura pagana: "Così come abbiamo preparato medicine salutari dal veleno di certi rettili, così abbiamo ricevuto dalla letteratura secolare i principi di ricerca e di ragionamento, mentre ne abbiamo respinto l’idolatria..."(25) Così, finché evitiamo di adorare i falsi dei dell’individualismo, della modernità e della vanagloria accademica, e finché riconosciamo gli assunti che vengono utilizzati in tale lavoro e usiamo ciò che davvero getta luce storica o linguistica sulle Scritture, allora comprenderemo la Tradizione in modo più completo. Ma fintanto che gli studiosi protestanti fanno speculazioni al di là dei testi canonici, e proiettano idee estranee sulle Scritture, obiettando alla Santa Tradizione, la fede del "sempre e ovunque" della Chiesa, essi si sbagliano.

Se i protestanti dovessero ritenere ciò arrogante o ingenuo, che considerino dapprima l’arroganza e l’ingenuità di quegli studiosi che pensano di essere qualificati a trascurare (o più solitamente, a ignorare del tutto) due millenni di insegnamento cristiano. Forse l’acquisizione di un dottorato biblico offre una sapienza dei misteri di Dio superiore a quella di milioni su milioni di fedeli credenti e Padri e Madri della Chiesa che servirono Dio con fede, sopportando orribili torture e martirio, derisione e prigioni, per la fede? Il cristianesimo si apprende nella tranquillità dello studio personale, o portando la croce sulla quale si sarà uccisi? L’arroganza sta in quanti, senza prendere neppure il tempo di imparare che cosa sia davvero la Santa Tradizione, decidono di saperne di più, ora che è finalmente arrivato qualcuno che ha rettamente compreso ciò che vogliono davvero dire le Scritture.  

Conclusione

Le Sacre Scritture sono forse il vertice della Santa Tradizione della Chiesa, ma la grandezza delle vette a cui le Scritture ascendono è dovuta alla grande montagna su cui risiedono. Tolta dal suo contesto entro la Santa Tradizione, la solida roccia della Scrittura diviene una mera palla di creta, che può essere modellata in qualsiasi forma desiderino i suoi manipolatori. Abusare delle Scritture e distorcerle non è un modo di onorarle, anche se ciò è fatto con l'intento di esaltarne l'autorità. Dobbiamo leggere la Bibbia; è la santa Parola di Dio. Ma per comprendere il suo messaggio, sediamoci umilmente ai piedi dei santi che si sono mostrati "facitori della Parola e non uditori soltanto" (Giacomo 1:22), e sono stati provati per le loro vite come degni interpreti delle Scritture. Andiamo da coloro che conobbero gli Apostoli, come i Santi Ignazio di Antiochia e Policarpo, se abbiamo una domanda sugli scritti degli Apostoli. Ascoltiamo dalla Chiesa, e non cadiamo nell'arroganza dell'auto-delusione.  

Note

1. George Mastrantonis, trad., Augsburg and Constantinople: the Correspondence between the Tubingen Theologians and Patriarch Jeremiah II of Constantinople on the Augsburg Confession (Brookline, Mass.: Holy Cross Orthodox Press, 1982), 114.

2. The Illustrated Bible Dictionary, vol. 2 (Wheaton: Tyndale House Publishers, 1980), "Jannes and Jambres," di A. F. Walls, 733 -734.

3. Invero questa lista non intendeva nemmeno comprendere tutti i libri che la Chiesa ha mantenuto dall’antichità, considerandoli parte della più ampia Tradizione. Per esempio, il libro di Enoch, anche se è citato nei libri canonici, non fu incluso esso stesso nel canone. Non pretenderò di sapere il perché, ma per qualche ragione la Chiesa ha scelto di conservare questo libro, eppure non lo ha assegnato a essere letto in chiesa, né lo ha posto a fianco dei libri canonici.

4. Per esempio, non c’è alcun passo in cui si parli in dettaglio della questione dell’inerranza delle Scritture, precisamente perché questa non era una questione disputata. Oggi, col sorgere dello scetticismo religioso, di questo si discute molto, e se l’epistola fosse scritta oggi, si parlerebbe di sicuro di questo argomento da qualche parte. Sarebbe sciocco concludere che, dato che non se ne parla specificamente, allora i primi cristiani non pensavano che l’inerranza delle Scritture fosse importante, o che non vi credevano.

5. Alexander Schmemann, Introduction to Liturgical Theology (Crestwood NY: St Vladimir's Seminary Press, 1986), 51 n.

6. E di fatto, questo è ciò che ha fatto il mondo accademico protestante. Anche se il protestantesimo fu fondato sulla base della credenza che la Bibbia sia l’unica autorità di fede e pratica, il moderno mondo accademico protestante è ora dominato da modernisti che non credono più nell’ispirazione o inerranza delle Scritture. Ora essi si sentono al di sopra della Bibbia e scelgono di usarne solo quelle parti che ritengono adatte, scartando il resto come " mitologia primitiva e leggende." La sola autorità che ancora riconoscono sono se stessi.

7. I valdesi erano una setta fondata nel dodicesimo secolo da Pietro Valdo, e che in alcuni modi anticipava la Riforma protestante. A causa di persecuzioni da parte della Chiesa cattolica romana, questa setta sopravvisse soprattutto nelle aree di montagna dell’Italia nord-occidentale. Con l’avvento della Riforma protestante, i valdesi entrarono sotto l’influenza del movimento della riforma, ed essenzialmente vi si allearono. Molti tra i primi storici protestanti sostennero che i valdesi rappresentavano un resto dei “veri” cristiani esistiti fin da prima di Costantino. Anche se oggi nessuno storico credibile farebbe una simile asserzione senza prove, molti fondamentalisti e sette come i testimoni di Geova continuano a vantare una discendenza dalla chiesa primitiva attraverso i valdesi - nonostante il fatto che i valdesi esistono ancora oggi, e che certamente non riconoscono come propria discendenza i testimoni di Geova.

8. Mastrantonis, 115.

9. Ibid., 198.

10. Ibid., 115.

11. Il temine 'positivismo' viene dal francese positif, vale a dire 'sicuro,' o 'certo.' Questo termine fu usato per la prima volta da Auguste Comte. I sistemi positivisti sono costruiti sull'assunto che qualche fatto o istituzione sia la base ultima della conoscenza - nella filosofia di Comte, l'esperienza o la percezione sensoriale costituiva tale base, e pertanto egli fu il precursore dell'empirismo moderno [Cfr. Encyclopaedia of Religion and Ethics, 1914 ed., s.v. "Positivism," di S.H. Swinny; e Wolfhart Pannenburg, Theology and Philosophy of Science, trad. Francis McDonagh (Philadelphia: Westminster Press, 1976), p. 29].

12. Per esempio, un metodo per determinare la realtà degli eventi passati, tra gli studiosi di indirizzo empirico, è il principio di analogia. Poiché la conoscenza è basata sull'esperienza, allora il modo in cui uno capisce ciò che non gli è familiare è di metterlo in relazione a ciò che gli è familiare. Sotto la maschera di analisi storica essi giudicano la probabilità di un presunto evento passato (e.g. la risurrezione di Gesù) basandola su ciò che sappiamo avere luogo nella nostra esperienza. E poiché questi storici non hanno mai osservato alcunché che siano disposti a considerare soprannaturale, allora determinano che quando la Bibbia parla di un evento miracoloso, sta soltanto narrando un mito o una leggenda. Ma poiché per l'empirista un 'miracolo' comporta una violazione di una legge naturale, allora non possono esistere miracoli (per definizione) poiché le leggi naturali sono determinate dalla nostra osservazione di quanto sperimentiamo; pertanto, se tale empirista fosse coinvolto nella moderna analogia di un miracolo, questo non sarebbe più considerato un miracolo, poiché non costituirebbe più una violazione della legge naturale. E così gli empiristi non producono risultati che negano la realtà trascendente o i miracoli; sono piuttosto i loro presupposti, fin dal principio, a negare la possibilità di tali cose. [cfr. G. E. Michalson, Jr., "Pannenburg on the Resurrection and Historical Method," Scottish Journal of Theology 33 (April 1980): 345-359.]

13. Rev. Robert T. Osborn, "Faith as Personal Knowledge," Scottish Journal of Theology 28 (February 1975): 101-126.

14. Gerhard Hasel, Old Testament Theology: Basic Issues in the Current Debate (Grand Rapids: Eerdman's Publishing Company, 1982), p. 9.

15. Ibid., p. 7.

16. Ho discusso il Protestantesimo liberale solo per dimostrare la fallacia dell'esegesi "storica". Un cristiano ortodosso verrà molto più facilmente a confronto con un fondamentalista conservatore o un pentecostale, per il semplice motivo che questi prendono la loro fede abbastanza sul serio da cercare di convertire a essa altre persone. Le denominazioni protestanti liberali hanno già abbastanza da fare per cercare di conservare i propri fedeli, e non brillano per zelo di evangelismo.

17. Per una critica più profonda degli eccessi del metodo storico-critico, cfr. Thomas Oden, Agenda for Theology: After Modernity What? (Grand Rapids: Zondervan, 1990) pp 103-147.

18. Cleveland Coxe, trans., Ante-Nicene Fathers, vol. i, The Apostolic Fathers with Justin Martyr and Irenaeus (Grand Rapids: Eerdmans Publishing Company, 1989), p 315.

19. Di fatto una recente opera di teologia sistematica in tre volumi, di Thomas Oden, è basata sul presupposto che il "consenso ecumenico" del primo millennio debba essere normativo per la teologia [cfr. The Living God: Systematic Theology Volume One, (New York: Harper & Row, 1987), pp ix & xiv.]. Se solo Oden porta la propria metodologia alle sue logiche conseguenze, anche lui diventerà ortodosso.

20. Santo neo-martire Arcivescovo Hilarion (Troitsky), Christianity or the Church? (Jordanville: Holy Trinity Monastery, 1985), p. 11.

21. Ibid., p. 16.

22. Ibid., p. 40.

23. "In ipsa item Catholica Ecclesia magnopere curandum est ut id teneamus quod semper, quod ubique, quod ab omnibs creditum est. Hoc est etenim vere proprieque catholicum, quod ipsa vis nominis ratioque declarat, quae omnia fere universaliter comprehendit. Sed hoc ita demum fiet, si sequamur universitatem, antiquitatem, consensionem. Sequemur autem universitatem hoc modo, si hanc unam fidem vera esse fateamur quam tota per orbem terrarum confitetur Ecclesia; antiquitatem vero ita, si ab his sensibus nullatenus recedamus quos sanctos majores ac patres nostros celebrasse manifestum est; consensionem quoque itidem si, in ipsa vetustate, omnium vel certe pene omnium sacerdotum pariter et magistrorum definitiones sententiasque sectemur." San Vincenzo di Lerino, trad. Rudolph Morris, The Fathers of the Church vol.7, (Washington D.C.: Catholic University of America Press, 1949), pp. 269-271.

24. Sant'Agostino, "Sulla dottrina cristiana," A Selected Library of the Nicene and Post-Nicene Fathers. series 1, vol. ii, eds. Henry Wace and Philip Schaff, (New York: Christian, 1887-1900), pp. 534-537.

25. San Gregorio Nazianzeno, "Orazione 43, panegirico su San Basilio," A Selected Library of the Nicene and Post-Nicene Fathers of the Christian Church, series 2, vol. vii, eds. Henry Wace and Philip Schaff (New York: Christian, 18871900), p. 398n.

 
Come padre Dmitrij Smirnov convince le donne a non abortire, e 10 domande che possono trattenere una donna dal fare un aborto

Mentre in America, in Russia e in tutto il mondo continua la lotta contro il terribile e grave peccato dell'aborto, OrthoChristian.com offre le parole ispiratrici di due persone che hanno accumulato grande esperienza nel trattare con le donne che considerano di abortire. Padre Dmitrij Smirnov è un famoso e amato sacerdote di Mosca che spesso parla contro l'aborto, ed Elena Smirnova è una psicologa del fondo di beneficenza "Famiglia e infanzia" che, grazie ai suoi anni di esperienza, ha sviluppato una serie di domande che possono aiutare una donna incinta a ri-focalizzare il suo pensiero in modo più positivo.

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Come padre Dmitrij Smirnov convince le donne a non abortire

foto: www.pravoslavie.fm

Padre Dmitrij, in un incontro con una donna incinta che vuole abortire, cosa dovrebbe dire un prete in modo da convincerla ad abbandonare questo desiderio?

Se va a incontrare un prete, dovremmo capire che non vuole farlo, anche se inconsapevolmente. E questa determinazione è il motivo per cui si è rivolta alla Chiesa, e dobbiamo trovarla nella sua anima.

In tali situazioni, dico: "Perché vuoi uccidere il tuo bambino? Dallo a me. Lo alleverò e lo farò crescere io. E inoltre, lo prenderò in qualsiasi momento, non appena tu dirai 'lo darò a te', soltanto non ucciderlo.

Io offro una sola condizione:

Partoriscilo, ma non dire a nessuno che lo stai abbandonando. Allattalo in ospedale, e poi verremo tranquillamente da te in auto e prenderemo il tuo bambino. Ecco il mio numero di telefono. Se cambi idea, te lo riporteremo, anche a Vladivostok, se andrai a vivere lì, quindi non dovrai nemmeno pagare il viaggio. Se credi che io ti inganni, puoi sempre denunciarmi: "Questo prete mi ha messo strane idee in testa. Ecco il suo numero e indirizzo".

Non hai bisogno di nulla. Ti darò io i soldi per poter terminare la gravidanza!

Quindi spiegami: perché uccidere il tuo bambino? Che senso ha? Tu avrai un peccato sulla tua coscienza. Non sai quanto piangono le donne anziane (che hanno fatto aborti nella loro giovinezza) che vengono qui. Aspetta, eccone una adesso. Ti chiamerò ad ascoltare quello che dice, come soffre adesso. E se abortisci soffrirai tutta la tua vita. Ma se non lo fai avrai una coscienza pulita. Un tempo chi non voleva crescere figli li portava ai monasteri, per farli allevare lì, o li dava a donne senza figli che non avevano trovato marito. La cosa più importante è non uccidere il tuo bambino!

E come mostra la pratica, una volta che allattano, non mi chiamano più.

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Dieci domande che possono trattenere una donna dal fare un aborto

foto: www.pravmir.ru

Questo articolo è scritto per coloro che vogliono trattenere una persona cara che sta contemplando di fare un aborto per varie ragioni. La psicologa del fondo di beneficenza "Famiglia e infanzia", Elena Smirnova, parla di quali domande potete fare a una donna che sta cercando di porre fine alla sua gravidanza.

Dall'esperienza delle consultazioni psicologiche presso le istituzioni mediche abbiamo concluso che esistono alcune tecniche di conversazione che possono influire sulla decisione di una donna di abortire. Ma sarebbe ottimista supporre che dopo averle fatto solo alcune domande avremo raggiunto l'obiettivo: che lei ci ripensi e decida di dare alla luce il bambino. Nel migliore dei casi possiamo sperare che lei possa almeno riflettere sul fatto che l'aborto non è l'unica e la migliore via d'uscita dalla sua situazione.

L'opera di uno psicologo con questa categoria di donne è il compito di inculcare un crescente dubbio. Una donna è venuta a registrarsi per un aborto; ha già fatto una scelta, una decisione, ma le rimangono sempre dei dubbi, qualcosa dall'altro lato della coscienza. Il lavoro di uno psicologo è quello di scoprire questi dubbi, di "dare loro voce". Non possiamo sapere da che parte pende l'ago della bilancia, perché la donna ha preso una decisione. Ma, allo stesso modo, potete provare a "frantumare" la cattiva fiducia di una donna.

Vi offriamo dieci domande che potete fare a una persona cara se volete aiutarla in una situazione difficile. Non sono domande rilevanti per ogni situazione. Dovete valutare quanto si fida di voi, la sua personalità, le sue condizioni attuali, quanto tempo avete per una conversazione e così via. In realtà non sono domande, ma temi che possono essere discussi in una conversazione, poiché una donna che decide di abortire è spesso in una situazione di crisi nella sua vita e ha bisogno della possibilità di esprimersi, di parlare in dettaglio dei suoi problemi – di ciò di cui è veramente preoccupata. Quindi è meglio costruire la conversazione in forma di dialogo e non di un discorso didattico; anche se, naturalmente, in alcune situazioni è giustificato fornire informazioni e dare voce alla coscienza. Ma è meglio permetterle di concentrarsi su se stessa, sui suoi sentimenti. Perciò:

1. Come immagini il bambino che stai portando in grembo?

Questa domanda è importante perché al momento in cui si decide di abortire, la mentalità di una donna è spesso strettamente legata alle circostanze della vita che la attirano ad abortire, e non vede altro. Gli psicologi chiamano questa condizione "consapevolezza da tunnel". Quando chiediamo a una donna come immagina il suo bambino, deve rivolgere la sua attenzione non alle sue circostanze, che la costringono ad abortire (ne parleremo più tardi), ma alla creatura da cui vuole liberarsi. Ci possono essere varie reazioni a questa domanda, per esempio: "Non voglio pensarci" o "non l'ho mai immaginato". Per andare avanti con tali domande e discutere ancora di più il tema in questione – lo sviluppo pre-natale del bambino a questo punto – basta avere un po' di sensibilità umana.

Ma a volte è utile reagire duramente a tali parole. "Capisco che non vuoi pensarci, ma questo non fa smettere al bambino di essere una persona. Il fatto che scacci questi pensieri dalla tua mente non cambia niente".

Dopo la domanda sullo sviluppo del bambino, una donna può ritirarsi in se stessa e anche se probabilmente non capisce benissimo da un punto di vista medico come si sta sviluppando il suo bambino in questo momento esatto, sta già cominciando a trattarlo come con una persona dall'esistenza separata. Potete dirle tutto su come il suo bambino si sta sviluppando a questo punto. Per alcune è sufficiente vedere un'ecografia, sentire come i propri figli si spostano o sentire il loro battito cardiaco, per far loro decidere di salvare il proprio bambino.

2. Quale nome daresti a tuo figlio? Preferiresti un bambino o una bambina?

Queste domande aiutano una donna a spostare la sua attenzione dalle sue circostanze al figlio, a sognare un po' a occhi aperti.

3. Che differenza c'è tra questo figlio nel grembo materno e i tuoi figli più grandi?

Questa domanda è per le donne che hanno già dei figli. "Come mai questo bambino non ancora nato è diverso da quelli già nati?" La conversazione che ne seguirà può trasformarsi in una discussione intellettuale sull'idea che questa non è ancora una persona, ma gli altri lo sono già; tuttavia, dovreste cercare di riportare la discussione al suo corso originale – vale a dire continuare a confrontare i due figli. "E quando aspettavi il tuo bambino più grande, pensavi anche a lui come a un nulla, che sarebbe nato e diventato qualcuno? Cos'era il tuo primo figlio per te quando lo aspettavi? Quando è diventato una persona, secondo te? E in cosa questo bambino è diverso? Aspettavi quel bambino, e adesso ti aspetti questo – è lo stesso".

Altre domande su questo argomento: "È stato tutto ideale con il tuo primo figlio ? Hai dovuto superare tutte le difficoltà per averlo?" In generale, la donna deve aver superato qualche difficoltà con i suoi figli precedenti, se non nel periodo della gravidanza, almeno dopo la nascita del bambino. Può darsi che a causa del bambino abbia superato molto dei suoi stessi limiti. E sorge la domanda seguente: se in linea di principio può fare qualcosa per un suo bambino, forse almeno una parte di ciò che ha fatto per un suo bambino più grande, la può fare anche per questo?

Poi, quando lo vede, quando lo incontra, la sua gioia la ripaga di tutte le spese e già vuole prendersi cura di lui.

"Immagina che tuo figlio sia già nato e che tu lo prenda tra le braccia".

Una volta che il bambino è nato, molte donne non sono in grado di abbandonarlo. Infatti, l'aborto è il rifiuto del tuo bambino. L'aborto si verifica quando c'è un bambino e la donna si rifiuta di ammetterlo nella sua vita, in gran parte perché non lo conosce. Quando una donna prende il suo bambino in braccio, non può dirgli: "No, non ti voglio nella mia vita, perché dovrò nutrirti". La cosa è che una donna non può immaginare di abbandonare un figlio già nato, e il compito è farle pensare al bambino nel grembo come se fosse già nato, perché alla fine sarà nato.

4. Tu vuoi avere dei figli?

Questa è una domanda molto delicata e molto complicata. Deve essere fatta al momento giusto, con moltissimo tatto e attenzione per la donna. Perché potete chiedere con noncuranza: "Vuoi abortire ora? Ma vuoi avere bambini in generale?" E riceverete la risposta stereotipata della società: "Sì, in generale voglio bambini – sono una donna normale. Ma ora le mie circostanze non lo permettono".

Pertanto questa domanda deve essere posta al momento giusto e delicatamente, per evitare le pressioni della società. L'obiettivo di questa domanda è quello di dare alla donna la possibilità di riflettere sulla sua vita e sul suo destino nel suo complesso, di visualizzare la sua prospettiva di vita e ricordare i suoi valori e di riflettere su ciò che è primario per lei. Allora non sarà legata concretamente a questa situazione nella vita che ha ora e che le fa volere un aborto. Penserà a se stessa come persona e come donna. In generale, vuole avere figli? Di cosa sarà piena la sua vita? Questo sguardo alla sua vita in prospettiva l'aiuterà a capire che vuole davvero avere dei bambini. E questo potrebbe giocare a favore di questo bambino in particolare.

Rispondendo a questa domanda, la donna può parlare delle sue paure, del rifiuto della femminilità, della rivolta contro il suo ruolo femminile e di altre cose. Potete ascoltarla, discutere di alcuni punti importanti e forse aiutarla a liberarsi di qualche paura o stereotipo.

foto: www.pregnancyandbaby.com

5. Che cosa ti impedisce di avere il tuo bambino?

Ora diamo alla donna l'opportunità di parlare delle circostanze che la spingono verso un aborto. È una domanda molto importante, perché è necessario discutere queste circostanze con lei, darle la possibilità di rispondere pienamente a questa domanda, raccontare i suoi problemi, i timori e i dubbi che le fanno pensare all'aborto. Bisogna comprenderla con simpatia e attenzione, poiché questi problemi sono veramente seri per lei, anche se a voi non sembrano così. Forse sarà più facile per lei parlarne solo perché l'avete ascoltata con comprensione. Allora dovete darle la possibilità di vedere i suoi problemi da un punto di vista diverso, perché, molto probabilmente, si è concentrata su di loro così tanto da non vedere altre opzioni tranne l'aborto.

Potete chiederle: "Come deve cambiare la situazione perché tu decida di dare alla luce tuo figlio?" E discutere insieme a lei cosa si può fare per realizzare questa situazione e se può davvero partorire solo in quelle circostanze. È necessario cercare di discutere con lei diverse soluzioni al problema, e forse potrete trovare una soluzione semplice e geniale.

Molti problemi sono di fatto illusori, e per l'osservatore e l'interlocutore casuale sono chiaramente artificiali e senza fondamento. Prima di un aborto le difficoltà di una donna le sembrano molto più spaventose di quelle che sono veramente. Il suo interlocutore può cercare di consentirle di vedere lei stessa queste, di condurla fuori dallo stato della "consapevolezza da tunnel". [1]

Ci sono donne che per insoddisfazione della vita sostengono che la loro decisione di abortire viene dalla loro mancanza di volontà di far nascere il bambino nelle difficoltà. Dicono: non avrà un padre, o vivrà nella povertà, o ci saranno altre difficoltà.

A questi argomenti c'è una risposta abbastanza severa, ma che a volte aiuta. Si può chiedere: "Se il tuo bambino potesse parlare adesso, se potesse controllare il proprio destino, cosa pensi che direbbe? Che cosa preferirebbe: questa vita con le sue carenze o cessare di esistere? Cosa pensi... che cosa vorrebbe?" Qui di nuovo diamo vita al bambino agli occhi di sua madre, perché uno dei principali problemi dell'aborto è che la donna non lo considera assolutamente come una persona separata. Lo vede esclusivamente come una circostanza della sua vita. E con questa domanda le mettiamo apertamente davanti agli occhi questa alternativa: definiamo l'aborto non un'operazione medica, ma la privazione della vita di un bambino. Non proponiamo direttamente che sia un omicidio, ma lo implichiamo indirettamente, chiedendo: "Vorrebbe vivere in povertà, oppure non vivere affatto?"

6. Perché pensi di avere il diritto di abortire?

Potete fare una domanda generale di questo tipo. In realtà è un argomento molto grande. La conversazione può assumere diverse direzioni a seconda di come risponde la donna. Potrebbe dire: "È legalmente permesso". Allora potete chiederle se pensa che tutto ciò che è legalmente permesso è moralmente permesso. No, naturalmente, non finirà in prigione dopo l'aborto, ma da un punto di vista morale come le sembrerà la sua azione? Una donna incinta può rispondere: "Ma io posso controllare il mio corpo!" Allora puoi chiedere: "Come fai a essere sicura che sia completamente il tuo corpo? Sei sicura che questa parte del tuo corpo abbia lo stesso sesso del resto del tuo corpo? E dove hai mai visto parti del tuo corpo che hanno un gruppo sanguigno diverso da quello del resto del tuo corpo?" Infine, potete aggiungere: "Quindi sei sicura che sia il tuo corpo? Non potrebbe essere che questo sia il corpo di qualche altra persona, anche se si trova dentro di te?"

Ai credenti potete porre la domanda in questo modo: "Di chi è il bambino?" La reazione naturale è: "È mio e di mio marito, naturalmente". Ma a una donna credente si può ricordare che di fatto è un figlio di Dio, che lo ha semplicemente affidato a lei per un po' di tempo, in modo che potesse prendersi cura di lui. E una non può semplicemente disporre di ciò che non è suo. Una credente dovrebbe ricordare che un bambino non le appartiene e che risponderà di ciò che ha fatto al figlio datole per un certo tempo da allevare e da crescere, e risponderà del destino di questo bambino – la responsabilità più alta davanti a Dio. E là le non chiederanno quale marca di cellulare aveva suo figlio, se aveva la propria stanza, vestiti alla moda e così via.

Potete farle questa domanda: "Immagina di essere morta adesso - a volte succede - e dopo la morte incontri questo bambino. Quando ti dirà: 'Mamma, perché non mi hai lasciato vivere?', cosa gli risponderai? Pensi che la spiegazione che usi ora per giustificarti gli sembrerà convincente? O Dio chiederà: 'Perché hai fatto questo?', e le tue spiegazioni saranno significative davanti a Dio? Saranno veramente giustificazioni?"

7. Come immagini la procedura dell'aborto? Conosci qualcosa sul seguito?

Qui potete parlare del fatto che lei sarà sotto anestesia, ma... In primo luogo, questa operazione viene eseguita alla cieca. Molti pensano che durante l'intervento il medico veda tutto ciò che accade dentro. Ma l'aborto non è una chirurgia addominale, dove, per esempio, la pancia è tagliata e si può vedere tutto. Nel caso dell'aborto, lo strumento viene inserito nell'organo cavo all'interno del corpo, e il medico fa l'operazione attraverso gli ultrasuoni, e in realtà per mezzo del tatto.

Molti medici hanno scritto sul danno indiscutibile dell'aborto alla salute di una donna. Per esempio, il dottore di scienze mediche, professore e direttore del Centro per la Diagnostica Clinico-Morfologica della Patologia Riproduttiva a San Pietroburgo, Boris Glukhovets, scrive nella sua ricerca che "le operazioni di terminazione artificiale della gravidanza, anche negli ospedali ginecologici di prima qualità, possono essere complicate da gravi danni alla cervice e al corpo dell'utero e allo sviluppo di emorragie uterine, fattori di rischio per il verificarsi di altre complicazioni che possono portare ad un esito letale". Senza contare che l'aborto artificiale è una delle principali cause di aborto spontaneo e di infertilità secondaria.

Il professore dà i seguenti dati:

L'aborto costituisce una causa di infertilità secondaria fino al 41% in Russia;

Dopo un aborto volontario la frequenza di aborti spontanei aumenta di 8-10 volte;

Circa il 60% delle donne che partoriscono per la prima volta oltre i trent'anni soffre di aborti spontanei se le donne hanno avuto numerosi aborti precedenti;

Dopo un aborto, il 38% delle pazienti non è in grado di tornare al loro normale ciclo mestruale per almeno due mesi.

Dopo aver parlato con una donna delle conseguenze mediche dell'aborto, potete chiederle se comprende che dall'aborto non vengono solo conseguenze fisiche ma anche emotive.

Ha familiarità con il termine "Sindrome Post-Aborto"? [2]

Qui potete condurre la conversazione in questo modo: "Certamente hai amiche di diverse età. Conosci donne anziane che abbiano abortito molti anni fa? Come valutano ora quelle circostanze che le hanno portate ad abortire: considerano tali circostanze veramente significative o no? Che cosa stanno vivendo ora nelle loro anime?" Potete raccomandarle di parlare apertamente con tali donne e forse metterla anche in contatto con una vostra conoscenza che sia d'accordo a parlare della sua esperienza.

O se avete avuto voi stesse questa esperienza, non sarebbe male parlare apertamente e onestamente di ciò che è successo a voi.

Nel senso mondano possiamo comprendere l'aborto come un comune evento quotidiano. Ma è molto importante come si vede questo evento anni dopo, quando la vita sta per finire. La donna dovrebbe davvero pensare a ciò che vuole veramente – dormire male per il prossimo anno e mezzo alzandosi per accudire suo figlio, o soffrire per tutta la sua vita di crisi di coscienza e dormire male la notte per ricordi e incubi.

8. Hai mai considerato chi trae beneficio da un aborto così diffuso?

Questa è una domanda appropriata per gli intellettuali. "Probabilmente sai che da noi questa è una procedura comune", le diciamo. "La maggior parte delle donne [in Russia, ndt] ha fatto ricorso a questa procedura almeno una volta nella vita. Secondo le statistiche, migliaia di aborti vengono eseguiti ogni giorno. Hai mai pensato a chi ne trae beneficio?"

L'aborto come operazione o come procedura è stato a lungo conosciuto, ma da un punto di vista morale è sempre stato condannato. Ora non solo non è condannato, ma praticamente gli si dà il benvenuto. L'atteggiamento verso l'aborto è radicalmente cambiato. E da qui si pone la domanda: "Se l'atteggiamento è cambiato così seriamente, significa che c'è qualcuno interessato che l'opinione pubblica si sviluppi in questo modo. Chi potrebbe essere, e qual è il suo interesse? "

Con una donna credente potete sollevare la questione degli sforzi delle potenze avverse a Dio per catturare l'anima umana. Con questo potete dire che la lotta non è tanto per l'anima del bambino, ma soprattutto per l'anima della madre, perché la decisione di abortire è una decisione molto dura e crudele che rimane sulla coscienza della donna.

Ma ci sono anche aspetti pratici dal mondo secolare. Il materiale abortivo – la placenta e le cellule staminali – è un materiale molto costoso, ampiamente usato, e hanno bisogno di estrarlo su scala industriale. Naturalmente, non possiamo dire che l'aborto è stato legalizzato solo allo scopo di ottenere questi materiali, ma ora questi materiali sono attivamente procurati e quelli che ne traggono soldi non li vogliono perdere. E hanno un interesse pragmatico perché il numero di aborti non scenda – o, se scende, perché scenda solo leggermente. E inoltre, potete chiedere a una donna se accetterebbe di essere usata in questo modo da tali poteri – da organizzazioni e da persone che non hanno relazione con la sua vita e che sono completamente indifferenti al suo destino.

9. Nella tua famiglia, chi è contrario ad avere un figlio e chi è favorevole?

Tornando alle circostanze della vita della donna, potete fare questa domanda. All'inizio è meglio chiedere chi è contrario ad avere un figlio, perché potrebbe risultare che la donna dica che sono tutti contro di lei, e potrebbe anche fare i nomi di tutti. E poi potere dichiararvi d'accordo sul fatto che, in realtà, sotto tale pressione è difficile mantenere la propria opinione. Ma non c'è la possibilità che si sia andata a intricare per caso in un ambiente ostile? E che magari lei stessa vuole il bambino? Datele allora la possibilità di parlare dettagliatamente del motivo per cui non vuole che gli altri la fermino (vedi sopra).

Può accadere che qualcuno tra i suoi parenti sia veramente contrario a far nascere il bambino. Quali argomenti portano avanti? Perché lo fanno? Hanno vissuto essi stessi un aborto, e in caso affermativo, come li ha segnati un tale passo? Dopo aver accertato questi fatti importanti, è necessario aiutare la donna a combattere le pressioni all'interno della sua famiglia e anche, forse, gli abusi fisici, emotivi, morali, materiali ecc.

È molto importante scoprire se c'è almeno qualcuno che possa dare qualche sostegno al bambino, per esempio, reggere il confronto con coloro che sono contrari.

10. Come posso aiutarti in modo che tu decida di avere il tuo bambino?

E, infine, è bene chiedere a una donna come la potete di fatto aiutare. È meglio chiederglielo alla fine della conversazione, quando è già riuscita a esprimere i suoi dubbi e le sue paure, e dopo che alcune di queste paure sono state "svelate", quando appare davanti a lei una sorta di alternativa all'aborto.

Quando una donna dice di voler abortire, è completamente connessa con quelle condizioni che le impediscono di mantenere il suo bambino. E se in quel momento le chiedete: "E io cosa posso fare?", probabilmente, risponderà che non c'è niente da fare e che in generale non ha bisogno di alcun aiuto. Quando si stacca almeno un poco da queste circostanze di vita, allora potete dirle come queste circostanze possono essere cambiate e offrire il vostro aiuto. “Allora, di cosa hai precisamente bisogno per poter resistere a queste circostanze in questa situazione?” Forse ha solo bisogno di aiuto per trovare le parole necessarie da dire a suo marito o ai parenti, per farsi consigliare un buon medico o un aiuto con un passeggino o una culla per il bambino. Forse ha bisogno di un supporto emotivo. Ogni donna ha le sue necessità. Per molta, già la vostra semplice offerta di aiuto può essere curativa, perché un'offerta di questo tipo significa riconoscere i problemi della donna e, allo stesso tempo, il valore del figlio non ancora nato – un valore così essenziale che siete pronti anche a fare cose concrete, a fare uno sforzo e forse a fare qualche sacrificio in modo che il bambino possa nascere.

Potete consigliarla di contattare organizzazioni che aiutano le donne in gravidanza che si trovano in situazioni difficili. [3]

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In conclusione, vorrei dire quanto segue: non è così semplice risvegliare il cuore, e non esistono tecniche speciali per farlo. Possiamo aiutare una donna in una situazione difficile, ma solo a condizione che chi l'aiuta desideri veramente il suo bene. Non cercate di dimostrare la vostra correttezza o di convincere la donna che l'aborto non deve mai accadere (anche se naturalmente noi siamo d'accordo con questo), ma fate tutto proprio per il suo bene. Nessuna donna vuole essere solo un "argomento" nel dimostrare la correttezza di una persona o di un'idea.

Queste domande che abbiamo offerto possono aiutare una donna a decidere di tenere il suo bambino. Ma qui è importante ricordare che una conversazione con lei dovrebbe essere accompagnata da un atteggiamento sincero, buono e caloroso, per lei e per il figlio. Speriamo che queste domande aiutino qualcuno, che i bambini nascano e che la vita continui...

Note

[1] Questo fenomeno è comune a molte situazioni di crisi acuta, e in questo stato in particolare avviene la maggioranza dei suicidi è impegnata. La "consapevolezza da tunnel" è caratterizzata dal fatto che la persona non è in grado di affrontare situazioni inaspettate che la riguardano e che si sente incapace, ed è in grado di vedere solo una delle tante possibili varianti di come potrebbero svilupparsi gli eventi e il proprio comportamento (come se ci si trovasse in un tunnel).

[2] La sindrome post-aborto (SPA) è il cambiamento mentale in una donna dopo un aborto – un fenomeno poco conosciuto non solo nella medicina "somatica" ma anche nella psichiatria. Tuttavia, sulla base dell'esperienza clinica e dell'interazione quotidiana con le donne dopo gli aborti abortive, si può sostenere che la SPA è molto diffusa. Descrivendo la SPA molto brevemente e semplicemente, possiamo identificare due varianti. In primo luogo: la donna si rammarica della sua decisione, si pente di essa, sperimenta una sensazione di dubbio e il dolore della perdita di un bambino. Poiché il suo atto è irreversibile, questa esperienza ha un carattere permanente, svanisce molto lentamente nel tempo, ma in molti casi diventa insopportabile, anche nella vecchiaia. Secondo: la donna è psicologicamente protetta dalla sensazione di colpa e "si indurisce spiritualmente", avendo un atteggiamento negativo o addirittura aggressivo nei confronti dei bambini (inclusi i propri) e delle donne in gravidanza. E in entrambi i casi, la sofferenza post-abortiva incide negativamente sui rapporti familiari, portando alla genitorialità patologica. Circa l'80% delle coppie senza figli che hanno avuto un aborto si separa entro l'anno successivo.

[3] L'autore continua notando che tali organizzazioni esistono in varie città della Russia.

Per esempio, a Mosca c'è il fondo di beneficenza "Famiglia e infanzia". I servizi psicologici in tre ospedali di Mosca offrono consulenze alle donne che vengono ad abortire. Inoltre, il fondo gestisce una linea di crisi per domande sulle gravidanze non pianificata e ci sono anche consultazioni psicologiche on line. Altre fondazioni offrono aiuti sociali, materiali, legali e di altro tipo alle donne che hanno deciso di continuare la loro gravidanza e di avere il loro bambino e alle famiglie con più bambini.

Ci sono altri centri e servizi a Mosca che aiutano le donne in gravidanza in situazioni di crisi e anche altre organizzazioni che combattono il problema dell'aborto, per esempio, con metodi educativi.

A San Pietroburgo c'è il Fondo di San Demetrio di Tessalonica che aiuta famiglie numerose e bisognose e svolge attività educative volte a proteggere la vita dei bambini nel ventre materno. Il fondo offre assistenza psicologica, finanziaria, umanitaria, legale e alimentare.

Altre regioni hanno anche centri e servizi per aiutare le donne in gravidanza. Ad esempio, a Ivanovo c'è l'organizzazione "Culla", a Rjazan' il centro "Diritto alla vita" per la protezione della maternità e dell'infanzia e così via.

La Fondazione Caritativa "Famiglia e Infanzia" invita volontari, psicologi, operatori sociali, medici, avvocati, filantropi e tutte le persone che si preoccupano della protezione delle famiglie e della vita prenatale dei bambini. La vostra partecipazione aiuterà a salvare la vita di qualcuno.

Chi ha mezzi può sostenere:

- un servizio di assistenza psicologica per le donne in situazioni di crisi;

- molti programmi educativi o di pubblicazione della fondazione;

- una specifica donna incinta in una situazione di crisi;

- le famiglie numerose del programma delle adozioni.

www.bfsd.ru

bfsd@mail.ru

 
Ordinato un nuovo sacerdote per la chiesa di Santa Caterina a Roma

Il 20 gennaio, con la benedizione di sua Santità il Patriarca Kirill di Mosca e di tutta la Rus', ha celebrato la Divina Liturgia nella chiesa stavropigiale di Santa Caterina a Roma l'amministratore delle parrocchie del Patriarcato di Mosca in Italia, il vescovo Nestor di Chersoneso. Con l'arcipastore hanno concelebrato il rettore del tempio, ieromonaco Antoniy (Sevryuk), il rettore della parrocchia stavropigiale di san Nicola a Roma, arciprete Vyacheslav Bachin, il clero della chiesa di Santa Caterina, ieromonaco Atanasio (Potapov) e ieromonaco Ambrogio (Matsegora), arcidiacono Vyacheslav Tukan e diacono Ioan Călin.

Dopo il Grande Ingresso, con la benedizione di sua Santità il Patriarca Kirill, il vescovo Nestor ha ordinato al presbiterato il diacono Ioan Călin. Per diversi anni, padre Ioann ha svolto il ministero diaconale nella chiesa di Santa Caterina. Con l'aumento del numero dei moldavi in diaspora a Roma, e la necessità di avere per loro un sacerdote, che conduca i servizi in lingua romena, il rettore della chiesa di Santa Caterina ieromonaco Antoniy (Sevryuk) ha chiesto al Patriarca di benedire l'ordinazione del diacono Ioan a sacerdote. In base alla risoluzione di Sua Santità, l'ordinazione presbiterale è stata affidata al vescovo Nestor di Chersoneso.

Dopo la funzione, il vescovo Nestor ha tenuto un discorso arcipastorale alla congregazione, e si è congratulato con loro per la festa. Vladyka ha accolto con particolare favore il neo-ordinato padre Ioan e gli ha augurato l'aiuto di Dio nel suo ministero sacerdotale.
Una risposta al vescovo è stata fatta dallo ieromonaco Antoniy, che ha ringraziato Vladyka per la Divina Liturgia e la chirotonia presbiterale per la chiesa di Santa Caterina. Poi, secondo la tradizione, il nuovo sacerdote ha dato la sua prima benedizione ai fedeli.

La comunicazione del vescovo con i parrocchiani della chiesa di santa Caterina è continuata al tempo del pasto della festa. Con parole di benvenuto a Vladyka e a padre Ioan si sono rivolti l'arciprete Vyacheslav Bachin, la contessa M. A. Ferzen e altri. Padre Ioan ha ricevuto anche le congratulazioni dei membri della comunità moldava, che gli hanno portato in dono un mazzo di fiori. Alla fine del pasto lo ieromonaco Antonio, a nome dei parrocchiani, ha ha fatto gli auguri di compleanno a padre Atanasio - il 17 gennaio, il chierico della chiesa di Santa Caterina ha compiuto 35 anni - e gli ha dato un regalo in ricordo.

Il prete Ioan Călin è divenuto il quarto sacerdote del clero parrocchiale nella chiesa della Santa Grande Martire Caterina a Roma. E' previsto che ogni domenica padre Ioan terrà le funzioni in lingua romena nella chiesa inferiore dedicata ai santi re Costantino ed Elena. Le regolari funzioni della Divina Liturgia avranno inizio dopo che il nuovo sacerdote avrà concluso il tirocinio sacerdotale.

 
Perché la "Sola Scriptura", onestamente, mi spaventa

Essendo cresciuto in una famiglia protestante, le Scritture erano per me (e per molti versi lo sono ancora) il fine ultimo e la pienezza della fede. Tuttavia, vi è una ragione per cui io non sono più un protestante. Questo motivo ha molte sfumature, ma tutto risale a una cosa sola: il contesto. Data la necessità di un contesto, trovo l'idea di "Sola Scriptura" orripilante.

Che cos'è:

Sola Scriptura è l'idea che il cristianesimo dovrebbe essere basarsi unicamente sulla Scrittura, vale a dire, dovrebbe essere senza rituali, e senza alcun magistero. E ognuno di noi è obbligato a leggere le Scritture e formare se stesso attraverso di loro, da solo.

Non può esistere davvero:

Molte delle cose di cui abbiamo paura non esistono. Gli zombi, i culti dell'Armageddon (del tipo che porta alla fine del mondo tramite qualche divinità egizia a lungo dimenticata), Cthulhu, e così via, sono tutti esempi di cose che fanno paura, ma in realtà non esistono.

Questa è l'impressione che mi fa la Sola Scriptura. È spaventosa, ma in realtà non esiste.

Sembrerebbe un po' ridicolo dire che non esiste, essendo che è la dottrina chiave di quasi tutti i protestanti. Tuttavia, è proprio questo il punto... è una dottrina. Sta già andando contro se stessa, cancellandosi da sola dal regno dell'esistenza. Una dottrina (non scritturale), che proclama che ogni altra dottrina è da respingere è ridicola (un richiamo all'ormai terribilmente stereotipo argomento contro il relativismo). Semplicemente non è possibile disporre solo della Scrittura, dal momento che non abbiamo ricevuto solo la Scrittura. Invece, tutto ciò che ci è stato insegnato circa la Scrittura ci è stato insegnato da qualcun altro. Non è caduto dal cielo e atterrato su di noi. E anche se lo fosse, ci sarebbe comunque ancora donato da qualcuno: da autori le cui vite, culture, ritualità e cose simili forniscono un contesto alle Scritture. E un contesto significa che la Scrittura non è affatto "sola".

Se esiste, è un'autobiografia:

Tutto questo parlare di testi, contesto, paternità e interpretazione mi ricorda un certo francese...

In ogni modo, c'è un problema serio che nasce dal modello inesorabilmente individualistico dell'interpretazione biblica. Ogni volta che qualcuno inizia la propria interpretazione di qualsiasi cosa, senza direzione, forma una specie di autobiografia nella loro interpretazione. L'interpretazione di questo tipo non riflette altro che se stessi.

Questa è un'idea principale di quel certo francese (il filosofo Jacques Derrida), che ogni volta che si interpreta un testo senza contesto, non si fa altro che dipingere un autoritratto con i colori del testo che si interpreta. Questo perché le idee non si limitano a passare come pure idee da una persona all'altra, devono invece passare attraverso il filtro del linguaggio, che è ulteriormente filtrato attraverso lo schema della propria coscienza, che permette di capire il senso delle cose. Questo schema è costruito, in parte, dal contesto sociale, storico, politico, ecc, in cui viviamo, impossibile da evitare a meno che non permettiamo alla nostra comprensione di essere informata da un altro contesto. Se questo fraintendimento contestuale, e la successiva autobiografia, deriva dalla lettura delle Scritture, allora non mi viene in mente alcuna bestemmia più grave di trasformare le Scritture, che si suppone siano l'immagine e la realizzazione, la Parola di Dio, in niente di più che un'autobiografia.

Deformare Dio in un'immagine di te stesso è l'essenza dell'idolatria; un vitello d'oro di errata interpretazione orgogliosamente difesa.

Non è biblica:

Da nessuna parte nella Bibbia troverete una discussione sulla Bibbia o sul modo di interpretare la Bibbia. Sia il Nuovo sia il Vecchio Testamento fanno riferimento alle " Scritture", ma questo non si riferisce alla Bibbia nel suo insieme, solo all'Antico Testamento.

2 Tessalonicesi 2:15 sottolinea chiaramente che vi è un elemento decisamente importante, la tradizione e che molto è stato insegnato oralmente. La separazione tra ciò che è stato insegnato a voce e ciò che è stato trasmesso dalle epistole (che sono lettere di vescovi / apostoli), significa che non tutto ciò che era importante sapere è stato registrato nelle epistole.

Inoltre, il Nuovo Testamento chiarisce che gli apostoli (e nella prima Lettera a Timoteo, i vescovi) sono i portatori della dottrina di Cristo, e che è il loro dovere proteggere quegli insegnamenti, e istruire i credenti in questi insegnamenti. È reso abbondantemente chiaro anche il fatto che l'interpretazione degli insegnamenti di Cristo da parte di qualsiasi persona non ha lo stesso valore di quella di chiunque altro: se questo fosse vero, non ci sarebbe stato alcun bisogno delle lettere di Paolo, o davvero di qualsiasi parte del Nuovo Testamento, a parte i Vangeli.

Che dire della storia (?):

Come ho già detto, il concetto di Sola Scriptura rifiuta un fatto di base delle Scritture: che queste sono state scritte da uomini. Mentre io credo che esse siano state ispirate dallo Spirito Santo, e che siano esenti da errori mediante lo Spirito Santo, non cambia il fatto che questi libri sono stati scritti da persone, e come tali, essi sono pieni di contesto (situazione storica, pratiche culturali, aspettative della società, e - cosa forse più importante - lingua e idioma). Senza una conoscenza della storia e della cultura degli autori umani delle Scritture, non si può avere alcuna speranza di capire quello che essi stanno cercando di comunicare.

Questo senza nemmeno menzionare il fatto che la stessa Bibbia (specialmente il Nuovo Testamento) è un libro con molto movimento storico. La Chiesa primitiva (al tempo degli apostoli) non aveva i libri del Nuovo Testamento (soprattutto perché erano ancora in fase di scrittura), e non fu fino a molte generazioni dopo che questi libri sono stati codificati e il canone è stato creato. La Chiesa ha trascorso la maggior parte della sua prima vita senza queste Scritture del Nuovo Testamento, dunque, Sola Scriptura è storicamente parlando un' idea abbastanza nuova (è difficile predicare le "sole Scritture", quando non si dispone ancora di Scritture...).

Per di più questo ideale di "sola Scrittura" rifiuta tutto il cristianesimo, che è venuto prima del singolo cristiano. Respinge la storia della Chiesa e i grandi maestri della fede (e anche quando non lo fa, non difende i propri valori).

Orgoglio :

Tutto questo culmina nel mio motivo per rifiutare la Sola Scriptura (e quindi il protestantesimo): l'orgoglio.

Io sono forse uno dei peggiori colpevoli quando si tratta di questo particolare peccato, così non voglio dare alcun giudizio su coloro che vi cadono; ma questo non vuol dire che anche io, il peggiore tra i superbi, dovrei stare a permettere che il mio l'orgoglio diventi dogma. Piuttosto, tutti dovremmo sempre lottare contro i nostri peccati.

L'orgoglio della Sola Scriptura, se è ancora possibile, è nel suo rifiuto di coloro che ci hanno insegnato qualcosa: i nostri genitori, i nostri predicatori / preti / insegnanti, la storia della Chiesa (i santi, i concili, i Padri), e attraverso questa, anche gli apostoli, quelli che hanno imparato tutto direttamente dalla bocca di Cristo stesso, a favore di un'autobiografia vana di auto-interpretazione. Un autoritratto dipinto con i colori del Vangelo.

Questo è evidentemente lo scenario peggiore della dottrina, ma è il risultato del fatto che è realmente seguito. Anche la persona più benintenzionata che prende sul serio la "sola Scrittura" non sarà niente di più che un teologo da poltrona, completamente ignorante del periodo e del contesto dei testi scritti e così invece sarà forzato a sovrapporre il proprio contesto e periodo come pietra di paragone. Così appare di nuovo l'autoritratto, anche quando il credente è ben intenzionato e pio nella sua pratica. In questo, la sola Scrittura diventa di nuovo impossibile, in quanto non è più "sola Scrittura ", ma piuttosto è "la Scrittura e me".

Questo è il motivo per cui Sola Scriptura mi spaventa. Sono pieno di peccati: carenze e perplessità e pregiudizi. Come tale, preferisco di gran lunga "la Scrittura e la Tradizione" a "la Scrittura e me".

 
La riza nell'iconografia: protezione e venerazione

Riza (риза) d'oro utilizzata per coprire l'icona della Santissima Trinità di Rublev (c. 1599)

Una riza (Ru: риза) è una copertura di metallo che ricopre la superficie di un'icona, di solito fatta di un metallo prezioso. si usa a volte la parola "rivestimento", anche se riza è la parola più comune utilizzata in iconografia: la parola russa è utilizzata per riferirsi anche alle coperture metalliche delle icone dell'impero bizantino di lingua greca, dove la pratica ha avuto origine. Perché le icone sono coperte?

Le due parole russe utilizzate per questi rivestimenti metallici - Riza (риза) e oklad (оклад) - danno la risposta:

- Riza significa "veste", e quindi si può dire che la copertura è decorativa, ed è usata come un modo per onorare l'icona. Nessuno poteva guardare un'icona coperta da una riza senza immaginare che questa sia un oggetto prezioso per la persona che la possiede.

- Oklad significa "copertura", e questa parola rivela la fondamentale ragione pratica per la copertura delle icone. Le coperture si usano per aiutare a proteggere la superficie verniciata delle icone dall'annerimento causato dalla fuliggine e dal fumo delle lampade da vigilia, delle candele e dell'incenso usati durante le funzioni religiose.

E così una riza si utilizza sia per venerare l'icona, sia per proteggerla dai danni causati dalla venerazione.

Icona della Santissima Trinità (Св. Троицы) di Rublev

La riza mostrata nella parte superiore di questo articolo è stata fatta per la famosa icona della Santissima Trinità di Andrej Rublev (l'icona scoperta, così come appare oggi, è mostrata qui sopra). La riza copriva completamente l'icona tranne i volti degli angeli, le mani , e piedi, e fu rimaneggiata più volte: i primi elementi comprendono telaio, sfondo, targhe figurative, e pietre preziose tagliate a cabochon. L'originale era un regalo dello zar Boris Godunov nel 1599-1600, e consisteva di cornice, sfondo, targhe figurative e aureole di pietre preziose. L'angelo al centro indossa un pendaglio regalato dallo tsarevich Fjodor, impreziosito con perle e pietre preziose che incorniciano un cammeo di zaffiro di Cristo Pantocratore, di fattura bizantina riutilizzata, originario del X secolo (difficile da notare a questa risoluzione, ma appena visibile). Le tre collane a forma di mezzaluna fissate alle aureole sono state aggiunte dallo tsar Michele I Romanov nel 1626. Dettagli successivi sono stati collocati nel 1754 dall'argentiere di Mosca Ivan Grigoriev, a spese del monastero. La copertura originale , così come gli abbellimenti successivi, appare come se la ragione principale per l'aggiunta sia stata quella di onorare l'icona (e quindi il prototipo: la Santissima Trinità). In questo modo, la riza potrebbe essere vista come una forma di ex voto.

Una caratteristica distintiva di alcune icone sono piccoli fori, a distanze uniformemente lungo i bordi delle aureole e altrove, che danno l'impressione di un attacco da parte di tarli estremamente organizzati. Questi fori sono causati quando la riza viene rimossa da una icona, lasciando buchi nei punti dove il metallo era attaccato al legno. Di fatto, l'icona della Trinità di Rublev mostra segni di piccoli fori dove una volta c'era il rivestimento. Per questo, e per altri motivi, non a tutti piace rivestire un'icona con una riza.

Icona moderna realizzata con un oklad (le aree coperte dall'oklad non sono dipinte)

Certamente l'icona della Santissima Trinità di Rublev è più nota e amata com'è ora, nella sua forma originale e non coperta. Tuttavia, si potrebbe sostenere che se non fosse stata coperta agli inizi del XVII secolo, quest'icona medievale non avrebbe mai potuto sopravvivere fino ad oggi in buono stato. L'immagine profonda e potente della Santissima Trinità è stata creata da Rublev durante i tempi bui della storia della Russia, e così ha agito come un faro per i fedeli. Fu coperta durante un momento di pietà generale in Russia, quando la spiritualità cristiana è fiorita in tutto l'Impero russo. La "scoperta" dell'icona, insieme ad altre icone ispirate dallo stile semplice e pieno di fede di Rublev, è avvenuta agli inizi del XX secolo, senza dubbio un momento in cui il mondo è entrato in nuovi tempi "bui" e turbolenti. Queste icone "brillarono" di nuovo proprio nei momenti giusti, risplendendo ancora di più in contrasto con le ombre circostanti. Viviamo in tempi in cui queste icone brillano ancora, e ce n'è ancora bisogno. Ma possono farlo solo perché sono state nascoste sotto coperture di metallo dorato nei precedenti secoli di pace e prosperità esterna.

 
Intervista con il metropolita Hilarion (Kapral) dal quotidiano "Komsomolskaya Pravda"

Martedì 13 Maggio 2008

 

Nikolai Varsegov

Eminenza, se non le dispiace, dica ai nostri lettori qualcosa della sua vita.

 

Metropolita Hilarion di New York e dell’America del Nord

Mio padre e mia madre sono nati in Polonia, che a quel tempo era parte dell'Impero russo. Tuttavia, quando quel territorio divenne parte dell'Ucraina sovietica, i miei genitori sono emigrati in Canada, dove io sono nato il 6 gennaio 1948. Dopo aver terminato le scuole superiori, sono entrato nel Seminario del Monastero della Santissima Trinità (a Jordanville, NY, ndt), dove sono divenuto monaco. Nel 1984 mi hanno eletto vescovo Nel 1996 sono stato messo dal Sinodo episcopale a capo della diocesi di Australia e Nuova Zelanda con il rango di arcivescovo. Ritengo che da questo incarico mi abbia cambiato. È una diocesi molto interessante... è enorme! C'è così tanto lavoro missionario da fare in Asia, in Indonesia.

 

Nikolai Varsegov

Quali sono le domande che le pongono più spesso i giornalisti russi?

 

Metropolita Hilarion

Io cerco di evitare la stampa, in particolare le interviste alla TV, sono a disagio per il mio russo di scarsa qualità.

 

Nikolai Varsegov

È ben noto che lei ha avuto un ruolo principale nella riconciliazione tra la Chiesa russa all’Estero e il Patriarcato di Mosca.

 

Metropolita Hilarion

Non direi che io sia stato una delle figure principali. Questa decisione sulla riconciliazione è venuta da tutto il nostro Sinodo episcopale, che ha deciso che ne era giunto il tempo. Io ero solo una parte di una delegazione di tre sacerdoti che sono andati a Mosca. Abbiamo avuto in primo luogo un colloquio con Sua Santità il Patriarca Alessio e gli altri membri del Santo Sinodo riguardo alla riunificazione delle nostre chiese.

 

Nikolai Varsegov

Ci sono stati allora avversari della riconciliazione nel vostro clero, e alcuni ancora si oppongono. Come giustificano questa opposizione?

 

Metropolita Hilarion

Il loro primo disaccordo stava nel fatto che ci sono oggi vescovi in ​​servizio nel Patriarcato di Mosca che sono stati attivi nei tempi sovietici, e che avevano fatto compromessi con il regime sovietico. Essi ritengono che questi uomini non abbiano fatto una riparazione per tali compromessi. In secondo luogo, non accettano il fatto che il Patriarcato di Mosca partecipi al Consiglio Ecumenico delle Chiese (C.E.C.), nel cosiddetto dialogo interreligioso.

 

Nikolai Varsegov

Cosa ne pensa di queste azioni del Patriarcato di Mosca?

 

Metropolita Hilarion

Ne siamo stati turbati (dalla partecipazione del Patriarcato di Mosca al C.E.C.) fin dagli anni Sessanta, quando il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Atenagora e il Papa di Roma Paolo VI, hanno annullato gli anatemi reciproci che le Chiese ortodossa e cattolica imposero l’una contro l'altra nel 1054. Ci sono stati anche casi di preghiera comune, che sono severamente vietati dai canoni. Ma, nel 2000, il Patriarcato di Mosca ha esplicitamente definito in un decreto che la Chiesa Ortodossa è la vera Chiesa creata originariamente da Cristo. Inoltre, i cristiani che si sono allontanati nel corso del tempo dalla Chiesa antica non sono veri cristiani e la loro convinzione è falsa. Il Patriarcato di Mosca sottolinea, così come noi, che è impossibile tenere celebrazioni comuni con quelli che si sono allontanati. Anche se il Patriarcato di Mosca partecipa al C.E.C. ai fini del mantenimento di un dialogo tra i cristiani, possiamo vedere che non c'è unità raggiunta come risultato, e questa organizzazione ha perso la sua importanza.

 

Nikolai Varsegov

Nel Patriarcato di Mosca, incontro continuamente persone insoddisfatte dei nostri gerarchi perché si associano ad alto livello con cattolici, musulmani e altri settari eterodossi. In che misura queste persone hanno ragione a non accettare le altre religioni?

 

Metropolita Hilarion

I motivi dei vescovi ortodossi che si incontrano con i rappresentanti delle altre religioni sono puramente morali e lo fanno solo ai fini della comunicazione, e devono procedere con tranquillità, così come fanno alle riunioni del G8, dove cercano una sorta di accordo tra tutte le parti in conflitto.

 

Nikolai Varsegov

Oggi in Russia ci sono accesi dibattiti sull’opportunità di introdurre corsi sull’Ortodossia nelle nostre scuole laiche, per promuovere la fede cristiana tra i nostri figli. Che cosa ne pensa?

 

Metropolita Hilarion

Penso che questi corsi siano molto importanti, dobbiamo farli in modo che i nostri figli siano in grado di realizzare il vero significato della loro vita. La Russia avrà quindi una nuova generazione con una vera comprensione di Dio e un senso della patria, una generazione con una comprensione del proprio debito verso il passato. Tuttavia, sono consapevole del fatto che la Russia è uno stato multinazionale. Pertanto, un corso sull’Ortodossia non dovrebbe essere obbligatorio per tutti gli studenti. Per esempio, in parallelo, studenti musulmani ed ebrei potrebbero seguire corsi che coprono le loro religioni.

 

Nikolai Varsegov

Ma forse in questo non c’è un grande pericolo? Soprattutto in Russia, ma non solo da questi, sappiamo che molti sanguinosi conflitti sono scoppiati proprio per problemi inter-religiosi. Pensa che estremisti che utilizzano un gergo religioso possano provocare conflitti basati presumibilmente sulla fede?

 

Metropolita Hilarion

Nella Russia zarista, là dove c'era una forte comprensione della fede, non c'era alcun conflitto interreligioso. I veri credenti non usano mai il nome di Dio come pretesto per ostilità o violenza verso i credenti di altre fedi. Oggi, gli estremisti stanno utilizzando l'analfabetismo religioso della gente per diffondere false dottrine, in particolare tra i giovani, e usano il gergo religioso per accendere l’odio contro coloro che professano altre religioni. Le persone veramente devote, che siano musulmani o cristiani, risolvono tutte le loro controversie in modo pacifico.

 

Nikolai Varsegov

Ci sono alcuni che ora sono felici perché sembra che ci siano molti credenti. Le chiese sembrano essere piene di giovani, ma, a mio avviso, si tratta per la maggior parte di religione fasulla. Prima degli esami, gli studenti vanno in chiesa, ma, se non ci sono esami in arrivo, se ne vanno a bere birra... Che tipo di fede è questa?

 

Metropolita Hilarion

Ci vuole un lungo e difficile lavoro, per condurre correttamente le persone alla vera Fede. Ciò di cui abbiamo bisogno sono sacerdoti colti che sappiano parlare alla gente e spiegare loro le cose. Si tratta di uno studio serio: aiutare una persona a comprendere la preghiera, e come attraverso la preghiera si realizza l'importanza dell'anima e come questa si purifica dai propri peccati. Tutti i peccati sono originariamente pensieri. Sviluppiamo questi pensieri peccaminosi, e spesso li portiamo alla luce per la nostra rovina. L'uomo è il campo di battaglia tra il bene e il male, qui impariamo a mantenere una costante vigilanza contro il male. Questa è la cosa più importante che dobbiamo imparare come cristiani ortodossi.

 

Nikolai Varsegov

I sacerdoti colti della Chiesa russa all’estero potrebbero aiutare il lavoro missionario in Russia?

 

Metropolita Hilarion

Il fatto è che non abbiamo abbastanza preti nella Chiesa russa all’estero. Allo stesso tempo, le mie osservazioni mi dicono che, negli ultimi anni, ci sono molti sacerdoti in Russia che hanno bisogno di più esperienza nell'Ortodossia. Dio volendo, questo può essere curato in fretta. Abbiamo alcuni sacerdoti che sono venuti a noi da altre confessioni che potrebbero venire in Russia e condividere la loro esperienza. Come regola generale, sono persone molto competenti e impegnate.

 

Nikolai Varsegov

Vladyka, che tipo di cambiamenti è necessario nella Chiesa oggi? Per esempio, perché le donne non possono venire in chiesa in pantaloni? Beh, non in pantaloni sgargianti ornati con pappagalli, naturalmente. Perché non la gente non può sedersi  durante le lunghe funzioni?

 

Metropolita Hilarion

Le tradizioni che abbiamo nella Chiesa sono di origine antica, e se cambiamo qualcosa, dobbiamo farlo con molta attenzione. Una donna che indossa pantaloni alle funzioni non è una cosa troppo importante. Se qualcosa dovesse cambiare, direi che è giunto il momento di tradurre le preghiere dal vecchio slavonico in lingua russa. Molti non capiscono il vecchio slavonico, quindi, non colgono il significato dei sacramenti e la loro via a Dio è ostacolata. Alcuni parrocchiani all'estero non sanno nemmeno il russo o lo sanno male, e ci sono anche fedeli che provengono da varie nazionalità (non russe). In Australia, noi facciamo lavoro missionario tra gli aborigeni! Quindi, le preghiere devono essere tradotte anche in inglese.

 

Nikolai Varsegov

Molti portano i loro figli per mano in chiesa, e i ragazzi sono costretti a stare per ore ad ascoltare qualcosa di incomprensibile. Credo che questa pratica presto allontanerà un bambino dalla fede, e che vedrà la gita in chiesa come nient'altro che una tortura.

 

Metropolita Hilarion

Assolutamente. Sono completamente d'accordo con lei. Dobbiamo insegnare a un bambino ad andare alle funzioni con una comprensione del loro contenuto. Dovremmo lasciare che i nostri figli partecipino alla pratica della chiesa. Le ragazze amano occuparsi delle candele e ragazzi cercano di aiutare in altri modi. I bambini sono curiosi, e fanno molte domande interessanti che riguardano la Chiesa. È necessario che sia i sacerdoti che i genitori incoraggino le domande da parte dei bambini e siano in grado di dare loro risposte.

 

Nikolai Varsegov

Vladyka, con quali domande e aspirazioni viene da lei la gente qui in Australia?

 

Metropolita Hilarion

Molti si trovano in una terra straniera in situazioni difficili. L'Australia è un paese meraviglioso, e molti cittadini dalla Russia, così come da altri stati, stanno cercando di stabilirsi qui. Spesso, i nostri compatrioti non conoscono bene l'inglese, hanno difficoltà a trovare lavoro, e alcuni hanno problemi con il visto. Quindi, cadono in disgrazia, e vengono da noi in chiesa per chiedere aiuto, fraternità. Purtroppo, la nostra chiesa a Sydney non ha i mezzi per offrire riparo o lavoro a tutti i viaggiatori. Pertanto, li dirigiamo verso le diverse organizzazioni che sono in grado di dare loro qualche forma di assistenza. Lavoriamo a stretto contatto con l'ambasciata russa a Canberra, che aiuta attivamente a risolvere alcuni dei problemi di queste persone.

Molte donne russe sposano australiani. Purtroppo, molti di questi matrimoni falliscono a causa di differenze di educazione (dei coniugi). Alcune di queste donne sono picchiate e maltrattate dai loro mariti. Cerchiamo di confortarle, e cerchiamo di indirizzarle a cercare aiuto dai tribunali, dal momento che i diritti delle donne in Australia sono ben protetti e la legge è spesso dalla loro parte.

 

Nikolai Varsegov

È ben noto che molte donne dalla Russia e dalla CSI sognano di innamorarsi di un australiano. Scrivono al loro pretendente e volano in Australia alla ricerca di felicità personale. Qual è il suo consiglio per loro, Vladyka?

 

Metropolita Hilarion

Vorrei consigliare loro di affrontare la questione con cautela e attenzione. Non bisogna sempre credere alle lettere inviate da pretendenti australiani, che promettono alle nostre donne un paradiso. Non vale la pena di fare le valigie e dire addio alla Russia. Piuttosto, si dovrebbe venire per la prima volta con un visto turistico ordinario e guardare tutto con attenzione, studiare con attenzione il proprio corteggiatore, e vedere come le persone interagiscono tra loro. L'Australia è un paese ossessionato dal lavoro. Le persone qui sono assorbite dal lavoro, e la maggior parte delle discussioni riguarda il lavoro e gli affari. Pertanto, ai russi che vivono qui mancano per lo più i contatti semplici e sinceri (che si trovano in madrepatria).

 

Nikolai Varsegov

Nel passato, ovviamente, i russi cercavano la loro salvezza all'estero. Oggi, gli emigrati russi sono ancora alla ricerca di una vita dolce e calda. Ho tratto questa conclusione dopo aver parlato con gli studenti russi in Australia. Come pensa di interagire con loro? Come potranno mantenere i loro legami con la madrepatria? Sono cresciuti in Russia, che li ha cresciuti ed educati, e ora volano via, per dare il loro massimo in un altro paese ...

 

Metropolita Hilarion

Penso che molti dei giovani venuti dalla Russia all'Australia ritorneranno alla fine in patria. Per lo meno, torneranno i veri patrioti, quelli che non possono vivere senza la loro patria. Tuttavia, in Australia, possono venire a conoscenza di una nuova cultura e di una buona formazione, che sarà molto richiesta al loro ritorno a casa.

 

Nikolai Varsegov

Sta dicendo che ci sarà una selezione naturale? I patrioti ritorneranno, ma gli altri, i casi pietosi...

 

Metropolita Hilarion

Cosa ancora più importante, i russi all'estero non devono perdere il senso della loro patria. Non devono dimenticare la loro lingua, e devono sviluppare le loro migliori qualità morali nazionali. Vorrei trasmettere questo desiderio non solo agli immigrati russi, ma anche a tutti i russi che non prevedono di emigrare all'estero.

 

Che Dio custodisca la Russia!

 
L'icona di san Cristoforo dalla testa di cane (parte 2): incontro con san Cristoforo

 

Nel mio ultimo articolo sull'icona di san Cristoforo dalla testa di cane, ho promesso di portare il lettore in un incontro con il santo. Per fare questo, dovremo viaggiare molto lontano dal nostro argomento principale dell'iconografia, ma questo è necessario per comprendere un santo così particolare. Speriamo che il lettore che si avvicinerà con me al bordo ed entrerà persino nell'acqua con me emergerà con una visione più chiara di san Cristoforo e del perché merita la nostra attenzione.

La forma del mondo

Come ho già detto, la chiave per capire la stranezza di san Cristoforo si trova nel cogliere veramente la stretta analogia tra l'uomo individuale e il cosmo intero. San Massimo ci ricorda che l'uomo è un microcosmo, che contiene in sé tutto il creato ed è il centro della creazione, il luogo dove tutta la creazione converge. L'uomo come centro, come mediatore tra cielo e terra, ha due orizzonti, uno che conduce verso l'interno e verso l'alto ai regni angelici e infine all'increato, e uno che porta verso l'esterno e verso il basso verso il resto del creato e, infine, raggiunge il caos primordiale. L'uomo partecipa anche all'esistenza stessa del Cosmo con l'atto di "dare i nomi". Questo si vede nella Genesi, quando Adamo dà il nome agli animali, agendo, per essere sinceri, come una sorta di "demiurgo" per quanto riguarda la creazione. L'uomo rispecchia sulla scala più limitata ddel suo stesso verbo ciò che il Logos fa essendo il mezzo della creazione del Padre. Il Logos divino è la fonte dell'essere reale: "Vi sia...". Il logos dell'uomo è la fonte della specificità: "questo è un...".

Nella caduta, l'uomo è stato "decentrato" dal suo stesso cuore, e il risultato è anche quello di essere inseguito dal centro cosmico, il santo dei santi, il giardino in cui sta l'albero della vita. In questo stato, i due orizzonti che ho citato, uno che porta verso Dio e uno che porta verso il caos, sono trasformati in limiti, in confini. Prima della caduta si dice che l'uomo era rivestito di gloria, e allo stesso modo aveva accesso alle glorie di Dio. La caduta ha "indurito" queste glorie, trasformandole in limiti. Ci sono due limiti che appaiono all'uomo, un limite per ogni "orizzonte". Il limite interno è il cherubino con la spada fiammeggiante che impedisce l'ingresso in paradiso, e il limite esterno è quello strato di pelle, quel limite di corporeità o animalità che blocca la nostra completa dissoluzione nel caos della morte. Anche se, ovunque uno si trova, si può percepire un solo limite su ogni orizzonte, ci sono molti di questi confini, molti veli del cuore, molte tuniche di pelle. Dobbiamo vederli come simili a strati di una cipolla, come i gradini della scala del paradiso, i livelli della gerarchia descritti dall'Areopagita. L'immagine più evidente è nel tabernacolo dell'Antico Testamento, con un cherubino sul suo velo di lino più interno, poi una serie di spesse coperture "selvatiche", un velo di lana, una pelle di ariete tinta di rosso, e poi quella che è forse la pelle di una focena o almeno un animale completamente selvaggio (vedi Esodo 36).

I due limiti dopo la caduta. Il cherubino e le tuniche di pelle

La struttura che ho appena descritto è la forma ontologica delle cose: la forma di uomo, una chiesa, un tempio, una città, una civiltà, e anche del cosmo stesso. È immergendosi in questo tipo di simbolismo che le civiltà antiche hanno sviluppato la loro cosmologia, l'idea che il "loro" centro, il loro "omphalos" (ombelico), era circondato da popoli e creature sempre più caotici, stranieri, e anche mostruosi fino a quando si raggiungeva un limite, come i cancelli del Caspio a nord, al di là dei quali si trovavano un' oscurità e un caos quasi "senza nome". C'era anche l'altro limite, un insieme più interno di "veli ", che portava alla fine in una terra lontana dei beati, un paradiso, un Eden. In una chiesa questi due limiti sono l'iconostasi che vela l'altare, e il limite occidentale della chiesa dove si trova la porta principale. Ormai non saremo più sorpresi di sapere che in alcune tradizioni greche l'icona di san Cristoforo è collocata sopra la porta d' uscita occidentale in modo che sia in un certo senso l' ultima icona vista prima di andare fuori nel mondo caotico. Si tratta naturalmente di un simbolismo simile a quello dei gargoyle posti sulle pareti esterne delle chiese occidentali.

La forma del limite

 

Razze mostruose che appaiono sul bordo di una mappa medievale

Il limite, bordo o cuscinetto tra due cose, come una manifestazione delle tuniche di pelle, viene a noi come morte e oscuramento. Questo spazio marginale può anche apparire come un ibrido, una miscela, una via di mezzo che mescola insieme gli elementi. L'ibridismo, come un ponte che tocca entrambi i lati di un fiume, è la forma naturale di un luogo mediano. È anche qualcosa che accade inevitabilmente quando l'ignoto si presenta a noi. Quando ci imbattiamo in qualcosa di insolito per noi, è per noi un caos relativo, potremmo dire che non è ha ancora avuto un "nome" adeguato, nel senso di Adamo che dà il nome agli animali, e non è in unità con il nostro logos. Qualunque sia la cosa straniera che si presenta a noi, cercherà di apparire all'interno delle categorie che conosciamo, ma questo causerà mostruosità, miscela tra due categorie o qualche altro eccesso o difetto di qualcosa. Ciò che è sconosciuto può, in casi estremi, mancando della propria possibilità di esistere, presentarsi come una inversione di una categoria che conosciamo. Tutti i mostri e razze fantastiche dei tempi antichi hanno una di queste forme, giganti, sirene, unicorni, amazzoni; anche il drago nell'iconografia tradizionale appare come un ibrido: un serpente o una lucertola, con le ali e spesso alcune parti pelose.

 

Il drago come una creatura ibrida che rappresenta il caos

Il contatto con lo straniero come manifestazione sociale del caos e della morte è simile alle nostre passioni individuali, anch'esse causate dalla nostra mortalità, e questi due livelli inevitabilmente si sovrappongono tra loro, uno è il segno esteriore o interiore dell'altro. Il caos è una mancanza di ordine, una mancanza di logos, una domanda che richiede una risposta. Proprio come una passione, essa appare come la fame, come una mancanza che ci tormenta fino a quando non è soddisfatta. E quindi c'è un certo pericolo quando incontriamo il relativo caos che si annida al limite di ciò che siamo, sia in termini individuali sia sociali. Il pericolo è un travolgente desiderio di "riempire il vuoto", per conoscere impetuosamente ciò che abbiamo di fronte. Questo desiderio di conoscere è lo stesso desiderio di Eva per il frutto della conoscenza, il desiderio di mangiare, di ricevere in se stessi. È una voglia di "partecipare" subito a quel caos, di consumarvi e spesso di perdervi noi stessi, non attraverso la mediazione ragionevole del logos ma attraverso un mescolarsi con il confine. Se ci si lascia tentare dal caos, si proietterà in quello che è sconosciuto quelle cose che sono al nostro bordo, le nostre passioni segrete, le nostra voglie e i desideri, o la nostra paura e l'odio. Non c'è differenza tra questi due estremi in termini spirituali. Alla fine, sia il barbaro selvaggio e cannibale sia il buon selvaggio unito alla natura sono le due facce della stessa medaglia, due modi di proiettare le nostre passioni nell'estraneità. (1)

La struttura del rapporto del centro con la periferia, dei logos con il caos illustra alcuni degli aspetti più strani della tradizione ortodossa. Quando leggo dei problemi di certe persone con san Cristoforo e il modo in cui si presenta a noi, spesso mi chiedo se queste persone abbiano mai letto le vite dei santi. Negli scritti monastici, soprattutto nei Padri del deserto, vedremo questa struttura all'opera più e più volte. Nella stessa vita di sant'Antonio, troviamo l'inizio dello schema. Sant'Antonio incontra Satana come un ragazzo etiope, e questo continuerà ad essere una caratteristica della scrittura monastica per tutto il Medioevo, dove i demoni, strettamente legati alle passioni del santo, appariranno come etiopi. L'etiope, proprio come nella storia di conversione negli Atti, diventa l'immagine del limite, anche se qui vediamo gli aspetti negativi della morte, il lato pericoloso delle tuniche di pelle che fungono da veicolo per il demoniaco. Queste storie di etiopi hanno portato molte persone a interpretare queste storie monastiche come una sorta di proto-razzismo, anche se questa è una interpretazione molto anacronistica e semplicistica. Per coloro che hanno seguito le mie continue discussioni sulle tuniche di pelle e sul doppio movimento della periferia, apparirà una immagine molto più sottile e profonda.

In effetti ci sono altre storie di etiopi nella tradizione. Per esempio, nella storia di sant'Arsenio, che aveva deciso di lasciare il deserto, si legge che: "Vicino al fiume una schiava etiope si avvicinò e gli toccò la pelle di pecora, e il vecchio la rimproverò. Pertanto la schiava disse: 'Se sei un monaco, vai nel deserto'. Il vecchio, colpito da rimorso a questa parola, disse a se stesso, 'Arsenio, se sei un monaco, vai nel deserto'." (2) Il lettore non sarà più sorpreso di trovare la struttura della 'traversata dell'acqua' esposta nel mio ultimo articolo. Tutti i simboli sono lì: Succede presso un fiume, il monaco "vestito di pelle" viene toccato dalla ragazza etiope, e anche se in un primo momento il santo è terrorizzato e la rimprovera, trova in lei il mezzo per ritornare al deserto, per attraversare di nuovo il fiume come fece Eliseo. Quindi, in questa storia, l'etiope appare come il lato positivo della periferia, come l'Arca per mezzo della quale il santo è salvato dalle sue tentazioni. Anche nella vita di san Mosè il Nero, troviamo la stessa struttura. Nella sua storia è bloccato da un cane nel commettere una rapina e poi nuota attraverso un fiume per massacrare le pecore del proprietario del cane. Si nasconde quindi con i monaci dove diventa un cristiano e poi un santo. Notate il cane, il fiume, gli animali morti e la traversata che conduce alla salvezza. Più e più volte si ripete la stessa storia di come il confine può essere l'immagine della morte come limite o della morte come passaggio.

Sant'Antonio non solo incontra il demonio come un ragazzo etiope, trova anche il confine come essere ibrido. Nel deserto si trova di fronte un satiro e un centauro, due ibridi animali-umani legati nel pensiero greco-romana anche alla lussuria, alle passione e ai confini. (3)

 

San Mosè il nero. Affresco dalla Macedonia

 

Il centauro Nesso rapisce Deianira, la moglie di Eracle. Vaso greco

 

Arte africana e passione. Foto del fotografo di avanguardia Man Ray

A questo punto vi darò un chiaro esempio di storia recente per evitare il pericolo che quello che sto dicendo possa sembrare speculazione esoterica. Alla fine del XIX secolo, attraverso l'espansione imperialista delle potenze occidentali, tanta arte "tribale" cominciò ad apparire all'orizzonte europeo. Salutate come "curiosità", queste immagini, che erano state strappate via dal loro contesto tradizionale, apparivano come oggetti di speculazione e di fantasia. Molte persone provavano sorpresa e un po' di disgusto di fronte queste immagini, le cui caratteristiche, come i denti a punta, le scarificazioni, l'astrazione geometrica erano estremamente estranee alla sensibilità occidentale.

Molti artisti, però, videro in queste maschere e statuette un'immagine di creatività selvaggia, di libertà visiva e passioni sessuali lasciate libere. Gli artisti dadaisti saltellavano in giro mezzi nudi indossando maschere e tamburi, emettendo suoni incongrui in una sorta di frenesia emotiva e sessuale, con cui pensavano di imitare la cultura tribale. Gli artisti tesi a distruggere l'ordine artistico delle cose cominciarono a includere queste maschere nei loro dipinti, soprattutto gli espressionisti tedeschi, ma anche persone come Picasso, che mise maschere africane sulle prostitute nelle famigerate "Demoiselles d'Avignon". Lo straniero, in questo caso, è stato usato come veicolo per proiettare tutto ciò che era sul bordo della loro civiltà, uno strumento per distruggere le regole della coerenza visiva. Queste immagini dei primi artisti moderni sono state utilizzate in un modo che può essere chiamato solo "demoniaco". Ma avendo vissuto in Africa per 7 anni posso dire che contrariamente a essere "selvaggiamente creativi", questi oggetti sono estremamente tipologici e le loro forme vengono copiate e tramandati di generazione in generazione. Inoltre, in un panorama africano, questi oggetti sono per lo più utilizzati come "formazione d'identità", come modi per preservare le effettive strutture e le pratiche sociali, comprese le norme e i tabù sessuali e sociali, non come modi per distruggerle, che è ciò per cui li hanno usati gli europei. È stata la natura "straniera" di queste immagini, il fatto che sono apparsi distaccati da tutto ciò che conoscevano, che ha portato la gente a proiettare in loro quello che avevano nei loro "angoli bui". (4)

 

Picasso. Demoiselles d'Avignon: le prostitute portano maschere africane come espressioni di sessualità sfrenata

Al fine di bilanciare il mio ultimo punto, è importante precisare che l'ibridismo e le tenebre non appaiono solo sul limite esterno, ma possono anche apparire sul limite interno, come il velo che copre la gloria di Dio. I cherubini che formano il propiziatorio sull'Arca, i cherubini cuciti sul velo del Santo dei Santi, il cherubino che brandisce la spada di fuoco alla porta del Paradiso, il cherubino che appare a Ezechiele mentre si avvicina alla gloria di Dio sono descritti come un ibrido con quattro facce di animali: l'uomo, il bue, il leone e l'aquila.

 

Tetramorfo dai monasteri delle Meteore

Essi sono descritti come esseri con quattro ali con cui si ricoprono e le gambe di un bue. Il cherubino è stato collegato da molti al kerub babilonese che svolge una funzione simile alla sfinge, entrambi custodi di luoghi santi.

 

kerub babilonese

Nell'iconografia, la struttura del cherubino appare nel tetramorfo ed è collegata al limite, agli "angoli" della gloria di Cristo, pur essendo associati all'"indurimento", all'esteriorizzazione del Logos nei quattro Vangeli. Ma anche gli altri angeli "personali", come san Michele o san Gabriele, anche se hanno volti umani, appaiono come ibridi con le loro ali di uccelli. E proprio come il cherubino con una spada, o come san Cristoforo il santo guerriero, l'iconografia originale degli arcangeli li mostra come soldati. La nostra percezione degli angeli è stata molto ammorbidita a partire dal Rinascimento, cedendo ai biondi pastello fluttuanti delle sensibilità New Age. Ma anche la santissima Theotokos fu dapprima terrorizzata al suo contatto con l'Arcangelo.

 

I quattro aspetti ibridi del tetramorfo appaiono come i quattro angoli della gloria di Cristo. Dettaglio della mia scultura

Sperimentare il limite nella nostra cultura

Tutti noi abbiamo avuto in misura diversa l'esperienza di ciò che è estraneo, come un caos relativo. Se si sente un linguaggio vicino al nostro, se uno che parla inglese sente parlare tedesco o latino, per esempio, sarà in grado di capire alcuni significati. Se uno che parla inglese sente parlare russo, forse non capirà niente, ma sarà probabilmente in grado di percepire la struttura, le parole, il tono. Ma se sente parlare vietnamita, potrebbe trovarsi in difficoltà anche a percepire qualsiasi struttura o qualsiasi tono, e ci sono alcuni suoni che un inglese non sarà nemmeno in grado di percepire perché sono "troppo lontani" dal proprio orizzonte dell'udito. Per noi sono rumori. Tale esperienza è l'origine più citata della parola "barbaro", che è come la lingua degli stranieri appariva al mondo greco-romano, come versi di animali, una specie di abbaiare: Bar-Bar-Bar-Bar. L'uomo dalla testa di cane è una versione visiva di questa percezione. Il problema per noi oggi è che a causa dei mass media e della cultura dell'immagine, abbiamo "visto tutto" e così è difficile avere un'estrema esperienza visiva dello straniero, ma forse tutti noi ne abbiamo avuto almeno una versione un po' più mite. La maggior parte delle persone ha avuto l'esperienza di parlare con qualcuno pensando che questa persona sia un estraneo, e poi per qualche motivo si scopre che la persona è qualcuno che conosciamo. Improvvisamente la nostra percezione del loro volto cambia sotto i nostri occhi, ciò che era un volto a caso diventa il volto della nostra conoscenza, così tanto che avremmo difficoltà a ricordare come vedevamo la stessa faccia prima della nostra piccola rivelazione. (5) Anche se non esiste una categoria scientifica o formula che potrebbe cogliere la differenza tra quel volto che non conoscevamo e il volto che conosciamo, sarebbe molto disonesto dire che una delle due esperienze era "sbagliata". I "dati" scientifici, la fredda descrizione clinica di un volto, se questa descrizione in realtà esiste ancora, non può aiutare a distinguere tra ciò che è estraneo e ciò che è familiare. Lo straniero e il familiare non sono quantificabili eppure sono interamente all'interno del regno dell'esperienza umana. Ed è proprio l'esperienza umana, non una specie di dissezione clinica e alienata del mondo, che è la base di tutta la simbologia cristiana. Negare questo significa mettere molto a repentaglio. Negare questo significa rendere incoerente il "cielo" stesso dove Cristo è asceso, perché di certo non è andato a galleggiare tra le stazioni spaziali.

Credo che nel caso dell'icona di San Cristoforo abbiamo una rappresentazione visiva di questa esperienza dello straniero. È l'incontro con una faccia che è così lontana dalla nostra capacità di percepire la familiarità che si presenta come mostruosa e ibrida. Se si guarda alle storie di uomini dalla testa di cane o di altre razze mostruose, i viaggiatori le incontrano in ogni confine, anche se questo confine si sposta più a est, a ovest e a nord. Se Alessandro nel suo Romanzo incontra i cinocefali in Asia minore, Re Artù li incontra in Scozia, Carlo Magno li incontra come vichinghi dalla Scandinavia, e anche Marco Polo e altri viaggiatori li incontrano ai confini, e, infine, anche lo stesso Colombo penserà di averli trovati nelle Americhe. Il limite appare sempre come mostruoso. Questo è proprio come gli esseri umani interagiscono con il mondo, e sia che temiate e odiate quel mostro, sia che lo desideriate e lo idealizzate, nondimeno resta mostruoso. San Cristoforo è per noi la persona "più lontana", la persona che possiamo a malapena a vedere a causa del nostro orizzonte limitato. È anche per noi il nostro limite, la nostra tunica di pelle, di  cui non dovremmo negare il pericolo e la mostruosità, ma che ha il potenziale di essere 'cristoforo', proprio come la più lontana delle persone ha lo stesso potenziale, perché le ultime parole di Cristo a noi dicono che egli sarà con noi fino alle estremità della terra. E alla fine, come i gentili, siamo noi a essere questo originale 'straniero', così come insiste san Paolo: "E voi che un tempo eravate stranieri e forestieri con la mente intenta ad azioni malvagie, egli vi ha riconciliati nel suo corpo di carne per presentarvi santi, immacolati e irreprensibili dinanzi a lui". (6)

Ebbene, speravo di arrivare alla fine di tutto questo nel giro di due articoli, ma nonostante tutto quello che è stato detto, sembra che non ho ancora risposto pienamente alla grande obiezione a san Cristoforo: come mai nella nostra epoca scientifica, con gente pienamente razionale e oggettiva, non abbiamo più queste razze mostruose negli angoli bui delle nostre mappe. Beh, sembra che potremmo dover guardare di nuovo quelle mappe, perché con la coda dell'occhio, credo di aver visto qualcosa di strano che vi si muove! Ho anche lasciato aperta una strana questione di come il cherubino e il mostro sul bordo del mondo sembrano condividere tratti comuni. Questo può essere un problema pericoloso da lasciare aperto, quindi abbiamo bisogno di una parte finale di questa serie, in cui parleremo di cannibalismo, di donne straniere e di omini verdi. Creso che sarà l'articolo più strano che avrò mai scritto per l'Orthodox Arts Journal. Dopo di che, potremo tornare all'arte liturgica.

Note

(1) Si dice spesso che questa struttura di estremi nella percezione dello straniero abbia avuto origine nel XVII secolo con la forte ripresa della schiavitù, con l'opposizione all'altro estremo del buon selvaggio di Rousseau, ma anche in epoca romana la Germania di Tacito utilizza i popoli germanici come un contrasto all'identità romana.

(2) Citato in David Brakke, Demons and the Making of The Monk: Spiritual Combat in Early Christianity, Harvard University Press, 2006, p.171

(3) Un esempio chiaro appare nella storia del centauro Nesso dalle Metamorfosi di Ovidio. Eracle chiede al centauro Nesso di portare la moglie sull'altro lato di un fiume. Ma in questa versione della traversata del confine dell'acqua, l'ibrido centauro inganna Eracle e se ne va con la moglie. C'è spesso un elemento di trucco nella storia del passaggio dell'acqua. Questo è legato alla stessa doppia natura delle tuniche di pelle, l'ultimo "trucco" a essere vinto da Cristo, la morte con la morte. Nella storia di san Cristoforo, questo trucco è interpretato da Cristo che sta sulle spalle di san Cristoforo e non rivela chi sia fino alla fine della traversata. Nella traversata del Giordano dell'Esodo, non dobbiamo dimenticare che erano due spie che avevano attraversato il fiume. Nella storia di Ulisse e del ciclope, Ulisse inganna il ciclope e gli fa credere il suo nome è "nessuno", e rivela il suo vero nome solo quando è sfuggito tenendosi alla parte inferiore (pelli) delle pecore.

(4) Il mio punto non è di fare una critica dettagliata o una difesa delle religioni africane, ma è piuttosto di mostrare come l'esperienza monastica del confine come straniero è ancora valida oggi. Ho usato l'arte africana perché la conosco bene e per il riferimento agli etiopi negli scritti monastici, ma si può vedere lo stesso modello nelle ossessioni contemporanee con il buddhismo, dove la mancanza di conoscenza permetterà alle persone di proiettare nel buddhismo tutte le loro fantasie e ideali. Questo è anche qualcosa a cui dovrebbero stare attenti quelli di noi che si sono convertiti all'Ortodossia, ovvero come l'originale fascino "esotico" dell'Ortodossia può alla fine diventare un ostacolo alla vera comunione per chi viene da fuori.

 (5) Mia moglie e io abbiamo vissuto in Africa per 7 anni. Anche se io sono cresciuto in America del Nord, dove le persone di origine africana sono una parte normale della vita, mia moglie è cresciuta in Slovacchia, dove non aveva quasi mai visto un africano fino a quando si è trasferita nel Nord America. Poiché l'incontro con gli africani è stato per così tanto tempo al di là dell'orizzonte di mia moglie, mentre era in Africa ha sempre avuto difficoltà a riconoscere le persone e differenziare i loro volti. Questa non era una cosa faceva deliberatamente, e anzi le ha causato molta difficoltà nella sua vita quotidiana.

(6) Col 1:22

 
Il matrimonio interrazziale e la fede ortodossa

Charlton Heston ed Esther Brown, nel ruolo del profeta Mosè e della principessa Tharbis d'Etiopia nel film I dieci comandamenti

Esiste una piccola rete di nazionalisti bianchi che si sono affiliati al la Chiesa ortodossa, ma continuano a promuovere le loro opinioni razziste, piuttosto che a pentirsene, come dovrebbero. Sfortunatamente Internet fornisce loro una piattaforma. Matthew Raphael Johnson (qui di seguito indicato come MRJ) è una specie di guru per molti in questo gruppo e ha pubblicato un articolo sul matrimonio interrazziale. Ho visto che queste persone usano tale articolo per discutere contro il matrimonio interrazziale.

MRJ è un prete deposto, già appartenente ai vecchio-calendaristi del precario "Sinodo di Milano". A quanto pare è stato deposto da loro perché neanche loro volevano essere associati alle sue opinioni sulla razza. Non sono sicuro che sia entrato in qualche altra giurisdizione di vaganti oppure no.

Nel suo saggio "Il matrimonio interrazziale e la dottrina della Chiesa", egli inizia almeno a riconoscere che non ha un appiglio su cui basarsi in termini di dottrina della Chiesa o di canoni:

"Il matrimonio interrazziale non è un peccato, è semplicemente sbagliato, irrazionale e distruttivo; solo un matrimonio tra due fedi è un peccato, ma di per sé, la razza non è una questione teologica, almeno al momento presente, e io non sono d'accordo con i miei amici sostenitori dell'identità bianca su questo – nessuno è salvato dalla propria razza, i padri non lo menzionano mai, né i canoni: non è un problema teologico, poiché queste definizioni sono cambiate in modo così radicale. "La razza" non era una categoria separata, astratta da tutto il resto. C'erano certamente "razze", ma queste non erano categorie scientifiche nel nostro senso moderno: erano piuttosto raccolte di tratti comuni, dalla cultura alla lingua al clima".

Allora, perché è "semplicemente sbagliato"?

"Gli israeliti certamente condannavano la mescolanza razziale, ma non avevano in mente la concezione moderna della razza: la razza era intrinsecamente connessa con la fede, l'adesione alla legge, la vita familiare e la cultura di fondo che un gruppo di persone aveva costruito insieme. Rimane vero che spesso, la ragione per condannare un tale matrimonio è che era fatto con stranieri, non necessariamente con persone che credevano in modo diverso. La razza – come fattore isolato – non esisteva. Solo il mondo moderno prende importanti aree della vita umana come l'economia o teologia e li tratta come aree separate dall'etnia o dalla famiglia".

Così qui tenta di presentare un argomento biblico, ma il problema di questo argomento è che se MRJ fosse coerente con se stesso, dovrebbe essere contrario a un matrimonio di un coniuge tedesco con un italiano.

Il problema con le mogli "straniere" era la loro fede, non la loro razza. Di fatto, queste mogli straniere erano per lo più indistinguibili in termini di aspetto razziale. I cananei non solo erano esteriormente uguali, ma parlavano una lingua che non era molto diversa dall'ebraico. L'unico motivo per cui il matrimonio con queste persone era un problema era a causa del loro paganesimo. E infatti, nella genealogia di Cristo troviamo una cananea (Rahab) e una moabita (Rut) che sono entrambe antenate di Cristo – entrambe provenienti da popoli pagani, ma che tuttavia abbracciarono la fede israelita.

Inoltre, c'è il problema della moglie nera del Profeta Mosè, che MRJ tenta di respingere:

"Talvolta si sostiene che Mosè ha sposato una 'etiope'. Questo sarebbe quindi un esempio di mescolanza razziale benedetto da Dio. I problemi con questo sono a vari livelli. Assumere che Cush, dal punto di vista razziale, fosse identico oggi a ciò che era migliaia e migliaia di anni fa, potrebbe essere accettabile per un professore universitario, ma non per una persona razionale. Gli etiopi non sono “neri”, ma semiti. I ritratti di sovrani antichi ci mostrano la loro pelle chiara. I libri di testo moderni li hanno deliberatamente oscurati. I santi greci, tra cui san Frumenzio, che convertì la nazione, non avevano bisogno di un traduttore. I cushiti parlavano greco. Non erano neri".

Questo è un argomento incredibilmente ignorante. Prima di tutto, non c'è dubbio che qui stiamo parlando di una donna etiope. Anche se ho incontrato alcuni che sostengono la tesi senza fondamento che la parola ebraica "Cush", che viene tradotta come "etiope, si riferisca a qualcuno dalle montagne dell'Hindu-Kush, la Settanta traduce il termine in modo inequivocabile come 'etiope':

"Καὶ ἐλάλησεν Μαριαμ καὶ Ααρων κατὰ Μωυσῆ ἕνεκεν τῆς γυναικὸς τῆς Αἰθιοπίσσης, ἣν ἔλαβεν Μωυσῆς, ὅτι γυναῖκα Αἰθιόπισσαν ἔλαβεν" (Numeri 12:1).

Nessun serio studioso biblico dubita che si tratti di una donna etiope. Non ci sono traduzioni di alcun valore che lo traducano in modo diverso. Gli etiopi sono sempre stati conosciuti come neri, e questa ovvia differenza nel colore della pelle era proverbiale nell'antico Israele, come è evidente nella profezia di Geremia:

"Può l'etiope cambiare la sua pelle, o il leopardo le sue chiazze? Allora potrà anche fare del bene, chi è abituato a fare il male" (Geremia 13:23 KJV).

"Εἰ ἀλλάξεται Αἰθίοψ τὸ δέρμα αὐτοῦ καὶ πάρδαλις τὰ ποικίλματα αὐτῆς, καὶ ὑμεῖς δυνήσεσθε εὖ ποιῆσαι μεμαθηκότες τὰ κακά" (Geremia 13:23 LXX).

Il punto di questo versetto è che un etiope non può cambiare la sua pelle, né un leopardo può cambiare le sue macchie, e allo stesso modo anche il popolo di Giuda che si era abituato a fare il male non avrebbe cambiato nulla. Ma questa affermazione non avrebbe significato se non si sapesse che gli etiopi avevano un colore della pelle diverso da quello degli ebrei.

un'icona di san Mosè l'Etiope, da una chiesa del monastero in Macedonia

Inoltre, nei Detti dei Padri del Deserto, ci sono un certo numero di detti su san Mosè l'Etiope che parlano di lui come nero. Per esempio, quando san Mosè fu ordinato e gli fu posto uno sticario bianco, l'arcivescovo gli disse: "Vedi, Abba Mosè, ora sei completamente bianco". E poi, volendo mettere alla prova l'umiltà di san Mosè (e dovrebbe essere chiaro che tali prove, che spesso assumevano forme estreme, sono un tema costante in questi detti), lo stesso arcivescovo incaricò gli altri sacerdoti di insultarlo: "Quando Abba Mosè entra nel santuario, cacciatelo fuori e andate con lui per ascoltare quello che dice" E così, ci viene detto:

"... Il vecchio entrò e lo coprirono di soprusi, e lo cacciarono dicendo:" Fuori, uomo nero! Uscendo, rgli disse a se stesso: "Hanno agito giustamente riguardo a te, perché la tua pelle è nera come la cenere. Non sei un uomo, quindi perché dovresti avere il permesso di incontrare uomini?" "(Benedicta Ward, trad., The Sayings of the Desert Fathers, The Alphabetical Collection, Kalamazoo: Cistercian Publications, 1975, edizione riveduta 1983, p. 139).

E questa storia è registrata, non perché ci fosse alcun desiderio di denigrare il suo colore della pelle, ma di lodare la sua santità, perché non si arrabbiò né si sentì trattato ingiustamente; ma piuttosto, come dovrebbe fare un pio monaco, rispose con la massima umiltà, anche di fronte a una tentazione così estrema.

Quindi no, non c'è davvero alcuna base per affermare che gli etiopi non erano neri nei tempi antichi. E di conseguenza, a meno che non siamo pronti a condannare il profeta Mosè – e le Scritture, del resto, dal momento che non è Mosè a essere condannato per aver sposato un'etiope, ma suo fratello e sua sorella per averlo criticato per averla sposata – dobbiamo concludere che non esiste alcuna base biblica per opporsi al matrimonio interrazziale.

MRJ afferma anche che, anche se la Chiesa non si oppone al matrimonio interrazziale, lui non farebbe un tale matrimonio per ragione di "sopravvivenza culturale":

"La mescolanza religiosa è condannata dalla chiesa: come prete, non sposerei mai una coppia in cui uno non è ortodosso. Quanto alla sopravvivenza culturale, non sposerei neppure una coppia interrazziale. Questa sopravvivenza è spesso legata alla razza: dal momento che la Chiesa ortodossa è quasi esclusivamente bianca. In teoria, una coppia bianco-asiatica potrebbe funzionare, dal momento che sono due persone con alto quoziente di intelligenza e le civiltà asiatiche sono grandi e antiche, ma con tutto ciò che comporta un matrimonio, perché aggiungervi questa dimensione? Le battaglie tra suoceri sono garantite: ci sono troppe barriere naturali e psicologiche contro di essa. Se hai sposato una donna cristiana asiatica, anche una totalmente americanizzata, sai che i suoi genitori sarebbero contrari molto più dei tuoi, dal momento che è solo ai bianchi che è chiesto di mescolarsi. Tuttavia, un'intera linea di sangue europea verrebbe cancellata in qualsiasi matrimonio di razza mista".

Prima di tutto, quando dice che "è solo ai bianchi che è chiesto di mescolarsi", con chi pensa che si sposino i bianchi che fanno matrimoni interrazziali? Ovviamente, non con altri bianchi a cui è chiesto di mescolarsi. In secondo luogo, come uomo bianco che ha sposato una donna cinese, so per esperienza che quello che dice non è proprio vero. L'unico genitore che ha espresso riserve razziali sul mio matrimonio è stata mia madre, che mi ha detto che dovevo considerare che i miei figli avrebbero avuto un aspetto strano. Dopo aver visto quanto erano belle entrambe le mie figlie, ha ammesso di aver sbagliato. Nessuno dei genitori di mia moglie ha avuto obiezioni sulla mia razza. Quando ho chiesto il permesso di sposare mia moglie, l'unica preoccupazione del mio futuro suocero era la mia capacità di mantenere mia moglie... il che, dato che ero uno studente universitario con un lavoro part-time in una libreria, non era una preoccupazione oltraggiosa. Fortunatamente per me, la mia futura suocera ha preso le mie difese, e mio suocero ha acconsentito. E nessuno dei miei genitori ha mai avuto un momento di dissenso con i genitori di mia moglie. Le cose erano probabilmente aiutate in tal senso dall'inglese limitato dei miei suoceri. E, a proposito, a maggio faremo 30 anni di matrimonio, che sta funzionando molto bene nel nostro caso.

Ora, quando hai un matrimonio che coinvolge due persone di culture molto diverse, ci saranno sicuramente alcune difficoltà. Così, per esempio, non consiglierei a una persona bianca di sposare una persona cinese se non gli piace la cucina cinese, né sa apprezzare la sua cultura. Ma questo è davvero un problema a parte, perché in America, per esempio, ci sono molte persone di diversa etnia che sono cresciute in questo paese, e quindi tali differenze culturali non sarebbero un grande affare. In realtà direi che, culturalmente, un uomo bianco dell'Alabama che sposa una donna bianca di New York avrà con lei un divario culturale molto più ampio di quanto un battista del Sud bianco avrebbe mai con una moglie missionaria battista nera. Quindi le differenze culturali sono una cosa, le differenze razziali sono del tutto un'altra cosa, e arrivano solo a fior di pelle. E se andava bene per il profeta Mosè, va abbastanza bene anche per me (per citare una vecchia canzone Gospel).

E quando dice "un'intera linea di sangue europea verrebbe cancellata in qualsiasi matrimonio di razza mista", potrebbe anche obiettare che dovresti sposarti solo con dei cugini, perché se sposi qualcuno che non è un parente, stai mescolando il tuo pool genetico con un altro pool genetico. Personalmente, penso che mantenere limitato un pool genetico non sia una buona idea.

Usando il test del DNA, ho scoperto che la mia linea maschile risale a un uomo siriano che probabilmente era un soldato romano in Scozia, circa duemila anni fa. E poi ho scoperto che la mia linea materna, che presumevo fosse puramente irlandese, in realtà risale a una donna vichinga che si stabilì in Irlanda probabilmente circa mille anni fa. Nessuna linea è stata cancellata, ma ci sono stati molti mescolamenti che hanno portato in me il DNA siriano e vichingo, e sospetto che questo sia vero per molte più persone di quante ne siano consapevoli.

Nel suo sermone sull'Areopago, San Paolo ha affermato due importanti verità relative a questo problema:

"E ha fatto di un solo sangue tutte le nazioni degli uomini" (Atti 17:26).

"... come hanno detto anche alcuni dei vostri poeti, perché anche noi siamo sua progenie (Atti 17:28).

Abbiamo tutti una natura umana comune, con lo stesso insieme di progenitori, e così siamo tutti una sola famiglia umana, e Dio è il nostro creatore, e siamo tutti sua progenie, creata a sua immagine. Il mancato riconoscimento di quell'immagine negli altri a causa del colore della pelle non è cristiano.

Ora, alcuni cercano di sostenere che le differenze razziali, come le differenze tra uomini e donne, rimangono anche se siamo tutti uno in Cristo. Tuttavia, le differenze di sesso precedono la caduta, mentre le divisioni nazionali sono un risultato diretto della caduta, un risultato che è stato invertito a Pentecoste, come cantiamo nel Contacio di quella festa:

"Quando scese e confuse le lingue, l'Altissimo divise le nazioni [alla Torre di Babele]; ma quando divise le lingue di fuoco, chiamò tutti all'unità [a Pentecoste], e con una sola voce noi glorifichiamo lo Spirito Tutto Santo. "

E così, mentre la Chiesa continua a mantenere distinzioni tra uomini e donne, e questo si riflette nei canoni della Chiesa – non ci sono distinzioni simili in termini di razza, di colore o di origine nazionale.

MRJ sembra anche pensare che i bianchi alla fine saranno costretti a sposare i non bianchi:

"Quindi, se i bianchi resistono alla loro stessa distruzione, saranno costretti a sposare i non bianchi".

Permettetemi di dire per la cronaca che penso che nessuno dovrebbe essere costretto a sposare qualcuno che non desidera sposare. Tuttavia, viviamo in un paese che ha sempre avuto persone provenienti da una varietà di origini etniche. Anche nel primo periodo coloniale c'erano bianchi che portavano con sé schiavi neri e avevano indiani come vicini di casa. Non c'è mai stato un giorno in cui questo sia stato solo un paese bianco. Ed è sempre accaduto anche che le persone che ne incontrano altre del sesso opposto si innamorino, e spesso questo va al di là dei confini del colore.

Nel famoso caso Loving contro Virginia, che ha portato alla fine delle leggi contro il matrimonio interrazziale (che esistevano in alcuni, ma non in tutti gli stati dell'epoca), un uomo bianco che aveva sposato una donna che era sia nera sia amerindiana. E come sostenevano i suoi avvocati, secondo la legge della Virginia in quel momento, non esisteva letteralmente nessuno con cui potesse sposarsi senza infrangere la legge. Quindi cosa suggerisce di fare nel suo universo MRJ alle persone con origini etniche miste? Dovrebbero diventare tutti monaci, o dovrebbero essere costretti a trovare qualcuno che abbia il loro stesso mix etnico, prima che egli acconsenta al loro matrimonio?

Se ci fosse qualche base nella nostra fede per opporsi al matrimonio interrazziale, avremmo canoni e tradizioni che lo proibiscono. Ma come ha osservato MRJ fin dall'inizio del suo saggio, non ci sono canoni o tradizioni del genere. Forse non dovremmo presumere di saperla più lunga della Chiesa su tali questioni.

Nel servizio nuziale ortodosso, in due occasioni, si invocato l'esempio del matrimonio del patriarca Giuseppe con Asenet l'egiziana. Per esempio:

"... Benedicili, o Signore nostro Dio, come hai benedetto Giuseppe e Asenet..."

Ovviamente, dal momento che questo è menzionato in ogni matrimonio, e preghiamo che ogni matrimonio sia benedetto come questo, ciò dovrebbe essere considerato normativo. E non solo Dio ha benedetto questo matrimonio: ne sono nate due tribù, e una di esse (Efraim) fu la più grande di tutte le tribù d'Israele.

 
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Dimissioni dell'arcivescovo Gabriele di Comana

L'arcivescovo Gabriele di Comana (al secolo Guido de Vylder, nato a Lokeren in Belgio il 13 giugno 1946), ha rassegnato le dimissioni dalla guida dell'Arcivescovado per le Chiese Ortodosse Russe in Europa Occidentale, dove è stato vescovo dal 2001 e arcivescovo dal 2003. La sua richiesta di essere messo a riposo, a partire dal 15 gennaio, per motivi di salute deve spingerci a offrire le nostre preghiere per lui (anche un tumore maligno può arrestarsi o scomparire... se le nostre preghiere sono sincere e ferventi). La difficoltà di trovare un successore potrà rispecchiare una carenza di vita monastica, tema che deve far riflettere tutti gli ortodossi in Occidente. Mentre auguriamo a mons. Gabriel forza e salute, e a tutti i nostri fratelli dell'Esarcato russo di Costantinopoli un suo degno successore, non chiudiamo gli occhi sui problemi della stessa esistenza e della raison d'être di una "Chiesa ortodossa locale di tradizione russa" che vuole continuare a vivere separata dalla Chiesa russa.

 
Domande e risposte sulle Icone

Nella foto: Padre John Whiteford

1. Che cos'è un'Icona?

Un'icona (dal termine greco eikòna, "immagine") è un'immagine - di solito bidimensionale - di Cristo, dei Santi, degli Angeli, o di importanti eventi biblici, parabole, o eventi nella storia della Chiesa. San Gregorio il Dialogo (Papa di Roma attorno agli anni 590-604), parla delle Icone come di Sacra Scrittura per gli analfabeti: "Ciò che uno scritto presenta ai lettori, una raffigurazione lo presenta agli illetterati che la contemplano, poi che in essa anche gli ignoranti vedono ciò che dovrebbero seguire; in essa gli analfabeti leggono" (Epistola al Vescovo Sereno di Marsiglia, NPNF 2, Vol. XII, p. 53). A quanti vorrebbero suggerire che ciò non ha più alcuna rilevanza nella nostra era illuminata, vorremmo far considerare quanto è alto il nostro tasso di "analfabetismo di ritorno", e il fatto che anche le società più colte hanno un notevole segmento di analfabeti: i loro bambini piccoli! 
Le icone elevano le nostre menti dalle cose terrene a quelle celesti. San Giovanni Damasceno scrive: "siamo condotti da Icone percettibili alla contemplazione di quelle divine e spirituali" (PG 94:1261a). E mantenendo di fronte a noi la loro memoria attraverso le Icone, siamo pure ispirati a imitare la santità di quanti vi sono raffigurati. San Gregorio di Nissa (ca. 330-395) parlava di come non potesse passare "senza lacrime" di fronte a un'Icona di Abramo che sacrifica Isacco (PG 46: 572). Commentando su questo passo, fu notato nel Settimo Concilio Ecumenico, "Se a un simile Dottore l'immagine era d'aiuto e procurava lacrime, quanto più nel caso di persone ignoranti o semplici porterà compunzione e beneficio." (NPNF2, Vol.4, p. 539).

 

2. I cristiani ortodossi pregano le Icone?

I cristiani pregano in presenza di Icone (così come gli Israeliti pregavano in presenza di Icone nel Tempio), ma noi non preghiamo "le" immagini.

 

3. Le Icone fanno miracoli?

Per mettere questa domanda nella giusta prospettiva, consideriamo alcune altre domande:

L'Arca dell'Alleanza faceva miracoli? (Gs 3: 15s; 1 Sam 4-6; 2 Sam 11-12)

Il Serpente di Bronzo guariva chi era stato morso dai serpenti? (Num 21 :9)

Le ossa del Profeta Eliseo risuscitarono un uomo dai morti? (2 Re 13:21)

L'ombra di San Pietro guariva i malati? (At 5:15)

I grembiuli e fazzoletti toccati da San Paolo guarivano gli infermi e scacciavano gli spiriti maligni? (At 19:12)

La risposta a queste domande è: sì, in un certo senso. Nondimeno, per essere precisi, era Dio che operava miracoli attraverso queste cose. Nel caso dell'Arca e del Serpente di Bronzo, abbiamo immagini che vengono usate per operare miracoli. Dio operò miracoli attraverso le reliquie del Profeta Eliseo, attraverso l'ombra di un Santo, e attraverso oggetti che avevano appena toccato un santo. Perché? Perché Dio onora quanti lo onorano (1 Sam 2:30), e perciò si compiace di operare miracoli attraverso i suoi Santi, anche attraverso questi mezzi indiretti. Il fatto che Dio possa santificare oggetti materiali non dovrebbe sorprendere alcuna persona che sia familiare con le Scritture. Per esempio, non solo l'Altare del Tempio era santo, ma pure tutto ciò che lo toccava era santo (Eso 29:37). Rifiutare la verità che Dio opera attraverso le cose materiali significa cadere nello gnosticismo.

Perciò sì, in senso lato, le icone possono fare miracoli - ma per essere precisi, è Dio che opera miracoli attraverso le Icone, perché Egli onora quanti lo hanno onorato.

 

4. I cristiani ortodossi adorano le icone? Qual'è la differenza tra "adorazione" e "venerazione"?

I cristiani ortodossi non adorano le icone nel senso in cui la parola "adorazione" si usa comunemente in italiano. In traduzioni antiche (e in alcune traduzioni più recenti in cui i traduttori insistono a usare questa parola nel senso originale), si trova la parola "adorare" usata per tradurre il verbo greco proskyneo (letteralmente, "prosternarsi"). Nondimeno, bisogna comprendere che tale uso era molto più ampio di quello odierno. Spesso si usava questo verbo per indicare l'atto di onorare, venerare, riverire. Oggi si restringe il temine "adorazione" al senso del termine greco latrìa (che il Settimo Concilio Ecumenico aveva precisamente stabilito come culto che si deve solo a Dio, a differenza della venerazione dovuta ai santi). I cristiani ortodossi venerano le icone, vale a dire, rendono loro rispetto poiché sono oggetti santi, e poiché onorano ciò che le icone raffigurano. Noi non adoriamo le icone più di quanto un patriota non adori la sua bandiera. Il saluto alla bandiera non è esattamente lo stesso tipo di venerazione che diamo alle Icone, ma è proprio un tipo di venerazione. E così come non veneriamo il legno e la vernice, ma piuttosto le persone dipinte nelle Icone, i patrioti non venerano il tessuto e le tinture, ma piuttosto il paese rappresentato dalla bandiera. Queste furono le conclusioni del Settimo Concilio Ecumenico, che stabilì nel proprio Oros (decreto) quanto segue: "Poiché questo è il caso in questione, seguendo il sentiero regale e l'insegnamento divinamente ispirato dei nostri santi Padri e della Tradizione della Chiesa cattolica - poiché sappiamo che essa è ispirata dal Santo Spirito che in essa vive - decidiamo in tutta correttezza e dopo un completo esame che, così come la santa e vivifica Croce, allo stesso modo le sante e preziose Icone dipinte con colori, ornate con piccole pietre o con quant'altro è utile a questo scopo (epitedeios), debbano essere poste nelle sante chiese di Dio, sui vasi e paramenti sacri, su muri e tavole, nelle case e nelle strade, sia che esse siano Icone del nostro Dio e Salvatore, Gesù Cristo, o della nostra intemerata Signora e Sovrana, la santa Madre di Dio, o dei santi angeli e di santi e pii uomini. Ogni volta, infatti, che vediamo le loro rappresentazioni in immagine, siamo condotti, mentre le contempliamo, a rammentare i prototipi, progrediamo nell'amore per loro, e siamo indotti a venerarli ulteriormente baciando le icone e testimoniando la nostra venerazione (proskenesin), non la vera adorazione (latreian) che, secondo la nostra fede, è appropriata solo per l'unica natura divina, ma nello stesso modo in cui veneriamo l'immagine della preziosa e vivifica Croce, il santo Vangelo e gli altri oggetti sacri che onoriamo con incenso e lumi di candela secondo la pia usanza dei nostri antenati. L'onore reso all'immagine va infatti al suo prototipo, e la persona che venera un'Icona venera la persona che vi è rappresentata. Invero, tale è l'insegnamento dei nostri santi Padri e della Tradizione della santa Chiesa cattolica che ha propagato il Vangelo da un capo all'altro della terra."

Gli ebrei capiscono la differenza tra venerazione e adorazione. Un pio ebreo bacia la Mezuzà sugli stipiti della sua porta, bacia il suo scialle da preghiera prima di indossarlo, bacia i tallenin (filatteri), prima di legarli alla fronte e al braccio. Bacia la Torah prima di leggerla nella Sinagoga. Senza dubbio Cristo fece le stesse cose, quando leggeva le Scritture in Sinagoga. Anche i primi cristiani capivano questa distinzione.

 

5. Il secondo comandamento non proibisce le icone?

il problema relativo al secondo comandamento dipende da com'è tradotta la parola che indica le immagini. Se essa significa mere raffigurazioni, allora le immagini nel Tempio sarebbero violazioni di questo comandamento. La nostra guida migliore al significato della parola ebraica, tuttavia, è ciò che essa significava per gli ebrei: quando gli ebrei tradussero la Bibbia in greco, tradussero questo termine semplicemente come "eidoloi", ovvero "idoli." Per di più, la parola ebraica pesel non viene mai usata in riferimento a qualsivoglia immagine nel Tempio. Perciò è chiaro che qui ci si riferisce a immagini pagane piuttosto che alle immagini in generale. Guardiamo più attentamente il passo scritturale in questione: "Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prosternerai davanti a loro e non li servirai." (Eso 20:4-5a).

Ora, se prendiamo questo passo come riferimento a immagini di ogni genere, allora chiaramente i cherubini nel tempio violano questo comandamento. Se ci limitiamo ad applicarlo solo agli idoli, non esiste alcuna contraddizione. Inoltre, se il termine si applica a tutte le immagini - allora anche la foto sulla carta d'identità viola il comandamento, ed è un idolo. Così, o tutti i protestanti con la carta d'identità sono idolatri, oppure le icone non sono idoli.

Lasciando da parte, per il momento, le sfumature del termine "immagini", limitiamoci a osservare che cosa ne dice il testo. Non farai x, non ti prosternerai a x, non adorerai x. Se x = immagini, allora il Tempio stesso viola il comandamento. Se x = idoli e non tutte le immagini, allora questo verso non contraddice le Icone nel Tempio, né le Icone ortodosse.

 

6. Deuteronomio 4:14-19 non vieta forse le immagini di Dio? Come potete allora avere Icone di Cristo?

Questo passo istruisce gli ebrei a non farsi immagini (false) di Dio, poiché essi non hanno visto Dio. Come cristiani, tuttavia, noi crediamo che Dio si è incarnato nella persona di Gesù Cristo, e così possiamo raffigurare "ciò che abbiamo veduto con i nostri occhi" (1 Gv 1:1). Come disse San Giovanni Damasceno: "Fin dai tempi antichi, Dio l'incorporeo e l'incircoscritto non fu mai raffigurato. Ora, tuttavia, Quando Dio è stato visto rivestirsi di carne, e conversare con gli uomini, io faccio un'immagine del Dio che io vedo. Io non adoro la materia, adoro il Dio della materia, che per me è divenuto materia, e si è degnato di abitare nella materia, e ha portato la mia salvezza attraverso la materia. Non cesserò di onorare quella materia che opera la mia salvezza. La venero, seppure non come Dio. Come potrebbe Dio essere nato nel mondo da cose senza vita? E se il corpo di Dio è Dio per unione, allora è immutabile. La natura di Dio rimane la stesa di prima, mentre la carne creata nel tempo è vivificata da un'anima logica e razionale."

 

7. Ma considerata la violenta opposizione che gli ebrei avevano per le immagini, come è possibile che i primi cristiani abbiano accettato le icone?

Non solo si trova iconografia in tutte le catacombe cristiane, ma anche nelle catacombe ebraiche dello stesso periodo. Abbiamo anche le Icone ebraiche ben conservate di Dura-Europos, in una città distrutta dai persiani a metà del III secolo (cosa che mette ovviamente un limite a quanto recenti potessero essere queste icone). Spesso si prendono le vedute di Giuseppe Flavio sull'iconografia come la norma delle vedute ebraiche in materia, ma questo è scorretto e chiaramente inappropriato. Un testo specifico che è solitamente citato è un passo che si riferisce a un tumulto scoppiato quando i romani posero un'aquila imperiale sul cancello del Tempio. Questa storia non è così bianca e nera come alcuni vorrebbero pensare. Questi erano zeloti. Giuseppe Flavio, anche lui un ribelle, per quanto in seguito avesse cambiato bandiera e aiutato i romani, ne narra gli eventi. Giuseppe racconta come i romani avessero montato l'aquila sopra l'ingresso del Tempio, e il popolo la strappò come sacrilega - ma erano le immagini di animali per se a essere in questione, o piuttosto l'aquila romana sull'ingresso del Tempio? Il punto di vista di Giuseppe a proposito era così estremista che egli pensò che le statue di animali connesse al Tempio di Salomone fossero un peccato (Antichità, VIII, 7,5).

L'attitudine globale degli ebrei verso l'arte religiosa non era neppure in parte così iconoclasta. Il Talmud Palestinese narra (in Abodah Zarah 48d) "Nei giorni di Rabbi Jochanan gli uomini incominciarono a dipingere figure sulle pareti, ed egli non lo impedì," e "Nei giorni di Rabbi Abbun gli uomini incominciarono a fare disegni a mosaico, ed egli non lo impedì." Inoltre, il Targum dello Pseudo-Gionata ripete il comandamento contro gli idoli, ma poi dice "nei vostri santuari potete tuttavia fare colonne di pietra incise con immagini e figure, ma non per adorarle." Inoltre, i libri sacri degli ebrei sono stati illustrati fin dai più antichi esemplari che abbiamo. Essi contengono illustrazioni di scene bibliche, molto simili a quelle ritrovate nella Sinagoga di Dura-Europos (e anche nella chiesa cristiana che si trovava nelle vicinanze).

È importante notare che le più antiche Icone delle catacombe erano per la maggior parte scene dell'Antico Testamento, e Icone di Cristo. Il predominio di scene dell'Antico Testamento mostra come questa non era una pratica pagana cristianizzata dai convertiti, ma una pratica ebraica adottata dai cristiani.

 

8. Se le Icone sono così importanti, perché non le troviamo nelle Scritture?

Ah, ma noi le troviamo davvero nelle Scritture: e ne troviamo un sacco! Considerate quante se ne trovano nel Tabernacolo e quindi nel Tempio. C'erano immagini di cherubini:

Sull'Arca - Eso 25:18

Sui veli del Tabernacolo - Eso 26: 1

Sul velo del Santo dei Santi - Eso 26:31

Due grandi Cherubini nel Santuario - 1 Re 6:23

Sulle pareti - 1 Re 6:29

Sulle porte - 1 Re 6:32

E sul mobilio - 1 Re 7:29,36

In breve, c'erano Icone dovunque uno si girasse.

 

9. Perché c'erano solo Icone di Cherubini, e non di Santi?

Il Tempio era un'immagine del Cielo, come rende chiaro San Paolo: "[i sacerdoti che servono nel tempio di Gerusalemme] attendono a un servizio che è una copia e un'ombra delle realtà celesti, secondo quanto fu detto da Dio a Mosè, quando stava per costruire la Tenda: Guarda, disse, di fare ogni cosa secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte." (Eb 8:5; cfr. Eso 25:40). Prima che Cristo venisse nella carne trionfando sulla morte con la sua Risurrezione, i Santi dell'Antico Testamento non erano in presenza di Dio nel Cielo, ma erano nello Sheol (spesso tradotto come "la tomba", e tradotto "hades" (Ade) in greco). Prima della Risurrezione di Cristo, lo Sheol era il destino dei giusti e degli ingiusti (Gen 37:35; Is 38:10), anche se le loro condizioni non erano in alcun modo le stesse. Le possiamo vedere nella parabola raccontata da Cristo del ricco e di Lazzaro (Lc 16:19-31) e in Enoch 22: 8-15 (anche se il Libro di Enoch non è incluso nel Canone delle Sacre Scritture, è una parte venerabile della Santa Tradizione, ed è citato nell'Epistola di San Giuda, oltre che in molti scritti dei santi Padri): c'era un abisso che separava i giusti dagli ingiusti, e i giusti erano in uno stato di beatitudine, i malvagi erano (e sono) in uno stato di tormento - i giusti aspettavano la loro liberazione attraverso la Risurrezione di Cristo, mentre i malvagi aspettavano con paura il loro giudizio. E così, sotto l'antica alleanza, si dicevano preghiere solo per i dipartiti, poiché essi non erano ancora in cielo a intercedere per noi. Come disse San Paolo agli Ebrei mentre parlava dei Santi dell'Antico Testamento, "Eppure, tutti costoro, pur avendo ricevuto per la loro fede una buona testimonianza, non conseguirono la promessa: Dio aveva in vista qualcosa di meglio per noi, perché essi non ottenessero la perfezione senza di noi" (Eb 11:39-40). In Ebrei 12, San Paolo procede a mettere in contrasto la natura dell'Antica Alleanza (12:18s) con quella della Nuova (12:22s) - e tra le distinzioni che fa, dice che nella Nuova Alleanza "Voi vi siete invece accostati... agli spiriti dei giusti portati alla perfezione" (12:22-23). Come ci dicono sia le Scritture che il resto della Santa Tradizione, mentre il corpo di Cristo giaceva nella tomba, il suo spirito discese nello Sheol e proclamò la libertà ai prigionieri (Ef 4:8-10; 1 Pt 3:19,4:6; cfr. Mt 27:52-53). E questi Santi che hanno trionfato su questo mondo, ora regnano con Cristo nella Gloria (2 Tim 2: 12), e offrono continuamente preghiere per noi di fronte al Signore (Ap 5:8; cfr. il Martirio di Sant'Ignazio, cap 7: Sant'Ignazio era uno dei discepoli dell'Apostolo Giovanni, e fu fatto da lui Vescovo di Antiochia). E così, mentre nell'Antico Testamento il Tempio era immagine del cielo con i soli Cherubini a servire il Signore, nella Nuova Alleanza, i nostri Templi sono immagini del cielo con la grande nube dei testimoni che ora vi risiedono nella gloria.

 

10. Va bene, ammettiamo che vi siano Icone di un certo tipo nelle Scritture, ma dov'è che agli Israeliti viene detto di venerarle?

Le Scritture comandano agli Israeliti di prosternarsi di fronte all'Arca, che aveva due prominenti immagini di cherubini. Nel Salmo 99:5, c'è il comando: "inchinatevi di fronte allo sgabello dei suoi piedi..." Dovremmo notare prima di tutto che la parola usata per "inchinarsi" qui, è la stessa parola usata in Esodo 20:5, dove di dice di non prosternarsi agli idoli. E che cos'è lo "sgabello dei suoi piedi"? In 1 Cronache 28:2, Davide usa questa frase in riferimento all'Arca dell'Alleanza. Il Salmo 99 [98 nella Septuaginta] inizia parlando del Signore che "dimora sui Cherubini" (99:1), e termina con un invito ad "adorare sul suo monte santo" - cosa che rende ancora più chiaro che in tale contesto si sta parlando dell'Arca dell'Alleanza. Questa frase appare di nuovo nel Salmo 132:7, dove è preceduta dalla frase: "Andremo ai suoi tabernacoli" ed è seguita dalla frase: "Sorgi, Signore, nel luogo del tuo riposo; tu e l'Arca della tua forza." Curiosamente, questa frase si applica alla Croce negli offici della Chiesa, e la connessione non è accidentale - infatti era sull'Arca, sul seggio della grazia tra i Cherubini, che il sangue sacrificale era asperso per i peccati del popolo (Eso 25:22, Lev 16:15).

 

11. Ma che dire del Serpente di bronzo? Non fu distrutto precisamente perché il popolo iniziò a venerarlo?

Se guardate il passo in questione (2 Re 18:4), vedrete che il Serpente di bronzo non fu distrutto solo perché il popolo lo onorava, ma perché lo aveva trasformato in un dio serpente, chiamato "Nehushtan."

 

12. Non vi furono iconoclasti nella Chiesa, ben prima che venissero alla luce i protestanti?

È importante tenere a mente, quando si considera la questione delle Icone (e pertanto anche l'iconoclasmo), che questa comprende due questioni separate, che spesso vengono confuse:

1) È ammissibile fare o avere icone?

2) È ammissibile venerarle?

E chiaro, a partire dall'Antico Testamento, che la risposta a entrambe le domande è sì. Mentre i protestanti, comunque, hanno obiezioni alla venerazione delle Icone, tipicamente non hanno da ridire sulla creazione o il possesso di immagini. Se lo facessero, non avrebbero opuscoli biblici illustrati, televisioni, o quadri... ma a parte gli Amish, si farebbe fatica a trovare un altro gruppo di protestanti che esclude regolarmente le immagini. I protestanti tipicamente hanno obiezioni alla venerazione delle immagini, ma curiosamente il tipo di argomentazioni e prove che usano si ritorcono quasi sempre contro ogni tipo di immagine, se la logica della loro linea di argomenti viene portata fino in fondo.

Gli iconoclasti, spesso citati dai protestanti come sostenitori della loro posizione in materia, di fatto hanno argomenti che si oppongono ai loro. Da un lato, gli iconoclasti scomunicavano tutti quanti "si azzardavano a rappresentare con colori materiali..." Cristo o i Santi - una cosa che quasi tutti i protestanti fanno a loro volta. D'altro canto, scomunicavano anche tutti quanti "non confessano la santa e semprevergine Maria, veramente e realmente Madre di Dio, come più alta di ogni creatura visibile e invisibile, e non cercano con fede sincera le sue intercessioni, come colei che ha confidenza con Dio per averlo partorito..." e scomunicavano anche tutti quanti "negano il profitto dell'invocazione dei Santi..." (NPNF2, Vol. 14, p. 545s). Così, di fatto, i protestanti si trovano sotto un maggior numero di anatemi degli iconoclasti di quanti ne abbiano gli ortodossi.

I protestanti potrebbero desiderare di trovare un certo sollievo nel fatto che per lo meno gli iconoclasti erano opposti alla venerazione delle immagini, ma la venerazione non fu mai una questione a se stante per gli iconoclasti. Essi erano opposti alla venerazione delle icone, solo perché erano opposti alle icone. Non si opponevano alla venerazione di oggetti sacri: gli iconoclasti veneravano la Croce, e non ne facevano mistero.

I protestanti citano anche alcuni altri primi padri e primi scrittori ecclesiastici in sostegno della loro posizione. La maggior parte di queste citazioni sono semplici denuncie dell'idolatria, e non hanno nulla a che fare con le Icone. In quei pochi casi in cui le citazioni potrebbero essere plausibilmente interpretate come condanne delle Icone (e alcune delle quali, si può argomentare, sono interpolazioni iconoclastiche successive), una interpretazione coerente richiederebbe che non siano fatte immagini di alcun tipo... poiché, ancora una volta, l'obiezione che si trova in questi testi è rivolta alla creazione e al possesso di immagini. Nessuno di questi testi prende neppure in considerazione il tema della venerazione.

I Canoni del Sinodo di Elvira sono spesso citati a sostegno di una posizione iconoclasta. Nel suo Canone 36, il concilio decretava: "Si ordina che non vi siano pitture nelle chiese, così che ciò che è venerato e adorato non sia raffigurato sulle pareti." Ma anche gli studiosi protestanti riconoscono che il significato del canone non è così chiaro come gli apologeti protestanti spesso suggeriscono: non è chiaro quale fosse l'occasione di questo canone, e non è chiaro che cosa cercasse di prevenire. A causa delle parole stesse del canone, è quasi certo che non si tratti di un bando assoluto alle immagini. Non è chiaro che cosa si proibisce, e soprattutto a quale fine. Le interpretazioni plausibili vanno da un mero divieto di immagini in chiesa, a una misura di precauzione per proteggere le Icone dai pagani (dato che il canone fu composto in tempi di persecuzione, ciò è certamente possibile). In ogni caso, il fatto è che le Icone erano in uso nelle chiese della Spagna prima del Sinodo di Elvira, e continuarono a essere usate in seguito, senza alcuna ulteriore prova di controversie. Inoltre, questo Sinodo ebbe un carattere meramente locale e non venne mai menzionato a livello ecumenico.

 

13. Come sapete che non fossero gli iconoclasti quelli che mantenevano la più antica tradizione cristiana sulle icone?

Da un lato, l'iconoclasmo avrebbe dovuto fiorire nei territori a dominio islamico... ma non lo fece. Il primo scoppio di iconoclasmo iniziò in territorio musulmano, anche se non si trattava di cristiani che distruggevano immagini, ma di musulmani che distruggevano immagini cristiane. C'è anche ragione di pensare che un'influenza musulmana ispirò gli imperatori iconoclasti (tutti provenivano da aree dell'impero in cui i musulmani avevano preso il sopravvento), ma il fatto è che le uniche parti della Chiesa in cui l'iconoclasmo prese piede furono quelle in cui gli imperatori iconoclasti poterono imporre la loro eresia sul popolo. In tutte le aree della Chiesa al di fuori della portata degli eserciti imperiali, la Chiesa si oppose agli iconoclasti e ruppe la comunione con loro. Uno degli oppositori più aperti degli iconoclasti fu San Giovanni Damasceno, che visse sotto il dominio musulmano, e per conseguenza ebbe a soffrire persecuzioni. Se la visione degli iconoclasti fosse stata davvero quella tradizionale, ci saremmo dovuti aspettare di vedere tale opinione come dominante tra i cristiani che vivevano sotto il dominio musulmano. Per lo meno, ci saremmo aspettati qualche iconoclasta sorto in mezzo a questi cristiani, ma di fatto era vero il contrario - non si udirono voci iconoclastiche dai territori sotto il dominio musulmano, nonostante gli ovvi vantaggi che tali cristiani avrebbero avuto con i loro governanti.

Inoltre, prima della controversia iconoclasta, abbiamo ampie prove archeologiche che le Icone erano usate ovunque nella Chiesa, e se questa fosse stata una deviazione dalla Tradizione apostolica, ci dovremmo aspettare di trovare un'ampia controversia in materia dal primo momento in cui le Icone entrarono in uso, e che avrebbe dovuto intensificarsi mentre il loro uso diventava più comune.

Tuttavia, non troviamo niente del genere. Di fatto, trenta anni prima della controversia iconoclasta, il Concilio Quinisesto stabilì un canone (Canone 82) riguardo a ciò che dovrebbe essere dipinto in certe Icone, ma senza il più pallido accenno a una controversia sulle Icone per se.

Vi sono molte altre cose che mostrano la completa novità dell'eresia degli iconoclasti: essi si opponevano al monachesimo, nonostante il fatto che esso fosse stato indiscutibilmente accolto dalla Chiesa per secoli, si dilettavano a derubare i monaci, prendere le loro terre, forzarli a sposarsi, a mangiare carne, e a partecipare agli spettacoli pubblici (e quanti resistevano spesso erano gli spettacoli pubblici), contrariamente alle pratiche monastiche ben stabilite. Anche gli storici protestanti sono forzati ad ammettere che i santi uomini e donne del tempo erano sostenitori della venerazione delle Icone, e che gli iconoclasti erano un partito piuttosto immorale e spietato.

Si può essere iconoclasti solo se si crede - contrariamente a quanto dicono le Scritture - che la Chiesa possa cessare di esistere, poiché non c'è dubbio che la Chiesa abbia respinto l'iconoclasmo e usato icone da tempi remoti almeno come quelli dell'uso delle catacombe (che sono piene di icone cristiane). E questa opzione della Chiesa che cessa di esistere è di solito rifiutata dagli Evangelici ragionevoli.

 
Perché solo la carne è vietata nella Settimana dei Latticini?
La Domenica dei Latticini ha ricevuto il suo nome perché la settimana precedente non mangiamo carne, ma solo prodotti lattiero-caseari, come latte, formaggi, ecc, così come uova e pesce.
 
Molti trovano questa regola della Chiesa "irragionevole", dicendo: "Come mai il latte di una pecora è consentito, ma non la carne di pecora, dal momento che il latte è prodotto dalla pecora? Perché sono ammesse le uova ma non le galline, dato che le prime sono prodotte dalle seconde?"
 
Naturalmente, queste persone avrebbero ragione, se noi sostenessimo che la carne di pecora o di gallina è impura e per questo motivo non la mangiamo. Allora non dovremmo mangiare ciò che viene prodotto da loro, dal momento che anche questi prodotti sarebbero impuri. Ma nella nostra Chiesa nessun cibo è impuro. Questo è ciò che insegna l'apostolo Paolo nella Prima lettera a Timoteo (4:3-5). Piuttosto la Chiesa semplicemente divide il cibo in un maggiore o minore consumo ai fini dell'auto-moderazione e, in certi momenti, permette alcune cose e ne proibisce altre.
 
Una risposta precisa nei confronti di chi dice cose simili ha ricevuto risposta da Athanasios di Parios, un maestro saggio e importante della Chiesa, quando scrive a un certo medico:
 
"Tu critichi il tuo amico perché durante il periodo dei latticini mangia uova, ma non mangia la gallina che produce l'uovo... Ma che somiglianza può esserci tra un uovo, che non è animato, e una gallina, che è animata? L'uovo è molto inferiore al pollame. e come prova mi appello alla tua opinione, cioè, il parere di un medico. A chi è malato e inizia la convalescenza tu prescrivi come cibo polli piccoli e delicati e non galline coriacee. Per quale motivo lo fai? Perché, dirai, il grasso e i cibi pesanti danneggiano chi ora comincia la convalescenza dalla sua malattia, dal momento che il suo stomaco non ha la forza di sopportare e digerire cibi pesanti. Se pertanto vi è una differenza tra un piccolo pulcino e un grande pollo e il pulcino è, come alimento, molto meno forte del pollo, e nessun medico ha mai detto che l'uovo di pollo è lo stesso pollo sono ugualmente adatti per i malati, non è chiaro che sono irragionevoli quelli che ci criticano perché mangiamo uova e non uccelli? ...Ci criticano anche perché mangiamo le olive, ma non l'olio di oliva, anche se l'olio d'oliva è all'interno delle olive. Ma anche il vino è all'interno dell'uva. Eppure, per quanta uva mangiamo, noi non ci ubriachiamo, al massimo facciamo indigestione..."
 
Oltre a questo, è ben noto che siamo in grado di friggere innumerevoli e deliziosi cibi con l'olio d'oliva, ma non con le olive, che sono considerate cibo di xirofagia (alimenti secchi). Xirofagia non vuol dire non mangiare cibi cotti, ma piuttosto mangiare cibi non preparati con fritture, come il pane con le olive o la frutta secca, ecc.
 
Padre John Karastamatis (+1985), neomartire, ucciso dai satanisti

In odore di santità - Il nuovo ieromartire dell'Ortodossia

Il neomartire John (Karastamatis) di Santa Cruz (1937-1985).

Padre John (Ioannis) Karastamatis di Santa Cruz (8 Agosto 1937-19 Maggio 1985) fu il primo parroco e uno dei fondatori della parrocchia greco-ortodossa del profeta Elia nella città di santa Cruz, in California. Sebbene ci sia una certa venerazione di lui come ieromartire, egli non è stato ancora ufficialmente canonizzato.

Egli fu un fervente predicatore della Fede ortodossa e servitore dei disoccupati, dei senza casa, dei tossici della città prima di essere brutalmente martirizzato dai satanisti nel 1985.

Gli sono stati attribuiti numerosi miracoli di guarigione dopo la sua morte. La sua memoria è celebrata il 19 Maggio, nella vigilia della festa della traslazione delle sante reliquie di san Nicola il Taumaturgo, del quale padre John aveva una grande venerazione, perché da bambino visitava spesso il monastero di san Nicola di Andros in Grecia. Questo giorno corrisponde nel vecchio calendario al 6 Maggio, che è il giorno del martirio dello zar san Nicola II, imitatore della Divina Passione, così come il giorno festivo di san Giobbe il sofferente. Tutto ciò fa pensare al significato mistico della sua morte.

In Grecia

Padre John Karastamatis nacque l'8 Agosto 1937 nel villaggio greco di Apoikia, nell'isola di Andros. L'atmosfera di questo villaggio era permeata dall'antico modo di vivere ortodosso, che era seguito secondo il calendario della Chiesa e il ciclo delle feste. Vivendo giorno per giorno in mezzo alla semplice e spontanea fede degli isolani al giovane John fu impartito un senso di santità che accese nel suo cuore la fiamma dell'amore per Dio e per tutto ciò che è suo. Da ragazzo sull'isola, John fu testimone di molti miracoli con i quali Dio benedisse i pii isolani, e che lo resero cosciente della vicinanza di Dio nelle vite di coloro che lo cercano. I santi, specialmente quelli locali, manifestavano anche la loro vicinanza e la loro potente intercessione apparendo e aiutando la gente. John nutrì la sua giovane anima imparando le vite di questi santi e martiri, il cui inestinguibile desiderio di essere fedeli a Cristo di fronte alla privazione,al tormento e alla morte fisica ispirarono anche in lui il desiderio di essere un servo di Dio. Sebbene non avesse frequentato alcuna scuola teologica, egli metteva in pratica ogni giorno la sua fede con il desiderio di diventare sacerdote.

In America

Nel 1957, all'età di 20 anni, John si recò negli Stati Uniti. Cinque anni più tardi sposò una giovane donna greca, Athanasia Matsellis, e presto divenne padre di due bambini, Maria e Fozio. Le città degli Stati Uniti erano in netto contrasto con il villaggio nativo ma la sua profonda consapevolezza della vicinanza di Dio e dell'altro mondo, insegnatali nella fanciullezza, non lo abbandonò. Egli ora si trovava in mezzo a coloro che non solo non volevano essere vicini a Dio, ma che si erano allontanati con forza da lui. Con l'aiuto e l'incoraggiamento di padre George Bogdanos, un prete greco che riconobbe in lui l'integrità e lo zelo di un vero pastore, padre John fu ordinato al diaconato nel 1971 con la benedizione dell'arcivescovo Iakovos, che lo sostenne in questo. Per l'amore così evidente che nutriva sia per la Chiesa sia per i fedeli, fu ordinato sacerdote solamente dopo poche settimane dal vescovo Melezio (Tripodakis) di Christianoupolis, San Francisco (1968-1979).

Inizialmente servì la comunità greco-ortodossa di Anchorage, in Alaska, la terra del neo canonizzato santo Herman, che divenne il suo angelo custode per il resto della sua vita. Più tardi fu assegnato alla parrocchia di san Giorgio a Vancouver, Canada, e poi alla parrocchia di Tutti i Santi in Anaheim, Pennsylvania.

Infine si trasferì a Santa Cruz, California, che fu così chiamata dai missionari spagnoli in onore della santa Croce del Signore. Lì con entusiasmo lavorò per fornire un rifugio della cristianità ortodossa per i fedeli della zona che da lungo tempo erano senza una chiesa nelle vicinanze.

Un pastore ai piedi della Santa Croce

Siccome la comunità a Santa Cruz era troppo piccola per acquistare immediatamente la sua chiesa ortodossa, padre John iniziò a servire la Divina Liturgia nella vicina città di Aptos, nella cappella di un convento di Clarisse. Le suore avevano i loro uffici liturgici molto presto la domenica mattina, lasciando così libera la chiesa per padre John e i suoi parrocchiani. All'inizio i parrocchiani furono titubanti: si recavano tardi alla Liturgia e si sedevano in fondo, come se fossero spettatori e non partecipanti. Padre John  sapeva che aveva molto lavoro da fare.

Talvolta era deluso per la mancanza di attivo interesse tra il suo gregge. La sua era una fede ardente, e la tiepidezza era sempre stata estranea alla sua anima. Il suo compito, lo conosceva, era di accendere questo fuoco all'interno di ciascuno dei suoi parrocchiani, in modo che essi stessi lottassero per il regno dei cieli, l'unica cosa necessaria, e non sedessero in fondo e aspettassero che il sacerdote facesse il lavoro che spettava loro. Non poteva chiedere troppo in una volta sola, ma doveva essere un pastore mite e amorevole, indulgente alle debolezze del suo gregge in modo tale da non sopraffarlo e causargli così l'abbandono totale della fede Ortodossa. Il divario tra pastore e pecore doveva essere colmato gradualmente e con attenzione, e padre John doveva accendere la scintilla nel cuore del suo gregge senza bruciarlo con il fuoco intenso che ardeva dentro di lui.

Talvolta padre John parlava con parole forti di rimprovero per risvegliare la sua gente dal suo sonno spirituale, ma soprattutto ispirava loro con il suo esempio silenzioso e discreto.

Iniziarono così a vedere come lottava duramente: cominciarono a muoversi per aiutarlo a realizzare i suoi sogni divini. Il suo fervore e il suo zelo, la sua fede inequivocabile nell'altro mondo, era qualcosa che non riuscivano a comprendere del tutto, ma che, interiormente e in molti casi inconsciamente, desideravano dal profondo. Essendo giunti ad amarlo profondamente, essi erano grati che Dio avesse mandato loro un mietitore nel loro campo.

La fondazione della chiesa del profeta Elia a Santa Cruz

Donando ai suoi parrocchiani nuove aspirazioni, padre John inculcò in loro il desidero di avviare una propria chiesa. Raccolsero i fondi e finalmente trovarono l'edificio perfetto per la loro chiesa nel 1982: un'ex-impresa di pompe funebri a Santa Cruz, di fronte la biblioteca pubblica e nella parte migliore della città per l'attività missionaria. Padre John fece da solo gran parte del lavoro interno, modellando una splendida iconostasi bianca e una grande abside a cupola dietro e sopra l'altare. Così commenta suo figlio Fozio: "Mio padre ha messo il suo sangue, il suo sudore e le sue lacrime (...) con l'aiuto di qualche parrocchiano e mio, egli ha letteralmente costruito l'intero interno di quella chiesa".

Quando fu completata, la nuova chiesa consacrata divenne un rifugio dal rumoroso frastuono del mondo, un'isola di santità nel mezzo di Santa Cruz. La chiesa fu dedicata al profeta Elia.

Con la nuova e bella chiesa, comprendente più di 75 famiglie, i parrocchiani avevano un senso di realizzazione. Sentivano di aver percorso molta strada dai giorni in cui non avevano altra scelta che usare una cappella fuori città. Ora potevano espandersi in altre attività.

Attività missionaria

Padre John non voleva in nessun modo che la sua comunità ortodossa fosse una comunità chiusa, e si rallegrò di scoprire tutte le anime ferventi dei giovani che andavano da lui alla ricerca della pienezza del cristianesimo. Santa Cruz è stata un luogo d'incontro non solo degli elementi più oscuri e più subdoli della società, ma anche di giovani idealisti che desideravano qualcosa di più significativo rispetto ai valori americani del materialismo e della concorrenza. P. John avviò nella sua chiesa un piccolo ma significativo "Movimento Cristiano Ortodosso" già avviato lì all'università di Santa Cruz. Questo fu principalmente il risultato del lavoro missionario dello ieromonaco Anastassy (Newcomb). Attraverso di lui, molti studenti universitari di Santa Cruz abbracciarono la Fede ortodossa e dedicarono le loro vite a servire Cristo.

Nel 1981, padre Seraphim Rose, su richiesta di studenti ortodossi, tenne due lezioni all'università e incoraggiò le giovani anime ispirate a entrare in quello che chiamava "il recinto salvifico della Chiesa". Il gruppo di studenti ortodossi si rivolse anche a padre John e alla sua chiesa per ricevere nutrimento spirituale e partecipare ai servizi sacri, che li sollevavano al di sopra della vita mondana dell'università. Padre John gli accoglieva sempre con un sorriso radioso e con caldo amore, vedendo nei loro giovani volti la freschezza e l'entusiasmo che avrebbero conservato viva l'Ortodossia per le future generazioni. Dopo la laurea di questi giovani studenti, padre John portò altri giovani alla Fede ortodossa, dando loro tutto ciò di cui avevano bisogno per la loro crescita nella fede ed essendo per loro un padre amorevole preoccupato per il loro benessere spirituale.

Poiché la chiesa del profeta Elia era situata nel mezzo della città, la gente spesso veniva a fare domande e a partecipare alle funzioni. Padre John osservò la regola della "porta aperta", rendendo se stesso e la sua chiesa disponibile a chiunque avesse una necessità pastorale. Gli abitanti di Santa Cruz lo conobbero come una persona gentile, fiduciosa, piena di amore e aperta.
Aveva grande compassione per i poveri, era di aiuto a tutti quelli che si recavano da lui, non tenendo conto della loro religione o se stavano approfittando di lui. Non era cosa insolita per lui essere svegliato alle ore più strane da persone bisognose che bussavano alla sua porta. Non rifiutava nessuno ma dava sempre l'elemosina per un pasto. Specialmente negli individui più emarginati e oppressi padre John vedeva l'icona di Cristo. Con sincero amore cristiano, una volta pronunciò queste parole riguardo le persone semplici che, pur essendo rigettate dal mondo, sono fedeli a Cristo e seguono la voce del loro cuore: “Lì vediamo soli in mezzo alla folla o che imitano la vita di un eremita mentre diventano simboli di verità e fari luminosi della cristianità, pregando per la pace e l’amore fraterno sulla terra”.

Mentre il fervente lavoro pastorale di padre John serviva a convertire molti non greci, il suo lavoro fu quello, ovviamente, di "convertire" molta della sua gente, coloro che erano battezzati ortodossi ma il cui impegno a Cristo significava al massimo frequentare la chiesa e le sue attività. Con la sua fede egli dimostrava loro che l'Ortodossia non è semplicemente un rituale, un sistema di dogmi o un modello di comportamento, ma è invece un potere trasformante caratterizzato da una cosciente lotta spirituale. Attraverso la lotta conquistiamo le passioni che ci separano da Dio; scrisse: "Lasciamo che l'essenza dei suoi poteri ringiovanenti inondi i nostri cuori con la gioia per la totale libertà che possiamo ottenere."

Padre John non risparmiava nulla per rendere nota all'interno del suo gregge questa realtà viva. Egli predicava loro l'amore dei suoi amati santi, sperando così di renderli più consapevoli del grado di santità che l'uomo è in grado di raggiungere sulla terra con l'acquisto della grazia dello Spirito Santo.

Padre John era per natura un artista e un poeta, e aveva un profondo senso di bellezza. Come il suo maestro Cristo, la fonte di ogni bellezza divina e di verità, egli amava i semplici, gli umili, le cose tranquillamente nobili della vita. Questo amore lo espresse sia nelle sue omelie sia nelle sue poesie in greco e in inglese che trascriveva con la sua elegante calligrafia. Il suo senso di bellezza lo rese ancora più consapevole della bruttezza e della follia della nostra epoca post-cristiana. Parlò della confusione che si verifica quando gli uomini dimenticano Dio e perseguono i propri interessi egoistici.

Profanazione della chiesa

Le opere buone di padre John erano troppo numerose e il suo impegno troppo vasto per non provocare le azioni dannose provenienti dai nemici di Dio.

La visibilità di padre John e la sua chiesa nel centro di Santa Cruz lo resero più accessibile non solo a coloro che avevano bisogno di aiuto ma anche a coloro che volevano distruggere ciò che è santo.

Pochi mesi prima della morte di padre John la chiesa fu profanata da occultisti sconosciuti, che dipinsero il numero "666" e le cinque punte sataniche sulla porta d'ingresso.

Quando padre John scoprì la profanazione, riconsacrò la chiesa. In seguito ricevette minacce anonime ma non ne fu scoraggiato. La sua predicazione fece arrabbiare qualcuno che cominciò a minacciarlo per telefono e con lettere, invitandolo a cessare la predicazione. Nonostante ciò, padre John divenne ancora più appassionato del suo ministero dicendo: "Finché i miei occhi avranno lacrime, io predicherò Cristo e l'Ortodossia".

Consigliò ai fedeli di stare in guardia contro le insidie dell'Anticristo e di non prenderne il marchio. Successivamente le minacce telefoniche divennero sempre più intense, ma padre John non fu spaventato da tutto questo. Dimostrò di essere un pastore fedele di Cristo, che è disposto a sacrificare tutto e a dare persino la vita per il suo gregge per il suo amore verso di esso.

Il miracolo della fioritura dei gigli bianchi

Fu attraverso padre John che la tutta santa Madre di Dio concesse una benedizione miracolosa alla chiesa del profeta Elia. Ciò accadde dopo che padre John portò alcuni bulbi del giglio della Panagia, di ritorno dalla sua isola nativa di Andros dove era stato con la sua famiglia. Egli si recò al monastero di san Nicola sull'isola e chiese all'igumeno Dorotheos (Themelis) pochi gigli secchi.

Il giglio della Panagia è chiamato così perché secondo la tradizione, spesso raffigurata nelle icone, l'Arcangelo Gabriele al momento dell'Annunciazione si presenta alla Madre di Dio con questa specie di gigli.

Al monastero di Andros, che p. John aveva visitato, nascono questi gigli che talvolta germogliano miracolosamente per la festa della Dormizione.

Padre John incaricò suo figlio Fozio di piantare i bulbi di gigli in vaso e di innaffiarli solo con l'acqua santa, cosa che Fozio fece. Dopo che i gigli crebbero dai bulbi nel maggio del 1983, padre John tagliò uno dei fiori e lo mise sull'icona dell’iconostasi della Madre di Dio. Il fiore non appassì per tre quattro settimane, anche se era stato tagliato, ed era senza acqua e senza terra. Quando finalmente caddero i suoi petali (il primo cadde in un giorno radioso quando uno fu battezzato dei ragazzi dell'università convertiti da padre John), padre John disse a sua moglie di non aspirarli ma di metterli da parte vicino all'icona dove il gambo era ancora pendente. E successivamente dopo tre settimane alcuni nuovi germogli apparvero sul gambo!

Il gambo continuò a produrre nuovi germogli per molti mesi, sino all'inverno del 1983-4.

Padre John interpretò il miracolo come un’immagine della vita che scaturisce dalla morte attraverso la risurrezione. Questo miracolo rafforzò la fede di molti ad avere molto più rispetto verso la beata Vergine.

Martirio

Tre meravigliosi fatti accaddero prima della sua morte:

Una settimana prima del suo martirio i gigli della Vergine appassirono all'istante e non sbocciarono mai più.

L'icona della beata Vergine pianse, e tracce delle sue lacrime sono ancora visibili sulla sua icona.

Per tre domeniche consecutive - precedenti al suo martirio - durante la Divina Liturgia, il chierichetto mentre gli dava l'acqua bollente (lo zeon) per preparare la santa Comunione vide uno strano fenomeno: il volto di padre John brillava ed emanava raggi di luce, ma padre John gli disse severamente di non rivelare nulla.

Nel pomeriggio del 17 Maggio, 1985 padre John telefonò all'Abate Dorotheos (Themelis) e gli chiese informazioni circa i miracoli dell'icona mirovlita (che effonde miro) della beata Vergine Myrrhovlytissa, poiché voleva tenere un omelia su di essa la domenica successiva.

La notte di sabato 18 maggio, 1985, vigilia della traslazione delle sante reliquie di san Nicola il taumaturgo, padre John stava in chiesa scrivendo l'omelia per la domenica. Sua moglie era a Los Angeles in visita da sua figlia che aveva appena partorito il suo primo bimbo.

Poco prima di mezzanotte, uno o più assalitori entrarono in chiesa. Evidentemente si erano appostati, aspettando il momento in cui era solo, quando sia la moglie e il figlio di 17 anni erano andati via. Attaccarono padre John nel suo ufficio, colpendolo con un coltello. Durante la lotta padre John fu  duramente picchiato e infine ucciso da un colpo pesante sulla testa.

Suo figlio che aveva cenato con lui quella sera arrivò all'1.30 presso la chiesa. Fuori l'ufficio scoprì il corpo senza vita del padre e sulle pareti il sangue di un martire.
Lì, il ragazzo dovette affrontare uno spettacolo orribile: il padre si trovava sul pavimento, macellato e irriconoscibile, colpito alla testa con un martello e tutto il suo corpo massacrato con coltellate. La polizia in seguito scoprì che il padre John non era morto subito, i criminali avevano preso la croce che portava intorno al collo e lo avevano impiccato con la catena della croce.

Il sangue uscito dalle ferite aveva allagato il pavimento del santuario. I satanisti usarono il suo sangue per scrivere i loro slogan e scrivere il 666 sulle pareti della chiesa. Il beato padre John subì il martirio proprio nel luogo dove era stato fotografato con la croce nella sua mano, quasi profetizzando quello che sarebbe successo.

Secondo l'articolo del San Francisco Chronicle del 21 Maggio 1985: Il pastore della comunità greco-ortodossa "ha affrontato una terribile lotta" prima di essere ucciso a bastonate nell'ufficio della sua chiesa, ha detto il capo della polizia ieri. John Karastamatis, 47, della chiesa greco-ortodossa del profeta Elia "è stato picchiato con cattiveria, duramente". Il metodo di morte è stato molto traumatico, ha detto il capo Jack Bassetti. Il sangue è stato trovato sulle pareti. Bassetti ritiene che il prete sia stato ucciso tra le 11 di sabato sera e l'1.40 di Domenica, quando il suo corpo insanguinato è stato ritrovato dal suo figlio 17enne, Fozio.

Poiché il volto e le mani di padre John erano così sfigurati e mutilati, i suoi resti non furono esposti al funerale. Il suo corpo fu rivestito dei paramenti d'oro e la bara sigillata. Numerosi sacerdoti, provenienti da molte e varie chiese ortodosse degli Stati Uniti, presero parte ai funerali di padre John.

Apparizioni del beato padre John

Sono molte le apparizioni del beato padre John dopo il suo martirio:

Quando l'abate Dorotheo (Themelis) apprese del martirio di padre John, scrisse alla presbitera (moglie del sacerdote) per chiederle di mandargli i suoi paramenti sacerdotali di quando avevano concelebrato insieme per la festa di san Dorotheos al monastero nel 1981. Passò un po' di tempo ma non ricevette alcuna risposta dalla famiglia di padre John. Alla vigilia del 4 Luglio, al monastero di san Nicola, si stava celebrando una veglia athonita in onore di san Atanasio del Monte Athos con molti pellegrini che venivano da Atene. Alla fine della veglia, le campane del monastero iniziarono a suonare da sole come per una festa solenne. Si fermarono per un istante  ma incominciarono a suonare di nuovo così armoniosamente che tutti erano meravigliati. Presi dalla paura e dal timore, i fedeli iniziarono a celebrare la paraclisi di san Nicola aspettando che accadesse un miracolo. Quel pomeriggio, l'anziano Dorotheos aveva ricevuto una chiamata da Maria, la figlia di padre John, che era venuta appositamente al monastero portando i paramenti di suo padre. Lei li porto al monastero, e furono accolti da tutti i pellegrini con gioia. Quella mattina, le campane del monastero suonarono esattamente quando la nave, su cui c'era la figlia di padre John con i suoi paramenti, entrò nel porto.

Alla vigilia della festa di San Nicola, nel 1986, l'abate Dorotheos insieme con alcune donne stava preparando la chiesa per la festa patronale del monastero. A un certo punto, videro il beato padre John che camminava nel giardino del monastero e si dirigeva verso di loro. Tutti furono presi da paura e incominciarono a gridare: “Papa Iani!", quindi sparì dalla loro vista. Subito dopo questa grande sorpresa, venne il postino con un pacco dalla Svizzera contenente un'icona di padre John mandata da parte di alcuni fedeli russi che lo onoravano come un santo. Con questa apparizione, padre John aveva chiesto che quest'icona fosse diffusa tra tutti i cristiani in modo tale da far loro conoscere il suo martirio e il suo lavoro missionario.

Inoltre, nel febbraio del 1987, l'abate Doroteo si era recato in Svizzera per un intervento chirurgico. Mentre stava parlando ai fedeli di padre John e del suo martirio, padre John apparve loro, li benedisse, e quindi scomparve.

Eredità

Padre John è stato un sacerdote eccezionale e un uomo giusto, un operaio nella vigna americana di Cristo che è stato trovato degno di essere glorificato con la corona del martirio. Dio ha suscitato un martire americano la cui fede era reale e ardente come esempio di uno che era pronto a perdere la vita per Cristo al fine di ottenerla eternamente.

"La sua vita ci ha ispirati, illuminati e rallegrati", scrisse uno dei suoi figli spirituali. "La sua morte è servita a confermare in modo più diretto non solo le realtà della nostra Fede ortodossa ma anche quelle strane e veramente anti-cristiane dei nostri tempi”.

Semplice, grossolano e allo stesso tempo ardente di appassionato e abnegante zelo pastorale, padre John stava in mezzo ai grandi "sacerdoti contadini" che hanno conservato lo spirito della santa Ortodossia lungo i secoli. Mentre gli altri hanno ridotto l'Ortodossia in esercizio intellettuale o formale, tali sacerdoti hanno dimostrato che l'Ortodossia è vita, un balsamo per le ferite dei poveri, dei sofferenti, dei peccatori. Usando una vecchia espressione russa, padre John fu veramente "Un sacerdote del popolo”.

Santo neo-ieromartire John di Santa Cruz, intercedi presso Dio per noi!

Icona posta nella parrocchia dove padre John subì il martirio. L'icona rappresenta il suo santo, san Giovanni Battista, e le chiese associate al suo ministero.

 
Intervista a padre Gabriel (Bunge)

Che cosa significa essere cristiani? Che cosa è un vero monaco? Il monachesimo può essere riformato? Per chi sono state scritte le opere dei Santi Padri? Lo Schema-Archimandrita Gabriel (Bunge), rinomato studioso di patristica e monaco eremita, risponde a queste e ad altre domande.

P. Gabriel (Bunge) è nato nel 1940 a Colonia, in Germania, da padre luterano e madre cattolica. All'età di ventidue anni è entrato nell'Ordine benedettino in Francia, è stato ordinato sacerdote nel 1972. Ha dedicato molti anni allo studio delle opere di Evagrio Pontico. Dal 1980 ha vissuto nello skit (eremo) della Santa Croce nel cantone svizzero del Ticino, dove segue l'antica regola di San Benedetto. È stato ricevuto nella Chiesa ortodossa nel 2010. I suoi libri includono Vasi di argilla: la pratica della preghiera personale secondo la tradizione patristica, Lo spirito consolatore. Il significato dell'iconografia della santa Trinità dalle catacombe a Rublev, Vino dei draghi e pane degli angeli. L'insegnamento di Evagrio Pontico sull'ira e la mitezza, e Akèdia: il male oscuro.

Padre Gabriel, la sua vita è cambiata da quando è diventato ortodosso?

Certo, è cambiata molto, anche in modo sostanziale. Come ho già detto diverse volte, raccontando la mia storia personale, ho fatto la conoscenza dell'Ortodossia, in origine con la Chiesa greca, all'età di 21 anni, nel 1961. È nel 2010 che sono diventato ortodosso. Conoscevo molto bene le Chiese ortodosse - tra cui la Chiesa russa - ma dall'esterno, che non è la stessa cosa. Avevo conosciuto l’Ortodossia a parte il fatto essenziale della comunione sacramentale, che mi era sempre mancata, e che alla fine è diventata il motivo principale per cui ho fatto questo passo. Perché molti mi hanno detto: "Ma la comunione spirituale non era abbastanza per lei?" In effetti, non lo era. In ultima analisi, questa non era abbastanza per me.

Così, si può arrivare a conoscere qualcosa bene, in modo fine, dall'esterno. Anche se le relazioni che ho avuto con gli ortodossi erano già eccellenti, partecipare alla vita interna della Chiesa è tutta un'altra cosa. E per me, dal momento che sono un monaco, questo ha avuto effetto su di me anche al livello del monachesimo. Oggi posso confrontarmi in modo del tutto diverso con i miei fratelli, di quanto potevo quando mi trovavo su una soglia alta, per così dire, ma non ero un membro a pieno titolo della Chiesa.

Oggi ho le mie perplessità e le mie domande. Sono vecchio, e tutti mi fanno domande - voi compresi. Ma io a chi posso fare domande? È difficile. Spero che questo non sembri indiscreto, ma io ho avuto perplessità sulla mia vita come schema-monaco. Ora posso andare - e sono andato - in tutta semplicità alla Lavra della Trinità e di san Sergio e fare un lungo colloquio con lo starets Ilya [Reyzmir] - che è circa della mia età, solo un po’ più giovane. E lui mi ha dato la risposta che avrei potuto dare a qualcun altro, ma che non ho il diritto di dare a me stesso. Si deve chiedere. Ciò non sarebbe stato possibile prima. Vedete, i cambiamenti sono stati sostanziali. Questo è stato un esempio, potrei farne molti altri.

 

Si ricorda i suoi primi libri di patristica?

Recentemente, con l'aiuto del mio amico - un benedettino a Chevetogne e mio successore come bibliotecario, il nostro comune amico, padre Antoine - ho ricostituito la mia prima biblioteca patristica, perché avevo perso un pezzo o un altro. Era stata infatti la scoperta di questa letteratura che aveva originariamente formato nel mio spirito l'immagine di un monaco. Quando ho voluto diventare un monaco, ho fatto prima una ricerca letteraria, perché a Colonia, dove sono nato, non c'era alcun monastero benedettino, o di tipo classico, se volete. Gli altri ordini che esistevano non erano, ai miei occhi (e di fatto) monaci: erano fratelli.

La mia prima biblioteca consisteva in una piccola selezione dei detti dei Padri del deserto - un minuscolo Paterikon. Non c'era nulla come le edizioni di grandi dimensioni che ci sono oggi in Occidente. (Qui avete sempre avuto esempi di Paterikon.) Poi due discorsi di San Giovanni Cassiano sulla preghiera, poi una piccola Filocalia - o, più precisamente, estratti tradotti dal francese. C'era anche La vita e gli insegnamenti degli Startsi [Leben und Lehre der Starzen] di Igor Smolich, uno studioso emigrato che vive in Occidente, che ha scritto alcune cose molto importanti sul monachesimo russo, cose di cui sono venuto a conoscenza in questo modo. E, soprattutto, vi erano I racconti di un pellegrino russo nella prima edizione tedesca che risale al 1920. Aveva solo i primi quattro racconti - dato che questo libro è costituito da più parti; oggi è uno spesso volume. Oggi finalmente sappiamo anche chi è l'autore: lo ieromonaco Arsenij (Troepolskij). È stato con l'aiuto di questa letteratura che si è formata nel mio spirito l'immagine del monaco.

Subito dopo aver letto I racconti di un pellegrino, ho iniziato a praticare la preghiera di Gesù - a piedi, come ha fatto lui, perché andavo da casa mia all'università attraverso un parco. Non avevo mai visto prima una corda da preghiera, ma ho imparato a usarne una molto prima di entrare in monastero e anche molto tempo prima di visitare l'Oriente. Quando ho fatto questo viaggio - ero allora uno studente di 21 anni - ho scoperto nella persona di un vecchio pro-igumeno, un abate, padre Serafino, l'icona vivente di un monaco. Cioè, prima c’è stata una scoperta letteraria, e poi c'è stata la realtà. Una figura molto bella - non sapevo che fosse un gheronda o uno starets. Ecco come tutto è iniziato.

Chi è un vero monaco?

A mio avviso, l'ideale di un monaco si incarna nella figura dell’abba. I primi padri del deserto erano figure carismatiche, se volete. Si deve prima aggiungere che "padre spirituale", "abba" e "starets" o "gheron" - questi sono tutti la stessa cosa. Oggi si distingue talvolta tra questi tre aspetti, ma in realtà un anziano (gheron o starets) è un padre spirituale, che per rispetto si chiama abba.

Queste erano figure piuttosto sorprendenti e si può dire che ciascuno incarna l'essenza del monachesimo, ma ognuno a modo suo: non ne esistono due identici. Proprio come più tardi con gli startsi qui in Russia - dei quali ce ne sono stati molti, fino ai giorni nostri - che hanno sempre avuto qualcosa in comune e contemporaneamente sono stati completamente diversi l'uno dall'altro. Ogni incarna, a suo modo, l'essenza del monachesimo, e quindi le sue virtù essenziali. Queste virtù essenziali sono l'umiltà, la dolcezza, l'amore per il prossimo, e la preghiera incessante. Sono simultaneamente in comunione pepetua con Dio attraverso la preghiera e in comunione con i loro vicini. Per parafrasare le parole di Evagrio: "Separato da tutto e unito con tutti." Questo è l'obiettivo. Ognuno incarna questo obiettivo a modo suo. Non li si può imitare. Ogni santo incarna a suo modo il cristiano.

Come ha fatto a capire che aveva una vocazione?

Di fatto è stato molto semplice. Non hai bisogno di alcun terremoto o di altri eventi cosmici. Non conoscevo a quel tempo la vita di sant’Antonio, ma poi ho saputo che aveva ricevuto la sua chiamata nello stesso modo. Ero un ragazzo quando sono andato in chiesa una domenica, e leggevano il Vangelo del giovane ricco [cfr. Matteo 1916-1930, Marco 10:17-31, Luca 18:18-30]. Ho subito capito che questo giovane ricco, quel giorno, ero io. Questa non era una parola rivolta a tutta l'umanità: questa è una chiamata che Cristo, quando lo desidera, indirizza a una persona specifica.

Cristo ha chiamato i suoi discepoli singolarmente. Non ha fatto questo appello alla folla, ma ha sempre scelto due fratelli, e poi altri due fratelli: seguitemi. È stata la stessa cosa con questo famoso giovane, che non voleva rispondere. Ho capito che questo ero io, ora, e che dovevo rispondere e, inoltre, che la risposta non poteva che essere "sì". Curiosamente, ero certo al tempo stesso che questo "sì" significava che avrei dovuto diventare un monaco, anche se non avevo mai visto un monaco. Avevo letto alcuni Padri, ma non ero ancora stato in Grecia.

In seguito ho cominciato a cercare il modo per realizzare questa chiamata. In Occidente non era così facile. Nel mondo ortodosso non c'è che il monachesimo, mentre in Occidente esiste un'infinità di ordini e di istituzioni, e ognuno di questi ha le proprie specificità, e quindi uno deve scegliere tra tutti questi. La scelta di un ordine vuol dire non fare ciò che stanno facendo gli altri ordini. Alla fine ho deciso - o Dio mi ha guidato - di scegliere il più antico ordine in Occidente: l'ordine benedettino, le cui radici risalgono all’indivisa Chiesa cristiana del VII secolo, a un grande santo della nostra Chiesa. Vedete, è stato tutto molto semplice.

Ognuno è chiamato a modo suo. Dio chiama tutti in modo personale, perché egli solo conosce il cuore dell'uomo. Egli solo ha creato il cuore umano, e solo lui lo può conoscere, come è detto nella Scrittura e nei Padri. Quindi uno è chiamato alla vita coniugale, e un altro alla vita sacerdotale del servizio di un prete nel mondo, un altro alla vita monastica e, a volte, come nel mio caso, in seguito anche alla vita eremitica. Perché, come sapete, per 32 anni ho vissuto da eremita nelle montagne del Ticino in Svizzera.

Ricordo molto bene che, quando ho preso la decisione di partire per l'eremo, uno dei più anziani monaci, il fondatore di Chevetogne, Dom Lambert Beauduin, mi ha detto: "Io ti capisco: questa è una seconda vocazione" Perché egli stesso aveva ricevuto una seconda vocazione. Era stato un monaco di Maredsous, uno dei principali monasteri in Belgio per molti anni, ma più tardi, quando è stato fondato Amay / Chevetogne, ha avuto questa vocazione. È stato molto rischioso: lasciare una grande, potente, ricca abbazia e lanciarsi in questa avventura, perché nessuno in realtà poteva prevedere se si sarebbe conclusa con un successo o con un fallimento. In un primo momento - era negli anni ‘20 - la gente lo guardava un po' storto, perché sembrava bizzarro ciò che questo monaco voleva realizzare: costruire un ponte tra Oriente e Occidente. Ma è stato un successo, come vedete. Essi esistono ancora e offrono i loro servizi in modo molto disinteressato. Ma per me questo non era sufficiente alla fine.

Qual è la differenza tra la vita monastica in Russia e in Europa?

È molto difficile dare una risposta, perché tutto è in continua evoluzione, tutto è in movimento. Il monachesimo ortodosso e quello cattolico condividono radici comuni, ma si sono evoluti in modo diverso negli ultimi 1700 anni. All'inizio erano molto vicini: c'era intercomunione durante il primo millennio e uno poteva passare da un monastero all'altro. Probabilmente sapete che i benedettini, gli amalfitani, furono tra i fondatori del Monte Athos. Così è stato possibile coesistere. Ma più tardi, alla fine del primo millennio, il monachesimo occidentale ha preso una direzione diversa, ma ora questa è una questione di storia. E l'evoluzione è continuata in Occidente - come pure in Oriente.

In Russia, per parlare del monachesimo russo, c'è stata questa rottura istituzionale - è così che ho capito, in sostanza - con la soppressione pratica dell'istituzione del monachesimo e la distruzione completa dei monasteri. Ma a mio parere - e qui non sono d'accordo con i miei fratelli in Russia, che vedono le cose in altro modo - non vi era alcuna interruzione a livello spirituale. Poiché nella persona degli anziani, l'essenza del monachesimo era sempre stata presente ed è stata in effetti trasmessa. Non è avvenuta la stessa cosa in Occidente: durante la Rivoluzione francese ci fu veramente una rottura completa. I vecchi monaci dei monasteri antichi non entrarono nei nuovi monasteri, che erano stati fondati da preti secolari, non da monaci. Questo era un monachesimo restaurato.

Personalmente credo che i monaci di oggi in Russia farebbero molto meglio a concentrarsi sugli elementi di continuità spirituale, piuttosto che sull'aspetto di rottura istituzionale. Poiché l'aspetto istituzionale è umano, mentre il lato spirituale è divino - è lo Spirito Santo. Conosco un po' la storia del monachesimo in Oriente e in Occidente e ciò che è sempre stato di particolare interesse per me è il modo - molto diverso in Oriente e Occidente - in cui si è ripresa la vita monastica dopo un periodo di decadenza. È inevitabile che ci sia decadenza, le cose non rimangono mai allo stesso livello.

Allora, che cosa si fa? In Occidente, si fanno riforme, riforme monastiche. Ma le riforme sono messe in atto dall’alto - questa è riforma istituzionale. La disciplina nei monasteri è ripristinata o applicata più severamente. Per esempio, i cistercensi volevano riformare l'Ordine benedettino, applicando la regola di San Benedetto alla lettera, ma questo non durò molto a lungo. Diventarono tanto decadenti, per così dire, quanto i benedettini. I trappisti sono una riforma dei cistercensi, una riforma della riforma. Bene. Ma anche questo non durò in eterno.

Sono molto scettico su tutte le iniziative di riforma della Chiesa all'interno, perché si rimane a livello istituzionale. E credo - questa è la mia personale convinzione - che l'uomo ha il diritto di riformare solo ciò che egli stesso ha formato. Guardate le riforme, istituzionali, costituzionali, militari, monetarie, quelle che volete - queste sono riforme delle istituzioni umane. Così l'uomo può modificarle quando necessario. Ma la vita spirituale non può essere riformata. Si possono solo fare o creare - e questo è il compito della gerarchia, dei vescovi e patriarchi - condizioni favorevoli in modo che lo Spirito Santo possa, attraverso buoni monaci, rinnovare il monachesimo dall'interno.

Si può citare l'esempio della rinascita del monachesimo russo guidato da san Paissio (Velichkovskij), ma non c'è bisogno di andare tanto indietro. Possiamo guardare alla Grecia: il Monte Athos nella prima metà del XX secolo era in declino verso lo zero. Ciò era dovuto a circostanze esterne, c'era anche l’eredità della turcocrazia. I monasteri erano impoveriti, i fratelli non vivevano più in comunità, e tutti i più grandi monasteri erano diventati idiorritmici. Così la disciplina era al suo livello più basso. Non erano necessariamente monaci molto cattivi, ma ciò non era secondo i canoni. Poi è arrivata l'espulsione catastrofica della popolazione greca dall'Asia Minore negli anni ‘20, e i grandi monasteri non avevano più le loro zone di reclutamento, perché tradizionalmente i grandi monasteri ricevevano vocazioni da diverse parti dell'Asia Minore. Là c’era stata una popolazione greca molto forte - nel Ponto, a Smirne. Quindi, ci fu il declino.

Padre Gabriel cuoce il suo pane

Sono abbastanza vecchio per ricordare che vi furono calcoli statistici realizzati in Occidente per indicare la data in cui sarebbe morto l'ultimo monaco. Ma questi signori non sapevano che in segreto, negli eremi, il rinnovo era già in corso. Poiché il rinnovo non è venuto dai grandi monasteri, ma dai eremi. Possiamo citare un nome che è molto conosciuto qui in Russia: Giuseppe l’Esicasta, che ha riposato nel Signore nel 1950, insieme a molti altri che non sono altrettanto noti. Ma da questa piccola comunità, che viveva veramente in caverne come i primi padri esicasti, quattro grandi monasteri sono stati rinnovati dall’interno - non vi fu alcuna riforma o intervento massiccio dall'esterno. Poi a poco a poco, per convinzione, tutti i monasteri sono tornati alla vita comune. La vita idiorritmica alla fine non è più esistita. Tutto questo è stato fatto senza alcun intervento. E vorrei sperare che la gerarchia, perché questo è il loro dovere, creerà condizioni favorevoli.

Padre Gabriel cuoce il suo pane

Una di queste condizioni, come sull’Athos, è la libera elezione degli abati. Ora non è così, in Romania o in Russia. Naturalmente, questo non è sempre possibile. A volte un monastero si trova in una situazione in cui non ci sono persone qualificate. Allora il vescovo, la gerarchia, deve intervenire. A questo proposito, l'esempio del rinascimento nell'era di san Paissio (Velichkovsky) è molto significativo. La figura chiave qui era il Metropolita Gabriele (Petrov) di San Pietroburgo. Era un vescovo nominato dalla corte, ma anche un asceta - anche se ciò non era visibile. Il suo attendente di cella era l’anziano Teofane, che era stato discepolo di san Paissio (Velichkovksy), ed era stato in Moldova, in quanto non era più possibile vivere come un buon monaco in Russia dopo le riforme di Pietro il Grande e Caterina. I monasteri erano diventati case per vecchi soldati, più o meno. Così, quando, per esempio, fu necessario per rinnovare la vita a Valaam, il metropolita chiese a Teofane: "Chi possiamo inviare come abate?" Perché non si sarebbe potuto fare un abate sul posto. Quest'ultimo rispose: "Dobbiamo inviare Nazario. È un monaco analfabeta, ma un grande monaco." E di fatto questo Nazario rinnovò completamente quell’antico, grande monastero.

Se desiderate rinnovare la vita spirituale in un monastero, prendete un monaco eccellente - magari sconosciuto, ma che sia noto per avere carisma spirituale. Solo il vescovo può farlo. Il suo ruolo è sussidiario, per così dire. Il monachesimo può essere ravvivato dall’interno - è stato così migliaia di volte. Si tratta di un’antica "istituzione" nella Chiesa. Si può rinnovare dall'interno, ma gli si deve permettere di farlo. Un monastero non deve trasformarsi in una cava da cui i più capaci sono estratti come vescovi. Ma il suo ruolo è molto importante. Non c'è concorrenza, non c'è opposizione tra i monaci e la gerarchia. E molto spesso, come ho già detto, senza l'intervento di un vescovo, forse i monaci stessi non sarebbero in grado di raggiungere questo obiettivo. Questo accade. E poi, in seguito alla nomina di un abate o badessa che sia un buon esempio monastico, il monastero rapidamente rivivere sulla base delle proprie risorse, che erano sempre state presenti.

Come si possono equilibrare preghiera e obbedienze?

Ho sempre fatto questa domanda a monaci e monache durante i miei viaggi. Ho avuto diversi colloqui con comunità femminili. Ci siamo riuniti nel refettorio, e le monache mi hanno fatto domande. Ho potuto vedere bene quale fosse il loro problema. Ma credo che questo sia un falso problema, o un falso antagonismo, per così dire. La cosa più importante nella vita monastica è la vita monastica. Ciò significa che i monaci e le monache devono capire in cosa consiste la loro vita, quali sono le regole, quale è lo scopo, quali sono le tappe, e quali sono le difficoltà - ce ne sono di tutti i tipi. È un processo, un processo progressivo.

Quando un monaco o una monaca non sa queste cose, possono scoraggiarsi molto presto, perché sono sopraffatti dal lavoro e dalle obbedienze e non vedono l'obiettivo più grande. A questo punto vorrei dire che è dovere del padre spirituale, degli anziani veri - e che Dio ci conceda di avere sempre questi veri anziani, e non quelli falsi! - rivolgersi a un monaco o una monaca che dice, "non ce la faccio più, perché ho solo 24 ore in un giorno e posso solo eseguire la mia obbedienza oppure dire la mia regola di preghiera”. Allora bisogna dire “bene" e tornare all'essenziale, perché l'obiettivo della vita monastica, come disse san Giovanni Cassiano, è la purezza del cuore - tutto il lavoro ascetico, l'obbedienza, l'umiltà e sono necessari per la realizzazione di questo. E poi c'è la preghiera incessante, l’incessante contatto con Dio, la capacità di tenere sempre il pensiero di Dio nel proprio spirito - di "respirare il nome di Cristo", come dice sant’Antonio nella sua vita.

Eremo della Santa Croce in Svizzera

Iniziando a un certo momento, non è la quantità di preghiera (o di preghiere), ma la loro qualità che conta. Lo scopo della vita monastica non è di dire tonnellate di preghiera. Naturalmente, in una comunità cenobitica i servizi divini sono essenziali - inoltre, i monaci non li servono solo per se stessi, ma tutta la Chiesa partecipa in loro. Ma non è facendo tonnellate di preghiera che si prega, si deve tenere a mente la qualità della preghiera. La qualità della preghiera significa quell’umile confessione del pubblicano nel tempio. Il fariseo ha fatto tonnellate di cose: il digiuno, l'elemosina, la preghiera, e Dio sa cos'altro. Egli stesso ha fatto una lista delle sue gesta, dei suoi podvig (sforzi ascetici)! Ma non era gradito a Dio, perché il suo cuore non era umile; era convinto che sarebbe stato salvato dalle sue opere. Per quanto riguarda la qualità, il pubblicano non aveva assolutamente nulla, se non la preghiera. Un cuore contrito e umiliato (Salmo 50) - questo è ciò che Dio vuole, questo è ciò che piace a Dio. Questo non può essere raggiunto in una sola volta o al proprio primo tentativo, ma è l'obiettivo di tutta la nostra lotta ascetica.

In definitiva, la vita spirituale diventa molto, molto semplice. Quando lo spirito è costantemente collegato con Dio, nel ricordo di Dio, allora possiamo fare tutto ciò che ci è richiesto, tutto ciò che la nostra forza ci permette di fare. Il cuore è a riposo.

Che cosa le chiedono più spesso i laici, e che consigli dà loro?

Di fatto, i laici arrivano all'eremo con più o meno le stesse domande dei monaci: vengono con domande sulla vita spirituale, su come vivere una piena vita cristiana mentre sono circondati dal rumore del mondo. Io do loro gli stessi consigli che do ai monaci, ma la regola che do a ogni persona è adatta alle loro condizioni di vita. Non posso dare a un giovane uomo sposato con quattro figli, la stessa regola che darei a un uomo più anziano che vive da solo. La stessa cosa è per quanto riguarda una madre di famiglia.

Fotografia di A. A. Rybakov

Perché, vedete, non ci sono due spiritualità diverse. Non si può essere qualcosa di più di un cristiano. Un monaco non è più di un cristiano. Cerca di diventare un cristiano, con i mezzi che i Santi Padri hanno messo nelle nostre mani. Quindi posso dare gli stessi consigli che do ai monaci, ma sempre adattati alle circostanze della propria vita, la propria età, e pure la propria età spirituale.

Ci sono molti cristiani che vivono nel mondo, come per esempio madri di famiglia, che conducono una vita di preghiera molto intensa. Ma quando nasce un primo figlio, e poi un secondo e un terzo, certe cose diventano molto difficili. Per chi aveva l'abitudine di leggere un certo numero di acatisti, ora, con tutte queste piccole persone rumorose ai suoi piedi, non è più così facile. Quindi ha bisogno di scegliere i momenti giusti nel corso della giornata.

Padre Gabriel, si sente spesso dire che le opere dei Santi Padri sono state scritte per persone vissute secoli fa ...

Ma l'uomo rimane lo stesso. Anche le tentazioni rimangono le stesse. L'obiettivo della vita cristiana rimane lo stesso. Gli avversari, i demoni, rimangono gli stessi. E sono i più grandi ecumenisti: essi non fanno distinzione tra confessioni, tormentando tutti i cristiani a prescindere dalla chiesa a cui appartengono. Personalmente, ho l'abitudine di dare per prima cosa a tutti alcuni testi di base, come il Paterikon - i detti dei Padri del deserto - perché questo è il Vangelo così come vissuto nel deserto. Questo è comprensibile a chiunque. Consiglio anche libri simili di questo genere. In una certa misura questo è il mio bagaglio personale che - grazie a Dio! - è stato messo nelle mie mani sin dall'inizio. Perché se ottenete un gusto per l'essenziale e l'autentico (e questi libri sono i più antichi che abbiamo), poi potete leggere tutto quello che volete, come per esempio un libro scritto oggi. Perché allora il vostro palato, la vostra bocca, sarà in grado di distinguere tra il reale e il falso. In primo luogo abbiamo bisogno di affinare il palato, il gusto. E qui è il Vangelo e i testi fondamentali del monachesimo - o di ciò che chiamiamo la vita spirituale - perché nelle Scritture, nel Vangelo e in San Paolo, abbiamo i principi della vita cristiana. Ma nei Santi Padri (sto parlando dei padri spirituali ora, non dei grandi teologi) si vede come questo è stato messo in pratica.

Pertanto, le vite dei santi, che sono state sempre molto lette in Russia, sono eccellenti, perché si può vedere come il Vangelo è vissuto concretamente. Non si può imitarle, ma si può vedere come tutto questo è stato possibile in una circostanza o in un’altra. Mi piace molto leggere le vite dei santi, comprese le vite dei santi recenti. E mi dico sempre: se qualcuno è stato in grado di resistere fino alla fine nelle condizioni intollerabili dei campi di prigionia, allora, nelle mie condizioni veramente favorevoli, devo anch’io essere in grado di farlo - anche se non posso imitarlo in quel modo.

Un’ultima domanda: quante lingue conosce?

Ho imparato l'inglese a scuola e l'ho parlato fin da bambino, poi ho vissuto in Belgio per diciassette anni, e parlo francese. Vivo da 32 anni nella Svizzera italiana, e parlo italiano. Quindi queste quattro lingue, includendo il mio tedesco nativo. Parlo un po’ di  altre lingue - ma, ahimè, troppo poco russo, che ho imparato quando ero giovane in monastero. Ho studiato la grammatica dieci volte, ma a causa delle altre lingue tutto resta un po’ confuso nella mia testa. Avrei bisogno di vivere nel paese per far rivivere tutto ciò che è nella mia testa, ma sapete che è difficile mettere qualcosa di nuovo in una testa vecchia. La gente lo parla molto velocemente, e senza prestare attenzione al fatto che il mio vocabolario è limitato al linguaggio ecclesiastico e liturgico. Ma quando si parla di vita quotidiana - senza parlare della letteratura - mi sono già perduto.

 
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10.000 visitatori!

Ieri il contatore del sito ha superato la soglia dei 10.000 visitatori, a partire dal rinnovo compiuto a fine maggio 2012. Questa cifra si riferisce ai veri e propri visitatori (nel gergo delle statistiche dei siti, “uniques”), e non ai singoli accessi (“hits”) a una o più pagine del sito. La media è di 1250 visitatori al mese, ovvero oltre una quarantina al giorno. E il numero dei visitatori cresce col tempo… Anche se la cifra non è spettacolare, è più che dignitosa per il sito di una parrocchia (MAGARI ci fossero, nella vita reale, più di quaranta visitatori al giorno in ognuna delle chiese ortodosse in Italia...). Questo ci incoraggia a continuare a fornire una documentazione utile a tutti quelli che sono interessati alla fede e alla vita della Chiesa. A tutti quelli che ci visitano, un grazie di cuore! Спаси Вас Господи! Vă mulţumim mult!

 
Islam e cristianesimo: una comparazione

Questo testo è la traduzione di un riassunto di conferenza di un islamologo e teologo cristiano, riprodotto con permesso dell'autore sul sito http://www.answering-islam.org. Si tratta di un buon aiuto al dialogo tra musulmani e cristiani, per chiarire alcune delle molte mutue incomprensioni sulle rispettive fedi.

Il cristianesimo e l'islam condividono molto terreno comune. Entrambi fanno risalire le proprie radici ad Abramo. Entrambi credono nella profezia, nei messaggeri (apostoli) di Dio, nella rivelazione, nelle scritture, nella risurrezione dei morti, e nella centralità della comunità religiosa. Quest'ultimo elemento è particolarmente importante. Sia il cristianesimo che l'islam hanno una dimensione comunitaria: ciò che la chiesa è per il cristianesimo, lo è la "umma" per l'islam.

Nonostante queste significative similarità, tuttavia, queste due religioni mondiali hanno pure un numero di significative differenze. Vorrei fare su queste alcuni commenti - non per dedicarmi a un qualunque tipo di polemica (dato che considero la polemica un segno di immaturità religiosa), ma per promuovere una migliore comprensione. Un vero dialogo tra religioni si può costruire solo sulla comprensione sottile, e non sulla caricatura.

Discuterò di queste differenze sotto quattro titoli generali:

 

I - La comprensione di Dio

Musulmani e cristiani credono che vi sia un solo Dio / Allah. La testimonianza fondamentale dell'islam è chiamata 'shahada', e la sua prima clausola dice "la ilaha illa Allah" - "Non c'è dio all'infuori di Iddio." Questa è certamente una dichiarazione che anche i cristiani affermano.

Ma come cristiani e musulmani concettualizzino Dio nelle loro rispettive teologie, è di fatto una cosa alquanto differente. L'enfasi di Dio nella teologia islamica può essere riassunta in una parola: 'tawhid', che significa "assoluta unità." I musulmani insistono a dire che non c'è distinzione nella Divinità. Dio è sublimemente Uno. Così la polemica islamica contro il cristianesimo si è centrata sulla dottrina della Trinità. Questa è la dottrina che causa i problemi principali ai musulmani che osservano il cristianesimo. I musulmani hanno fatto caricature dei cristiani come triteisti colpevoli di "shirk", vale a dire, di attribuzione di un associato a Dio. Credendo nella Trinità, dicono i musulmani, i cristiani credono in tre dei. Quest'attitudine è espressa nel Qur'an:

Non dite "trinità", Desistete. Sarà meglio per voi. Poiché Dio è Dio Uno (4:171).

Bestemmia chi dice: Dio è uno di tre in una trinità, poiché non c'è Dio all'infuori del Dio Uno (5:76).

Ma chiunque conosca la teologia cristiana sa bene che la dottrina della Trinità è stata articolata precisamente in opposizione all'idea di credere in tre dei! Apparentemente la comprensione della Trinità era molto inadeguata tra i cristiani con o quali interagirono i primi musulmani. Questi primi musulmani, pertanto, giunsero a comprendere la dottrina cristiana della Trinità in termini molto distorti, inadeguati. Sembra persino che alcuni credessero che i cristiani adorino Maria come parte della Trinità! Questa incomprensione della Trinità ha trovato espressione nello stesso Qur'an:

Ed ecco, Dio dirà; "O Gesù figlio di Maria! Hai detto tu agli uomini, "Adorate me e mia madre come dei in deroga di Dio?" (5:119).

Sembra che nell'era del Qur'an molti dessero per scontato che la Trinità fosse composta dal Padre, dal figlio Gesù, e dalla madre di Gesù Mariam (Maria)! Così, la Trinità era incompresa.

Con questo non voglio incolpare la gente di allora. La Trinità non è facile da comprendere; di fatto, è una verità ineffabile, non afferrabile dalla mente umana. Quante eresie sono sorte nella storia cristiana perché qualcuno ha tentato di fare detrazioni dal mistero della Trinità, producendo dottrine più facilmente "digeribili" dalla mente umana. No, la dottrina della Trinità non può essere ridotta alle pallide categorie della ragione umana. È un atto di arroganza pensare di poter afferrare il mistero della Divinità! Dunque, il fatto che la dottrina della Trinità non sia facilmente comprensibile nei termini della ragione umana non ci dovrebbe preoccupare. Questa è ciò che dovrebbe essere l'appropriata risposta cristiana a qualsiasi polemica contro la dottrina della Trinità. Noi in tutta umiltà e sottomissione a Dio possiamo solo dire questo: Dio ha rivelato Se stesso come Trinità, ovvero il Padre, il Figlio e il Santo Spirito. Noi non lo comprendiamo razionalmente; qualsiasi spiegazione a cui arriviamo sarà imperfetta. Ma poiché Dio ha rivelato Se stesso come Trinità, noi ci sottomettiamo a Lui come Trinità anche se non comprendiamo completamente come Egli possa essere Trinità! È blasfemo "ridurre" Dio a qualcosa che possiamo capire. Lo scopo della teologia non è quello di "accorciare Dio" alla misura della ragione umana, ma di elevare la ragione umana alla contemplazione del Mistero Divino - il Mistero che ci insegna che il Dio Uno - in modo ineffabile, incomprensibile - esiste in tre Persone.

Forse il modo migliore per mettere i nostri amici musulmani in grado di capire perché crediamo che Dio debba essere una Trinità è sottolineare l'insegnamento fondamentale del cristianesimo su Dio, vale a dire che DIO È AMORE. Ora, l'amore non può 'mai' essere esercitato in isolamento. Non puoi essere onni-amante ed essere solo. L'amore si manifesta 'in relazione', e per tale ragione il Dio che è AMORE deve esistere in una "comunità all'interno di Se stesso," ovvero, entro una comunità di tre Persone, tra le quali il mutuo amore è così perfetto, che esse, benché tre, sono perfettamente Uno! Questa è la fondamentale verità che sta alla base della dottrina della Trinità. Perciò non cercate di tirar fuori una spiegazione razionale della dottrina della Trinità per cercare di "provare la Trinità" ai vostri amici musulmani. È uno spreco di tempo. Piuttosto, cercate di aiutarli a comprendere come l'affermazione del Mistero della Trinità - nonostante le limitazioni della ragione umana - è parte della resa e della sottomissione ('islam') del cristiano al Dio che è al di là di ogni comprensione! Noi ci arrendiamo alla tuttasanta Trinità non perché possiamo comprendere questo sublime Mistero, ma semplicemente perché questo è ciò che Dio ha rivelato di essere.

È da questa stessa prospettiva - che DIO È AMORE - che dovremmo cercare di spiegare come Gesù possa essere il Figlio di Dio. Tale dichiarazione è blasfema per i musulmani; essi credono che Dio sia "ben al di sopra" dell'avere un figlio. Al contrario, i cristiani vedono la Figliolanza di Gesù non come una bestemmia ma come una testimonianza dell'amore divino, che è così intenso (di nuovo, al di là di ogni comprensione umana) che Dio non si è accontentato unicamente di benedire la sua creazione dall'esterno. No, di fatto si è umiliato fino al punto di divenire parte della sua creazione attraverso l'Incarnazione del suo Figlio Gesù Cristo! Divenendo parte dell'ordine creato, prendendo una piena e completa natura umana, Dio ha santificato l'umanità "dall'interno," per così dire. Sia l'islam che il cristianesimo dicono che Dio è totalmente altro e al di là della comprensione umana, completamente al di là dell'abilità umana di comprenderlo, eppure i cristiani aggiungono qualcosa di completamente differente: che Dio ha santificato il mondo degnandosi di divenire parte di esso, amandoci a tal punto da essere disposto a "scendere dal suo trono", a divenire parte di questo caos che chiamiamo mondo. In questa audace - e meravigliosa - asserzione, il cristianesimo si separa sia dal giudaismo che dall'islam, che sottolineano la totale alterità e trascendenza di Dio, al punto che è per loro incomprensibile che Egli possa divenire parte dell'ordine creato.

Noi cristiani non dobbiamo mai perdere di vista il fatto che anche se siamo trinitari, affermiamo che vi è solo "un Dio". Di fatto, i cristiani ortodossi arabi del Medio Oriente dicono sempre: "Nel nome del Padre e del Figlio e del Santo Spirito, IDDIO UNO!" (in arabo: "Bismilabi wal-ibni war-ruhi-l-quddus, ALLAH WAHID!"). Questo per mostrare che nell'affermare la Trinità, noi non neghiamo in alcun modo che Dio sia uno.

 

II - La comprensione della rivelazione

Il cristianesimo crede che Dio si sia rivelato per redimerci, per salvarci - e cioè per portarci a una pienezza di vita, liberi dai legami del peccato sia in questo mondo che nel mondo a venire. Secondo l'islam, invece, la rivelazione non ha lo scopo della redenzione, ma quello della "guida". Ovvero, la rivelazione di Dio intende fornire ai viventi una guida per la vita in questo mondo.

Nel cristianesimo, la rivelazione è mediata. Noi crediamo che la Bibbia sia la parola di Dio, ma non crediamo che questa parola sia stata trasmessa meccanicamente da Dio attraverso certe persone, come se queste fossero "canalizzatori" di qualche genere. I cristiani sostengono che la Bibbia sia stata scritta da esseri umani sotto ispirazione divina, l'ispirazione dello Spirito Santo. La rivelazione divina è stata così "filtrata" attraverso una lente umana e scritta in parole umane e all'interno della storia umana. È per questo che le nostre scritture si riferiscono a circostanze storiche; descrivono non qualche rivelazione mistica e a-storica di Dio, ma piuttosto sono cronache dell'intervento meraviglioso di Dio nella storia umana.

Nell'islam, invece, il Qur'an è considerato la parola "immediata" di Dio. In altre parole, l'islam sottolinea con molta forza che nel ricevere la sua rivelazione Muhammad era analfabeta - e pertanto completamente passivo. Egli ha semplicemente recitato ciò che gli è stato immesso in bocca, senza alcun apporto da parte sua. ("Qur'an" significa "recitazione.") Il Qur'an - che è visto come eternamente esistente in cielo - è semplicemente disceso (un altro nome per il Qur'an è 'at-tanzil', "ciò che è disceso") e si è espresso passando attraverso Muhammad come strumento passivo di rivelazione. Chiunque sia familiare con la teoria linguistica critica moderna metterebbe in dubbio questo punto di vista. Secondo tale teoria, 'ogni' comunicazione è mediata; appena un pensiero è messo in parole, è mediato. Il fatto stesso che un pensiero sia messo in parole significa che esso viene "elaborato" e passato attraverso una lente umana, per così dire. Tutto il proposito della rivelazione è che Dio, i cui pensieri sono così superiori ai nostri, possa mediare la sua comunicazione a noi attraverso il linguaggio umano. Dio non pensa in linguaggio umano; dire così significa limitare la sua onniscienza, che è ben oltre le limitazioni del linguaggio umano! Così i cristiani devono mettere in discussione il punto di vista islamico della "rivelazione immediata" su basi sia linguistiche che teologiche.

Si dovrebbe anche notare che l'islam è una religione molto più 'librocentrica' del cristianesimo. È sbagliato dare per scontato che il Qur'an sia per il musulmano ciò che il Nuovo Testamento è per il cristiano. Non è così! L'analogia appropriata è questa: ciò che il Qur'an è per il musulmano, 'Cristo stesso' è per il cristiano. Noi non siamo centrati sul 'libro'; siamo centrati sulla 'Persona' (vale a dire, 'cristocentrici')! I musulmani dicono che il Qur'an è il Verbo Eterno di Dio; ma noi non diciamo che il Nuovo Testamento è il Verbo Eterno di Dio. Solo "Cristo" è il Verbo Eterno! Pertanto siate sensibili verso i musulmani. Non insultate mai il Qur'an; insultare il Qur'an sarebbe tanto offensive per un musulmano quanto insultare Cristo sarebbe per un cristiano! A proposito, i musulmani, affermando l'eternità del Qur'an, devono affrontare un problema teologico che è direttamente analogo a quello affrontato dai cristiani che affermano che Cristo è il Verbo, che esiste da tutta l'eternità. I musulmani ci chiedono come noi cristiani possiamo dire che c'è un Dio, che è l'unico eterno, eppure sostenere che Cristo sia esistito da tutta l'eternità. Ci accusano di ascrivere un associato a Dio quando affermiamo ciò. Ma essi si trovano di fronte al nostro stesso problema quando insegnano l'eternità del Qur'an. Come si può sostenere che qualcosa che non è Dio - vale a dire il Qur'an - esiste da tutta l'eternità senza ascrivere un associato (in questo caso un oggetto, piuttosto che una persona!) a Dio? È interessante che sia i cristiani che i musulmani abbiano risolto questi dilemmi teologici paralleli virtualmente nello stesso modo: l'islam asserisce che, dato che il Qur'an è il Verbo di Dio, è sempre coesisitito con Dio - "come parte di Dio," per così dire, dato che Dio non potrebbe mai essere senza il suo Verbo. Noi usiamo lo stesso ragionamento nel difendere la dottrina cristiana dell'eternità di Cristo: Come Verbo di Dio, Cristo è sempre esistito con Dio il Padre. Cristo è co-eterno al Padre poiché Dio il Padre non potrebbe mai esistere separato dal suo Verbo! Un Padre della Chiesa orientale, Gregorio di Nissa, spiegò questo Mistero nel modo seguente: Dio ha fin dall'eternità pronunciato il suo Verbo (ovvero, suo Figlio). e quando fin dall'eternità ha pronunciato il Verbo, è uscito fin dall'eternità dalla sua bocca lo Spirito (ovvero il Santo Spirito, "ruh ul-quddus"), per mezzo del quale il Verbo è stato pronunciato. (Il respiro, dopo tutto, è necessario al discorso!)

Così, fin da tutta l'eternità, il Verbo e lo Spirito sono co-esistiti con il Padre! L'islam sostiene la stessa cosa riguardo al Qur'an come Verbo di Dio! Vedete la similarità nel ragionamento?

In breve, mentre sia l'islam che il cristianesimo affermano che Dio ha parlato e ha rivelato Se stesso all'umanità, v'è ancora una grande differenza: mentre l'islam insegna che il Qur'an è il Verbo di Dio all'umanità, il cristianesimo proclama che Gesù stesso è il Verbo di Dio all'umanità. Per l'islam, perciò, Dio ha parlato attraverso un Libro: per il cristianesimo, al contrario, Egli ha parlato attraverso una Persona. Nell'islam, il Libro arabo scritto è la meraviglia; nel cristianesimo, la Persona di Cristo è il vero miracolo! I cristiani credono che se l'Onnipotente Iddio può rivelare perfettamente la sua volontà attraverso un Libro, come i musulmani asseriscono, sicuramente Egli può fare altrettanto e anche più perfettamente e pienamente attraverso una Persona. Infatti se Dio è un Dio personale, allora una vita personale sarà chiaramente un modo molto migliore di rivelare Se stesso rispetto a qualsiasi Libro, per quanto eccellente questo possa essere.

Dobbiamo anche menzionare qui un altra argomentazione standard dei musulmani contro i cristiani: che le loro scritture abbiano sofferto corruzione e distorsione. Questa è chiamata la dottrina del 'tahrif'.

L'articolazione della dottrina del 'tahrif' è iniziata con il Qur'an stesso. L'islam affermava la veracità delle rivelazioni precedenti date al Popolo del Libro; in teoria, esse erano pienamente coerenti con il Qur'an. Ebrei e cristiani, perciò, erano esortati ad accettare la rivelazione data attraverso Muhammad:

O voi Popolo del Libro! Credete in quanto Noi abbiamo (ora) rivelato, confermando ciò che era (già) con voi. (4:47)

E questo è un Libro che Noi abbiamo inviato, che porta benedizioni e che conferma (le rivelazioni) giunte prima di esso. (6:92)

Quando ebrei e cristiani portarono argomentazioni contro Muhammad e i suoi seguaci sulla base di ciò che insegnavano le loro scritture, tuttavia, i musulmani dovettero prendere in considerazione le discrepanza. Come poteva il testo dell'Antico e del Nuovo Testamento contraddire quello del Qur'an se quest'ultimo era una conferma dei primi?

Un certo numero di risposte si trova nelle 'sure' di Medina. Gli ebrei sono accusati di pervertire coscientemente la parola di Dio dopo averla ascoltata e compresa (2:75). Alcuni di fatto "scrivono il Libro con le loro mani e dicono, 'Questo è da Dio'" (2:79); questi "trasgressori hanno cambiato la parola da ciò che era stato dato loro" (2:59). Altri corrompono il testo spostando parole, cambiandole dal loro posto giusto (4:46, 5:14), o "distorcendo" le loro lingue e pronunciandolo in modo non corretto:

V'è tra di loro una sezione che distorce il Libro con le loro lingue. (Mentre leggono) penseresti che sia parte del Libro, ma non è parte del Libro; ed essi dicono, "Questo è da Dio," ma non è da Dio. (3:78)

Tra gli ebrei vi sono quelli che spostano le parole ... e dicono: "Udiamo e disobbediamo ... con una distorsione delle loro lingue.... (4:46)

Per di più, si lancia l'accusa di occultamento (ikhfa') contro la Gente del Libro. Essi conoscono la verità così come conoscono i loro figli, "ma alcuni di loro la nascondono (2:146); essi pertanto "inghiottono fuoco" e riceveranno una dolorosa pena per la loro duplicità (2:159; 2:174). "Perché vestite la verità di menzogna," si chiede al Popolo del Libro, "e nascondete la verità mentre avete la conoscenza?" (3:71) Muhammad è descritto come colui che è inviato a rivelare loro molto di quanto erano soliti nascondere nel loro Libro (5:16). Gli ebrei sono inoltre rimproverati per avere smembrato la Torah sistemandola in fogli separati "per metterla in mostra" mentre nascondevano molto dei suoi contenuti (6:91). Dei cristiani, si dice che "hanno dimenticato una buona parte del messaggio che è stato inviato loro" (5:15).

Era un modo creativo di tentare di spiegare le discrepanze tra il Qur'an e le scritture precedenti, ma un modo che non ha assolutamente alcuna base nella tradizione manoscritta. Chiunque abbia studiato i manoscritti delle scritture ebraiche e cristiane sa che non esiste alcuna prova della corruzione postulata dalla dottrina del 'tahrif'. Di fatto l'evidenza dei manoscritti, se prova qualcosa, prova quanto accuratamente siano stati tramandati i testi dell'Antico e del Nuovo Testamento!

 

III - La comprensione del peccato e della salvezza

Il peccato e la salvezza sono categorie centrali nella teologia e nella spiritualità cristiana. Il cristianesimo insegna che gli effetti del peccato originale hanno corrotto il mondo e gli esseri umani che vi abitano. Nell'islam, invece, non esiste una cosa simile al peccato originale. Il Qur'an dice invero che Adamo ed Eva hanno peccato, ma secondo la credenza islamica, si sono pentiti e sono stati pienamente perdonati, tanto che il loro peccato non ha avuto ripercussioni sul resto della razza umana.

Credo che il rigetto islamico del peccato originale sia in realtà un rigetto di una 'comprensione specifica' - quella che io considererei una comprensione 'ristretta' - del peccato originale. L'islam rigetta la dottrina del peccato originale che asserisce che tutti gli esseri umani hanno ereditato la colpa - la colpevolezza - del peccato di Adamo ed Eva. Questo sembra ingiusto ai musulmani: Perché dovremmo accettare la colpa per la disobbedienza di qualcun altro?

Per rispondere a questa domanda, noi cristiani dobbiamo andare al di là di una ristretta comprensione agostiniana del peccato originale, la visione che "in Adamo tutti abbiamo peccato." I calvinisti hanno in seguito portato questo punto di vista all'estremo, dicendo che il risultato del peccato di Adamo è la totale depravazione umana; vale a dire, che il peccato originale ha reso gli esseri umani completamente incapaci di fare alcunché di buono senza l'assistenza della grazia divina! Una simile nozione è completamente incomprensibile per i musulmani!

Vi sono tuttavia altre (a mio parere, migliori) comprensioni del peccato originale nella storia della teologia cristiana. Queste possono spiegare il peccato originale all'interessato musulmano in termini più accettabili. I cristiani occidentali (sia protestanti che cattolici) hanno bisogno di muoversi al di là della consueta comprensione agostiniano-calvinista del peccato originale e guardare all'antico Oriente cristiano per quelle che io considererei le spiegazioni più soddisfacenti. Il cristianesimo orientale comprende il peccato originale in questo modo: Nessun peccato commesso è privo di effetti. Ogni peccato che voi e io commettiamo - ogni peccato mai commesso - turba l'intero cosmo. Il vostro peccato non ha solo effetto su di voi ma su chiunque altro e su qualunque altra cosa. Ogni peccato che voi e io commettiamo ha un riverbero in tutto il mondo, in tutto il cosmo. Ogni boccata della vostra sigaretta inquina l'aria che tutti gli altri respirano, per così dire. Così quando l'Antico Testamento sostiene che i peccati del padre ricadranno sui figli, non sta annunciando una minaccia; sta semplicemente descrivendo la realtà. Pensate a questa frase, e io penso che riconoscerete che è vera. È realistico sostenere, come fanno i musulmani, che il peccato di Adamo ed Eva - il primo della razza umana! - non abbia avuto effetti nel mondo in cui tutti gli altri esseri umani sono nati? Penso di no!

No, il peccato ha veramente un "effetto a valanga": si accumula per tutto il corso della storia umana, creando un impatto su tutti quelli che nascono nel mondo. (Di fatto, percepiamo gli effetti del peccato anche prima della nostra nascita, mentre siamo ancora nel grembo di nostra madre!) Ciò che ha iniziato questo effetto è stato il peccato di Adamo ed Eva - il primo peccato, o quello originale, in questo processo. Per i cristiani orientali, dire che tutti soffrono gli effetti del peccato originale non significa dire che tutti sono "nati colpevoli" ma piuttosto che tutti gli esseri umani devono fare i conti con la potente forza del peccato che si è accumulata dal peccato dei nostri Progenitori fino al giorno presente. Se spiegassimo in questo modo il peccato originale ai nostri fratelli musulmani, forse sarebbe più comprensibile per loro (e per noi, potrei aggiungere!).
Una volta che uno comprende il peccato originale in questo modo, penso che il bisogno della salvezza - l'abilità di liberarsi dagli opprimenti legami del peccato che sono cresciuti sempre più forti attraverso i secoli - divenga evidente. Con gli effetti del peccato ovunque attorno a noi, abbiamo una innegabile propensione al peccato; e nessuno di noi è capace di liberarsi da solo dalla presa del peccato. Dato che l'islam ha comprensibilmente reagito contro la comprensione deficitaria del peccato originale che ho descritto prima, ha avuto una tendenza a non essere ricettivo a questa comprensione più realistica degli effetti pervasivi del peccato su tutti gli esseri umani. Perciò, non vede alcun bisogno di salvezza; non può capire come la morte e la risurrezione di Cristo portino salvezza. "Salvezza da cosa?" ci chiedono. Così come è impensabile per i musulmani che una persona debba prendersi sulle spalle la colpa del peccato di un'altra persona, è impensabile che un'altra persona (in questo caso, Cristo) sia in grado di pagare la penalità dei peccati di un'altra persona.

Inoltre, poiché i musulmani credono che i profeti siano senza peccato (questa dottrina è nota come isma'), sembra loro una bestemmia dire che Cristo sia morto della morte vergognosa di un peccatore sulla croce. Essi pertanto negano che sia stato Gesù a essere crocifisso; dicono che fu Giuda (che Dio rese simile d'aspetto a Gesù in modo che soffrisse la sua giusta pena per il tradimento). Per mezzo di questa storia, i musulmani si vedono come protettori dell'integrità profetica di Gesù, dato che un vero profeta, secondo l'islam, non potrebbe soffrire l'indegnità toccata a Gesù. I musulmani affermano che Gesù sia asceso al cielo ma negano che sia morto sulla croce.

Ma torniamo al nostro punto principale: dato che i musulmani non riconoscono il potere universale e corruttivo del peccato, lasciato senza freni come risultato del peccato originale, essi non vedono un bisogno di salvezza nel senso cristiano. Se non esiste una peccato che abbia su di voi una presa soffocante, non avete bisogno di esserne salvati. Ciò che avete da fare, secondo la prospettiva islamica, è vivere una buona vita, compiacendo Dio in tutto ciò che fate. Sottomettetevi a Dio e seguite le Sue direttive. La religione, per il musulmano, non significa salvezza dal peccato; significa seguire il sentiero retto, o la shari'a, circoscritto dalla legge islamica. Mentre il cristianesimo è una fede che si preoccupa principalmente di "ortodossia," o "retta fede," l'islam è una fede che si preoccupa principalmente di "ortoprassi," o retta pratica. È una religione della legge, e vede nel rigetto della legge operato dal cristianesimo (come insegnato da San Paolo nei suoi scritti, specialmente Romani e Galati) come una seria deficienza nello stile di vita cristiano. Questo, naturalmente, non significa che l'islam non si preoccupi affatto della retta dottrina, né che il cristianesimo non si preoccupi affatto della retta pratica. Significa semplicemente che l'enfasi delle due religioni è differente.

Ma questa differenza di enfasi è molto importante. Se uno riconosce il potere pervasivo del peccato, la salvezza non è solo un'opzione; è una necessità. I cristiani lamentano il fatto che una presentazione viziata del peccato originale abbia condotto l'islam dei primordi a "gettare via il bambino con l'acqua del bagno" riguardo alla loro comprensione del peccato. Reagendo contro una comprensione anemica del peccato originale, così come ho descritto, i musulmani hanno mancato quella che i cristiani considerano la verità centrale dell'esistenza umana: che a prescindere da quanto rigidamente uno cerchi di conformarsi alla "retta pratica," cadrà ben prima della meta prevista. Noi non possiamo vivere il tipo di vita voluto da Dio con le nostre forze... Ed ecco perché la salvezza è necessaria.

Tali questioni, naturalmente, sono molto profonde, e io non pretendo di avere esaurito ciò che se ne dovrebbe dire. In questa parte della mia presentazione, ho semplicemente voluto far notare la divergente comprensione cristiana e islamica dei punti cruciali del peccato e della salvezza.

IV - La comunità religiosa

Permettemi di concludere con un tema che riverbera nei cuori sia dei musulmani che dei cristiani: la comunità religiosa. Ciò che la chiesa è per i cristiani, la " umma" è per i musulmani.

I cristiani e i musulmani si considerano allo stesso modo responsabili davanti a una comunità di fede. Non è abbastanza credere isolati; dobbiamo collegarci a fratelli e sorelle nella fede.

Nondimeno, vi sono alcune differenze degne di nota tra la visione cristiana e quella musulmana di comunità religiosa. Non c'è ministero ordinato o "gerarchia" nell'umma islamica. Inoltre, nell'umma islamica c'è un accento maggiore sull'omogeneità - su di un comune modello di vita in tutto il mondo islamico, regolato dalla 'sharia', o legge religiosa - che nella generalità della chiesa cristiana. I cristiani hanno cercato di "incarnare" il cristianesimo per quanto possibile nella cultura locale. Per esempio, la Bibbia, gli inni e i testi liturgici sono tradotti nella lingua locale e adattati alla cultura locale. Al contrario, uno deve imparare l'arabo se vuole essere un buon musulmano. Il Qur'an è considerato "intraducibile"; cioè, per il musulmano il messaggio del Qur'an è inestricabilmente legato alla lingua originale. Sì, uno può cercare di rendere il testo del Qur'an in inglese, francese, tedesco, etc., ma allora non è più davvero il Qur'an, ma solo una sua interpretazione. Così, quando fece la sua famosa traduzione del Qur'an in inglese, il convertito britannico all'islam, Marmaduke Pickthall, non chiamò la sua opera 'Il Glorioso Corano', ma 'Il SIGNIFICATO del Glorioso Corano'. Una traduzione è pertanto vista come una deviazione. Per il musulmano, l'arabo è una lingua sacra; perciò uno può percepire la perfezione e l'inimitabilità (i`jaz) del Qur'an solo in arabo, secondo l'islam.

Inoltre, musulmani e cristiani hanno differenti comprensioni del culto. Ora, riconosco che è difficile parlare di "culto cristiano" come di un singolo fenomeno, perché, come tutti sappiamo, vi sono molte, molte differenti tradizioni di culto nel cristianesimo. Differenti denominazioni pregano in modi marcatamente differenti, rispondendo a differenti contesti sociali e culturali. Nell'islam, tutti i musulmani pregano nello stesso modo, in tutto il mondo, senza variazioni significative, a prescindere dal contesto sociale e culturale. In tutta onestà, mi sembra che ci siano punti di forza sia nell'enfasi cristiana sull'adattabilità che nell'enfasi musulmana sull'uniformità.

Quando si discutono le differenze tra il culto cristiano e quello musulmano, dovremmo anche notare che i musulmani sono molto attenti non solo agli aspetti interiori del culto, ma anche agli aspetti esteriori. In questo i musulmani hanno molto più in comune con il cristianesimo orientale che con il cristianesimo occidentale, specialmente il protestantesimo. Come i cristiani orientali, i musulmani usano l'intero corpo in preghiera. Entrambi, per esempio, fanno prosternazioni a Dio nel proprio culto. Questo sembra strano a molti protestanti, il cui culto consiste nello stare seduti (o forse qualche volta in piedi) in un ambiente confortevole (banchi con cuscini, chiese con aria condizionata, etc.) Ciò che uno fa con il corpo nella maggior parte del culto cristiano occidentale sembra quasi privo di importanza. Non così nell'islam. La sottomissione dello spirito è simbolizzata dai gesti di sottomissione del corpo, fatti secondo uno schema ritualizzato. I musulmani hanno vita molto più facile, pertanto, a comprendere lo spirito che sta dietro al culto liturgico altamente sviluppato dei cristiani orientali, rispetto alla comprensione di ciò che considerano l'eccessivamente informale e sregolato culto dei cristiani evangelici. Per me questo è un tema interessante nelle relazioni tra cristiani e musulmani che ha bisogno di essere esplorato più pienamente nel mondo accademico e nel dialogo inter-religioso: cristiani e musulmani hanno bisogno di esaminare più pienamente - e più obiettivamente - le similarità e differenze tra le loro esperienze di preghiera e di culto.

 
Un'intervista sul "vero digiuno"

Ogni volta che inizia un periodo di digiuno, la Chiesa ci ricorda che il digiuno corretto non significa semplicemente astenersi da certi piatti, ma anche l'astinenza da certe passioni e cattive abitudini. I membri delle sette addirittura ci criticano per l'astinenza dal cibo, dicendo che la Bibbia insegna tutt'altro riguardo al digiuno. Padre, può dirci qualcosa su questo?

Le domande sono molto complesse e cercherò di rispondere a loro una per una.

Fin dall'inizio voglio sottolineare che i digiuni non dovrebbero essere momenti del tutto speciali nella nostra vita, ma solo un'intensificazione della lotta di ciascuno contro il peccato e le passioni. Dopo la caduta dei progenitori nel peccato, l'uomo è chiamato a un continuo digiuno e continenza, alla consapevolezza e alla contemplazione, solo che questo lavoro spirituale è fatto con una diversa intensità nel corso dell'anno liturgico, ma non deve fermarsi mai.

Facciamo un paragone. Un buono studente impara sempre, e in un periodo di esami si limita a intensificare lo studio e a integrare le lacune che gli sono rimaste, e se ha superato bene un esame, non si lascia andare completamente, ma riposa solo un attimo, poi continua la sua strada nel mondo delle conoscenze. Così è stato concepito l'anno liturgico. Ci impegniamo per tutto l'anno, compresi i digiuni del mercoledì e del venerdì di ogni settimana, e nelle più lunghe "sessioni " di digiuno intensifichiamo e colmiamo le lacune della nostra ascesi, per poter vivere più intensamente la gioia e la teologia (!) delle feste. Poi riposiamo un po', liberi in tutte le cose, naturalmente con moderazione, per poi riprendere la nostra ascesi. E questo per tutta la vita...

A proposito del rapporto tra il digiuno alimentare e quello spirituale si può dire molto, ma mi piacerebbe iniziare rispondendo alla domanda sull'approccio dei membri delle sette al digiuno. Il testo di solito invocato dai neoprotestanti è Isaia, capitolo 58, dove il profeta parla del "vero diigiuno". Questo testo è ben noto agli ortodossi e gli inni quaresimali fanno numerosi riferimenti al legame tra l'astinenza dal cibo e l'amore per i poveri. La Chiesa ortodossa non ha mai visto il digiuno alla luce di interdizioni: "ciò che è permesso" e "ciò che non è permesso", ma ci richiama sempre a un riposizionamento delle priorità nella nostra vita, a una revisione di scale di valori. Rinunciando ad alcuni piatti, questo esercizio spirituale è molto più efficace. Questo è il motivo per cui il "vero digiuno" di cui parla il profeta Isaia non esclude, ma include necessariamente l'astinenza dal cibo. Chiedete ai membri delle sette, perché Mosè, Elia, Davide, Giovanni il Battista, gli Apostoli e anche lo stesso Cristo il Salvatore hanno tenuto digiuni alimentari molto severi e duraturi? Non conoscevano il testo di Isaia? Certo che lo conoscevano e lo applicavano pure, solo non come immaginano i membri delle sette che, con le pance piene di carne, gridano nei microfoni "Alleluia". Non è questo il modo di entrare nel regno di Dio (cfr Rm 14:17).

Ma gli stessi membri delle sette dicono che non abbiamo bisogno di digiunare tutti nello stesso tempo, cioè quando lo dicono i sacerdoti, ma chiunque può digiunare quando vuole e come vuole.

Dicono questo perché il loro liberalismo ascetico non consente loro di digiunare per un lungo periodo. Non hanno più né digiuni, né monachesimo, né prosternazioni, solo musica e danze. La Chiesa ortodossa è invece ascetica, secondo il modello di ascetismo che Cristo stesso e gli Apostoli ci hanno lasciato. Perciò i sacerdoti non dicono nulla che viene da loro stessi.

Ma il fatto che gli ortodossi tengono i digiuni tutti insieme, è perché anche le feste le abbiamo tutti insieme e ci prepariamo per loro con riti che centinaia di generazioni di santi hanno vissuto. Quindi abbiamo una seria "Università" (leggi "Chiesa") con serie "sessioni" e abbiamo fiducia che il "diploma" sarà "riconosciuto" nel cielo.

Naturalmente, non avranno il "diploma" coloro che con il battesimo hanno aderito alla "Università", ma non sono mai andati nemmeno a una "lezione", per non parlare delle "sessioni di esame". Ma grazie a Dio, abbiamo molti seri "studenti"...

Penso che questo confronto ci spieghi molte cose, ma molti ancora si chiedono come dovrebbe digiunare dal punto di vista alimentare l'uomo moderno, dato che vive nel mondo e lavora molto?

In primo luogo, riprendo l'idea che il digiuno alimentare deve essere accompagnata dalla custodia dei sensi e degli appetiti più nascosti e (apparentemente) "innocenti", e l'ascetismo stesso deve essere vissuto come un sacrificio di purificazione fatto per amore di Dio e del prossimo. Ecco perché il digiuno richiede molta preghiera e contemplazione spirituale, e una pratica più intensa di buone azioni. Alla fine del IV secolo, san Giovanni Crisostomo diceva che nei digiuni dovremmo scegliere i cibi più economici e più semplici, e che dovremmo condividere con i poveri la differenza di prezzo con i cibi abitualmente consumati, e solo così il digiuno sarà accettabile davanti a Dio. Questo consiglio di san Giovanni Crisostomo è sempre stato una "pietra di inciampo" per i cristiani, soprattutto quando si sono legati più alla lettera del digiuno che non al suo spirito.
Nel corso del tempo, la Chiesa, sulla base di esperienze vissute, ha sviluppato e proposto (!) alcune regole generali di digiuno, fissate nel calendario della Chiesa e che rimangono sempre valide. Secondo tali regole, i cristiani sono chiamati in tutto il periodo della Quaresima ad astenersi da prodotti di origine animale: carne, latte, formaggio, uova, ecc. Inoltre, solo in alcune feste si permettono pesce e vino, e nei monasteri esiste anche la regola dell'astensione dall'olio o dai cibi cotti. In aggiunta a queste norme relative alla preparazione e qualità del cibo, è importante prenderne in considerazione la quantità. Il fatto che abbiamo rinunciato alla carne, non significa che possiamo riempirci di patatine fritte. Quindi dobbiamo cambiare non solo la qualità del cibo, ma anche ridurne la quantità. Ecco perché, in certi giorni di digiuno, la Chiesa indica un pasto al giorno o addirittura ordina il digiuno totale ("nero").

Ci sono cristiani che non vogliono nemmeno provare a digiunare come la Chiesa raccomanda, ma ci sono anche molti che non riescono a rispettare queste restrizioni alimentari. Per esempio, la Chiesa non ha mai chiesto una rigorosa osservanza delle regole del digiuno ai bambini fino a 7 o addirittura a 12 anni, agli anziani deboli, ai malati, alle donne incinte o a quelle che allattano, ai soldati e ad altre categorie più specifiche di persone. Costoro sono invitati a digiunare almeno il mercoledì e il venerdì, e meno che un medico non prescriva espressamente il consumo di carne, sarebbe un bene che anche queste categorie se ne astengano durante il digiuno.

Purtroppo, ci sono molti cristiani che scappano furbescamente o almeno che si spaventano del digiuno, nascondendosi dietro queste deroghe alla regola, chiedendo che le regole del digiuno siano rilassate senza che ce ne sia bisogno. Non tutte le malattie comportano un permesso di mangiare latticini o pesce, perché ci sono malattie che in realtà richiedono un digiuno più duro di disintossicazione. E se una persona mangia cibi di digiuno solo a scopo terapeutico, questo non è un digiuno, ma una dieta; invece se la perdona, insieme con l'alimentazione di digiuno, prega, si confessa, si comunica, allora il digiuno è utile al corpo e all'anima.

Ho volutamente escluso dalla lista delle eccezioni al digiuno quelle per chi è in viaggio, anche se gli antichi Padri slegavano dal digiuno i viaggiatori. Ma qui dobbiamo essere onesti. In passato la gente viaggiava a piedi o in carrozza, e il viaggio poteva richiedere giorni o addirittura mesi. Ora, però, il in 5 ore d'aereo si può viaggiare in tutta l'Europa, seduti su comode poltrone e a temperature confortevoli. Quindi, di che tipo di eccezione possiamo parlare? In una situazione diversa sono i camionisti che stanno per mesi sulla strada e mangiano nelle stazioni di servizio. Ma in tal caso non sono più viaggiatori, bensì lavoratori e, in determinate circostanze, il loro lavoro può giustificare qualche dispensa.

Alla fine, dobbiamo capire che il digiuno non è un fine a se stesso, ma un mezzo attraverso il quale purifichiamo le nostre passioni e ci avviciniamo a Dio. Il digiuno non intende uccidere le persone, ma le loro passioni. Per una persona malata, la malattia stessa è un digiuno e non è necessario affaticare tale persona anche con eventuali restrizioni alimentari. Ma se un paziente che è costretto a mangiare latte e carne è ancora governato da passioni, lui e il suo confessore dovrebbero trovare un altro modo ascetico efficace per sbarazzarsi di quelle passioni. Si dovrà trovare una disciplina tale da annullare qualsiasi dipendenza o vizio. Lo stesso vale per i bambini. Questi possono mangiare qualunque cosa sia data loro, ma magari a casa bisogna insegnare loro che non tutto è permesso. Questo li aiuterà nella vita. Infatti, se il bambino sa che quando farà la cena con la sua famiglia, non gli è permesso mangiare carne (soprattutto perché la sua mancanza a tavola non incide sulla crescita e sullo sviluppo) gli sarà molto più facile capire perché invece di due ore di videogiochi glie ne è permessa solo mezz'ora.

Il digiuno educa molto bene la volontà e il carattere umano, perché disciplina anche gli istinti più naturali. Pertanto, è una grande occasione per sbarazzarsi di altri vizi come il fumo, la dipendenza dall'alcol, dalla televisione, dai videogiochi o dalla musica e giochi. Proprio un periodo di digiuno è il momento in cui la fame del corpo deve essere completata dalle letture dei Salmi e il Vangelo, mentre il calcio, i teleromanzi e vari divertimenti dovrebbero scomparire dalla nostra vita. E forse dopo il digiuno potremmo anche non volere tornare a quelle cose...

In conclusione, possiamo dire che ogni cristiano, a seconda dell'età, della salute e del lavoro, consultandosi con il suo confessore, sceglie la propria misura di digiuno. Questa misura qualitativa e quantitativa di digiuno deve essere quanto più vicina alle norme generali sperimentate e raccomandate dalla Chiesa. Per esempio, la prima e l'ultima settimana di Quaresima, forse non sarebbe così difficile rinunciare alla colazione, e se qualcuno vuole mangiare solo cibo secco, come raccomandato dal tipico monastico, non dovrebbe essere orgoglioso o immaginare di aver fatto qualcosa di grande. Così ogni per mantenere e per farlo lontano da onesto e Dio...

Quale può essere la via di mezzo tra il digiuno molto duro richiesto dalle ordinanze della chiesa e le offerte "di digiuno" dell'industria alimentare moderna?

È importante capire che nessun cibo in sé è impuro o proibito. Il digiuno è l'astensione volontaria da cibi grassi, gradevoli e costosi. Sostituire la carne con prodotti di soia complementari non è digiunare, anche se a volte queste cose si possono permettere. Una signora in chiesa mi ha dato del cioccolato e ha dichiarato che è 'di digiuno'. Le ho detto: "Grazie, ma per me il cioccolato non è di digiuno". Poi la signora ha iniziato a leggermi gli ingredienti del prodotto, per convincermi che era senza latte. Alla fine ho dovuto ammettere: "Vede, a me piace fin troppo il cioccolato e, quindi, qualunque sia la sua composizione, per me il cioccolato non sarà mai di digiuno". Forse mi sbaglio, ma questa è la mia comprensione del digiuno.

Beninteso, in famiglia, una donna deve saper cucinare piatti diversi di digiuno per alimentare i familiari. Ma quando le donne cercano le più stravaganti ricette "di digiuno " e spendono 2-3 volte tanto per il cibo di digiuno rispetto ad altri periodo, questo già non è più digiuno. Durante i periodi di digiuno la Chiesa permette il consumo di "frutti di mare" (gamberetti, granchi, vongole, polpo, ecc., senza sangue), ma dato il loro prezzo e i problemi che danno alle cuoche, questi quasi cessano di essere cibi di digiuno. Ricordiamo il principio di san Giovanni Crisostomo: il cibo deve essere semplice e poco costoso, e la differenza di prezzo rispetto al cibo normale è da dare ai poveri. Qui inganniamo noi stessi e in pratica non capiamo il tipo di digiuno che Dio vuole da noi...

Ma cosa mangiare quando si è ospiti, ai compleanni e ad altri eventi sociali?

Prima di tutto dovete sapere che la Chiesa proibisce le feste di compleanno in Quaresima (Canone 52 di Laodicea), e quindi è meglio che i cristiani si astengano da tali eventi. E se si va semplicemente da qualcuno per ospitalità, penso che sia meglio concordare in anticipo con i padroni di casa ciò che mangeremo.

Se si tratta di un digiuno particolare e facoltativo dovremmo mangiare quello che ci viene messo sulla tavola e di non mostrare agli altri che digiuniamo. Ma quando si tratta della Grande Quaresima, questa è obbligatoria per tutti i battezzati nella Chiesa Ortodossa, e se un credente si comporta come i non credenti, questo non aiuta, ma è occasione di offesa e di caduta personale. Mostrando invece la propria fedeltà alla regola generale della Chiesa, si possono incoraggiare anche gli altri, facendo capire che non è poi così difficile digiunare.

Non escludo che ci possano essere situazioni in cui si può mangiare tutto ciò che vi è messo dinanzi (come dice anche il Vangelo), ma in questo caso dobbiamo essere onesti con noi stessi e non approfittare di tali opportunità, soprattutto di fronte a questa società ipocrita e immorale.

Accade spesso che mentre sei seduto a tavola con gli altri, nessuno se accorge se mangi il pane oppure no, se hai assaggiato l'insalata oppure no, ma tutti seguono se hai mangiato carne e hai bevuto alcolici tanto quanto hanno mangiato e bevuto loro. E se non hai fatto come loro, prendono a ridere e ti additano. Perciò abbiamo bisogno di molta forza spirituale e di coraggio.

Ma come dovrebbero essere i rapporti coniugali durante il digiuno?

Avendo una certa esperienza pastorale, vorrei, in primo luogo, "deludere" le persone non sposate che vengono a confessarsi e dicono che hanno avuto rapporti con i loro "partner" in giorni di digiuno. Nel loro caso, tali rapporti sono vietati anche al di fuori dei digiuni, per non parlare dei periodi di digiuno. E se tuttavia ci sono coppie conviventi che riescono ad astenersi dai rapporti intimi durante i digiuni, questo è lodevole, ma non è ancora abbastanza per dare loro l'assoluzione per comunicarsi.

E ora torniamo alla vostra domanda e iniziamo a precisare che, a differenza del digiuno alimentare, il digiuno coniugale copre due persone distinte e proprio per questo la misura del digiuno coniugale deve essere stabilita di comune accordo. Ecco cosa dice san Paolo a questo proposito: "La moglie non è arbitra del proprio corpo, ma lo è il marito; allo stesso modo anche il marito non è arbitro del proprio corpo, ma lo è la moglie. Non astenetevi tra voi se non di comune accordo e temporaneamente, per dedicarvi alla preghiera, e poi ritornate a stare insieme, perché satana non vi tenti nei momenti di passione" (I Corinzi 7:4-5).

Sarebbe ideale che tutte le coppie cristiane mantengano la castità per tutta la durata del digiuno, ma molto spesso questo non è possibile, e il rifiuto di un coniuge di avere rapporti porta a scandali e anche a delusioni. Se, per esempio, in tal caso l'uomo va con un'altra donna, la maggior parte della colpa è della moglie che si è rifiutata al marito. Naturalmente anche marito deve essere comprensivo, e se non vuole confessarsi e comunicarsi, dovrebbe almeno lasciare che la moglie si prepari debitamente alla comunione (e non solo durante i periodi di digiuno, ma anche negli altri periodi).

Perciò, le relazioni carnali tra coniugi durante un digiuno non possono essere considerate un peccato maggiore dei giudizi nei confronti del prossimo, della menzogna, della dipendenza dalla televisione o del piacere di mangiare cioccolato. Alla fin fine i coniugi sono benedetti da Dio per essere una carne sola, e dopo il matrimonio dovrebbe esserci una misura concordata dalle due parti dello stesso corpo, perché non è possibile che metà del corpo vada a destra, e l'altra a sinistra.

Soprattutto con le famiglie giovani i sacerdoti sono abbastanza indulgenti in questo senso (anche se alcune donne si scandalizzano), ma penso che le persone che hanno già più di 40-50 anni abbiamo bisogno di mostrare più moderazione, soprattutto perché la maggior parte al raggiungimento di questa età non vuole o non può avere figli.

Ma quante volte dovremmo comunicarci in un periodo di digiuno?

Il digiuno è un periodo più favorevole per il pentimento, la confessione e la comunione, ma la comunione stessa si può e si deve fare non solo nei periodi di digiuno, ma durante tutto l'anno liturgico, non meno di una volta ogni tre domeniche (cfr. can 80 Trullo). Durante un digiuno davvero non c'è alcun motivo per non comunicarsi, quindi è bene che i cristiani che non hanno peccati da scomunica ricevano la comunione almeno ogni domenica della Grande Quaresima.

Purtroppo, di solito c'è tra la gente un'abitudine sbagliata a comunicarsi solo una volta in tutta la Grande Quaresima, e subito dopo di interrompere il digiuno. Il digiuno si interrompe solo nella notte di Pasqua e solo chi ha digiunato per l'intero periodo come si deve potrà godere correttamente della festa della Resurrezione. In caso contrario, la Pasqua è semplicemente un modo di mangiare e bere, ma senza un risurrezione spirituale dell'anima. E la risurrezione è Cristo stesso, ed è lui a cui partecipano coloro che si comunicano continuamente (Giovanni 6:47-58).

Padre, la ringraziamo e la preghiamo di benedirci.

Il Signore ci benedica tutti perché possiamo percorrere la Grande Quaresima con molto beneficio spirituale e per giungere più illuminati alla gloriosa festa della Risurrezione.

 
Risposte a obiezioni alla dichiarazione contro il razzismo

Recentemente ho preso parte alla pubblicazione di una dichiarazione contro il razzismo che ha suscitato una notevole reazione. La reazione è stata in gran parte positiva, ma non del tutto, quindi tratterò le critiche più comuni che ho visto finora. Naturalmente non tutti quelli che si sono opposti a parti della dichiarazione si sono opposti al suo punto principale, cioè che il razzismo è sbagliato; e quindi voglio dire chiaramente che molte delle obiezioni provengono da persone di buona volontà, a cui semplicemente non piaceva il modo in cui alcune cose sono state dichiarate. D'altra parte, la reazione di un certo numero di veri razzisti ha, a mio parere, solo servito a confermare le preoccupazioni espresse nella dichiarazione.

1. Una tale dichiarazione era necessaria?

Si potrebbe sicuramente esagerare il problema del razzismo nella Chiesa ortodossa, e penso che molti lo abbiano fatto. Tuttavia, non sono sicuro di quanti espliciti difensori del razzismo che affermano di essere ortodossi debbano esistere, prima di poter dire che è necessaria una risposta. Tuttavia, penso che quando esiste qualcuno come Matthew Raphael Johnson, che sostiene di essere un prete ortodosso, e che ha un piccolo gruppo di seguaci apparentemente ortodossi, un podcast su Radio Aryan (un sito web apertamente neo-nazista, che celebra, per esempio, gli eroi delle Waffen SS), e si impegna in manifestazioni pubbliche con neonazisti e membri del Ku Klux Klan, allora esiste un problema che deve essere affrontato.

Matthew Raphael Johnson, con il casco e lo scudo con la croce verde. Notate il membro del Ku Klux Klan in piedi di fronte a lui, con la croce del Klan sulla sua maglietta. La foto viene da un raduno di "White Lives Matter" nell'ottobre del 2017

Da un lato, non penso che dovremmo andare a caccia di streghe, alla ricerca di persone che sospettiamo di essere razziste, senza alcuna prova sostanziale, ma d'altra parte, quando ci sono persone che si dicono ortodosse e si presentano ai raduni neo-nazisti cantando canzoni naziste e usando l'immaginario e la retorica nazista, allora c'è un problema (a parte il fatto che cantano da cani).

Personalmente ho tenuto un bel po' di discussioni con queste persone su vari forum, e qui non stiamo parlando solo di uno o due svitati. Vorrei che fosse così, ma Matthew Raphael Johnson ha fatto campagne attive di reclutamento di nazionalisti bianchi per farli unire alla Chiesa ortodossa. Ora, se questi diventassero ortodossi dopo essersi pentiti del loro razzismo, sarebbe fantastico, ma non è quello che sta succedendo, e quindi possiamo affrontare questo problema ora, mentre è ancora relativamente piccolo, oppure possiamo lasciarlo crescere e incancrenire e trovarci un giorno un problema molto più grande tra le mani.

2. La razza è un costrutto artificiale?

Quando diciamo che qualcosa è un costrutto artificiale, ciò non significa che non abbia alcuna connessione con la realtà osservabile, o che la realtà osservabile con cui ha a che fare non sia reale. Significa che il costrutto è qualcosa che sovrapponiamo a ciò che osserviamo come mezzo per comprendere ciò che vediamo.

Ci sono alcune distinzioni che noi facciamo e che sono molto chiaramente richiamate dai fatti della natura. Per esempio, quando diciamo che l'acqua ha tre forme, gassosa, liquida e solida, queste sono distinzioni che derivano direttamente da ciò che osserviamo, e non ha molto senso scegliere di guardare l'acqua in modo diverso, e ignorare queste distinzioni. Anche il sesso non è un costrutto artificiale. Uomini e donne sono fisicamente distinti, e queste differenze sono distinzioni essenziali per la riproduzione umana. Non si può produrre naturalmente un bambino senza un uomo e una donna che lo facciano nascere, e quindi non c'è nulla di artificiale in queste differenze.

D'altra parte, prendiamo la questione del colore. Non possiamo negare che ci siano varietà di colori. Ma il modo in cui noi vediamo esattamente un colore è in qualche modo un costrutto artificiale. Esistono innumerevoli variazioni di colore, ma nella cultura tradizionale cinese, per esempio, si parla di cinque colori: verde e blu sono visti come lo stesso colore generale, quindi ci sono rosso, giallo, bianco e nero – che corrispondono ai 5 elementi di base della cultura tradizionale cinese: legno, fuoco, terra, metallo e acqua. I cinesi vedono gli stessi colori che vedono tutti gli altri, ma nella nostra cultura, noi non abbiamo mai suddiviso i colori esattamente nello stesso modo.

Un altro esempio sono i cicloni tropicali. Nessuno negherebbe che siano reali, meno di tutti quelli che vivono lungo la costa del Golfo del Messico, ma noi li suddividiamo con una costruzione artificiale. Parliamo di depressioni tropicali, tempeste tropicali, e poi di uragani, che dividiamo ulteriormente in 5 categorie. Non c'è nulla nella natura stessa che dice che quando la velocità media del vento di una simile tempesta va da 73 miglia all'ora a 74 miglia all'ora, si sia attraversato un confine molto significativo, ma fino a 73 miglia all'ora si ha una tempesta tropicale, e da 74 miglia all'ora si ha un uragano. Ora questo costrutto artificiale è certamente utile. Se sento che un uragano di categoria 5 è diretto verso di me, sono molto più preoccupato di quanto lo sarei se sento che una tempesta tropicale si sta dirigendo verso di me, ma a seconda dei tipi di tempesta, le tempeste tropicali possono fare molto più danni di quanti ne farebbe un uragano – la tempesta tropicale Allison ne è un esempio calzante.

Nessuno negherebbe che vedendo una persona bianca e una persona di colore si vedono colori della pelle che riflettono geni provenienti da diversi pool genetici regionali. Ma il modo in cui scegliamo di vedere i vari tratti genetici che vediamo nelle persone è nondimeno un costrutto artificiale, che imponiamo culturalmente su differenze reali e osservabili. Se prendete, per esempio, le tradizionali classificazioni razziali usate negli Stati Uniti, di solito parliamo di caucasici / bianchi, di afroamericani / neri, di indiani americani / nativi americani, di asiatici e isolani del Pacifico, di ispanici e di "altri". Ora, potremmo scegliere di dire che gli asiatici e gli abitanti delle isole del Pacifico dovrebbero essere raggruppati con gli indiani d'America, perché sono tutti classificati come "mongoloidi". Ma potremmo anche scegliere di fare molte altre distinzioni, perché in effetti, ci sono molte differenze evidenti nell'aspetto tra il cinese medio e il navajo medio. Ma non c'è nulla in natura che dice che dovremmo fermarci a questo punto, perché anche in Cina ci sono molte differenze regionali nell'aspetto fisico, che i cinesi notano. Anche io di solito riesco a vedere la differenza tra i cinesi, i coreani e i giapponesi... anche se ovviamente, dal momento che questi gruppi non sono stati completamente isolati l'uno dall'altro, non è sempre facile determinarla, e molte volte si potrebbero fare errori e indicare un paese d'origine sbagliato. Inoltre, molti cinesi hanno una pelle relativamente chiara e molte persone provenienti dal sud dell'Asia hanno una pelle piuttosto scura. E il fatto che le distinzioni razziali siano artificiali è ancora più chiaro, se consideriamo che una persona che possiede il 25% di DNA africano e il 75% di DNA europeo viene definita "nera". Non c'è nulla nella scienza o nella natura che richieda una simile conclusione, ma questo è spesso il modo in cui la nostra cultura sceglie di vedere le cose. Noi potremmo scegliere di vedere una persona come bianca, o potremmo metterla del tutto in un'altra categoria razziale. La scienza non impone un modo di vedere una persona – queste sono nostre scelte culturali. Alla luce del DNA, gli scienziati concordano generalmente sul fatto che la razza è un costrutto artificiale (si veda Megan Gannon, Race Is a Social Construct, Scientists Argue, Scientific American, 5 febbraio 2016). E mentre usare questo costrutto per fornire descrizioni rapide delle persone può essere a volte utile – per esempio, quando stai cercando di chiarire a chi ti stai riferendo, può essere conveniente dire che stai parlando di "quel vecchio asiatico che indossa un maglione blu". Tuttavia, le distinzioni razziali non sono costrutti utili nella Chiesa. Non troverete un singolo canone della Chiesa che impieghi il costrutto della razza. E così, come cristiani, mentre facciamo uso di distinzioni razziali nel nostro discorso, dovremmo capire che queste non sono distinzioni essenziali, e che non dovremmo permettere che quelle distinzioni ci dividano, specialmente quando si tratta dei nostri fratelli e sorelle nella Chiesa.

3. San Paolo, sant'Agostino e san Giovanni di Shanghai

La dichiarazione iniziava con questa citazione:

"Il santo apostolo Paolo, nel suo discorso sull'Areopago ad Atene, affermò inequivocabilmente che Dio ha fatto di un solo sangue tutte le nazioni degli uomini perché dimorassero sulla faccia della terra" (Atti 17:26).

Alcuni hanno cercato di suggerire che ciò che segue questa citazione nega il punto che stavamo sottolineando: "...per loro ha determinato l'ordine dei tempi e i confini del loro spazio". E quindi il suggerimento è che qui san Paolo stava effettivamente affermando la separazione razziale. Il problema è che non troverete nessun Padre della Chiesa che legge il testo in questo modo. Nel contesto, abbiamo san Paolo, che ha vissuto la maggior parte della sua vita come ebreo che vive tra non ebrei. In questo testo si rivolge ai non ebrei con il messaggio che in passato non conoscevano il vero Dio, ma che Dio ora chiamava anche loro a pentirsi e ad abbracciare Cristo. In quel contesto, è probabile che san Paolo stesse cercando di affermare la separazione delle razze? Se era quello il suo scopo, si è contraddetto, perché in Galati 2 parla di come ha rimproverato san Pietro di essersi separato dai credenti gentili per paura che i cristiani ebrei sostenessero una stretta osservanza della legge cerimoniale mosaica:

"Ma quando Pietro giunse ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto, perché aveva torto. Infatti, prima che venissero alcuni da parte di Giacomo, mangiava con i pagani: ma quando furono venuti, si ritirò e si separò da loro, temendo quelli che venivano dalla circoncisione" (Galati 2:11-12).

Questa sarebbe una presa di posizione piuttosto strana per san Paolo, se credesse che Dio abbia stabilito un legame con la nazione ebraica, e che non dovessero mescolarsi con i non ebrei. Gli ebrei vedevano il mangiare assieme a qualcuno come un atto comunitario molto importante, e così non mangiavano con i pagani, e credevano di essere contaminati se mangiavano con loro. E così quando san Paolo attirò l'attenzione sul cambio di pratica di san Pietro per quanto riguarda il mangiare con i cristiani gentili, questa non era una cosa da poco, o un dettaglio accidentale.

santa Monica

Matthew Raphael Johnson cita l'interpretazione di sant'Agostino di Galati 3:28, come per suggerire che sant'Agostino sosteneva il separatismo razziale, perché afferma che sebbene in Cristo non ci sia "né ebreo né greco, né schiavo né libero, né maschio né femmina", tale distinzione rimane in questa vita. Tuttavia, non solo sant'Agostino non affronta la questione della separazione delle persone in base all'etnia (egli afferma solo che in questa vita rimangono le distinzioni etniche), sant'Agostino è un caso di mescolanza etnica. Sant'Agostino era un nordafricano di quella che è ora l'Algeria, e sua madre, santa Monica era quasi certamente di stirpe berbera, perché il suo nome è, in realtà, un nome berbero.

4. Che dire del razzismo contro i bianchi?

La dichiarazione condanna tutte le forme di razzismo. Da nessuna parte la dichiarazione suggerisce che solo i bianchi possono essere razzisti o che non sono mai oggetto di razzismo. Tuttavia, ha citato specificamente un esempio di razzismo contemporaneo:

"L'adozione di immagini, retorica e tattiche fasciste da parte di gruppi che pretendono di rappresentare il "nazionalismo bianco" negli Stati Uniti è un esempio calzante e costituisce un chiaro passo nella direzione degli estremi da cui la Chiesa russa ci mette in guardia".

I bianchi sono talvolta oggetto di razzismo? Sì. Non era intenzione della dichiarazione stabilire quale sia il più grande gruppo di vittime del giorno. Tuttavia, il fatto è che esiste un piccolo gruppo di razzisti che usano l'immaginario, la retorica e le tattiche fasciste con cui hanno identificato pubblicamente se stessi e quindi la loro interazione con la Chiesa ortodossa è stata la ragione per cui è stato menzionato questo specifico esempio. Suppongo che avremmo potuto citare anche la violenza degli hutu contro i tutsi, ma non penso che questo sarebbe un esempio molto pertinente per le persone che probabilmente leggeranno la dichiarazione in questione.

Il podcast di Matthew Raphael Johnson citava statistiche sui crimini che indicano che i neri commettono crimini contro i bianchi a un tasso più alto di quello dei bianchi che commettono crimini contro i neri. Ovviamente, in passato, la violenza era più spesso diretta nella direzione opposta. Certamente, dove ci sono neri che sostengono la violenza o l'odio contro i bianchi, questo dovrebbe essere condannato altrettanto vigorosamente di quando i bianchi difendono la violenza o l'odio contro i neri. Non importa chi si dia al razzismo... questo è sbagliato il 100% delle volte.

Tuttavia, anche se i neri radunassero i bianchi e li mettessero in camere a gas, o se i bianchi radunessero i neri per lo stesso scopo, ciò non sarebbe una giustificazione per odiare neppure i colpevoli dei crimini reali. Come cristiani ci viene detto che dobbiamo amare i nostri nemici e anche quelli che ci maltrattano:

"Avete sentito che è stato detto: amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico, ma io vi dico, amate i vostri nemici, benedite quelli che vi maledicono, fate del bene a quelli che vi odiano e pregate per chi vi maltratta e vi perseguita, perché possiate essere figli del Padre vostro che è nei cieli, perché egli fa sorgere il suo sole sui malvagi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti" (Matteo 5:43-45).

Se questo è vero anche per quelli che sappiamo che ci odiano, e da cui abbiamo ricevuto personalmente abusi, è ancora più vero per le persone che non sono colpevoli di queste cose, ma assomigliano a loro. Ciò non significa che non possiamo parlare contro gli episodi di ingiustizia laddove si verificano effettivamente... in effetti, dovremmo farlo , indipendentemente da chi siano i colpevoli e le vittime.

Raccomanderei la lettura di un vecchio saggio di Alexander Solzhenitsyn, Pentimento e auto-limitazione nella vita delle nazioni (che ho trovato nel libro "From Under the Rubble", a partire da pagina 105 e disponibile online). Quando c'è una storia di ostilità etnica, l'unica via da seguire è il pentimento e la riconciliazione.

5. Il razzismo sistemico e istituzionale

Alcune risposte hanno fatto eccezione al riferimento alla "ingiustizia sistemica e istituzionale" nella seguente dichiarazione:

"Tutto ciò ovviamente preclude qualsiasi odio personale, pregiudizio o risentimento verso gli altri a causa della loro" razza "o nazionalità, e deve anche guidare i cristiani ortodossi a rifiutare e contrastare l'ingiustizia sistemica o istituzionale contro le minoranze razziali o nazionali".

Alcuni hanno affermato che questo linguaggio era di origine marxista. Questo documento era uno sforzo collaborativo di quattro sacerdoti, e poiché io non ero quello che ha suggerito quella frase particolare, mi sono chiesto se esista una cosa come l'ingiustizia sistemica o istituzionale, e quando si considera il sistema delle leggi Jim Crow che una volta prevaleva in gran parte del Sud, non posso negare che questa sia una descrizione equa di tale sistema. Oggi, negli Stati Uniti, questo tipo di discriminazione è illegale, ma mentre sono d'accordo sul fatto che tali ingiustizie sono molto più rare di quanto non fossero una volta nel nostro paese, non sono così sicuro che non ci siano ancora resti di tali ingiustizie che le persone di colore incontrano ancora, ma dal momento che sono illegali, sarebbero anche più difficili da dimostrare, perché chi si comporta in questo modo avrebbe ovviamente delle ragioni per camuffare il proprio comportamento. Ma ci sono chiaramente esempi di ingiustizia sistemica e istituzionale in atto altrove nel mondo: basti pensare, per esempio, al trattamento dei cristiani nella maggior parte del Medio Oriente. La dichiarazione non diceva nulla su quanto tali cose fossero pervasive, o su dove si trovassero, ma solo che dovremmo rifiutare queste cose, e mi sembra che sia una cosa su cui dovremmo essere d'accordo, anche se posso capire di essere preoccupato di quanto liberamente l'accusa di razzismo sia lanciata in questi giorni. Ma se vogliamo essere presi sul serio quando contestiamo l'abuso delle accuse, dobbiamo chiaramente schierarci contro coloro che ne sono effettivamente colpevoli in realtà.

6. L'antisemitismo

Mi è stato chiesto perché si faceva menzione specifica dell'antisemitismo. È stata una mia idea fare quel riferimento, e l'ho suggerito perché alcuni non lo considerano un razzismo, quando invece lo è. È anche una forma di razzismo a cui i cristiani ortodossi, sfortunatamente, non sono del tutto estranei. San Paolo ci dice che un giorno vedremo quegli ebrei che non avevano già abbracciato Cristo giungere alla fede in lui. Io voglio affrettare quel giorno, piuttosto che rendere più difficile per gli ebrei arrivare alla fede in Cristo perché provano ostilità da parte di persone che affermano di essere cristiane.

Come definirei l'antisemitismo? Lo definirei la denigrazione degli ebrei, semplicemente perché sono ebrei, e la promozione dell'ostilità nei loro confronti come gruppo, basato su chi sono, piuttosto che su ciò che credono o che hanno effettivamente fatto come individui. Quindi, per esempio, George Soros è considerato una prova delle teorie del complotto ebraico, perché ha un sacco di soldi, sostiene azioni malvagie e viene dal mondo ebraico – sebbene sia ateo. Jeff Bezos è solo un liberale potente, con un sacco di soldi, che sostiene azioni malvagie, ma non è messo insieme a Soros solo perché non viene dal mondo ebraico. Io preferirei concentrarmi solo sul criticare il male che le persone promuovono, indipendentemente dal fatto che abbiano o meno origini ebraiche. Criticare il giudaismo non è antisemita. Criticare le politiche dello stato di Israele non è antisemita. Criticare il male che fanno alcuni ebrei non è antisemita. Mettere insieme tutti gli ebrei quando si criticano i mali che fanno alcuni ebrei è antisemita. Mettere in discussione le intenzioni di qualcuno che è ebreo, perché forse fanno parte della grande cospirazione ebraica, semplicemente perché sono ebrei, è antisemita.

Alcuni hanno cercato di respingere l'idea che l'antisemitismo sia un peccato citando le omelie "contro i giudei" di san Giovanni Crisostomo. Ma per prima cosa, il titolo appropriato di queste omelie non è "contro i giudei". La traduzione di Paul Harkin afferma quanto segue:

"Tradizionalmente queste omelie sono state chiamate Kata Ioudaion, che in latino diventa Adversus Iudaeos, cioè contro i giudei. Questo titolo travisa il contenuto dei Discorsi, che mostrano chiaramente che i bersagli primari di Crisostomo erano membri della sua stessa congregazione che continuavano a osservare feste e digiuni ebraici. Poiché i Discorsi sono stati tenuti in una chiesa cristiana a una congregazione cristiana con pochi, se non nessuno, ebrei presenti, non ho esitato ad aggiungere "cristiani" al titolo. Che le polemiche di Crisostomo siano rivolte ai giudaizzanti è confermata anche nei titoli trovati nelle precedenti edizioni e nei manoscritti. Tutti questi punti saranno discussi al punto appropriato nell'introduzione" (The Fathers of the Church: St. John Chrysostom, Discources Against Judaizing Christians, trad. Paul W. Harkins, Washington, D.C.: Catholic University of America Press, 1979, p. x).

Nella nota 47, a pagina xxxi, Harkin afferma:

"Questo [Adversus Iudaeos] è la traduzione latina del titolo dato alle omelie in PG 48.843. L'editore benedettino, Montfaucon, fornisce una nota in calce (ristampata ibid.) Che afferma che sei MSS e [Henry] Savile [nella sua edizione (1612) di Crisostomo] hanno come titolo di questa omelia: "Un discorso contro gli ebrei; ma pronunciato contro quelli che stavano giudaizzando e tenendo i digiuni con loro [cioè con gli ebrei]." Questa nota non è del tutto accurata perché Savile, per l'Omelia 27 del Vol. 6 (che è il Discorso I tra l'Adversus Iudaeos in PG e in questa traduzione), dà (a p. 366) il titolo: "Discorso di Crisostomo contro coloro che giudaizzano e osservano i loro digiuni". Nel Vol. 8 (col. 798) Savile afferma di aver emendato l'edizione di Hoeschel di questa omelia con l'aiuto di due MSS di Oxford, uno del Corpus Christi College e l'altro del New College; deve aver ottenuto il suo titolo da una o da tutte queste fonti. Savile dà tutte e otto le omelie Adverus Iudaeos (Vol. 6.312-88) ma nell'ordine IV-VIII (che è intitolato Kata Ioudaion, cioè Adversus Iudaeos), I (con il titolo sopra riportato), III e II (con il titolo apposto loro nella nostra traduzione). A causa dei titoli sia in alcuni MSS che nelle edizioni e per gli argomenti che verranno esposti in questa introduzione, ci sentiamo giustificati nel chiamare quest'opera Contro i cristiani giudaizzanti piuttosto che darle il titolo tradizonale meno irenico e un po' fuorviante Contro i giudei.

Nel libro "Giovanni Crisostomo e gli ebrei: Retorica e realtà nel tardo quarto secolo", di Robert L. Wilken (University of California Press: Berkeley, 1983), viene discusso in modo molto convincente che applicare l'etichetta moderna di antisemitismo a St Giovanni Crisostomo è anacronistico. Wilken si concentra in particolare sul genere retorico usato da san Giovanni e sottolinea che costui stava usando il genere dello psogos (o invettiva):

"Lo psogos avrebbe dovuto presentare una denigrazione incontrollata sull'argomento. Come diceva un antico maestro di retorica, Lo psogos è "solo condanna" e mostra solo le "cose ​​cattive di qualcuno" (Aphthonius Rhet, Graeci 2.40)... Nello psogos, il retore usava l'omissione per nascondere i tratti positivi o l'amplificazione del soggetto per esagerare i suoi lineamenti peggiori, e come regola cardinale non doveva mai dire nulla di positivo sull'argomento. Anche "quando ci sono cose buone, sono proclamate nella peggiore luce" (Aristides Rhet, Graeci 2.506). In un encomio, si trascurano le colpe di un uomo per lodarlo, e in uno psogos, si trascurano le sue virtù per diffamarlo. Tali principi sono espliciti nei manuali dei retori, ma un passo interessante dello storico ecclesiastico Socrate, scritto nella metà del quinto secolo, mostra che le regole dell'invettiva erano semplicemente date per scontate da uomini e donne del tardo mondo romano. Nel discutere di Libanio [l'istruttore pagano di san Giovanni in retorica] e delle sue orazioni in lode dell'imperatore Giuliano [l'apostata], Socrate spiega che Libanio esalta ed esagera le virtù di Giuliano perché è un "sofista eccezionale" (Hist. eccl. 3,23). Il punto è che non ci si dovrebbe aspettare una presentazione equa in uno psogos, perché non è questo il suo scopo. Lo psogos è progettato per attaccare qualcuno, dice Socrate, ed è insegnato dai sofisti nelle scuole come uno dei rudimenti delle loro abilità ... Facendo eco allo stesso sfondo retorico, Agostino disse che, preparando un encomio sull'imperatore, voleva "che includesse molte menzogne" e che il pubblico sapesse "quanto fosse lontano dalla verità" (Conf. 6.6) ). "(Pagina 112).

Un altro importante punto di vista che Wilkens evidenzia è il regno di Giuliano l'Apostata, e il modo in cui questi usò gli ebrei (e fu usato da loro) per distruggere il cristianesimo. Giuliano aveva persino programmato di ricostruire il Tempio a Gerusalemme, principalmente perché credeva che avrebbe confutato le profezie di Cristo sulla distruzione del Tempio. Ciò accadde quando san Giovanni era giovane, e i cristiani di quel tempo non avevano motivo di credere di avere una posizione ferma nella società che non potesse essere rovesciata in un breve periodo di tempo. Quindi le polemiche contro gli ebrei non erano le polemiche di un gruppo con una salda presa sul potere, ma le polemiche di un gruppo che aveva buone ragioni per temere ciò che il futuro poteva portare.

"L'Impero Romano nel IV secolo non era il mondo di Bisanzio o dell'Europa medievale. Le istituzioni della cultura e della società tradizionali elleniche erano ancora molto vive ai tempi di Giovanni Crisostomo. Gli ebrei erano una presenza vitale e visibile ad Antiochia e altrove nell'Impero Romano, e continuarono ad essere un formidabile rivale per i cristiani. I cristiani giudaizzanti erano diffusi. Il cristianesimo era ancora in procinto di stabilire il proprio posto all'interno della società ed era minato da conflitti interni e da seguaci apatici. Senza apprezzare questa impostazione, non riusciamo a capire perché Giovanni predicasse tali omelie e perché rispondesse ai giudaizzanti con tale passione e fervore. L'immagine medievale dell'ebreo non dovrebbe essere imposta sull'antichità. Ogni atto di comprensione storica è un atto di empatia. Quando ho iniziato a studiare gli scritti di Giovanni Crisostomo sui giudei, ero propenso a giudicare ciò che diceva alla luce della triste storia delle relazioni ebraico-cristiane e dei tristi eventi nella storia ebraica nei tempi moderni. Per quanto io provi un profondo senso di responsabilità morale per gli atteggiamenti e le azioni dei cristiani nei confronti degli ebrei, non sono più pronto a proiettare questi ultimi atteggiamenti verso gli eventi del quarto secolo. Indipendentemente da quanto i cristiani si sentano indignati per la cronaca dei rapporti tra cristiani ed ebrei, non abbiamo la licenza per giudicare il lontano passato sulla base delle nostre attuali percezioni di eventi di epoche più recenti "(pp. 162-163).

Il libro di Wilken è un testo chiave per comprendere correttamente queste omelie. Va anche sottolineato che San Giovanni Crisostomo si occupava anche di ebrei estremamente anticristiani e che bestemmiavano Cristo. Considerate quanto segue.

Nello Shemoneh Esrei troviamo la seguente preghiera:

"E che non ci sia speranza per i calunniatori; e possano tutti gli eretici perire in un istante; e che tutti i nemici del tuo popolo possano essere abbattuti rapidamente. Possa tu sradicare, distruggere e abbattere i peccatori sfrenati, distruggerli, abbatterli, umiliarli rapidamente ai nostri giorni. Beato te, HASHEM, che spezzi i nemici e umili i peccatori sfrenati." (Testo ebraico a pagina 112, inglese a pagina 113, di The Complete Artscroll Siddur [Nusach Sefard], trad. Rabbi Nosson Sherman, pubblicato da Mesorah Publications, Ltd ., Brooklyn, New York, 1985).

Questa stessa traduzione fornisce un commento sulla parola "calunniatore", che recita:

"Cronologicamente, questa è la diciannovesima benedizione dello Shemoneh Esrei; fu istituita a Yavneh, durante il mandato di Rabban Gamliel II come Nassi di Israele, qualche tempo dopo la distruzione del secondo tempio. La benedizione fu composta in risposta alle minacce delle sette eretiche ebraiche come i sadducei, i boethusiani, gli esseni e i primi cristiani. Questi cercavano di sviare gli ebrei attraverso l'esempio e la persuasione, e usavano il loro potere politico per opprimere gli ebrei osservanti e per calunniarli presso il governo romano antisemita. In questa atmosfera, Rabban Gamliel sentì il bisogno di comporre una preghiera contro eretici e calunniatori, e di incorporarla nello Shemoneh Esrei in modo che la popolazione fosse consapevole del pericolo" (Artscroll Siddur, pp. 112-113).

Ora, per non escludere queste come le opinioni di una fonte isolata, diamo un'occhiata a un altro testo su questa stessa preghiera:

"Di tanto in tanto, come tutti sappiamo, la sopravvivenza del popolo ebraico è minacciata. Possono sorgere minacce da forze ostili esterne o da traditori all'interno. Talvolta tali minacce mirano a distruggerci fisicamente e a volte a indebolirci spiritualmente. In un punto il Talmud indica che questa benedizione, che era diretta contro gruppi eretici, fu fissata a Yavneh sotto la guida del rabbino Gamliel il Vecchio durante il secondo secolo, c. (Berakhot 28b) e costituì la diciannovesima benedizione dello Shemoneh Esrei. Tuttavia, Eliezer Levy discute da fonti altrove nel Talmud (Yer Berakhot 2: 4) che questa benedizione era una delle diciotto originali prescritte da Ezra. Le parole iniziali della benedizione erano allora Al Haminim ("Per gli eretici, non ci sia speranza"), ed erano dirette contro la setta samaritana ostile. Più tardi, quando la minaccia samaritana diminuì, la benedizione cadde in disuso. Quando una nuova minaccia di eresia religiosa sorse con i Sadducei (Tzedukim), la benedizione fu rianimata con una nuova apertura che menzionava i sadducei: "Per i sadducei, non ci sia speranza" Con la crescita di nuove sette eretiche (tra cui ebrei che adottarono le credenze cristiane) che denunciavano gli altri ebrei alle autorità romane, questa benedizione assunse nuova urgenza e dovette essere riaffermata, questa volta a Yavneh, come effettivamente riferisce il Talmud" (Rabbi Hayim Halevy Donin, "To Pray as a Jew", Basic Books, 1980, p. 92s).

E per un esempio di bestemmie ebraiche non cristiane contro Cristo, si veda il testo Toldot Yeshu. Quando leggete quel testo, potete capire meglio cosa motivava san Giovanni a predicare tali sermoni per denunciare le visioni anti-cristiane di queste persone. Ma ovviamente non tutti gli ebrei hanno opinioni simili, in particolare nel nostro tempo e nella nostra cultura. Inoltre, san Giovanni stava conducendo una guerra di idee e teologia. Non sostenne mai la violenza contro gli ebrei non cristiani, o con chiunque altro non fosse d'accordo, e certamente non aveva alcun desiderio di impedire agli ebrei di diventare cristiani, perché pensava che avessero alcuni difetti razziali o genetici che li rendevano inadatti a diventare cristiani. Le critiche di san Giovanni Crisostomo erano religiose, non razziali e non etniche.

Ma sfortunatamente, ho ascoltato commenti antisemiti su ebrei che erano persino cristiani ortodossi. Nessuno che abbia familiarità con le omelie di san Giovanni Crisostomo suggerirebbe che costui strizzasse l'occhio a un simile trattamento dei propri compagni di fede. E se guardate la diciannovesima Omelia di San Giovanni Crisostomo su Romani, essa parla di quegli ebrei che sono credenti e di quelli che un giorno diventeranno credenti. E questi ovviamente non sono affatto il bersaglio delle sue omelie contro i cristiani giudaizzanti.

il metropolita Antonij (Khrapovitskij)

E mentre san Giovanni Crisostomo aveva parlato in un periodo in cui la persecuzione ebraica dei cristiani era ancora una memoria vivente, il metropolita Antonij (Khrapovitskij) parlò in un momento in cui la persecuzione cristiana degli ebrei era un problema attuale in Russia, e parlò contro di essa in termini non meno sonori di san Giovanni Crisostomo. Ascoltate la conclusione del suo sermone Contro i pogrom:

"O cristiani, temete di offendere la tribù sacra, anche se respinta. La punizione di Dio ricadrà su quelle persone malvagie che hanno versato sangue che è della stessa razza del Dio uomo, della sua purissima madre, dei suoi apostoli e profeti. Non presupponete che questo sangue fosse sacro solo nel passato, ma comprendete che anche in futuro la riconciliazione alla natura divina li attende (2 Pietro 1: 4), come testimonia anche il vaso  eletto di Cristo, "Non voglio infatti che ignoriate, fratelli, questo mistero, perché non siate presuntuosi: l'indurimento di una parte di Israele è in atto fino a che saranno entrate tutte le genti. Allora tutto Israele sarà salvato come sta scritto: Da Sion uscirà il liberatore, egli toglierà le empietà da Giacobbe. Sarà questa la mia alleanza con loro quando distruggerò i loro peccati" (Romani 11: 25-27).

Che i selvaggi sappiano che hanno ucciso futuri cristiani che erano ancora nei lombi degli ebrei di oggi; fate loro sapere che hanno dimostrato di essere avversari in bancarotta della provvidenza di Dio, persecutori di un popolo amato da Dio, anche dopo il suo rifiuto (Romani 11:28).

Quanto è peccaminosa l'inimicizia contro gli ebrei, basata sull'ignoranza della legge di Dio, e come sarà perdonata quando scaturisce da impulsi abominevoli e vergognosi! Coloro che hanno derubato gli ebrei non lo hanno fatto per vendicarsi dell'opposizione al cristianesimo, piuttosto bramavano la proprietà e il possesso di altri. Sotto la sottile maschera dello zelo per la fede, servivano il demone della cupidigia. Assomigliavano a Giuda che tradì Cristo con un bacio mentre era accecato dalla malattia dell'avidità, ma questi assassini, nascondendosi dietro il nome di Cristo, hanno ucciso i suoi parenti secondo la carne per rubarli.

Quando abbiamo visto un tale fanatismo? Nell'Europa occidentale, durante il Medioevo, eretici ed ebrei furono vergognosamente giustiziati, ma non da folle intenzionate a derubarli.

Come si può iniziare a insegnare alla gente che soffoca la propria coscienza e misericordia, che soffoca ogni timore di Dio e, partendo dal tempio santo anche nel luminoso giorno della Risurrezione di Cristo, una giornata dedicata al perdono e all'amore, ma che essi hanno nuovamente dedicato a rapina e omicidio?

O credenti in Dio e nel suo Cristo! Temete il giudizio del Signore a favore del suo popolo. Temete di offendere gli eredi della promessa, anche se sono stati rifiutati. Noi non abbiamo il potere di giudicarli per la loro incredulità; li giudicherà il Signore e non noi. Noi, guardando il loro zelo anche se non è "secondo la conoscenza" (Romani 10: 2) faremmo meglio a contemplare i loro padri: il giusto Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe e Mosè, Davide e Samuele ed Elia, che si elevò al cielo ancora nella carne. Guardate Isaia che accettò la morte volontaria per la fede, Daniele che fermò la bocca delle belve nella tana dei leoni, e i martiri Maccabei che morirono con gioia per la speranza della risurrezione. Non picchiamo, uccidiamo né derubiamo queste persone, ma ammorbidiamo la loro durezza verso Cristo e i cristiani attraverso il nostro stesso adempimento della legge di Dio. Cerchiamo di moltiplicare la nostra preghiera, l'amore, il digiuno e l'elemosina e la nostra preoccupazione per coloro che soffrono, siamo zelanti riguardo alla vera essenza della fede; che la nostra luce risplenda dinanzi alle persone affinché glorifichino il nostro padre celeste e Cristo. Cerchiamo di superare l'incredulità e l'empatia tra i cristiani prima, e poi ci preoccuperemo degli ebrei, "Ed egli manderà Gesù Cristo, che prima era stato predicato a voi: che i cieli devono ricevere fino ai tempi della restaurazione di tutte le cose, che Dio ha annunciato per bocca di tutti i suoi santi profeti da quando è iniziato il mondo" (Atti 3: 20-21)."

Un altro fatto curioso sull'antisemitismo e il razzismo è che molti che hanno criticato l'idea che la razza sia un costrutto sociale artificiale, mostrano anche una spiccata antipatia nei confronti degli ebrei. Quando ho sottolineato che se ci sono tre razze primarie, gli ebrei dovrebbero ovviamente essere classificati come caucasici, perché ovviamente non sono né negroidi né mongoloidi, la risposta che ho ottenuto è stata "ma non si identificano come bianchi". " Quindi immagino che essi vedano la razza come un costrutto artificiale, almeno quando si tratta degli ebrei.

7. Sicurezza delle frontiere

Diversi critici della dichiarazione hanno suggerito che in qualche modo essa sostenga che non dovremmo avere confini, tuttavia la dichiarazione non ha affrontato tale questione. Non esiste una posizione ufficiale ortodossa su quanta sicurezza delle frontiere debba avere un paese e così persone differenti sono libere di formarsi le proprie opinioni. Personalmente, sono molto favorevole ad avere controlli severi ai nostri confini e limiti più ragionevoli sull'immigrazione rispetto a quelli attuali, ma questa è una questione su quale sia la modalità più saggia per il nostro paese, non una questione di principio teologico o morale.

8. Confusione tra razza e nazione

Alcuni hanno suggerito che le argomentazioni secondo cui la razza non è una realtà oggettivamente definibile promuove un governo mondiale e la cancellazione di tutte le distinzioni culturali. Bisogna arrivare a leggere nella dichiarazione cose che questa non dice, e ignorare ciò che dice effettivamente, per arrivare a quella conclusione. Le nazioni e le etnie sono concetti che si trovano nella Scrittura... ma le nazioni e le etnie non sono razze. Conosco diverse persone dall'aspetto molto asiatico che sono culturalmente russe, parlano la lingua russa, sono ortodossi russi e si considerano russi. La nazione americana non è certamente una razza, anche se condividiamo una lingua (l'inglese) e condividiamo una cultura americana (per quanto questa si sia frammentata negli ultimi decenni).

Io non sostengo la cancellazione delle differenze culturali o linguistiche, né sostengo un governo mondiale, e infatti abbiamo affermato che non c'era nulla di sbagliato nel desiderio di preservare la propria cultura o di difendere la propria nazione.

9. Marxismo culturale

La pretesa che questa dichiarazione rifletta un marxismo culturale è forse una delle critiche più comiche, perché il marxismo culturale è praticamente l'opposto di ciò che stavamo discutendo. I marxisti culturali vogliono promuovere la divisione razziale come mezzo per responsabilizzare gli oppressi e abbattere i loro oppressori. Noi stiamo sostenendo che dovremmo guardare oltre le divisioni razziali e vedere gli uni negli altri l'immagine comune di Dio che tutti abbiamo come esseri umani. Non vogliamo che le persone siano giudicate dal gruppo razziale con cui si identificano, ma piuttosto vogliamo vederci come individui che o sono nostri fratelli e sorelle in Cristo, o se non lo sono, come persone che vorremmo che fossero nostri fratelli e sorelle in Cristo.

Per quanto riguarda l'accusa più ottusa che ho ricevuto, quella di essere un comunista, solo il mese scorso ho predicato un intero sermone specificamente contro il comunismo, e ho parlato e scritto contro di esso con regolarità. Odio il comunismo con l'intensità di mille soli ardenti. Il razzismo, tuttavia, è solo una forma più primitiva di collettivismo, e sia il comunismo che il razzismo sono malvagi, e quindi è possibile opporsi sia al comunismo che al razzismo senza alcuna contraddizione.

L'unica accusa ancor più ridicola che ho visto è l'affermazione che io odio i bianchi. Risponderò solo dicendo che alcuni dei miei migliori amici sono bianchi.

 
Dialogo tra un anziano e un ateo

Una mattina, il santo anziano ("geron") Epifanio Theodoropoulos (1930-1989) era in conversazione con 2-3 visitatori in casa sua. Uno di loro era un ateo ideologico e un comunista. Improvvisamente, qualcuno arrivò di corsa da fuori, e li informò che la città di Atene era stata inondata di fotografie di Mao Tse Tung, con la scritta "Gloria al grande Mao". Era il giorno in cui era morto il dittatore cinese.

 

Anziano: Ecco come stanno le cose, figlio mio. Gli atei non esistono. Esistono solo gli idolatri, che tolgono Cristo dal trono e al suo posto mettono i propri idoli. Noi diciamo: "Gloria al Padre e al Figlio e al santo Spirito Santo". Questi dicono: "Gloria al grande Mao". Scegli quello che preferisci.

Ateo: Anche tu puoi scegliere la tua droga, nonno. L'unica differenza è che tu lo chiami Cristo, altri lo chiamano Allah, o Buddha, etc etc

Anziano:  Figlio mio, Cristo non è una droga. Cristo è il Creatore dell'intero universo. Egli è Colui che governa ogni cosa con saggezza, dalla moltitudine di galassie infinite, fin nelle minime particelle del microcosmo. Ha dato la vita a tutti noi. Egli è colui che ti ha portato in questo mondo e ti ha donato tanta libertà, che puoi effettivamente dubitare di lui, e persino negarlo.

Ateo: Nonno, è tuo il diritto credere in tutte queste cose. Ma ciò non significa che siano vere. Hai delle prove?

Anziano: Pensi che tutto questo sia solo una favola, non è vero?

Ateo: Naturalmente.

Anziano: Hai qualche prova che si tratta di una favola? Puoi provare che quello che io credo è falso?

Ateo: ... ... ... ... ... ....

Anziano: Non hai risposto, perché neppure tu hai alcuna prova. Il che significa, tu credi che siano favole. Ho parlato con te di credere, quando ho fatto riferimento a Dio, tu, però, pur respingendo la mia convinzione, essenzialmente, credi nella tua infedeltà, dato che non puoi sostenere neppure questa con prove. Tuttavia, devo dirti che la mia fede non è qualcosa che viene dal vuoto; ci sono alcuni eventi soprannaturali, su cui si fonda.

Ateo: Solo un minuto! Poiché stiamo parlando di credere, che cosa diresti ai musulmani o buddisti per esempio? Perché anche loro parlare di credere. E anche loro hanno alti standard morali. Perché il vostro credo è meglio del loro?

Anziano: È così dunque?  Il criterio della verità dovrebbe essere giudicato da questa tua domanda? Perché la verità è sicuramente una; le verità non possono essere molte di numero. La questione è, chi è il possessore della verità? Questo è il problema maggiore. Pertanto, non si tratta di una credenza migliore o peggiore! Si tratta della sola vera fede!

Sono d'accordo, che anche altre fedi hanno insegnamenti morali. Naturalmente, gli insegnamenti morali del cristianesimo sono incomparabilmente superiori. Ma noi non crediamo in Cristo a causa di suoi insegnamenti morali. O per la sua esortazione "Amatevi gli uni gli altri", o per i suoi sermoni sulla pace e la giustizia, la libertà e l'uguaglianza. Noi crediamo in Cristo, perché la sua presenza sulla terra è stata accompagnata da eventi soprannaturali, che era un segno che Egli è Dio.

Ateo: Guarda, anche io ammetto che Cristo è stato un filosofo importante e un grande rivoluzionario, ma non facciamo di lui un Dio ora ... ...

Anziano: Mio caro figlio! Tutti i grandi miscredenti della storia si sono impigliati in questo dettaglio. La spina di pesce bloccata in gola, che proprio non riuscivano a deglutire, è stata esattamente questa: che Cristo è anche Dio.

Molti di loro erano disposti a dire a Dio: "Non dire a nessuno che tu sei Dio incarnato; Basta dire che sei un normale essere umano, e noi saremo più che pronti a deificarti. Perché vuoi essere un Dio incarnato, e non un essere umano deificato? Siamo disposti a glorificarti, a proclamarti come il più grande tra gli uomini, il più santo, il più etico, più nobile, l'insuperabile, l'unico e solo, senza precedenti ... non ti basta?

Ernest Renan, il capo del coro dei negazionisti, tuona il seguente appello a Cristo: «Per decine di migliaia di anni, il mondo sarà elevato, per mezzo tuo", e "Tu sei la pietra angolare del genere umano, se si dovesse strappare il tuo nome da questo mondo, sarebbe come distruggerne le fondamenta" e "gli eoni proclameranno che tra i figli degli uomini non è nato nessuno che possa superarti". Ma questo è dove Renan e i suoi simili si arrestano. La loro frase immediatamente successiva è: "Ma un Dio, tu non lo sei!"

E quei poveri disgraziati non possono percepire che tutte queste cose costituiscono una tragedia indescrivibile! Il loro dilemma è inevitabile e inesorabile: o Cristo è un Dio incarnato, nel qual caso, egli è davvero, e solo allora, il più etico, il personaggio più nobile e più santo degli uomini, o, egli non è un Dio incarnato, nel qual caso, egli non può assolutamente essere una di queste cose. Infatti, se Cristo non è Dio, allora stiamo parlando della più orribile, la più atroce e la più spregevole esistenza della storia dell'umanità.

Ateo: Che cosa hai detto?

Anziano: Esattamente quello che hai sentito! Può essere una dichiarazione pesante, ma è assolutamente vera. E ti dirò il perché.

Permettimi di chiedere: Che cos’è che veramente tutti i grandi hanno detto di se stessi, o che opinione hanno avuto di se stessi?

Il "più saggio di tutti gli uomini", Socrate, ha proclamato: "Sono arrivato a sapere una cosa sola: che io non so nulla".

Tutti gli uomini importanti nel Vecchio e nel Nuovo Testamento, da Abramo e Mosè, fino a Giovanni Battista e l'apostolo Paolo, si sono caratterizzati come "terra e cenere”, "miserabili", "mostruosità", ecc .... [1]

Ma, stranamente, l'atteggiamento di Gesù 'è esattamente il contrario! E dico stranamente, perché sarebbe stato logico e naturale per lui avere un atteggiamento simile. Infatti, essendo di gran lunga superiore e più elevato di tutti gli altri, egli avrebbe dovuto avere anche l’opinione più bassa e umile di se stesso [2]. Eticamente più perfetto di ogni altro, avrebbe dovuto superare tutti e chiunque in rimorso e umiltà, dal momento della creazione del mondo fino alla fine dei tempi.

Invece, osserviamo l'esatto opposto!

Prima di tutto, egli proclama di essere senza peccato: "Chi di voi può convincermi di peccato?" (Giovanni, 8,46). "Viene il principe di questo mondo, e non nessun potere su di me." (Giovanni, 14,30)

Pronuncia anche idee molto alte di sé: "Io sono la luce del mondo» (Giovanni, 8,12); "Io sono la via, la verità e la vita" (Giovanni, 14,6)

Ma, a parte queste, egli proietta anche richieste di dedizione assoluta alla sua persona. Egli penetra perfino il più santo dei rapporti dell'uomo, e dice: "Chiunque ama il padre o la madre più di me, non è degno di me. e chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me ". (Matteo, 10,37). "Sono venuto a portare il figlio contro il padre e la figlia contro la madre e la nuora contro la suocera" (Matteo, 10,35). Esige anche vita e morte da martiri dai suoi discepoli: "Essi vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe e sarete condotti davanti ai governatori e ai re per causa mia .... e il fratello darà a morte il fratello e il padre il figlio, e i figli si rivolteranno contro i genitori e li faranno morire .... e sarete odiati da tutti, a causa del mio nome .... ma chi avrà perseverato sino alla fine, sarà salvato .... Non abbiate paura di quelli che distruggono il corpo ... .. Chi mi rinnegherà davanti agli uomini, anch'io lo rinnegherò... Chi ha perduto la sua anima per causa mia, la ritroverà. "(Matteo, 10,17 in poi)

E ora vi chiedo: Qualcuno ha mai osato esigere per sé l'amore dell’umanità, perché questa abbandonasse la propria stessa vita? Qualcuno ha mai avuto il coraggio di proclamare la sua innocenza assoluta? Qualcuno ha mai osato pronunciare le parole: "Io sono la verità"? (Giovanni, 14,6) Nessuno, e da nessuna parte! Solo un Dio può farlo. Puoi immaginare il tuo Marx pronunciare cose del genere? Lo prenderebbero per un pazzo e nessuno sarebbe disposto a seguirlo!

Ora, considera solo, quante persone hanno sacrificato tutto per amore di Cristo, anche la loro stessa vita, avendo creduto nella veridicità delle sue parole riguardo a se stesso! Se i suoi proclami su se stesso erano falsi, Gesù sarebbe stato il personaggio più spregevole della storia, per aver portato tanta gente a un tale sacrificio enorme! Quale uomo ordinario - non importa quanto grande, quanto importante, quanto saggio egli sia - meriterebbe una simile tremenda offerta e sacrificio? Ebbene? Nessuno! No, se non fosse stato Dio!

In altre parole: qualsiasi uomo ordinario che avesse richiesto un tale sacrificio dai suoi seguaci sarebbe stata la persona più ripugnante della storia. Cristo, però, lo ha sia richiesto che ottenuto. Eppure, nonostante questo 'successo', è stato proclamato dagli stessi negazionisti della sua divinità, come la figura più nobile e più santa nella storia. Così, o i negazionisti sono illogici quando annunciano questa odiosissima figura come "la più santa", o, al fine di evitare qualsiasi illogicità, e di razionalizzare la coesistenza delle esigenze di Cristo e la sua santità, devono concedere di accettare che Cristo continui a restare il più nobile e più santo in uomini, ma solo a condizione che Egli sia anche Dio! In caso contrario, come abbiamo detto, sarebbe stato, non la più santa, ma la figura più ripugnante della storia, essendo la causa del più grande sacrificio di tutte le età, e in nome di una bugia! Così, la divinità di Cristo è provata dai suoi stessi negazionisti, sulla base delle loro stesse caratterizzazioni della sua persona!

Ateo: Ciò che hai appena detto è davvero molto impressionante, ma non è altro che speculazione. Hai fatti storici, che potrebbero confermare la sua divinità?

Anziano: Te l'ho detto all'inizio, che le prove della sua divinità sono gli eventi soprannaturali che hanno avuto luogo mentre era qui sulla terra. Cristo non si è basato solo sulla proclamazione delle verità di cui ho parlato; ha pure certificato sue dichiarazioni con i miracoli. Ha dato la vista ai ciechi e fatto camminare gli storpi; ha soddisfatto la fame di cinquemila uomini e moltitudini di donne e bambini con solo due pesci e cinque pani, ha comandato agli elementi della natura che gli hanno obbedito; ha resuscitato i morti, tra questi Lazzaro, quattro giorni dopo la sua morte. Ma il più sorprendente di tutti i suoi miracoli fu la sua stessa risurrezione.

L'intero edificio del cristianesimo si regge sull’evento della Risurrezione. Questa non è una mia speculazione. L'apostolo Paolo ha detto: "Se Cristo non fosse risorto (da morti), la nostra fede sarebbe futile. " (I Corinzi 15,17). Se Cristo non è risorto, allora tutto crolla. Ma Cristo è risorto, il che significa che egli è il Signore della vita e della morte, quindi è Dio.

Ateo: Hai visto tutto questo? Come puoi crederci?

Anziano: No, non ho visto niente di tutto ciò, ma altri lo hanno fatto: gli Apostoli. Essi a loro volta hanno fatto sapere agli altri, e hanno effettivamente "firmato" la loro testimonianza con il loro stesso sangue. E, come tutti riconoscono, una testimonianza della propria vita è la forma suprema di testimonianza.

Perché non mi porti allo stesso modo qualcuno, che mi dica che Marx è morto e risorto, e che sia disposto a sacrificare la sua vita per testimoniarlo? Io, come uomo onesto, gli crederò.

Ateo: Ti dirò... migliaia di comunisti sono stati torturati e sono morti per la loro ideologia. Perché non abbracci il comunismo nello stesso modo?

Anziano: Lo hai detto tu stesso. I comunisti sono morti per la loro ideologia. Non sono morti per eventi reali. In un’ideologia, è molto facile che penetri l'inganno, perché è una caratteristica dell'animo umano sacrificarsi per qualcosa in cui crede; questo spiega perché così tanti comunisti sono morti per la loro ideologia. Ma questo non ci obbliga ad accettare questa ideologia come qualcosa di vero.

Una cosa è morire per delle idee, e un altro è morire per eventi. Gli Apostoli non sono morti per idee. Neanche per "Amatevi gli uni gli altri", o uno qualsiasi degli altri insegnamenti morali del cristianesimo. Gli apostoli sono morti per la loro testimonianza di eventi soprannaturali. E quando diciamo 'evento', intendiamo ciò che è catturato dai nostri sensi fisici, e che si comprende per mezzo di loro.

Gli Apostoli hanno sofferto il martirio per "ciò che hanno sentito", "ciò che hanno visto con i propri occhi", "ciò che hanno osservato e le loro mani hanno toccato" (I Giovanni, 1) [3]

Proprio come la speculazione intelligente di Pascal, diciamo che una delle tre seguenti cose è accaduta agli apostoli: o sono stati ingannati, o ci hanno ingannati, o ci hanno detto la verità.

Prendiamo il primo caso. Non è possibile per gli apostoli essere stati ingannati, perché tutto ciò che hanno riferito, non era riferito a loro da altri. Essi stessi furono testimoni oculari e auricolari di tutte quelle cose. Inoltre, nessuno di loro era un personaggio di fantasia, né avevano alcuna inclinazione psicologica che abbia fatto loro accettare l'evento della risurrezione. Piuttosto il contrario - erano terribilmente diffidenti. I Vangeli sono estremamente rivelatori, nella loro narrazione delle loro disposizioni spirituali: essi non credevano nemmeno alle rassicurazioni che alcune persone avevano effettivamente visto il Risorto. [4]

E un altra cosa. Che cos’erano gli apostoli, prima che Cristo li chiamasse? Erano forse politici ambiziosi o visionari di sistemi filosofici e sociali, desiderosi di conquistare l'umanità e quindi soddisfare le loro fantasie? Niente affatto. Erano pescatori analfabeti. L'unica cosa che interessava loro era pescare qualche pesce per nutrire le loro famiglie. Per questo motivo, anche dopo la crocifissione del Signore, e nonostante tutto quello che avevano udito e visto, tornarono alle loro barche da pesca e alle loro reti. In altre parole, non c'era una singola traccia in questi uomini di disposizione per le cose che dovevano seguire. Fu solo dopo il giorno della Pentecoste, "quando ricevettero forza dall'alto", che divennero i maestri dell'universo.

Il secondo caso: ci hanno ingannato? Ci hanno mentito? Ma allora, perché mai ci ingannerebbero? Cosa avrebbero da guadagnare a mentire? Soldi? Posizione? Gloria? Perché qualcuno dica una bugia, deve aspettarsi qualche tipo di guadagno. Gli apostoli, però, con la predicazione di Cristo - e di fatto Cristo crocifisso e risorto – si sono assicurati unicamente: difficoltà, fatiche, frustate, lapidazioni, naufragi, fame, sete, nudità, attacchi di briganti, percosse, incarcerazioni e infine, la morte. E tutto questo, per una bugia? Sarebbe senza dubbio sciocco per chiunque perfino prenderlo in considerazione.

Di conseguenza, gli Apostoli non erano né ingannati, né ingannatori. Questo ci lascia con la terza scelta: che ci abbiano detto la verità.

Vorrei anche sottolineare un'altra cosa qui: Gli evangelisti sono gli unici che hanno registrato veri eventi storici. Essi descrivono gli eventi, e solo gli eventi. Non ricorrono ad alcun giudizio personale. Non lodano nessuno, e non criticano nessuno. Non fanno alcun tentativo di esagerare un evento, né di eliminare o sottovalutare un altro. Hanno lasciato che i fatti parlino da soli.

Ateo: Vuoi escludere la possibilità che, nel caso di Cristo, sia stato solo un incidente di morte apparente? L'altro giorno, i giornali avevano scritto di una persona in India che hanno seppellito e tre giorni dopo lo hanno riesumato ed era ancora vivo.

Anziano: Povero figlio mio! Ricordo ancora le parole del beato Agostino: ”O infedeli, non siete in realtà miscredenti, anzi, siete i più creduloni di tutti. Accettate le cose più improbabili, e le più irrazionali, le più contraddittorie, al fine di negare il miracolo! "

No, figlio mio. Quello di Cristo non è stato un caso di morte apparente. Prima di tutto, abbiamo la testimonianza del centurione romano, che ha rassicurato Pilato che la morte di Cristo era una certezza.

Poi, il nostro vangelo ci informa che il giorno stesso della sua risurrezione, il Signore è stato visto parlare con due dei suoi discepoli, in cammino verso Emmaus, che era più di dieci chilometri da Gerusalemme.

Riuscite ad immaginare qualcuno, che potrebbe passare attraverso tutti i tormenti che Cristo ha sostenuto, e tre giorni dopo la sua "morte apparente", rispunti di nuovo fuori sano e salvo? Se non altro, avrebbe dovuto essere alimentato a zuppa di pollo per quaranta giorni, per essere in grado di aprire gli occhi, per non dire camminare e parlare come se nulla fosse successo!

Quanto all’hindu, portalo qui per essere frustato con un flagello - sai cosa è un flagello? Si tratta di una frusta, le cui cinghie hanno ciascuno un pezzo di piombo o un pezzo di osso rotto o chiodi affilati legati alle estremità - portalo qui, così possiamo frustarlo, quindi forzargli una corona di spine sulla testa, crocifiggerlo, dargli bile e aceto, poi trafiggere il suo costato con una lancia, deporlo in una tomba, e poi, se torna dai morti, allora possiamo parlare.

Ateo: E sia, ma tutte le testimonianze che hai invocato appartengono a discepoli di Cristo. C'è qualche testimonianza su questo argomento, che non proviene dalla cerchia dei suoi discepoli? Ci sono storici, per esempio, che possano certificare la risurrezione di Cristo? Se è così, anche io crederò a quello che dici.

Anziano: Povero bambino! Tu non sai cosa stai dicendo ora! Se ci fossero stati questi storici che avevano testimoniato Cristo risorto, essi sarebbero stati costretti a credere nella sua risurrezione e sarebbero stati registrati come credenti, nel qual caso, avresti ancora una volta rifiutato la loro testimonianza, proprio come hai respinto la testimonianza di Pietro, di Giovanni, ecc. Come può essere possibile, che qualcuno sia effettivamente testimone della risurrezione e tuttavia, NON diventi un cristiano? Stai chiedendo un pollo arrosto su uno spiedino di cera, e pure che canti! Semplicemente non si può fare!

Ti ricordo però - poiché stai chiedendo testimonianze di storici - quello che ho detto prima: gli unici veri storici sono gli Apostoli.

Tuttavia, noi abbiamo una testimonianza del tipo che desideri, ed è di qualcuno che non ha fatto parte della cerchia dei suoi discepoli: era Paolo. Paolo non solo non era un discepolo di Cristo, ha realmente perseguitato la Chiesa di Cristo senza sosta.

Ateo: Dicono che Paolo abbia sofferto di un colpo di sole e che questa sia stata la causa della sua allucinazione.

Anziano: Figlio mio, se Paolo avesse avuto allucinazioni, la cosa venuta in superficie sarebbe stato il suo subconscio. E nel subconscio di Paolo, i Patriarchi e i Profeti avrebbero avuto il posto superiore. Egli avrebbe avuto allucinazioni su Abramo e Giacobbe e Mosè, e non su Gesù, da lui considerato un imbonitore di plebaglia e un ciarlatano!

Riesci a immaginare una fedele nonnina cristiana che veda Buddha o Giove in sogno o in delirio? Avrebbe molto probabilmente visioni di San Nicola o di Santa Barbara, perché crede in loro.

Un’altra cosa. Con Paolo, abbiamo - come fa notare Papini - i seguenti fenomeni miracolosi. Prima di tutto, la repentinità della sua conversione. Direttamente dall’infedeltà alla fede. Senza fase intermedia di preparazione. In secondo luogo, la fermezza della sua fede. Nessuna esitazione, nessun dubbio. E in terzo luogo, la sua fede è durata una vita intera. Credi che tutte queste cose possano verificarsi dopo un caso di colpo di sole? Non si possono in alcun modo attribuire a una tale causa. Se puoi spiegare come, allora spiegalo. Se non puoi, allora devi ammettere il miracolo. E devi sapere che per un uomo del suo tempo, Paolo era eccezionalmente ben istruito. Egli non era la piccola persona media, totalmente all'oscuro.

Vorrei anche aggiungere un'altra cosa. Noi oggi, figlio mio, viviamo in un'epoca eccezionale. Stiamo vivendo il miracolo della Chiesa di Cristo.

Quando Cristo ha detto della sua Chiesa che "le porte degli inferi non prevarranno su di lei" (Matteo 16:18), I suoi seguaci erano molto pochi di numero. Quasi duemila anni sono passati, da quel giorno. Sono scomparsi imperi, sono stati dimenticati sistemi filosofici, sono crollate teorie del mondo. Ma la Chiesa di Cristo rimane indistruttibile, nonostante le persecuzioni continue e drammatiche a cui è stata sottoposta. Non è un miracolo?

Ancora una cosa. Nel Vangelo di Luca si dice che quando la Santa Madre visitò Elisabetta (la madre del Battista), dopo l'Annunciazione, fu accolta con le parole: "Benedetta tu fra le donne". E la Santa Madre ha risposto come segue: "La mia anima magnifica il Signore. Ecco, da questo momento in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata "(1:48).

Cos’era la Santa Madre in quel tempo? Era solo una figlia oscura di Nazaret. Quanti la conoscevano? Eppure, da quel giorno, sono state dimenticate imperatrici, si sono spenti i nomi di illustri donne, le madri e le mogli dei grandi generali sono andate nell’oblio. Chi si ricorda, o sa almeno il nome, della madre di Napoleone o della madre di Alessandro Magno? Quasi nessuno. Ma milioni di labbra attraverso ogni lungo e in largo il mondo, in tutte le epoche, venerano la figlia di Nazaret, "più insigne dei cherubini e senza confronto più gloriosa dei Serafini". Siamo o non siamo, noi gente del ventesimo secolo, che vive in questo giorno e in quest’età, la conferma di quelle parole della Santa Madre?

Esattamente le stesse cose si osservano in una profezia “secondaria” di Cristo: mentre si trovava presso la casa di Simone il lebbroso, una donna venne a lui e versò il suo costoso olio profumato sopra il suo capo. Cristo ha commentato: "In verità, in verità vi dico che dovunque questo Vangelo sarà predicato in tutto il mondo, sarà anche ricordato ciò che questa donna ha fatto, in sua memoria" (Matteo, 26,13). Ora, quanto grande era la sua cerchia di seguaci, al momento, da poter dire che essi si consumarono in modo che la profezia del loro maestro potesse essere soddisfatta? Soprattutto una profezia come questa, che, secondo gli standard del mondo di oggi, non è di alcuna importanza per la maggior parte delle persone.

Sono o non sono miracoli? Se puoi, spiegali. Ma se non puoi, ammettili come tali.

Ateo: Devo ammettere che le tue argomentazioni sono abbastanza solide. Ma vorrei chiederti un’altra cosa: Non credi che Cristo abbia lasciato la sua opera incompiuta? Cioè, a meno che non ci abbia abbandonato. Non posso immaginare un Dio che rimanga indifferente alle sofferenze dell'umanità. Noi siamo qui a soffrire mentre lui, lassù, rimane apatico.

Anziano: No, figlio mio. Hai torto. Cristo non ha lasciato la sua opera incompiuta. Al contrario, egli è il caso unico nella storia in cui una persona ha la certezza che la sua missione è stata compiuta, e non ha avuto più nulla da fare o da dire.

Anche il più grande dei filosofi, Socrate, che ha discusso e ha insegnato durante la sua intera vita, e verso la fine ha composto un’intricata "Apologia", avrebbe avuto ancora di più da dire, se fosse vissuto.

Solo Cristo - nella fascia di tempo di tre anni - ha insegnato quello che aveva da insegnare, ha fatto quello che doveva fare e, infine, ha detto (sulla croce): "Tutto è compiuto". Un altro esempio della sua divina perfezione e autorità.

Per quanto riguarda l'abbandono che hai citato, posso capire la tua preoccupazione. Senza Cristo, il mondo sarebbe un teatro di follia. Senza Cristo, non puoi spiegare niente: perché ci sono dolori, perché le ingiustizie, perché i fallimenti, perché le malattie, perché, perché, perché... Migliaia di monumentali "perché".

Cerca di capire! L'uomo non può affrontare tutti questi "perché"  con la sua logica finita. E 'solo attraverso Cristo, che tutto può essere spiegato. Tutte queste prove sono per noi mere precondizioni per l’eternità. Forse allora, potremo essere onorati dal Signore con una risposta ad alcuni di questi "perché".

Potrebbe essere utile, se ti leggo una bella poesia [5] dalla collezione di Costantino Kallinikos '"Allori e mirti", dal titolo "Domande":

Ho chiesto a un padre del deserto di settanta anni

le cui ciocche d'argento erano mosse dal vento:

Dimmi o padre, perché, su questa terra,

la luce e le tenebre si muovono inseparabilmente?

E perché - come gemelli – germogliano insieme

la spina e la rosa, la lacrima e il sorriso?

Perché, nella più splendida parte del verde bosco

scorpioni e vipere hanno nascosto i loro nidi?

Perché deve essere, che la tenera gemma,

prima di spiegare il suo fiore profumato,

sia colpito da un verme nel cuore del suo stelo,

e lasciata a morire, come un telo stracciato?

Perché l'aratro, il seme e le mani

servono al grano, per diventare il nostro pane?

Perché ogni cosa utile, nobile, divina

deve sempre essere acquistata con le lacrime e il nostro sangue,

mentre l'egoismo regna sempre rampante,

e la lascivia sta assorbendo il mondo?

E perché, con una tale armonia intorno,

deve trovare la strada il tumulto e il disordine?

L'eremita rispose con la sua voce cupa

e il braccio destro puntato verso il cielo,

che lassù, al di là di quelle nuvole d'oro,

l'Onnipotente tesse un arazzo divino.

Ma poiché noi siamo vagabondi del piano inferiore

Non vediamo nulla, se non i nodi e le corde al di sotto,

Non c'è da stupirsi, perché la mente vede male,

quando dovrebbe sempre essere grata e dare lode:

perché il giorno verrà, quando i cristiani tutti,

con anime che cavalcano i cieli con le ali,

guarderanno l’arazzo di Dio e vedranno

quanto attento e ordinato tutto è stato!

Figlio mio, Cristo non ci ha abbandonato. Egli è sempre con noi, come aiutante e sostenitore, fino alla fine dei tempi. Ma te ne renderai conto, solo quando diventerai un membro coscienzioso della sua Chiesa e ti unirai a lui con i suoi sacramenti.

 

NOTE

[1] Dall'interno della storia sacra, osserviamo come Abramo si consideri "Terra e cenere" (Genesi 18,27). Allo stesso modo Giobbe (42,6). Il grande Mosè esita a intraprendere la missione di liberare gli israeliti dall'Egitto, credendo di essere troppo piccolo e inadeguato per un lavoro così: "E Mosè disse a Dio: 'Chi sono io, per andare al Faraone, re d'Egitto , ... ... io non sono capace ... .... debole di espressione e balbuziente, sono io. "(Esodo 3:11, 4,10). Lo stesso fu detto in un momento successivo dal Giudice Gedeone: "Mio Signore, come posso salvare Israele? .... perché io sono il più giovane di casa di mio padre ... "(Giudici 6,15). Davide si definisce "un cane morto, e un pidocchio" (I Re, 24,15), un verme e non un uomo, la vergogna del genere umano e rifiuto del popolo "(Salmi 21:7). Isaia grida: "Guai a me, misero, perché sono profondamente turbato, perché, essendo un uomo e avendo labbra impure, risiedo tra la gente con le labbra impure, eppure ho cercato il re, Signore Sabaoth con i miei occhi "(Isaia 6,5). Geremia lamenta: "O Sovrano Signore, ecco, io non posso parlare, perché io sono il più giovane .... Curami mio Signore, e io sarò guarito, salvami e io sarò salvato. Perché tu sei il mio vanto. "(Geremia 1:6, 17:14). I tre giovani pronunciano una confessione per se stessi e tutta la popolazione: ".... Abbiamo peccato e violato la legge, noi stessi abbiamo preso le distanze da te, e siamo peccatori in tutto e non abbiamo obbedito ai tuoi comandamenti ... .. con un'anima schiacciata e una mente umiliata, possiamo essere ricevuti da Te ... "(Daniele la preghiera di Azaria, 56 e 16).

Giovanni Battista, il "più grande tra i nati di donna", ha confessato: "Io non sono il Cristo. Ed essi gli chiesero: Chi sei allora? Sei Elia? Non lo sono. Sei tu il profeta? Ed egli rispose: No. ... ... io sono solo una voce che grida nel deserto, "raddrizzate le vie del Signore ... .... Io non sono degno abbastanza, neanche per allentare la cinghia del suo (di Cristo) sandalo ... "(Giovanni 1,20). Infine,  solo e unico e senza precedenti Paolo, si considera una "mostruosità" e indegno "di essere definito apostolo, una "persona infelice", e "il primo tra tutti i peccatori" (I Corinzi, 15:89, Romani 7,24, I Timoteo 1,15). Ma, non entrerà in ogni momento di più qui ...

[2], applicando la norma di: "Quanto più sei grande, tanto più dovresti umiliare te stesso.” (Sirac 3:18)

[3] Questo è esattamente ciò che è sottolineato nel Vangelo di Giovanni: "colui che ha assistito, ha testimoniato" (19,35), in altre parole, quello che ha scritto quelle cose è stato colui che in realtà vide il soldato trafiggere il fianco di Cristo con la lancia, e vide il sangue e l'acqua che esce dalla ferita.

[4] "Esitavano a prosternarsi a lui" (Matteo 28,17). "Ed essi (= gli apostoli), dopo aver saputo che era vivo ed è stato visto da lei (= Maria Maddalena)," miscredenti. (Marco 16:13). "Li rimproverò per la loro incredulità e la loro durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risuscitato" (Mc 16,14). "E apparve loro (= gli Apostoli) che le loro parole (= delle mirofore') erano come deliri (= stupidità, delirio), e non vi credettero" (Luca 24:11). "Noi speravamo che fosse lui a essere destinato a liberare Israele" (Luca 24:21). "Se non vedo l'impronta dei chiodi sulle mani e non metto il dito sull'impronta, e non metto la mia mano nel(la ferita del) suo costato, non crederò". ( Le parole di Tommaso, Giovanni 20:25), ecc

[5] La poesia è stata tradotta liberamente, solo per il suo messaggio.

 

 
30 foto dalla processione di Velikoretskoe

Martedì 3 giugno 2013 ha avuto inizio in Russia l'annuale processione della croce di Velikoretskoe (in russo: Великорецкий крестный ход). La processione di 800 chilometri ha luogo ogni anno dal 3 all'8 giugno nella diocesi di Vjatka, dalla città di Kirov alla località di Velikoretskoe e indietro.

Nel 1383, sulle rive del fiume Velikaja, un contadino di nome Semjon Agalakov scoprì un'icona di San Nicola. Dopo che molte persone furono curate da malattie pregando davanti all'immagine sacra, la fama dell'icona miracolosa si diffuse in tutto il territorio di Vjatka e oltre i suoi confini. Anche prima che l'icona fosse portata per la prima volta a Mosca - su ordine di Ivan il Terribile nel 1555 - l'immagine miracolosa di San Nicola era ben nota e onorata in Russia.

Sul luogo del ritrovamento dell'icona miracolosa, nel XV secolo è stato fondato l'insediamento di Velikoretskoe. Il complesso architettonico del villaggio è un'attrattiva unica del territorio di Vjatka.

Gli abitanti della città di Khlynov (vecchio nome di Kirov) - la capitale della regione di Vjatka - portarono l'icona di San Nicola nella cattedrale della città dopo aver fatto una promessa di riportare l'icona sulla riva del fiume Velikaja ogni anno.

La processione annuale ha luogo da oltre 600 anni, anche se nel 1930 è stata messa al bando dalle autorità sovietiche. L'icona originale stessa è stata persa con la distruzione della Cattedrale della Trinità a Vjatka nel 1935, ma nel 1989 la processione annuale è ripresa con una copia fedele dell'icona originale. Si stima che vi partecipino circa 30.000 persone, non solo dalla Russia ma anche dall'estero.

 
Metropolita Ilarion (Alfeev): la formazione teologica nel XXI secolo

Secondo una definizione classica di Evagrio, ‘Se sei un teologo, pregherai veramente. E se preghi veramente, sei un teologo’. Nella tradizionale comprensione ortodossa, la teologia non è una scienza, o una borsa di studio, o un esercizio accademico. Essere un teologo significa avere l’esperienza di un incontro personale con Dio attraverso la preghiera e il culto.

La teologia deve essere ispirata da Dio: non dovrebbe essere la parola di una persona umana, ma la parola dello Spirito pronunciata da labbra umane. Un vero teologo cristiano è colui che è in grado di rimanere in silenzio fino a quando lo Spirito Santo tocca le corde della sua anima. Ed è solo quando la parola umana tace e la parola dello Spirito emerge dalla sua anima, che nasce la vera teologia. Da questo momento un ‘amante delle parole’ si trasforma in un ‘amante della saggezza’, un retore in un teologo.

Secondo san Gregorio Nazianzeno, non chiunque può essere un teologo, ma solo colui che purifica se stesso per Dio. Non tutti possono partecipare alle discussioni teologiche, ma solo quelli che sono in grado di farlo correttamente. Infine, non ogni questione teologica può essere discussa apertamente:

“La discussione della teologia non è per tutti, io vi dico, non per tutti - non è un esercizio poco costoso e senza sforzo... Deve essere riservata a determinate occasioni, ad alcuni pubblici, e certi limiti devono essere rispettati. Non è per tutti gli uomini, ma solo per coloro che sono stati testati e sono stabili negli studi, e, cosa più importante, hanno ottenuto, o per lo meno stanno ottenendo, la purificazione del corpo e dell’anima.”

La teologia, secondo san Gregorio, non è altro che l’ascesa verso Dio. Gregorio usa l’immagine tradizionale di Mosè sul monte Sinai per sottolineare che il vero teologo è solo qualcuno che è in grado di entrare nella nuvola e di incontrare Dio faccia a faccia. In questa immagine multidimensionale, allegorica Mosè simboleggia la persona la cui teologia emerge dalla esperienza di un incontro con Dio. Aronne rappresenta una persona la cui teologia si basa su quello che ha sentito dire da altri, Nadab e Abiu caratterizzano coloro che affermano di essere teologi a causa della loro posizione elevata nella gerarchia ecclesiastica. Ma né la familiarità con l’esperienza degli altri, né un grado ecclesiastico dà il diritto di proclamarsi teologo. Quei cristiani che si purificano secondo i comandamenti di Dio possono prendere parte a una discussione teologica, i non purificati non dovrebbero.

Quindi, la purificazione dell’anima è un presupposto necessario per la pratica della teologia. Il suo punto centrale è riassunto nel seguente detto: ‘Parlare di Dio è una gran cosa? Ma ancor più grande è purificare se stessi per Dio. Qui, la purificazione (katharsis) non si oppone alla teologia: piuttosto, la teologia è quell’ascesa alla vetta del Monte Sinai, che è impossibile senza la purificazione.

Ciò che è necessario per la pratica della teologia non è tanto lo sforzo intellettuale, né l’erudizione esterna, né ampie letture, ma prima di tutto umiltà e modestia. Secondo Gregorio, l’umiltà non si trova nell’aspetto esteriore di una persona, che può essere spesso ingannevole, e forse neppure nel modo in cui una persona è legata ad altre persone, ma nel suo atteggiamento verso Dio. L’umile, a giudizio di Gregorio, non è colui che parla  poco di sé, o che parla in presenza di pochi, ma di rado, ma colui che ‘parla di Dio con moderazione, che sa cosa dire e cosa passare sotto silenzio.

In altre parole, chiunque può essere un buon cristiano, ma non tutti sono in grado di indagare le profondità della dottrina, in cui molte cose dovrebbero essere coperte da un silenzio apofatico. Tutti possono contemplare questioni di teologia, ma non tutti possono essere iniziati ai suoi misteri. Tutti i cristiani devono purificarsi per Dio: quanto più una persona è purificata, tanto più visibili sono le parole dello Spirito nella sua bocca. La vera teologia è nata da un’attesa silenziosa e umile davanti a Dio piuttosto che da speculazioni su questioni teologiche.

Possiamo vedere che questa comprensione è radicalmente diversa da quella che normalmente intendiamo per ‘teologia’. Una delle tragiche conseguenze del divorzio tra la teoria e la prassi cristiana, tra la fede e la conoscenza, è che oggi la conoscenza di argomenti teologici non presuppone necessariamente la fede. Si può essere un teologo e non appartiene a nessuna comunità ecclesiale; in linea di principio, non c’è bisogno di credere in Dio per ricevere una laurea teologica. La teologia si riduce a una delle materie della conoscenza umana a fianco della chimica, matematica o biologia.

Un altro divorzio che deve essere menzionato è quello tra teologia e liturgia. Per un teologo ortodosso, i testi liturgici non sono semplicemente opere di insigni teologi e poeti, ma anche frutti dell’esperienza orante di coloro che hanno raggiunto la santità e la theosis. L’autorità teologica dei testi liturgici è, a mio avviso, superiore a quella delle opere dei Padri della Chiesa, poiché non tutto ciò che è nelle opere di questi ultimi è di pari valore teologico e non tutto è stato accettato dalla pienezza della Chiesa. I testi liturgici, al contrario, sono stati accettati da tutta la Chiesa come una ‘regola di fede’ (kanon písteos), poiché sono stati letti e cantati nelle chiese ortodosse in tutto il mondo e nel corso dei secoli. Per tutto questo tempo, ogni idea erronea estranea all’Ortodossia, che avrebbe potuto infiltrarsi tramite malinteso o distrazione, è stata eliminata dalla stessa Tradizione della Chiesa, lasciando solo pura e autorevole dottrina rivestita delle forme poetiche degli inni ecclesiali.

Diversi anni fa mi sono imbattuto in un breve articolo su una rivista della Chiesa copta, in cui si affermava che questa Chiesa aveva deciso di rimuovere dai suoi libri di servizio le preghiere per coloro che sono trattenuti all’inferno, dal momento che queste preghiere ‘contraddicono l’insegnamento ortodosso.’ Perplesso da questo articolo, ho deciso di chiedere a un rappresentante della Chiesa copta le ragioni di questa mossa. Quando ne ho avuto la possibilità, ho sollevato la questione di fronte a un metropolita copto, il quale ha risposto che la decisione era stata presa dal suo Sinodo, perché, secondo la loro dottrina ufficiale, nessuna preghiera può aiutare le persone all’inferno. Ho detto al metropolita che nella pratica liturgica della Chiesa ortodossa russa e di altre Chiese ortodosse locali ci sono preghiere per i detenuti all’inferno, e che noi crediamo nella loro forza salvifica. Questo ha sorpreso il metropolita, che ha promesso di studiare la questione in modo più dettagliato.

Durante questa conversazione con il metropolita ho espresso il mio pensiero su come si potrebbe deviare di molto e anche perdere importanti insegnamenti dottrinali nel perseguimento della correzione dei testi liturgici. I testi liturgici ortodossi sono importanti per la loro capacità di dare precisi criteri di verità teologica, e si deve sempre confermare la teologia con testi liturgici come linee guida, e non il contrario. La lex credendi nasce dalla lex orandi, e i dogmi sono considerati divinamente rivelati, perché nascono nella vita di preghiera e sono rivelati alla Chiesa attraverso i suoi servizi divini. Quindi, se ci sono divergenze nella comprensione di un dogma tra una certa autorità teologica e i testi liturgici, sarei propenso a dare la preferenza a questi ultimi. E se un libro di testo di teologia dogmatica contiene punti di vista diversi da quelle che si trovano nei testi liturgici, è il libro di testo, non i testi liturgici, che ha bisogno di correzione.

Ancora più inammissibile, dal mio punto di vista, è la correzione dei testi liturgici in linea con le norme attuali. In tempi relativamente recenti, la Chiesa cattolica romana ha deciso di rimuovere i testi cosiddetti “antisemiti” dal servizio del Venerdì Santo. Diversi membri della Chiesa ortodossa hanno cominciato a propagare l’idea di rivedere i servizi ortodossi al fine di avvicinarli alle norme attuali di correttezza politica. Ad esempio, il defunto arciprete Serge Hackel dall’Inghilterra, un partecipante attivo nel dialogo ebraico-cristiano, ha proposto la rimozione di tutti i testi dei servizi della Settimana Santa che parlano della colpa degli ebrei nella morte di Cristo (cfr. il suo articolo ‘Come la teologia occidentale dopo Auschwitz corrisponde alla coscienza e ai servizi della Chiesa ortodossa russa,’ in La teologia dopo Auschwitz e la sua connessione alla teologia dopo il Gulag: conseguenze e conclusioni, San Pietroburgo, 1999, in russo). Egli sostiene inoltre che solo una lettura ‘superficiale e selettiva’ del Nuovo Testamento porta il lettore alla conclusione che gli ebrei abbiano crocifisso Cristo. In realtà, egli sostiene, Ponzio Pilato e l’amministrazione romana sono i principali responsabili della condanna di Gesù e della sua crocifissione.

Questo è solo uno degli innumerevoli esempi di come una distorsione della lex credendi porta inevitabilmente a ‘correzioni’ nella lex orandi, e viceversa. Questa non è solo una questione di rivedere la tradizione liturgica, ma anche un riesame della storia e dottrina cristiana. Il tema principale di tutti e quattro i Vangeli è il conflitto tra Cristo e gli ebrei, che alla fine chiedono la pena di morte per Gesù. Non c’era conflitto tra Cristo e l’amministrazione romana, quest’ultima chiamata in causa solo perché gli ebrei non avevano il diritto di effettuare una pena di morte. Sembra che tutto questo sia così evidente da non aver bisogno di alcuna spiegazione. Questo è esattamente come la Chiesa antica ha compreso la storia del Vangelo, e questa è la comprensione che si riflette nei testi liturgici. Tuttavia, le regole attuali di ‘correttezza politica’ impongono un’altra interpretazione, al fine di portare non solo i servizi della Chiesa, ma anche la fede cristiana stessa, in linea con le tendenze moderne.

La tradizione ortodossa possiede un numero sufficiente di “meccanismi di difesa” che impediscono a elementi estranei di penetrare nella sua pratica liturgica. Ho in mente quei meccanismi che sono stati messi in moto quando opinioni erronee o eretiche sono stati introdotte nei testi liturgici con il pretesto di revisione. Si può ricordare come il nestorianesimo sia iniziato con la proposta di sostituire l’ampiamente diffuso termine Theotokos (colei che ha partorito Dio) con Christotokos (colei che ha partorito Cristo): il secondo era visto come più appropriato da Nestorio. Quando fu fatta questa proposta, si attivò uno dei meccanismi di difesa: il popolo ortodosso era indignato e protestava. Più tardi, un altro meccanismo fu messo in funzione quando i teologi si incontrarono per discutere il problema. Infine, fu convocato un Concilio ecumenico. Così, avvenne che una pericolosa eresia cristologica, in agguato sotto le mentite spoglie di un’apparentemente innocua modifica liturgica, fu poi condannata da un Concilio.

Riscoprire il legame tra teologia, liturgia e la prassi, tra lex orandi, lex credendi e lex vivendi sarebbe uno dei compiti urgenti della formazione teologica nel XXI secolo. L’intera nozione di una ‘teologia’ come conoscenza esclusivamente libresca deve essere messa in discussione. L’intera idea di una ‘facoltà teologica’ come una delle tante altre facoltà di un’università laica ha bisogno di essere riesaminata. Le nozioni di teologia ‘non-confessionale’, ‘imparziale’, ‘oggettiva’ o ‘inclusiva’ invece di ‘confessionale’ o ‘esclusiva’ devono essere riconsiderate.

 
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Perché Giovanni il Battista ha le ali nelle icone ortodosse?

San Giovanni Battista "Angelo del Deserto" (icona russa, XVII secolo)

Perché san Giovanni il Battista, un santo quasi unico, è raffigurato con le ali in molte icone?

Così come "il Battista", Giovanni è conosciuto anche come "il glorioso profeta e precursore di Cristo". Pertanto, la presenza delle ali è per simboleggiare lo stato di Giovanni come un messaggero divino (in greco "Evangelos", da cui deriva la parola "angelo"). Vale la pena notare che anche le ali degli arcangeli (Gabriele, Michele, ecc.) nelle icone sono in gran parte simboliche, in quanto non sono specificamente descritti con le ali nelle Scritture.

Ma se questo fosse tutto, perché non raffigurare i profeti dell'Antico Testamento, o gli apostoli, con le ali angeliche del messaggero divino? La risposta, secondo le parole di Gesù Cristo stesso, è perché "tra i nati di donna non c'è nessuno più grande di Giovanni". Del resto, egli è "il culmine e la corona dei profeti", come proclama l'inno della festa della natività di san Giovanni. Pertanto, san Giovanni è un esempio speciale tra i santi di "angelo" terreno e di uomo celeste. Come tale, egli è anche descritto come "l'Angelo del Deserto" nelle iscrizioni delle icone.

La vita di Giovanni nel deserto è stata angelica per due motivi. Da un lato egli ha proclamato la venuta del Messia, Gesù Cristo, diventando un araldo di Dio come gli angeli. Dall'altro, ha vissuto una vita di castità, astinenza e preghiera, non essendo consapevole dei bisogni materiali, ma tenendo la sua attenzione fissata saldamente al cielo. Questa è la vita degli angeli, ed ecco perché la vita monastica è talvolta chiamata "angelica", e perché San Giovanni è il patrono di monaci, eremiti e asceti. Per entrambe le ragioni, è opportuno mostrare san Giovanni con le ali spirituali di una colomba.

Colei che prima era sterile partorisce oggi il precursore di Cristo, Giovanni, il culmine e la corona di tutti i profeti. Egli infatti, nel fiume Giordano, imponendo la mano a colui che i profeti hanno preannunciato, è divenuto profeta eletto del Verbo divino, suo predicatore potente e suo precursore nella grazia.

(Contacio della festa della Natività di san Giovanni Battista)

 
Intervista sul matrimonio a padre Maksim Kozlov

Presentiamo nella sezione “Ortoprassi” dei documenti il testo russo e la traduzione italiana di un’intervista sul tema del matrimonio fatta nel gennaio 2010 all’arciprete Maksim Kozlov, rettore della chiesa di santa Tatiana presso l'Università Statale di Mosca (MGU) e professore all'Accademia teologica di Mosca (MDA).

Padre Maksim (che abbiamo ascoltato alcuni giorni fa riguardo al tema dei rapporti tra ortodossi e cattolici), ci guida con rara competenza tra le sfide contemporanee all’istituzione del matrimonio e i problemi senza tempo che colpiscono coppie e famiglie, dalla ricerca di partner su Internet ai matrimoni con persone di altre fedi e con i non credenti, dai legami tra le diverse generazioni di una famiglia al ruolo dei confessori.

 
Un confronto con la dottrina della reincarnazione

Introduzione

Con una crescente diffusione nel corso degli ultimi decenni, la dottrina della reincarnazione è divenuta sempre più nota e accettata nella nostra cultura. Il confronto con il mondo cristiano, che propone una differente visione dell'uomo e del suo destino, ha creato problemi, confusioni e polemiche a non finire. Si è cercato da una parte di presentare la reincarnazione come una dottrina perfettamente compatibile con il cristianesimo, come un "insegnamento perduto" dei primi secoli cristiani, o addirittura come l'essenza del messaggio cristiano. Dall'altra parte, si è dichiarata guerra al reincarnazionismo, ritenendolo un corpo alieno, una ideologia erronea e deviata, uno dei principali veicoli del processo di scristianizzazione degli ultimi secoli.

Chi si impegna oggi in un'opera di evangelizzazione incontra facilmente sostenitori e detrattori della reincarnazione (non di rado arroccati in posizioni estremiste). Come comportarsi? Quali conseguenze trarre a titolo personale, e riguardo alla propria vocazione cristiana? Talora, per alcuni grossolani errori, è facile prendere in ridicolo il mondo reincarnazionista (1): questo non facilita certo l'annuncio del messaggio cristiano; d'altra parte, l'ignoranza o la generalizzazione in materia può portare ad una presentazione banale o scadente della fede cristiana.

Per potere giungere a un dialogo sereno e fruttuoso (e a un genuino rispetto di persone che si impegnano in seri cammini spirituali partendo da altre convinzioni), vogliamo cercare con questo saggio di offrire un contributo di informazione e riflessione, indirizzato a tutti coloro che hanno a cuore, per motivi diversi e magari opposti, la risoluzione del difficile problema della convivenza tra il cristianesimo e la reincarnazione.

Senza pretendere di presentare le nostre convinzioni, vogliamo assumere una posizione che non sia di condanna, né di accettazione acritica. Pur avendo numerosi dubbi sul mondo del reincarnazionismo (ed in particolare sulle sue versioni moderne) dobbiamo per lo meno ritenere che l'ipotesi reincarnazionista offre risposte plausibili ad alcuni quesiti umani, e che comunque è un argomento molto più complesso di quanto si possa credere ad una prima impressione.

 

1. Alle sorgenti del reincarnazionismo

Se si prova a localizzare il centro di origine della dottrina della reincarnazione, il pensiero corre subito (e correttamente) all'India, ma è opportuna una precisazione. I Veda, i più antichi testi sacri dell'India, non fanno cenno a teorie di rinascita in nuovi corpi; queste teorie incominciano ad apparire in alcuni commentari ai Veda, di età posteriore. Se vogliamo vedere un influsso che dal mondo indiano porta questa dottrina in Occidente, dobbiamo attendere la propagazione missionaria del messaggio buddhista.

Insieme ad altri concetti di possibile origine indiana, l'idea appare in alcuni tra i filosofi presocratici (Pitagora ed Empedocle), e nel movimento dell'Orfismo; in seguito compare nella letteratura classica nei dialoghi di Platone (un esempio notevole è il mito di Er, nel libro X della Repubblica), e nell'Eneide di Virgilio. Nei primi secoli dell'era cristiana, compare, seppur marginalmente, nelle dottrine di alcuni maestri dello gnosticismo, e nel manicheismo. Con la trasformazione dell'Impero Romano in società cristiana, le dottrine reincarnazioniste vengono gradualmente dimenticate, e sopravvivono in Occidente soltanto in movimenti che più o meno si rifanno allo gnosticismo e al manicheismo, come i catari.

 

2. Il mondo reincarnazionista moderno

I primi ad operare un ritorno alla ipotesi della reincarnazione nell'era moderna sono i filosofi illuministi, che si domandano se sia irrazionale ritenere di avere vissuto più volte. In questo campo ha un influsso importante Gotthold Ephraim Lessing, l'editore dei Frammenti di Reimarus (la prima opera nella storia a mettere in dubbio l'esistenza storica di Gesù). Lessing, nell'opera Educazione del genere umano, del 1780, avanza l'ipotesi della reincarnazione per giustificare un progresso continuo dell'anima, e su questa onda si muovono molti grandi nomi dell'illuminismo e del romanticismo, da Voltaire a Goethe.

L'idea di progresso, unita alla speranza di perfezionamento delle masse in questo mondo, infiamma di credenze reincarnazioniste i socialisti rivoluzionari francesi della prima metà del secolo scorso, tra cui Charles Fourier. Più grande di quanto di pensi è l'influsso dei socialisti rivoluzionari sullo spiritismo francese: Il primo manifesto dello spiritismo, Il Libro degli Spiriti di Allan Kardec (Léon Rivail), che è anche il primo manuale di reincarnazionismo per le masse, è largamente basato su quaderni compilati dai 'quarantottardi' parigini.

Lo spiritismo kardecista ha esercitato un enorme influsso in Brasile, dove non di rado la reincarnazione "progressista" si è curiosamente mescolata a forme di venerazione degli antenati tipiche di culti tradizionali africani.

Il più grande influsso di propagazione della reincarnazione nella società contemporanea, comunque, è unanimemente attribuito alla Società Teosofica, ed alla sua fondatrice Helena Petrovna Blavatsky. Quanto abbiano influito su H.P.Blavatsky le dottrine reincarnazioniste dell'antichità, o piuttosto l'illuminismo e Kardec, rimane un campo ancora da approfondire. Non è indifferente notare come la stessa Madame Blavatsky, nei primi anni di vita della Società Teosofica, fosse tutt'altro che reincarnazionista (2), ed è solo in opere posteriori che incontriamo un tentativo di fondare una dottrina della reincarnazione che, pur distaccandosene esplicitamente, riprende temi propri del buddhismo e del kardecismo, nonché alcune idee del nascente evoluzionismo viste in chiave di progresso spirituale. Attraverso altre figure importanti della Società Teosofica, come Annie Besant e Charles Webster Leadbeater, il movimento antroposofico di Rudolf Steiner, e scrittori come Edouard Schuré, l'idea teosofica della reincarnazione si è diffusa in una moltitudine di nuovi insegnamenti, dottrine e rivelazioni di movimenti nati negli ultimi decenni.

Tra le "nuove dottrine", si può segnalare l'Associazione Internazionale per la Coscienza di Krishna, che ha esercitato il più diffuso propagandismo della reincarnazione negli ultimi decenni. Essa tenta di reimportare la reincarnazione induista senza mediazioni dirette dal mondo spiritista o teosofico, ma prestando una certa attenzione al reincarnazionismo moderno in occidente. Perciò, anche se la loro visione della reincarnazione è, per esempio, aliena da qualunque idea di evoluzionismo spirituale (rinascere è una condanna, come per la concezione induista generale), gli Hare Krishna non disdegnano di citare come testimoni i sostenitori occidentali della reincarnazione "progressista". Resta da notare che movimenti devozionali come quello degli Hare Krishna sono visti, dal modo induista più tradizionale, come portatori di una teologia popolaresca e grossolana, e la loro idea di reincarnazione è considerata una banalizzazione delle dottrine dell'induismo classico.

Un discorso particolare meritano i casi dei ricordi di vite passate, ai quali si è applicata fin dalla nascita la moderna parapsicologia. I fenomeni di memorie prenatali sono stati studiati nei modi più disparati: regressioni ipnotiche, psicoanalisi, indagini sulle capacità extrasensoriali, e così via. È interessante la storia della Dianetica, la tecnica da cui si è evoluto il movimento della Scientologia: nato per rimuovere le aberrazioni mentali di origine traumatica, il procedimento della Dianetica ha visto sorgere casi di memorie prenatali in un gran numero dei propri pazienti; il fenomeno ha generato un'evoluzione reincarnazionista dell'intero movimento.

Va segnalato come non sempre coloro che si occupano di questi fenomeni di "memorie di altre vite" si pronuncino per la soluzione reincarnazionista. Quest'ultima, però, non è irragionevole come ipotesi scientifica, e va valutata con la stessa attenzione prestata alle altre spiegazioni (associazioni inconsce, ereditarietà, personalità multiple, ossessione, e così via).

 

3. Due concezioni separate?

Tenendo conto delle caratteristiche proprie di differenti culture e periodi storici, possiamo dire che il reincarnazionismo moderno sia una continuazione, un'evoluzione o una logica conseguenza delle antiche presentazioni della reincarnazione?

Un esame attento ci convince sempre di più che questa ipotesi non sia sostenibile. Pur con tutte le comprensibili diversità, infatti, emerge come alla base della reincarnazione degli antichi e di quella moderna vi siano idee e motivazioni del tutto differenti.

Per comprendere queste differenze, passiamo a un breve esame dei motivi conduttori delle dottrine reincarnazioniste a cui abbiamo accennato.

L'induismo vede nel ritorno alla vita in nuovi corpi il perpetuarsi di una situazione di illusione e di sofferenza, dovuta all'incapacità umana di raggiungere l'originaria imperturbabilità dell'anima. Il proposito da seguire non è quello di "ritornare sulla terra a fare nuove esperienze", ma di sfuggire alla reincarnazione, rompendo il ciclo delle nascite e delle morti.

La posizione buddhista è simile sotto questo aspetto a quella induista: lo scopo rimane quello della cessazione del dolore, ma il buddhismo non si pronuncia (in certi casi estremi, si pronuncia negativamente) sull'esistenza dell'anima. La domanda "se l'anima non c'è, o non interessa, che senso ha la reincarnazione?" è piuttosto importante, perché richiama un concetto di rinascita quanto mai interessante. Secondo il buddhismo, l'uomo è composto da aggregati psichici, o skhanda (tradizionalmente in numero di cinque): questi sono i tratti psicosomatici, i desideri, emozioni, pensieri, abitudini, ricordi, e così via, che all'atto della morte e della dissoluzione dei corpi tornano a formare altri esseri viventi.

Secondo alcuni autori (tra cui il celebre esoterista René Guénon) il concetto buddhista di rinascita di aggregati psicofisici potrebbe essere stato condiviso dalla cultura greca e romana, nonché da parte della tradizione cinese (taoista), in cui è presente l'idea del "rinascere nei propri discendenti". (3)

Vale la pena considerare questa teoria, perché, oltre a dare una spiegazione adeguata ai fenomeni di ricordi di vite passate (un ricordo del genere sarebbe possibile per avere ereditato aggregati psicofisici di una persona vissuta in precedenza), è anche la meno contrastante con la dottrina cristiana (perché un simile ritorno in vita di parti di personalità defunte è in un certo modo assimilabile alla trasmissione ereditaria di caratteri tra differenti persone viventi, e non ha alcuna implicazione sul destino eterno dell'anima umana).

Il mondo occidentale moderno, nella sua presentazione della reincarnazione, prende come base un concetto che è estraneo o irrilevante per la visione degli antichi o degli orientali, vale a dire l'evoluzionismo spirituale: un'idea di perfezionamento dell'anima che si compie attraverso molte vite, e che in un certo senso ricalca l'idea della provvidenza divina.

Con la visione evoluzionista si spiega, per esempio, una fondamentale differenza tra la reincarnazione antica e quella moderna: la profonda ripugnanza che quest'ultima prova per l'idea del ritorno di anime umane in corpi animali o di regni inferiori. L'idea di progresso sempre ascendente, così cara al pensiero degli ultimi secoli, porta quasi tutti i reincarnazionisti moderni a presentare un processo di rinascite "a senso unico": gli antichi (e in modo particolare i buddhisti, per i quali si reincarnano solo degli aggregati psicofisici) non hanno invece alcun problema ad accettare la reincarnazione in regni inferiori. A questo proposito, è stato coniato addirittura un nuovo senso del termine 'metempsicosi', che nella visione moderna viene a rappresentare l'idea (falsa) del ritorno in corpi di animali e piante, per distinguerla dalla 'reincarnazione' in senso proprio; nell'antichità il termine non aveva questo senso, ma è uno tra molti vocaboli impiegati per indicare il fenomeno di ritorno alla vita in nuovi corpi.

 

4. Una dottrina universale?

I sostenitori della reincarnazione, particolarmente nel mondo teosofico (4), si sforzano di dimostrare come l'idea della rinascita in nuovi corpi sia stata condivisa da tutte le culture e da tutti i popoli fin dalla più remota antichità, e che il rifiuto di questa dottrina sia in realtà il frutto di una graduale scomparsa di conoscenze, o di deliberate mutilazioni della sapienza degli antichi. Quest'idea ha gioco facile con la considerazione che il cristianesimo e l'islam, le due più diffuse fedi non reincarnazioniste, sono le ultime arrivate nel mondo delle grandi religioni.

Benché si possano definire molte culture e civiltà come reincarnazioniste, tuttavia non ci sembra che la dottrina possa vantare tutta quell'universalità che una certa propaganda vuole attribuirle. Pur prescindendo dalle diversità sostanziali tra concetti antichi e moderni, e dai diversi punti di vista culturali nei quali si esprime il reincarnazionismo, dobbiamo ricordare come molte tradizioni originarie delle più grandi culture ignorino o si oppongano alla reincarnazione.

In Cina, il mondo tradizionale confuciano e taoista non è mai stato reincarnazionista, e ha respinto anche la forma meno estrema che vi fu importata dal buddhismo, in quanto lesiva della venerazione degli antenati.

Si è presentato l'antico Egitto come terra di credenza ancestrale nella reincarnazione, ma gli egittologi sono sempre più convinti che la dottrina vi sia stata importata soltanto dopo l'occupazione persiana. Nella stessa India, la reincarnazione è una dottrina di epoca tarda (e negli ambienti più colti e tradizionali dell'induismo è tutt'altro che universalmente accettata).

Per quanto riguarda i popoli tribali, bisogna guardarsi dalle generalizzazioni. Se è vero, ad esempio, che vi sono forti suggestioni reincarnazioniste tra alcune tribù dell'Alaska e della costa pacifica canadese, è altresì vero che queste non si estendono a molte tribù confinanti.

Di fronte a questa varietà di fatti, dobbiamo considerare per lo meno malaccorti coloro che vedono nella reincarnazione un insegnamento universale. Dall'Inchiesta europea sui valori del 1981 è emerso come oltre un quinto della popolazione dell'Europa occidentale crede nella reincarnazione sotto qualche forma (e questo è stato considerato come un vero e proprio trionfo del reincarnazionismo ai nostri giorni): forse non ci discosteremmo molto dal vero nel ritenere che nel corso della storia a noi nota la reincarnazione sia stata sostenuta, in via generale, da circa un quarto o un quinto della popolazione umana.

 

5. Cristianesimo e reincarnazione in epoca moderna

Si può affermare che l'idea della reincarnazione, se non altro per l'influsso dei miti del mondo pagano e del pensiero platonico e pitagorico, fosse nota nei secoli che videro il sorgere del cristianesimo. Ma il reincarnazionismo moderno non si è accontentato di questo, e ha voluto andare oltre, affermando di trovare prove a suffragio della reincarnazione nelle Sacre Scritture, nei Padri della Chiesa e in alcuni grandi autori cristiani dei primi secoli. Purtroppo, così facendo, si sono generati numerosi equivoci, che si ripetono tali e quali nelle opere di vari autori reincarnazionisti, minandone la serietà.

Poiché sembra che questi equivoci si possano evitare con una rudimentale conoscenza della Bibbia, dei Padri e della storia della Chiesa, proviamo a sottolineare alcuni punti "scottanti", cercando di chiarire qualche malinteso.

 

Sacre Scritture

Antico e Nuovo Testamento non presentano alcun testo esplicitamente reincarnazionista, ma solo alcuni passi vagamente interpretabili in tal senso. Su questi si sono scatenate forse le polemiche più furiose. Occorre comunque ricordare come il significato di certi termini e frasi, nel mondo ebraico, non sia lo stesso di quello del mondo greco e orientale: così, per citare alcuni passi controversi, la missione del Battista "con lo spirito e la forza di Elia" di Lc 1,17 indica, come in altri passi biblici (2 Re 2,15; Mt 14,2), un medesimo carisma profetico, e non la rinascita di Elia in Giovanni; similmente, la "ruota della vita" di Gc 3,6 non indica necessariamente lo stesso concetto ciclico di nascite e morti del mondo indo-buddhista.

In altri passi, la spiegazione reincarnazionista si trova di fronte ad altre ipotesi maggiormente plausibili; nella rinascita "da acqua e da spirito" nel dialogo con Nicodemo (Gv 3,5), è ben più probabile un riferimento al battesimo che non alla reincarnazione; ed in quello che è forse il brano evangelico più citato dai reincarnazionisti, la domanda dei discepoli davanti al cieco nato (Gv. 9,2: "chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché nascesse cieco?"), anche tralasciando il fatto che Gesù non risponde in un senso che suggerisca la reincarnazione, vi sono spiegazioni plausibili, già attestate nella cultura giudaica e nella stessa Bibbia, come il peccato nel grembo materno (cfr. Sal 58,4).

In definitiva, molti passi scritturali sono suscettibili di interpretazioni alquanto ampie, anche perché la cultura ebraica non era un ambiente stagno, e l'idea della reincarnazione poteva per lo meno penetrarvi dal mondo ellenistico (di fatto, vi penetrò con una certa autorevolezza nel cabbalismo medioevale). Ma se si vuole portare la Bibbia a suffragio della reincarnazione, allora bisogna anche considerare l'unico passo nel quale la reincarnazione è esplicitamente negata: "è stabilito per gli uomini che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio" (Eb 9,27).

 

Padri e scrittori ecclesiastici

Nelle opere reincarnazioniste, ha un peso particolare l'attribuzione della credenza nella reincarnazione ad alcune figure dei primi secoli dell'era cristiana. I più citati sono gli autori di tendenze neoplatoniche, tra i quali Giustino, Clemente Alessandrino, Gregorio di Nissa e, più di tutti, Origene. In effetti, questi autori parlano della reincarnazione nei loro scritti, ma sempre per smentirla o negarla. In alcuni casi, come in Origene e negli autori che a lui si ispirano, troviamo attestazioni di fede nella preesistenza delle anime, ma non nella reincarnazione, che viene considerata una dottrina erronea e puerile. In tutto il mondo cristiano dei primi secoli, le uniche figure di reincarnazionisti sono quelle degli gnostici, ed anche questi non sembrano attribuire alla reincarnazione una grande importanza nei loro sistemi di pensiero (come si può notare, ad esempio, dalla scarsità di frammenti in materia nella biblioteca di Nag Hammadi).

 

Concili ecumenici

Si è sostenuto che i primi cristiani credessero nella reincarnazione, e che la Chiesa abbia in seguito condannato la dottrina per ragioni diverse (nei casi peggiori per oscurantismo o per opportunismo politico, nei migliori per un desiderio di concentrazione sulla vita presente). La circostanza specifica della condanna (ripetuta ad nauseam nella letteratura reincarnazionista) sarebbe stata data dal Secondo Concilio di Costantinopoli, nel 553. La teoria può essere pittoresca, ma è falsa. La condanna in questione (che del resto non fa neppure parte degli atti ufficiali del Concilio) riguarda la preesistenza delle anime e la loro reintegrazione: è una presa di posizione contro le esagerazioni in senso neoplatonico nelle opere di tre teologi dell'epoca: non v'è cenno alcuno alla reincarnazione, in tutti i termini per essa impiegati. Per una condanna ufficiale in un Concilio, bisogna attendere il Vaticano II, dove al punto 48 della Costituzione Lumen Gentium si fa menzione dell' "unico corso della nostra vita terrena", citando Eb 9,27, in funzione antireincarnazionista (5).

 

Conclusione

Non vogliamo con questo saggio offrire una "risposta cristiana" alla reincarnazione: ci basta avere fornito dati e spunti per un approfondimento della questione. Sulla base di queste informazioni, tuttavia, possiamo porre alcune domande per un'ulteriore riflessione.

- Il nucleo del messaggio cristiano, fin dai primi tempi, è stato l'annuncio della risurrezione (quella di Cristo, naturalmente, ma anche in prospettiva generale, come risurrezione personale). Ora, risurrezione e reincarnazione possono essere messe d'accordo? Si complicano a vicenda, oppure possono integrarsi?

- Che i primi cristiani fossero reincarnazionisti oppure no, di certo la reincarnazione era un'idea circolante e diffusa nei primi secoli dell'era cristiana. Come mai, man mano che il cristianesimo si afferma, la reincarnazione cade nell'oblio? Può questo velo di silenzio essere un indizio di incompatibilità?

- La vita umana per il cristianesimo è una condizione di scelta radicale, pro o contro il disegno che Dio prepara per la sua creatura. Il destino dell'uomo dipende da questa scelta fondamentale, e dalla coerenza con essa. Che effetto provoca il senso di un progresso attraverso vite ripetute su questa scelta?

 

Note

(1) È il caso, ad esempio, di PIER ANGELO GRAMAGLIA, La reincarnazione, Casale Monferrato: Piemme, 1989, i cui motteggi sono non di rado brillanti, ma certamente non dispongono al buon umore i reincarnazionisti.

(2) Si può notare facilmente l'assenza di una posizione reincarnazionista nella sua prima opera, Iside Svelata (tr.it., Milano: Armenia, 1984).

(3) V. RENÈ GUENON, Errore dello spiritismo, Milano: Rusconi, 1988, 193-219. Per approfondire la concezione buddhista dell'uomo e dei suoi aggregati, e della dottrina del non-sé, suggeriamo WALPOLA RAHULA, L'insegnamento del Buddha, s.l: Edizioni Paramita, 1984. La visione buddhista della rinascita è esaminata con attenzione da ALEXANDRA DAVID-NEEL, Immortalità e Reincarnazione. Pratiche e dottrine in Cina - Tibet - India, Genova: Alkaest, 1982.

(4) Un esempio sono le opere di JOSEPH HEAD - SYLVIA L. CRANSTON, La reincarnazione, Milano: Longanesi, 1973, e Il libro della reincarnazione, tr.it., Milano: Armenia, 1980, che presentano un enorme numero di testimonianze sulla reincarnazione, dai popoli tribali primitivi ai Padri della Chiesa. Non è difficile cogliervi il desiderio di mostrare come tutte le culture, e tutti i grandi della storia, abbiano accettato la reincarnazione. L'opera è però impostata con una metodologia discutibile: le citazioni riportate sono a volte dei testi favorevoli alla reincarnazione, a volte delle semplici constatazioni dell'esistenza di questa dottrina, e in qualche caso anche allusioni ironiche o polemiche, e non vengano specificate le intenzioni degli autori dei diversi passi.

(5) Il tema è ripreso dal nuovo Catechismo della Chiesa cattolica, Città del Vaticano: Libreria Editrice Vaticana, 1992, al punto 1013.

 

Suggerimenti bibliografici

La letteratura sulla reincarnazione è estremamente vasta, e va da opuscoli di grande diffusione a studi di alto livello scientifico: ci limitiamo ad accennare a pochi titoli sul confronto reincarnazione-cristianesimo, che è comunque un campo in larga espansione in questi anni.

Un'opera importante per il nostro confronto, perché scritta da un parapsicologo cattolico romano che si interroga a fondo sulle spiegazioni reincarnazioniste dei ricordi di vite passate, è FILIPPO LIVERZIANI, La reincarnazione e i suoi fenomeni. "Chi" o "cosa" si reincarna, Roma: Edizioni Mediterranee, 1985. È curioso notare come questo autore, dopo una disamina delle più note ipotesi reincarnazioniste, opti per una soluzione che aderisce strettamente al modello proposto da Renè Guènon.

Un tentativo, a nostro avviso ben strutturato, di risposta cristiana, si ha in GIOVANNI MARTINETTI, La vita fuori del corpo, II ed., Leumann: Elle Di Ci, 1989. L'autore è un sacerdote esperto di ricerca sui fenomeni paranormali.

Sul versante della ricerca scientifica, va pure segnalata un'iniziativa che raccoglie saggi storici, sociologici, teologici e psichiatrici: CESNUR (Centro studi sulle nuove religioni), La sfida della reincarnazione, Milano: Effedieffe, 1993, che raccoglie le relazioni del convegno sul tema della reincarnazione tenuto a Foggia il 14 Dicembre 1992. Al saggio conclusivo, Una critica teologica della reincarnazione, di Don Piero Cantoni, siamo debitori per alcune delle argomentazioni qui riportate: rimandiamo inoltre alla sua ottima bibliografia critica in materia.

Sul tema delle regressioni a vite passate, e dei problemi posti da questi fenomeni ad uno scienziato proveniente da una cultura cristiana secolarizzata, ma non reincarnazionista, potrà risultare interessante RAYMOND MOODY, Ricordi di vite passate, Mondadori, Milano, 1990.

Una prospettiva reincarnazionista applicata all'ars moriendi cristiana viene sviluppata da un noto esoterista italiano sulla falsariga del Bardo Thodol tibetano, in TOMMASO PALAMIDESSI, Il libro cristiano dei morti, Roma: Archeosofica, 1985.

Tra le opere che tentano una risposta cristiana al reincarnazionismo, ci limitiamo a segnalare le seguenti: HANS KUNG, Vita eterna? Milano: Mondadori, 1983, e Cristianesimo e religioni universali, Milano: Mondadori, 1986, per una panoramica generale; più specifici sono PASCAL THOMAS (pseud.), La reincarnazione: sì o no?, Cinisello Balsamo: Edizioni Paoline, 1990, e CRISTOPH SCHONBORN: Risurrezione e reincarnazione, Casale Monferrato: Piemme, 1990.

La rivista teologica Concilium ha dedicato un intero numero (5/1993) al tema Reincarnazione o Risurrezione?

Vale la pena infine citare un'opera di un sacerdote canadese, che si distingue per un taglio al tempo stesso imparziale e ricco di informazioni: ANDRE COUTURE, La Réincarnation, Outremont (Québec): Novalis, 1992.

Sono pochi i membri del clero cristiano che hanno sostenuto nei loro scritti una compatibilità tra cristianesimo e reincarnazione: il più famoso è certamente Geddes McGregor, canonico anglicano di Los Angeles, le cui due opere principali, Reincarnation in Christianity, Wheaton: Theosophical Publishing House, 1986, e The Christening of Karma, Wheaton: Theosophical Publishing House, 1984, non sono tradotte in italiano.

 
Il pericolo della passione della lussuria

Nel 2017, alla vigilia del Giovedì del Grande Canone, con la funzione detta della "stazione di santa Maria Egiziaca", sua Beatitudine il metropolita Onufrij ha parlato del pericolo principale che deriva dalla passione della lussuria.

 

foto: Natalia Goroshkova / Orthodox Life

La "stazione di santa Maria Egiziaca" viene di solito servita il mercoledì sera della quinta settimana della Grande Quaresima. È un servizio lungo, durante il quale il Grande Canone di sant'Andrea di Creta viene letto nella sua interezza, per l'unica volta tutto l'anno (è letto in parti nella prima settimana della Grande Quaresima). In questo servizio si legge anche la Vita di santa Maria l'Egiziaca, l'asceta egiziana che per diciassette anni ha lottato nel deserto contro la passione della lussuria.

Vostra Beatitudine, qual è la radice della passione della lussuria?

La radice della passione della lussuria si può trovare nell'orgoglio umano, nell'uomo che non vuole sottomettersi alla legge morale naturale che il Signore gli ha dato. Il nome stesso della passione della lussuria [in russo blud, che significa perdita della strada, o andare nella direzione sbagliata] ci dice che chi ne è preda si è smarrito nei propri sentimenti; ha smesso di capire quali dei suoi sentimenti sono buoni, e quali sono cattivi – che non si dovrebbe indulgere nei cattivi sentimenti, ma che li si dovrebbe combattere. La passione della lussuria rende vuota una persona; questo è chiaramente mostrato nella parabola del Salvatore riguardo al figliol prodigo. Il figliol prodigo lasciò la casa di suo padre, andò in una terra lontana e là sprecò la vita, indulgendo nelle sue passioni. Si svuotò, finì per soffrire la fame e quasi si distrusse completamente.

Come possiamo combattere contro questa passione, secondo l'insegnamento dei santi Padri?

I santi Padri insegnano che possiamo vincere la passione della lussuria con la preghiera e il digiuno. Non ti purificherai subito, non diventerai un angelo dopo un singolo digiuno, ma dovrai purificarti gradualmente. Santa Maria Egiziaca andò nel deserto, vi soffrì e vi lottò per diciassette anni; le passioni la assalivano come animali selvaggi. Sopportò pazientemente il combattimento con loro, e il Signore la purificò. Alla fine delle sue fatiche ascetiche, santa Maria aveva già trovato pace nella sua anima, nella tranquillità, e si rallegrava della sua vita nel deserto. È lo stesso con una persona che, gradualmente, da digiuno al digiuno, da giorno di digiuno a giorno di digiuno si sforza di trattenersi, di mantenersi entro la cornice della legge divina e infine raggiunge la misura della perfezione.

 
Padre Milovan Katanic: l'armatura dell'astinenza

C'è una grande differenza tra "non posso" e "non voglio". Potremo sentire più spesso la prima espressione piuttosto che la seconda. "Non voglio" è molto più decisivo: è finale. "Non posso", invece, è una giustificazione che può spesso essere comprensibile. Così, poche persone verranno fuori a dire che "non vogliono" andare in chiesa, mentre molti forniranno motivi apparentemente scusabili del perché "non possono" andarci.

Ma noi non siamo gli unici che usano questa espressione. Il nostro Signore la usa nella Scrittura. La sentiamo alla lettura del Vangelo in un momento molto vulnerabile nella nostra vita - il servizio funebre. Proprio allora sentiamo le parole di Gesù riportate nel Vangelo di San Giovanni riguardo alla risurrezione generale, e su come Dio il Padre ha dato al Figlio "l'autorità di giudicare". Ma in questo giudizio il Signore rende perfettamente chiara una cosa: "Io non posso fare nulla da me stesso: come odo, giudico: e il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la volontà del Padre che mi ha inviato". Il nostro Signore non può fare nulla! Che pensiero spaventoso. Soprattutto se si considera il fatto che è esattamente così che molti andranno a Dio - quando non potrannno fare nulla per conto proprio.

Suppongo che la libertà abbia molto a che fare con tutto questo. Dio ha creato l'uomo per amore e gli ha dato il più grande dono come espressione del suo amore: il libero arbitrio. Per molti secoli la Chiesa ha riconosciuto il libero arbitrio dell'uomo in tutta la Scrittura. Più tardi, tuttavia, quando apparve la riforma protestante il libero arbitrio è stato messo in questione. Martin Lutero, per esempio, ha sostenuto che non era altro che un'illusione e che invece di essere liberi siamo schiavi, o di Dio o di Satana. Lui e altri protestanti sono stati influenzati da Agostino, il vescovo di Ippona del V secolo, che, a quanto pare, aveva adottato l'idea greca del destino. Successivamente, si è insegnato che Dio ha deciso - predestinato - chi sarebbe stato con Lui per sempre, e chi avrebbe abitato nel fuoco eterno.

La nostra comprensione ortodossa del libero arbitrio è diversa. San Giovanni Crisostomo scrive: "Tutto dipende da Dio, ma non in modo tale che il nostro libero arbitrio sia ostacolato... Spetta sia a noi che a lui. Per prima cosa dobbiamo essere noi a scegliere il bene, e quando abbiamo scelto, sarà lui a fare la propria parte. Egli non anticipa i nostri atti di volontà, affinché il nostro libero arbitrio non subisca umiliazione, ma quando abbiamo scelto, allora egli offre un grande aiuto". La nostra santa Chiesa insegna che, anche dopo la caduta dell'uomo nel peccato, egli conserva ancora il suo libero arbitrio; anche se feriti, caduti e danneggiati, non siamo completamente corrotti. In altre parole, da un punto di vista ortodosso non c'è posto per il "non posso", ma solo per il "non voglio" e se la nostra scelta è il "non voglio", c'è poco che Dio può fare per noi.

Ahimè, siamo ora in quei giorni santi dell'anno della Chiesa quando dobbiamo dimostrare proprio quello che faremo per la nostra salvezza. O, come cantiamo alla vigilia della Quaresima, alla Domenica dei Latticini: "Il tempo è vicino / cominciamo la lotta spirituale / e il trionfo sulle potenze demoniache / indossiamo l'armatura dell'astinenza". Prima che venga quel momento in cui il Signore dice che "non può fare niente", aspetta pazientemente che noi facciamo qualcosa per la nostra salvezza. La sua volontà è che tutti siano salvati. O, come scrive san Pietro, "il Signore... è paziente verso di noi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti giungano al ravvedimento" (2 Pietro 3:9).

Possiamo trarre grandi vantaggi da questi giorni di Quaresima, ma solo se scegliamo di farlo. Nelle parole dell'apostolo Pietro, siamo incoraggiati a "indossare l'armatura di Dio", digiunare, pregare e impegnarci per la nostra fede. Come riporta l'inno appena menzionato, il tempo è veramente a portata di mano. Riflettendo su queste parole pre-quaresimali che ci chiamano a una "lotta spirituale" concludiamo che per quanto siamo in grado di fare in questo tempo di Quaresima, tutti possiamo fare una cosa: per lo meno, "cominciamo".

Auguro a tutti una benedetta stagione quaresimale.

 
Padre Iustin Parvu è passato alla vita eterna

Vita di padre Iustin Parvu
Padre Iustin Parvu è uno dei più grandi padri spirituali della Romania. Padre Iustin è nato il 10 febbraio 1919, nel villaggio di Poiana Largului, comune di Calugareni, distretto di Neamt, ed è divenuto un grande confessore e abate del monastero di Petru Voda.
Nel 1936, da giovane zelante di soli 17 anni entra come fratello nel nel monastero di Durău. Dopo solo un anno, nel 1937, il giovane entra nel seminario teologico del monastero di Cernica, da dove passerà, quindi, ai seminari in Ramnicu-Valcea e Roman.
Nel 1940 ha luogo la sua tonsura monastica, e solo a un anno di distanza, è ordinato sacerdote. Ha ricevuto l'ordinazione all'età di 22 anni.
Tra il 1942 e il 1944, padre Iustin Parvu è nominato sacerdote missionario sul fronte orientale, da Neamt fino a Odessa. Ha partecipato, insieme alla IV Divisione di fanteria da montagna, ai combattimenti della seconda guerra mondiale, raggiungendo il Don. Dopo il congedo, ha proseguito gli studi presso il seminario di Roman. Dopo la guerra, cominciarono in Romania le persecuzioni da parte dei comunisti. Nell'anno della laurea al seminario, il 1948, è arrestato. La persecuzione ha inizio!
Padre Iustin Parvu, arrestato per motivi politici, è condannato a 12 anni di "penitenziario politico". Campione per la patria e per la fede, Iustin Parvu è trasferito attraverso diverse carceri del paese: Suceava, Vacaresti, Jilava, Gherla, Periprava e Aiud. Poi arriva il duro lavoro nelle miniere di Baia Sprie, poi la "rieducazione" al carcere di Pitesti. Nel 1960, padre Iustin è condannato ad altri quattro anni di carcere per non aver abbandonato la fede.
Solo nel 1964 Parvu Padre Iustin sarà rilasciato, insieme a tutti gli altri condannati per motivi "politici" ancora in vita. A causa delle difficoltà incontrate dopo il rilascio, si mette a lavorare come operaio forestale.
Dopo un po' l'asceta Iustin è ricevuto nella congregazione del monastero di Secu. Così, tra il 1966 e il 1974, serve come sacerdote e confessore in questo monastero. Tra il 1974 e il 1989, il padre è ieromonaco al monastero di Bistrita, dove comunisti lo mettono a domicilio coatto sotto sorveglianza. Nel 1976, per grazia di Dio, padre Iustin Parvu ha la benedizione di andare in pellegrinaggio ai monasteri del Monte Athos.
Dopo l'anno 1990, con la rivoluzione, quando il regime politico cambia, padre Iustin Parvu torna al monastero di Secu, dove sta circa un anno. Dopo questa data si ritira in un eremo, pensando di trascorrere il resto dei suoi giorni in preghiera e il digiuno, nell'esichia.
Ma i piani di Dio per Padre Iustin erano ancora diversi. Così, tra il 1991 e il 1992, con altri due monaci, Ignat e Calinic, il padre arriva nel villaggio di Petru Voda. Qui, fonda il monastero di Petru Voda - distretto di Neamt, che dedica ai martiri romeni delle prigioni comuniste.
Il monastero avrà il nome dei santi arcangeli Michele e Gabriele. A una certa distanza dal monastero, padre Iustin Parvu fonda un eremo di monache, circa allo stesso tempo. Oggi, per le preghiere del padre crescono sia i monaci del monastero, sia le monache. Sono nati anche una casa di cura per anziani e un orfanotrofio. Dopo non molto tempo si avvia anche la costruzione di un ospedale.
Oltre a tutte queste fatiche e sforzi di fondazione, padre Iustin Parvu ha sostenuto la vita monastica anche in altri eremi, come quelli di Huta, di Bihor, Sub Piatra, Alba Iulia, la Grotta di san Giovanni Cassiano e la Grotta di sant'Andrea o monastero di san Giovanni Cassiano in Dobrugia.
Nel 2003, il padre fonda una pubblicazione mensile di insegnamento e attitudine ortodossa intitolata "Glasul monahilor" (Voce dei monaci). In 2 novembre 2008, il padre è elevato al rango di archimandrita.
Breve Insegnamento di padre Iustin Parvu
Un fratello ha chiesto:
- Padre, Abba Barsanufio dice che al suo tempo erano rimasti solo tre portatori di Dio. E se era così 550 anni dopo Cristo, quanti ne sono rimasti oggi?
L'anziano Iustin ha risposto:
- Trecento. Alla fine dei tempi i santi non faranno più segni e prodigi, ma vivranno ignoti e sconosciuti, in umiltà.
Il 10 febbraio 2013 ha compiuto 94 anni.
Che Dio lo riposi in pace.

 
Suor Vassa Larina: L’Ortodossia non è una religione di paura

Vienna, 4 maggio 2009

La Dr. Suor Vassa Larina, una monaca rassofora della Chiesa Russa all’Estero nella Diocesi di Berlino e Germania, è un’assistente universitaria che insegna Studi liturgici (Liturgiewissenschaft) presso l’Università di Vienna, in Austria. È tra i membri fondatori della Società di Liturgia Orientale e candidata all’Accademia di Liturgia del Nord America. Documenti sconosciuti scoperti da suor Vassa presso l’Archivio di Stato della Federazione Russa e l’Archivio del Sinodo dei Vescovi della ROCOR nel 2002 hanno svolto un ruolo significativo nel ricostruire il passato storico autentico della Chiesa russa all’estero. Un risultato della sua ricerca, un articolo sull’oikonomia, è tra i suoi articoli più popolari pubblicati sul web. Siamo lieti di presentare suor Vassa ai nostri lettori e di dedicare questa intervista alla sua area di competenza - gli studi liturgici.

Andrei Psarev: Può raccontarci qualcosa della sua formazione e spiegarci perché ha deciso di studiare teologia?

Rassofora Vassa: Sono nata e cresciuta nella Chiesa russa all’estero, più specificamente nella famiglia di un sacerdote a Nyack, New York. Quando ero una novizia vivevo in una piccola comunità monastica a Monaco di Baviera, e fu l’arcivescovo Mark di Berlino e della Germania a mandarmi, insieme a diversi altri monaci della sua diocesi, a compiere studi teologici presso l’Istituto di Teologia Ortodossa dell’Università di Monaco di Baviera. Il suo intento era semplice: la nostra diocesi aveva bisogno di insegnanti certificati di teologia ortodossa per le nostre scuole parrocchiali, e avevamo un Istituto ortodosso proprio a Monaco di Baviera. Dal momento che l’istruzione superiore in Germania allora era libera, Vladyka ha deciso di approfittarne. La sua decisione mi ha scioccato, al momento, perché non mi era mai venuto in mente come americana di poter studiare in un’università tedesca.

Andrei Psarev: Ci parli dei suoi studi presso il Dipartimento di Teologia Ortodossa dell’Università Ludwig-Maximilian a Monaco di Baviera.

Rassofora Vassa: Scrivere saggi e poi una tesi in lingua tedesca è stata una sfida, dal momento che avevo imparato la lingua per lo più da autodidatta, e non molto bene. Il programma di studi, equivalente al Master negli Stati Uniti, includeva greco antico, Antico e Nuovo Testamento (introduzione, storia ed esegesi), storia della filosofia, storia della Chiesa, patrologia, diritto canonico, omiletica, teologia pastorale e studi liturgici. Mi sono laureata in studi liturgici e ho scritto una tesi sulle origini del cosiddetto Officio Regale (Tsarskoe Nachalo) all’inizio del Mattutino bizantino. Avendo ricevuto la licenza di magistero, sono stata spinta dai miei professori a passare al programma di dottorato.

All’inizio avevo intenzione di scrivere una tesi sul diritto canonico, ma è stato in quel momento che ho incontrato il settantacinquenne professor Robert Taft, oggi il maggior esperto mondiale di liturgia bizantina. È capitato che padre Taft abbia letto la mia tesi sul Mattutino bizantino, e mi abbia scritto una e-mail a riguardo. Nella sua e-mail da una parte ha criticato il mio lavoro nei termini più semplici, e dall’altra si è offerto di pubblicarlo con le sue correzioni. Mi ha anche invitato a tenere una conferenza al simposio che stava organizzando in Baviera, dove poco dopo l’ho incontrato di persona. Al simposio padre Taft si è offerto di finanziare e dirigere il mio lavoro, se avessi fatto la mia tesi di laurea sulla liturgia bizantina (e non sul diritto canonico, che ha definito “il lato cattivo della buona novella”), perché, come ha poi detto, “La ROCOR è sempre stata brava a celebrare la liturgia. Non sarebbe bello se avesse anche qualcuno che ne sa qualcosa al riguardo? Vai a dirlo al vostro vescovo e fammi sapere che cosa ne dice.”

Per farla breve, con la benedizione dell’Arcivescovo Mark ho scritto la mia tesi su “I riti d’ingresso della Divina Liturgia ierarchica bizantina” sotto la direzione di Taft. Padre Robert non ha solo guidato la mia ricerca e la stesura della tesi di laurea, ma mi ha anche insegnato le basi della cultura liturgica e la sua metodologia. “Non mi interessa quello che dici,” mi diceva, “fino a quando ne porti prove a sostegno.” Mi ha insegnato come individuare e analizzare i manoscritti liturgici, come preparare pubblicazioni scientifiche, che periodici leggere a intervalli regolari, e così via. Mi ha anche portato a conferenze e simposi in tutto il mondo, dove mi ha presentato ai migliori studiosi nel nostro campo, molti dei quali una volta erano stati suoi allievi. Diversi mesi prima di completare la mia tesi di laurea ho ricevuto una proposta di lavoro per un post-dottorato presso l’Università di Vienna, all’Istituto di Studi Liturgici.

Il 18 dicembre 2008 ho pubblicamente difeso la mia tesi di laurea presso l’Istituto Ortodosso di Monaco, alla presenza sia dell’arcivescovo Mark che di padre Robert Taft. Secondo i regolamenti didattici tedeschi la “difesa” era in realtà un esame orale di due ore su tre campi diversi relativi al mio lavoro: studi liturgici, storia delle Chiese ortodosse autocefale, e studi bizantini (bizantinistica). Ho ricevuto un voto “summa cum laude” per l’esame e la tesi di laurea, che sarà presto pubblicata a Roma in un volume della serie “Orientalia Christiana Analecta”.

Andrei Psarev: Dopo la presentazione dell’archimandrita Robert Taft alla conferenza delle donne della ROCOR la scorsa estate, mi è stato detto da uno dei nostri sacerdoti che i non ortodossi non dovrebbero offrire istruzioni agli ortodossi in materia di fede. Ci può fare un commento su questa idea?

Rassofora Vassa: Si tratta di una questione molto importante, e dal momento che disturba molte persone cercherò di rispondere con qualche dettaglio. Permettetemi innanzitutto di commentare la paura dei non ortodossi che sembra aver ispirato il commento del nostro sacerdote. Sembra che alcuni dei nostri fedeli sperimentino l’Ortodossia prima di tutto come timore, mentre la loro fede rimane in gran parte priva di ispirazione, priva di curiosità, e quindi non informata. Tale Ortodossia spesso non ha idea della propria tradizione, della ricchezza di storia alle spalle della liturgia a cui si assiste ogni Domenica, o anche della Scrittura stessa. Allo stesso tempo, un ortodosso timoroso è spesso disposto a passare ore in Internet, nutrendosi ancor più di politica ecclesiastica e di ottundimento dei sensi teologici. Per una tale cultura di ignoranza e timore, anche i più brillanti studiosi non ortodossi della nostra liturgia bizantina sono visti come minacce, piuttosto che un umile ammonimento alla nostra negligenza della tradizione ortodossa.

Vorrei ricordare la lezione a cui ha fatto riferimento. Alla conferenza delle donne della ROCOR, il professor Taft ha tenuto una conferenza sul tema “Donne al culto a Bisanzio: Scorci di un mondo perduto”, in cui ha descritto la vita liturgica delle donne nell’impero bizantino sulla base delle testimonianze storiche dal V al XIV secolo. Le partecipanti alla conferenza delle donne hanno appreso che c’era un coro di donne in Hagia Sophia, che le donne bizantine una volta partecipavano a tutte le veglie notturne, che esistevano barriere nella chiesa che limitavano la commistione di uomini con donne nella chiesa, diversi Padri della Chiesa ammonirono i bizantini per la loro cattiva condotta in chiesa, ecc. Se il sacerdote che lei ha citato intendeva dire che questa lezione è stato un esempio di “non ortodossi che offrono istruzioni agli ortodossi in materia di fede,” vorrei chiedere: esattamente quale “materia di fede” è stata toccata in questa lezione? Il nostro sacerdote considera la storia delle donne a Bisanzio “una questione di fede”? Una descrizione “ortodossa” di un coro di donne in Hagia Sophia sarebbe diversa da una descrizione “cattolica romana”?

Sia come sia, sarei comunque d’accordo che la storia è in genere una “questione di fede”. Soprattutto perché non esiste una cosa come una storia oggettiva del tutto imparziale. Tuttavia, una conoscenza della storia richiede istruzione. E in passato la Chiesa non è stata sempre autosufficiente in materia di istruzione, utilizzando quando necessario istituzioni e sistemi di pensiero non solo non ortodossi, ma del tutto secolari e perfino pagani. A partire almeno dal Vangelo di Giovanni, la Chiesa usa una terminologia sviluppata da filosofi pre-cristiani per formulare i suoi dogmi. L’apertura verso l’istruzione secolare - con una solida conoscenza e amore per la propria fede - ha caratterizzato in seguito apologeti e insegnanti della Chiesa. I santi Gregorio il Teologo e Basilio il Grande erano orgogliosi di essere stati educati in una scuola pagana ad Atene. Il grande Crisostomo è stato istruito da Livanio e da Teodoro di Mopsuestia - il primo era un pagano, il secondo un eretico. Anche se questi Santi Padri sono vissuti in tempi di eresie dilaganti e di confusione dogmatica, non coltivarono un’Ortodossia di paura. Era piuttosto un’Ortodossia di responsabilità e di consapevolezza dogmatica, ispirata e fortificata da una sete di istruzione.

Molti secoli dopo, la Chiesa russa non ha avuto un sistema formale di istruzione teologica fino a quando non è stato importato dall’Occidente cattolico romano attraverso Kiev intorno alla metà del XVII secolo. Si tratta di un fatto storico che san Pietro Moghila organizzò le sue scuole teologiche secondo modelli gesuiti, e fu questo sistema educativo a essere istituito in Moscovia. Il motivo per importare il nostro sistema educativo da parte dell’Occidente era molto semplice: in quel tempo questo non era solo il miglior sistema educativo, era l’unico. L’alternativa a imparare dall’Occidente era rimanere incolti. La Chiesa russa avrebbe dovuto respingere l’educazione occidentale e rimanere ignorante? Mettiamola in modo diverso: se ci fosse data una scelta, qualcuno di noi preferirebbe che i suoi figli rimanessero ignoranti, piuttosto che dare loro una formazione? Così la Chiesa Russa ha scelto di imparare dall’Occidente, dimostrando buon senso e, potrei aggiungere, umiltà.

Oggi abbiamo una situazione simile. Molte famiglie ortodosse in Occidente mandano i figli a scuole e università cattoliche, o alle scuole pubbliche o private non ortodosse. In queste istituzioni ai nostri giovani vengono insegnate, tra le altre cose, storia, letteratura, filosofia - materie che potrebbero comportare “questioni di fede”. A scuola i bambini sono in contatto con i non ortodossi in materia religiosa: per esempio, negli Stati Uniti recitano il Giuramento di Alleanza, pronunciando il nome di Dio assieme a non ortodossi, musulmani, ebrei, e forse atei. Molti di noi permettono ai figli di guardare film come “The Passion” di Mel Gibson, un non ortodosso. In effetti, permettiamo a noi stessi e ai nostri figli di avere contatti con i non ortodossi in “ questioni di fede” a vari livelli e su base quotidiana.

È per volontà di Dio che ci troviamo in questa situazione, circondati da questo mondo non ortodosso? La Chiesa non ci ha mai insegnato il contrario. Il fondatore della Chiesa ha lasciato i suoi discepoli in questo mondo, dopo aver detto: “Coraggio, io ho vinto il mondo”. E così la Chiesa canta: “Coraggio, popolo di Dio, perché egli ha sconfitto i nemici... (Derzhajte ljudie Bozhii, ibo toj Pobedi vragi...)”. Questa non è una religione di paura.

Naturalmente, la fede della Chiesa è esclusiva, e noi dobbiamo la nostra lealtà a lei sola: confessiamo una sola fede, e non molte fedi diverse in una sola volta. Ma questo non significa che non abbiamo alcun contatto con persone di altre fedi. Anche il matrimonio è esclusivi, ma una coppia sposata non si rinchiude in un armadio, escludendo qualsiasi contatto con altri uomini e donne. Sarebbe assurdo e malsano, e lo stesso sarebbe vero della Chiesa, se la sua vita di ogni giorno fosse ghettizzata.

Andrei Psarev: Ho notato che i figli del clero della ROCOR che hanno studiato nel nostro seminario sono interessati più alla liturgia e alla musica ecclesiastica che alla storia. Ne può identificare un motivo?

Rassofora Vassa: Non conosco il programma o gli studenti del vostro Seminario, e quella che segue è solo un’ipotesi. Il bisogno più fondamentale e immediatamente evidente di qualsiasi chiesa parrocchiale è un “kliros” funzionante. Senza qualcuno che possa leggere e cantare non ci possono essere funzioni religiose, e senza funzioni religiose non ci può essere parrocchia. Poiché la maggior parte dei seminaristi si prepara al sacerdozio, ed essere sacerdote significa mandare avanti una parrocchia, penso che sia logico che i seminaristi siano interessati ad apprendere le abilità più importanti per la vita della parrocchia. Le donne che intraprendono i corsi in un seminario sono spesso ispirate da un desiderio di “dare una mano in più” in chiesa, e la loro possibilità più ovvia per farlo è nel coro. Il nostro approccio a “dare una mano” in chiesa è quindi in qualche modo simile all’opinione pubblica sul recente piano di stimolo economico di Obama: miliardi di dollari in contanti nell’immediato sembravano la migliore soluzione alla crisi immediata, mentre gli investimenti negli stimoli economici a lungo termine, come la costruzione di scuole e strade, sembravano inefficaci e poco interessanti.

Naturalmente tale “gestione a breve termine della crisi” della nostra vita ecclesiale riflette un approccio minimalista alla Chiesa stessa, alla liturgia, e di musica sacra, se queste materie sono insegnate senza il loro contesto storico. Poiché né la liturgia né la musica sacra né la Chiesa stessa potrebbero esistere senza la storia, ed è impossibile avere una padronanza reale di una qualsiasi di queste senza avere almeno qualche conoscenza del loro sviluppo storico. Né la Chiesa ortodossa russa, né la sua bella liturgia sono cadute dal cielo nel giorno di Pentecoste, al contrario di quanto alcuni fedeli possono pensare. Sacerdoti e parrocchiani con un tale senso carente della storia possono facilmente fare più danni che bene, soprattutto nei momenti complicati che richiedono coscienza e discernimento ecclesiale. Le divisioni recenti e le ulteriori suddivisioni della nostra Chiesa testimoniano tristemente questo stato di cose in un numero considerevole delle nostre parrocchie.

Andrei Psarev: Rispetto a coloro che sono cresciuti nella diaspora, i cristiani ortodossi che sono cresciuti in Russia (me compreso) sembrano avere più difficoltà a capire ‘la mentalità’ di servizi liturgici, anche molto tempo dopo la loro adesione alla Chiesa. Che cosa ne pensa?

Rassofora Vassa: Credo che la differenza a cui fa riferimento dipenda più dal modo con cui uno è stato cresciuto, che non dal luogo in cui è cresciuto. La maggior parte dei cristiani ortodossi della vostra età cresciuti in Unione Sovietica non è cresciuta nella tradizione liturgica ortodossa. La “mentalità” del rito bizantino è un modo di pensare “simbolico” (più precisamente: “mistagogico”) che è si acquisisce in modo più naturale durante l’infanzia. Mentre la liturgia romana è generalmente più diretta e, per così dire, viene al dunque, la tradizione bizantina guida il fedele nell’esperienza del divino (nel mistero) attraverso i segni all’interno dei suoi vari riti. Questi segni al tempo stesso nascondono e rivelano i misteri di Cristo e le Scritture, e una sensibilità a questa “mistagogia” dei nostri servizi è infatti una “forma mentis” che ha bisogno di essere coltivata. San Giovanni Crisostomo l’ha definita come segue: “Un mistero non è quando crediamo ciò che vediamo, ma quando vediamo una cosa e riguardo a questa crediamo qualcosa di diverso”. Io non credo che questo modo di pensare sia estraneo a nessuno di per sé, ma dal momento che di solito acquistiamo il nostro sistema di simboli durante l’infanzia (per esempio, la nostra lingua), è più difficile costruire un nuovo sistema da adulti. È tuttavia possibile, così come è possibile - anche se molto più difficile - imparare una lingua da adulto.

Andrei Psarev: Io credo che il nostro obiettivo sia un’Ortodossia responsabile. Il rito della Divina Liturgia presuppone che ogni cristiano ortodosso in regola partecipi al corpo e al sangue di Cristo. In molte Chiese ortodosse i parrocchiani non vanno necessariamente a confessarsi per partecipare all’Eucaristia. Allo stesso modo fanno vescovi, sacerdoti e diaconi della ROCOR. Pensa che dovremmo anche noi considerare l’adozione di questa pratica?

Rassofora Vassa: No, non credo. Siamo tentati di vedere l’accostarsi al calice senza una precedente confessione come “Ortodossia responsabile”, ma non credo che tale pratica sia un segnale di “responsabilità” nel nostro tempo.

Mi lasci spiegare. Nel nostro mondo altamente globalizzato, molti fedeli sono diventati piuttosto mobili, e vanno alla deriva tra chiese parrocchiali diverse in tutto il mondo, frequentando varie chiese o nessuna singola chiesa regolarmente. Questa mobilità ha portato con sé un fenomeno del tutto estraneo alla vita sacramentale della Chiesa: l’anonimato. Un prete spesso non ha idea di chi siano i nuovi volti che lo guardano mentre esce con il calice.

Ma non è il sacerdote che mi preoccupa in questo contesto. La moderna teologia pastorale e la psicologia moderna ci dicono che il carattere sempre più anonimo della nostra vita di tutti i giorni ha portato a solitudine e depressione di proporzioni pandemiche. Facciamo parte di una cultura del rispetto della vita privata e - inesorabilmente - dell’anonimato, che interessa anche il modo in cui esprimiamo o nascondiamo la nostra vita spirituale. La cultura della confessione di qualsiasi tipo, di farci annoverare e considerare come peccatori, o come cristiani, o qualsiasi altra cosa va piuttosto profondamente contro la nostra mentalità. Parlare con qualcuno della nostra relazione con Dio non è qualcosa che facciamo con facilità.

Ma la Chiesa sembra essere dotata di meccanismi che combattono anonimato: quando andiamo al calice, è necessario dire il nostro nome, per prendere parte al rito della santa Unzione, è necessario dire il nostro nome. Il sacramento della penitenza nel rito della confessione fa un passo avanti: è necessario rivelare tutto ciò che pesa sulla nostra coscienza e parlare di fatto con un altro membro della Chiesa, un sacerdote, e dire il nostro nome. Per così dire, siamo costretti a infrangere questo guscio di anonimato in cui alcuni di noi si trovano, prima di accedere al calice.

Per il bene dei molti fedeli, che si trovano in quest’esistenza mobile e molto anonima, credo che sia saggio per la Chiesa russa mantenere il requisito di andare a confessarsi almeno prima di avvicinarsi al calice. Anche se alcuni di noi sono integrati in parrocchie tradizionali e non sperimentano quello che ho descritto, dobbiamo renderci conto che per alcuni fedeli questo “guscio di anonimato” è molto reale. Per tali persone la confessione facilita la loro comunione con Cristo attraverso la capacità di comunicare con un altro membro della Chiesa, in questo caso un prete.

Questa pratica richiede discernimento pastorale, e ho visto spesso sacerdoti e vescovi avvicinarsi alla pratica di Confessione e Comunione con tale discernimento.

Naturalmente, tutto ciò che ho detto è né più né meno la mia opinione personale.

Andrei Psarev: Grazie, suor Vassa, per aver dedicato del tempo a questa intervista, e ci auguriamo di poter continuare questa conversazione.

 
Come dovremmo passare la Settimana Santa?

Lavoro, riposo, e la Settimana Santa

La Grande Quaresima è finita, ed è iniziata la Settimana Santa, i giorni più importanti dell'anno liturgico. Pravmir ha chiesto a quattro rispettati sacerdoti in Russia – padre Valerian Krechetov, padre Vladimir Shaforostov, padre Maksim Pervozvanskij e padre Kirill Kaleda – un consiglio sul modo migliore per trascorrere questi giorni.

Arciprete Valerian Krechetov

Il tempo del digiuno, che è stato dato all'uomo per raggiungere il pentimento, termina il venerdì della sesta settimana. L'intero significato della lotta di pentimento compiuta durante la Grande Quaresima, consiste come dicono i Santi Padri, nella purificazione del cuore.

Sia san Giovanni il Precursore sia il Signore stesso hanno iniziato la loro predicazione con le parole: Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino [Mt 3:2; 4:17]. E quando, come si dice nel Canone di sant'Andrea di Creta, "i profeti hanno già perso il loro potere" [Ode IX del lunedì], la Chiesa si prepara alla festa della Risurrezione di Cristo, mostrando gli ultimi giorni della sua vita, quando il Signore ha sofferto per i nostri peccati. Come Dio, egli sapeva tutto ciò che avrebbe avuto luogo, ma come uomo chiedeva compassione. "Allora disse loro, l'anima mia è triste fino alla morte: restate qui e vegliate con me" (Mt 26:38).

La Settimana Santa ci si prepara per la festa di Pasqua, ci mostra che non c'è altra strada verso la resurrezione se non attraverso la croce e la sofferenza. Pertanto, la gente comune diceva: "Il Signore ha sopportato, e ci ha chiesto di fare lo stesso" [proverbio russo in rima, Gospod' terpel i nam velel, ndt]

I servizi divini della Settimana Santa invitano ad avere compassione e simpatia per il Salvatore.

Nei primi tre giorni si chiede di rileggere tutti e quattro i Vangeli come promemoria che il Signore ci ha creato, e che noi lo abbiamo invece crocifisso con i nostri peccati. E anche se questo sembra essere indirizzato agli ebrei del suo tempo, si riferisce a tutti coloro che hanno crocifisso Cristo con i loro peccati.

Durante la Settimana Santa è auspicabile, se uno ne ha la possibilità, essere in chiesa più spesso, soprattutto il Giovedi Santo e alla sera prima. La mattina del Grande Giovedi i fedeli partecipano alla Cena Mistica e ricevono la santa comunione, mentre la sera si leggono i Vangeli della Passione. Poi arriva Grande Venerdì: la crocifissione e la sepoltura del Salvatore, con l'inizio della gioia del Sabato Santo.

Gli angeli sono stati i primi a sapere della risurrezione di Cristo, proprio come sono stati i primi a sapere della sua Natività. Perciò la Chiesa canta: "La tua risurrezione, Cristo Salvatore, gli angeli cantano nei cieli; e a noi sulla terra sia dato glorificarti con cuore puro". Perché si dice "con cuore puro"? Perché si considera che, in preparazione per questo giorno radioso, si è purificato il proprio cuore con il digiuno, per quanto possibile.

Padre Valerian Krechetov è il rettore della Chiesa della Santa Protezione in Akulovo (distretto di Odintsov, regione di Mosca), ed è il padre spirituale della diocesi di Mosca.

Arciprete Vladimir Shaforostov

La Settimana Santa è un momento speciale. Non si dovrebbe vivere in questi giorni in modo rilassato, come se Cristo non fosse stato crocifisso per la nostra salvezza.

Purtroppo, molti si sforzano di ottenere tutto dalla vita, ma dimenticano la cosa principale. Rifiutando Cristo e non rispondendo all'amore divino, le persone si privano di una gioia piena di grazia e del senso della vita. Mi permetto di ricordare ai lettori di Pravmir la cosiddetta scommessa di Pascal: chi crede in Cristo vince la vita eterna se ha ragione, ma non perde nulla se si sbaglia; un non credente non vince nulla se ha ragione, ma perde la vita eterna se si sbaglia.

San Giovanni Crisostomo ha giustamente osservato: "Dio è afflitto non tanto dai peccati che abbiamo commesso, quanto dalla nostra riluttanza a modificare noi stessi".

Durante la Settimana Santa, tutti coloro che vogliono essere fedeli discepoli di Cristo devono fare tutto il possibile per rinunciare ai desideri peccaminosi e mettere la comunione orante con Dio sopra ogni cosa.

Non bisogna pretendere amore per se stessi o causare dolore al prossimo. È meglio sopportare pazientemente per amore di Cristo e cercare di vivere questi grandi giorni in modo tale che le nostre vite siano costituite da autentico servizio a Dio e al prossimo.

È importante non solo "essere presenti" alle funzioni e ricordare le sofferenze del Salvatore, ma devotamente soffrire e essere crocifissi insieme con Cristo. Che Dio ci conceda tutta la forza per conservare e moltiplicare tutta la luce a noi data dalla grazia e per superare il peccato che ci separa da Cristo il Salvatore!

Padre Vladimir Shaforostov è il rettore della chiesa del Segno a Krasnogorsk.

Arciprete Maksim Pervozvanskij

Nella misura in cui la Settimana Santa è il culmine di tutto l'anno ecclesiastico, e il periodo durante il quale sono ricordati tutti gli eventi che hanno avuto luogo negli ultimi giorni di vita del nostro Signore Gesù Cristo, vorrei consigliare di spendere quanto più tempo possibile in chiesa.

Tutte le funzioni della Settimana Santa sono disposte in modo tale da non farci mancare a nessuna di loro.

Normalmente alla domenica sera si celebra il Mattutino del Lunedi, con l'inno "Ecco, lo Sposo viene nel mezzo della notte" e la lettura del Vangelo.

Il mattutino del giorno seguente è dedicato al soggiorno del Signore a Gerusalemme nel periodo compreso tra il suo ingresso in Gerusalemme e le sue sofferenze.

Al mercoledì sera e al giovedì mattina si celebrano le funzioni del Grande Giovedì.

Al giovedì sera c'è il Mattutino del Venerdì Santo con la lettura dei Vangeli della Passione.

Al venerdì ci sono tre funzioni nelle chiese: le Ore Regali, il Vespro con la processione del sudario, e il Mattutino con le Lamentazioni.

Poi, naturalmente, ci sono la Divina Liturgia e le funzioni del Grande Sabato.

Quindi il mio consiglio principale è quello di partecipare al maggior numero di funzioni possibili e ricevere la Santa Comunione almeno al Grande Giovedì e a Pasqua.

Padre Maksim Pervozvanskij è un chierico della Chiesa dei Quaranta Martiri di Sebaste a Spasskij Sloboda (Mosca), redattore capo della rivista dei giovani ortodossi "Naslednik", e padre spirituale dell'organizzazione giovanile "Giovane Russia".

Arciprete Kirill Kaleda

C'è bisogno di prepararsi per la Settimana Santa. La preparazione per la Settimana Santa è la Grande Quaresima.

Probabilmente è impossibile sperimentare la Settimana Santa senza questa preparazione. Ogni giorno della settimana è dedicato a sperimentare eventi che hanno avuto luogo quasi 2.000 anni fa. Pertanto, è essenziale leggere il Vangelo ogni giorno al fine di sperimentare questi eventi insieme con la Chiesa.

La preghiera è indispensabile, naturalmente, perché non stiamo semplicemente ricordando certi eventi storici, ma vi partecipiamo in preghiera. Quindi è impossibile trascorrere la Settimana Santa senza preghiera – in particolare la preghiera in chiesa, perché è qui che noi sperimentiamo in modo speciale questi giorni che sono così importanti per la nostra salvezza.

Se non è possibile frequentare le funzioni durante questa settimana, allora è indispensabile leggere il Vangelo ogni giorno. Possiamo leggere il Vangelo a casa, sui mezzi pubblici, e ai nostri posti di lavoro, se non interferisce con il nostro lavoro.

Padre Kirill Kaleda è il rettore della Chiesa dei nuovi martiri e confessori della Russia a Butovo.

 
L'omosessualità e il problema dell'episcopato ortodosso

Lo scandalo causato dal recente articolo del metropolita Kallistos (Ware) sull'omosessualità ha ricevuto buone risposte da convertiti americani in un modo tipicamente biblico. [1] Come il precedente scandalo sulle opinioni del metropolita Kalllistos riguardo alla possibile ordinazione delle donne preti, rivela l'intrinseco anglicanesimo di sua Grazia, ed è per questo che uno dei suoi confratelli fanarioti lo chiama 'o anglikanos'. Questo radicato anglicanesimo era già chiaramente visibile fin dalla primissima edizione del suo libro The Orthodox Church, che esprimeva il punto di vista di un giovane e idealista accademico anglicano che osservava la Chiesa dall'esterno. Scritto per coloro che sono al di fuori della Chiesa in uno stile di rapporto burocratico o scolastico britannico, il libro è stato ampiamente ignorato dagli ortodossi all'interno della Chiesa.

È dubbio che tali vedute da torre d'avorio influenzino davvero chiunque nella Chiesa, tranne le frange dei convertiti e del ghetto accademico. Penso che nessuno dei miei 600 parrocchiani abbia mai sentito parlare del metropolita Kallistos. Tutto è semplice per gli ortodossi che vivono al di fuori del mondo accademico, con i suoi modi spesso raffinati e anzi piuttosto effeminati: c'è un mondo dentro la Tradizione e un mondo  fuori dalla Tradizione. Noi siamo dentro; quello che succede fuori non ci preoccupa davvero. Possa Dio guidare queste persone fuori dal secolarismo libresco e dai compromessi imperfetti, verso la Chiesa, la sua comprensione interiore e mistica e la sua sapienza millenaria. Questa sapienza è trasmessa ai penitenti dallo Spirito Santo, è amata con tanto amore nei monasteri e nelle parrocchie ed è completamente diversa dalla mera comprensione accademica.

Tuttavia, questo tema ci aiuta a notare il problema dell'episcopato ortodosso nel mondo occidentale e il suo frequente isolamento dalle parrocchie e dai monasteri. Questo isolamento, insieme alla frequente prigionia politica dell'episcopato, è responsabile della mancanza di leadership spesso manifestata negli ultimi decenni. Certo, alcuni vescovi ortodossi provengono dai ranghi dei sacerdoti vedovi e persino da quelli dei preti le cui mogli sono entrate nei conventi. Tuttavia, la stragrande maggioranza dei vescovi è sempre venuta e verrà sempre dai monasteri. Questo va bene, a condizione che comprendiamo che, sebbene i vescovi dovrebbero essere monaci, solo pochi monaci sono adatti a diventare vescovi.

Il problema, specialmente nella diaspora nell'Europa occidentale, nelle Americhe e in Australia, è che per decenni la maggior parte dei vescovi non è stata composta da monaci, ma semplicemente sa non sposati. Non è affatto la stessa cosa, perché, inevitabilmente, alcuni di questi vescovi sono stati omosessuali e in alcuni luoghi e in alcune giurisdizioni questo, notoriamente, è stato ed è la pratica prevalente. Potrei stilare un elenco di diverse dozzine di tali vescovi, che ho incontrato negli ultimi 45 anni. Il risultato è stato che questi vescovi hanno a loro volta ordinato omosessuali e alcuni chierici sposati hanno subito persecuzioni dai loro vescovi e da chierici da loro ordinati, con le loro maldicenze omosessuali e il loro narcisismo. Così, l'episcopato di un gruppo in Nord America era noto come "una mafia gay". E questo non è solo un problema tra i nuovi calendaristi e altri liberali. Ci sono anche famigerati episcopati di alcuni gruppi di vecchi calendaristi non canonici.

Qui dobbiamo essere onesti. Se l'episcopato è stato spesso corrotto, questo è sicuramente colpa di tutti noi. I monaci, e quindi i monasteri, e quindi i vescovi, non crescono sugli alberi. Provengono da famiglie devote e da parrocchie. La straordinaria decadenza della vita della Chiesa, specialmente negli ultimi 100 anni, è responsabile di un episcopato debole. Quello che non vogliamo sono i vescovi sposati (l'errore dei rinnvazionisti scismatici nella Russia sovietica), quello che vogliamo è la restaurazione della vita monastica, che è virtualmente inesistente in alcune Chiese locali, con il risultato di tutti questi scandali, che sono, purtroppo, così noti. Ciò di cui abbiamo bisogno sono veri vescovi monaci, eterosessuali continenti, uomini veri con vigore ed energia, vicini alle parrocchie e disposti a dire pane al pane e vino al vino, che possono comprendere gli ortodossi ordinari, senza teorizzazioni accademiche e linguaggi da testa nelle nuvole. Tuttavia, la Chiesa non è uno stato sociale in cui tali vescovi appaiono magicamente dall'alto. Sono creati da noi: abbiamo l'episcopato che meritiamo.

Nota

[1] Si legga, tra le risposte, Il metropolita Kallistos e la ruota, di padre Lawrence Farley.

 
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L’arcivescovo Mark e la nuova chiesa russa a Praga

L’arcivescovo Mark di Egor’evsk (nella foto, assieme al Metropolita Cristoforo di Praga) ha rilasciato un’interessante intervista dopo la consacrazione (il 29 dicembre 2012) della nuova chiesa ortodossa russa a Praga. Chi si chiede perché (e in che modo) si aprono tante chiese ortodosse in Occidente, farà bene a leggere con interesse le parole di Vladyka Mark, che in qualità di responsabile delle parrocchie del Patriarcato di Mosca all’estero, è una delle persone più informate e competenti in materia. L’intervista (che parla anche delle nostre chiese in Italia) è nella sezione “Pastorale” dei documenti, nell’originale russo (tratto da patriarchia.ru) e nella nostra traduzione italiana.

 
L'ecclesialità ortodossa

Nella Foto: Padre Pavel Florenskij

Ecclesialità (tserkovnost') è il nome del porto dove trova quiete l'ansia del cuore, dove si piegano le pretese del raziocinio, dove una grande pace scende sulla ragione. Non importa se né io né alcun altro ha potuto, può, potrà definire che cosa sia l'ecclesialità. Non importa se coloro che tentano di definirla si contestano a vicenda e ne respingono le varie formulazioni. Questa stessa indefinibilità, questa inafferrabilità attraverso i termini razionali, questa ineffabilità non dimostrano forse che l'ecclesialità è vita, una vita speciale, nuova, data agli uomini, e al pari di ogni vita, inaccessibile al raziocinio? La diversità di opinioni nel definirla, i vari possibili tentativi di fissarla a parole partendo da diverse angolazioni, la policromia delle formule verbali tutte incomplete e sempre insufficienti ci confermano con l'esperienza ciò che disse l'Apostolo: la Chiesa è il corpo di Cristo, "la pienezza (to pleroma) di Lui che riempie tutto in tutte le cose" (Ef. 1,23) Se è pienezza di vita divina, come si può confinarla nella stretta tomba di una definizione razionale? Sarebbe ridicolo credere che questa impossibilità sia in qualche modo una testimonianza contro l'esistenza dell'ecclesialità, anzi è proprio essa che la fonda. L'ecclesialità è anteriore alle proprie manifestazioni particolari, essendo l'elemento primordiale, divino-umano, dal quale, per così dire, si condensano e si cristallizzano nel corso storico dell'umanità ecclesiale i riti sacramentali, le formulazioni dogmatiche, le regole canoniche e in parte perfino la confermazione transeunte, temporale dell'ordinamento ecclesiastico. A questa pienezza allude in primo luogo la profezia dell'Apostolo: "E' necessario infatti che vi siano delle divisioni in mezzo a voi" (1 Cor. 11,9), divisioni nella comprensione dell'ecclesialità. E tuttavia chi non si allontana dalla Chiesa accoglie in sé la sua vita e l'elemento primordiale, che è l'ecclesialità, e ben saprà che cosa essa è.

Dove non c'è vita spirituale è necessario qualcosa di esteriore che assicuri l'ecclesialità. Per il cattolico sono segno di ecclesialità un certo ufficio (il papa) o un sistema di uffici (le gerarchie). Per il protestante il criterio è invece una certa formula confessionale (un simbolo) o un sistema di formule (il testo della Scrittura). In fin dei conti per gli uni e per gli altri è decisivo un concetto: un concetto ecclesiastico-giuridico per i cattolici, ecclesiastico-scientifico per i protestanti. Divenuto criterio supremo, il concetto per ciò stesso rende superflua ogni manifestazione di vita. Anzi, siccome non c'è vita commisurabile a un concetto, ogni moto vitale inevitabilmente trascende i confini tracciati dal concetto e appare quindi dannoso, intollerabile. Per il cattolicesimo (evidentemente parlo qui del cattolicesimo e del protestantesimo, al limite, nei loro principi) ogni manifestazione autonoma di vita è anticanonica, mentre per il protestantesimo è antiscientifica. Nell'uno e nell'altro caso il concetto falcidia la vita che si è anticipatamente rifiutata in nome del concetto. Di solito si nega che il cattolicesimo abbia la libertà, che invece si attribuisce decisamente al protestantesimo, ma in ambedue i casi ci si sbaglia. Anche il cattolicesimo riconosce la libertà, purché determinata in precedenza, mentre ritiene illecito tutto ciò che trascende i limiti prefissati; anche il protestantesimo ammette la coazione, purché entro il corso previsto dal suo razionalismo, e condanna come antiscientifico tutto ciò che lo trascende. Se nel cattolicesimo c'è il fanatismo della canonicità, nel protestantesimo il fanatismo per la scienza non è da meno.

Il carattere indefinibilie dell'ecclesialità ortodossa, ripeto, è la miglior prova della sua validità. Da noi non c'è una carica ecclesiastica di cui si possa dire che "assomma in se stessa l'ecclesialità", perché, tra l'altro, in tal caso, a che pro tutte le altre funzioni e attività nella Chiesa? Non possiamo nemmeno indicare una formula, un libro da proporre come la pienezza della vita ecclesiale, perché, se esistesse, a che pro tutti gli altri libri e formule, tutte le altre attività della Chiesa? Non esiste il concetto dell'ecclesialità, ma esiste l'ecclesialità stessa e per ogni membro vivo della Chiesa la vita ecclesiale è la cosa più certa e percepibile che egli conosca. Questa vita ecclesiale è attinta solo dalla vita, non dall'astrazione e dal raziocino. Se poi si devono applicarle dei concetti, i più appropriati saranno quelli biologici ed estetici, non quelli giuridici e archeologici. Che cos'è l'ecclesialità? E' una vita nuova, la vita nello Spirito. Perché esiste una particolare bellezza spirituale, inafferrabile con le formule logiche, ma, allo stesso tempo, unico metodo giusto per definire che cosa è ortodosso e che cosa non lo è. Gli specialisti di questa bellezza sono gli starcy spirituali: i maestri dell'"arte delle arti" che è l'ascetica, secondo le parole dei santi padri. Gli starcy spirituali "han fatto la mano", per così dire, nello scoprire la qualità della vita spirituale. Il gusto ortodosso, il volto ortodosso si sente e non sottostà al calcolo aritmetico: l'Ortodossia si mostra, non si dimostra. Ecco perché c'è un solo metodo per chi desidera capire l'Ortodossia: l'esperienza ortodossa diretta. Raccontano che attualmente in Occidente si impara a nuotare in palestra, sdraiati sul pavimento; allo stesso modo si può diventare cattolici o protestanti sui libri, senza contatti con la vita, nel proprio studio. Per diventare ortodossi, invece, bisogna immergersi di colpo nell'elemento ortodosso, vivere dell'Ortodossia. Non esistono altri metodi.

Padre Pavel Florenskij, La Colonna e il Fondamento della Verità

 
Che cosa voleva dire san Serafino di Sarov

"Acquisisci lo spirito di pace e a migliaia intorno a te saranno salvati". Questa è forse la più famosa citazione del grande santo russo, Serafino di Sarov. Molte delle sue icone hanno su di loro questo detto. Non ho mai incontrato nessuno a cui non sia piaciuto. D'altra parte, penso che ci siano molti che non lo capiscono. E capire quello che voleva dire può portarti al cuore stesso dell'Ortodossia.

"Acquisire lo spirito di pace", suona in modo meraviglioso, e la maggior parte di noi suppone che questo è il frutto dei lunghi anni di rigorosa pratica monastica del grande santo. Senza dubbio molti dei doni di san Serafino si manifestarono in un tal modo potente a causa dei suoi anni di silenzio e di preghiera.

Ma la sua dichiarazione sull'acquisizione dello spirito di pace non è così complicata o misteriosa come qualcuno potrebbe pensare.

Per molti versi si tratta semplicemente di un ampliamento della parabola evangelica dei talenti :

"Avverrà come di un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque. Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due. Bene, servo buono e fedele, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo. Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti" (Mt 25,14-30).

Questa parabola molto familiare è abbastanza strana. Cristo allude a qualcosa, nell'immaginario dei "talenti" d'argento (o d'oro). Qualunque cosa sia, è stato dato liberamente da amministrare - ma gli amministratori sono tenuti a fare qualcosa con il dono. E' da restituire, con un profitto.

In primo luogo, la parabola non parla di "talenti" umano come suonare il piano o cose simili. Né si tratta di parlare in pubblico, o anche essere un buon insegnante per i bambini. Non si tratta di capacità. Si tratta di una somma di denaro - ma non è una parabola "finanziaria", nel senso che Cristo non sta cercando di dirci di essere sicuri e fare soldi.

Si tratta di una parabola sulla grazia, sullo Spirito Santo.

San Serafino, nel suo insegnamento, era quasi grossolano. Diceva ai suoi discepoli di "acquisire lo Spirito Santo", e usava i paragoni grossolani di un imprenditore che investe il suo denaro per farne di più. Suo padre era un commerciante. Sapeva di cosa stava parlando - ma il suo immaginario era trasposto alla vita spirituale - e descriveva sommamente l'obiettivo come "l'acquisizione dello Spirito Santo. "

Il problema più grande (che si applica pure alla parabola) allora è: Come possiamo acquisire la grazia - o lo Spirito Santo?

Vi prego di notare che non sto parlando di guadagnare più grazia o di compiere opere al fine di ottenere lo Spirito Santo.

La grazia non è altro che la Vita di Dio. Nei termini teologici adeguati (della Chiesa d'Oriente) la grazia è l'energia divina increata. Ma questo termine, se non è correttamente inteso, può essere del tutto confuso. Preferisco parlare della grazia o della vita stessa di Dio, liberamente data a noi.

In primo luogo, la grazia è un dono. Non devi andare da nessuna parte per ottenere quello che ti è già stato dato. Quello che dobbiamo fare è permettere alla grazia di Dio di operare in noi quello che Dio vuole.

San Paolo esortava: "Vi supplichiamo di non ricevere la grazia di Dio invano!" (2 Corinzi 6:1)

A ognuno di noi (sicuramente al nostro battesimo e alla cresima) è stata data la grazia di Dio per la nostra salvezza - cioè di portare i ​​frutti dello Spirito e per conformarci a immagine di Dio in Cristo. La domanda è: che cosa ne facciamo di questa grazia?

Questa è una domanda particolarmente importante nelle piccole cose della giornata. Preghiamo? Cominciamo la giornata facendoci il segno della Croce prima che i nostri piedi tocchino il pavimento? Quando ci viene la tentazione di brontolare ci asteniamo e invece rendiamo grazie? Condanniamo gli altri, anche se avremmo potuto stare in silenzio? Perdoniamo, anche quando avremmo potuto covare un rancore?

C'è grazia in ciascuna di queste cose e in migliaia di altre. Siamo in grado di acquisirla, perché Dio ce ne ha resi capaci. La grazia che è messa a frutto nella nostra vita produce interessi di grazia. San Serafino non è diventato quello che era attraverso un dono momentaneo, ma attraverso una vita di ascesi e "reinvestendo" la grazia a lui data.

Alcune parole dal grande santo per le piccole cose della giornata :

Non puoi essere troppo cortese, troppo gentile. Evita anche di apparire duro nel tuo trattamento degli altri. Gioia, gioia radiosa, scorre dal volto di colui che dà e suscita gioia nel cuore di chi la riceve.

Ogni condanna viene dal diavolo. Non condannare gli altri... invece di condannare gli altri, sforzati di raggiungere la pace interiore.

Taci, astieniti dal giudizio. Ciò ti farà salire al di sopra delle frecce mortali di calunnie, ingiurie e indignazione e proteggerà il tuo cuore contro ogni male.

Ecco che cosa voleva dire san Serafino.

 
La Chiesa ortodossa in Tunisia

I. Panoramica

Nel gennaio del 2011, i media del mondo intero hanno parlato della rivoluzione in Tunisia, paese musulmano del Maghreb; alla fine del mese di ottobre 2011, anche della vittoria elettorale del partito islamista Ennahda. Nel paese è possibile vedere chiese cattoliche, in particolare nella capitale, Tunisi, cosa che si spiega con la presenza di un protettorato francese dal 1881. Poi, nel marzo del 1956 la Francia riconobbe l'indipendenza della Tunisia e la Repubblica tunisina fu proclamata nel luglio del 1957. Bourguiba (morto nel 2000) divenne presidente, e fu deposto da Ben Ali nel novembre del 1987. Detto questo, chi conosce la presenza di comunità ortodosse greche e russe in questo paese? Ecco l'oggetto di questo articolo. Nel gennaio del 2010, sono stata invitata a tenere una conferenza a Tunisi. Ho quindi colto l'occasione per visitare quattro delle cinque chiese ortodosse in Tunisia, per fare indagini e condurre interviste con il vescovo greco e il prete russo, entrambi residenti a Tunisi.

In uno scritto del 1952 sulla religione in Tunisia (1), si dice quanto segue sulle chiese ortodosse. Le comunità greche a Tunisi e a Sfax sono sempre state molto attive. Quella di Tunisi segna già la sua presenza verso la metà del XVIII secolo, ottenendo dal bey (2) regnante la concessione di terreni per un cimitero presso il sito dell'attuale chiesa greca (5 rue de Rome), inaugurato nel 1901 e situato dietro la cattedrale cattolica. I sacerdoti sono nominati dal patriarca greco-ortodosso di Alessandria d'Egitto. Inoltre, un certo numero di rifugiati russi, arrivati dopo la prima guerra mondiale, ha costituito due comunità a Biserta e Tunisi.

Nel 1930, Raoul Darmon, dottore in giurisprudenza, ha pubblicato a Parigi un libro su La situazione dei culti in Tunisia (3). Secondo lui, la presenza dei greci ortodossi risale almeno al XVI secolo, come ha riscontrato dalle pietre tombali di quel tempo. Alla metà del XVIII secolo, un greco, Raftopoulo, ottenne dal bey la concessione di un terreno, che fu il luogo del cimitero e di una cappella dedicata a sant’Antonio, sostituita dalla chiesa di san Giorgio nel 1901. Fino al trattato di Adrianopoli che proclamò l'indipendenza della Grecia nel 1827, i greci di Tunisi, cittadini turchi, erano raggruppati in corporazioni ed erano soggetti a un dignitario della loro fede che giudicava secondo la loro legge religiosa. Un consolato greco fu creato tra il 1827 e il 1828 (4).

Per quanto riguarda la comunità ortodossa russa, il Santo Sinodo aveva assegnato alle navi della flotta imperiale un anziano cappellano militare che prese la direzione spirituale delle truppe giunte in Tunisia. La comunità russa si legò al Sinodo della Chiesa ortodossa russa all'estero, costituito a Sremki Karlovtsi nella Jugoslavia di allora, e che divenne la Chiesa fuori frontiera [e quindi non legata alla Chiesa di Mosca]. La sua cappella, insediata brevemente nel campo di Jebel Djelloud, fu sistemata a rue des Selliers [a Tunisi] il 25 marzo 1922.

Nel libro La Tunisie mosaïque, pubblicato nel 2000 da J. Alexandropoulos e P. Cabanel (5), ci sono due articoli sui greci e i russi nel periodo tra le due guerre. Per i greci, l'articolo di F. El Ghoul si basa su un dossier degli Archivi nazionali. Il patriarca di Alessandria, Melezio III, visitò Tunisi e Sfax durante l'estate del 1931. A quel tempo, Constantin Catzaratis, arcivescovo di Cartagine, era il delegato della Chiesa di Alessandria per l’amministrazione dei fedeli in Tunisia, Algeria e Marocco.

Nel suo articolo (6), S. Mathlouthidit ha scritto che i russi erano sparsi nei campi in tutto il paese. Sulle navi non teneva conto se non del personale di comando e di manutenzione, con le proprie famiglie. Per guadagnarsi da vivere, i russi, la maggior parte dei quali provenienti da classi agiate, facevano tutti i tipi di mestieri, in molti casi estranei alle loro qualifiche. Dopo il riconoscimento del governo sovietico da parte della Francia nell’ottobre del 1924, appena un migliaio dei 6.000 - 7.000 rifugiati è rimasto in Tunisia. Alcune centinaia si sono spostate in Algeria e Marocco, ma la maggior parte è andata in Francia o si è dispersa in Europa.

II. Storia della comunità greco-ortodossa

Ora vediamo più in dettaglio la storia e il presente della comunità greca.

Nel 2010-2011, la metropolia ortodossa di Cartagine appartenente alla giurisdizione del Patriarcato ortodosso di Alessandria in Nord Africa (7) aveva la sua sede a Tunisi. Il suo territorio comprende la Tunisia, l'Algeria, il Marocco e la Mauritania. La metropolia di Cartagine è stata istituita con un decreto patriarcale e sinodale nel 1931. Dal 2004, il suo primate è il metropolita Alessio (nato Panayiotis Leontaritis).

Prima di lui, i metropoliti della sede a Tunisi sono stati Crisostomo (1997-2004) e Irineos (1990-1997) (8). Ancora prima, Parthenios, il futuro patriarca di Alessandria (1987-1996), è stato a Tunisi per 29 anni (1957-1986).

Il metropolita Alessio è l'arcivescovo greco-ortodosso di Cartagine e del Nord Africa. La sua giurisdizione si estende, con l’eccezione di Egitto e Libia, a tutti i paesi del Nord Africa.

In Algeria ci sono pochi fedeli ortodossi (9). Gli ortodossi lavorano soprattutto nelle ambasciate. Non c'è una chiesa ortodossa in Algeria. Le celebrazioni si svolgono nella cappella dell'ambasciata greca. A volte gli ortodossi organizzano celebrazioni in chiese cattoliche. Nel giugno 2010, il metropolita Alessio ha ordinato un sacerdote, padre Lambros Kefalinos, responsabile per l'Algeria e la Mauritania.

In Marocco ci sono due sacerdoti, uno greco e uno russo. Nel 2011, il sacerdote greco sposato era il padre Ioannis Gazoras, che dal 2010 vive a Casablanca dove la chiesa dell’Annunciazione della Madre di Dio è stata costruita nel 1926. C'era anche una chiesa greca costruita a Fez nel 1944, chiusa e venduta nel 1983 perché non c'erano più greci. Secondo il metropolita Alessio, nel 2010 c’erano circa 150-200 greci in Marocco, 200 romeni e 5000 russi.

In Mauritania (10), nel 2010, c’erano circa 80 ortodossi, libanesi, russi e alcuni greci.

Per quanto riguarda la Libia, vi è un arcivescovado (metropolia di Tripoli) a partire dal 2004, con sede a Tripoli (11), e che ha a capo, da quella data, mons. Theofilaktos (nato Constantin Tzoumerkas). Ci sono due chiese a Tripoli (San Giorgio) e Bengasi (Annunciazione della Madre di Dio). Nell'agosto 2011, la chiesa di San Giorgio a Tripoli, monumento storico risalente al 1647, la più antica chiesa ortodossa in Nord Africa, è stata saccheggiata (12).

A proposito della storia della Chiesa greca in Tunisia, il metropolita Alessio mi ha confermato che la prima cappella greco-ortodossa a Tunisi si trovava nel cimitero greco, ora 5 rue de Rome. È lì che è stata costruita nel 1901 l'attuale cattedrale dedicata a san Giorgio. In precedenza, la Chiesa greca (anch'essa dedicata a san Giorgio) si trovava all'interno della città vecchia (medina)  (13).

cattedrale greco-ortodossa di san Giorgio a Tunisi

Durante il mio soggiorno in Tunisia, Habib Kazdhagli, docente di storia contemporanea presso l'Università Manouba di Tunisi e specialista delle minoranze in Tunisia, mi ha fatto comprare un libro scritto da un greco della Tunisia, Laris Kindynis, Djerba, l'isola incantata della mia infanzia (14). Kindynis vi racconta la storia della sua famiglia, legata alla storia dei greci e delle loro chiese a Djerba, con alcuni dettagli su Sfax. Tutta la famiglia di suo padre era originaria di Kalymnos (15), l’isola dei pescatori di spugne in Grecia. Verso la metà degli anni 1890, il nonno, Sakellaris, si trovò a capo di diversi caicchi per la pesca delle spugne e fu uno dei primi armatori a inviare le proprie barche e subacquei a pescare sulle coste del Nord Africa, dove si trovavano in abbondanza le più belle spugne del Mediterraneo. Le barche lasciavano Kalymnos dopo la Pasqua e la campagna di pesca delle spugne durava sei mesi, dal Golfo di Bengasi in Libia fino a Cap Bon in Tunisia. Un'isola attrasse in modo particolare i pescatori, Djerba. Suo nonno vi si stabilì intorno al 1895 (16). Le spugne erano inviate a clienti all'estero, soprattutto in Francia e in Italia. Questa è la scelta che fecero alcuni greci che pensavano di farvi una fortuna prima di tornare al loro paese. Suo padre era il principale elemento stabile della colonia greca di Djerba, possedeva tre caicchi e divenne un prospero mercante di spugne fino al 1939 (17). Poi questo commercio cessò per due motivi principali. Quando scoppiò la guerra, nel settembre 1939, l'Italia fascista alleata di Hitler negò l'accesso alle sue acque territoriali in Tripolitania e in Libia alle imbarcazioni straniere: a causa dei sottomarini la navigazione divenne pericoloso e pesca delle spugne impossibile (18). Suo padre vendette le sue barche in perdita e si trovò quasi in rovina, così come altri commercianti greci in Tunisia in quel momento. Poi, dopo la guerra in Grecia e altrove, la concorrenza della spugna artificiale fece cessare il commercio della spugna naturale.

Per quanto riguarda la costruzione della chiesa greca a Djerba (19), nel 1906 Sakellaris donò alla comunità ellenica parte del suo terreno di Djerba per la costruzione (a cui ha partecipato attivamente) della chiesa di san Nicola, patrono dei marinai e dei pescatori di spugne. Kindynis menziona anche la costruzione di una seconda chiesa ortodossa, quella di san Giorgio, per la piccola colonia greca di Djerba, nel quartiere di Taourit, ora scomparsa, ma senza menzionarne la data di costruzione. Durante la seconda guerra mondiale, rimasero solo due o tre famiglie greche a Djerba. Poi non ci fu più un prete sul posto, e fu un’anziana signora, Aspasia, a mantenere la chiesa e ad assicurare che la lampada da vigilia non si estinguesse.

Sfax (a 270 km a sud di Tunisi) e Djerba erano i due centri di maggior successo di produttori di spugne sotto la reggenza tunisina. Essendo una grande città con un porto attivo, Sfax aveva attirato un’importante colonia greca. La comunità greca vi si era formata alla fine del XIX secolo, in particolare con l’installazione di commercianti, armatori e mercanti spugne da Hydra o dalle isole del Dodecaneso come Kalymnos. La chiesa greca di Sfax fu inaugurata nel 1893 (20). Nel gennaio 2010, durante la mia visita, stavano cercando di restaurarla. La chiesa, dedicata ai Tre Ierarchi, è situata in un bel posto nel centro della città, all'angolo di rue Léopold Senghor, al n. 4 di rue du 13 janvier, di fronte al giardino Dallar e vicino alla Porte de la Casbah. Il cimitero cristiano di Sfax è sulla strada per Gabes, all’uscita da Sfax.

chiesa greco-ortodossa dei Tre Ierarchi a Sfax

Ed ecco ora alcuni punti della storia della Chiesa greco-ortodossa in Tunisia, secondo le ricerche del professor Kazdaghli, con alcune note anche di Dessat.

La presenza della comunità greco-ortodossa in Tunisia risale almeno al XVII secolo. La prima chiesa fu fondata a Tunisi nel 1645 da parte del patriarca di Alessandria Ioannikios (21).

La chiesa dipese dal Patriarcato di Alessandria fino al 1853, quando il suo ultimo rappresentante lasciò Tunisi per intervento dell'autorità consolare britannica. Poi la comunità stessa nominò il suo sacerdote e si rivolse spesso a questo proposito al Santo Sinodo di Atene.

Dal 1893, data di inaugurazione della Chiesa di Sfax, il patriarcato riprese le sue funzioni a livello spirituale, ma la comunità rimase in possesso di tutti i beni e del reddito delle chiese, amministrandosi da sola e senza versare alcun contributo al patriarcato.

Dal momento della presidenza del sig. Couitéas la comunità si rivolse al patriarcato per la nomina di sacerdoti, che essa stessa retribuiva. Il patriarca inviava un sacerdote a Tunisi, senza imporre condizioni per le sue mansioni (22).

Nel luglio del 1931, il Patriarca di Alessandria Melezio II effettuò una visita in Tunisia, per regolare i conflitti esistenti sulla gestione laica (la gestione dei beni della Chiesa era stat poi affidata ad un’associazione dipendente da Atene) e per raggruppare i fedeli attorno al patriarcato.

Nel febbraio del 1932, fu nominato un vescovo per la Tunisia, l'Algeria e il Marocco, mons. Catsarakis, arrivato nel marzo del 1932, che risiedeva alternativamente a Tunisi e Casablanca; lasciò Tunisi nel mese di dicembre del 1932 (23). Catsarakis fu sostituito dall’archimandrita Dimitrios Lancouvardos che arrivava da Casablanca e aveva già servito la comunità greca di Sfax per diciotto anni. Poi, a causa della cattiva gestione dal 1928 al 1931, i redditi dell'associazione della Chiesa furono posti sotto sequestro dal 1931 al 1937, dopo di che la chiesa di san Giorgio fu riaperta il 6 marzo 1938.

Alla metà del XIX secolo, c’erano circa 250 Greci in Tunisia. Nel 1906, ve n’erano 683, nel 1926, 646 (compresi 343 a Sfax e 28 a Djerba); nel 1931, 463; questo calo si spiega con la tendenza dei greci a farsi naturalizzare francesi, soprattutto dopo la legge sulla naturalizzazione del dicembre del 1923 (24).

Nel 2010, c’erano circa 7.000 ortodossi in Tunisia (greci, russi, ucraini, bulgari, serbi e romeni), di cui una trentina di greci, compreso il personale dell'ambasciata. C’erano altri greci residenti in Tunisia (circa 70), ma di religione musulmana.

Per ulteriori informazioni circa gli ortodossi greci in Tunisia, si devono consultare gli archivi in Tunisia, ad Atene e al patriarcato greco-ortodosso d’Alessandria (in greco).

III. La storia della comunità ortodossa russa in Tunisia

Nel 1917, lo zar Nicola II di tutta la Rus’ abdicò. Fuggendo la rivoluzione bolscevica, il generale Wrangel organizzò poi una partenza precipitosa, il 15 novembre 1920, di centoventi navi del Mar Nero in Crimea, con l'evacuazione di circa 150.000 persone, militari e civili, in direzione di Costantinopoli, arrivando in questa città dal 17 al 20 novembre. Lì, la Francia (25) autorizzò, il 2 dicembre 1920, l'invio di una parte della marina imperiale proveniente da Sebastopoli a Biserta (allora base militare francese), con un migliaio di ufficiali di marina e le loro famiglie, così come cadetti, marinai e meccanici, uno squadrone di 35 navi con quasi 6.000 russi (26), arrivati tra il 23 dicembre 1920 e il febbraio del 1921, accompagnati da tredici sacerdoti (27). Secondo Ross, gli ufficiali e marinai sposati poterono installarsi con le loro famiglie in uno dei sei campi preparati per loro vicino a Biserta, oppure sulla Georgij Pobedonosets (San Giorgio), trasformata in residenza galleggiante. A metà marzo, gli equipaggi furono autorizzati a scendere a terra. Dal febbraio 1921, il corpo dei cadetti della marina riprese le sue attività nel forte di Djebel Kebir, Fino al 25 maggio 1925 (28).

Secondo la signora Shirinskij, per paura di un’infiltrazione bolscevica, le autorità francesi non permisero alla maggioranza degli emigrati russi a Biserta di vivere sulla terraferma per quattro anni (1920-1924). Potevano lavorare in città durante il giorno, per poi tornare sulle navi di notte. Una parte della vita si svolgeva quindi a bordo delle navi, ivi compresa la vita religiosa. In effetti, c’era una grande cappella con una iconostasi a bordo della corazzata San Giorgio (29), ed era qui che il cappellano dell'Accademia Navale, Padre Georgij Spasskij (30), e gli altri sacerdoti celebravano la liturgia domenicale e gli offici delle feste ortodosse. Il padre teneva anche un catechismo ai bambini che vivevano sulle navi. Qui, l'educazione religiosa regolava quotidianamente la vita dei russi. In classe, i bambini pregavano prima delle lezioni, e individualmente alla sera prima di coricarsi.

A Biserta, all’inizio, i servizi religiosi avevano dunque luogo sulla San Giorgio, e anche in una delle casematte della fortezza francese di Djebel Kebir in cui si trovava la scuola dei cadetti russi (31).

Il 28 Ottobre 1924, la Francia riconobbe ufficialmente l'Unione Sovietica, che esigeva che lo squadrone russo di Biserta le fosse restituito (32).

Poi i profughi russi furono autorizzati a lasciare la nave e a scegliere i propri luoghi di residenza. Molti di loro (i quattro quinti) lasciarono la Tunisia per l'Europa, soprattutto la Francia. Secondo la signora Shirinskij, tra questi immigrati russi, la maggior parte di coloro che sono rimasti in Tunisia si è stabilita a Tunisi, la capitale, che si trova a 60 km da Biserta, e nella zona circostante. Altri ancora andarono principalmente in Francia, Algeria, Marocco e Canada.

Nel 1925, in Tunisia vivevano 700 russi. Un censimento del 1926 rileva la presenza di 876 russi (33). Alcuni russi si fecero anche nazionalizzare francesi. Ci furono ugualmente matrimoni misti.

Questi russi furono costretti a trovare lavoro. Secondo la signora Shirinskij (34) all’inizio gli ufficiali, i marinai e le loro mogli avevano dovuto guadagnarsi da vivere, alcuni molto modestamente, fare ogni genere di lavoro in generale estranei alla loro formazione (tranne i medici), in base alle capacità di ciascuno, fino a essere semplici timonieri per gli uomini e per le donne cameriere, insegnanti di pianoforte, lavapiatti o rammendatrici. Alla fine degli anni ‘20, si vedevano ovunque russi al lavoro: nei lavori pubblici e marittimi e anche nelle farmacie, nelle panetterie, come cassieri e contabili, ecc. A Tunisi, furono aperti un centro di musica russa e una scuola di danza, da parte di Debolska e Foutilne, ex primi ballerini del Bolshoj. "L'integrazione di quest'emigrazione russa avvenne senza troppi problemi in termini di relazioni personali e non ci fu mai alcun problema di esclusione".

In Tunisia, le parrocchie ortodosse russe costituite a Tunisi e Biserta si trovavano all'inizio nella giurisdizione della Chiesa ortodossa russa all’estero.

A Tunisi, nel 1921, ci fu una corrispondenza tra i russi e il protettorato francese per aprire una parrocchia ortodossa. Una riunione presieduta dal Padre Georgij Spasskij ebbe luogo il 2 settembre 1921 presso la sede della cooperativa dei lavoratori russi, ai numeri 1 e 3 di Impasses du Recueillement, per redigere la richiesta di organizzare una chiesa russa in questa città (35).

In primo luogo, nel 1922, le celebrazioni a Tunisi si fecero nella più grande stanza della casa dove risiedevano il rettore, padre Konstantin Mikhalovskij (36) (a volte scritto Mikhailovskij, 1869-1942), e la sua famiglia, in Rue des Selliers. Non poteva accogliere tutti i fedeli, che dunque pregavano anche nel patio (37). Vi si portarono l'iconostasi e gli oggetti liturgici dalle navi (38).

A Tunisi, dopo la seconda guerra mondiale, iniziarono a raccogliere fondi per la costruzione di una chiesa ortodossa russa; la maggior parte del denaro venne da immigrati russi, parenti dei marinai. Dopo aver ricevuto l'autorizzazione per la costruzione nel mese di ottobre 1953, si pose la prima pietra della chiesa dedicata alla Risurrezione. Sotto questa pietra fu posta una reliquia di san Cipriano di Cartagine (ieromartire del terzo secolo). Nel giugno 1955, l'associazione della chiesa ortodossa a Tunisi, 12 avenue Mohamed V, già Viale Gambeta è stata riconosciuta. Su 10 giugno, 1956 ha avuto luogo la consacrazione fatta da Mons. Ioann (Maksimovich) di Shanghai (Chiesa all’Estero) (39). L'ingegnere che ha costruito la chiesa di Tunisi è Vladimir Efimovich Lagadovskij (40).

chiesa ortodossa russa della Risurrezione a Tunisi

Ecco ora i nomi dei sacerdoti di Tunisi. Come si vedrà, alcuni sacerdoti russi a Tunisi e Biserta sono conosciuti in Francia, ma spesso non si conoscono i loro legami con la Tunisia (41).

Padre Nikolaj Afanas’ev fu rettore della parrocchia russa a Tunisi 1941-1947. Arrivò in Tunisia il 18 luglio 1941 da Parigi, dove era professore di teologia all’Istituto San Sergio dal 1930, e prese il posto alla morte di un prete anziano (padre Mikhalovskij). Era stato ordinato sacerdote l'8 gennaio 1940 dal vescovo Evlogij (Rue Daru.) Il 17 Aprile 1945, divenne arciprete. Ritornò a Parigi nel settembre 1947 (42).

Il sacerdote interinale era padre Ignatij Lubimov (fine 1947-1949), che fu invitato dal consiglio parrocchiale. Nato nel 1905 nella regione del Don, aveva lasciato il suo paese d’origine nel 1944 per stabilirsi a Monaco di Baviera. Nel 1949, ritornò in Germania, e da lì andò negli Stati Uniti d'America (43).

Ci furono anche lo ieromonaco Panteleimon Rogov (1951-1952) e il vescovo Natanael (Lvov) (1952-1954), spedito in Germania nel 1954 (per vari scandali). Questi fu il responsabile della posa della prima pietra della nuova chiesa a Tunisi nel 1953.

Poi venne lo ieromonaco Mitrofan (Edlinskij-Manuilov) (1954-1958), che lasciò la Tunisia per Parigi nel 1958.

Padre Malizhenovskij, che risiedeva a Biserta, veniva a celebrare anche a Tunisi.

A Biserta, i russi che erano rimasti maturarono l'idea di costruire una chiesa in memoria dello squadrone russo. Per questo scopo fu organizzato un comitato che comprendeva gli ammiragli Berens (Presidente), e Borozhein, il capitano di I rango Hildebrandt, ecc.

Dopo il riconoscimento dell’Associazione ortodossa russa nel 1937 e dopo che le autorità francesi avevano dato il loro consenso (statuti accettati dal comune il 28 febbraio 1938), la costruzione di questa chiesa, fatta da N. S. Sukharzhevskij, nei pressi della vecchia stazione, nel porto lungo il canale, fu completata nel 1938, grazie alle donazioni degli emigrati russi. La consacrazione della chiesa avvenne il 22 settembre 1939 (44). La chiesa fu dedicata a sant’Aleksandr Nevskij. Vi furono trasportati gli oggetti della chiesa sulla nave San Giorgio. Essendo stata eretta a ricordo dello squadrone, il velo delle porte regali dell'iconostasi fu la bandiera con la croce di Sant'Andrea (patrono dei marinai), emblema della marina imperiale russa, che era stata a bordo della San Giorgio. Nella chiesa fu posta anche una targa con i nomi delle navi della flotta russa. Prima di allora, i russi pregavano in una stanza della casa dove viveva il sacerdote, in rue d'Anjou (45).

chiesa ortodossa russa di sant'Aleksander Nevskij a Biserta

Come spiega la signora Shirinskij: "Alla fine degli anni ‘20, la colonia russa di Biserta era abbastanza grande da essere in grado di mantenere un sacerdote. Fu affittato un appartamento in Rue d'Anjou (ora Rue d’Égypte) per il padre Ioannikij Poletaev. C'era una sala riservata alle funzioni religiose. Ci si incontrava per i Vespri di sabato sera e la Liturgia della Domenica. La vita intorno alla chiesa era molto animata". "Il coro è stato condotto da Vera Evgenievna Zelenaja. Nei giorni di festa si vedevano molti venire dai dintorni. Le festività pasquali erano sempre attese, preparate e celebrate con lo stesso fervore".

Il primo rettore della chiesa fu dunque Ioannikij Poletaev (1924-1942). Cappellano di una nave della flotta nel Mar Nero, era arrivato con la flotta a Biserta, nel 1920; fu il primo sacerdote della cappella del campo dei profughi russi San Giovanni a Tunisi (1921-1923) e il rettore della chiesa di Biserta (1924-1942). Fu lui a creare alcuni dei dipinti murali della chiesa di Biserta.

Tra lui e il suo successore, non vi fu un prete (a causa della guerra), e la parrocchia fu servita dal sacerdote di Tunisi. Notiamo che nel 1942 la chiesa fu bombardata ed evacuata (46), dopo le riparazioni, la chiesa fu riaperta al culto il 6 novembre 1949, con un officio celebrato da padre Malizhenovksij.

Il secondo sacerdote a Biserta era l'arciprete Ioann Malizhenovksij. Già sacerdote in Francia e in Germania, arrivò in Tunisia nel 1947, dove fu sacerdote a Biserta (1947-1954), servendo anche a Tunisi quando non c'era nessun prete in loco (1947-1949). Inoltre soggiornò a Casablanca per servire la parrocchia della città dal 1954 al 1959. Dal 1959 al 1964, tornò come rettore delle chiese di Biserta e Tunisi. Poi è tornato in Europa dal 1965 al 1970 come vicario del rettore della parrocchia della chiesa russa all’estero a Uccle (sobborgo di Bruxelles), dove morì nel 1970. Fu sepolto a Sainte-Geneviève-des-Bois, vicino a Parigi. Dopo di lui, non vi fu più un sacerdote russo in Tunisia per quasi trent'anni.

Notiamo che l'arcivescovo Panteleimon (Rudyk) fu mandato dalla Germania da parte del Sinodo dei Vescovi della Chiesa russa all’estero a Tunisi per assistere padre Malizhenovksij e prendersi cura di tutte le comunità del Maghreb (1950-1952); sollevato dalla carica nel 1952, fu nominato vescovo di Montreal nel 1954.

Anche un altro sacerdote già nominato aveva servito a Biserta: l’archimandrita Panteleimon Rogov (1958-aprile 1961). Poi questi andò a fare l’assistente del rettore della chiesa di Roma nel 1952, poi a Madrid, e tornò dal 1958 al mese di aprile del 1961 come sacerdote a Biserta. Fu lui a terminare le pitture murali della chiesa di Biserta.

A partire dal 1964, le due parrocchie russe erano servite solo una o due volte l'anno, da un sacerdote del Patriarcato di Alessandria della cattedrale greca di san Giorgio a Tunisi (47).

Dopo la proclamazione dell'indipendenza tunisina (1956), la maggior parte dei russi che avevano preso la nazionalità francese partì per la Francia. Nel 1963, la marina francese lasciò Biserta.

All’inizio degli anni ‘60, non rimasero che poche famiglie russe, tra cui, a Biserta, le due famiglie Shirinskij e Ilovaiskij (48). Nella pellicola citata, la signora Shirinskij disse che a partire dagli anni ‘60 non si poté più mantenere un sacerdote; quindi, per quasi 30 anni, ci fu una "traversata nel deserto" (49). Quando Vanja Ilovaiskij, il guardiano della chiesa di Biserta, morì nel 1985, lasciò alla signora Shirinskij il dossier con tutti i documenti della chiesa (50). Come dice la signora Shirinskij, "Delle migliaia di russi arrivati nel 1920, sono rimasta l'ultima testimone... La chiesa di Biserta è rimasta vuota" (51). E aggiunge: "Per 30 anni non ci sono più stati preti russi e praticamente non c’è più stata vita parrocchiale... la signora Irene Allardt a Tunisi e io a Biserta abbiamo fatto quello che abbiamo potuto. Lo stato delle chiese si è deteriorato. La signora Allardt ha intrapreso a proprie spese grandi riparazioni per la chiesa di Tunisi" (52).

 

Anastasia Aleksandrovna Manshtein-Shirinskaja (1912-2009)

La signora Shirinskij era anche preoccupata per il seguente motivo: "La città di Tunisi aveva fatto degli approcci per ricuperare il terreno della chiesa... Ma se non c’erano più funzioni e le chiese cadevano irrimediabilmente in rovina, potevano essere confiscate a causa di abbandono" (53).

Come è scritto nel giornale L’Action del 15 febbraio 1981: i russi erano preoccupati da una voce che il governo tunisino prevedeva di demolire la chiesa, una copia della chiesa di Novgorod (XIII sec.), per riqualificare il viale Mohamed V (si vedano i testi allegati). Sorse allora una questione urgente relativa alla manutenzione delle chiese e alla conservazione dei beni. Nel 1988, in risposta alle lettere ansiose di I. O. Ilovaiskij, il segretario del sinodo della Chiesa russa all’estero, il vescovo Gregorio, residente a New York, fece sapere che il sinodo aveva deciso di affidare all'arcivescovo Antonio di Ginevra il compito di inviare un sacerdote a Biserta per informarsi della situazione locale.

Come scrisse allora la signora Shirinskij (54): "Le nostre chiese appartenevano dal punto di vista legale all’Associazione degli ortodossi della Chiesa russa in Tunisia... Né il sinodo della Chiesa russa all’estero né il suo vescovo Antonio di Ginevra che avevamo tenuto regolarmente al corrente delle nostre difficoltà sono stati in grado di aiutarci (55). Monsignor Lavr era venuto [dal sinodo di New York] nel novembre 1989, ma non c'era nulla che ci potesse offrire" (56). Il vescovo Gregorio della Chiesa russa all’estero anche offerto la possibilità di deporre i più importanti oggetti liturgici delle chiese russe in Tunisia nel museo presso il monastero della Santa Trinità a Jordanville negli Stati Uniti.

Così, nel 1990 la signora Shirinskij (che era allora a capo della comunità ortodossa russa in Tunisia) e alcuni parrocchiani decisero e organizzarono il passaggio dalla Chiesa all’estero al patriarcato di Mosca, contattando quest’ultimo con una lettera inviata nel febbraio 1990 al patriarca Pimen. In questa si spiegava che le parrocchie ortodosse sotto la giurisdizione della Chiesa russa all’estero per quasi trent'anni non avevano avuto un sacerdote e il rappresentante del Sinodo, l'Arcivescovo Lavr, che era venuto in Tunisia nel 1989, non era stato aiutare la rinascita di una vita ecclesiale. A questo prooposito, la signora Shirinskij pregava il patriarca di ricevere la comunità russa in Tunisia sotto la giurisdizione del Patriarcato di Mosca e di inviare un sacerdote in Tunisia (57).

Tra i mesi di marzo e giugno 1990 venne in Tunisia un esarca del patriarcato di Mosca, che stabilì un legame. Il 18 febbraio 1992, il Santo Sinodo sotto la presidenza del patriarca Alessio II decise di accogliere la comunità russa in Tunisia e di nominare il sacerdote Dimitri Netvetaiev come rettore a Tunisi, dove era ancora responsabile alla fine del 2011.
Nel gennaio 2010, il padre Netvetaiev mi ha detto che andava a celebrare la liturgia una volta al mese a Biserta, e a Malta ogni due mesi (per circa 80 fedeli, in una chiesa greco-cattolica). È andato anche una volta a celebrare in Libia (a Tripoli) e in Algeria.

In Marocco, a Rabat, c'è anche una chiesa russa dedicata alla Risurrezione (58). La parrocchia è stata fondata nel 1927 da immigrati russi, sotto la giurisdizione del metropolita Evlogij (Rue Daru) che consacrò la chiesa nel 1933. La parrocchia passò al patriarcato di Mosca nel 1952. Nel novembre del 2011, era retta da padre Maksim Massalitin.

Da allora, grazie ai contributi dei nuovi membri delle associazioni ortodosse russe di Tunisi e di Biserta, si è riusciti a ripristinare in parte le due chiese.

Notiamo che nel febbraio 1993 la "riconsacrazione" dopo la ristrutturazione della chiesa di sant’Aleksandr Nevskij a Biserta avvenne in presenza della moglie di Arafat, Souha, una palestinese greco-ortodossa (59).

L'arrivo di Padre Dimitri Netvetaiev come rettore delle due chiese ha permesso ai fedeli di incontrarsi insieme e alla vita parrocchiale di rivivere. All'inizio del 1997, c’erano più di 2.500 fedeli, e circa 3.500 nel 2011: i dipendenti delle ambasciate della Federazione Russa, di altre agenzie governative e imprenditori russi e anche bulgari, serbi, romeni e palestinesi ortodossi. La nuova colonia russa in Tunisia ha preso in mano la fiaccola assunto per prendersi cura delle due chiese russe.
Alla fine del mese di novembre 1997 e poi nel marzo 2001, il metropolita Kirill del dipartimento degli affari esteri del patriarcato di Mosca, e attuale patriarca, ha visitato le chiese russe in Tunisia.

Per quanto riguarda la signora Shirinskij, in un articolo del 1997, H. Kazdaghli dimostra che la comunità russa si raggruppava intorno a lei, la sua decana, premiata nello stesso anno dal governo tunisino con una medaglia per il suo insegnamento della matematica per più di 40 anni al liceo di Biserta e dalla Federazione Russia che le ha offerto un passaporto (60). Dopo la perestrojka, molti russi sono venuti anche dalla Russia per incontrarla e onorarla, soprattutto in seguito alla pubblicazione del suo libro in russo e in francese, e grazie al film in cui racconta la storia dei rifugiati russi e degli episodi della sua vita. La Fondazione Shirinskij, situata in una casa dietro la chiesa di Biserta, è stata inaugurata nel 2008.

Per scrivere in maggior dettaglio la storia della Chiesa russa in Tunisia, si consiglia di leggere gli altri documenti e articoli esistenti in francese e in particolare in russo, compresi quelli conservati dal sacerdote russo a Tunisi. Molti documenti del governo in Tunisia o dei giornali tunisini sono in francese. Anche i cimiteri in cui sono stati sepolti gli ortodossi russi e greci (a Tunisi, Biserta e Sfax) testimoniano questa storia degli ortodossi in Tunisia; sulle tombe, ci sono alcuni nomi famosi che ricordano tutta questa storia.

Lettori, se passate per Tunisi, Biserta, Djerba e Sfax, non dimenticate di andare a visitare le chiese ortodosse menzionate in quest’articolo.

Si noti inoltre che, dopo la vittoria degli islamisti nell’ottobre del 2011, nel 2012 hanno avuto luogo in diverse occasioni minacce contro la Chiesa ortodossa a Tunisi (lettere minatorie, sacchetti di immondizia sulle croci). Sono state depositate diverse denunce (61). I religiosi della chiesa ortodossa russa di Tunisi hanno più volte ricevuto minacce da un salafita che intimava loro di chiudere la chiesa. Le minacce sono state fatte in un momento in cui il turismo tunisino cerca di esplorare il mercato russo, il cui notevole potenziale può recuperare la zona con l’attesa di centinaia di turisti russi. Le minacce non si sono fermate ultimamente, perché lo stesso salafita ha ripreso a minacciare i religiosi che sono andati a presentare una nuova denuncia alla polizia del distretto di Bab Bhar: l’arciprete ha contattato Rashid Ghannouchi e ha espresso la sua intenzione di contattare il presidente Marzouki. Da parte loro, le autorità di sicurezza sono state in grado di identificare il salafita Trimech dalla sua descrizione, quella della vettura e la sua targa: questi ha ammesso di aver minacciato il religioso e ha detto di aver agito per conto suo. Il procuratore della Repubblica ha ordinato di metterlo in custodia (62). In seguito la scuola russa, dietro la chiesa, e il cimitero cristiano di Montplaisir a Tunisi sono stati presi di mira (63). Inoltre, il rettore della Chiesa ortodossa russa a Tunisi, padre Dimitri Netsvetaev è stato minacciato da un individuo che entrato in chiesa subito dopo la Liturgia della domenica, e che gli ha dato tre giorni per rimuovere la croce della chiesa, convertirsi all'islam o di pagare la jizya (64), la tassa sui non musulmani. L'individuo poi ha colpito la croce della chiesa con un cric prima di partire. Dopo diverse chiamate alla polizia, l'individuo è stato arrestato. Tuttavia, la famiglia del padre Dimitri non si sente più sicura perché "estremisti salafiti oggi si aggirano spesso intorno alla chiesa" (65). Il Presidente della Repubblica tunisina, Moncef Marzouki, ha condannato i recenti attacchi contro la Chiesa ortodossa russa nel paese. Ha assicurato i suoi fedeli che "il compimento dei loro riti religiosi è garantito in Tunisia" (66).

Allegato I

Le due associazioni ortodosse russe hanno acquistato i terreni delle chiese a Biserta e Tunisi da parte delle autorità francesi.
Dopo il riconoscimento della Tunisia da parte della Francia nel 1956, i loro diritti al possesso dei terreni sono stati confermati con decreto del presidente Bourguiba (67).

Diritti di proprietà delle due chiese russe (68)

Le responsabili delle associazioni, due donne già anziane [senza dubbio Shirinskij e Allardt] distanti dal mondo politico, non erano state informate in tempo della legge del 1988 che prevedeva di ri-registrare obbligatoriamente tutte le associazioni in Tunisia entro sei mesi dalla pubblicazione di questa richiesta nel Bollettino ufficiale. Ciò ha avuto per risultato, il 1 ottobre 1994, che il Ministero tunisino nella sua nota n. D4107/94 (v. legge 90 del 2 agosto 1998), ha comunicato alla Federazione russa che l'associazione ortodossa di Tunisi era stata sciolta e che l'immobile è stato requisito dallo Stato tunisino (69). Due anni prima di questa nota, il governo tunisino per combattere contro il fondamentalismo islamico, aveva emesso una legge sul divieto e la dissoluzione di tutti i gruppi religiosi, compresi i musulmani. Questa legge aggiungeva un ostacolo ulteriore e invalicabile al percorso dei tentativi delle comunità sostenute dall’ambasciata russa di registrare nuovamente la loro associazione a Tunisi e di ripristinare i loro diritti sul terreno a Tunisi.

[Nel 2003], la questione del futuro del terreno acquistato nel 1937 a Biserta dall’associazione locale non era risolta. Nessun documento è pervenuto delle autorità tunisine su questo tema all'ambasciata russa o al prete locale. Pertanto, la proprietà si trovava sotto la costante minaccia di sequestro [da parte dello Stato], perché apparteneva a un’ associazione ortodossa a Biserta giuridicamente inesistente. Bisogna riconoscere che le autorità tunisine attuali hanno mostrato tolleranza e hanno testimoniato un islam laico [scritto prima delle elezioni del novembre 2011], e per il momento, non hanno alcuna pretesa nei confronti della comunità ortodossa. Non hanno posto alcun ostacolo in relazione alla vita spirituale della comunità e promettono di registrare nuovamente la vecchia associazione, ma in una forma laica, sotto il nome di "associazione culturale russo-slava". La nazionalizzazione dei due terreni dà una sensazione di insicurezza per il futuro, se ci saranno cambiamenti nel paese nei confronti delle religioni straniere. Non si deve perdere di vista la possibilità che i vicini di queste chiese situate in quartieri prestigiosi potrebbero volerle acquisire (70).

Allegato II

Lettera senza data (71)

I russi hanno rischiato di perdere la loro chiesa a Tunisi, ma tutto si è risolto grazie all'intervento del governo russo. Ecco i motivi.

In una lettera della signora Shirinskij al presidente Ben Ali, si parlava della mancanza di proprietà della chiesa a Tunisi, per risolvere questo problema: "L'Associazione cultuale degli ortodossi russi in Tunisia" ridotta a pochi membri anziani, non ha potuto farsi registrare ai sensi della legge del 1988 o tanto meno reagire allo scioglimento di tutte le associazioni religiose nel 1992. Così, il 1 ottobre 1994, il Ministro degli Affari Esteri della Repubblica tunisina ha avvisato l'Ambasciata della Federazione Russa che il terreno situato in 12, Avenue Mohamed V a Tunisi era divenuto proprietà del governo tunisino (demanio privato). Per ironia della sorte, questa decisione è stata applicata allo stesso tempo in cui la vita della comunità russa in Tunisia ha ritrovato tutta la sua pienezza. Dal giugno del 1992, un sacerdote, Padre Dimitri Netsvetaev, è stato inviato dal Patriarcato di Mosca. Da allora serve le due parrocchie che contano 2.500 persone: coniugi di matrimoni misti, il personale delle ambasciate, rappresentanti di varie organizzazioni e aziende private... La comunità russa ha accolto alla fine del novembre 1997 monsignor Kirill, capo del dipartimento delle relazioni esterne del Patriarcato di Mosca a cui la nostra diocesi è collegata. Lui conosce il nostro grande problema: la Chiesa ortodossa [russa] a Tunisi è l'unica tra le chiese cristiane di non essere il proprietario del proprio luogo di culto".

APPENDICE

Una testimonianza filmata della vita di Anastasia Alexandrovna Shirinskaja

Bibliografia

(Parte I e II)

Alexandropoulos, J. e P. Cabanel (a cura di), La Tunisie mosaïque : diasporas, cosmopolitisme, archéologies de l'identité, [atti di un congresso], Tolosa, 2000, due voci: El Ghoul, F., "La communauté grecque de Tunisie entre les deux guerres (1920-1930", pag. 129-141, e Mathlouthi, S., "Les Russes en Tunisie (1920-1925)", pag. 143-151.

Darmon, D., La situation des cultes en Tunisie, Parigi, 1930, p. 123-128.

Kazdaghli, H., "La communauté russe de Tunisie (1920-1956)", Rawafid 3, 1997, p. 25-62.

Kazdaghli, H., "Communautés méditerranéennes de Tunisie : Les Grecs de Tunisie, du Millet-i-rum à l’assimilation française (XVIIe-XXe siècles)", Revue des mondes musulmans et de la Méditerrannée, 95-96/97-98 , 2002, p. 449-475.

Kazdaghli, H., "Les Grecs de Sfax à l’heure des choix », Sud-Nord. Cultures coloniales en France (XIXe-XXe siècles), a c. di C. Zytnicki e C. Bordes, Tolosa, 2004, p. 33-44.

Kazdaghli, H., "Les communautés dans l’histoire de la Tunisie moderne et contemporaine", in Les communautés méditerranéennes de Tunisie, Tunisi, 2006.

Kazdaghli, H., "Les frontières de l’identité : la triple appartenance des Grecs de Tunisie XVIIe-XXe siècles) ", Arméniens et Grecs en diaspora, a c. di M. Bruneau et al, Atene, 2007.

Kindynis, L., Djerba, l’île enchantée de mon enfance, MC edizioni Tunisia, 2009.

Poulos, K., "Les Hellènes", in Histoire de la ville de Tunis (R. Dessat ed.), Algeri, 1924.

Bibliografia (parte III)

Per raccontare la storia della Chiesa russa in Tunisia, mi sono basata su un breve testo fotocopiato, scritto nel 2003 da Padre Dimitri Netsvetaev, che lui mi ha dato a Tunisi nel gennaio 2010, e quindi difficile da consultare. A questo aggiungo alcuni commenti provenienti da altre fonti, principalmente quelle della signora Shirinskij, la testimone principale di questa storia, che ha scritto un libro e ha raccontato la storia in un DVD (Anastasia).

Alla fine di ottobre 2011, quando terminavo il mio articolo, padre Netsvetaev mi ha detto al telefono che M. Shkarovskij preparava un libro (42 pagine, 92 note), a questo proposito, Le comunità ecclesiali russe in Tunisia (in russo, pubblicata nel 2012 a San Pietroburgo) di cui ho avuto una copia (non definitiva) via e-mail e che ho pure consultato con l'aiuto di Antoine Nivière.

Audibert, D., "Anastasia de Bizerte, l’orpheline de la Grande Russie", Le Point, n. 1299, 9 agosto 1997.

Delannoy, p., "Les Russes des sables" Géo, n. 298, Dicembre 2003.

Manstein-Shirinskij, A., La dernière escale. Le siècle d’une exilée russe à Bizerte, Tunisi, 2000 (disponibile presso la librairie San Serge, 93 rue de Crimée, Paris 19e).

Rosse, N. Aux sources de l’émigration russe blanche. Gallipoli, Lemnos, Bizerte (1920-1921), Parigi, 2011.

Shkarovskij, M., Le comunità ecclesiali russe in Tunisia (in russo, pubblicato nel 2012 a San Pietroburgo).

Film: Anastasia, L’épopée de l’escadre russe et d’une femme russe en Tunisie, film di Victor Lisakovich, Eleguia 2008 (in russo con sottotitoli in francese).

Per la chiesa di sant’Aleksandr Nevskij a Biserta si veda anche http://fr.wikipedia.org/wiki/Église_Saint-Alexandre-Nevski_de_Bizerte; quest'articolo è in parte il risultato di un articolo in russo.

Tra gli articoli on-line (in russo), qui ci sono tre indirizzi (dati da A. Nivière) di pagine Internet abbastanza ben documentate.

http://www.spbda.ru/news/a-666.html

http://world.lib.ru/s/sologubowskij_n/blazhennyizgnannyeprawdyradi.shtml

http://simvol-veri.ru/xp/afrikanskie-forti-poslednyaya

NOTE

(1) Pubblicato dalla Società fraterna di mutuo soccorso delle persone dei servizi di sicurezza, Tunisi 1952, pag. 108, documento trovato grazie alla bibliotecaria della Biblioteca cattolica diocesana di Tunisi, sorella Monique Tricard, che ringrazio perché mi ha aiutato a trovare diversi articoli qui elencati.

(2) Sovrano vassallo del sultano. In Tunisia, si può parlare di "reggenza" con la dinastia dei bey dal 1613.

(3) Vedere pagine 123-128.

(4) Secondo Kazdaghli, non fu che nel 1878 che a un consolato greco fu permesso di aprire le sue porte a Tunisi, ma dall'indipendenza della Grecia nel 1830, i greci in Tunisia non erano più considerati come membri del millet (quadro di governo delle comunità non musulmane). Nel 1827 vi fu l'ultima nomina di un dignitario dei greci da parte del bey di Tunisi.

(5) Vedere pagine 133 e 134.

(6) "I russi in Tunisia (1920-1925)", pag. 145, 146, 147, 150.

(7) V. Wikipedia e il sito del Patriarcato Greco-Ortodosso di Alessandria, http://www.patriarchateofalexandria.com. Nel 2010 in Africa sotto il Patriarcato greco-ortodosso di Alessandria c’erano 23 arcivescovi, 5 vescovi e 2 vescovi ausiliari.

(8) Entrambi sono morti in un incidente di elicottero con il patriarca Petros / Pietro VII di Alessandria in Grecia nel 2004.

(9) Quando il metropolita Alessio ha celebrato l'Epifania, nel gennaio 2010, vi hanno partecipato un centinaio di ortodossi di diverse giurisdizioni.

(10) Il metropolita Alessio ha visitato per la prima volta la Mauritania nel 2007. La seconda volta, nel novembre 2009, vi ha celebrato la liturgia. Nel 2010, ha cercato di costruire una cappella nella capitale, ma le autorità locali non l’hanno permesso.

(11) La Metropolia di Tripoli è stata istituita per la prima volta con un decreto sinodale e patriarcale nel 1866. Nel 1959, è stata unificata con la Metropolia di Cartagine. Poi è stata riorganizzata con decreto sinodale e patriarcale nel 2004. Il suo territorio comprende la Libia e, nell'Egitto occidentale, Marsa Matrouh (chiesa di San Nicola), cfr. Wikipedia.

(12) Reliquie dal Monte Athos, come pure oggetti liturgici del valore di oltre € 100.000, sono stati rubati. I ladri hanno poi contattato i responsabili parrocchiali rivendicando una somma di denaro per restituire gli oggetti, cfr. Orthodoxie.com, 29 agosto 2011. Il regime di Gheddafi aveva riconosciuto cinque chiese: cattolici, protestanti, anglicani, greco-ortodossi, copti ortodossi. I cristiani rappresentano una comunità di 200.000 persone prima della guerra del 2011 in Libia, per lo più ortodossi, soprattutto egiziani, ma anche molti cattolici (circa 70.000), http://www.la-croix.com/Actualite/S-informer/Monde/La-plupart-des-chretiens-ont-fui-la-Libye-_NP_-2011-09-07-708409

(13) A Rue de la Verrerie; fu abbandonata nel 1901 al momento dell’edificazione dell’attuale chiesa di san Giorgio. cf. Kazdaghli, art. « communautés », pag. 452 ; Dessat, Histoire de la ville de Tunis, pag. 153.

(14) Djerba, l’île enchantée de mon enfance, MC éditions Tunisie, 2009.

(15) Vedere pag. 16 e 17. In Tunisia, c’erano anche pescatori di spugne greci da Hydra, vedi pag. 62 e pag. 17.

(16) I banchi di spugne erano numerosi in Tunisia, dove la Francia gestiva il paese dall'inizio del protettorato nel 1881, una garanzia per gli operatori stranieri.

(17) Vedere pag. 49, 67, 72, 73. Infatti, altre famiglie vi trascorrevano qualche anno e poi andavano via, di solito nella città di Sfax.

(18) Vedere pag. 72, 73, 111. Nel novembre del 1942, le truppe tedesche arrivarono in Tunisia. A partire dal gennaio del 1943 le truppe anglo-americane e l'esercito francese combatterono i tedeschi nel nord. I tedeschi e gli italiani si arresero il 13 maggio 1943.

(19) Vedere pag. 18, 19, 24.

(20) Vedere pag, 19, 21.

(21) Kazdaghli, articolo «Frontières», pag. 333.

(22) Dessat, Histoire de la ville de Tunis, pag. 155, 156. L’articolo non fornisce la data della presidenza del sig. Couitéas.

(23) Kazdaghli, art. «Frontières», pag. 335 ; art. «communautés», pag. 469, 473.

(24) Kazdaghli, art. «Frontières», pag. 344 ; e art. «communautés» pag. 466.

(25) Per i francesi, Wrangel non era più un capo di governo, ma il principale responsabile di un’orda di rifugiati. Secondo Ross, le trentatré navi da guerra con i marinai e gli ufficiali di marina e le loro famiglie furono autorizzate a navigare verso Biserta, importante porto militare in cui gli accordi tra la Francia e l'impero russo avevano previsto di concedere una base navale ai russi dopo la vittoria contro gli Imperi Centrali, cfr. Ross, N. Aux sources de l’immigration, pag. 50, 61. Vedi anche nel suo libro i dettagli di questa emigrazione.

(26) Entrambe le cifre sono date dalla signora Shirinskij. Cfr. Shkarovskij: 34 navi della Flotta del Mar Nero venute dalla Crimea via Costantinopoli, più una nave della flotta del Baltico, venuta da Revel (Tallinn), arrivarono tra il dicembre del 1920 e il febbraio del 1921 a Biserta, con 6000 marinai (e le loro famiglie) a bordo, tra cui 700 ufficiali. Ross parla di 5849 persone, pag. 50, 64.

Anastasia Manstein Shirinskij, nata nel 1912 in Ucraina, era figlia di un ufficiale della marina russa. In Tunisia, divenne professore di matematica a Biserta. Speravo di incontrarla per dettagli specifici sulla storia della Chiesa russa in Tunisia. Ma è morta il 21 dicembre 2009, pochi giorni prima che arrivassi in Tunisia.

(27) Secondo Rawafid, (pag. 32), a causa del gran numero di profughi, a partire dalla fine di gennaio del 1920, 155 russi furono inviati a Monastir, Tabarka e Sfax. Prima dell'arrivo dei profughi russi, un primo censimento nel 1906 in Tunisia contava 70 russi, cfr. Rawafid pag. 25. Secondo la signora Shirinskij, c'erano anche russi che erano venuti individualmente in Tunisia dopo la rivoluzione russa. Per esempio, una dozzina di profughi russi arrivarono ancora nel 1928.

(28) Ross, pag. 64.

(29) Vedere una foto nel suo libro, pag. 174.

(30) Secondo Ross, pag. 66, era stato nominato cappellano della flotta del Mar Nero nel 1917; sotto la sua guida la vita religiosa fu organizzata con successo a Biserta. Nel 1923 si trasferì a Parigi e officiò a Rue Daru. È sepolto a Sainte-Geneviève-des-Bois.

(31) A Biserta, si aprì una chiesa a Fort Jebel Kebir dove si era installata la scuola dei cadetti di marina, i cui studenti erano arrivati con la flotta russa; il primo rettore questa chiesa dedicata a san Paolo il Confessore era il padre Georgij Spasskij, cappellano principale della flotta del Mar Nero, fino alla sua partenza nel 1923 per la Francia, dove fu nominato terzo sacerdote a rue Daru.

Un altro sacerdote, padre Nicholas Bogomolov, cappellano della/sulla nave San Giorgio, insegnava catechismo alla scuola dei cadetti. Anch’egli andò in Francia nel 1924. Gli altri sacerdoti noti arrivati con la flotta sono: padre Nicholas Venetskij, partito per la Francia nel 1922, padre Vladimir Torskij, morto al suo arrivo a Parigi nello stesso anno, padre Nicolas Bogomolov che poi lasciò la Francia per la Bulgaria, e padre Konstantin Gladskij (nessuna informazione su di lui). Secondo A. Nivière, i marinai furono installati nei campi a Biserta: Saint-Jean (con padre Poletaev) Ain Drahma (con padre Nicholas Venetskij).

(32) Di fatto, all’inizio degli anni ‘30, le navi dell’ex-flotta furono demolite o vendute.

(33) Una tabella del censimento in Rawafid p. 46, elenca i diversi luoghi in cui risiedevano i russi e il numero di residenti, tra cui 314 a Tunisi e 92 a Biserta.

(34) Pag. 174.

(35) Shirinskij p.174. Ciò è confermato da la Dépêche tunisienne del 3 settembre 1921, a Tunisi: il 2 settembre 1921, ha avuto luogo una riunione presieduta da Padre Georgij Spasskij per organizzare una chiesa russa.

(36) Cappellano militare durante la grande guerra e la guerra civile, arrivato a Biserta con la flotta russa nel 1920, fondò la parrocchia della Risurrezione a Tunisi cf. A.Nivière, p. 326-327. Padre Mikhalovskij è il nonno della signora Georges Bortoli di Parigi. Il figlio di padre Mikhalovsky, Konstantin Konstantinovič Mikhalovskij, fu il guardiano della parrocchia di Tunisi negli anni ’50 e ‘60.

(37) Cfr. Shirinskij, pag. 219. Secondo Rawafid p. 55 a Tunisi, i russi affittarono dal 1922 fino al 1956 un "locale" per la parrocchia al n. 60 di rue des Selliers, dedicato alla risurrezione di Cristo.

(38) Si noti che l’iconostasi del battello Kronstadt fu trasportata nella cappella russa a Ugine (Francia) dai russi della Tunisia che vi andarono a lavorare. Cfr. Bruno Giraudy, Les Russes d’Ugine, 2004.

(39) Mons. Ioann Maksimovich di Shanghai fu arcivescovo di Bruxelles, a capo della diocesi dell’Europa occidentale negli anni 1951-1963; tra il 1951 e il 1960 visse a Versailles, e tra il 1960 e il 1963 a Bruxelles, in A. Nivière, I membri del clero, teologi e responsabili laici della Chiesa ortodossa dell'emigrazione russa in Europa occidentale e centrale (1920-1995), (in russo), Mosca, Edizioni Russkij Put', 2007, pag. 229.

(40) Arrivato con i suoi genitori con la flotta russa a Biserta, nel 1920, suo padre era cappellano di una delle navi della squadriglia, all’inizio servì come secondo sacerdote a Biserta, poi come rettore della parrocchia di Sant'Andrea in Algeri (Indirizzo: 39 Bd du Telemly) nell'ambito della giurisdizione del metropolita Evlogij, dal 1929 alla sua morte nel 1945.

(41) Quest'ordine cronologico per Tunisi e Biserta è stato stabilito con l'aiuto di Antoine Nivière sulla base del suo libro prosopografico, I membri del clero, teologi e responsabili laici della Chiesa ortodossa dell'emigrazione russa in Europa occidentale e centrale (1920-1995), (in russo), Mosca, Edizioni Russkij Put', 2007.

(42) I membri del clero, teologi e responsabili laici della Chiesa ortodossa dell'emigrazione russa in Europa occidentale e centrale (1920-1995), a c. di. A. Nivière, p. 88. Soixante-dix ans d’émigration russe, a c. di N. Struve, Paris, 1996, pag. 189. Cfr. anche Rawafid pag. 60.

(43) Cfr. A. Nivière pag. 302 ; Rawafid pag. 61.

(44) Il cimitero chiamato "cristiano" o "europeo" in cui si trovano le tombe dei russi è situato su una collina vicina.

(45) Rawafid pag. 50, nota 94; pag. 55.

(46) Dal novembre 1942 al marzo 1943, i tedeschi e gli italiani erano in Tunisia. Biserta fu bombardata dai tedeschi nel 1940 e nel 1942 dagli americani.

(47) Cfr. Shirinskij, pag. 271: "I padri greci Giorgio e Nicola ci avevano sempre aiutato, ma hanno dovuto andarsene anche loro". Cfr. anche Shirinskij, pag. 273: "La vita della parrocchia si è ripresa un po' a Biserta quando, il 1 Aprile 1990, un vescovo greco venuto da Alessandria, mons. Teofane, ha celebrato la prima liturgia ortodossa dopo quasi 30 anni".

Commento al testo citato (2003) di Mosca: eppure, fu allora che il numero dei parrocchiani in entrambe le chiese russe iniziò ad aumentare con donne venute dall'URSS il cui mariti tunisini avevano studiato presso le università dei paesi sovietici, e poi erano venute a stabilirsi in Tunisia. Molte divennero membri delle due associazioni.

Notiamo che, alla fine degli anni’70 e all'inizio degli anni ‘80, grazie alla collaborazione tunisino-sovietica, anche famiglie russe arrivarono in Tunisia. Più tardi, la presenza russa fu intensificata anche dopo la perestrojka.

(48) Si veda la foto degli ultimi parrocchiani di Biserta nel 1965. Shirinskij, pag. 252.

(49) La Presse Tunisie del 30 gennaio 2004 ha parlato di questa chiusura prolungata per 30 anni.

(50) Shirinskij, pag. 253.

(51) Shirinskij, pag. 253.

(52) Shirinskij, pag. 271.

(53) Shirinskij, pag. 271 e 272.

(54) Pag. 272.

(55) Secondo il testo di Mosca citato in bibliografia (2003): Nella sua lettera del febbraio 1989, il vescovo Antonio, allora arcivescovo dell’Europa occidentale per la Chiesa russa all’estero, avrebbe sostenuto l'intenzione presa a quel tempo dalla signora Shirinskij, di prendersi la responsabilità di salvare le chiese in cattive condizioni come monumenti storici, sperando di ricevere finanziamenti per il loro restauro. Ma gli appelli della signora Shirinskij alle autorità locali sono rimasti senza risposta.

(56) Il Metropolita Lavr (Shkurla) (m. 2008) risiedeva a Jordanville (Stati Uniti). Consacrato vescovo di Manhattan nel 1967, fu eletto igumeno del monastero della Santa Trinità a Jordanville nel 1976, arcivescovo nel 1981 e capo della Chiesa ortodossa russa all'estero dal 2001. Vedere i vecchi annuari di Orthodoxia a Regensburg (Germania) e Wikipedia.

(57) Questa era l'unica possibilità per salvare le chiese russe che erano ambite dalle autorità tunisine con il pretesto che non erano utilizzate.

(58) http://orthodox-rabat.ru/about/ ; http://www.lematin.ma/Actualite/Express/Article.asp?id=129557. In Marocco, vi è un consiglio di cinque chiese riconosciute nel paese (cattolica, greco-ortodossa, russo-ortodossa, anglicana e protestante). Ricordiamo che i sacerdoti ortodossi non greci in Africa dipendono dalla metropolia greca locale e quindi il patriarcato greco-ortodosso di Alessandria è responsabile di tutte le comunità ortodosse in Africa.

(59) Shirinskij, pag. 274: Nel 2000, la vita era dunque ripresa attorno alle due chiese, quella di Tunisi era stata restaurata e quella di Biserta lo sarebbe stata presto. Sono state fatte anche donazioni da parte d rifugiati palestinesi ortodossi in Tunisia. Di fatto, dopo l'invasione israeliana del Libano nel giugno 1982, la Tunisia ha ospitato una parte della dirigenza della Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP). Arafat vi ha posto la sede e vi ha vissuto dal 1982 al 1994 con la moglie. Durante il loro soggiorno in Tunisia, la moglie del presidente Yasser Arafat ha visitato le due chiese russe.

(60) Rawafid pag. 62. Munita di questo passaporto, la signora Shirinskij fece due viaggi in Russia dopo la perestrojka, il primo nel 1990 e il secondo nel 1997.

(61) www.orthodoxie.com, 5 aprile 2012.

(62) www.egliserusse.eu/blogdiscussion/Un-salafiste-menace-les-religieuses-de-l-Eglise-Orthodoxe-russe-de-Tunis_a2337.html, 4 aprile 2012.

(63) www.businessnews.com.tn/Tunisie-%C3%82%E2%80%93-L%C3%83%C2%A9cole-russe-et-le-cimeti%C3%83%C2%A8re-chr%C3%83%C2%A9tien-de-Montplaisir-attaqu%C3%83%C2%A9s,520,30347,3.

(64) http://it.wikipedia.org/wiki/Jizya

(65) www.orthodoxie.com, 7 aprile 2012.

(66) APIC, 17 aprile 2012.

(67) Si noti che con la rivoluzione tunisina (1956), 80 chiese cattoliche sono state requisite dal governo tunisino.

(68) Secondo il testo pubblicato a Mosca dalla Chiesa russa e menzionato sopra (2003), restano da risolvere i problemi per i diritti di proprietà delle due chiese. Nel 2011, il problema è stato risolto per la chiesa di Biserta ma non ancora per quella di Tunisi.

(69) A Tunisi ho letto copia della lettera del 1 ottobre 1994: il Ministero tunisino degli Affari Esteri ha inviato una lettera all'Ambasciata della Federazione Russa dicendo che l’associazione russa di rue Mohamed V non aveva rinnovato il suo statuto ed era stata sciolta e il terreno era divenuto proprietà dello Stato tunisino.

(70) A Tunisi, la chiesa si trova nella zona bancaria e di alto commercio e a Biserta nella zona del porto franco.

(71) Ho avuto una copia di questa lettera, non datata ma probabilmente inviata dopo il novembre 1997, che mi ha dato il padre Dimitri nel gennaio 2010 a Tunisi.

 
Incontro con il “prete punk” di Mosca: l’igumeno Sergej Rybko

Un martedì sera, una sala di registrazione scura alla periferia di Mosca ospita il suo "Rock Festival" settimanale. Davvero non è niente di più di una notte open-mic (a microfono aperto) perché le bande hard rock locali mostrino il loro talento, una cosa che alcuni gruppi potrebbero sfruttare un po’ di più come addestramento.

Adolescenti e poco più che ventenni girano per la sala, una manciata di persone sta di fronte al palco, il resto è sparso in tutta la stanza dal soffitto basso, seduti ai tavoli o in piedi in gruppi. Jeans di pelle e cinture borchiate sono di rigore.

Alle 8:30, la porta della sala si apre ed entra un uomo che sembra decisamente fuori contesto. Calvo e barbuto, cammina con l'andatura di un uomo di grande taglia e con la fiducia di chi ha familiarità con l'ambiente attorno a lui.

Una rapida occhiata identifica immediatamente l’uomo con una tonaca nera e una larga croce dorata al collo come un prete ortodosso russo.

Padre Sergei Rybko si fa strada attraverso il centro della stanza e si fionda su una sedia a sei metri alla destra del palco. Per uno che è così chiaramente fuori dal suo elemento, non ottiene molti sguardi da hipsters e headbangers. Lo hanno visto qui prima d'ora.

Appena la banda alternativa degli OffiGella ha finito il suo pezzo, il quarantanovenne padre Rybko si alza e si dirige verso il palco. Aspetta dietro le quinte mentre il suo assistente dai capelli lunghi, Jurij, lo presenta come ex hippy e partecipante regolare ai rock festival. Il pubblico di 30 ragazzi di fronte al palco applaude Rybko quando prende il microfono e fa il segno della pace.

Fa un intervento breve, ben consapevole che la folla non sopporterebbe un lungo discorso religioso. Questa notte sono qui insieme, perché in un certo senso, dice loro, sono un club di cuori solitari, come la "Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band". Qui, insieme, i loro cuori sono uniti, ma, in seguito, saranno soli.

"Non è necessario stare soli", dice. "Se vi rivolgete a Dio, non sarete mai soli."

Un altro segno di pace, un leggero inchino, e la folla esulta mentre Rybko esce di scena. Arriva una band heavy metal, con un "cantante" dal ruggito che potrebbe frantumare le finestre.

Un giovane va un dritto verso Rybko mentre viene giù dal palco. "Volevo dirgli un grande grazie per essere venuto e per il suo sostegno", dice in seguito il giovane. "Avevo alcune domande e non sapevo con chi parlarne, così ho chiesto a lui e mi ha spiegato tutto."

Rybko si trattiene per qualche istante, guardando una forma di mosh pit prima di fare la sua uscita. Esce prima che Gella, la prima cantante degli "OffiGella", abbia la possibilità di parlare con lui. Una bella ragazza dai capelli rossi, è incinta e i suoi compagni l’hanno invitata a chiedergli se va bene continuare a cantare a questi spettacoli.

La sua missione è un impegno della chiesa, richiesto dal patriarca (a capo della Chiesa ortodossa), per raggiungere i giovani della sottocultura rock.

Nonostante l’incarico dall'alto, tuttavia, Rybko è realistico sulla misura di successo che può avere. "Almeno non mi hanno tirato nulla addosso", dice quando gli chiediamo un’auto-valutazione della serata. "Il mio lavoro è quello di seminare, sta a Dio coltivare."

"Se quello che dico cambia qualcuno, se lo rende più puro, più vicino a Dio, allora la serata è un successo," dice.

Non è un caso che il patriarca lo abbia scelto per questo lavoro. Rybko ha del credito con questo gruppo perché sanno che prima di girare con una tonaca, si era ribellato contro il comunismo sovietico negli anni ’70, avviando una band e guidando un piccolo gruppo di anarchici prima di diventare un hippy vagabondo. "Sono stato un rocker e lo sarò sempre", dice. "Per il giovane medio dietro la cortina di ferro, il rock rappresentava l'unica verità che si poteva ascoltare."

Il suo primo lavoro nella chiesa è stato a 19 anni come campanaro, quando mescolava i rintocchi tradizionali con le canzoni dei Pink Floyd e dei Led Zeppelin. Alle vecchie signore nella congregazione piaceva molto, dice. Il lavoro in chiesa gli era confacente e, a 28 anni, è stato ordinato sacerdote.

Due giorni dopo l'apparizione presso la sala, Rybko sta di fronte a un pubblico completamente diverso alla funzione mattutina nella chiesa di san Sergio di Radonezh nei sobborghi di Mosca.

È una casa piena, la congregazione è più anziana, per lo più donne con sciarpe che coprono il capo. Seguono Rybko nella preghiera e ricevono la comunione prima che la funzione culmini con la tradizionale processione dell'icona intorno alla chiesa.

"Queste persone hanno già scoperto Cristo, e il mondo ortodosso è l'essenza della loro vita", dice accanto alle porte della chiesa. "Nei club, parlo con persone che sono molto lontane da Dio, da Cristo, dalla religione ortodossa.

"Se apro la Bibbia [nei club] e inizio a parlare come un prete, scappano tutti. Quindi devo usare la loro lingua, ma fare in modo che capiscano che sta parlando a loro un prete, e che il cristianesimo risolverà i loro problemi", aggiunge.

Quando i fedeli se ne vanno, si dirige verso la parte posteriore della chiesa in un piccolo edificio dove ha creato quello che lui chiama il suo rock club.

È proprio il tipo di stanza piccola e buia con un odore strano che un ribelle di 16 anni avrebbe creato nel garage dei suoi genitori. Ci sono intorno strumenti e amplificatori, lampeggiano luci multicolori flash e sui muri ci sono graffiti fatti con vernice spray.

Ma, poi, ti accorgi che c’è arte religiosa e una grande croce sul soffitto.

“È molto insolito", spiega Dmitrij Rock (è il suo nome d'arte), il chitarrista con capelli lunghi e due piercing al labbro inferiore. "Quando sono arrivato qui, non potevo credere che un prete avesse sistemato il locale. Poi ci siamo abituati."

I musicisti sono liberi di venire qui e provare; meglio passare il tempo qui che sulla strada, dice Rybko.

Il rock non è religioso e l'obiettivo palese di Rybko non è quello di trasformare le persone in fedeli assidui della chiesa. Ma così come ha fatto Rybko quando era più giovane, ora hanno iniziato a dare una mano in chiesa.

Nonostante il suo vivace passato, Rybko ammette che, in questi giorni, si sente più a suo agio a predicare in chiesa che a passare tempo ai concerti e nei club.

"Trent'anni fa [quella] sarebbe stata la mia casa", dice.

"[Ora] mi sento più a casa in chiesa, che è più vicina a me. Ma è mio dovere andare [nei club]. Se non lo faccio io, chi lo farà?"

VIDEO (ABC News)

 
La guerra e i santi militari

A prima vista può sembrare strano che ci siano santi militari, soldati che sono divenuti santi martiri. Ma possiamo pensare a molti esempi da molti paesi: san Sabba il Comandante (+ 272), san Giorgio (+ 303), san Demetrio (+ 304), sant'Albano (+ 305), san Teodoro la Recluta (+ 306), san Teodoro il Comandante (+ 319), Sant'Alfredo il Grande (+ 899), Sant'Alessandro Nevskij (+ 1263) e più recentemente l'ammiraglio san Teodoro Ushakov (+ 1817).

È vero, in paradiso non ci saranno eserciti, perché non ci sarà alcuna guerra, proprio come in paradiso non ci saranno poliziotti e prigioni perché non ci sarà alcun crimine. Ma noi viviamo nel mondo reale così com'è, e chiunque, da qualsiasi provenienza, può diventare un santo. Infatti, nei Vangeli non c'è condanna dei soldati che vi appaiono: uno di loro, il centurione, è elogiato, e un altro, Longino, che stava ai piedi della croce e ha confessato che Cristo è davvero il Figlio di Dio , è divenuto un santo.

Eppure nel libro dell'Esodo il sesto comandamento afferma: "Non uccidere". Tuttavia, dallo stesso capitolo e dai seguenti capitoli, è chiaro che questo significa che non dobbiamo uccidere per odio o per qualche altra ragione malvagia, per esempio, perché vogliamo ottenere il denaro o la proprietà di qualcun altro, o per amore della gloria. Ma questo significa che potremmo uccidere qualcuno per un'altra ragione? Per esempio, se vedessimo che una persona per strada sta cercando di uccidere altre persone per ottenere i loro soldi, questo significa che dovremmo difendere quella persona?

Supponiamo di essere un poliziotto armato e di aver visto un terrorista con una pistola o una bomba mentre minaccia di uccidere molte persone, tra cui anziani, donne e bambini, e lui non poteva vederci e che avessimo la possibilità di fermarlo uccidendolo: sarebbe proibito? Certo che no, sarebbe irresponsabile da parte nostra non agire in difesa degli altri. In tali situazioni in cui siamo in grado di difendere gli altri, non difenderli sarebbe semplicemente codardia da parte nostra.

Il fatto è che in questo mondo ci troviamo spesso di fronte a delle scelte e la scelta che dobbiamo fare è ciò che chiamiamo "il male minore". Tuttavia, qui dobbiamo stare molto attenti: una scelta letale si applica solo nel caso di difendere gli altri. Quindi in ogni paese le forze armate sono controllate da qualcosa chiamato "Ministero della Difesa". Ma le forze armate difendono davvero? Purtroppo, spesso sembrano fare il contrario e attaccare, per offendere.

È lo stesso con noi. Se siamo aggressivi e attacchiamo gli altri, anche uccidendoli, è sbagliato. Infatti, ai sacerdoti e ai monaci è vietato prendere armi perfino per difendersi. Ma se stiamo difendendo coloro che sono più deboli di noi stessi, ciò può essere giustificato. Qui non c'è odio per un individuo, solo il desiderio responsabile di proteggere gli altri. Qui non c'è egoismo, non stiamo difendendo noi stessi o la nostra proprietà o i nostri soldi o dimostrando la nostra forza, stiamo proteggendo gli altri, forse persone che non conosciamo nemmeno.

Sì, come cristiani siamo chiamati ad amare i nostri nemici, ma questo significa non provare odio personale per loro. Perché? Perché sono vittime delle loro cattive passioni, vittime del male. Quindi amare i nostri nemici non significa che non dobbiamo difendere gli altri. La guerra in difesa dei deboli è un male minore rispetto a declinare la guerra e arrendersi al potere dei terroristi barbari. Un soldato per noi non è un assassino soddisfatto di sé, ma un nobile eroe che si sacrifica difendendo i deboli.

(Pubblicato per la prima volta nella rivista per ragazzi della parrocchia ortodossa di Colchester, Searchlight, numero 5, giugno 2018)

 
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Intervista a padre Pimen Simon sulla missione dei vecchi credenti

Nella sezione “Figure dell’Ortodossia contemporanea” dei documenti, presentiamo l’intervista all’arciprete Pimen Simon fatta dal diacono Andrej Psarjov per il sito Rocor Studies. Padre Pimen è il rettore della Chiesa della Natività a Erie, in Pennsylvania, l’unica parrocchia di vecchio rito rientrata in comunione con la Chiesa russa al di fuori dei confini storici dell’impero russo. L’intervista delinea la storia di questa comunità, in precedenza appartenente ai vecchi credenti asacerdotali (Pomortsy) nel suo duplice passaggio di integrazione, dapprima con la Chiesa Russa all’Estero e quindi, attraverso il recente processo di riconciliazione, con il Patriarcato di Mosca. Con rara lucidità e buon senso, padre Pimen analizza le problematiche della mentalità di isolamento, il valore dell’esperienza del vecchio rito, l’esigenza della missione ortodossa e l’interessante figura del vescovo Daniel di Erie, in una panoramica che ha molto da insegnare a tutti gli ortodossi che vivono nei paesi occidentali.

 
Perché i greci tingono le uova rosse per la Pasqua?

Per i cristiani ortodossi, una delle più antiche tradizioni pasquali sono le uova dipinte, che sono associate con la crocifissione e la risurrezione di Gesù. Le uova simboleggiano la tomba vuota, la roccia da cui Gesù ritornò alla dopo la sua crocifissione, e sono utilizzate come mezzo universale di saluto e di presentazione per i credenti cristiani, ma anche preannunciando l'esperienza di vita eterna che attende i veri credenti dopo la morte.

La scelta del colore rosso - il colore della vita e della vittoria - ha una lunga storia e risale all'antica Mesopotamia, dove i primi cristiani tingevano le uova di rosso in ricordo del sangue di Gesù, crocifisso per la salvezza di tutta l'umanità.

La ragione per cui la Chiesa greco-ortodossa ha adottato l'usanza è ancora contestata, e molte fonti indicano ragioni diverse.

La storia più celebre collega all'uso delle uova di Pasqua rosse Maria Maddalena, che essendo la prima ad aver visto la tomba di Gesù vuota dopo la sua risurrezione, era andata dall'imperatore romano per informarlo del miracolo.

L'imperatore, però, non credette a quello che gli era detto e annunciò che avrebbe creduto alle affermazioni di Maria Maddalena solo se le uova in un paniere accanto a lui fossero divenute immediatamente rosse, cosa che avvenne.

Una seconda storia racconta che la Vergine Maria offrì alle guardie del figlio un cesto di uova perché lo trattassero bene. Le uova divennero rosse quando Vergine Maria le bagnò con le sue lacrime.

Secondo una variante della storia, una donna sconosciuta disse che avrebbe creduto alla notizia della risurrezione di Gesù, solo se le uova che teneva nelle sue mani sarebbero diventate rosse. Miracolosamente, le uova cambiarono colore, non appena ebbe formulato il suo dubbio.

La tradizione greco-ortodossa è che le uova siano tinte di rosso il Giovedì Santo in ricordo dell'Ultima Cena, il pasto finale che Gesù condivise con i suoi apostoli a Gerusalemme prima della sua crocifissione.

È credenza comune che le uova di Pasqua colorate possono rimanere commestibili per 40 giorni senza essere refrigerate. Se, tuttavia, un sacerdote benedice le uova la Domenica di Pasqua, si dice che dureranno un anno intero senza andare a male.

 
Sulle confessioni di fede occidentali

Questo articolo, originariamente scritto e stampato in francese, fu tradotto e pubblicato in russo nel 1864, e incluso nell'opera omnia di Chomjakov pubblicata a Mosca nel 1900. Una traduzione inglese abbreviata (su cui si basa questa versione italiana), si trova nell'opera a cura di Padre Alexander Schmemann, Ultimate Questions: An Anthology of Modern Russian Religious Thought (Crestwood, NY 1977), pubblicata dalla St. Vladimir's Seminary Press.

Nella foto: Aleksei Stepanovic Chomjakov

Ogni cristiano, quando si trova di fronte a un attacco alla fede che professa, è obbligato a difenderla al meglio della propria abilità intellettuale, senza attendere alcuna autorizzazione ufficiale, poiché la Chiesa non ha avvocati ufficiali. Alla luce di questa osservazione metto mano alla penna per rispondere a certe accuse ingiuste mosse alla Chiesa Ecumenica e Ortodossa, scrivendo in un linguaggio diverso dal mio, a beneficio dei lettori stranieri.

In un articolo pubblicato ne La Revue des Deux Mondes, e apparentemente scritto dal diplomatico russo Tjucev, era stata fatta menzione della supremazia di Roma, e in particolare della confusione di interessi spirituali e mondani nella figura di un vescovo-sovrano, quale ragione principale del ritardo della soluzione religiosa in Occidente. Nel 1852 vi fu una risposta a questo articolo per mano del Sig. Laurency, ed è questa risposta che invoca una confutazione.

Lascio da parte la questione se il Sig. Tjucev sia riuscito a esprimere il proprio pensiero in tutta la sua ampiezza (i meriti del suo articolo, incidentalmente, non sono messi in dubbio neppure dal suo avversario), e se egli non abbia fino a un certo punto confuso le ragioni della malattia con i suoi sintomi esterni.

Non incomincerò difendendo il mio conterraneo, né criticandolo. Il mio solo scopo è di difendere la Chiesa dalle strane accuse mossele dal Sig. Laurency, e pertanto non andrò oltre i limiti della questione religiosa. Desidererei anche evitare delle controaccuse, ma non sono in grado di farlo. I miei viaggi in terre straniere, e conversazioni con persone colte e istruite di tutte le confessioni religiose d'Europa mi hanno convinto che la Russia sia ancora aliena e virtualmente sconosciuta al mondo occidentale; e tanto più misterioso per i cristiani che seguono il vessillo romano o la bandiera della Riforma è il pensiero religioso dei figli della Chiesa. Perciò, per dare ai miei lettori un'opportunità di comprendere la nostra fede e la logica della sua vita interiore, mi sarà necessario mostrare loro, almeno in parte, come noi consideriamo quelle questioni su cui disputano Roma e le diverse confessioni tedesche. Non sono neppure in grado di promettere che eviterò l'inimicizia nell'espressione dei miei pensieri. Ma cercherò di essere giusto e di astenermi dal muovere accuse calunniose o mal fondate. In ogni caso, non sto in alcun modo cercando l'onore di essere conosciuto come uno indifferente a ciò che ritiene falso.

Il Sig. Laurency muove due accuse fondamentali contro la Chiesa. La prima è questa: essa, stando a quanto si suppone, riconosce la supremazia del potere temporale. Su queste basi viene steso un paragone tra la confessione romana e la Chiesa Ortodossa, che naturalmente non risulta a nostro vantaggio. "Il Papa", dice l'autore, "è invero un sovrano temporale, ma non perché è un sommo sacerdote; mentre il capo della vostra Chiesa è un sommo sacerdote perché è un sovrano temporale. Da che parte sta la verità?". Non citerò gli effettivi e piuttosto prolissi termini dell'autore, ma sono sicuro che ne sto offrendo il senso. Dapprima mi si lasci menzionare tra parentesi che l'espressione "sommo sacerdote" (pontifex) è una parola assai particolare che i latinisti sarebbero saggi a smettere di usare. Essa si riferisce fin troppo chiaramente a un'intera famiglia di concetti le cui origini cristiane sono più che dubbie. Anche Tertulliano lo notò, e usò l'espressione "Pontifex Maximus" in senso ironico. Comunque, alla prima accusa del Sig. Laurency replico in poche parole: è una totale menzogna; noi non riconosciamo alcun capo della Chiesa, sia clericale che temporale. Cristo ne è il capo, ed essa non ne conosce altri. Mi affretto ad aggiungere che non accuso il Sig. Laurency di calunnia deliberata. In tutta probabilità è caduto involontariamente in errore, e sono tanto più pronto a crederlo in quanto molte volte degli stranieri hanno commesso in mia presenza lo stesso errore; eppure sembrerebbe necessario solo un minimo di riflessione per rimediarvi.

Capo della Chiesa! Ma permettetemi di chiedere, se non altro in nome del buon senso, capo di quale chiesa in particolare? Può darsi che lo sia della Chiesa Ortodossa, della quale costituiamo solo una parte? In tal caso, l'Imperatore russo sarebbe il capo delle chiese che sono governate dai patriarchi, della chiesa governata dal sinodo greco, e delle chiese ortodosse nelle regioni dell'Austria. Anche l'ignoranza più estrema, naturalmente, non permette tale assurda conclusione. O forse egli è il capo della sola chiesa russa? Ma la chiesa russa non è altro che una delle eparchie della Chiesa Ecumenica. Da ciò sarebbe necessario concludere che quanto viene assegnato all'Imperatore è il titolo di capo della propria eparchia, soggetto alla giurisdizione dei concili generali della Chiesa. Qui non esiste una posizione di mezzo. Chiunque insiste nell'attribuirci un capo della Chiesa nella persona di un sovrano visibile deve fare una scelta tra due assurdità.

Capo temporale della Chiesa! Ma questo capo ha i diritti del sacerdozio? Avanza pretese - non dico ancora nulla dell'infallibilità (sebbene sia precisamente questa che costituisce il marchio distintivo della supremazia nella Chiesa) - verso qualche tipo di autorità in questioni di fede? Ha perlomeno il diritto, per virtù del suo ufficio, di decidere questioni di ordine ecclesiastico generale (disciplina)? Se è impossibile dare risposta affermativa a queste domande, allora ci si può unicamente stupire per la completa assenza di retto giudizio, che può persuadere uno scrittore a lanciare un'accusa tanto infondata contro di noi, e per la completa ignoranza che ha lasciato che tale accusa rimanesse in piedi, senza esporla al ridicolo che merita.

È vero che l'espressione "capo della Chiesa territoriale" è usata nelle leggi dell'impero; ma niente affatto nel senso in cui è usata in altri paesi; e in questo caso la differenza è così essenziale che uno non deve trasformare questa espressione in un'arma contro di noi senza prima cercare di comprenderne il significato. Lo richiedono giustizia e scrupolosità.

Quando, dopo molte afflizioni e difficoltà, il popolo russo elesse in un'assemblea generale Mikhail Romanov come proprio sovrano ereditario (tale è l'alta origine del potere imperiale nella Russia di oggi), il popolo affidò al proprio eletto tutto il potere del quale esso stesso era investito, in tutte le sue forme. Per diritto di questa elezione il sovrano divenne capo del popolo nelle questioni ecclesiastiche così come nelle questioni di governo civile; lo ripeto: divenne capo del popolo nelle questioni ecclesiastiche, e solo in quanto capo della Chiesa territoriale. Il popolo non trasferì, e non era in grado di trasferire, al sovrano un potere che esso non possedeva, e nessuno vorrà suggerire che il popolo russo si considerasse un tempo chiamato a governare la Chiesa. Esso aveva fin dall'inizio, come accade per tutti i popoli che formano la Chiesa Ortodossa, una voce nell'elezione dei propri vescovi, e poteva trasferire questa voce ai propri rappresentanti. Aveva il diritto, o piuttosto l'obbligo, di controllare che le decisioni dei propri pastori e concili venissero portate a pieno compimento: poteva affidare questo diritto al proprio prescelto e ai suoi successori. Aveva il diritto di difendere la propria fede contro ogni attacco ostile o violento: e poteva trasferire anche questo potere al proprio sovrano. Ma il popolo non aveva assolutamente alcun potere in questioni di coscienza, di ordine ecclesiastico generale, di dogma, di governo della Chiesa, e perciò non poteva trasferire tali poteri al proprio Zar. Ciò è comprovato a sufficienza da tutti gli eventi successivi. Il patriarcato fu abolito; questo fu ottenuto non per volontà del sovrano, ma per decreto dei patriarchi orientali e dei vescovi nativi. In seguito, al posto del patriarcato, fu istituito il sinodo; e questo cambiamento fu effettuato non dal potere del sovrano, ma da quegli stessi vescovi orientali che avevano, in accordo con il potere temporale, stabilito in prima istanza il patriarcato in Russia. Questi fatti sono sufficienti a mostrare che il titolo "capo della Chiesa" significa "capo del popolo in questioni ecclesiastiche"; infatti non ha e non potrebbe avere alcun altro significato. E una volta che si ammette questo significato, tutte le accuse basate sulla confusione si riducono a nulla.

Ma la storia bizantina non fornisce forse ai nostri accusatori il sostegno di prove che non vengono date loro dalla storia della Russia? Non immaginano di vedere in Bisanzio, con il suo sigillo di stato e il titolo imperiale, una credenza in un capo temporale della Chiesa? Ma si può supporre che questa credenza sia attestata dal riferimento al Paleologo che fu precipitato nell'apostasia dalla disperazione e dal desiderio di ottenere aiuto dall'Occidente? O dal riferimento agli Isaurici, che con i loro sforzi restaurarono la gloria militare dell'Impero, ma che furono condotti all'eresia dal loro zelo mal riposto e dalla loro cieca sicurezza di sé (per la quale gli storici protestanti del nostro tempo non hanno ancora cessato di lodarli)? O da Iraclio, che salvò lo stato ma abbracciò apertamente il Monotelismo? O infine dal figlio stesso di Costantino, Costanzo, che schiacciò Papa Liberio e che fu egli stesso bersaglio del santo coraggio del vescovo di Alessandria? L'intera storia dell'Impero Orientale confuta l'accusa diretta contro la Chiesa, riguardo a una ipotetica subordinazione all'Imperatore, anche più chiaramente della storia della Russia, cosicché noi non abbiamo alcuna ragione di negare l'eredità del pensiero bizantino. Anche ora pensiamo, come i Greci, che il sovrano, quale capo del popolo in molte questioni che toccano la Chiesa, ha il diritto (come tutti i suoi sudditi) alla libertà di coscienza nella fede e alla libertà dell'umana ragione; ma noi non lo consideriamo un oracolo mosso da qualche potere invisibile, come il vescovo di Roma presenta se stesso ai latinisti. Pensiamo che il sovrano, essendo libero ed essendo un uomo come tutti gli altri uomini, possa cadere nell'errore, e se tale sfortuna, Dio non voglia, dovesse accadere nonostante le continue preghiere della Chiesa, l'imperatore non perde con ciò il suo diritto all'obbedienza dei suoi sudditi nelle questioni temporali; né la Chiesa patisce alcun danno alla sua gloria e pienezza, poiché il suo Capo non muta mai. In un caso come questo l'unica cosa che accadrebbe è che ci sarebbe un cristiano di meno nel suo seno.

La Chiesa non consente alcuna altra interpretazione. Ma con questo avranno termine le calunnie? Ho paura di no. La mala fede può controbattere riferendosi alla firma imperiale in calce ai pronunciamenti del Sinodo, come se il diritto di pubblicare le leggi e di porle in atto fosse identico allo stesso potere legislativo. Inoltre, potrà accennare all'influenza del sovrano nella designazione di vescovi e membri del sinodo che ha rimpiazzato il patriarcato, come se, in tempi antichi, l'elezione di vescovi e membri del sinodo (senza escludere persino quelli di Roma) non fosse dipesa dal potere temporale (sia del popolo che del sovrano), e come se, infine, anche oggi, in molti paesi di confessione romana, tale dipendenza non fosse comune. (1) È difficile immaginare quali altre false conclusioni potrebbero essere tratte dalla malevolenza e dalla mala fede; ma dopo quanto ho detto, le persone coscienziose (e sono sicuro che il Sig. Laurency sia una di queste) non si permetteranno di ripetere accuse prive di fondamento e ridicole agli occhi di ogni persona spassionata e ragionevole.

Non è altrettanto facile confutare la seconda accusa mossa alla Chiesa dal Sig. Laurency, poiché non è basata su fatti, ma su di una presunta tendenza. Siamo accusati di inclinazioni protestanti. Lascerò da parte la domanda se questa seconda accusa non contraddica la prima. Poiché l'insolvenza della prima è stata ora provata, la sua contraddittorietà con la seconda non può servire come argomento a nostro favore. Esaminerò direttamente la questione. Ma prima devo porre una domanda che è apparentemente nuova, o almeno, per quanto ne so, non è stata ancora pienamente esaminata. Per quale ragione il protestantesimo, che ha portato via quasi la metà dei seguaci del papismo, si è fermato appena ha incontrato i confini del mondo ortodosso? È impossibile spiegare questo fatto con caratteristiche etniche, poiché il calvinismo ha ottenuto forza considerevole in Cecoslovacchia, Polonia, Lituania e Ungheria, e si è fermato improvvisamente, non di fronte a un altro gruppo etnico, ma di fronte a un'altra fede. I pensatori dovrebbero considerare accuratamente tale questione.

La presunta tendenza verso il protestantesimo può essere esaminata soltanto nell'area dei principi; ma prima di iniziare la rassegna della logica intrinseca della fede ortodossa, e prima di mostrare la sua completa incompatibilità con l'accusa mossa dal Sig. Laurency (e così pure da un gran numero di scrittori cattolici romani prima di lui), ritengo desiderabile inquadrare un fatto storico.

Lo Scisma occidentale (i miei lettori mi permetteranno di usare questo termine, poiché la mia coscienza non me ne permette alcun altro) è stato in esistenza per più di un migliaio di anni. Come mai durante questo tempo la Chiesa governata dai patriarchi non ha dato vita a un proprio tipo di protestantesimo? Come mai non ha rivelato, almeno fino a ora, un impulso definito verso qualche tipo di riforma? In Occidente le cose si svilupparono molto rapidamente. Passarono appena tre secoli prima che Lutero e Calvino si facessero avanti a testa alta, con parole forti, principi definiti e dottrine fisse. Una polemica seria non inizierà indicando le eresie e gli scismi sorti in Russia nel diciassettesimo secolo e oltre. Di certo deploriamo amaramente queste piaghe spirituali; ma sarebbe totalmente ridicolo paragonare alcuni compatibili figli dell'ignoranza, o meglio ancora l'irragionevole zelo nel mantenimento delle vecchie cerimonie, con il protestantesimo degli eruditi precursori della riforma; poiché qui non sto parlando dei catari o dei valdesi che apparvero nel meridione, ma di persone che, come Ockham o Wycliffe o l'immortale Hus, furono in prima fila nell'erudizione dei loro tempi, e poterono entrare coraggiosamente in controversia con l'intero armamento teologico di Roma, senza temere alcun colpo se non quelli che potevano essere loro inflitti dal braccio del potere temporale. Sto parlando di persone che, morendo non meno gloriosamente dei cristiani dei primi secoli, dall'altezza delle loro vittoriose pire funebri, si volgevano ai loro carnefici con parole permeate di santo e tenero amore: "Sancta simplicitas", e con tali parole proclamavano che non avevano scelto le loro armi per ignoranza, né che per ignoranza avevano eretto l'edificio della loro fede. Come può essere accaduto che l'Oriente, con la sua ipotetica tendenza verso il protestantesimo, non abbia prodotto gente simile, o simili movimenti religiosi? Lo si attribuisce allo sfortunato destino dell'Impero d'Oriente? Se non vado errato, tale spiegazione è già stata proposta dal Conte de Maistre, ma naturalmente non soddisfa nessuno, con l'eccezione delle menti più superficiali.

Comunque sia, nella sfera delle idee religiose l'assenza di questo o di quel fenomeno, anche se estesa a un periodo di parecchi secoli, sostiene unicamente la tesi più o meno plausibile che la tendenza verso tale fenomeno non esiste ancora. Non prova in alcun modo l'impossibilità che il fenomeno appaia in futuro. Per convincerci definitivamente di questa impossibilità, per elevare una probabilità storica al livello di certezza logica, dobbiamo dedurre tale impossibilità dallo stesso principio religioso.

Che cos'è il protestantesimo? La sua particolarità giace forse, come dicono alcuni, nello stesso atto di protesta fatto in nome della fede? Ma se così fosse, allora gli apostoli e i martiri che protestarono contro gli errori del giudaismo e contro la falsità dell'idolatria sarebbero protestanti; tutti i padri della Chiesa sarebbero protestanti, poiché anch'essi protestarono contro gli errori dei tempi. Ovviamente la parola "protestante" non definisce alcunché, se usata in questo modo. Dove dobbiamo cercare una definizione? L'essenza del protestantesimo consiste forse nella "libertà di indagine"? Ma gli apostoli permisero la libera indagine, ne fecero persino un obbligo; e i santi padri difesero la verità della fede per mezzo della libera indagine (per esempio il grande Atanasio, nella sua eroica lotta contro l'arianesimo); e la libera indagine, intesa in un senso o nell'altro, costituisce l'unica base della vera fede. Certamente la confessione romana sembra condannare la libera indagine; ma poniamo il caso di un uomo che, avendo liberamente indagato tutte le autorità delle scritture e della ragione, sia giunto ad accettare l'intero insegnamento dei latinisti. Lo considereranno forse un protestante? Un altro, usando la stessa libertà di indagine, si è convinto che le definizioni dogmatiche del papa sono infallibili, e che l'unica cosa che deve fare è sottomettersi a loro. Lo condanneranno come protestante? E tuttavia, non fu per mezzo della libera indagine che questi giunse alla convinzione che lo obbligò ad accettare l'intera dottrina? Infine, ogni credenza, ogni discernimento di fede, è un atto di libertà, e deve sorgere da una precedente indagine libera, alla quale sono stati sottoposti i fenomeni del mondo esterno o i fenomeni interiori della propria anima, gli eventi del tempo che trascorre o le testimonianze dei contemporanei. Oso spingermi più in là. Anche in quei casi in cui la voce di Dio stesso ha parlato direttamente e rialzato un'anima caduta o traviata, quell'anima si è chinata in adorazione soltanto dopo avere riconosciuto la voce divina. L'atto della libera indagine è l'inizio della conversione. A questo proposito, le confessioni cristiane differiscono l'una dall'altra solo in quanto alcune permettono l'indagine di tutti i dati, mentre altre limitano il numero di materie aperte all'indagine.

Assegnare il diritto di indagine al solo protestantesimo sarebbe come farlo salire al livello di unica fede dotata di discernimento; ma naturalmente questo non incontrerebbe il favore dei suoi oppositori; e tutti i pensatori - anche quelli non molto seri - respingerebbero un'affermazione del genere.

Ci si può chiedere, infine, se non sia nella "riforma", nell'atto stesso di riformare, che si debba cercare l'essenza del protestantesimo. Di certo, nel primo periodo del suo sviluppo, il protestantesimo sperò di poter pretendere questo significato. Ma pure la Chiesa ha costantemente riformato i suoi riti e regolamenti, e nessuno ha il diritto di chiamarla protestante per questa ragione. Il protestantesimo e la riforma in generale non sono pertanto sempre la stessa cosa.

Il protestantesimo significa l'espressione di dubbio nel dogma essenziale. In altre parole, la negazione del dogma come tradizione vivente; in breve, la negazione della Chiesa.

Ora chiedo a ogni persona scrupolosa: è questa la Chiesa che viene accusata di tendenze protestanti, la chiesa che è sempre rimasta fedele alla propria tradizione, senza permettersi mai di aggiungere qualcosa a questa tradizione o di sottrarle alcunché, la Chiesa che in verità considera la confessione romana come uno scisma dovuto a innovazioni? Non è un controsenso assoluto muovere a questa Chiesa un'accusa del genere?

Il mondo protestante non è in alcun senso il mondo della libera indagine. La libera indagine appartiene a tutte le persone. Il protestantesimo è semplicemente un mondo che ne nega un altro. Togliete quest'altro mondo che viene negato e il protestantesimo morirà, poiché la sua intera vita consiste nella negazione. Il corpo di dottrine che esso sostiene, l'opera intrapresa dallo sforzo di pochi dotti e in seguito recepita dall'apatica credulità di diversi milioni di persone non istruite, sopravvive soltanto perché si sente il bisogno di opporsi alla confessione romana. Appena questa sensazione scompare, il protestantesimo si frantuma istantaneamente in opinioni private, senza alcun legame comune. Può essere questo lo scopo di quella Chiesa di cui ogni preoccupazione per le altre confessioni, per diciotto secoli, è stata ispirata dal desiderio di testimoniare il ritorno di tutti i popoli alla verità? La domanda trova già risposta nella sua formulazione.

Ma questo non è tutto. Spero di provare che se, nel futuro, lo spirito di falsità darà mai origine a qualche nuova eresia o scisma nel seno della Chiesa, la sua reviviscenza non apparirà all'inizio con il carattere del protestantesimo; potrà acquisire questo carattere in seguito, e solo dopo essere passata attraverso una serie di trasformazioni, precisamente come è accaduto in Occidente.

Per incominciare dobbiamo notare come il mondo protestante si divida in due parti, tutt'altro che uguali nel numero di aderenti e nel proprio significato. Queste parti non vanno confuse tra loro. Una ha la sua tradizione logica, anche se nega una tradizione più antica. L'altra rimane soddisfatta di una tradizione illogica. La prima è composta dai quaccheri, dagli anabattisti e dalle altre sette analoghe. L'altra include tutte le altre cosiddette sette della riforma.

Entrambe le metà del protestantesimo hanno una cosa in comune: il loro punto di dipartita. Entrambe riconoscono un'interruzione nella tradizione ecclesiastica della durata di diversi secoli. Da questo punto in poi si separano nei principi. La prima metà, avendo rotto quasi tutti i legami con il cristianesimo, ammette una nuova rivelazione, una discesa immediata dello Spirito Santo, e su questo fondamento cerca di costruire una Chiesa o molte Chiese, che vantano per se stesse un'indiscutibile tradizione e un'ispirazione costante. Il dato di base può essere falso, ma la sua applicazione e sviluppo sono completamente ragionevoli: una tradizione che è riconosciuta come fatto riceve anche una giustificazione logica. La questione è differente per l'altra metà del mondo protestante. Qui si accetta una tradizione, e al tempo stesso si nega il principio per mezzo del quale la tradizione viene giustificata.

Questa contraddizione può essere chiarita da un esempio. Nel 1847, viaggiando in battello lungo il Reno, mi misi a conversare con un degno pastore, un uomo serio e istruito. Dopo poco la nostra conversazione passò su argomenti di fede, e in particolare alla questione della tradizione dogmatica, di cui il pastore non accettava la legittimità. Gli chiesi a quale confessione appartenesse. Risultò che era luterano. Su quali basi, gli chiesi, dava preferenza a Lutero su Calvino? Egli mi fornì argomenti molto eruditi. A questo punto il suo servitore, che lo accompagnava, gli offrì un bicchiere di limonata. Chiesi al pastore di dirmi a quale confessione appartenesse il suo servitore. Anch'egli era luterano. "Su quali basi", chiesi, "lui dà preferenza a Lutero su Calvino?" Il pastore rimase in silenzio, e il suo volto espresse disappunto. Mi affrettai a spiegargli che certamente non avevo inteso offenderlo, ma che avevo unicamente desiderato mostrargli come anche nel protestantesimo vi sia una tradizione. Un po' sconcertato, ma benevolo come sempre, il pastore, in risposta alle mie parole, espresse la speranza che col tempo la mancanza di istruzione dalla quale dipendono le tradizioni si sarebbe sciolta alla luce della conoscenza.

"Ma le persone di abilità limitate?", chiesi. "E la maggioranza delle donne; e i lavoratori non specializzati che a malapena riescono a guadagnare il loro pane quotidiano; e i bambini; e, infine, i giovani che non sono più abili dei bambini a giudicare le dotte questioni sulle quali i seguaci della riforma si separarono?" Il pastore rimase in silenzio e, dopo alcuni momenti di riflessione, disse: "Sì, sì, naturalmente, la questione è ancora aperta, ...ci sto pensando". Ci separammo. Non so se vi stia ancora pensando, ma so che la tradizione come fatto esiste indubbiamente tra i riformatori, anche se essi ne negano il principio e la legittimità con tutta la loro forza; so anche che essi non possono comportarsi diversamente, né che possono districarsi da questa contraddizione. Infatti, non c'è nulla di contrario alla logica nel fatto che tutte queste società religiose che riconoscono tutti i loro dotti come divinamente ispirati, e ascrivono un'ispirazione divina ai fondatori con i quali sono connesse da legami di successione ininterrotte, riconoscono allo stesso tempo una tradizione, in modo segreto o palese. Ma con quale diritto coloro che basano le loro credenze sulle erudite enunciazioni dei loro progenitori possono incominciare a usare la tradizione come mezzo di sostegno? Vi sono persone che credono che il papato riceva ispirazione dal cielo; che Fawkes e Johann Leyden furono autentici organi dello Spirito divino. Forse queste persone sono nell'errore; nondimeno si può capire che tutto ciò che è definito da queste persone scelte dall'alto è obbligatorio per quelli che credono in loro. Ma credere nell'infallibilità dell'erudizione, per di più un'erudizione che sviluppa le sue proposizioni dialetticamente, è contro il buon senso. Perciò, mentre negano la tradizione come rivelazione ininterrotta, tutti gli eruditi della riforma sono inevitabilmente obbligati a ritenere tutti i loro fratelli meno istruiti come persone totalmente prive di vera fede. Se fossero coerenti dovrebbero dire loro: "Amici e fratelli, non avete la retta fede e non l'avrete mai finché non diventerete teologi come noi; nel frattempo, dovrete arrangiarvi in qualche modo senza di essa!". Tale discorso è inaudito, naturalmente, ma sarebbe di certo un atto di sincerità. È evidente che la metà più ampia del mondo protestante è alquanto soddisfatta della tradizione, così come la intende nel proprio modo illegittimo; l'altra metà, più coerente, si è tanto distaccata dal cristianesimo, che sotto tali circostanze non ha senso rimanere in esso. Così, la caratteristica distinta del protestantesimo consiste nell'assenza di una tradizione legittima. Che cosa ne consegue? Ne consegue che il protestantesimo non ha in alcun modo esteso i diritti alla libera indagine, ma ha solo ridotto il numero di dati affidabili soggetti all'indagine dei propri seguaci (lasciando loro le sole scritture), così come Roma ha ridotto questo numero per la maggior parte dei suoi laici (privandoli delle scritture).

Chiaramente il protestantesimo, come Chiesa, non ha potere di controllo su se stesso, e avendo rifiutato la tradizione legittima, si è privato di condannare un uomo che, pur riconoscendo la divinità delle Sacre Scritture, non vi trovi la confutazione degli errori di Ario o Nestorio, poiché tale uomo sarebbe nell'errore agli occhi della dottrina, ma non agli occhi della fede. Comunque, non attacco i riformatori su questo punto; quello che è importante, è chiarire la necessità che li obbliga a stare sul terreno che ora occupano, rintracciare il processo logico che li ha forzati a ciò, e mostrare che nella Chiesa tale necessità e tale processo sono impossibili.

Dal tempo della sua fondazione per opera degli apostoli, la Chiesa è stata una. Estesa su tutto il mondo allora conosciuto, unendo insieme le isole britanniche e la Spagna con l'Egitto e la Siria, quest'unità non era mai stata violata quando sorgeva un'eresia, l'intero mondo cristiano mandava i suoi rappresentanti e i più alti dignitari ad assemblee solenni note come concili. Per il loro carattere universale, per l'importanza delle questioni sottoposte alle loro decisioni, e nonostante il disordine e a volte persino la violenza che ne macchiarono la purezza, questi concili spiccano nella storia dell'umanità come le più nobili delle sue imprese. L'intera Chiesa accettava o respingeva le decisioni dei concili, a seconda che le trovasse compatibili o incompatibili con la propria fede e tradizione, e diede il nome di Ecumenici a quei concili le cui decisioni essa considerava come espressione del proprio pensiero interiore. Alla loro autorità temporanea in questioni di disciplina, fu aggiunto questo ulteriore significato: essi divennero testimoni certi e inalterabili in questioni di fede. I Concili Ecumenici divennero la voce della Chiesa. Anche le eresie non violarono questa unità divina; esse avevano carattere di errori privati, e non di scismi di intere regioni o eparchie. Tale era la struttura di quella vita ecclesiastica il cui significato interiore è stato a lungo completamente incomprensibile in tutto l'Occidente.

Trasferiamoci ora negli ultimi anni dell'ottavo secolo, oppure all'inizio del nono, e immaginiamo un viaggiatore, giunto dall'Oriente in una delle città dell'Italia o della Francia. Colmo della coscienza di questa antica unità, pienamente rassicurato del fatto che si troverà tra fratelli, entra in una chiesa per santificare il primo giorno della settimana. Spinto da motivi di reverenza e pieno d'amore, segue il servizio e ascolta attentamente le meravigliose preghiere che sono state care al suo cuore fin dalla prima infanzia. Lo raggiungono le parole "Amiamoci l'un l'altro, e in unità di spirito confessiamo il Padre, il Figlio e il Santo Spirito". Egli ascolta. Ora, nella chiesa viene recitato il Simbolo della fede cristiana e cattolica, il Credo che ogni cristiano deve servire per tutta la sua vita e per il quale è obbligato a sacrificare la vita se ne sorge l'occasione. Ascolta attentamente. Ma è un Credo corrotto che ode: questo è un credo nuovo e adulterato! Lo ha sentito davvero o forse è vittima di qualche incubo? Non crede alle proprie orecchie: incomincia a dubitare dei suoi sensi. Fa ricerche, chiede spiegazioni. Pensa di essere forse entrato nell'assemblea di qualche gruppo scismatico che nega la Chiesa territoriale. Ma purtroppo non è così! Sta sentendo la voce della stessa Chiesa territoriale. L'intero patriarcato, il vasto mondo stesso ha perso la sua unità. Il viaggiatore afflitto si lamenta; lo consolano. "Ma abbiamo aggiunto solo un'inezia", gli dicono, così come i latinisti dicono oggi. "Se è un'inezia, perché è stata aggiunta?" "Ma è una questione puramente astratta." "Come potete allora essere sicuri di averla compresa?". "Ebbene, è soltanto la nostra tradizione locale." "Ma come può avere trovato un posto nel Credo Ecumenico, contrariamente ai decreti scritti di un Concilio Ecumenico, che vietano un simile cambiamento?" "Ebbene, è una tradizione estesa in tutta la Chiesa, di cui abbiamo trasposto in parole il significato, guidati dall'opinione locale." "Ma noi non conosciamo questa tradizione; e in ogni caso, come può un'opinione locale trovare un posto in un Credo Ecumenico? La spiegazione delle verità divine non viene data all'intera Chiesa unita insieme? Oppure abbiamo meritato in qualche modo la scomunica dalla Chiesa? Non solo non avete pensato di rivolgervi a noi per consiglio, non vi siete nemmeno presi la briga di notificarci il cambiamento. O siamo già caduti così in basso? Eppure non meno di un secolo or sono l'Oriente ha prodotto il più grande dei poeti cristiani e forse il più glorioso dei suoi teologi: Giovanni Damasceno. E anche ora vengono riconosciuti tra noi confessori, martiri per la fede, dotti filosofi colmi di comprensione cristiana, asceti le cui vite sono un'ininterrotta preghiera. Perché, allora, ci avete rigettati?" Ma per quanto il povero viaggiatore possa dire, il fatto è compiuto, la frattura confermata. Con questo stesso atto (i.e., il cambiamento arbitrario del Credo) il mondo romano ha chiaramente dichiarato che ai propri occhi l'Oriente non è nulla di più di un mondo di iloti in materia di fede e dottrina. Per tutta una metà della Chiesa, la vita ecclesiastica era giunta al termine.

Non tocco il cuore della questione, ma coloro che credono nella sacralità del dogma e dello spirito divino di fratellanza che fu donato dal Salvatore agli apostoli e a tutti i cristiani, si chiedano se la chiarezza di comprensione e la grazia divina che rivela il significato della santità si possano ottenere trascurando i propri fratelli e ripudiando l'innocente. Il mio compito è semplicemente quello di indicare l'origine del principio protestante.

È impossibile attribuire questa modifica al solo papismo. Questo sarebbe rendergli un onore troppo alto, o da un altro punto di vista, un troppo grande insulto. Benché la sede di Roma si sia apparentemente sposata con le sue particolari dottrine, insieme con le Chiese territoriali sotto la sua cura, tuttavia è rimasta sempre fermamente radicata alla memoria dell'unità. Questa si è mantenuta per un certo tempo, ma poi è stata minacciata da scismi, e il potere temporale iniziò a far pressioni su di essa con richieste insistenti. E alla fine essa cedette, forse interiormente contenta di essere ora libera da ostruzionismi futuri da parte delle Chiese indipendenti d'Oriente. Comunque sia avvenuto, il cambiamento non fu un atto di un unico papa, ma dell'intero mondo romano, e questo atto non fu affatto giustificato da una credenza nell'infallibilità del vescovo romano, ma dalla sensazione di orgoglio territoriale. La credenza nell'infallibilità venne dopo; al tempo in cui la rottura fu compiuta, Papa Nicola I stava ancora scrivendo a Fozio che in questioni di fede il minore dei cristiani aveva la stessa voce del primo tra i vescovi. (2) Ma le conseguenze di tale cambiamento non furono lunghe a rivelarsi, e il mondo occidentale fu trascinato su di un nuovo sentiero.

Essendosi appropriata del diritto di decidere indipendentemente una questione dogmatica nell'area della Chiesa ecumenica, l'opinione privata portava in sé il seme della crescita e della legittimazione del protestantesimo, vale a dire, della libera indagine strappata dalla tradizione vivente di unità basata sul mutuo amore. Così, al momento della propria origine, il romanesimo si manifestò come protestantesimo. Spero che le persone coscienziose ne siano convinte, e che le conclusioni che seguono lo rendano ancor più chiaro.

Fu come se il diritto di decidere questioni dogmatiche fosse stato improvvisamente alterato. Dapprima questo diritto era appartenuto all'intera Chiesa ecumenica; ora veniva assegnato a una Chiesa regionale. Per una Chiesa regionale, il diritto poteva venire affermato su due basi: per virtù di una libertà di indagine che aveva abbandonato la tradizione vivente; o per virtù della pretesa di un'ispirazione esclusiva dello Spirito Santo per un certo territorio geograficamente definito. Di fatto, fu accettato il primo di questi principi, ma era troppo presto per proclamarlo come diritto. Il precedente ordine di vita ecclesiale era ancora ricordato troppo bene, e il primo principio era troppo indefinito e quindi troppo contrario al buon senso per permetterne un'affermazione aperta.

Così sorse in modo naturale il pensiero di associare il monopolio dell'ispirazione divina a una sede, e il protestantesimo occidentale fu sepolto sotto l'autorità esterna. Queste cose non sono rare nel mondo politico. Non avrebbe potuto essere altrimenti, poiché un regno di logica puramente razionalistica era stato eretto al posto dello spirito divino, che si era ritirato. Il dispotismo appena creato trattenne il caos che era stato introdotto nella Chiesa dalla novità originale, ovvero dall'indipendenza dell'opinione regionale o locale.

L'autorità del papa fu sostituita all'infallibilità ecumenica, e la sua autorità era esterna. Un tempo membro della Chiesa, un tempo partecipante responsabile delle sue decisioni, il cristiano era ora diventato un suddito della Chiesa. Egli ed essa avevano cessato di essere una cosa sola, egli le stava al di fuori, pur rimanendo nel suo seno. Il dono dell'infallibilità assegnato al papa fu posto al di là dell'influenza di condizioni etiche, cosicché né la corruzione dell'intero mondo cristiano, né la corruzione del papa stesso potevano avere qualsivoglia effetto su questa infallibilità. Il papa divenne una sorta di oracolo privato di ogni libertà, una statua fatta di carne e ossa, messa in moto da leve invisibili. Per il cristiano questo oracolo ricadde nella categoria delle cose di natura materiale, di cose le cui leggi possono e devono essere soggette all'indagine della sola ragione. Una legge puramente esteriore e di conseguenza razionale aveva rimpiazzato la legge vivente, etica, che sola non teme il razionalismo, poiché non comprende la sola ragione dell'uomo, ma l'intero suo essere. (3)

Uno stato di questo mondo prese il posto della Chiesa cristiana. La singola legge vivente di unità in Dio fu rimpiazzata da leggi private, che portano in se stesse l'impronta dell'utilitarismo e di preoccupazioni giuridiche. Il razionalismo crebbe nella forma di definizioni arbitrarie: inventò il purgatorio allo scopo di spiegare le preghiere per i defunti; pose tra Dio e l'uomo una bilancia di obbligazioni e meriti, soppesando i peccati contro le preghiere, i crimini contro gli sforzi meritori; stabilì dei trasferimenti da un uomo a un altro, legittimò il baratto di meriti illusori; in breve, portò l'intero meccanismo delle istituzioni bancarie nel tesoro della fede. Allo stesso tempo, la chiesa-stato introdusse una lingua di stato: il latino. Quindi avocò a sé il giudizio degli affari mondani; quindi prese le armi e incominciò a equipaggiare, dapprima, bande informali di crociati, e quindi eserciti organizzati (gli ordini dei cavalieri religiosi); e infine, quando la spada le fu strappata di mano, i corpi altamente addestrati dei gesuiti. Questo non è un motivo di critica. Cercando le fonti del razionalismo protestante, lo trovo camuffato sotto forma di razionalismo romano, e non posso evitare di seguirne lo sviluppo. Senza soffermarmi sugli abusi, intendo concentrarmi sul principio. La Chiesa ispirata da Dio divenne, per il cristiano occidentale, qualcosa di esterno, una sorta di autorità negativa e materiale. Essa ha trasformato l'uomo nel suo schiavo, e come risultato ha acquisito, in lui, un giudice.

"La Chiesa è un'autorità" disse Guizot in una delle sue notevoli opere, mentre uno dei suoi avversari, attaccandolo, non fece altro che ripetere le sue parole. Parlando in tal modo, nessuno dei due sospettava quanta falsità e blasfemia sottostava alle loro asserzioni. Povero romanista! Povero protestante! No: la Chiesa non è un'autorità, così come Dio non è un'autorità, poiché l'autorità è qualcosa di esterno a noi. La Chiesa non è un'autorità, dico, ma la verità: e allo stesso tempo è la vita interiore del cristiano, poiché Dio, Cristo, la Chiesa, vivono in lui con una vita più reale del cuore che gli batte nel petto o del sangue che gli scorre nelle vene. Ma essi vivono in lui solo nella proporzione in cui egli stesso sta vivendo nella vita ecumenica di amore e di unità, e cioè nella vita della Chiesa. Tale è la cecità delle sette occidentali che, fino a ora, nessuna di loro ha compreso quanto il terreno su cui stanno sia diverso da quello su cui la Chiesa originale è stata fin dai primissimi tempi, e sul quale starà in eterno.

In questo i latinisti sono completamente nell'errore. Essi stessi sono razionalisti, eppure accusano gli altri di razionalismo; essi stessi erano protestanti fin dal primo istante della loro caduta, eppure essi condannano la ribellione spontanea dei loro fratelli. D'altro canto, mentre hanno tutti i diritti di ribaltare l'accusa, i protestanti sono incapaci di farlo perché essi stessi non sono altro che sviluppatori dell'insegnamento romano. La sola differenza è che hanno adattato questo insegnamento conformandolo alle proprie esigenze. Non appena l'autorità divenne esterna, e la conoscenza delle verità religiose fu staccata dalla vita religiosa, allora si alterò pure la relazione tra le persone. Nella Chiesa le persone costituivano un singolo intero; uno stesso spirito era vivo in tutti. Ora questo legame sparì, e un altro lo rimpiazzò: la dipendenza o sudditanza comune di tutte le persone dal potere supremo di Roma. Non appena sorse il primo dubbio sulla legittimità di questo potere, quest'unità fu subito distrutta, poiché la dottrina dell'infallibilità papale non era fondata sulla santità della Chiesa ecumenica; né il mondo occidentale pretendeva di avere un livello relativamente superiore di purezza morale quando si arrogò il diritto di cambiare (o, come dicono i romanisti, di chiarificare) il credo e di ignorare l'opinione dei propri fratelli orientali. Non fece che citare la circostanza accidentale della successione episcopale, come se gli altri vescovi insediati dall'apostolo Pietro, dovunque fossero ubicati, non fossero suoi successori così come il vescovo di Roma! Roma non ha mai detto alla gente "Solo l'uomo perfettamente santo può giudicarmi, ma tale uomo penserà sempre come me". Al contrario, Roma ha distrutto ogni legame tra la conoscenza e la perfezione interiore dell'anima: ha dato libero dominio alla ragione mentre nello stesso tempo l'ha palesemente calpestata.

Non sarebbe difficile mostrare nella dottrina dei riformatori il marchio indelebile di Roma e lo stesso spirito di razionalismo utilitaristico che caratterizza il papismo. Le loro conclusioni non sono le stesse; ma le premesse e le definizioni desunte e contenute in queste conclusioni sono sempre identiche. Il papato dice: "La Chiesa ha sempre pregato per i defunti, ma la preghiera sarebbe inutile se non ci fosse uno stato intermedio tra il cielo e l'inferno; perciò esiste un purgatorio." La riforma risponde: "Non c'è traccia del purgatorio nelle Sacre Scritture né nella Chiesa antica; perciò è inutile pregare per i defunti e io non pregherò per loro." Il papato dice "La Chiesa si appella all'intercessione dei santi, perciò questo è utile, perciò questo completa i meriti della preghiera e delle opere di soddisfazione." La riforma risponde: "La soddisfazione dei peccati operata dal sangue di Cristo e fatta propria dalla fede nel battesimo e nella preghiera è sufficiente alla redenzione non solo dell'uomo ma anche di tutta la creazione, perciò l'intercessione dei santi per noi è inutile, e non c'è ragione di rivolgersi a loro nella preghiera." Evidentemente la sacra Comunione dei Santi è ugualmente incomprensibile a entrambe le fazioni. Il papato dice "Secondo la testimonianza dell'apostolo Giacomo la fede è insufficiente, (4) perciò non possiamo essere salvati per fede, e perciò le opere sono utili e costituiscono merito." Il protestantesimo risponde: "La fede sola salva, secondo la testimonianza dell'apostolo Paolo, e le opere non costituiscono merito, perciò sono inutili." E così via, e così via.

In questo modo le parti in lotta sono andate avanti e indietro a suon di sillogismi reciproci attraverso i secoli, e stanno ancora andando avanti e indietro, ma sempre sullo stesso terreno, quello del razionalismo; e nessuna delle due può scegliere un terreno diverso. Anche la divisione operata da Roma tra la Chiesa docente e la Chiesa discente è stata trasmessa alla riforma; l'unica differenza è che nella confessione romana questa esiste di diritto, per virtù di una legge riconosciuta, mentre nel protestantesimo esiste solo come fatto; e un erudito ha preso il posto del sacerdote.

Ho cercato di provare come il protestantesimo sia impossibile per noi, e come noi non possiamo avere nulla in comune con la riforma, poiché stiamo su di un terreno completamente differente. Ma per rendere questa conclusione evidente, presenterò un'ulteriore spiegazione di natura più positiva. Quando parla attraverso le Sacre Scritture, e quando insegna e santifica attraverso la sacra tradizione della Chiesa ecumenica, lo Spirito divino non può essere colto dalla sola ragione. Egli è accessibile solo all'intero spirito umano sotto l'influenza della grazia. Il tentativo di penetrare nel regno della fede e del suo mistero alla luce della sola ragione è una presunzione agli occhi del cristiano, una presunzione criminale e stupida. Solo la luce che discende dal cielo, e che penetra l'intero spirito dell'uomo, gli può mostrare la via; solo il potere dato dallo Spirito divino può elevarlo a quelle altezze irraggiungibili dove la divinità si svela. "Può comprendere un profeta solo colui che è egli stesso profeta", dice San Gregorio il Taumaturgo. Solo la divinità può comprendere Dio e la Sua sapienza imperitura. Solo colui che porta in sé il Cristo vivente può accostarsi al Suo trono senza essere annichilito da quella gloria di fronte alla quale i più puri poteri spirituali si prostrano con gioioso tremore. Il diritto e il potere di contemplare la grandezza dei cieli e di penetrare il suo mistero sono dati solo alla Chiesa, santa ed eterna; all'arca vivente dello Spirito Divino che porta Cristo, il suo Signore e Salvatore; a lei sola, legata a Lui per mezzo di un'unità profonda e interiore che il pensiero umano non può comprendere, né le umane parole possono esprimere.

Parlo della Chiesa nella sua interezza, di cui la Chiesa sulla terra è una parte inseparabile; poiché quelle che chiamiamo Chiesa visibile e invisibile non sono due Chiese, ma una, sotto due aspetti differenti. La Chiesa nella sua pienezza, come organismo spirituale, non è un'entità collettiva o astratta: è lo Spirito Divino, che conosce Se stesso, e non è in grado di non conoscere. La Chiesa intera scrisse le Sacre Scritture, e quindi diede loro forma mediante la Tradizione. Per essere più precisi, le Scritture e la Tradizione, come due manifestazioni dello stesso e identico Spirito, sono una manifestazione singola. Le Scritture non sono altro che Tradizione scritta, e la Tradizione non è altro che Scrittura vivente. Tale è il mistero di quest'unità armoniosa; è formata dalla fusione della più pura santità con la più alta ragione, e solo per mezzo di questa fusione la ragione acquista l'abilità di comprendere le cose in quel reame dove la sola ragione, separata dalla santità, e tanto cieca quanto la materia stessa.

Potrà sorgere su questo suolo il protestantesimo? Potrà stare su questo terreno un uomo che ritiene se stesso giudice della Chiesa, avanzando così pretese di perfetta santità e di perfezione della ragione? Dubito che un tale uomo sia ospite gradito in quella Chiesa che ha come primo principio la dottrina che l'ignoranza e il peccato sono il risultato inevitabile dell'isolamento, mentre la pienezza di comprensione e la santità incorruttibile appartengono soltanto all'unità di tutti i membri della Chiesa.

Tale è l'insegnamento della Chiesa Ecumenica Ortodossa, e io oso dire che nessuno troverà in esso i semi del razionalismo. Ma, ci viene chiesto, da dove viene il potere di conservare un insegnamento così puro ed elevato? Da dove vengono le armi per la sua difesa? Il potere si trova nel mutuo amore, le armi nella comunione della preghiera; e l'aiuto divino non tradisce l'amore e la preghiera, poiché Dio stesso ispira entrambi.

Dove troveremo, allora, una garanzia contro l'errore in futuro? C'è una sola risposta a questa domanda: chiunque cerca, al di là della speranza e della fede, una qualsiasi garanzia dello spirito di amore, è già un razionalista. Per lui anche la Chiesa è impensabile, poiché è già, con tutto il suo spirito, immerso nel dubbio.

Non so se sono riuscito a rendere chiaro il mio pensiero, in modo che i miei lettori vedano davvero la differenza tra i principi fondamentali della Chiesa e quelli delle confessioni occidentali. La differenza è tanto grande che è a malapena possibile trovare un punto sul quale possano essere in accordo. Capita pure che, quanto più simili sono in apparenza le espressioni o le forme esterne, tanto più essenziale è la differenza nel loro significato.

Così tante tra le questioni che sono state dibattute per tanti secoli nella polemica religiosa europea trovano una soluzione semplice nella Chiesa; o, per dirla in modo più accurato, per essa non esistono neppure come questioni. Così per esempio, prendendo come principio primo che la vita del mondo spirituale non è altro che amore e comunione in preghiera, essa prega per i defunti, anche se respinge la favola del purgatorio inventata dal razionalismo; domanda l'intercessione dei santi, senza tuttavia attribuire loro i meriti ideati dalla scuola utilitarista, e senza riconoscere la necessità di altra intercessione che non sia quella del nostro Mediatore divino. Perciò, consapevole della sua unità vivente, essa non può nemmeno comprendere la questione se la salvezza risieda nella sola fede o nella fede assieme alle opere. Ai suoi occhi la vita e la verità sono una cosa sola, e le opere non sono altro che la manifestazione di una fede che, senza questa manifestazione, non sarebbe fede ma conoscenza logica. Così pure, sentendo la propria intima unione con lo Spirito Santo, rende grazie a Colui che è Buono per ogni buona cosa, senza attribuire alcunché a se stessa e all'uomo, eccetto il male che nell'uomo resiste all'opera di Dio. L'uomo non deve contare su altro aiuto perché il potere di Dio si perfezioni nella sua anima.

Qui devo fissare l'attenzione del lettore su di un fenomeno particolarmente significativo. La biforcazione della Chiesa nella Chiesa docente e nella Chiesa discente (questo nome andrebbe in realtà attribuito alla suddivisione inferiore), che è riconosciuto come un principio di base nel romanismo (condizionato come esso è dalle proprietà strutturali di una Chiesa-Stato con le sue divisioni tra clero e laici), è passato nella riforma, ed è mantenuto in essa come risultato dell'abrogazione della tradizione legittima, o dell'usurpazione della fede da parte della conoscenza. Qui dunque sta il tratto comune di entrambe le confessioni occidentali. La sua assenza nella Chiesa Ortodossa ne definisce il carattere nel modo più decisivo.

Nel dire ciò non sto proponendo un'ipotesi, e nemmeno una conclusione logica della combinazione di altri principi nell'ortodossia (ho tratto una conclusione del genere, mettendola per iscritto, molti anni fa). Sto dicendo molto di più. Il tratto che ho delineato è un fatto dogmatico indiscutibile. I patriarchi orientali, riuniti in concilio con i loro vescovi, pronunciarono solennemente nella loro risposta alla lettera enciclica di Pio IX che "l'infallibilità risiede soltanto nell'ecumenicità di tutta la Chiesa raccolta insieme dal mutuo amore, e l'immutabilità del dogma così come la purezza del rito sono affidate alla cura non di una gerarchia ma di tutto il popolo della Chiesa, che è il Corpo di Cristo." (5) Questa dichiarazione formale di tutto il clero orientale, che fu ricevuta dalla Chiesa russa territoriale con gratitudine rispettosa e fraterna, ha acquisito l'autorità morale di una sanzione ecumenica. Questo è indubbiamente l'evento più significativo nella storia della Chiesa in molti secoli.

Nella vera Chiesa non esiste una Chiesa docente.

Questo significa forse che non esiste edificazione nella Chiesa? Esiste non solo edificazione, ma vi è più edificazione che in ogni altro luogo. Ogni parola ispirata dal sentimento di amore veramente cristiano, di fede viva, di speranza, è edificazione. Ogni atto che porta l'impronta dello Spirito di Dio è una lezione. Ogni vita cristiana è un modello ed esempio. Il martire che muore per la verità, il giudice che giudica rettamente (non per compiacere gli uomini, ma Dio), l'agricoltore che nel suo umile lavoro si eleva continuamente nel pensiero verso il suo Creatore: tutti costoro vivono e muoiono per l'edificazione dei loro fratelli; e non senza ragione, poiché lo Spirito di Dio mette sulle loro labbra parole di saggezza che lo studioso e il teologo non troveranno mai. "Il vescovo è allo stesso tempo l'insegnante e il discepolo del suo gregge", dice il moderno apostolo delle Isole Aleutine, il Vescovo Innokenti. Ogni uomo, dovunque sia collocato nella gerarchia, o al contrario, dovunque si nasconda alla vista nell'ombra di circostanze umili, edifica e viene edificato, poiché Dio riveste coloro che Egli vuole con i doni della Sua infinita sapienza, senza riguardi di persona o di vocazione. Non è solo la parola che edifica, ma tutta la vita dell'uomo.

La questione dell'edificazione ci riporta di nuovo alla questione della ricerca, poiché l'una presuppone l'altra. La fede è sempre conseguenza della rivelazione riconosciuta come rivelazione. È la percezione di un fatto invisibile manifestato in qualche fatto visibile; la fede non è credenza o convinzione logica basata su conclusioni, ma molto di più. Non è l'atto di una facoltà percettiva separata dalle altre, ma l'atto di tutte le forze della ragione colto e appreso in tutta la sua profondità dalla realtà vivente del fatto rivelato. La fede non è soltanto conosciuta o soltanto sentita, ma è conosciuta e sentita insieme, per così dire; in una parola, non è mera conoscenza, ma conoscenza e vita. Così pure, il processo di indagine in materie di fede trae dalla fede la sua natura essenziale, e differisce completamente dall'indagine nel senso comune della parola. Dapprima, nell'area della fede, il mondo che è sotto indagine non è un mondo esterno all'uomo, dato che l'uomo stesso, e tutto l'uomo, con tutta la sua pienezza e volontà, appartiene a questo mondo e ne è una parte essenziale. In secondo luogo, l'indagine nell'area della fede presuppone certi dati di base, morali o razionali, che per l'anima sono al di sopra di ogni dubbio. Di fatto, l'indagine nell'area della fede non è altro che il processo dello svelamento ragionevole di questi dati; dato che il pieno dubbio, che non conosca limiti (se una cosa del genere potesse esistere), non solo escluderebbe ogni possibilità di fede ma pure ogni pensiero di ricerca seria. Una volta che venga ammesso da un'anima assolutamente pura, il più piccolo di questi dati fornirebbe tutti gli altri dati per virtù di un'indistruttibile, anche se forse non riconosciuta, catena di deduzioni. Per il cristiano ortodosso la somma di questi dati include l'intero universo, con tutti i fenomeni della vita umana, e l'intera parola di Dio, sia quella scritta che quella espressa nella tradizione dogmatica ecumenica.

Così la stessa indagine nell'area della fede, sia per la varietà di dati soggetti a studio, sia per il fatto che la sua meta sta nel vivere e non meramente nella verità astratta, richiede l'uso di tutti i poteri intellettuali nella volontà e nella ragione, e al di là di queste l'indagine interiore di questi stessi poteri. È necessario prendere in considerazione non solo il mondo che si vede, ma altresì il potere e la purezza dell'organo visivo.

Il principio iniziale di questa ricerca è il riconoscimento della propria fragilità. Non può essere altrimenti; poiché l'ombra del peccato già contiene la possibilità dell'errore, e la possibilità diventa ineluttabilità quando l'uomo si appoggia incondizionatamente sui propri poteri o sui doni di grazia a lui forniti come individuo. Bisognerebbe vantare la perfezione della facoltà percettiva così come la perfezione morale per essere in grado di effettuare un'indagine veramente indipendente dei soggetti della fede. Ci vorrebbe più che il mero orgoglio satanico per avanzare una simile pretesa: bisognerebbe essere matti. La verità esiste solo dove c'è la pura santità, ovvero nella pienezza della Chiesa Ecumenica, che è la manifestazione dello Spirito di Dio nell'umanità.

L'edificazione, dunque, non è compiuta dalle sole Scritture, come pensano i protestanti (nondimeno, li ringraziamo di tutto cuore per l'incremento del numero di copie della Bibbia); né dall'interpretazione verbale; né dal Credo (di cui peraltro non neghiamo in alcun modo la necessità); né dalla predicazione; né dallo studio della teologia; né dalle opere di amore; ma da tutte queste cose assieme.

Certamente, il cristianesimo è espresso in forma logica nel Credo; ma questa espressione non è separata dalle altre manifestazioni. Il cristianesimo è insegnato come dotta disciplina sotto il nome di teologia; ma questa non è di più che un ramo dell'intero insegnamento. Chiunque tronca l'insegnamento, vale a dire chiunque separa l'insegnamento, nel senso ristretto della lezione e interpretazione, dalle sue altre forme, sbaglia pesantemente; chiunque riduce l'insegnamento a un privilegio esclusivo scende alla follia; chiunque fa dell'insegnamento una sorta di funzione ufficiale, supponendo che il dono divino di insegnare sia inseparabilmente connesso con questa funzione ufficiale, cade nell'eresia, poiché in questo stesso modo si crea un nuovo, sconosciuto sacramento: il sacramento del razionalismo o della conoscenza logica. L'intera Chiesa insegna: la Chiesa in tutta la sua pienezza. La Chiesa non riconosce una Chiesa docente in alcun altro senso.

Spero di avere detto abbastanza per provare che la seconda accusa a noi mossa dal Sig. Laurency, dal conte de Maistre, e da altri, è tanto mal riposta come la prima, e che il protestantesimo poteva sorgere nella Chiesa solo per tramite dello scisma romano, del quale è conseguenza inevitabile.

In ogni caso, si può forse sollevare un'obiezione sulla base delle mie parole. Si potrebbe dire che, nel far risalire la genealogia del protestantesimo al romanesimo, ho provato che il suolo razionalista della riforma fu creato dapprima dallo scisma romano; ma poiché questo scisma (al momento della sua apparizione) fu un atto di protestantesimo, ne deve per forza conseguire che il protestantesimo può sorgere direttamente all'interno della Chiesa. Spero, comunque, che la mia risposta mi giustificherà. Certamente, staccandosi dalla Chiesa, Roma compì un atto di protestantesimo; ma in quei tempi lo spirito ecclesiologico, persino in occidente, era ancora così forte e così opposto allo spirito della riforma successiva, che il romanismo fu obbligato a nascondere il suo carattere alla vista dei cristiani, e persino a se stesso, mascherando il principio di anarchia razionalista che aveva introdotto nel mezzo della Chiesa con un despotismo in materia di fede. Anche se potesse essere dimostrato, tuttavia, che in tempi passati il protestantesimo o il principio protestante poteva essere generato nel seno della Chiesa, è nondimeno chiaro che questa possibilità non esiste più.

Dal principio stesso del mondo cristiano, è sorto un numero non piccolo di eresie a turbare la sua armonia. Anche prima che gli apostoli avessero completato la loro opera terrena, molti dei loro allievi furono sedotti da falsità. In seguito, con il succedersi dei secoli, le eresie si moltiplicarono. Molti fedeli furono strappati dal nestorianesimo e dall'eutichianesimo, con tutte le loro ramificazioni, e specialmente dall'arianesimo, che fornì, incidentalmente, l'occasione per lo scisma romano. Si solleva la questione: è possibile che queste eresie vengano fatte rivivere? No! Al tempo in cui sorsero, i dogmi a cui esse si opponevano non erano ancora rivestiti della forma di definizioni chiare, anche se erano incluse implicitamente nella tradizione della Chiesa. Così era possibile per una fede fragile, personale, cadere in errore. In seguito, per opera della Divina Provvidenza, per grazia della sua Parola eterna e per ispirazione dello Spirito di verità e di vita, il dogma ricevette una definizione precisa ai concili, e da allora in poi l'errore (nella sua forma antica) divenne impossibile anche come risultato di fragilità personale. La miscredenza è ancora possibile: ma non l'arianesimo. Lo stesso è vero per le altre eresie; anch'esse non sono più possibili. Esse riguardavano concetti erronei sul dogma rivelato dell'essenza interiore di Dio, o della relazione di Dio con la natura umana; distorcendo la tradizione dogmatica, pretesero di essere la vera tradizione. Erano errori più o meno colpevoli, ma non intaccavano il dogma dell'ecumenicità ecclesiastica; al contrario, tutte le eresie summenzionate tentavano di provare la verità dei loro insegnamenti riferendosi alla loro presunta accettazione da parte di tutti i cristiani. Il romanesimo iniziò al momento in cui si pose l'indipendenza di opinioni individuali o regionali al di sopra dell'unità ecumenica della fede; fu la prima a creare un'eresia di tipo nuovo, un'eresia contro il dogma della natura della Chiesa, contro la sua fede in se stessa. La riforma fu solo la continuazione di questa stessa eresia sotto un altro nome.

Tutte le sette occidentali possono essere definite in questo modo; ma un errore, una volta definito, non è più possibile per i membri della Chiesa. Ciò significa forse che i membri della Chiesa sono immuni da errore? Niente affatto. Così come sarebbe irragionevole asserire che sono immuni dal peccato. Tale perfezione appartiene soltanto alla Chiesa nella sua pienezza vivente, e non può essere attribuita individualmente a nessuno.

Solo la persona che è in grado di definire se stessa un organo vivente dello Spirito di Dio avrebbe il diritto di pretendere l'infallibilità. Ma ne consegue che la fede di un cristiano ortodosso è aperta all'errore? No. Poiché il cristiano, per lo stesso fatto di credere nella Chiesa ecumenica, riduce il proprio pensiero (in questioni che non sono ancora state definite chiaramente) al livello di opinione personale, o di opinione regionale se la dottrina è stata accettata da un'intera eparchia. Però, sebbene un errore di opinione non comporta un pericolo per la Chiesa, esso non può essere considerato innocuo per il cristiano individuale. È sempre un segno e una conseguenza di un errore o debolezza morale, rendendo l'uomo fino a un certo punto indegno della luce celeste, e, come ogni peccato, può essere cancellato solo dalla misericordia divina. La fede di un cristiano deve sovrabbondare di gioia e di gratitudine, ma anche di timore. Che egli preghi! Che chieda la luce di cui manca! Se soltanto non vorrà cullare nel sonno la propria coscienza, come il riformatore che dice: "Naturalmente potrei sbagliarmi, ma le mie intenzioni sono pure e Dio ne terrà conto, come fa per la mia debolezza." O come il romanista, che dice: "Supponiamo dunque che io mi sbagli: e allora? Il papa sa la verità per me, e io mi sottometto in anticipo alla sua decisione!".

Ho chiarificato al meglio che potevo la differenza di carattere tra la Chiesa e le confessioni occidentali. Ho definito in modo semplice l'eresia contro il dogma dell'ecumenicità della Chiesa contenuta nel razionalismo, sia latino che protestante. Ora devo dire alcune parole sulle nostre relazioni con queste due confessioni, le loro relazioni reciproche, e la loro posizione contemporanea.

Poiché la riforma non è altro che una continuazione e uno sviluppo del romanesimo, devo dapprima parlare delle nostre relazioni con quest'ultimo. È possibile un riavvicinamento? Si può rispondere a questa questione soltanto con un deciso "No". La verità non permette compromessi. È comprensibile la ragione per cui il papato abbia escogitato la Chiesa greca uniate. La Chiesa-Stato può, se lo ritiene opportuno, donare certi diritti di cittadinanza ai suoi fratelli orientali di un tempo, come iloti nel reame della fede. Può dare loro questi diritti come ricompensa per la loro umile sottomissione all'autorità del papa, senza richiedere loro l'unità di fede espressa nel Credo. Naturalmente, per il vero latinista tali mezzi cittadini possono solo suscitare pietà e disprezzo. Sono ben lungi da essere veri cittadini romani, e non un solo teologo, non un solo insegnante vorrà mettersi a provare la logica della loro religione. È un'assurdità che viene tollerata, e nulla di più. Agli occhi della Chiesa tale unione è impensabile, ma è in completa armonia con i principi del romanismo. La Chiesa non ammette alcun compromesso in materia di dogma o di fede. Richiede una piena unità, e niente di meno; d'altro canto, concede piena eguaglianza, poiché riconosce lo spirito di fratellanza e non la soggezione. Perciò un riavvicinamento è impossibile senza la piena rinuncia da parte dei romanisti di un errore che ora è vecchio più di mille anni.

Ma un concilio non potrebbe colmare il varco che separa lo scisma romano dalla Chiesa? No: poiché un concilio può essere convocato soltanto dopo che il varco è stato colmato. È vero che persone intossicate da false opinioni parteciparono ai Concili Ecumenici: alcuni di loro tornarono alla verità, altri furono ostinati nei loro errori e come risultato furono infine separati dalla Chiesa. Ma il punto è che queste persone, nonostante i loro errori, non negavano il principio divino di ecumenicità nei dogmi più fondamentali della fede. Mantennero, o perlomeno dichiararono, la speranza di definire in termini chiari il dogma confessato dalla Chiesa, e così pure sperarono di essere degni della grazia di essere testimoni della fede dei loro fratelli. Tale era lo scopo dei concili, tale il loro significato, tale il concetto implicito nella consueta formula introduttiva di tutte le loro decisioni: "È piaciuto al Santo Spirito..." Queste parole non esprimono una pretesa arrogante, ma un'umile speranza, giustificata o ripudiata in seguito dall'accettazione o non accettazione delle decisioni a opera di tutto il popolo della Chiesa, o, come dissero i patriarchi orientali, dall'intero Corpo di Cristo. Ci furono, di quando in quando, concili eretici. Perché questi concili furono respinti, mentre esteriormente essi non differivano dai Concili Ecumenici? Solamente perché le loro decisioni non furono riconosciute come la voce della Chiesa da tutto il popolo della Chiesa, da quel popolo e da quel mondo in cui, in questioni di fede, non c'è differenza tra uno studioso e un illetterato, tra chierico e laico, tra uomo e donna, re e suddito, padrone e schiavo, e laddove, se ciò è necessario a giudizio di Dio, un giovinetto riceve il dono della conoscenza, una parola di saggezza infinita è data a un bambino, e l'eresia di un vescovo erudito è confutata da un mandriano analfabeta, cosicché tutti possano essere riuniti in quella libera unità di fede vivente che è la manifestazione dello Spirito di Dio. Tale è il dogma che soggiace all'idea di concilio. E dunque, perché avere un concilio se il mondo occidentale si è ritenuto degno di una così chiara rivelazione divina da dirsi in grado di inserire la sua rivelazione nel simbolo della fede senza attendere la conferma dall'oriente? Che potrebbe fare un disgraziato ilota greco o russo a un concilio, seduto accanto a questi vasi d'elezione, questi rappresentanti di popoli che si sono unti da soli con il crisma dell'infallibilità? Un concilio è impossibile finché il mondo occidentale non ritornerà all'idea di concilio, e non condannerà la propria infrazione del principio conciliare, e tutte le conseguenze che derivano da questa infrazione. O, per dirla in altro modo, finché non ritorna al Credo originale e sottomette la propria opinione, dalla quale il Credo fu reso disuguale, al giudizio della fede ecumenica. In una parola, quando il razionalismo sarà chiaramente compreso e condannato, allora e solo allora sarà possibile un concilio. Perciò non sarà un concilio a colmare il varco: questo deve essere colmato prima che il concilio si possa radunare. (6)

Si è notato sopra che il romanesimo fu forzato a nascondere la propria natura, per così dire, fintanto che portava l'anarchia dentro di sé come un principio, temendone la manifestazione pratica. Fu costretto a mascherarsi ai propri stessi occhi e a trasformarsi in dispotismo. Questa trasformazione non ha mancato di portare importanti conseguenze. L'unità della Chiesa era libera; più precisamente, l'unità era la libertà stessa, l'espressione armoniosa di un accordo interiore. Quando quest'unità vivente fu respinta, la libertà ecclesiastica fu sacrificata per il mantenimento di un'unità artificiosa e arbitraria. L'intuizione spirituale della verità fu rimpiazzata da un segno esterno.

La riforma seguì un altro sentiero. Rimanendo costante nel principio di autodeterminazione razionalista che aveva generato lo scisma romano, pretese la propria libertà (con ogni diritto), e fu forzata a sacrificare ogni vestigia di unità. Come con il papismo, così pure con la riforma: ogni cosa conduce all'esteriorità. Tale è la natura di tutti i figli del razionalismo. L'unità del papismo è un'unità esteriore, svuotata di contenuto vivente; la libertà della mente protestante è parimenti una libertà esteriore, senza contenuto reale.

I papisti, come i giudaizzanti, basano la loro posizione su di un segno; i protestanti, come gli ellenizzanti, basano la loro posizione sulla logica. Un'autentica comprensione della Chiesa, come libertà nell'unità e vita nella ragione, è ugualmente inaccessibile a entrambi.

D'altro canto, il conflitto è possibile, persino inevitabile, dato che essi occupano lo stesso terreno e hanno gli stessi diritti. Sia il romanesimo che il protestantesimo si sono gettati a capofitto (senza sospettarlo) in quell'antinomia logica in cui ogni essere vivente ricade fintanto che vede le cose dal solo punto di vista logico. Ma quali sono i risultati di questo conflitto? in tutta sincerità, non c'è qui nulla di confortante per ambedue i lati. Entrambi sono forti in attacco e deboli in difesa, poiché entrambi sono egualmente in torto, ed egualmente condannati dalla ragione e dalla testimonianza della storia. A ogni istante uno dei partiti contendenti si gloria di una vittoria spettacolare; ma al tempo stesso entrambi sono costantemente sconfitti, e il campo di battaglia è lasciato alla miscredenza. Se il bisogno di fede non avesse obbligato molti a chiudere i propri occhi alle incoerenze di una religione accettata solo perché sarebbe stato impossibile farne a meno, e se lo stesso bisogno non avesse spinto anche coloro che non credono seriamente alla religione a continuare ad aggrapparsi a quanto accettato in precedenza, la miscredenza avrebbe da lungo tempo conquistato il campo.

Poiché il conflitto tra le confessioni occidentali è stato condotto sul terreno del razionalismo, non si può neppure dire che la fede sia stata il suo reale soggetto. Le credenze e le convinzioni, per quanto sincere o appassionate, devono ancora meritarsi il nome di fede. Nondimeno, come soggetto di studio questo conflitto è straordinariamente interessante e profondamente istruttivo. Le caratteristiche delle parti vi sono definite chiaramente.

Una critica che è seria ma arida e imperfetta; un'erudizione che è ampia ma insostanziale a causa della sua mancanza di unità interiore; una retta e sobria moralità degna dei primi secoli della Chiesa, combinata con una ristrettezza di visione fissata nei limiti dell'individualismo; ardenti esplosioni di sentimento nei quali sembra di udire una confessione di debolezza e di scarsa speranza di ottenere mai un'espiazione; una costante mancanza di profondità, a malapena mascherata da una nebbia di misticismo arbitrario; un amore per la verità combinato con un'incapacità di comprenderla nella sua realtà; in una parola, il razionalismo nell'idealismo: tale è il fato dei protestanti. Un'ampiezza di visione che è larga abbastanza, ma piuttosto insufficiente per un vero cristianesimo; un'eloquenza brillante ma troppo spesso guastata dalla passione; un portamento maestoso ma sempre teatrale; una critica quasi sempre superficiale, che afferra le parole e non va a fondo nel loro significato; una presentazione illusoria di unità, con assenza di unità vera; una certa peculiare povertà di bisogno religioso, che non osa mai alzare lo sguardo verso livelli superiori ed è sempre pronta ad accontentarsi di soddisfazioni a buon prezzo; una certa profondità ineguale, che nasconde le sue superficialità in nuvole di sofismi; un cordiale e sincero amore per l'ordine esteriore combinato con una certa indifferenza per l'ordine interno, vale a dire la verità; in una parola, il razionalismo nel materialismo: questo è il fato dei latinisti. Non intendo certo accusare tutti gli scrittori di questa parte di falsità deliberata, o dire che nessuno dei suoi oppositori merita lo stesso rimprovero; ma la propensione di parte papista per i sofismi, il suo sistematico farsi da parte di fronte alle obiezioni reali, la sua simulata ignoranza (che è divenuta infine una regolare abitudine di distorsioni testuali, omissioni, e inesattezze di citazioni), tutto ciò è così ben noto da essere fuori questione. Poiché non desidero, comunque, limitarmi a semplici asserzioni in un'accusa tanto importante, ed essendomi imposto la regola di non citare mai fatti che siano in certo modo dubbi, ricorderò ai miei lettori la questione a lungo trascinata delle False Decretali, sulle quali poggiò la teoria della supremazia papale fino a quando la credenza divenne così tanto radicata che fu possibile rimuovere i falsi appoggi; menziono anche il falso atto di donazione che ha formato la base per il potere temporale del primate romano; e l'innumerevole serie di edizioni deliberatamente mutilate dei santi padri. Vicino ai nostri tempi, menziono il fatto che l'opera di Adam Zernikavius, nella quale è dimostrato che tutte le testimonianze tratte dalle opere dei santi padri a sostegno dell'aggiunta al Credo sono intenzionalmente alterate o travisate, rimane ancora incontestata. Spostandoci infine ai nostri tempi, menziono gli scritti dell'eloquente proto-sofista Conte de Maistre (7), e la notevole opera di Newman ("Sullo Sviluppo della Dottrina Cristiana"). (8) Si dovrebbe notare che quest'ultimo autore fu invero scrupoloso fintanto che professò l'anglicanesimo, ma dopo essersi convertito al romanesimo per scrupolosità (così presumo), soffrì di un'improvvisa mancanza di scrupoli. Comunque, nel segnalare la falsità che contrassegna sempre la polemica romana, non desidero in alcun modo condannare troppo aspramente gli scrittori che vi hanno preso parte, e non mi soffermerò sulla questione dell'ampiezza della loro responsabilità morale.

Né gli scrittori ortodossi né i difensori del protestantesimo sono immuni da rimprovero in questa materia, anche se occasioni di giuste lamentele si incontrano molto meno frequentemente tra di loro che tra i latinisti, e il grado di colpa personale è ben lungi dall'essere lo stesso. Una falsità proveniente dalla penna di uno scrittore ortodosso è un'assurda infamia, che danneggia decisamente la causa che questi si accinge a difendere; nel caso di un protestante, una falsità è un'assurdità colpevole e allo stesso tempo priva di profitto; ma per il romanista, la falsità è una necessità, e fino a un certo punto scusabile. La ragione di questa differenza è chiara. La falsità è essenzialmente opposta all'ortodossia, così come alla verità. Nel protestantesimo, il regno della ricerca della verità, la falsità è semplicemente fuori luogo. Nel romanismo invece, l'insegnamento che nega il proprio principio radice, la falsità è inevitabile. Qui vi è la fonte reale di quella corruzione morale che, nella confessione romana, perverte le menti più brillanti e getta discredito sui più nobili intelletti (ci basta ricordare il notevole caso di Bossuet).

L'esaurimento morale delle due parti diviene sempre più apparente con il passare del tempo. Un terrore di fronte al pericolo comune sta sopraffacendo le sette razionalistiche dell'Occidente: il papismo e la riforma. Esse continuano a combattersi l'una con l'altra (non sono in grado di fermarsi) ma hanno perso ogni speranza di vittoria, avendo riconosciuto più o meno chiaramente le loro debolezze interne. La mancanza di fede cresce dinanzi a loro, non quella mancanza di fede dei potenti, dei ricchi e dei colti che ha caratterizzato il diciottesimo secolo, ma la mancanza di fede delle masse, lo scetticismo dell'ignoranza. Tali sono i figli legittimi del palese o celato razionalismo che si è spacciato per fede nel mondo europeo per centinaia d'anni.

Ho compiuto il mio dovere. Ho difeso la Chiesa contro false accuse, che non considero tuttavia calunnie deliberate. Per rendere comprensibile la mia confutazione ho dovuto spiegare le caratteristiche dell'ortodossia e dello scisma occidentale, che non è altro che razionalismo camuffato, e presentare il problema religioso contemporaneo nella luce in cui esso ci appare. Come ho detto all'inizio, non ho cercato di glissare sulla mia ostilità di pensiero con un'affettata moderazione di termini. Ho presentato audacemente l'insegnamento della Chiesa e la sua attitudine verso le differenti forme dello scisma. ho apertamente espresso la mia opinione sul conflitto tra le sette. Oso sperare, comunque, che nessuno mi accusi di malizia o di conscia ingiustizia.

Ripeto: ho compiuto il mio dovere rispondendo alle accuse mosse contro la Chiesa: non solo il mio dovere nei confronti della Chiesa, ma ancora di più nei vostri confronti, lettori e fratelli, che siete sfortunatamente stati separati da noi per un errore che sorse in età da lungo tempo passate. Nessun tipo di paura, né alcun tipo di calcolo, ha trattenuto la mia penna, né ho scritto per qualche speranza di profitto.

Lettori e fratelli! Un'eredità rovinosa è giunta fino a voi dall'ignoranza e dal peccato di età passate, embrione di morte; e voi ne soffrite la punizione senza esserne direttamente responsabili, poiché non avevate una comprensione definita dell'errore in essa implicato. Voi avete fatto molto per l'umanità nella scienza e nell'arte, nella legge costituzionale e nella civilizzazione dei popoli, nella realizzazione pratica del significato della verità e nella realizzazione pratica dell'amore. Più ancora, avete fatto tutto quanto potevate per l'uomo in rapporto con Dio, predicando Cristo a popoli che mai avevano udito prima il Suo Nome divino. Vi vadano tutti gli onori e i ringraziamenti per i vostri incommensurabili sforzi, di cui l'umanità sta raccogliendo i frutti e continuerà a raccoglierne in futuro. Ma fino a quando continuerà a ispirarvi, questa rovinosa eredità ucciderà la vostra vita spirituale.

La cura è in vostro potere. Naturalmente, fino a che la malattia è viva nel pregiudizio popolare e nell'ignoranza dei mezzi per arrestarne la diffusione (e ciò durerà a lungo), è impossibile aspettarsi la guarigione delle masse; ma la cura è ora accessibile a singoli individui. Se qualcuno dei miei lettori è convinto della validità delle mie definizioni dell'origine dello scisma e del suo carattere razionalistico, allora lo supplico di pensarci. Se non farà che un singolo riconoscimento della verità, allora dovrà accettare tutte le conseguenze che ne derivano; se non farà che una singola confessione di errore, egli dovrà ripararvi, per quanto ciò sia possibile.

Io lo supplico di intraprendere uno sforzo morale - di strapparsi dal razionalismo, di condannare la scomunica che fu un tempo pronunciata contro i propri fratelli orientali, di respingere tutti i successivi decreti sorti da questa falsità, di accettarci nuovamente nella propria comunione con i diritti di uguaglianza fraterna, e di restaurare nella propria anima l'unità della Chiesa, in modo che con questo fatto egli possa avere il diritto di ripetere con essa "amiamoci gli uni gli altri, e in unità di spirito confessiamo il Padre, il Figlio e il Santo Spirito".

La malattia porta con sé la morte, ma la cura non è difficile: richiede unicamente un atto di giustizia. Vorrà la gente intraprendere questo sforzo, o preferirà perpetuare il regno della falsità, deludendo la propria coscienza e le menti dei propri fratelli?

Lettori miei, giudicate da voi stessi!

 

Note

(1) Parlo solo del principio, dal punto di vista della Chiesa, e non della sua applicazione, che, come ogni altra cosa nel mondo, è spesso insoddisfacente e soggetta ad abuso.

(2) Coloro che non sono familiari con i documenti di questa grande controversia consultino una biografia di Fozio, anche solo quella preparata dal gesuita Jaeger. Quest'opera non è degna di nota per la sua scrupolosità, ma contiene documenti importanti. Mi si lasci aggiungere: la legalità di un caso non dipende dalla scrupolosità dei suoi avvocati; per di più, nel caso presente, la coscienza del papa - in qualità di artefice di documenti falsi - era ben difficilmente più limpida di quella del patriarca - in qualità di usurpatore del trono episcopale.

(3) Alcuni asseriscono che l'infallibilità papale è data alla Chiesa come una sorta di ricompensa per la sua unità morale. In che modo, dunque, essa potrebbe essere rincompensata dell'insulto che le porta l'intera Chiesa orientale? Altri dicono che l'infallibilità sta nell'accordo tra la decisione del papa e quella della Chiesa intera riunita in concilio, o persino non riunita di fatto in concilio. Com'è stato dunque possibile accettare un dogma non soggetto a un esame preventivo e neppure comunicato a tutta una metà del mondo cristiano? Nessuna di queste variazioni regge a un esame serio.

(4) Non è quasi necessario provare che l'apostolo Giacomo è male interpretato in questa citazione. Egli sta ovviamente assegnando il nome "fede" alla conoscenza; ma questo non significa certamente che sta identificando l'una con l'altra. Egli desidera mostrare in questo modo la completa illegittimità di ogni pretesa che la conoscenza possa avere al nome di "fede" quando di fatto non ha i segni distintivi della fede.

(5) Enciclica datata 6 Maggio 1848.

(6) Questa era la convinzone del grande Marco di Efeso, che al Concilio di Firenze richiese che il Credo fosse riportato alla sua purezza originaria, e che l'inserzione fosse dichiarata un'opinione al di fuori della formula del Credo. Escluso dalla lista dei dogmi, l'errore sarebbe diventato innocuo. Questo era ciò che Marco voleva, lasciando l'effettiva correzione dell'errore alla provvidenza di Dio. Così l'eresia sarebbe stata rimossa e la possibilità di comunione restaurata. Ma l'orgoglio del razionalismo non ha ancora permesso a Roma di arrivare a questo punto.

(7) Si confronti l'argomentazione in difesa del romanismo che De Maistre trae dalle opere di Sant'Atanasio: "Il mondo intero," dice Sant'Atanasio agli eretici chiama Chiesa Cattolica la vera Chiesa. Questo è sufficiente a provare che voi siete eretici." "Ma qual'è la chiesa," chiede De Maistre, "che tutta l'Europa chiama cattolica? La Chiesa di Roma. Di conseguenza tutte le altre chiese sono in scisma." Ma sicuramente Sant'Atanasio parlava ai greci, che comprendevano chiaramente il significato della parola "cattolico" (come "diffuso in tutto il mondo", "ecumenico"), cosicché la sua argomentazione aveva piena forza. Ma, chiedo io, che cosa prova questo nel caso dell'Europa moderna, in cui il termine ha perso ogni significato? Si provi a chiedere della chiesa diffusa in tutto il mondo o ecumenica in Inghilterra, in Germania, o soprattutto in Russia, e si ascoltino attentamente le risposte!

(8) In quest'opera Newman supplementa la teoria di Moeller sul graduale perfezionamento e sviluppo della Chiesa. "Tutta la sua dottrina," egli dice, "era implicitamente contenuta nel suo insegnamento originario, e da questo è stata gradualmente sviluppata, o più esattamente, ha acquisito gradualmente una chiarezza di espressione logica. Così è stato con il dogma di base della Trinità, così pure per la dottrina della supremazia papale nelle questioni di fede, e così via." In tal modo Newman pretende di non avere mai sentito parlare dell'apostasia di Papa Liberio, o della condanna di Papa Onorio da parte di un Concilio Ecumenico, e dell'accettazione di questa condanna da parte di tutto l'occidente. Ciò che qui importa non è tanto il fatto che Onorio abbia sbagliato, né importa se ciò sia stato provato o no; quello che importa è che un Concilio Ecumenico abbia riconosciuto la possibilità della fallibilità papale, cosa che Newman non poteva non sapere. Così la dottrina dell'infallibilità non è uno sviluppo della dottrina ecumenica, ma la sua diretta contraddizione. Il silenzio dell'autore e la sua pretesa ignoranza su questo punto non sono altro che una menzogna a faccia aperta.

 

 
Come riconoscere i santi apostoli nelle icone

Le icone sono dipinte come finestre sul cielo, e quindi per mostrare una realtà celeste, piuttosto che una terrena. Tuttavia, si fanno icone delle persone che amiamo: degli eroi della fede che vengono ricordati e le cui vite terrene sono considerate istruttive e degne di imitazione. Perciò è naturale che, oltre a essere descritti in maniera stilizzata "spirituale", i santi siano anche raffigurati come persone riconoscibili, con caratteristiche distinte. Questa guida è solo una breve descrizione di come i santi apostoli sono raffigurati nelle icone, in modo che possano essere più facilmente riconosciuti quando si incontrano in chiese, monasteri, o dovunque altro si trovi un'icona.

San Pietro Apostolo

Leader focoso e impulsivo dei dodici, Pietro è facilmente riconoscibile per i suoi capelli ricci e la barba bianchi e corti. È spesso mostrato in possesso di un rotolo, che può avere scritte su di esso parole prese da una delle sue epistole. In alcune icone può essere raffigurato anche con le chiavi appese alla cintura, un riferimento alle parole che Gesù gli disse: "E io ti darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che avrai legato sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che avrai sciolto sulla terra sarà sciolto nei cieli". Si trova spesso nelle icone assieme a san Paolo, dato che sono stati entrambi martirizzati a Roma, insieme a lui regge la Chiesa, e mostra la condivisione della loro preminenza tra gli apostoli.

San Paolo Apostolo

Anche se non è uno dei primi Dodici, san Paolo è sempre stato conosciuto come un apostolo (che letteralmente significa "colui che è inviato"), e per di più un leader degli apostoli. Come tale, egli è spesso raffigurato sulle icone degli apostoli, compresa quella in cima a questa pagina. Paolo è sempre raffigurato con i capelli castani e la barba che si assottiglia a una o due punte. È stempiato, con la fronte alta (indice di grande saggezza e di apprendimento), ma con un ciuffo di capelli castani al centro. È spesso rappresentato con un grande libro del Vangelo, un'affermazione del numero di epistole con cui ha contribuito a quello che è diventato il Nuovo Testamento. Inoltre, l'evangelista Luca era un medico che ha seguito san Paolo nei suoi viaggi missionari, quindi è giusto dire che Paolo può anche avere avuto un influsso sul Vangelo di Luca e sul libro degli Atti.

San Giovanni il "discepolo amato", o san Giovanni il Teologo

Ci sono due raffigurazioni comuni dell'apostolo Giovanni: come "discepolo amato" e come "il Teologo". La prima icona è del giovane apostolo Giovanni - il Giovanni reclinato sul petto di Cristo durante l'Ultima Cena. In ogni icona che mostra scene della vita di Cristo (per esempio la Trasfigurazione o la Crocifissione) o quelle raffigurate negli Atti degli Apostoli (per esempio l'Ascensione o Pentecoste) san Giovanni è indicato come un giovane imberbe dai capelli castani, di poco più di sedici anni di età.

Quando Giovanni è dipinto in un "ritratto", piuttosto che come parte di una scena biblica, allora egli è di solito indicato come l'anziano Giovanni "il Teologo". Questo è il Giovanni che, 60 anni o giù di lì dopo la risurrezione di Cristo, viene esiliato sull'isola di Patmos e scrive sia il Vangelo di Giovanni sia l'Apocalisse. È raffigurato con una lunga barba bianca e la fronte alta, con in mano il libro del Vangelo che gli ha portato il suo titolo "il Teologo", spesso mostrato aperto a rivelare alcuni versi dal libro. Può essere raffigurato anche con l'aquila, simbolo di Giovanni e del suo Vangelo.

San Matteo Evangelista

Come Giovanni, anche san Matteo è autore di un Vangelo, e così allo stesso modo è di solito raffigurato con un grande libro. Sia nelle icone a ritratto sia in quelle raffiguranti scene bibliche, Matteo ha una barba bianca lunga, ondulata, e capelli più corti. Come un deliberato anacronismo per aiutarne l'identificazione, può anche essere raffigurato mentre tiene in mano il libro dei Vangeli nelle icone con Cristo raffiguranti scene bibliche. Matteo volte può essere mostrato assieme a un uomo alato, il simbolo associato al suo Vangelo.

Sant'Andrea " il primo chiamato "

Andrea, il fratello di Pietro, è un ex discepolo di san Giovanni Battista. A causa di questo, Andrea è raffigurato con i capelli lunghi e spettinati, alla maniera del profeta che aveva seguito. Questo lo ha reso uno dei più riconoscibili tra gli apostoli quando è raffigurato in scene che mostrano il ministero terreno di Gesù. Andrea tiene un piccolo rotolo, non per indicare che è autore di eventuali opere famose, ma per identificarlo come un predicatore del Vangelo, "colui che è inviato", vale a dire un apostolo.

San Bartolomeo

Bartolomeo, noto anche come Natanaele, è raffigurato come un uomo di mezza età, con barba e capelli corti. È anche raffigurato mentre tiene il rotolo di un apostolo. Dopo il suo martirio, san Bartolomeo è apparso ad un certo numero di persone in visioni e sogni, dai quali il suo aspetto può essere stato dedotto. È apparso a San Giuseppe l'innografo, benedicendolo perché fosse in grado di cantare inni spirituali, dicendo: "Che l'acqua celeste della sapienza fluisca dalla tua lingua!". È anche apparso all'imperatore Anastasio I (491-518) e gli ha detto che avrebbe protetto la nuova città di Dara.

San Simone il Cananeo

Da non confondere con san Pietro, che era precedentemente chiamato Simone figlio di Giona, l'apostolo Simone era di Cana, ed è lo sposo delle famose nozze di Cana. È sempre mostrato con i capelli grigi e la barba riccia, anche se con una fronte più alta di quella di san Pietro.

San Tommaso

L'apostolo Tommaso è più notoriamente conosciuto come "san Tommaso che dubita", a causa del suo rifiuto di credere al racconto degli altri discepoli che Cristo era risorto. Spesso diffamato per questo, nell'insegnamento ortodosso si riconosce che attraverso i suoi dubbi iniziali, Tommaso è giunto a confessare Gesù Cristo come "Signore e Dio" - una confessione di fede maggiore di tutte quelle precedentemente pronunciate dagli apostoli. A volte Tommaso tiene questa confessione di fede in mano nelle icone che lo raffigurano, anche se più comunemente si tratta del rotolo che denota il suo rango di apostolo. La cosa che colpisce di più nelle icone di Tommaso è che è mostrato come un giovane imberbe, un adolescente come lo era Giovanni. Questa è una caratteristica costante di come Tommaso è mostrato nelle icone, come nell'icona di Tommaso che tocca le piaghe di Cristo. La giovinezza dell'apostolo Tommaso è una cosa degna di considerazione quando si parla dei suoi " dubbi".

San Giacomo, figlio di Zebedeo

Ci sono due apostoli di nome Giacomo. Il figlio di Zebedeo è il Giacomo spesso soprannominato "il maggiore" in Occidente. Questo è in gran parte perché tra i dodici faceva parte della "cerchia interna", che conteneva anche san Pietro e san Giovanni. L'apostolo Giovanni è anche il fratello di Giacomo, insieme erano conosciuti come i "Figli del Tuono ". Giacomo è mostrato con capelli castani e barba di media lunghezza. Anche se spesso difficile da identificare meramente a vista nelle icone dei dodici, è riconoscibile in basso a destra nell'icona della Trasfigurazione, a cui insieme al giovane Giovanni e a Pietro, Giacomo ha avuto il privilegio di assistere. È raffigurato come un uomo giovane (barba corta, non bianca) in tutte le icone, poiché non ha avuto modo di vivere fino a tarda età, essendo martirizzato poco più di 10 anni dopo la risurrezione.

San Giuda Taddeo

Giuda è talvolta chiamato anche Levi o Taddeo. Tuttavia, non deve essere confuso con l'apostolo Matteo (chiamato anche lui "Levi"), con san Taddeo, uno dei settanta discepoli di Gesù, e soprattutto con Giuda Iscariota. L'autore della Lettera biblica che porta il suo nome, il "rotolo dell'apostolo" in mano sua a volte può mostrare una citazione dal suo testo. In caso contrario, san Giuda è identificato come un uomo maturo con barba e capelli ricci e castani (a volte grigi). Poiché era legato a Gesù Cristo per mezzo di Giuseppe, sposo di Maria, l'appellativo "fratello del Signore" ("adelphos" in greco) può essere trovato sulle icone.

San Giacomo di Alfeo

Figlio di Alfeo e fratello dell'apostolo Matteo, Giacomo viene mostrato con capelli castani mossi o ricci e una barba a punta. Non deve essere confuso con san Giacomo "adelphos", che significa "fratello" (del Signore). Nell'iconografia, gli apostoli di nome Giacomo sono facilmente distinguibili, perché il "fratello del Signore" è sempre indicato nelle vesti di un vescovo, essendo il primo vescovo di Gerusalemme. Ecco un'icona di Giacomo adelphos:

San Filippo

La santa Tradizione e le scritture sostengono che l'apostolo Filippo era ben versato nelle profezie dell'Antico Testamento, e attendeva con zelo la venuta del Salvatore. Ha risposto immediatamente alla chiamata di Gesù, e lo ha riconosciuto come il Messia (Gv 1,43), e in seguito ha portato Natanaele (l'apostolo Bartolomeo) a diventare anche lui un seguace di Gesù. Pertanto è notevole venire a contatto con le icone dell'Apostolo Filippo - che è sempre raffigurato come giovane imberbe. Così come la giovinezza di Tommaso, è un dato degno di considerazione.

San Mattia

Mattia è il discepolo di Cristo che ha sostituito Giuda Iscariota tra i dodici apostoli dopo il tradimento e il suicidio di quest'ultimo. Il suo aspetto nelle icone è del tutto in linea con ciò che si sa di lui. Istruito nella legge dal profeta Simeone, che aveva ricevuto il Cristo bambino nel tempio, Mattia era già un uomo maturo prima di diventare un discepolo del Cristo adulto. Al tempo del suo martirio nel 63 d.C., Mattia sarebbe l'uomo anziano raffigurato nelle sue icone.

Giuda Iscariota

Mentre Giuda non è, ovviamente, un santo, e non è mostrato nelle icone dei "dodici", è tuttavia rappresentato nelle icone della Cena oppure mentre bacia Cristo nel giardino del Getsemani. Nelle icone della Cena è facilmente riconoscibile come quello che immerge la mano nel piatto, rivelando così il suo futuro tradimento del Signore. Spesso, gli apostoli non sono mostrati con aureole nelle scene prima della Pentecoste, ma inutile dire che quando sono mostrati con aureole, Giuda si distingue per il fatto di non averne una.

Per quanto la cosa può valere - e può non valere niente - nell'iconografia ortodossa Giuda è quasi sempre mostrato imberbe, come Giovanni, Filippo e Tommaso, quindi, come loro, forse era ancora un adolescente, nel momento in cui ha tradito il suo Salvatore.

 
L'Ortodossia e le vie a Dio

"In principio era il Verbo

e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.

Questi era in principio presso Dio.

Tutto fu fatto per mezzo di Lui, e senza di Lui

assolutamente nulla fu fatto di ciò che è stato fatto.

E il Verbo si fece carne ed abitò tra noi."

Giov. 1: 1.3; 14

1 LA CADUTA

Se osservata superficialmente, l'icona della Natività di Cristo assomiglia ai presepi occidentali. Ma ad un osservatore più attento appaiono delle differenze. Come nel presepio c'è il Bambino, la Santa Vergine, i pastori.., ma: dov'è S. Giuseppe? Non è al centro della scena, con la Vergine e il Bambino, ma piuttosto in un angolo. E l'espressione del Santo non è radiosa, come nelle rappresentazioni occidentali, ma mostra piuttosto una profonda preoccupazione. Vicino a lui c'è un'altra persona, china su di un bastone. La scritta su quest'ultimo dice il pastore, ma questo pastore non ha l'espressione di meraviglia e di adorazione degli altri pastori dell'icona. Appare piuttosto astuto e malvagio. Cosa vuoi dire tutto ciò? La risposta è nei Vangeli apocrifi. In alcuni di essi è scritto che il Demonio prese le sembianze di un pastore per tentare S. Giuseppe con le seguenti parole: Come questo bastone non può produrre foglie e fiori, così un vecchio non può procreare e una vergine non può partorire. S. Giuseppe è profondamente turbato.

Questa icona è di grande attualità. S. Giuseppe simboleggia l'uomo moderno tentato dal pastore che gli dice che non esiste altro che ciò che è naturale; tutto il resto è fantasia1. Siamo sempre a confronto con questa posizione. Il Principe di questo mondo può prendere le sembianze di un pastore, di un annunciatore televisivo, di un giornalista o di uno scrittore. Tutto ciò che ci circonda tende a dimostrarci che l'unica realtà è quella materiale, e che questa è l'unica cosa che in realtà conta. Ma noi conosciamo la risposta di S. Giuseppe. Si trova nell'Inno Acatisto: Sconvolto interiormente da una tempesta di dubbi, il prudente Giuseppe rimase turbato. Ma quando apprese che il tuo concepimento era opera del Santo Spirito, gioiosamente cantò: Alleluia!

Il Cristianesimo occidentale a un. certo punto della sua storia cedette alla tentazione del pastore. Il risultato è stato una diminuzione d'interesse in ciò che è divino nell'uomo, e un incremento d'interesse per ciò che è umano, come le necessità fisiche. In molte chiese Anglicane ho visto in questi giorni un agghiacciante manifesto: la frase "Noi crediamo nella vita prima della morte..." invitava i fedeli ad aiutare il terzo mondo. E' ovvio che aiutare i bisognosi è uno dei doveri basilari del Cristiano, ma comunque è un dovere derivato dal dovere principale, che resta sempre l'amore per Dio. Così, nella moderna antropologia occidentale si può vedere uno sbilanciamento a favore dell'umanità. Poiché l'uomo è immagine di Dio, questo sbilanciamento nasce dalla perdita nella pratica religiosa del perfetto equilibrio tra la Divinità e l'Umanità del Cristo. L'aver cessato di applicare il pensiero dei Padri di Calcedonia ha portato ad una forma di neo-nestorianesimo2 che ora pervade tutto l'Occidente.

Alcuni esempi per mostrare quanto nei fatti è nestoriano l'Occidente. Se avete amici Romano-cattolici o Protestanti, provate a chieder loro se sia più corretto chiamare la Vergine Maria Madre di Dio o Madre di Cristo. Nove persone su dieci vi risponderanno che Ella è la Madre di Cristo perché Dio non ha madre. Questo è nestorianesimo puro, e, non è un caso che due recenti papi, Paolo VI e Giovanni Paolo II, in encicliche sulla Beata Vergine, hanno spesso usato il termine Madre di Cristo3. Proprio la formula così severamente condannata dai Padri ad Efeso.

Questo è il vero problema dell'Occidente e della sua secolarizzazione, perché la frattura tra l'Umanità e la Divinità nel Cristo ci dà un'antropologia totalmente sbagliata. Le origini di questo errore stanno nel Filioque4. Quest'aggiunta al Credo è il frutto di una teologia che genera confusione tra il Padre e il Figlio. Come risultato, se non in teoria, ma senz'altro nella pietà quotidiana, il Cristo risulta spaccato in due: il Logos5, privato dell'umanità, viene risucchiato nei cieli e diventa sempre meno distinguibile dal Padre; l'Uomo, privato della Divinità, rimane sulla terra. Tutto ciò non è altro che nestorianesimo. E il Santo Spirito, invece di essere Colui che vive ed opera nella Chiesa, diventa un oscuro meccanismo nelle relazioni tra il Padre e il Figlio nella Trinità. Difatti oggi in Occidente il Santo Spirito viene ridiscoperto, anche se in modo erroneo. In questa maniera l'unità di Dio viene sovraccentuata, mentre la triade diventa più evanescente: un paio di secoli dopo l'ingresso ufficiale del Filioque nella Chiesa Romana, Tomaso d'Aquino sostituirà il dio di Aristotele, il cosiddetto Motore Immobile, al Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, cioè alla vivifica Triade. E' il trionfo dell'elucubrazione filosofica sopra la rivelazione.

In altri termini, questa teologia fornisce un'idea sbagliata dell'Incarnazione. Come risultato, in Occidente, il termine Dio oggi il più delle volte indica un'entità astratta, più o meno identificata col Padre, mentre il Figlio non è più sentito come il Dio Creatore (Tutto fu fatto per mezzo di Lui, e senza di Lui assolutamente nulla fu fatto di ciò che è stato fatto - Giov. 1: 3), ma solo come un Uomo speciale. Tutta la spiritualità Romano-cattolica fin dal medioevo è basata su ciò. E oggi diversi pensatori anche cristiani ritengono più corretto e moderno riferirsi al personaggio storico Yowshua ben-Yowseph6 anziché al Logos Incarnato, dimenticando o ignorando l'inscindibilità calcedonese dell'Uomo dal Dio.

Così nasce la spiritualità francescana, tutta volta a presentare agli uomini l' uomo Gesù Cristo. Di qua la spiritualità dell'uomo che soffre, il fatto che il Venerdì Santo è sentito più della Pasqua, perché tutto il sentimento è concentrato sull'umanità di Gesù, e non sulla sua divinità. Centinaia di martiri hanno sofferto anche più di Gesù Cristo nel corpo, così che Egli senz'altro non è l'essere umano che abbia provato in assoluto i dolori più terribili. Il vero significato della passione deve essere visto nella kenosis, lo svuotamento della Divinità di Cristo (Filipp. 2:7). Ed è proprio questo svuotamento che ha causato in Gesù Cristo un dolore infinito, un dolore cosmico che incorpora e trascende ogni dolore dell'umanità. In questo senso, e non nel senso dei dolori fisici di Yowshua ben-Yowseph, il Logos di Dio Incarnato ha sofferto più di ogni altro essere umano.

Da qui l'origine degli enormi problemi della società contemporanea:la crisi morale dell'Occidente, la scomparsa dei valori, la secolarizzazione, e tutti i problemi collegati nella società civile. Questi fenomeni procedono in parallelo, nella società religiosa, dal processo in atto della trasformazione del Cristianesimo da una religione rivelata a una filosofia sociale. Noi, gli Ortodossi, abbiamo la risposta. Oggi dobbiamo dire all'Occidente: "Ascoltate! Avete perduto qualcosa. Ricominciamo da capo. Fatevi mostrare da noi dov'è il problema". Questa è la vera carità cristiana, questo è il vero ecumenismo. Richiamo una profezia di S. Serafino di Sarov. Egli aveva predetto quanto sarebbe accaduto in Russia, nonchè il fatto che le sue reliquie sarebbero scomparse per un po'; aggiunse però che quando queste sarebbero state ritrovate, la Russia sarebbe divenuta il faro dell'Ortodossia in Occidente. Io spero e credo che questo è il momento. Qual'è la risposta che gli Ortodossi possono dare ai problemi del mondo Occidentale? E': abbandonate il vostro cripto-nestorianesimo. Tornate a Calcedonia, al Concilio che ha detto l'ultima parola su ciò che bisogna credere sull'incarnazione: Gesù Cristo, l' Unigenito Figlio di Dio deve essere confessato in due nature, senza confusione, senza cambiamento, senza divisione, senza separazione... Unito in un unica Persona e un unico individuo, non separato o diviso in due persone, ma uno e lo stesso Figlio, Unigenito, Dio il Logos, nostro Signore Gesù Cristo7. Tutto il problema dell'Occidente è sull'incarnazione, e sull'incarnazione tutto è focalizzato. Nella prima lettera di S. Giovanni è scritto: Carissimi, non vogliate credere a ogni spirito, ma esaminate gli spiriti per conoscere se sono da Dio, poiché molti falsi profeti sono venuti nel mondo. Da questo voi conoscete lo spirito di Dio: ogni spirito che confessa Gesù Cristo venuto nella carne è da Dio. (I Giov. 4: 1-2).

La corretta fede nell'incarnazione proviene da Dio. Ogni errore in essa allontana da Lui. Così la base di un'antropologia cristiana deve essere vista alla luce di Calcedonia, e non con la schizofrenica distinzione che l'Occidente di solito opera tra il corpo e lo spirito. L'uomo va visto come integrazione di corpo e di spirito, e non come una semplice somma dei due. Come in Gesù Cristo, in cui l'umanità e la divinità non sono confuse, e tuttavia non sono separate.

2 LA PASSIONE

Il problema della secolarizzazione è strettamente collegato con quello dello scienziato a confronto con la religione. Oggi la gente è sempre più influenzata dalle scoperte della scienza, e la tendenza volge al credere che una mentalità scientifica debba essere secolare. Tutt'al più molti, inconsapevoli seguaci del Marchese de Laplace, concedono la vaga esistenza di un Creatore, che tuttavia non interviene nelle faccende della sua creazione. Perfino coloro che non posseggono una cultura scientifica pensano che sia molto scientifico seguire questo indirizzo (anche se seguire una teoria senza averla prima studiata a fondo non è per nulla scientifico).

Prima di discutere il problema della scienza e della religione, è importante richiamare alcuni punti della dottrina di S. Gregorio Palamas.

Uno dei suoi insegnamenti, basato sulla tradizione dei Padri, riguarda quella che molti secoli dopo è stata chiamata "la teologia dei fatti"8. Secondo S. Gregorio, in Dio vi sono aspetti che sono tutti veri, anche se all'apparenza sembrano contraddittori. Il motivo è che quando ci avviciniamo alla Divinità, arrivati a un certo punto non possiamo più spiegare in termini razionalistici quanto ci è stato rivelato. Così, spesso possiamo osservare due aspetti della stessa realtà che noi sappiamo per rivelazione essere entrambi veri, ma di cui non vediamo la correlazione, perché questa sta al di là della nostra comprensione. L'unità di Dio e la Sua trinità, è un esempio; i termini del dogma di Calcedonia, sul problema di come nella persona di Gesù Cristo l'umanità e la divinità sono unite ma non confuse, è un'altro. Questa maniera di ragionare, che è stata disprezzata per secoli dai pensatori occidentali9, è stata sorprendentemente adottata dalla scienza negli ultimi anni, ed è parte essenziale del ragionamento della fisica teorica. Se noi chiediamo a un fisico di parlarci del fotone10, ci dirà che questa particella è allo stesso tempo un corpuscolo e un'onda. Questo forse vuol dire che un fotone si trasforma di continuo da corpuscolo ad onda e viceversa? Neanche per sogno. E' allora un corpuscolo che si muove ondeggiando? Neanche.

La risposta è che se noi esaminiamo alcune delle sue caratteristiche fisiche con certi strumenti, il fotone si comporta come un corpuscolo, e invece se si misurano altre caratteristiche, con altri strumenti, si comporta come un'onda. Lo stesso avviene con l'elettrone11. Ma come possono queste particelle essere due cose (apparentemente) inconciliabili allo stesso tempo? Questo è contrario alle leggi del pensiero occidentale fin dai tempi di Aristotele12! Ma noi sappiamo che è vero perché tutte le evidenze sperimentali e tutte le equazioni matematiche ci dicono che è così. Ma anche se è così, tuttavia non possiamo immaginarci come, perché questa realtà è al di là della nostra comprensione. Così, accettando che il campo della nostra conoscenza è limitato, come provato dall'evidenza, immaginiamocelo come l'interno di un cerchio; la circonferenza lo limita, e niente che stia al di fuori può essere capito. Ora immaginiamo che qualcuno prenda un oggetto a forma di C, come la lama di una falce, e la ponga ai limiti della nostra conoscenza, in modo che solo le estremità attraversino la circonferenza, e la parte rimanente resti fuori. In questo caso vedremo le due estremità della stessa falce come due oggetti distinti, e non potremo immaginare che sono parte dello stesso oggetto, perché la parte che li unisce è fuori del campo della nostra conoscenza. In questa maniera la struttura di onda e quella di corpuscolo del fotone appaiono distinte, ma tuttavia sono due aspetti della stessa realtà; l'intero non viene colto dal nostro comprendonio perché è al di fuori di esso. Ora, se realtà fisiche, come fotoni ed elettroni, che appartengono interamente al mondo materiale non possono essere comprese in modo estensivo, cosa ci aspettiamo dalla realtà di Dio che è ben più lungi da noi di un fotone o di un elettrone? Possiamo procedere allo stesso modo, e affermare che l'unità e la trinità di Dio sono due aspetti della stessa realtà, che non possiamo afferrare nella sua interezza, ma solo in ciò che raggiunge la nostra conoscenza.

S. Gregorio Palamas dalla scoperta del doppio aspetto della stessa realtà procede ulteriormente nel suo pensiero. Un punto che è di estrema importanza per uno scienziato è la distinzione in Dio tra essenza ed energie. Un problema che imbarazza da secoli i teologi occidentali è che se Dio è ovunque e ogni cosa ricolma, questo significa che anche la creazione fa parte di Dio. Di contro, se la creazione non è parte di Dio, bisogna ammettere che Dio è limitato. Nel primo caso si parla di un Dio immanente, nel secondo di un Dio trascendente. La tradizione cristiana ci insegna che Dio è trascendente, e che noi, creature, non facciamo parte di Lui. Allora Dio è limitato? Assolutamente no. Egli è illimitato. L'Occidente non è mai stato capace di trovare una risposta soddisfacente a questo problema, assume che Dio è totalmente trascendente, ma non risolve il problema delle conseguenze. Questo stesso problema, sotto una diversa formulazione, sull'Onniscienza di Dio e il libero arbitrio umano è stato alla base della Riforma Protestante. Non sarà mai risolto nei termini in cui è posto, perché i Protestanti e i Romano-cattolici partono dalle due opposte premesse, usano le stesse categorie, e le due opposte conclusioni non potranno mai conciliarsi.

S. Gregorio Palamas opera la distinzione tra l'essenza di Dio e le Sue energie. L'essenza di Dio è trascendente e nessuno è in grado di percepirla. Solo ciò che è stato rivelato può raggiungerci. Ma Dio parla agli uomini; il Logos di Dio si è fatto uomo e il Santo Spirito dimora nella Sua Chiesa. Noi partecipiamo di Lui nell'Eucaristia e negli altri Misteri. Tutto ciò può avvenire mediante le Energie di Dio. L'intera creazione è stata fatta mediante le energie di Dio. Le energie divine possono essere partecipate dal pensiero umano, anche se fino a un certo punto. Dio è pertanto sia trascendente che immanente. E' trascendente nella sua essenza, ed è immanente nelle sue energie. Questa realtà suprema risolve tutti i dilemmi dei pensatori.

Come dicevo prima, dall'Illuminismo in poi il progresso della scienza è andato di pari passo con la diminuzione della fede in Dio, al punto che molti pensano che scienza e cristianesimo siano incompatibili.

In realtà, scienza e cristianesimo SONO incompatibili, se per cristianesimo si intende "cristianesimo occidentale".

La teologia occidentale, come pure la pietà, è basata sull'approccio razionale a Dio sviluppato nel medioevo dai teologi della Scolastica13. L'approccio razionale ai misteri di Dio è un'altra disastrosa conseguenza del cripto-nestorianesimo occidentale, perché l'accento sull'umanità di Cristo giustifica l'umano ragionamento per accostarsi a Lui.

E' vero che in tempi recenti (dopo il Vaticano Il nella Chiesa Cattolico-romana, e un po' prima in alcune denominazioni Protestanti) sono state portate avanti alcune idee prese in prestito dalla teologia Ortodossa, se non addirittura da ambienti non cristiani. in ogni caso, quest'operazione di "make-up" è stata solo superficiale, e non ha influenzato il nucleo profondo che rimane ancora fermamente ancorato alla scolastica14.

Per uno scienziato moderno, questi approcci razionali a Dio sono un nonsenso. Il primo argomento di Tomaso d'Aquino, l'esponente più eminente della Scolastica, era che se tutto è in moto, è necessario ipotizzare un motore immobile (Dio) che in origine ha creato il moto e che continua a mantenerlo. Newton distrusse questo argomento dimostrando (primo principio della dinamica) che la necessità di una forza per mantenere il moto è una situazione particolare dovuta all'attrito. In assenza di attrito, come nel caso dei corpi celesti, non c'è bisogno di alcun motore per mantenere il movimento. Uno stato iniziale di movimento, poi, ha le stesse probabilità di esistere di uno stato inizialmente fermo.

La meccanica quantistica ha distruttò il secondo e più importante caposaldo della scolastica: il principio di causalità. Secondo questo principio ogni effetto deve avere una causa, e pertanto una causa incausata (Dio) deve essere stata all'origine di tutto. Il principio di incertezza di Heisenberg, su cui è stata sviluppata la meccanica quantistica, dimostra che è possibile l'esistenza di effetti senza una causa. E' interessante notare che questi due argomenti sono stati largamente sfruttati dagli scomparsi regimi marxisti-leninisti per mettere in imbarazzo i credenti.

In realtà è impossibile trovare una dimostrazione razionale dell'esistenza (o della non esistenza) di Dio. infatti provare l'esistenza (o la non esistenza) di Dio vuol dire porre sullo stesso piano le dùe tesi Dio-si' e Dio-no, e dimostrarne una. Ma per dimostrare qualcosa è necessario porre un ragionamento al di sopra delle tesi. Nel caso di Dio questo è impossibile, perchè nessun pensiero si può porre al di sopra di Lui. Pertanto l'approccio razionale a Dio è l'errore principale della teologia Occidentale. Al contrario, un enorme sacrificio viene richiesto alla mente umana che vuole discutere di Dio: la kenosis, cioè lo svuotamento. Lasciare da parte tutte le categorie dell'intelligenza, addirittura la logica stessa è l'umiliazione suprema della mente, prerequisito per accostarsi a Dio (Ti ringrazio, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e ai saggi, e le hai rivelate ai semplici. Mt. 11: 25).

Scienza e Cristianesimo non sono inconciliabili nell'ottica Ortodossa. L'inaccessibilità dell'essenza di Dio e il doppio aspetto della verità divina comportano che non si può sviluppare una teologia in contrasto con l'evidenza scientifica. D'altro canto, quando uno scienziato ricerca, non fa altro (anche se spesso non se ne rende conto) che adorare le energie divine. Le energie di Dio sono la partecipazione di Dio nella materia, e pertanto quando si studia la materia e ci si accosta alla verità, si rende gloria alle energie di Dio. A questo punto si vede che la contrapposizione tra materialismo e spiritualismo non ha più motivo di esistere.

Una delle teorie più attuali sull'origine dell'universo è il ben conosciuto "big bang". Questa teoria è stata accolta con entusiasmo da molti teologi, soprattutto Romano-cattolici, poichè essa può implicare un Creatore. D'altronde teorie più recenti sostengono che lo spazio e il tempo possano costituire una superficie chiusa senza confini. Nelle parole di una delle migliori menti scientifiche di questo tempo, Stephen W. Hawking15:

L'idea che lo spazio e il tempo possano formare una superficie chiusa senza confini ha profonde implicazioni anche per il ruolo di Dio nelle faccende dell'universo. Col successo delle teorie scientifiche nella descrizione degli eventi, la maggior parte delle persone sono giunte a convincersi che Dio permetta all'universo di evolversi secondo un insieme di leggi e che non intervenga nell'universo per sospendere tali leggi. Le leggi non ci dicono però come debba essere stato l'universo nel primissimo periodo della sua vita: solo a Dio competeva caricare il meccanismo a orologerià e decidere come metterlo in movimento. Finchè l'universo ha avuto un inizio, noi possiamo sempre supporre che abbia avuto un creatore. Ma se l'universo è davvero autosufficiente e tutto racchiuso in se stesso, senza un confine o un margine, non dovrebbe avere nè un principio nè una fine: esso, semplicemente, sarebbe. Ci sarebbe ancora posto, in tal caso, per un creatore?

Questo brano è molto importante perchè rivela la tragedia dello scienziato confrontato con una formazione di base di cristianesimo occidentale. Se lo si legge attentamente, si delinea ben chiaro il solito profilo della teologia occidentale: il principio di causalità e la totale trascendenza di Dio. Se si abbandonano queste categorie e si ragiona in termini della teologia palamita, si concluderà che la teoria della superficie chiusa senza confmi è perfettamente in accordo con un universo in cui le energie di Dio siano immanenti. Oserei addirittura pensare che come azione operativa delle energie creatrici di Dio io mi aspetto più qualche cosa come la superficie chiusa senza confini piuttosto che il più "semplice" big bang. In principio Dio creò il cielo e la terra. Ed Egli creerà nuovi cieli e una nuova terra (Is. 65:17; Apoc. 21:1). L'immanenza delle energie di Dio nella materia implicano la continuità della creazione.

La scomparsa della contrapposizione tra materialismo e spiritualismo è rivelata anche da un altro aspetto della fede Ortodossa: l'atteggiamento verso il miracolo.

Un pensiero religioso che vede soltanto il Dio trascendente e ignora la realtà delle Sue energie comporta o che i miracoli non esistono del tutto, o che, se esistono, sono eventi talmente stupefacenti da meritare la prima pagina dei giornali. Per gli Ortodossi gli eventi miracolosi sono invece parte della vita. Pigliamo, per esempio i miracoli (se pure miracoli sono) di Lourdes o di Fatima. Mi piacerebbe sapere se c'è un solo Romano-cattolico che ignori che cosa sono Lourdes e Fatima. Di contro, prendiamo il miracolo pasquale del fuoco santo a Gerusalemme16 un enorme numero di Ortodossi non ne ha mai sentito parlare! L'atteggiamento occidentale verso il miracolo in realtà è incredulità. I miracoli sono normali per una natura che ha ricevuto la deificazione.

3 LA RESURREZIONE

Tutti questi esempi li ho dati per mostrare quanto lungi portano le conseguenze di una visione erronea dell'Incarnazione. In Occidente il processo di secolarizzazione ha totalmente capovolto i termini. L'eccessiva importanza data a Gesù Cristo in quanto uomo, e la contemporanea diminuzione dell'enfasi sulla sua divinità hanno prodotto una società dove l'uomo ha troppa importanza. Mentre un tempo anche la società Occidentale adorava il Dio diventato uomo, oggi adora il mito dell'essere umano: l'Umanità, un'astrazione che rimpiazza Dio. Questa mostruosità è apertamente riconosciuta e apprezzata da molti pensatori moderni (come Nietszche, Sartre, Camus, etc.). L'uomo si è fatto Dio. Duemila anni dopo la Redenzione l'uomo la vanifica tornando al peccato di Adamo, quando il serpente disse sarete come dei, conoscendo il bene e il male (Gen. 3:5).

Non è rimuovendo Dio che l'uomo può diventare Dio! C'è una tragica ironia in tutto ciò, perchè la dottrina occidentale della salvezza ha perso del tutto il concetto di teosi.

La teosi (o deificazione) è la salvezza. In particolare significa che l'individuo salvato diventa Dio in Lui, senza tuttavia perdere la sua personale identità. Il mantenimento dell'identità personale è un'importante realtà, concettualmente possibile solo se vista alla luce della teologia palamita. Senza dubbio l'idea della deificazione sembra spaventosa, come troppo audace. Eppure è stata promessa da nostro Signore, quando disse in preghiera come Tu, Padre, sei in me ed io in Te, che anche essi possano essere uno in Noi (Giov. 17:21), e testimoniata da S. Pietro: ci è stato fatto il dono di eccezionalmente grandi e preziose promesse che attraverso di esse voi possiate diventare partecipi della natura divina (2 Pietro 1:4) e da S. Giovanni: Carissimi, fin da ora siamo figli di Dio e non si è ancora manifestato quel che saremo. Sappiamo che quando Egli si sarà manifestato saremo simili a Lui (1 Giov. 3:2). Deificazione è pertanto la definitiva adozione da parte di Dio come Suoi figli (A quanti però lo accolsero diede il potere di diventare figli di Dio - Giov. 1:12) al momento della sua Seconda Venuta.

Bisogna meditare molto a fondo per accettare il terribile significato di questi passi scritturali. E la salvezza come deificazione è un costante punto di riferimento nei Padri. S. Basilio, per esempio, definisce l'uomo come una creatura che ha ricevuto l'ordine di diventare un Dio. Il Grande Giovedì, al Mattutino, nel Canone cantiamo: Cristo ha detto: nel mio regno sarò Dio con voi come Dei (IV Ode, III Tropario).

Ma come può un essere umano, che è finito diventare Dio infinito? Ciò è stato reso possibile dall'incarnazione del Logos di Dio. La carne che Gesù ha preso riempie il baratro tra l'uomo e Dio. S.Atanasio scrive: Dio è diventato uomo affinchè l'uomo possa diventare Dio. Gesù Cristo come Dio è coessenziale col Padre, ma come Uomo è coessenziale con noi17. Ecco il motivo per cui i Padri a Calcedonia furono così attenti a sottolineare che le due nature di Cristo sono unite ma non confuse. Gesù Cristo, il solo mediatore tra Dio e gli uomini (1 Tim. 2:5) è il ponte. Dopo l'incarnazione la via tra Dio e l'uomo è percorribile in entrambi i sensi. E la grazia del Santo Spirito, cooperando con l'umana volontà rende il finito infinito'18.

A questo punto è importante sottolineare la differenza tra la teosi cristiana e il destino ultimo in altre religioni. Il Nirvana buddista è lo stato trascendente di libertà ottenuto, attraverso molte reincarnazioni, dall'estinzione dei desideri e della coscienza individuale. L'identità personale si perde anche nel Sufismo di al-Hallaj. La deificazione cristiana invece rispetta ed esalta l'individualità di ciascuno, ed è ottenuta non da un'ascesi generica, ma da un'attiva vita in Cristo di tutto il proprio essere.

La partecipazione alla natura divina, secondo S. Gregorio Palamas è resa possibile dalle energie divine. In parole sue: Il Padre attraverso il Figlio nello Spirito deifica coloro che sono deificati19. L'uomo che ha raggiunto questo livello di santità risplende della stessa luce increata che risplendette in Gesù Cristo quando si trasfigurò sul monte Tabor20, preludio della sua seconda venuta e rivelazione di ciò che un tempo eravamo e che saremo21 alla deificazione.

Bisogna rendersi ben conto che l'umanità che abbiamo in comune con Cristo Dio è la chiave per accostarsi a Dio. Si comprende facilmente, a questo punto, perchè la resurrezione finale dei corpi è una condizione necessaria della teosi. In Occidente, invece, l'accento della salvezza èposto sull'anima, e la resurrezione dei morti è spesso vista come un extra non strettamente necessario22.

Ma la deificazione non coinvolge solo l'individuo. Se così fosse l'obbiettivo cristiano sarebbe veramente individualista ed egoista. S. Serafino di Sarov disse a Motovilov, prima di trasfigurarsi davanti a lui, che lo scopo dell'uomo è acquistare il Santo Spirito. E questa acquisizione, il completamento della salvezza, è il mistero della Pentecoste.

Le energie di Dio pervadono l'intera creazione, ma a causa della caduta la natura è corrotta. Il Logos di Dio si è incarnato per salvare l'uomo, ma anche per salvare attraverso l'uomo tutto l'universo. Possiamo vederLo nell'icona della Natività, nella grotta, buio pertugio della terra (la luce splende nelle tenebre - Giov. 1:5). Se ora guardiamo l'icona di Pentecoste, vediamo nuovamente un pertugio buio, dove è tenuto prigioniero un uomo vecchio di anni. Sopra di lui la scritta ho Kosmos (l'Universo). Egli rappresenta l'intera creazione che aspetta la salvezza - la deificazione, secondo le parole dell'Apostolo Paolo:

L'attesa spasmodica del creato aspetta infatti la manifestazione dei figli di Dio. Il creato infatti fu sottoposto alla caducità non di propria volontà, ma a causa di colui che ve le sottopose nella speranza. Perchè la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per ottenere la gloriosa libertà dei figli di Dio. Infatti sappiamo che tutta la creazione assieme geme e soffre le doglie del parto fino al momento presente. Non solo essa, ma anche noi che abbiamo i primi frutti dello Spirito, a nostra volta gemiamo in noi stessi, in attesa dell'adozione a figli, del riscatto del nostro corpo.

La gloriosa libertà dei figli di Dio.

 

NOTE AL TESTO

1 P. Evdokimov. L'art de L'icone, théologie de la beauté. Desclée de Brouwer, Paris, 1985.

2 Nestorio, Patriarca di Costantinopoli (427-43 1) insegnava che nella persona di Gesù Cristo l'umanità e la divinità erano ben separate. In altre parole, Gesù Cristo sarebbe stato, in senso buono, una sorta di posseduto, non dal Demonio, ma da Dio. Ma l'uomo restava l'uomo e Dio agiva in lui senza alcun stretto legame con lui. Per questo motivo Nestorio sostituì la parola Christotokos (Madre di Cristo) alla preesistente Theotokos (Madre di Dio). La dottrina di Nestorio fu condannata ai concili di Efeso (431) e di Calcedonia (451), e l'uso del termine "Madre di Cristo" severamente proibito.

3 Paolo VI, Enciclica "Christi Matri" (15 Settembre 1966). Giovanni Paolo 11, Enciclica "Redemptoris Mater" (25 Marzo 1987).

4 Filioque = e dal Figlio. Questa parola fu aggiunta al Credo dopo la frase "E nello Spirito Santo...che procede dal Padre" per ordine di Carlo Magno, nonostante l'opposizione di Papa Leone III (809) ma entrò in vigore ufficialmente nella Chiesa Romano-cattolica solo sotto Benedetto VIII (attorno al 1000). E' la causa principale dello scisma dell'Occidente.

5 Logos viene di solito tradotto dal greco con Verbo o con Parola. Preferisco però lasciare il termine Logos perché più ricco di significati che non i termini Verbo e Parola.

6 Yoshua  ben Yoseph = Gesù figlio di Giuseppe, in ebraico.

7 Denzinger - Schönmetzer (1965) Enchiridion Symbolorum definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, Herder, Friburgo; 36a Ed., Barcellona 1976.

8 J. Pelikan. The Christian Tradition. 2. The Spirit Of Eastern Christendom, The University of Chicago Press, Chicago and London, 1974.

9 Quattro secoli dopo S. Gregorio Palamas, Kant e seguaci parlarono di antinomie in una maniera piuttosto simile, ma in questo non hanno avuto effetto sul pensiero scientifico che è rimasto aristotelico fino quasi ad oggi.

10 Il fotone è l'unità indivisibile da cui è costituita la luce.

11 L'elettrone è una particella dotata di carica elettrica negativa che sta in un orbita attorno al nucleo di un atomo.

12 Il principio di non contraddizione afferma: data una proposizione p è impossibile che entrambe p e non-p siano vere.

13 Come esempio dell'importanza della Scolastica per il pensiero occidentale contamporaneo, riporto un passo da Il Millennio Bizantino di Hans Georg Beck (Salerno Editrice, Roma, 1981). In generale però Bisanzio ha rifiutato la scolastica... Se si vede nella scolastica qualcosa di più di una questione di metodologia teologica, riconoscendo in essa una delle grandi rivoluzioni dell'umanità sulla via della ratio regolata, Bisanzio ha pagato il suo rifiuto con la rinuncia a partecipare alla conformazione dello spirito moderno.

14 So perfettamente che nella Chiesa Romano-cattolica oggi esiste una varietà di gruppi e di parrocchie che adottano teologie e pratiche peculiari, certe volte addirittura contraddittorie tra di loro. Poichè non posso scrivere un articolo diverso per ciascun gruppo, mi riferisco soltanto alla teologia ufficiale della Chiesa Romano-cattolica, come riportata nell'Enchiridion di Denzinger-Schönmetzer, nelle bolle e nelle encicliche papali, e nelle dichiarazioni delle Conferenze Episcopali. In ogni caso, l'attuale coesistenza nelle Chiese Romano-cattolica e Protestanti di una varietà di opinioni non è altro che un effetto tardivo della teologia occidentale medioevale, e pertanto non influenza il ragionamento.

15 S. W. Hawking. Dal Big Bang ai buchi neri. Breve storia del tempo, Rizzoli, Milano, 1990.

16 Ogni anno, durante la Veglia Pasquale nella chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme, il fuoco scaturisce spontaneamente dalla pietra tombale di Cristo. Il Patriarca lo raccoglie con le mani senza bruciarsi e accende le candele dei fedeli. Solo a questo punto il fuoco diventa caldo. Il miracolo è testimoniato fin dai tempi più antichi e si interruppe soltanto durante il periodo del Regno Latino di Gerusalemme (1099-1187) che seguì alla prima crociata.

17 Definizione di fede del Concilio di Calcedonia.

18 Questo è il significato paolino della grazia, così stravolto dalla Riforma.

19 PG 150:953

20 La dottrina di S. Gregorio Palamas è stata condannata come eretica dalla Chiesa Romano-cattolica!

21 PG 151:920

22 La Chiesa Romano-cattolica spesso spiega la resurrezione finale con l'argomento che è giusto che il corpo, essendo stato compagno (o complice) dell'anima, ne condivida il destino.

 

 
Il Pensiero di san Gregorio Magno sul primato

Tutti sanno che una delle divergenze principali tra Ortodossi e Romano-Cattolici è costituita dal ruolo del Vescovo di Roma nella Chiesa Universale. Per i Romani, il Papa è il capo della Chiesa Universale. Secondo la dottrina Ortodossa, invece il Papa di Roma è soltanto un vescovo, uguale in dignità agli altri vescovi. A questo punto è interessante leggere un’opinione qualificata: quella di san Gregorio Magno, Papa di Roma (+ 604), la cui festa si celebra nella Chiesa Ortodossa il 12 Marzo.

Contemporaneo di san Gregorio, era Patriarca (1) di Costantinopoli san Giovanni il Digiunatore (festa il 2 Settembre), san Giovanni era un asceta dalla vita molto pia. Pregava gran parte della notte, e, per non essere vinto dal sonno, era solito inserire dei grossi chiodi nella cera della sua candela: il baccano del chiodo che cadeva in un piatto di metallo posto sotto la candela lo risvegliava se, per caso, aveva ceduto al sonno. san Giovanni, come dimostrato da tutta la sua vita, non era certo persona da tenere ad onori terreni, tuttavia, nell’anno 587 l’Imperatore Mauirizio gli conferì il titolo ufficiale di “Patriarca Ecumenico”.

Oggi questo titolo è indubbiamente altisonante, ma così non era nel VI secolo. Ecumenico viene dalla parola greca oikoumene, che letteralmente significa “il mondo abitato”. Vuoi per scarse conoscenze geografiche, vuoi per la tipica superbia dei conquistatori, i Romani prima, e i Bizantini poi, identificavano “il mondo abitato” con l’impero Romano. Nel VI secolo, appunto, la parola “ecumenico” era usata correntemente come sinonimo di “imperiale”.

Costantinopoli era la città “ecumenica”. Il bibliotecario capo di Costantinopoli, per esempio, si chiamava “bibliotecario ecumenico”, ma questo stava a significare soltanto che egli era il bibliotecario della città imperiale, e non che avesse la benchè minima autorità su tutti i bibliotecari dell’Impero. “Patriarca Ecumenico” pertanto, nel greco di allora, veniva inteso soltanto come “Patriarca della città imperiale”: nient’altro che una maniera differente di dire “Patriarca di Costantinopoli”. A riprova, l’uso sporadico di questo titolo è attestato già molto tempo prima.

Tutti i guai cominciarono quando il titolo fu tradotto in latino: diventò infatti “Patriarcha universalis”. E papa Gregorio reagì perchè credette che Giovanni si arrogasse il primato nella Chiesa. Naturalmente, come abbiamo visto, questa non era affatto l’intenzione del Patriarca. Alcuni autori di matrice Romano-cattolica affermano che la reazione di Gregorio era intesa a rivendicare il primato a sè stesso. Ma non è vero. I lettori possono controllarlo: le lettere di san Gregorio Magno sono a disposizione di chiunque voglia consultarle (2). Cominciamo proprio dalla lettera che egli inviò al Patriarca Giovanni: “Considera, te ne prego, che, a causa di questa tua sconsiderata presunzione la pace dell’intera Chiesa è turbata e che ciò [cioè il titolo di Patriarca Ecumenico] è in contraddizione con la grazia che è stata data in comune a tutti noi; nella quale grazia senza dubbio tu stesso hai il potere di crescere se avrai la volontà di farlo. E tu diverrai molto più grande se ti asterrai dall’usurpare un titolo superbo e folle: e tu progredirai nella misura in cui non ti farai arrogante a scapito dei tuoi confratelli... Certamente Pietro, il primo degli Apostoli che era egli stesso un membro della Chiesa santa e universale, Paolo, Andrea, Giovanni, che cosa erano essi se non capi di comunità individuali? Ed erano tutti membra sotto lo stesso Capo... tutti costituenti il Corpo del Signore in quanto membra della Chiesa, e nessuno di essi volle essere chiamato universale....ai presuli di questa sede Apostolica, dove io sono servo per volontà divina, fu offerto dal venerabile Concilio di Calcedonia l’onore di essere chiamati universali(3). Eppure nessuno di essi si è mai fatto chiamare con tale titolo, perchè, se qualcuno in virtù del rango pontificale avesse assunto su di sè stesso la gloria della unicità, sarebbe sembrato che la negasse a tutti i suoi confratelli...”

(Libro V; Lettera XVIII)

Non conosciamo la risposta di san Giovanni. Probabilmente non rispose affatto, perchè morì circa un anno dopo la data della lettera di san Gregorio (le comunicazioni a quell’epoca erano molto difficili, ed un anno era un tempo assolutamente ragionevole perchè una lettera arrivasse da Roma a Costantinopoli). Comunque san Gregorio continuò ad esprimere il suo pensiero sull’Episcopato Universale. Difatti egli scrisse congiuntamente ad Eulogio, Papa di Alessandria e ad Atanasio, Patriarca di Antiochia nei seguenti termini: “Questo nome di Universalità fu offerto dal Santo Concilio di Calcedonia (3) al pontefice della Sede Apostolica dove io sono servo per volontà divina. Ma nessuno dei miei predecessori ha mai acconsentito di usare un titolo così profano, infatti, senza dubbio se un Patriarca viene chiamato Universale, viene diminuito il nome di Patriarca per tutti gli altri. Ma lungi da ciò, lungi dalla mente di un Cristiano che qualcuno desideri arraffare per sè stesso ciò che potrebbe sembrare un abbassamento dell’onore dei suoi confratelli...”

(Libro V; Lettera XLIII)

E all’imperatore Maurizio:

“Ora in tutta confidenza dico che chiunque si consideri, o desideri essere considerato, Sacerdote Universale, è nella sua folle esaltazione il precursore dell’Anticristo, perchè egli si pone per orgoglio al disopra di tutti gli altri...”

E nuovamente ad Eulogio, Papa di Alessandria:

“Vostra Santità... voi mi scrivete dicendo ‘Come avete comandato’. Questa parola, ‘comando’, io vi prego di allontanarla dal mio orecchio, perchè voi sapete chi sono io e chi siete voi: perchè, in quanto a posizione, voi siete miei fratelli, quanto a virtù, padri miei...

“...nella prefazione della lettera che mi avete indirizzato, nonostante ve lo avessi proibito, avete ritenuto opportuno fare uso di un titolo superbo, chiamandomi ‘Papa Universale’. Ma io prego la Vostra Soavissima Santità di non farlo più, perchè ciò che voi date ad un altro oltre il ragionevole limite, voi lo sottraete a voi stesso... Perché se Vostra Santità mi chiama Papa Universale, voi negate a voi stesso ciò che voi date a me nel chiamarmi universale...”

(Libro VIII; Lettera XXX)

Questa storia ci insegna un’altra lezione. Molte volte, quando assistiamo ad eventi che ci sembrano indegni della gloriosa immagine della Santa Chiesa Ortodossa, spesso ci chiediamo “Ma perchè Dio permette che tali brutte cose accadano nella sua Chiesa?”. Senza dubbio molta gente, all’epoca di questi avvenimenti si rattristò, a causa dell’equivoco che avvelenò i rapporti tra due pii Vescovi, tra due grandi Santi della Chiesa. E sicuramente, allora come adesso, qualcuno si sarà chiesto: “Ma perchè Dio permette che tali brutte cose accadano nella sua Chiesa?”. Oggi la risposta è chiara. Il Santo Spirito ha permesso questo equivoco affinchè venisse ben documentata l’opposizione all’ universalità del primato papale da parte di uno dei più grandi Papi della storia. Senza queste lettere, non avremmo una così drammatica evidenza della inconsistenza della dottrina del primato.

Come tutti ben sanno, la dottrina Romano-cattolica del primato pontificio si basa su due punti:

        1) Una presunta effettiva supremazia di san Pietro sugli altri Apostoli (e quindi non un semplice primato d’onore); e

        2) La trasmissione di questa supremazia ai Vescovi di Roma, in quanto esclusivi successori di san Pietro.

 L’opinìone di san Gregorio Magno sul primo punto l’abbiamo già vista espressa nella lettera a san Giovanni il Digiunatore, quando affermava che Pietro, Paolo, Andrea, Giovanni e gli altri Apostoli erano tutti ugualmente capi delle comunità particolari, e tutti ugualmente membra del Corpo di Cristo, e ugualmente sottoposti a Lui.

Per quanto riguarda invece il secondo punto, san Gregorio riteneva che la successione sul “trono di Pietro” fosse si un onore di cui mostrarsi responsabilmente degni, ma che non conferisse alcun potere particolare:anzi, che addirittura fosse ugualmente condiviso tra il Papa di Roma, il Papa di Alessandria e il Patriarca di Antiochia. Leggiamo infatti cosa egli scrive al già più volte citato Eulogio, Papa di Alessandria: “Vostra soavissima Santità: mi avete parlato molto nella vostra lettera della Cattedra di san Pietro, il primo degli Apostoli, e infatti colui che mi parla della Cattedra di san Pietro, altri non è che colui che occupa la Cattedra di san Pietro... difatti il suo seggio è in tre luoghi. Infatti egli ha esaltato il seggio in cui si è degnato di fermarsi e di finire la sua vita (4) Egli stesso ha adornato il seggio dove mandò il suo discepolo ed evangelista (5) Egli stesso ha stabilito il seggio in cui, prima di lasciarlo, sedette per sette anni (6). Pertanto il seggio è uno, su cui per autorità divina tre vescovi ora presiedono: tutto ciò di buono che sento di voi, io lo assumo per me, e se voi pensate qualche cosa di buono di me, assumetelo a vostro merito, perchè noi siamo una sola cosa in Lui che dice: come Tu, padre, sei in me, e io in Te, così essi siano una sola cosa in noi”.

(Libro VII; Lettera XL)

E ad Anastasio, Patriarca di Antiochia: “Poichè noi abbiamo il principe degli Apostoli in comune, così nessuno di noi pensi di essere da solo il discepolo dello stesso principe”

(Libro V; Lettera XXXIX)

E nuovamente a Eulogio, Papa di Alessandria: “Lode e gloria nei cieli a [te] mio santo fratello, attraverso cui la voce di S.Marco continua a risuonare dalla Cattedra di san Pietro!” (Libro X; Lettera XXXV)

E sempre allo stesso Eulogio, in una lettera di presentazione per alcuni pellegrini:

“I latori di questi doni vengono dalla Sicilia, si sono convertiti dall’errore del monofisismo e si sono riuniti alla Chiesa Universale. Poiché desiderano recarsi alla Chiesa del Santo Pietro, primo degli Apostoli, mi hanno chiesto questa lettera di raccomandazione alla Vostra Santità, affinchè possiate assisterli contro gli attacchi degli eretici...”.

(Libro XII; Lettera L)

E si potrebbe continuare ancora.

Se san Gregorio Magno, per un miracolo, tornasse in vita oggi, dove troverebbe professata la sua fede, nella Chiesa Cattolica Romana, o in quella Ortodossa?

 

NOTE AL TESTO

(1) Il titolo di Pairiarca a quell’epoca era usato onorificamente per il Vescovo che era a capo di ciascuna delle cinque circoscrizioni ecclesiastiche in cui era diviso l’Impero. Essi erano: il vescovo di Roma, il Vescovo di Costantinopoli, il vescovo di Alessandria, il Vescovo di Antiochia e il vescovo di Gerusalemme. Il vescovo di Roma e quello di Alessandria venivano, e vengono tutt’oggi chiamati in alternativa anche “Papa”. In seguito al ben noto scisma del 1054, il Patriarcato di Roma si trovò a Costituire da solo la Chiesa detta Romano-Cattolica (o, comuneniente, “Cattolica”) mentre gli altri quattro Patriarcati continuarono a usare il nome tradizionale di Chiesa Cattolica Ortodossa (o, comunemente, “Ortodossa”). Con la conversione degli Slavi, altri Patriarcati poi si aggiunsero a questi quattro.

(2) Non esiste a tutt’oggi, per quanto io ne sappia, un’edizione italiana dell’Epistolario di san Gregorio Magno. La lacuna è alquanto strana, perchè tutte le altre opere dello stesso autore sono state tradotte e sono disponibili in varie edizioni. Bisogna pertanto ricorrere al testo latino. L’edizione di più facile reperimento, in quanto presente in tutte le buone biblioteche pubbliche, è la celeberrima Patrologia Latina del Migne.

(3) San Gregorio si sbagliava nel ritenere che il Concilio di Calcedonia avesse dato questo titolo in particolare al Vescovo di Roma. in realtà, nei documenti del Concilio tutti i Patriarchi furono chiamati col titolo di “Arcivescovo Ecumenico” (Marsi VI: 1006, 1012), forse per sottolineare la loro posizione di preminenza in seno all’impero. Questo ulteriore errore in buona fede dà comunque ancora più vigore al ragionamento di san Gregorio.

(4) Si tratta, appunto, di Roma.

(5) Si tratta di Alessandria, dove san Pietro si fece succedere da san Marco.

(6) Si tratta di Antiochia.

 

 
San Cipriano di Cartagine sulla Chiesa: primato di Pietro o primato di Roma?

Qualche notizia biografica

Tascio Cipriano (ca. 200-258) visse a Cartagine, una delle città principali della provincia romana dell’Africa proconsolare, agli inizi del III sec.: era uno dei più conosciuti ed apprezzati avvocati del foro ed esercitò tale professione, godendo delle ricchezze e del prestigio che essa gli conferiva, fino ad un’età abbastanza matura, anche se non sappiamo esattamente quanti anni avesse quando si convertì.

L’amicizia che lo aveva legato a Cecilio, un anziano presbitero della locale comunità cristiana, e l’ammirazione che nutriva per la purezza e l’esempio di vita dei membri di essa, lo indusse ad avvicinarsi alla Chiesa e lo condusse alla fede in Cristo. Richiese pertanto di essere battezzato e il giorno di Pasqua dell’anno 246 (1) venne accolto in tal modo in seno alla Chiesa di Cristo; in tale occasione, per sottolineare il ruolo che ebbe il suo padre spirituale in questa seconda nascita, assunse il nome di Cecilio (2).

In breve tempo venne poi ordinato diacono e presbitero e, forse nell’anno 248 o 249, alla morte del vescovo Donato, venne eletto a capo della comunità di Cartagine.

Il rigore di vita si accompagnava in lui al desiderio di sostenere la Chiesa e di rispondere agli attacchi contro i Cristiani, che provenivano da ogni parte: per questo scrisse, nel tempo, numerosi trattati, sia contro gli errori dei pagani (Quod idola non sunt dii – Gli idoli non sono dei -, Ad Demetrianum – A Demetriano -, Testimoniorum adversus Iudaeos – Testimonianze contro i Giudei), sia per sostenere i fedeli nelle difficoltà delle persecuzioni (Ad Fortunatum de exhortatione martyrii – A Fortunato sull’esortazione al martirio -, De laude martyrii – A lode del martirio -, De bono patientiae – Sulla pazienza) e ad esortarli alla vita cristiana (De habitu virginum – Sul comportamento delle vergini -, De oratione dominica – Sul Padre Nostro – De zelo et livore – Sulla gelosia e l’invidia).

Nel 250 ebbe inizio la persecuzione voluta dall’imperatore Decio: i Cristiani venivano costretti a scegliere se fare sacrifici agli idoli, rinnegando così la loro fede, o essere uccisi. Cipriano ritenne opportuno (anche a causa di un sogno premonitore) allontanarsi da Cartagine, mantenendo però un vivo rapporto epistolare con la comunità, per non lasciarla senza guida. Molti detrattori lo accusarono di essere fuggito per paura, ma egli si premurò di rispondere che si era allontanato in considerazione del fatto che l’accanimento contro la comunità sarebbe stato maggiore se fosse stato possibile catturare il suo vescovo, e nella certezza che tale allontanamento rispondesse anche ai disegni divini, annunciatigli in sogno.

La durezza della persecuzione pose un difficile problema: che comportamento tenere nei confronti di coloro che, per debolezza, avevano fatto i sacrifici richiesti o quantomeno avevano pagato per ottenere una dichiarazione di averli fatti e che, in seguito, chiedevano di essere riammessi nella comunità (i cosiddetti lapsi)?

La posizione di Cipriano fu di rinviare la questione a tempi più tranquilli, ma senza riammettere coloro che avevano sacrificato agli idoli, a meno che non fossero in punto di morte. Le modalità di riammissione degli altri sarebbero state discusse più avanti, ma in linea di massima si sarebbe richiesto un serio pentimento.

Nonostante il desiderio di rinvio, alcuni chierici (in particolare il prete Novato e il diacono Felicissimo) si ribellarono contro la decisione del vescovo, determinando così uno scisma nella chiesa di Cartagine e venendo per questo scomunicati.

Quando Cipriano poté tornare in città, convocò immediatamente un concilio per risolvere la questione dei lapsi (251), che confermò le scomuniche e stabilì che coloro che avevano sacrificato agli idoli potessero essere riammessi solo in punto di morte, mentre quelli che avevano ottenuto con denaro una dichiarazione di sacrificio dovessero essere riammessi se pentiti sinceramente.

Lo scisma si aggravò perché il partito di Felicissimo elesse Fortunato come vescovo, in opposizione a Cipriano e si legò ad un altro partito scismatico, sorto all’interno della chiesa di Roma, che aveva illegittimamente eletto come vescovo Novaziano in opposizione a Cornelio.

La scarsa documentazione giuntaci sul seguito che ebbe questa rottura dimostrerebbe tuttavia come essa si sia in seguito lentamente risanata.

Un secondo problema che Cipriano si trovò ad affrontare (intorno al 255) fu la questione dottrinale circa la validità del battesimo amministrato dagli eretici: nel caso un eretico si convertisse e chiedesse di entrare nella Chiesa, doveva essere nuovamente battezzato? La posizione assunta dal vescovo di Cartagine, in accordo con l’episcopato nordafricano e con alcune comunità orientali, come ad esempio Cesarea di Cappadocia, fu affermativa. Egli riteneva infatti che solo la vera Chiesa di Cristo potesse amministrare validamente i sacramenti, anche in funzione di una consuetudine che faceva risalire ai tempi apostolici. A questa visione si opponeva il vescovo di Roma, Stefano, che riteneva che il battesimo eretico potesse comunque considerarsi valido, se amministrato nel nome della santissima Trinità.

Dall’epistolario di Cipriano emergono, a questo proposito, due posizioni significative: in primo luogo sembra che egli non ritenesse di dover imporre la sua visione a tutta la Chiesa, in quanto a suo dire ciascun vescovo aveva la responsabilità del proprio gregge di fronte a Dio; in secondo luogo le divergenze dottrinali, peraltro esistenti anche in altri ambiti, non dovevano, a suo dire, comportare una rottura dell’armonia e della concordia dell’episcopato, essendo l’unità della Chiesa un bene superiore a simili contrasti.

Papa Stefano non la pensava allo stesso modo e infatti ruppe la comunione con Cipriano e con tutti i vescovi che seguivano la sua impostazione dottrinale, cosa che determinò una rabbiosa reazione da parte di Firmiliano, vescovo di Cesarea in Cappadocia, che definì il vescovo di Roma “folle”, per il suo comportamento di rottura, più che non per le sue posizioni sul battesimo. (3)

Il 256 vide l’inizio di una nuova persecuzione, da parte dell’imperatore Valeriano. Sia Stefano che il suo successore, Sisto II, subirono il martirio a Roma. A Cartagine Cipriano continuò a consolare e ad esortare la propria comunità, finché anch’egli non fu arrestato e processato dal proconsole Galerio Massimo, il 13 settembre del 258. Il giorno seguente, 14 settembre, la sentenza lo condannò a morte; la sua risposta fu: “Sia reso grazie a Dio”.

Cipriano è celebrato come santo dalla chiesa ortodossa il 31 agosto e dalla chiesa cattolica romana il 16 settembre.

 

Obiettivi del presente lavoro

Lo scopo del presente scritto è quello di dare una panoramica, il più possibile esaustiva, del pensiero ciprianeo in materia ecclesiologica e di fornirne un breve commento come ausilio alla comprensione, anche mediante accenni a testi di altri Padri occidentali sullo stesso argomento; si è pertanto cercato di effettuare una raccolta di brani tratti dagli scritti del vescovo di Cartagine, non limitandosi ad estrapolarne soltanto alcune frasi ad effetto, ma con l’intento di permettere il più possibile al lettore di seguire il ragionamento di Cipriano e di comprenderne le sfumature. A tal scopo si è anche deciso di fornire in nota l’originale latino, con la speranza di suscitare interesse e di invitare ad un approfondimento personale e ad una lettura attenta degli scritti di questo importante Padre della chiesa africana.

 

EPISTULAE – LETTERE (4)

Ep. 33

La lettera risale circa al 250 ed è la risposta ad una missiva, non pervenutaci, inviata a Cipriano da parte dei lapsi.

I1 Nostro Signore, i cui insegnamenti dobbiamo temere ed osservare, regolando la funzione del vescovo e l’organizzazione della sua Chiesa, parla nel Vangelo e dice a Pietro: «E io ti dico che tu sei Pietro e su questa pietra costruirò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa; e a te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto anche nei cieli (Mt. 16, 18)». Da quel momento, attraverso l’avvicendarsi dei tempi e delle successioni, la consacrazione dei vescovi e l’organizzazione della Chiesa si svolsero in modo che la Chiesa fosse costituita sui vescovi e ciascun atto della Chiesa fosse governato da questi stessi capi. 2 Essendo stato così stabilito dalla legge divina, mi stupisco che alcuni, con audace temerarietà, abbiano voluto scrivermi così, come se facessero delle lettere a nome della Chiesa, quando la Chiesa è stabilita sul vescovo, sul clero e su tutti i fedeli. (5)

Ep. 34 ai fratelli presbiteri e diaconi di Roma

Si tratta della risposta ad una lettera precedente inviata dal clero romano, in quel momento senza un vescovo per il martirio di Fabiano. Riguarda sempre la questione dei lapsi e dà risposta ad alcune richieste della chiesa di Roma sul comportamento da adottare nei confronti di alcuni membri del clero africano, come il prete Gaio di Dida.

III 1 Voi dunque badate fedelmente e correttamente, secondo le mie lettere, a non recedere dai migliori consigli. Leggete queste stesse lettere anche ai miei colleghi, sia che sianopresenti, sia che sopraggiungano in seguito, affinché unanimi e concordi ci atteniamo ad una decisione salutare per curare e sanare le ferite dei lapsi, in modo che trattiamo esaustivamente tutte le cose quando, per divina misericordia, potremo cominciare a riunirci. (6)

Ep. 35 ai fratelli presbiteri e diaconi che sono in Roma

Informa il clero romano delle vicende del partito dei lapsi a Cartagine e manda copie delle lettere da questi ricevute.

I 1 Sia l’amicizia reciproca, sia la stessa ragione richiedono, carissimi fratelli, che nulla sia sottratto, alla vostra conoscenza, di ciò che accade presso di noi, affinché ci sia un comune scambio di idee sul buon governo della Chiesa. (7)

Ep. 43 a tutto il popolo

Lettera scritta dall’esilio a proposito dello scisma che si era creato, in seno alla chiesa cartaginese, per opera di Felicissimo e di cinque preti che si erano uniti a lui e che si erano ribellati all’autorità di Cipriano ed alle sue decisioni sulla questione dei lapsi.

V 1 Dio chiama e dice: «Non ascoltate i discorsi degli pseudo-profeti, perché le visioni del loro cuore li ingannano. Parlano, ma non dalla bocca del Signore. Dicono a quelli che rigettano la parola del Signore: la pace sarà con voi». Ora offrono la pace quegli stessi che non ce l’hanno, coloro che dalla Chiesa si allontanarono promettono di ricondurre e riportare alla Chiesa i lapsi. 2 Uno è Dio e uno Cristo e una la Chiesa e una la cattedra fondata su Pietro dalla voce del Signore. Non può essere stabilito un altro altare o un nuovo episcopato al di fuori dell’unico altare e dell’unico episcopato. E chi raccoglie altrove, disperde. E’ adultero, empio, sacrilego ciò che viene istituito dalla passione umana per violare una disposizione divina. (8)

Ep. 52 a Cornelio, vescovo di Roma

Risposta ad un’altra lettera di Cornelio, in cui questi metteva Cipriano al corrente degli sviluppi dello scisma di Novato e Novaziano (9) nella chiesa di Roma e in cui il vescovo di Cartagine presenta la personalità del prete Novato, che proveniva dal suo clero.

II 3 Egli stesso [Novato] costituì diacono, con spirito di fazione e per ambizione, il suo satellite Felicissimo, senza che io lo permettessi o ne sapessi niente, e navigando con la sua carica di tempesta anche a Roma per sovvertire la chiesa, fece lì cose pari e simili, separando dal clero una parte di popolo e rompendo la concordia in una fraternità ben coerente e unita. Naturalmente, poiché per la sua grandezza Roma doveva precedere Cartagine, fece là danni maggiori e più gravi. Qui contro la Chiesa aveva fatto un diacono, là fece un vescovo. (10)

Ep. 55 ad Antoniano

Si tratta della risposta ad una lettera di questo vescovo, piuttosto incerto, pare, se essere in comunione con Cornelio o con Novaziano (che si era fatto eleggere vescovo di Roma illegittimamente) e chiede lumi a Cipriano.

XXI 1 Presso i nostri predecessori vi furono alcuni vescovi di questa provincia che non ritennero di concedere la comunione agli adulteri ed esclusero completamente la possibilità di fare penitenza contro l’adulterio. Nonostante ciò non si ritirarono dal collegio dei vescovi, né ruppero l’unità della Chiesa cattolica con la durezza dell’ostinazione o dell’opinione al punto che, dal momento che presso gli altri veniva data la comunione agli adulteri, chi non la dava venisse separato dalla Chiesa. 2 Essendo intatto il vincolo della concordia e perdurante l’indissolubile legame della Chiesa cattolica, ciascun vescovo, sapendo che renderà ragione al Signore dei suoi obiettivi, dispone e dirige la sua azione. (11)

XXIV 2 [...] e sebbene da Cristo provenga una sola chiesa sparsa per tutto il mondo, divisa in molte membra, ed un solo episcopato, diffuso in una moltitudine armonica di molti vescovi, egli (12), nonostante l’insegnamento divino e nonostante che l’unità della Chiesa sia presente e ovunque congiunta, si sforza di creare una chiesa umana e invia in molte città suoi apostoli e getta alcune fondamenta di una sua nuova dottrina. (13)

XXIV 4 Non potrebbe inoltre tenere l’episcopato, nemmeno se eletto regolarmente, se venisse a separarsi dal corpo dei suoi colleghi vescovi e dall’unità della Chiesa, quando l’Apostolo ci ammonisce a che ci sosteniamo a vicenda fra noi e non ci allontaniamo dall’unità che Dio ha costituito, e dice: «Sostenendovi vicendevolmente nell’amore, cercando di conservare l’unità dello spirito nel legame della pace». Perciò chi non osserva né l’unità di spirito, né il legame della pace e si separa dal vincolo della Chiesa e dal collegio dei vescovi, non può avere del vescovo né l’autorità, né la funzione, lui che non volle conservare né l’unità, né la pace dell’episcopato. (14)

Ep. 59 a Cornelio

Risposta ad una lettera di Cornelio nella quale questi informava Cipriano di aver respinto il diacono Felicissimo, da lui scomunicato, ma anche delle sue preoccupazioni per minacce avanzate dal partito cartaginese scismatico di denigrare pubblicamente Cipriano se Cornelio non li avesse ricevuti.

VII 3 Pietro tuttavia, sul quale era stata edificata dal Signore stesso la Chiesa, parlando lui come uno per tutti e rispondendo con la voce della Chiesa disse: «Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna. E noi crediamo e sappiamo che tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivo». (15)

XIV 1 [...] Dopo queste cose inoltre, fattisi consacrare un finto vescovo dagli eretici, osarono mettersi in mare e portare alla cattedra di Pietro e alla chiesa principale (16), da cui sorse l’unità dei vescovi (17), delle lettere da parte di scismatici e profani, senza pensare che quelli sono i Romani la cui fede è stata lodata dall’Apostolo e ad essi la perfidia non può avere accesso. (18)

Ep. 63 a Cecilio

Lettera al vescovo Cecilio sulla consacrazione del calice.

I 1 Sebbene sappia, fratello carissimo, che molti vescovi, preposti per divina designazione alle chiese del Signore che sono in tutto il mondo, conservano il principio della verità evangelica e dell’insegnamento del Signore, né si allontanano da ciò che Cristo nostro maestro comandò e fece, per seguire qualche novità umana, tuttavia, poiché alcuni, o per ignoranza o per semplicità d’animo, non fanno nella consacrazione del calice o nella sua distribuzione al popolo ciò che Gesù Cristo, Signore e Dio nostro, autore e creatore di questo sacrificio insegnò e fece, ritenni parimenti pio e necessario scrivere a voi alcune lettere su questo, cosicché se qualcuno ancora fosse nell’errore, avendo osservato la verità ritorni alla radice e all’origine dell’insegnamento del Signore. (19)

Ep. 66 a Florenzio

Lettera al futuro martire Florenzio, in merito alle accuse da questi mosse nei confronti di Cipriano e ai pesanti giudizi espressi su di lui.

VIII 2 [...] «Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna. E noi crediamo e sappiamo che tu sei il Figlio del Dio vivo». 3 Colui che parla è Pietro, sul quale era stata edificata la Chiesa, insegnando a nome della Chiesa e mostrando che, se anche si allontanasse una moltitudine riottosa e superba di gente che non vuole obbedire, tuttavia la Chiesa non si allontana da Cristo e che la Chiesa sono il popolo unito al suo vescovo e il gregge che segue il suo pastore. Dalla qual cosa devi sapere che il vescovo è nella Chiesa e la Chiesa nel vescovo e se qualcuno non è con il vescovo, non è nella Chiesa; e inutilmente si avvicinano di soppiatto e si blandiscono coloro che, non essendo in comunione con i vescovi di Dio, credono anche di poter comunicare nascostamente con qualcuno, quando la chiesa una e cattolica non è separata, né divisa, ma è ovunque collegata e agglomerata con la colla della reciproca unione dei vescovi. (20)

Ep. 67 del concilio d’autunno del 254

Lettera conciliare ai vescovi spagnoli, che chiedevano consiglio sul comportamento da tenere nei confronti dei vescovi Basilide e Marziale, che avevano acquisito falsi biglietti che attestavano l’avvenuto sacrificio agli idoli; secondo il concilio africano dovevano essere privati della loro funzione, in quanto indegni.

V 2 Questo vediamo che è stato fatto anche presso di voi, per l’ordinazione di Sabino, nostro collega, cioè che grazie al voto di tutti i fratelli e al giudizio dei vescovi che furono presenti e che vi scrissero per lettera su di lui, a lui fu conferito l’episcopato e gli furono imposte le mani al posto di Basilide. 3 E non può invalidare un’ordinazione regolare il fatto che Basilide, dopo che i suoi crimini furono scoperti e evidenziati anche dalla confessione della sua coscienza, dirigendosi a Roma, ingannò Stefano, nostro collega, lontano ed ignaro dei fatti e della verità, perché sollecitasse ingiustamente che fosse rimesso al suo posto nell’episcopato, dal quale era stato di diritto deposto. (21)

Ep. 68 a Stefano, vescovo di Roma

Cipriano scrive in merito ad una lettera che ha ricevuto dal vescovo di Lione, Faustino, che lo informava dell’adesione del vescovo Marciano di Arles allo scisma di Novaziano; invita Stefano a scrivere ai vescovi della Gallia, per indurli a non sostenere il vescovo scismatico. (22)

I 1 [...] Marciano d’Arles si è congiunto a Novaziano e si è separato dalla verità della Chiesa cattolica, dal nostro corpo e dal consenso vescovile (23) [...]

III 2 Infatti, fratello carissimo, un corpo copioso è quello dei vescovi, legato con la colla della concordia vicendevole e con il laccio dell’unità, in modo che se qualcuno, proveniente dal nostro collegio, tentasse di creare un’eresia e di lacerare e devastare il gregge di Cristo, vengano in aiuto gli altri, e come pastori utili e misericordiosi radunino le pecore del Signore nel gregge. 3 Se in mare si rompono improvvisamente le difese di un porto e diventa minacciato e pericoloso per le navi, forse i naviganti non dirigeranno le navi negli altri porti vicini, dove vi sia un ingresso difeso, un facile accesso ed una sosta sicura? (24)

Ep. 70 del concilio dell’autunno 255

Lettera conciliare inviata ad alcuni vescovi che avevano domandato come comportarsi nel caso in cui alcuni eretici fossero voluti entrare in comunione con la Chiesa: era necessario ribattezzarli?

III 1 In secondo luogo consentire che eretici e scismatici battezzino è approvare il loro battesimo. Infatti non può essere invalida una parte e valida un’altra. Se uno può battezzare, può dare anche lo Spirito Santo, se invece non può dare lo Spirito Santo, perché si è posto al di fuori (sott. della Chiesa), non è con lo Spirito Santo, né può battezzare colui che si rivolge a lui, perché uno è il battesimo, uno lo Spirito Santo e una la Chiesa fondata dal nostro Signore Cristo su Pietro come origine e ragione di unità. (25)

Ep. 71 a Quinto

Lettera in cui Cipriano spiega al vescovo Quinto la posizione sul battesimo eretico adottata dal concilio del 255.

III 1 Non si deve prescrivere per consuetudine, ma convincere con la ragione. Infatti quando si trovò in disaccordo con Paolo a motivo della circoncisione, nemmeno Pietro, che il Signore scelse per primo e sul quale edificò la sua Chiesa, volle aver ragione con insolenza o assunse una posizione arrogante, come se avesse detto di possedere il primato e che sarebbe stato piuttosto meglio che i nuovi venuti e i più giovani gli obbedissero, né disprezzò Paolo perché in passato era stato un persecutore della Chiesa, ma ammise le ragioni della verità e con facilità acconsentì alla ragionevolezza che Paolo rivendicava, lasciandoci così una testimonianza di concordia e pazienza, in modo che non amiamo pervicacemente le nostre posizioni, ma facciamo nostre piuttosto le cose utili e salutari che vengano ogni tanto suggerite dai fratelli e colleghi nostri, purché siano vere e legittime. 2 Mirando al medesimo scopo e invitando fedelmente alla concordia e alla pace, anche Paolo propose le stesse cose nella lettera, dicendo «Circa i profeti, che parlino due o tre e gli altri esaminino. Se un altro di coloro che sono seduti abbia una rivelazione, che il primo taccia». In questo passo insegna e mostra che molte cose sono rivelate meglio alla singola persona e che ciascuno non deve scontrarsi con gli altri per ciò che gli fosse una volta capitato di comprendere e che conservava tenacemente, ma, se si sia reso manifesto qualcosa di migliore o più utile, deve accoglierlo con liberalità. Non siamo infatti sconfitti, quando ci viene offerto qualcosa di meglio, ma rafforzati, soprattutto nelle cose che attengono all’unità della Chiesa e alla verità della nostra speranza e della nostra fede: come vescovi di Dio e preposti alla sua Chiesa per la sua considerazione, sappiamo che il perdono dei peccati non può essere dato se non nella Chiesa, né possono gli avversari di Cristo rivendicare alcunché della sua grazia per se stessi. (26)

IV 1 È ciò che Agrippino, di venerata memoria, stabilì con altri suoi colleghi vescovi che a quel tempo governavano la chiesa del Signore in Africa e Numidia e che decise dopo un esame in comune concilio. La sentenza dei quali anche noi abbiamo seguito, come religiosa, legittima, salvifica e coerente con la fede e la Chiesa cattolica. (27)

Ep. 72 al papa Stefano

L’oggetto è il medesimo della precedente.

III 1 Questo abbiamo riferito alla tua coscienza, fratello carissimo, sia per il comune rispetto che ci lega, sia per semplice affetto, credendo che tu sia d’accordo, sia per la verità della tua religione, che della tua fede, con queste cose che sono parimenti religiose e vere. Inoltre sappiamo che alcuni, una volta convinti di qualcosa, non vogliono cambiare, né facilmente mutano il proprio proposito e conservano alcune usanze proprie, che erano un tempo utilizzate presso di loro, facendo però salvo il vincolo della pace e della concordia con i colleghi. 2 In merito a questo noi non costringiamo nessuno, né vogliamo dare una norma, dal momento che ciascun vescovo ha nell’amministrazione della sua chiesa una libera decisione, dovendo dare ragione dei propri atti al Signore. (28)

Ep. 73 a Giubaiano

Risposta a Giubaiano, che aveva scritto per conoscere l’opinione di Cipriano in merito al battesimo degli eretici.

VII 1 Inoltre è evidente dove e da chi possono essere rimessi i peccati, ciò che viene fatto nel battesimo. Infatti a Pietro per primo, sul quale ha edificato la sua Chiesa e da cui l’unità ebbe origine e si manifestò, il Signore diede questo potere, che fosse sciolto in terra ciò che egli avesse sciolto. 2 E dopo la resurrezione parlò anche agli apostoli dicendo: «Così come il Padre manda me, anch’io mando voi». E dopo aver detto questo, soffiò e disse: «Ricevete lo Spirito Santo. Se rimetterete i peccati di qualcuno, gli saranno rimessi; se non li rimetterete, resteranno non rimessi». Da cui comprendiamo che a nessun altro salvo a coloro che presiedono nelle chiese e la cui autorità è fondata sulla legge evangelica e sull’ordinazione del Signore, è lecito battezzare e dare la remissione dei peccati; al di fuori di essi non si può essere legati, né sciolti, ove non ci sia chi possa o legare o sciogliere. (29)

Ep. 75 di Firmiliano, vescovo di Cesarea in Cappadocia, a Cipriano

Firmiliano, vescovo orientale di Cesarea, scrive a Cipriano a proposito della decisione di Stefano di rompere la comunione con il vescovo di Cartagine e con tutti quelli che come lui sostengono l’invalidità del battesimo eretico.

II 3 Non possiamo dire grazie a Stefano in nulla se non in questo, che a causa della sua disumanità abbiamo avuto occasione di conoscere la vostra fede e la vostra saggezza. Ma se noi a causa di Stefano abbiamo ricevuto questo beneficio, tuttavia Stefano non ha commesso cose degne di ringraziamento [...] (30)

VI 1 Che coloro che sono in Roma non osservino in tutto ciò che è stato trasmesso dall’origine e invano pretendano di invocare l’autorità degli Apostoli, è ciò che si può osservare. Sembra che siano presso di loro alcune differenze quanto al giorno di celebrazione della Pasqua e circa molti altri punti della religione, e presso di loro non si osserva tutto come viene osservato a Gerusalemme, secondo ciò che accade anche in molte altre province, che variano per luoghi e diversità di cultura, e che non per questo si sono allontanate dalla pace e dall’unità della Chiesa cattolica. 2 Questo ora Stefano ha osato fare, rompendo con voi la pace, che sempre i suoi predecessori avevano custodito con reciproco amore ed affetto, e inoltre infamando i beati apostoli Pietro e Paolo, come se essi stessi avessero trasmesso questi insegnamenti, loro nelle cui lettere gli eretici sono esecrati al punto che ci hanno raccomandato di evitarli. Dalla qual cosa appare che questa tradizione, che appoggia gli eretici e loro attribuisce un battesimo che non appartiene se non alla Chiesa, è di origine umana. (31)

XVI 1 Quanto grande sia l’errore e quanta cecità vi sia in colui che dice che la remissione dei peccati può essere data nelle sinagoghe degli eretici e non rimane nel fondamento dell’unica Chiesa, che un tempo è stata da Cristo fondata sulla pietra, si può comprendere dal fatto che al solo Pietro Cristo disse: «Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli. E tutto ciò che scioglierai sulla terra, sarà sciolto anche nei cieli». E di nuovo nel Vangelo, quando Cristo soffiò sui soli Apostoli, dicendo: « Ricevete lo Spirito Santo. Se rimetterete i peccati di qualcuno, gli saranno rimessi; se non li rimetterete, resteranno non rimessi». Il potere di rimettere i peccati è stato dato agli Apostoli e alle chiese che essi, mandati da Cristo, costituirono e ai vescovi che ad essi succedettero tramite l’ordinazione [...] (32).

XVII 1 E io in questa parte giustamente m’indigno nei confronti della evidente e manifesta stoltezza di Stefano, per il fatto che colui che si vanta di succedere a Pietro, sul quale sono collocate le fondamenta della Chiesa, e di occupare il suo posto, introduce molte altre pietre e costruisce nuovi edifici di molte chiese, difendendo con la sua autorità il battesimo di costoro (degli eretici, n.d.T.). 2 Infatti quelli che ricevono il battesimo costituiscono il corpo della Chiesa: chi dunque approva il battesimo degli eretici, riguardo ai battezzati afferma che anche presso di loro di trova la Chiesa. Né comprende che viene oscurata e in un certo modo annientata l’autenticità della pietra cristiana da lui che così abbandona e tradisce l’unità. (33)

XIX 3 Voi Africani potete dire questo contro Stefano, che una volta conosciuta la verità, avete abbandonato l’errore della consuetudine; noi uniamo la verità alla consuetudine e alla consuetudine dei Romani opponiamo una consuetudine, ma veritiera, conservando dall’inizio ciò che è stato trasmesso da Cristo e dagli Apostoli. Né ci ricordiamo quando essa sia iniziata presso di noi (perché sempre qui è stato osservato così), al punto che non conosciamo se non una sola Chiesa di Dio e che non consideriamo il santo battesimo al di fuori della santa Chiesa [...] (34)

XXIV 3 Nemmeno poterono conformarti (35) alla regola della verità e della pace i precetti dell’apostolo che ammonisce dicendo: «Vi esorto dunque io, il prigioniero del Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con senso di umiltà e mansuetudine, sopportandovi a vicenda con pazienza nell’amore, cercando di conservare l’unità dello spirito nel vincolo della pace. Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo; un solo Dio e padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutte le cose ed è presente in tutti noi». (36)

XXV 1 Queste raccomandazioni dell’apostolo sono state seguite davvero con molto zelo da Stefano, conservando prima di tutto proprio l’umiltà e la dolcezza! Cosa ci può essere infatti di più umile e dolce che aver creato disaccordo con tutti i vescovi del mondo, rompendo la comunione per discordie di vario genere con alcuni di essi, sia con gli Orientali, cosa che voi sapete benissimo, sia con voi che siete al sud e ricevendo con tale pazienza ed amore i vescovi inviatigli, che non li ammise mai ad un colloquio comune, ma anzi, memore dell’affetto e della carità, ha vietato a chiunque dei fratelli di riceverli nella propria casa, e ha negato a coloro che giungevano non solo la pace e la comunione, ma anche un tetto e un ricovero. 2 Questo è «conservare l’unità dello spirito nel vincolo della pace», separarsi dall’unità dell’amore, rendersi estraneo in tutto rispetto ai fratelli e ribellarsi con il furore della discordia contro il sacramento e il vincolo della pace. Può esserci presso uno così un solo corpo e un solo spirito, in lui in cui forse non vi è nemmeno una sola anima, così instabile, mobile e incerta? (37)

 

DE ECCLESIAE CATHOLICAE UNITATE – SULL’UNITÀ DELLA CHIESA CATTOLICA (38)

Questo trattato venne scritto da Cipriano, nel corso del 251, in seguito agli scismi di Novato a Cartagine e di Novaziano a Roma, e riprende in gran parte argomentazioni presenti già nelle lettere.

IV Se esaminiamo attentamente queste cose, non c’è bisogno di un lungo trattato. Per la fede la prova è facile e contenuta in un compendio di verità: il Signore parla a Pietro: «E io ti dico» dice «che tu sei Pietro e su questa pietra costruirò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa; e a te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto anche nei cieli». (39) (40)

P.T.

E dopo la resurrezione gli dice: «Pasci le mie pecorelle». Su di lui edifica la chiesa e a lui dà l’incarico di pascere le pecore e, sebbene attribuisca lo stesso potere a tutti gli apostoli, tuttavia costituì una sola cattedra e con la sua autorità fissò l’origine e il significato dell’unità. Certamente anche gli altri erano ciò che fu Pietro, ma il primato venne dato a Pietro e una sola chiesa ed una sola cattedra venne mostrata; e tutti sono pastori, ma unico è il gregge, che viene mostrato come accudito da tutti gli apostoli in unanime accordo. Chi non conserva questa unità presente in Pietro, crede di mantenersi nella fede? Chi abbandona la cattedra di Pietro, sul quale è fondata la Chiesa, confida di poter essere nella Chiesa? (41)

 T.R.

Su uno edifica la Chiesa e, sebbene attribuisca uguale potere a tutti gli apostoli dopo la sua resurrezione e dica: «Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi. Ricevete lo Spirito Santo. Se rimetterete i peccati di qualcuno, gli saranno rimessi; se non li rimetterete, resteranno non rimessi» tuttavia, al fine di rendere manifesta l’unità, con la sua autorità ne fissò l’origine come a partire da uno. Certamente anche gli altri apostoli erano ciò che fu Pietro, dotati di un comune e pari possesso di onore e potestà, ma l’inizio si ha dall’unità, affinché la Chiesa di Cristo fosse mostrata una. Questa stessa Chiesa che anche nel Cantico dei Cantici lo Spirito Santo Signore indica e dice: «Una è la mia perfetta colomba, una è per sua madre, la preferita della sua genitrice». Chi non conserva quest’unità della Chiesa crede di mantenersi nella fede? Colui che si oppone alla Chiesa e che le resiste, confida di poter essere nella Chiesa, quando anche il beato apostolo Paolo insegna la stessa dottrina e mostra il sacramento dell’unità dicendo: «Un solo corpo e un solo Spirito, una sola speranza nella vostra chiamata, un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio». Questa unità dobbiamo fermamente conservare e difendere, soprattutto noi vescovi, che presiediamo nella Chiesa, affinché dimostriamo che anche l’episcopato è uno e indiviso. Nessuno infranga la fraternità con la menzogna, nessuno corrompa la verità della fede con un perfido tradimento. (42)

L’episcopato è uno e ciascun vescovo ne tiene una parte in solido con gli altri. La Chiesa è una e si estende in moltitudine con la crescita dovuta alla sua fecondità: allo stesso modo del sole che ha molti raggi, ma una sola luce, e i rami dell’albero sono molti, ma uno è il tronco ben solido su una forte radice e come da una sola fonte defluiscono più ruscelli, benché la molteplicità sembri diffusa con larghezza in abbondante quantità, tuttavia all’origine si conserva l’unità. Se si separa dal corpo del sole uno dei suoi raggi, tuttavia l’unità della luce non subisce divisione; se si rompe un ramo dell’albero, il ramo rotto non potrà germogliare; se si chiude alla fonte un ruscello, il ruscello chiuso inaridisce. Così anche la Chiesa, inondata dalla luce del Signore, estende i suoi raggi su tutto il mondo, ma una sola luce viene diffusa ovunque, né viene separata l’unità del corpo; essa spiega i suoi rami su tutta la terra con grande fertilità; fa fluire largamente ruscelli abbondanti, tuttavia una è la fonte e una l’origine e unica la madre ricca dei frutti rinnovati della propria fecondità: dal suo grembo nasciamo, del suo latte siamo nutriti, dal suo spirito siamo animati. (43)

17, 19 Nemico dell’altare, in rivolta contro il sacrificio di Cristo, traditore nella fede, sacrilego nella religione, servo disobbediente, figlio empio, fratello nemico, nel disprezzo per i vescovi e nell’abbandono dei sacerdoti da Dio costituiti, osa costruire un altro altare, elevare un’altra preghiera pronunciando parole senza averne il diritto, profanare la verità dell’ostia del Signore con falsi sacrifici e non sapere che chi si erge contro l’ordinazione conferita da Dio, viene punito per l’audacia del comportamento temerario con l’avversione divina. (44)

 

DE DOMINICA ORATIONE – SULLA PREGHIERA DEL SIGNORE (45)

30 [...] Dopo prega il Padre per tutti, dicendo: «Non prego per questi unicamente, ma anche per quelli che crederanno in me per mezzo della loro predicazione: tutti siano una sola cosa, come tu, Padre, sei in me ed io in te, anche quelli siano una sola cosa in noi». Immensa parimenti la bontà e la giustizia di Dio per la nostra salvezza, perché, non contento di redimerci con il suo sangue, in più pregò anche per noi. Vedete, questo fu il desiderio di colui che pregava: che così come il Padre ed il Figlio sono uno, allo stesso modo anche noi rimaniamo nella medesima unità. Qui si può anche comprendere quanto delinqua colui che rompe l’unità e la pace, poiché anche per questo aveva pregato il Signore, volendo che il suo popolo fosse salvo e vivesse in pace, perché sapeva che nel regno di Dio la discordia non entra. (46)

 

Considerazioni conclusive

Al termine di questa esposizione dei testi più significativi di San Cipriano di Cartagine sulla Chiesa, può essere utile esporre in sintesi quanto da questi passi è possibile dedurre in merito al suo pensiero.

Il primo aspetto importante da sottolineare è il ruolo di Pietro.

Presso i Padri esistono sostanzialmente due interpretazioni della figura dell’apostolo e del suo rilievo (47), che non sono necessariamente in contrapposizione fra loro, ma anzi, in qualche modo si completano, giungendo alla medesima conclusione di individuare in lui una figura della Chiesa: la prima, presentata in molti modi (48), ma riassunta in breve da Ambrogio di Milano (De incarnationis dominicae sacramento, IV, 32 – V, 34), è la seguente: Gesù fonda la Chiesa non sulla persona di Pietro, ma sulla sua fede che egli ha proclamato dicendo «Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivo». La pietra infatti è Cristo (49) e la fede in lui e Pietro è fondato su questa pietra e così tutta la Chiesa, che segue la fede espressa da Pietro, è, a sua volta, saldamente ancorata alla pietra. Anche i Padri (e ve ne sono alcuni) che interpretano la Chiesa come fondata su Pietro, sottolineano sempre come questo avvenga per via della fede dell’apostolo e non per meriti particolari della sua persona. (50) Tant’è vero che Agostino d’Ippona, nel citato sermone 76, nota come lo stesso Pietro in un primo momento riceva il nome da Cristo per via della sua fede, ma poco dopo sia chiamato Satana (51), perché aveva smesso di pensare secondo Dio e parlava con la sola ragione umana: dunque “Pietro” quando confessava Cristo come Figlio del Dio vivente, “Satana” quando gli suggeriva di sottrarsi alla volontà del Padre.

La seconda interpretazione (che è quella di cui San Cipriano è l’iniziatore) è, potremmo dire, di tipo istituzionale ed è la radice da cui si originerà, con però grosse modificazioni e ingiustificati passaggi logici, anche l’attuale visione cattolico-romana:

Gesù fonda la Chiesa su Pietro per primo, come simbolo dell’unità della gerarchia episcopale. In breve, secondo Cipriano, Pietro è stato istituito da Cristo come vescovo, così come gli altri apostoli, ma egli è stato il primo a divenirlo, e questo con uno scopo ben preciso: significare che l’episcopato dev’essere unito, concorde e in armonia.

Come risulta evidente, le due interpretazioni non sono in contrasto fra loro, ma evidenziano due aspetti complementari della vita della Chiesa: essa si fonda sulla fede in Cristo e sull’organizzazione gerarchica che Cristo ha voluto realizzare negli apostoli e nei vescovi, loro successori: Cipriano infatti sottolinea come allontanarsi dalla Chiesa voglia dire porre in essere altri altari e fondarsi su altre pietre.

L’ecclesiologia cattolico-romana si è inserita solo su questa seconda linea interpretativa, creando un’equazione indebita, quella Pietro = papa di Roma.

In realtà sostenere l’esistenza di una simile visione in Cipriano crea evidenti problemi, perché attraverso questa chiave di lettura egli diventerebbe uno schizofrenico: da un lato infatti esalterebbe il primato di Roma, dall’altro l’autonomia del singolo vescovo e l’autorità dei concili in materia di fede e di disciplina; da un lato apparirebbero perfettamente coerenti i cordiali rapporti che mantenne con papa Cornelio, ma dall’altro sembrerebbe contraddittorio ed inspiegabile il conflitto assai duro che lo oppose a papa Stefano sulla questione del battesimo degli eretici. E dunque? Si trattava solo di un arrogante che predicava in un modo e agiva diversamente, secondo i suoi interessi? Ben difficile che un uomo simile potesse andare incontro al martirio per la propria fede.

Bisogna dunque sforzarsi di capire cosa Cipriano volesse dire, prescindendo dall’equazione Pietro = papa e cercando di verificare poi se il risultato della ricerca ci permetta in questo modo di dare al pensiero e alle azioni del vescovo di Cartagine un aspetto più coerente.

Cipriano dà a Pietro un gran rilievo e attribuisce un profondo significato al suo “primato”, che secondo lui consiste nel fatto che a Pietro per primo Cristo ha conferito il potere di legare e sciogliere e le chiavi del Regno dei Cieli (cfr. epp. 73; 55, 16, 1; De unitate 4). Ma questo primato non ha un valore giuridico: Pietro non ha più potere degli altri apostoli o un potere sugli altri apostoli (52); anche agli altri, infatti, saranno dati in seguito gli stessi poteri conferiti a Pietro. Il primato, per Cipriano, sta nel fatto che in Pietro è simboleggiata l’unità della Chiesa, che egli vedeva principalmente come unità dell’episcopato (53) (cfr. epp. 33; 55, 24, 2; 70; 75, 16, 1; De unitate 4). Nel suo pensiero Pietro è stato il primo a ricevere i caratteri vescovili, e sebbene dopo anche gli altri li abbiano ricevuti, tuttavia tali caratteri non sono stati concessi a tutti nello stesso momento: Cristo ha voluto concederli prima ad uno, perché simboleggiasse il fatto che i vescovi sono molti, ma l’episcopato dev’essere uno solo, cioè tutti devono agire in armonia e in comunione fra loro (sull’armonia vi è molta insistenza: cfr. ep. 34; De orat. domin. 30).

L’immagine dell’unica cattedra fondata su Pietro indica quindi la Chiesa, intesa come comunione dei vescovi e delle chiese locali da loro presiedute (cfr. ep. 43). In quest’ottica va interpretata anche l’ep. 59, 14, 1, che ha un valore enfatico. (54) Roma infatti era stata la sede di Pietro in Occidente, in essa Pietro aveva esercitato (secondo ciò che all’epoca si pensava) la sua funzione di vescovo e perciò in quel luogo concretamente Pietro si era manifestato come simbolo di unità. Cipriano si domanda dunque: sono così folli questi eretici che, non avendo voluto ascoltare noi a Cartagine, sperano di avere appoggio a Roma, che essendo stata la cattedra di Pietro, di colui cioè che simboleggia l’unità della Chiesa, farebbe violenza alla propria natura rompendo questa unità?

Evidentemente non sapeva che papa Stefano avrebbe più tardi agito proprio in questo modo.

Prendendo Pietro a simbolo di unità, Cipriano non pensa certo ai suoi successori romani a lui contemporanei. Dal momento che l’unità non dipende da particolari poteri di Pietro, non c’è nulla che possa o debba essere trasmesso ai vescovi di Roma, che sono uguali agli altri55. È Pietro nella sua persona il simbolo dell’unità, non il suo successore romano: questo risulta evidentissimo in Cipriano, soprattutto nella sua insistenza sull’assoluta libertà del vescovo nell’amministrazione della propria chiesa. (56)

Questo spiega perché ci siano stati momenti in cui l’accordo di Cipriano con Roma fu perfetto (cfr. epp. 35; 59) e altri di duro contrasto, come mostra benissimo anche la lettera inviata a Cipriano da Firmiliano, vescovo di Cesarea in Cappadocia. Proprio da essa appare evidente come la piena condivisione dell’ecclesiologia di Cipriano che questi manifesta non comportasse nemmeno in Oriente alcuna idea di una supposta necessità di seguire la chiesa di Roma in materia di dottrina e tanto meno alcuna soggezione giuridica ad essa (e su questo Cipriano non sembra proprio essere in disaccordo; cfr. ep. 67, in cui si afferma che una decisione canonica e collegiale dei vescovi non poteva essere infirmata da una richiesta di revisione del vescovo di Roma su una questione sulla quale, peraltro, egli era stato ingannato), ma come anzi l’unico criterio fosse l’origine apostolica della consuetudine e la sua approvazione da parte degli altri vescovi, cioè della Chiesa nel suo complesso (cfr. epp. 71, 4, 1; 75, 19, 3). Abbandonare la cattedra di Pietro, costruire un altro altare e altre chiese fondate su pietre diverse significava rompere la comunione dei vescovi e uscire dalla Chiesa (cfr. ep. 55, 24, 4; De unitate 17, 17): che si fosse Cipriano, vescovo di Cartagine, o Stefano, vescovo di Roma (cfr. ep. 75, 17, 1; 75, 25, 1).

È significativo però come Cipriano insista sul fatto che l’esistenza di consuetudini che diversificano le chiese fra loro, non infici necessariamente l’unione fra esse (57): nell’ambito di ciascuna chiesa locale, infatti, il vescovo deve rendere conto solo a Dio del proprio operato di pastore; quello che importa è che non venga rotto il legame di amore e condivisione che unisce fra loro i vescovi e le comunità da loro presiedute: è questo ciò che egli definisce “unità della Chiesa”. Non uniformità di culto e di pratiche, dunque, ma armonia e amore reciproco.

In conclusione si può affermare questo: la chiesa di Roma, che godeva di notevole prestigio in Occidente, come in Oriente (anche per il suo rango di capitale dell’Impero), e che per questo era spesso considerata un punto di riferimento, a partire da papa Damaso (ca. 380) e quindi dal momento in cui la creazione di una nuova capitale (Costantinopoli) cominciava a mettere in crisi la sua importanza, ha cominciato ad abbandonare l’ecclesiologia antica, identificando i suoi vescovi con Pietro e immaginando una trasmissione di qualche fantomatico “potere” petrino ad essi. In questo modo essi si sono attribuiti il titolo di “vicario di Pietro”.

Il secondo passaggio logico è stato inevitabile: visto che, nella loro visione giuridica, Pietro era il vicario di Cristo, allora anche il papa doveva esserlo. E dunque ora il papa di Roma porta il titolo di vicario di Cristo in terra e di vescovo dei vescovi, una specie di metropolita universale. Da questo inevitabilmente deriva il dogma dell’infallibilità e tutti i suoi collegati.

Nulla di più lontano dalla visione di San Cipriano: in essa ogni chiesa locale è governata dal suo vescovo, unito agli altri nell’armonia dell’unico episcopato spirituale che coincide con la Chiesa universale, simboleggiata dal fatto che Pietro ha ottenuto per primo i poteri vescovili.

Alessandro Goria

Torino, 2012

 

NOTE

(1) Dell’esperienza vitale del battesimo e della decadenza del mondo a lui contemporaneo scriverà poi in una delle sue opere, il trattato Ad Donatum (A Donato).

(2) Per questo motivo viene solitamente chiamato Tascio Cecilio Cipriano.

(3) Va detto che, in seguito, la posizione espressa da Stefano di considerare valido il battesimo amministrato nel nome del Padre, del Figlio e del Santo Spirito diverrà prevalente.

(4) Il testo latino è quello dell’edizione critica curata dal Diercks e pubblicata in CChLS IIID.

(5) 1 Dominus noster, cuius praecepta metuere et observare debemus, episcopi honorem et ecclesiae suae rationem disponens in evangelio loquitur et dicit Petro: «ego tibi dico quia tu es Petrus et super istam petram aedificabo ecclesiam meam et portae inferorum non vincent eam, et tibi dabo claves regni caelorum, et quae ligaveris super terram erunt ligata et in caelis, et quaecumque solveris super terram erunt soluta et in caelis». Inde per temporum et successionum vices episcoporum ordinatio et ecclesiae ratio decurrit, ut ecclesia super episcopos constituatur et omnis actus ecclesiae per eosdem praepositos gubernetur. 2 Cum hoc itaque divina lege fundatum sit, miror quosdam audaci temeritate sic mihi scribere voluisse ut ecclesiae nomine litteras facerent, quando ecclesia in episcopo et clero et in omnibus stantibus sit constituta.

(6) III 1 Vos itaque secundum litteras meas fideliter et salubriter consulentes a consiliis melioribus ne recedatis. Legite vero has easdem litteras et collegis meis, si qui aut praesentes fuerint aut supervenerint, ut unanimes et concordes ad fovenda et sananda lapsorum vulnera consilium salubrem teneamus, tractaturi plenissime de omnibus cum convenire in unum per Domini misericordiam coeperimus.

(7) 1 Et dilectio communi et ratio exposcit, fratres carissimi, nihil conscientiae vestrae subtrahere de his quae apud nos geruntur, ut sit nobis circa utilitatem ecclesiasticae administrationis commune consilium.

(8) 1 Clamat et dicit Deus: « nolite audire sermones pseudoprophetarum, quoniam visiones cordis eorum frustrantur eos. Locuntur, sed non ab ore Domini. Dicunt eis qui abiciunt verbum Domini: pax erit vobis». Pacem nunc offerunt qui ipsi non habent pacem, in ecclesiam lapsos reducere et revocare promittunt qui de ecclesia recesserunt. 2 Deus unus est et Christus unus et una ecclesia et cathedra una super Petrum Domini voce fundata. Aliud altare constitui aut sacerdotium novum fieri praeter unum altare et unum sacerdotium non potest. Quisque alibi collegerit, spargit. Adulterum est, impium est, sacrilegum est quodcumque humano furore instituitur ut dispositio divina violetur.

(9) Novaziano apparteneva ad un partito che negava qualsiasi possibilità di riammettere, anche in punto di morte, i lapsi.

(10) 3 Ipse est qui Felicissimum satellitem suum diaconum nec permittente me nec sciente sua fatione et ambitione constituit et cum sua tempestate Romae quoque ad evertendam ecclesiam navigans similia illic et paria molitus est, a clero portionem plebis avellens, fraternitatis bene sibi cohaerentis et se invicem diligentis concordiam scindens. Plane quoniam pro magnitudine sua debebat Carthaginem Roma praecedere, illic maiora et graviora commisit. Qui istic adversus ecclesiam diaconum fecerat, illic episcopum fecit.

(11) 1 Et quidem apud antecessores nostros quidam de episcopis istic in provincia nostra dandam pacem moechis non putaverunt et in totum paenitentiae locum contra adulteria cluserunt. Non tamen a coepiscoporum suorum collegio recesserunt aut catholicae ecclesiae unitatem vel duritiae vel censurae suae obstinatione ruperunt, ut quia apud alios adulteris pax dabatur, qui non dabat de ecclesia separaretur. 2 Manente concordiae vinculo et perseverante catholicae ecclesiae individuo sacramento, actuum suum disponit et dirigit unusquisque episcopus rationem propositi sui Domino redditurus.

(12) Il passo si riferisce a Novaziano, il quale aveva contestato la legittimità dell’elezione del vescovo di Roma, Cornelio, ed era in seguito stato fatto vescovo di Roma illegittimamente. Fu in effetti il secondo «antipapa», dopo Sant’Ippolito martire.

(13) Et cum sit a Christo una ecclesia per totum mundum in multa membra divisa, item episcopatus unus episcopo rum multorum concordi numerositate diffusus, ille post Dei traditionem, post conexam et ubique coniunctam catholicae ecclesiae unitatem humanam conetur ecclesiam facere et per plurimas civitates novos apostolos suos mittat, ut quaedam recentia institutionis suae fundamenta constituat [...].

(14) 4 Episcopatum autem tenere non posset, etiam si episcopus prius factus a coepiscoporum suorum corpore et ab ecclesiae unitate descisceret, quando apostolus admoneat ut invicem nosmet ipsos sustineamus, ne ab unitate quam Deus constituit recedamus, et dicat: «sustinentes invicem in dilectione, satis agentes servare unitatem spiritus in coniunctionem pacis». Qui ergo nec unitatem spiritus nec coniunctionem pacis observat et se ab ecclesiae vinculo atque a sacerdotum collegio separat, episcopi nec potestatem potest habere nec honorem qui episcopatus nec unitatem voluit tenere nec pacem.

(15) 3 Petrus tamen super quem aedificata ab eodem Domino fuerat ecclesia unus pro omnibus loquens et ecclesiae voce respondens ait: «Domine, ad quem imus? Verbum vitae eternae habes, et nos credimus et cognovimus quoniam tu es filius Dei vivi».

(16) Nello stesso senso in cui il vocabolo principalis è utilizzato da Ireneo di Lione in Adv. haer. 3, 2, ad indicare una delle chiese “primaziali” in una certa area, nel caso specifico l’Occidente dell’Impero.

(17) Perché Pietro è emblema dell’unità vescovile, un solo episcopato pur gestito da molti vescovi: in ultima analisi simbolo della Chiesa intesa come comunione dei vescovi delle chiese locali; come ha detto nell’epistola XLIII: “Dio è uno e Cristo uno e una la Chiesa e una la cattedra di Pietro fondata dalla voce del Signore. Non può essere stabilito un altro altare o un nuovo episcopato al di fuori dell’unico altare e dell’unico episcopato”. E lo stesso dirà nel De unitate: “Tutti sono pastori, ma ci è mostrato che non vi è che un gregge che devono pascere tutti gli apostoli in accordo unanime”.

(18) […] post ista adhuc insuper pseudoepiscopo sibi ab haereticis constituto navigare audent et ad Petri cathedram atque ad ecclesiam principalem unde unitas sacerdotalis exorta est a schismaticis et profanis litteras ferre nec cogitare eos esse Romanos quorum fides apostolo praedicante laudata est, ad quos perfidia habere non possit accessum.

(19) 1 Quamquam sciam, frater carissime, episcopos plurimos ecclesiis dominicis in toto mundo divina dignatione praepositos evangelicae veritatis ac dominicae traditionis tenere rationem nec ab eo quod Christus magister et praecepit et gessit humana et novella institutione decedere, tamen quoniam quidam vel ignorantem vel simpliciter in calice dominico sanctificando et plebi ministrando non hoc faciunt quod Iesus Christus dominus et Deus noster sacrificii huius auctor et doctor fecit et docuit, religiosum pariter ac necessarium duxi de hoc ad vos litteras facere, ut si qui in isto errore adhuc tenebatur, veritatis luce perspecta ad radicem atque originem traditionis dominicae revertatur.

(20) [...] «Domine, ad quem ibimus? Verbum vitae aeternae habes, et nos credimus et cognovimus quoniam tu es filius Dei vivi». 3 Loquitur illic Petrus, super quem aedificata fuerat ecclesia, ecclesiae nomine docens et ostendens quia, etsi contumax ac superba obaudire nolentium multitudo discedat, ecclesia tamen a Christo non recedit et illi sunt ecclesia, plebs sacerdoti adunata et pastori suo grex adhaerens. Unde scire debes episcopum in ecclesia esse et ecclesiam in episcopo et si qui cum episcopo non sit in ecclesia non esse, et frustra sibi blandiri eos qui pacem cum sacerdotibus Dei non habentes obrepunt et latenter apud quosdam communicare se credunt, quando ecclesiae quae catholica una est scissa non sit neque divisa, sed sit utique conexa et cohaerentium sibi invicem sacerdotum glutino copulata.

(21) 2 Quod et apud vos factum videmus in Sabini collegae nostri ordinatione, ut de universae fraternitatis suffragio et de episcoporum qui in praesentia convenerant quique de eo ad vos litteras fecerant iudicio episcopatus ei deferretur et manus ei in locum Basilidis imponeretur. 3 Nec rescindere ordinationem iure perfectam potest quod Basilides post crimina sua detecta et conscientiae etiam propriae confessione nudatam Romam pergens Stephanum collegam nostrum longe positum et gestae rei ac veritatis ignarum fefellit, ut exambiret reponi se iniuste in episcopatum de quo fuerat iure depositus.

(22) Alcuni studiosi ritengono che questo invito di Cipriano sia una dimostrazione del suo riconoscimento di un’autorità giurisdizionale del vescovo di Roma. In realtà, a parte il fatto che Cipriano non ne precisa il motivo, non è strano che Stefano, in quanto vescovo legittimo di Roma (titolo che Novaziano aveva usurpato) dovesse scrivere personalmente agli altri vescovi per presentare la correttezza delle proprie ragioni e gli errori dell’avversario.

(23) [...] Marcianus Arelate consistens Novatiano se coniunxerit et a catholicae ecclesiae unitate atque a corporis nostri et sacerdotii consensione discesserit [...].

(24) 2 Idcirco enim, frater carissime, copiosum corpus est sacerdotum concordiae mutuae glutino atque unitatis vinculo copulatum, ut si quis ex collegio nostro haeresim facere et gregem Christi lacerare et vastare temptaverit, subveniant ceteri, et qua pastores utiles et misericordes oves dominicas in gregem colligant. 3 Quid enim si in mari portus aliquis munitionibus suis ruptis infesto et periculosus esse navibus coeperit, nonne navigantes ad alios proximos portus naves suas dirigunt, ubi sit tutus accessus et salutaris introitus et statio sicura?

(25) 1 Ceterum probare est haereticorum et schismaticorum baptisma consentire in id quod illi baptizaverint. Neque enim potest pars illic inanis esse et pars praevalere. Si baptizare potuit, potuit et sanctum Spiritum dare. Si autem sanctum Spiritum dare non potest, quia foris constitutus cum sancto Spiritu non est, nec baptizare venientem potest, quando et baptisma unum sit et Spiritus sanctus unus et una ecclesia a Christo domino nostro super Petrum origine unitatis et ratione fundata.

(26) 1 Non est autem de consuetudine praescribendum, sed ratione vincendum. Nam nec Petrus quem primum Dominus elegit et super quem aedificavit ecclesiam suam, cum secus Paulus de circumcisione postmodum disceptare, vindicavit sibi aliquid insolenter aut adroganter adsumpsit, ut diceret se primatum tenere et obtemperari a novellis et posteris sibi potius oportere, nec despexit Paulum quod ecclesiae prius persecutor fuisset, sed consilium veritatis admisit et rationi legitimae quam Paulus vindicabat facile consensit, documentum scilicet nobis et concordiae et patientiae tribuens, ut non pertinaciter nostra amemus, sed quae aliquando a fratribus et collegis nostris utiliter et salubriter suggeruntur, si sint vera et legitima, ipsa potius nostra ducamus. 2 Cui rei Paulus quoque prospiciens et concordiae et paci fideliter consulens in epistula sua posuit dicens: «prophetae autem duo aut tres loquantur et ceteri examinent. Si autem alii revelatum sedenti fuerit, ille prior taceat». Qua in parte docuit et ostendit multa singulis in melius revelari et debere unumquemque non pro eo quod semel inbiberat et tenebat pertinaciter congredi, sed si quid melius et utilius extiterit libenter amplecti. Non enim vincimur quando offeruntur nobis meliora, sed instruimur, maxime in his quae ad ecclesiae unitatem pertinent et spei ac fidei nostrae veritatem, ut sacerdotes Dei et ecclesiae eius de ipsius dignatione praepositi sciamus remissam peccatorum non nisi in ecclesia dari posse nec posse adversarios Christi quicquam sibi circa eius gratiam vindicare.

(27) 1 Quod quidem et Agrippinus bonae memoriae vir cum ceteris coepiscopis suis qui illo in tempore in provincia Africa et Numidia ecclesiam Domini gubernabant statuit et librata consilii communis examinatione firmavit. Quorum sententiam religiosam et legitimam et salutarem fidei et ecclesiae catholicae congruentem, nos etiam secuti sumus.

(28) 1 Haec ad conscientiam tuam, frater carissime, et pro honore communi et pro simplici dilectione pertulimus, credentes etiam tibi pro religionis tuae et fidei veritate placere quae et religiosa pariter et vera sunt. Ceterum scimus quosdam quod semel inbiberint nolle deponere nec propositum suum facile mutare, sed salvo inter collegas pacis et concordiae vinculo quaedam propria quae apud se semel sint usurpata retinere. 2 Qua in re nec nos vim cuiquam facimus aut legem damus, quando habeat in ecclesiae administratione voluntatis suae arbitrium liberum unusquisque praepositus, rationem actus sui Domino redditurus.

(29) 1 Manifestum est autem ubi et per quos remissa peccatorum dari possit, quae in baptismo scilicet datur. Nam Petro primus Dominus, super quem aedificavit ecclesiam et unde unitatis originem instituit et ostendit, potestatem istam dedit ut id solveretur in terris quod ille soluisset. 2 Et post resurrectionem quoque ad apostolos loquitur dicens: «sicut misit me Pater, et ego mitto vos. Hoc cum dixisset, inspiravit et ait illis: accipite Spiritum sanctum. Si cuius remiserit peccata, remittentur illi; si cuius tenueritis, tenebuntur». Unde intellegimus non nisi in ecclesia praepositis et evangelica lege ac dominica ordinatione fundatis licere baptizare et remissam peccatorum dare, foris autem nec ligari aliquid posse nec solvi, ubi non sit qui aut ligare possit aut solvere.

(30) 3 Nisi quod nos gratiam referre Stephano in isto possumus, quod per illius inhumanitatem nunc effectum sit ut fidei et sapientiae vestrae experimentum caperemus. Sed non enim si nos propter Stephanum hanc beneficii gratiam coepimus, statim Stephanus beneficio et gratia digna commisit.

(31) 1 Eos autem qui Romae sunt non ea in omnibus observare quae sint ab origine tradita et frustra apostolo rum auctoritatem praetendere scire quis etiam inde potest, quod circa celebrandos dies Paschae et circa multa alia divinae rei sacramenta videat esse apud illos aliquas diversitates nec observari illic omnia equaliter Hierosolimis observantur, secundum quod in ceteris quoque plurimis provinciis multa pro locorum et nominorum diversitate variantur, nec tamen propter hoc ab ecclesiae catholicae pace atque unitate aliquando discessum est. 2 Quod nunc Stephanus ausus est facere rumpens adversus vos pacem, quam semper antecessores eius vobiscum amore et honore mutuo custodierunt, adhuc etiam infamans Petrum et Paulum beatos apostolos, quasi hoc ipsi tradiderint, qui in epistulis suis haereticos execrati sunt et ut eos evitemus monuerunt. Unde apparet traditionem hanc humanam esse quae haereticos asserit et baptisma quod non nisi solius ecclesiae est eos habere defendit.

(32) 1 Qualis vero error sit et quanta sit caecitas eius, qui remissionem peccatorum dicit apud synagogas hereticorum dari posse nec permanet in fundamento unius ecclesiae, quae semel a Christo super petram solidata est, hinc intellegi potest quod soli Petro Christus dixerit: «quaecunque ligaveris super terram, erunt ligata et in caelis, et quaecunque solveris super terram, erunt soluta et in caelis». Et iterum in evangelio in solos apostolos insufflavit Christus dicens: «accipite Spiritum sanctum. Si cuius remiseritis peccata, remittentur illi; si cuius tenueritis, tenebuntur». Potestas ergo peccatorum remittendorum apostolis data est et ecclesiis quas illi a Christo missi constituerunt et episcopis qui eis ordinatione vicaria successerunt.

(33) 1 Atque ego in hac parte iuste indignor ad hanc tam apertam et manifestam Stephani stultitiam, quod qui sic de episcopatus sui loco gloriatur et se successionem Petri tenere contendit, super quem fundamenta ecclesiae collocata sunt, multas alias petras inducat et ecclesiarum multarum nova aedificia constituat, dum esse illic baptisma sua auctoritate defendit. 2 Nam qui baptizantur complent sine dubio ecclesiae numerum; qui autem baptisma eorum probat, de baptizatis et ecclesiam illic esse confirmat. Nec intellegit offuscari a se et quodammodo aboleri christianae petrae veritatem qui sic prodit et deserit unitatem.

(34) Quod quidem adversus Stephanum vos dicere Afri potestis cognita veritate errorem vos consuetudinis reliquisse. Ceterum nos veritati et consuetudinem iungimus et consuetudini Romanorum consuetudinem sed veritatis opponimus, ab initio hoc tenentes quod a Christo et ab apostolis traditum est. Nec meminimus hoc apud nos aliquando coepisse, cum semper istic observatum sit ut non nisi unam Dei ecclesiam nossemus et sanctum baptisma non nisi santae ecclesiae computaremus.

(35) Il soggetto della frase è Stefano.

(36) 3 Nec te informare ad regulam veritatis et pacis vel apostoli praecepta potuerunt monentis et dicentis: «Obsecro ergo vos ego vinctus in Domino digne ambulare vocatione qua vocati estis, cum omni humilitate sensus et lenitate, cum patientia sustinentes invicem in dilectione, satis agentes servare unitatem spiritus in coniunctione pacis, unum corpus et unus spiritus, sicut vocati estis in una spe vocationis vestrae. Unus Dominus, una fides, unum baptisma, unus Deus et pater omnium, qui super omnes et per omnia et in omnibus nobis».

(37) 1 Haec apostoli mandata et monita salutaria quam diligenter Stephanus implevit, humilitatem sensus et lenitatem primo in loco servans! Quid enim humilius aut lenius quam cum tot episcopis per totum mundum dissensisse, pacem cum singulis vario discordiae genere rumpentem, modo cum Orientalibus, quod nec vos latere confidimus, modo vobiscum qui in meridie estis, a quibus legatos episcopos patienter satis et leniter suscepit ut eos nec ad sermonem saltem colloquii communis admitteret, adhuc insuper dilectionis et caritatis memor praeciperet fraternitati universae ne quis eos in domum suam reciperet, ut venientibus non solum pax et communio, sed et tectum et hospitium negaretur! 2 Hoc est «servare unitatem spiritus in coniunctione pacis», abscindere a caritatis unitate et alienum per omnia fratribus facere et contra sacramentum et vinculum pacis furore discordiae rebellare. Apud talem potest esse unum corpus et unus spiritus, apud quem fortasse ipsa anima una non est sic lubrica et mobilis et incerta?

(38) Il testo latino seguito è quello di CCL 3, utilizzato anche dall’edizione di Sources Chrétiennes n° 500, da me consultata. Il termine “cattolica” non indica, come si potrebbe pensare, la chiesa di Roma, ma l’universalità della Chiesa. Cattolico (dal greco καθολικός, composto dalla particella κατά e dal sostantivo ὅλος, “secondo il tutto”) significa che la Chiesa universale è formata da ciascuna chiesa locale in comunione con le altre. Anche le chiese ortodosse professano, in questo senso, la chiesa “una, santa, cattolica e apostolica”, secondo il simbolo di fede niceno-costantinopolitano.

(39) Della successiva parte del testo su due colonne esistono due versioni, note come P.T. (Primacy Text - testo del primato) e T.R. (Textum Receptum – testo accolto). Vi è chi ha pensato che il P.T. potesse essere interpolato e alcune ragioni in tal senso non sono finora state smentite. Oggi sembra che la maggior parte degli studiosi propenda per considerare autentiche entrambe le versioni, derivate da un successivo intervento dello stesso Cipriano. Alcuni sostengono che il testo originario sia il P.T., poi modificato da Cipriano dopo la controversia battesimale con papa Stefano per stemperare l’eccessivo favore che questo testo indicherebbe per il primato di Roma. In realtà, come al solito, si fa confusione indebita: il testo non parla affatto di Roma, ma di Pietro; inoltre dal punto di vista concettuale i due testi non sono poi molto differenti. Si rinvia comunque alle considerazioni conclusive per un chiarimento sulla visione di Cipriano in merito.

(40) Quae si quis consideret et examinet, tractatu longo atque argumentis opus non est. Probatio est ad fidem facilis compendio veritatis; loquitur Dominus ad Petrum: «Ego tibi dico – inquit – quia tu es Petrus et super istam petram aedificabo ecclesiam meam et portae inferorum non vincent eam. Tibi dabo claves regno caelorum, et quae ligaveris super terram erunt ligata et in caelis, et quaecumque solveris super terram erunt soluta et in caelis».

(41) Et idem post resurrectionem suam dicit illi: «Pasce oves meas». Super illum aedificat ecclesiam et illi pascenda oves mandat et, quamvis apostolis omnibus parem tribuat potestatem, unam tamen cathedram constituit et unitatis originem atque rationem sua auctoritate disposuit. Hoc erat utique et ceteri quod fuit Petrus, sed primatus Petro datur et una ecclesia et cathedra una monstratur; et pastores sunt omnes, sed grex unus ostenditur qui ab apostolis omnibus unianimi consensione pascatur. Hanc Petri unitatem qui non tenet, tenere se fidem credit? Qui cathedram Petri, super quem fundata ecclesia est, deserit, in ecclesia se esse confidit?

(42) Super unum aedificat ecclesiam et, quamvis apostolis omnibus post resurrectionem suam parem potestatem tribuat et dicat: «Sicut misit me Pater et ego mitto vos. Accipite Spiritum sanctum. Si cuius remiseritis peccata remittentur illi; si cuius tenueritis tenebuntur», tamen, ut unitatem manifestaret, unitatis eiusdem originem ab uno incipientem sua auctoritate disposuit. Hoc erant utique et ceteri apostoli quod fuit Petrus, pari consortio praediti et honoris et potestatis, sed exordium ab unitate proficiscitur ut ecclesia Christi una monstretur. Quam unam ecclesiam etiam in Cantico Canticorum Spiritus santus ex persona Domini designat et dicit: «Una est columba mea, perfecta mea, una est matri suae, electa genitrici suae». Hanc ecclesiae unitatem qui non tenet, tenere se fidem credit? Qui ecclesiae renititur et resistit, in ecclesia se esse confidit, quando et beatus apostolus Paulus hoc idem doceat et sacramentum unitatis ostendat dicens: «Unum corpus et unus Spiritus, una spes vocationis vestrae, unus Dominus, una fides, unum baptisma, unus Deus»? Quam unitatem tenere firmiter et vindicare debemus, maxime episcopi qui in ecclesia praesidemus, ut episcopatum quoque ipsum unum atque indivisum probemus. Nemo fraternitatem mendacio fallat, nemo fidei veritatem perfida praevaricatione corrumpat.

(43) Episcopatus unus est cuius a singulis in solidum pars tenetur. Ecclesia una est, quae in multitudinem latius incremento fecunditatis estenditur: quomodo solis multi radii sed lumen unum, et rami arboris multi, sed robur unum tenaci radice fundatum, et cum de fonte uno rivi plurimi defluunt, numerositas licet diffusa videatur exundantis copiae largitate, unitas tamen servatur in origine. Avelle radium solis a corpore divisionem lucis, unitas non capit; ab arbore frange ramum, fractus germinare non poterit; a fonte praecide rivum, praecisus arescit. Sic et ecclesia, Domini luce perfusa, per orbem totum radios suos porrigit, unum tamen lumen est quod ubique diffunditur, nec unitas corporis separatur; ramos suos in universam terram copia ubertatis extendit; profluentes largiter rivos latius spandit, unum tamen caput est et origo una, et una mater fecunditatis successibus copiosa: illius fetu nascimur, illius lacte nutrimur, spiritu eius animamur.

(44) Hostis altaris, adversus sacrificium Christi rebellis, pro fide perfidus, pro religione sacrilegus, inobsequens servus, filius impius, frater inimicus, contemptis episcopis et Dei sacerdotibus derelictis constituere audet aliud altare, precem altera inlicitis vocibus facere, dominicae hostiae veritatem per falsa sacrificia profanare, nec scire quoniam qui contra ordinationem Dei nititur ob temeritatis audaciam divina animadversione punitur.

(45) Testo latino tratto dal Migne, PL 4, coll. 519-544a.

(46) Et postmodum pro omnibus patrem deprecatur dicens: «Non pro his autem rogo solis, sed et pro illis qui credituri sunt per verbum ipsorum in me, ut omnes unum sint, sicut tu Pater in me, et ego in te, ut et ipsi in nobis unum sint». Magna Domini propter salutem nostram benignitas pariter et pietas, ut non contentus quod nos sanguine suo redimeret, adhuc pro nobis amplius et rogaret. Rogantis autem desiderium videte quod fuerit, ut, quomodo unum sunt Pater et Filius, sic et nos in ipsa unitate maneamus. Ut hinc quoque possit intelligi quantum delinquat qui unitatem scindit et pacem, cum pro hoc et rogaverit Dominus, volens scilicet sic plebem suam salvam fieri et in pace vivere, cum sciret ad regnum Dei discordiam non venire.

(47) Naturalmente all’interno di queste due linee interpretative esiste poi una ricca molteplicità di sfumature, senza contare alcuni estremi, come ad esempio l’originale visione totalmente spiritualizzante del Tertulliano montanista, presente nel De pudicitia, 21.

(48) Per una trattazione ben sviluppata di questa via interpretativa si veda ad esempio Agostino di Ippona, Sermo 76, che commenta il passo di Matteo in cui Cristo giunge agli apostoli camminando sulle acque.

(49) Cfr. At 4, 8-12 e Sal. 117.

(50) Un esempio di questo è Massimo di Torino (vissuto alla fine del IV secolo), il quale nei suoi sermoni tratteggia in modo molto significativo il ruolo dell’apostolo Pietro: cfr. serm. 1; 52, 4; 75, 3. D’altra parte, il commento del vescovo di Torino al noto passo di Mt. 16, 18 è perfettamente in linea con quanto abbiamo sottolineato: «Giustamente dunque, poiché Cristo è la pietra, Simone fu chiamato Pietro, perché chi aveva col Signore la comunione della fede, col Signore avesse anche in comune un unico nome, così che, come cristiano deriva da Cristo, così anche dalla pietra, che è Cristo, l’apostolo fosse chiamato Pietro».

(51) Mt. 16, 23; Mc. 8, 33.

(52) Cfr. l’ep. 71, dove Cipriano rammenta la controversia con Paolo a proposito della circoncisione e degli usi giudaici e sottolinea come la decisione finale venne adottata in piena armonia e nell’ascolto reciproco.

(53) La Chiesa universale infatti si ritrova, secondo il vescovo di Cartagine, in ogni chiesa locale con a capo il vescovo in comunione con gli altri vescovi delle varie chiese locali (cfr. epp. 66; 68).

(54) Fra l’altro è l’unico caso (se si esclude il P.T. del De unitate, la cui autenticità è tuttora da dimostrare) in cui Cipriano utilizza l’espressione cathedra Petri, perché di solito parla di cathedra super Petrum fundata, per cui è probabile che volesse in questo modo indicare il luogo storico dell’episcopato di Pietro, cioè Roma, distinguendolo dal significato simbolico dello stesso episcopato petrino come rappresentazione dell’unità.

(55) Questo non impedisce che in quel momento la chiesa di Roma, che fra l’altro si trovava nella capitale dell’Impero, godesse di un certo prestigio in Occidente. Ecco perché Cipriano dice che tale chiesa, per la propria grandezza, deve precedere quella di Cartagine (ep. 52) e le attribuisce l’aggettivo “principale” (ep. 59), usando un termine già di Ireneo di Lione e che indicava, probabilmente, la posizione preminente di alcune chiese, secondo ciò che sarà poi sancito circa un secolo dopo dal canone 6 del concilio di Nicea come antica consuetudine.

(56) È significativo come questa interpretazione permetta di considerare perfettamente ortodosse alcune espressioni dei Padri difficilmente collocabili nella visione romana; ad esempio Gaudenzio di Brescia, vescovo contemporaneo a Massimo di Torino e ad Ambrogio di Milano, nel suo trattato XVI, 9-12, usa delle espressioni che ad un latino appaiono strane, «non sufficientemente controllate», per usare l’espressione del curatore italiano dell’edizione di Città Nuova del 1991: «Ma ora, poiché profondo è il pozzo dei sacri testi ed io, non avendo il vaso per attingere la parola, non posso per ora offrirvi, sebbene assetati, l’acqua viva, pregherò il comune padre Ambrogio che, dopo la scarsa rugiada del mio discorso, sia lui ad irrigare i vostri cuori con i misteri delle Scritture divine. Parlerà infatti con lo Spirito Santo, di cui è pieno, e dal suo grembo scorreranno fiumi di acqua viva e, come successore dell’apostolo Pietro, egli sarà la bocca di tutti i vescovi che lo circondano. Infatti quando il Signore Gesù interrogò tutti gli apostoli Ma voi chi dite che io sia?, il solo Pietro rispose a nome dei credenti: Tu sei… vivente. […] Dunque quando parla il solo Pietro, in nessun modo viene esclusa la fede degli altri credenti. Ma si osserva un ordine conveniente, lasciando a buon diritto che il principe degli apostoli parli per primo, oppure si volle evitare che sembrasse più un tumulto che una risposta, se tutti a gara ed insieme avessero allora risposto. […] Successivamente, appunto, quando Giuda era stato già condannato per la colpa commessa, tutti gli apostoli con la Resurrezione di Cristo ricevono le chiavi di Pietro, anzi, ricevono con Pietro le chiavi del regno celeste dello stesso Signore».

(57) Cfr. epp. 55, 21, 1; 72; 75, 6, 1. Questo non implica che non debba essere cercata la verità (cfr. ep. 63).

 

 
Peccato e controllo: sull'Ortodossia e i disordini alimentari

Non si può incontrare l'Ortodossia senza incontrare cibo in abbondanza. I fedeli abitualmente non consumano il loro primo pasto fino a dopo aver ricevuto la comunione, e così mangiare insieme giunge a essere un criterio per definire la comunità. Insieme con i tempi della festa, quattro stagioni di digiuno si estendono per un periodo che dura complessivamente da 16 a 22 settimane ogni anno solare, dando origine a popolari libri di cucina ortodossi dotate di ampie sezioni "quaresimali" con ricette studiate appositamente per il digiuno.

Mentre mi rallegro del modo in cui i pasti condivisi possono unire i credenti, come cristiana ortodossa in fase di recupero dalla bulimia, trovo che l'enfasi ortodossa sul cibo sia una sfida impegnativa. I disturbi alimentari sono raramente discussi all'interno delle parrocchie ortodosse. Quando si solleva questo argomento, gli sforzi per garantire la solidità dottrinale inavvertitamente fissano "la risposta ortodossa" ai disturbi alimentari in un modo che sembra in contrasto con i consigli dei professionisti della medicina e della salute mentale.

È particolarmente interessante come la Chiesa ortodossa e i professionisti del trattamento dei disturbi alimentari hanno comprensioni notevolmente dissimili dei concetti di peccato e di controllo.

La parola 'peccato' viene fuori con una frequenza sorprendente nel contesto del trattamento de disturbi alimentari. I professionisti del trattamento sono abituati a lavorare con persone di ogni parte dello spettro religioso, persone che credono di essere cattive, peccatrici, e in colpa in primo luogo per aver sviluppato disturbi alimentari, etichettando i loro sintomi di disturbo alimentare come esempi concreti del peccato nella loro vita. Alcuni cercano un trattamento dopo essere stati svergognati per i loro disturbi alimentari da parte dei membri delle loro comunità religiose, che usano la semplicistica soluzione "Va' e non peccare più" piuttosto che considerare la miriade di fattori che possono portare a un disturbo alimentare.

Notando questo, molti terapeuti dei disturbi alimentari tentano di modificare questi messaggi del genere "i disturbi alimentari sono peccati" nella loro versione più compassionevole, "i disturbi alimentari sono malattie". Nelle mie esperienze di trattamento, ho notato che i terapeuti separano spesso i concetti di peccato e di malattia, facendo in modo che i due termini si escludano a vicenda.

Senza una formazione forte, un cristiano ortodosso in fase di recupero da un disturbo alimentare può non riuscire a spiegare come il peccato è trattato olisticamente nella tradizione ortodossa. Inoltre, i pastori all'interno della Chiesa ortodossa liquidano troppo facilmente il concetto di peccato come visto dai terapeuti dei disturbi alimentari. La persona in fase di recupero e il direttore spirituale possono andare avanti e indietro tra le idee che ogni essere umano è un peccatore e che un disturbo alimentare è una malattia che richiede cure, senza mai capire appieno il divario linguistico esistente.

Questo ci porta al concetto del controllo. All'interno della tradizione spirituale ortodossa, il controllo è legato a un senso di matura padronanza di sé. Tuttavia, i terapeuti dei disturbi alimentari vedono il controllo quasi esclusivamente come un sintomo della malattia. Molte persone con disturbi alimentari usano il controllo sul cibo come strategia per affrontare esperienze caotiche, come i traumi, le più intense depressioni e i cambiamenti che si verificano nel corpo.

Così, i cristiani ortodossi in fase di ripresa da disturbi alimentari vivono all'intersezione tra la comunità del recupero e la comunità dei credenti ortodossi, trovandosi nella costante necessità di discernere i messaggi esatti che ogni comunità desidera inviare, al fine di perseguire la guarigione, l'integrità, e la theosis.

Quando un cristiano ortodosso in fase di recupero cerca di spiegare il motivo per cui i membri della Chiesa Ortodossa digiunano, è estremamente attento a inquadrare la questione in modo appropriato all'interno di una cornice terapeutica. Prendiamo, per esempio, san Basilio che dice: "Niente sottomette e controlla il corpo come la pratica della temperanza. È questa temperanza che serve al controllo delle passioni e dei desideri giovanili". Professionisti del trattamento rispondono sottolineando come sia assolutamente necessario cedere il controllo al fine di guarire dai disturbi alimentare. Mentre il controllo assume significati divergenti, il cristiano ortodosso si sente diviso tra fede e recupero.

Perché un altro sintomo dei disturbi alimentari può essere la ricerca di messaggi che glorificano i comportamenti distruttivi come la restrizione, una persona alle prese con l'anoressia o la bulimia può interpretare certi consiglio dei Padri sul digiuno come qualcosa che glorifica i comportamenti di disturbo alimentare. Invece di esaltare continuamente l'auto-controllo, i cristiani ortodossi che forniscono cura pastorale farebbero meglio a fare riferimento a san Serafino di Sarov: "Si dovrebbe fare uso di cibo quotidiano nella misura in cui il corpo, fortificato, possa essere l'amico e assistente dell'anima nella pratica della virtù. In caso contrario, l'anima si può indebolire, perché è esaurita".

I cristiani ortodossi in fase di recupero possono educare i propri terapeuti al digiuno come medicina per l'anima, seguendo san Giovanni Crisostomo: "L'onore del digiuno infatti non consiste nell'astinenza dal cibo, ma nel ritiro dalle pratiche peccaminose". Se una persona usa il digiuno come una scusa per impegnarsi in comportamenti da disturbo alimentare, i direttori spirituali possono ricordare a quella persona che il digiuno da solo è incompleto senza le feste.

I direttori spirituali ortodossi dovrebbero sapere come questi concetti siano compresi all'interno della comunità dei terapeuti dei disturbi alimentari, ed è altrettanto vitale che i professionisti del trattamento riconoscere che non tutti gli usi di termini quali peccato e controllo corrispondono alle comuni definizioni occidentali. Come ospedale per le anime, la Chiesa può meglio aiutare le persone in fase di recupero a interpretare in modo corretto entrambi i gruppi di messaggi, nella speranza che i cristiani ortodossi con disturbi alimentari possano trovare il sostegno necessario.

 
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